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Maria Triassi Patrizia Cuccaro Alessandra Dionisio IL MANAGEMENT IN SANITÀ Il valore delle competenze e il confronto delle esperienze Conversazioni di Management Sanitario ATENEAPOLI Editore

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Maria TriassiPatrizia Cuccaro Alessandra Dionisio

IL MANAGEMENT IN SANITÀ

Il valore delle competenze e ilconfronto delle esperienze

Conversazioni di Management Sanitario

ATENEAPOLI Editore

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ISBN: 978-88-97840-58-9

copyright 2019

Ateneapoli srlvia Pietro Colletta, 12 (80139) Napoliwww.ateneapoli.it

BOOKSTOREwww.ateneapoli.it/libri

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VERSIONE INTEGRALE DELLE TESI-PROGETTO

La versione digitale delle tesi-progetto è disponibile sul bookstore di ATENEAPOLI al seguente indirizzo:

http://www.ateneapoli.it/ftpspace/dwl/tesi_managementsanitario_ed201sml.pdf

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Master in Management SanitarioXV Edizione - a.a. 2016/2017

STRUTTURA ORGANIZZATIVA

Direttore del Corso:prof.ssa Maria Triassi

Coordinatore Tutor d’area tematica:dott. Vincenzo Giordano

TUTOR AREE TEMATICHE (in ordine alfabetico):

- Procedure gestionali innovative: HTA, Telemedicina, quality assessment dott. Eugenio Maria Covelli

- Governo clinico e risk management dott.ssa Patrizia Cuccaro

- Comunicazione organizzativa sanitaria, project-management e gestione dei gruppi di lavoro dott.ssa Alessandra Dionisio

- Management della prevenzione, dell’integrazione socio-sanitaria, della medicina territoriale dott.ssa Grazia Formisano, dott.ssa Laura Leoncini

- Organizzazione e gestione delle strutture sanitarie dott. Vincenzo Giordano

Coordinatore attività didattiche e gestione delle dinamiche d’aula, referente per i rapporti con i docenti:dott.ssa Alessandra Dionisio

Coordinatore della Segreteria organizzativa:dott.ssa Anna Russo

Webmaster:dott. Massimo di Gennaro

Sede di svolgimento del Corso MasterCentro Direzionale, Isola F9 - V piano (80143) Napoli

Sito web: www.management-sanitario.it

Scuola di Medicina e ChirurgiaDipartimento di Sanità Pubblica

Scuola di Formazione in Management SanitarioMaster di II livello in Management Sanitario

Direttore: Prof.ssa Maria Triassi

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IL MANAGEMENT IN SANITÀ

Il valore delle competenze e ilconfronto delle esperienze

Conversazioni di Management Sanitario

Il volume contiene le tesi progetto della XV edizione del Master in Management in Sanità

INDICE

INTRODUZIONE Maria Triassi, Patrizia Cuccaro, Alessandra Dionisio pag. 21

LE CONVERSAZIONI

- L’organizzazione dei servizi assistenziali dal punto di vista di un Paese in via di sviluppo: approcci di management alternativi Intervento di Père Marius YABI a cura di Enrico Di Salvo pag. 25

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- L’esperienza internazionale in sanità pubblica Intervento di Jean Bousquet a cura di Maddalena Ilario pag. 29

- Clinical Risk Management e complessità dei sistemi di cura. L’acquedotto romano come paradigma di gestione nella Regione Lazio Intervento di Giuseppe Sabatelli e Maurizio Musolino a cura di Patrizia Cuccaro pag. 33

- Leadership, change and healthcare services in limited resource settings Intervento di Sanja Damjanovic e Almir Badnjevic a cura di Leandro Pecchia pag. 37

- Comunicare la salute al tempo dei social: guardare al presente per costruire il futuro. Rischi e opportunità di una trasformazione culturale Intervento di Francesco Di Costanzo a cura di Alessandra Dionisio pag. 45

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• PARTE APPLICATIVA

Le tesi della XV edizione del Master in Management Sanitario dell'Università Federico II di Napoli:

- Procedure gestionali innovative: HTA, Telemedicina, quality assessment pag. 53

- Governo clinico e risk management pag. 65

- Comunicazione organizzativa sanitaria, project-management e gestione dei gruppi di lavoro pag. 75

- Management della prevenzione, dell’integrazione socio-sanitaria, della medicina territoriale pag. 85

- Organizzazione e gestione delle strutture sanitarie pag. 93

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Il Management in SanitàIl valore delle competenze e il confronto delle esperienze

Autori del volume:

• Maria Triassi• Patrizia Cuccaro• Alessandra Dionisio

Coordinatori del progetto editoriale:(in ordine alfabetico)

• Rossella Alfano• Patrizia Cuccaro• Alessandra Dionisio

Curatori editoriali:(in ordine alfabetico)

• Eugenio Maria Covelli• Grazia Formisano• Vincenzo Giordano• Laura Leoncini• Anna Russo

Revisori editoriali:

• Sabrina CoppolaMedico in Formazione Specialistica in Igiene e Medicina PreventivaUniversità degli Studi di Napoli Federico II

• Carmine PaoloMedico in Formazione Specialistica in Igiene e Medicina PreventivaUniversità degli Studi di Napoli Federico II

• Michela PierantoniMedico in Formazione Specialistica in Igiene e Medicina PreventivaUniversità degli Studi di Napoli Federico II

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• Silvia ScaramuzzaMedico in Formazione Specialistica in Igiene e Medicina PreventivaUniversità degli Studi di Napoli Federico II

• Edoardo TartagliaMedico in Formazione Specialistica in Igiene e Medicina PreventivaUniversità degli Studi di Napoli Federico II

• Giovanna TremiterraMedico in Formazione Specialistica in Igiene e Medicina PreventivaUniversità degli Studi di Napoli Federico II

• Dario TurcoMedico in Formazione Specialistica in Igiene e Medicina PreventivaUniversità degli Studi di Napoli Federico II

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Autori dei contributi editoriali(in ordine di presentazione)

Maria TriassiDirettore Dipartimento Sanità PubblicaProfessore Ordinario di IgieneUniversità degli Studi di Napoli Federico II

Patrizia CuccaroDirigente Medico Direzione Aziendale AOU Federico II di NapoliResponsabile UOS Ricerca e Sviluppo AOU Federico II di NapoliPhD Economia e Management delle Aziende e delle Organizzazioni Sanitarie

Alessandra DionisioResponsabile P. O. Comunicazione, Urp e Ufficio stampa Azienda Ospedaliera Universitaria Federico II PHD Scienze della Comunicazione

Vincenzo GiordanoResponsabile UOSD Pianificazione Ospedaliera Settore SDO/DRG, ASL Napoli 1 Centro

Eugenio CovelliDirigente Medico AO Sant’Anna e San Sebastiano di Caserta

Grazia FormisanoDirigente medico, ASL Napoli 3 Sud

Laura LeonciniDirettore Sanitario del Presidio Ospedaliero di Marcianise

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Autori delle tesi-progetto della XV edizionedel Master di II livello in Management Sanitario

(in ordine di presentazione)

Pasqualino De MarinisDirettore dell’Unità Operativa Complessa di Neurochirurgia,AORN “Sant’Anna e San Sebastiano” di Caserta

Maria Valeria Di MartinoDirettore dei Servizi Integrati delle Professioni Sanitarie,AO dei Colli di Napoli

Pasquale GiuglianoDirigente Medico presso l’Unità Operativa Complessa di Medicina Legale, AORN “Sant’Anna e San Sebastiano” di Caserta

Domenico NataleDirigente Medico presso l’Unità Operativa Semplice di Terapia sub-intensiva in Medicina d’Urgenza, AORN “Sant’Anna e San Sebastiano” di Caserta

Marciano SchettinoDirigente Responsabile presso l’Unità Operativa Semplice di Diabetologia,AORN “Sant’Anna e San Sebastiano” di Caserta

Gina VarricchioDirettore p.t. dell’Unità Operativa Complessa di Geriatria, AORN “Sant’Anna e San Sebastiano” di Caserta

Franca AvinoDirigente Medico presso l'UOC Chirurgia Senologica, Istituto Tumori Napoli

Nicola CapuanoDirettore dell'UOC di Ortopedia e Traumatologia,Ospedale Buon Consiglio Fatebenefratelli di Napoli

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Maria Giuliana Del PianoDirigente Sanitario di I livello presso il Dipartimento di Prevenzione, ASL Napoli 3 Sud

Anna Italia PisacretaDirigente Responsabile presso l’UOC Medicina Interna,PO A. Maresca di Torre del Greco dell’ASL Napoli 3 Sud

Roberto SopranoDirigente presso l’UOC Segreteria Generale,AORN A. Cardarelli

Francesco Paolo RuoccoDirigente Medico presso la UOC Risk Management,ASL Napoli 3 Sud

Bruno RussoDirigente Medico presso la UOC di Ortopedia e Traumatologia,Ospedale del Mare dell’ASL Napoli 1 Centro

Emilia AscoliDirigente Medico di Psichiatria presso l'UOSM 24 e 31 /73 – DSM,ASL Napoli 1 Centro

Virgilio BarbatiDirettore del Personale e degli Affari Generali di Soresa SPA, Responsabile per i Rapporti Sindacali, Responsabile del Sistema di Gestione della Qualità (RGQ),Responsabile per la Prevenzione della Corruzione e Responsabile del ProgrammaTriennale per la Trasparenza (RPCT)

Marcello BarillaroDottore in Tecniche Audiometriche presso l'UOC di ORL,Azienda Ospedaliera dei Colli Ospedale Monaldi

Mariarosaria BasileDirettore dell'UOC e RSPP Aziendale,ASL Napoli 2 Nord

Gennaro FerrignoFunzionario presso la Direzione Amministrativa Soresa SPA

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Giovanni PorcelliAmministratore Unico di ARPAC Multiservizi SRL

Romolo VillaniDirettore dell'UOC Terapia Intensiva Grandi Ustionati, Centro Antiveleni,Attività anestesiologiche in emergenza, AORN A. Cardarelli Napoli

Maria Grazia BarberioDirigente Avvocato presso l'UOC Affari Legali,AORN A. Cardarelli di Napoli

Antonella CristofaniniSpecialista Ambulatoriale presso il Dipartimento di Prevenzione, ASL Napoli 2 Nord

Concetta Del PianoDirigente Medico di I livello presso la UOSD di Nutrizione Clinica Area Nolana, Ospedale di Nola

Danilo RoccoPhD, MD presso l'UOC Pneumologia ad Indirizzo Oncologico, Azienda Ospedaliera dei Colli Monaldi, Napoli

Giuseppe RotaDirigente Medico presso l'UOC di Ginecologia ed Ostetricia,PO Frattamaggiore, ASL Napoli 2 Nord

Paride De RosaDirettore dell'UOC Nefrologia e Dialisi,AOU San Giovanni di Dio e Ruggi D’Aragona

Crescenzo De StasioDirettore dell'Unità di Business Centro Sud Siram SPA

Milena MasoneResponsabile dell'UOC Medicina Nucleare,Ospedale del Mare ASL Napoli 1 Centro

Carlo MolinoDirettore f.f. dell'UOC Chirurgia Generale,AORN Cardarelli

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Nicola OrabonaDirettore dell'UOC Ortopedia,Ospedale del Mare ASL Napoli 1 Centro

Achille PellegrinoDirettore dell'UOC di Orto-Traumatologia,PO “San Giuseppe Moscati” di Aversa ASL Caserta

Francesco PennacchioDirettore Sanitario della Clinica Sanatrix SPA

Ruggero SaponaraDirigente Medico presso l'UOC di Senologia Chirurgica,INT – IRCSS ‟Fondazione G. Pascale”

Alfredo VitielloDottore Commercialista

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IL MANAGEMENT IN SANITÀ

Il valore delle competenze e ilconfronto delle esperienzeConversazioni di Management Sanitario

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Il Management in SanitàIl valore delle competenze e il confronto delle esperienze

INTRODUZIONE

a cura diMaria Triassi, Patrizia Cuccaro, Alessandra Dionisio

È giunto alla XVII edizione il Master di II livello in Management Sanitario. Un traguardo importante, un segno di continuità e innovazione di un percorso forma-tivo che negli anni si è contraddistinto come punto di riferimento culturale per la formazione manageriale dei professionisti della salute.Insieme al Master, ogni anno, si evolve anche il volume ad esso connesso che quest’anno raccoglie le tesi progetto dei discenti della XV edizione. Ogni anno viene chiesto agli iscritti al Master di sviluppare delle progettualità che abbiano il connotato dell’esportabilità, vale a dire che siano di spunto e stimolo per altri colleghi che ne possano rintracciare elementi replicabili ed applicabili nei propri contesti di riferimenti.Ed ogni anno, a fare da cornice alle preziose esperienze dei discenti, l’approfon-dimento di una tematica di attualità, uno stato dell’arte delle molteplici discipline che contraddistinguono l’universo salute, o delle scommesse di esplorazione tec-nico-scientifica che aiutano anche a lasciare il porto sicuro delle “certezze” per indagare ambiti solo apparentemente estranei al management sanitario ma che ad esso ritornano in una proficua oscillazione tra il saper fare e il saper essere.Il Master in Management Sanitario ha, quindi, l’obiettivo di fornire ai profes-sionisti della salute una cassetta degli attrezzi per analizzare, comprendere ed intervenire sulle dinamiche che governano i sistemi sanitari, per loro natura com-plessi, ed il volume, che ogni anno conclude un percorso e ne augura un altro, si posizione quale ponte tra i professionisti e il costante e repentino cambiamento dei panorami di riferimento.L’approccio multidisciplinare resta negli anni una scelta consapevole, consolidata e vincente dell’iter formativo e del percorso editoriale.Anche quest’anno, come ormai da tradizione, il volume vive in una duplice ver-sione. Le tesi progetto sono infatti, raccolte, in versione sintetica, nel volume cartaceo, mentre la loro versione integrale, è confezionata in un e-book, per con-sentire la diffusione e la condivisione di tutte le esperienze manageriali. Quest’anno il volume ‹Il Management in Sanità› è dedicato al valore delle com-

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petenze. Attraverso conversazioni tra esperti, strutturate in interviste tra profes-sionisti del settore, sono stati approfonditi i principali argomenti della governance sanitaria. La scelta di individuare dei professionisti esperti nel loro ambito che portassero uno spaccato del loro mondo culturale e professionale, in chiave di innovazione, esplorazione e ricerca è stata determinata dalla necessità di ricorrere, recuperare e valorizzare le competenze per cogliere gli indirizzi della contemporaneità. Durante i lavori progettuali di questo volume, il gruppo di curatori editoriali ha così sintetizzato il percorso del testo: “esperti intervistano esperti per essere letti da esperti...”. Un gioco di parole solo apparente che cela la profonda volontà di riconoscere i risultati accademici, i successi professionali quali elementi di valo-re, che necessitano di essere riscoperti, portati nuovamente alla luce, soprattutto a vantaggio dei giovani in formazione a cui questo volume è dedicato.Competenze ed esperienze che necessitano di essere condivise. La condivisione, termine oggi più che mai abusato, vuole altresì evocare non un meccanismo di vetrinizzazione ma di interiorizzazione. Condividere l’esperienza per accrescere il saper essere e il saper fare, un binomio irrinunciabile per il recupero del valore della competenza. Solo così è possibile migliorare la qualità dell’assistenza, at-traverso un processo di confronto e riconoscimento della scienza, che preservi un approccio antropologico.Alla scienza serve il dialogo, ma un dialogo di qualità. E questo è possibile se si ha la capacità di alimentare delle dinamiche trasparenti in cui il valore delle competenze rappresenti il messaggio da condividere nella relazione. Riscopria-mo, quindi, in questa quindicesima esperienza editoriale, la curiosità come vola-no per la conoscenza, essere curiosi e interessati è la condizione necessaria per l’evoluzione del sapere. Apriamo le finestre, da qui l’immagine di copertina, per guardare fuori senza paura, sforzandoci di ricordare che alla base di una relazione e di ogni processo di ascolto, c’è il rispetto, reciproco. Nelle conversazioni che seguono, i lettori potranno leggere delle innovazioni e delle esperienze nelle consuete aree di interesse del management sanitario e, quindi, del Master e del volume che, tradizionalmente, lo sigilla, secondo una prospettiva inusuale, di volta in volta spostata da un angolo di osservazione di-verso. Ne è un esempio, nell’area tematica dell’Organizzazione e gestione delle struttu-re sanitarie, la conversazione tra il Presidente dell’Associazione “Sorridi Konou Konou Africa ONLUS”, già Direttore del Dipartimento di Chirurgia e Trapianti dell’AOU Federico II di Napoli, e il Direttore dell’Ospedale La Croix di Zinvié, nell’Africa occidentale. La sfida è quella di osservare i servizi assistenziali da una prospettiva completamente diversa da quella a cui siamo abituati e provare a percorrere l’ideale cammino di un Paese che prova a strutturare il proprio Sistema Sanitario. Al contrario, nell’area tematica del Management della prevenzione, dell’inte-grazione socio-sanitaria e della medicina territoriale, si confrontano il dirigente

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dell’UOD di “Health’s Innovation” della Regione Campania e un esperto di sanità pubblica internazionale, presidente della WHO Global Alliance contro le malattie croniche respiratorie (GARD), aprendo al lettore uno spaccato sulle sfide priorita-rie dei sistemi sanitari europei e sull’approccio innovativo alla fornitura di servizi socio sanitari come chiave di sostenibilità a lungo termine. Nell’area del Governo Clinico e Risk Management, si potranno ascoltare i dialo-ghi tra il coordinatore e un componente del Centro Regionale Rischio Clinico del Lazio, stimolati dal referente aziendale del Rischio Clinico dell’AOU Federico II che accendono una riflessione quanto mai attuale sull’apparente conflitto tra approccio meccanicistico e approccio sistemico alla gestione del rischio e sulla necessità di “sburocratizzazione” della patient safety. La contraddizione si risolve e si compone, nel corso della conversazione, grazie ad una metafora dal forte impatto immaginifico: l’acquedotto romano, che finalmente identifica la visio-ne dell’organizzazione in un “sistema aperto con un orizzonte continuamente in movimento”, ridefinendo il clinical risk management come fattore di promozione della resilienza organizzativa.Ancora, nell’area delle Procedure gestionali innovative: HTA, Telemedicina, qua-lity assessment, ci si interroga su Leadership e cambiamento dei servizi sanitari nei contesti a risorse limitate; a dialogare è un professore di Ingegneria Biomedi-ca italiano, con cattedra all’Università di Warwick e lunga esperienza di HTA con il suo omologo balcano, Presidente della Bosnian Herzegovinian Society of BME (Biomedical Engineering), e con il Minister of Science of Montenegro and CERN Scholar, che sta portando avanti una serrata discussione tra 10 paesi del Sud-Est Europeo e le Istituzioni Europee centrali per costruire una facility su larga scala per la Hadron Therapy (i.e., Terapia ad Emissione Positiva, PET, con ioni pesan-ti), che potrebbe servire la regione del Sud-Est Europeo. Infine, nell’area della Comunicazione organizzativa sanitaria, project-manage-ment e gestione dei gruppi di lavoro, il responsabile della comunicazione dell’A-OU Federico II di Napoli conversa con il Presidente dell’Associazione Nazionale per la nuova comunicazione PA Social, indagando le nuove tendenze della co-municazione pubblica che affronta la sfida dei social, tra necessità di relazione con i cittadini, definizione dei profili professionali e problematiche connesse alla gestione della privacy, senza dimenticare il punto di vista internazionale sulla salute pubblica.

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L’organizzazione dei servizi assistenziali dal punto di vista di un Paese in via di sviluppo: approcci di

management alternativi

Il prof. Enrico di Salvo (E.d.S.), Presidente dell’Associazione “Sorridi Konou Konou Africa ONLUS”, intervista Père Marius YABI (P.M.Y.), Specialista in Chirurgia, Direttore dell’Ospedale La Croix di Zinvié..

E.d.S.: Avendo tu studiato e lavorato in Italia e dirigendo un Ospedale in Africa Occidentale, come giudichi il sistema sanitario pubblico del tuo Paese?P.M.Y.: La organizzazione sanitaria del Paese risente gravemente della sua povertà ed è in lento sviluppo. Parliamo di uno dei Paesi più poveri del pianeta con un numero di medici assolutamente risibile rispetto alle reali esigenze. La maggioranza vive con meno di due euro al giorno per tutta la famiglia. La struttura base è il dispensario:gestito da infermieri,erogano farmaci ed in genere assistenza primaria alla popolazione. Un livello superiore è quello dei Centri di Sanità,numericamente ancora troppo pochi, diretti da un medico. Vi sono poi gli Ospedali: un primo livello è quello degli ospedali di zona,un secondo è quello degli ospedali dipartimentali,più grandi,dove possono essere presenti alcune specialità. Al culmine della piramide organizzativa vi è il Centro Nazionale Ospedaliero Universitario della capitale. I Centri privati o confessionali si inseriscono a vari livelli e assicurano in realtà oltre la metà delle prestazioni.

E.d.S.: Ritieni che gli Ospedali religiosi rappresentino un modello al quale la sanità pubblica dovrebbe guardare?P.M.Y.: La risposta è affermativa al 100% anche e soprattutto considerata la situazione socio economica. Gli Ospedali religiosi ricevono contribuiti pubblici veramente minimi eppure riescono a gravare il paziente di oneri economici che sono veramente di molto inferiori a quelli delle strutture pubbliche. Vi è grande disponibilità ad accogliere i più bisognosi e, laddove è evidente che si tratta di persone indigenti, si applica una tariffa quasi simbolica o addirittura si rinuncia al pagamento. Sul piano dell’accoglienza, della prontezza e dell’efficacia nella diagnosi e nella terapia, le strutture religiose ricevono un gradimento maggiore, escluso naturalmente il Centro Nazionale Ospedaliero Universitario.

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Il Management in SanitàIl valore delle competenze e il confronto delle esperienze

E.d.S.: In tutta onestà qual è l’indice di gradimento medio dei pazienti nelle strutture pubbliche, negli ospedali religiosi e nelle strutture private?P.M.Y.: Credo di aver in parte risposto alla domanda precedente e comunque voglio sottolineare che sia negli Ospedali pubblici che nelle strutture private non confessionali, vi è spesso carenza di materiali, lentezza nei tempi, nonché tentativo di “scrocco” soprattutto da parte del personale paramedico.

E.d.S.: Le strutture private sono organizzate ciascuna per suo conto o in rete?P.M.Y.: Alcune strutture private sono di un certo livello ma, ovviamente, sono molto care e spesso del tutto inaccessibili alla gente comune. Esistono associazioni ma soprattutto per poter interagire meglio con lo Stato. Con l’attuale governo i medici sono stati obbligati a scegliere tra la struttura pubblica e quella privata e questo ha costretto le strutture private ad assumere i sanitari in organico il che ha fatto lievitare, ovviamente, i costi.

E.d.S.: Come lo Stato esercita il proprio controllo sulla quantità e qualità delle prestazioni delle diverse strutture? Ritieni che sia un modello positivo l’approvvigionamento dei farmaci attraverso una centrale di acquisto?P.M.Y.: Il controllo dello Stato si avvale di documenti statistici che tutte le strutture sono obbligate ad elaborare a ad inviare all’Autorità preposta. Per quanto riguarda la qualità delle cure entrerà in vigore a breve un numero verde dove tutti i cittadini potranno far menzione di malversazioni o inadeguatezze nella diagnosi o nella terapia di cui dovessero essere vittime.L’idea di una centrale di approvvigionamento di farmaci è sicuramente buona e la CAME (Centrale di acquisto di farmaci essenziali) è finalizzata a monitorare e programmare la spesa sanitaria ma anche a combattere il fenomeno dei falsi farmaci che rappresenta tuttora un grave problema soprattutto in un Paese dove è ancora attiva la medicina indigenista. Purtroppo sul piano pratico si assiste spesso ad inaccettabili interruzioni del rifornimento che creano gravi problemi agli operatori e riduzione delle cure.

E.d.S.: Qual è il salario medio di un medico e quello di un infermiere?P.M.Y.: Varia molto ed è in funzione del tipo di struttura, dell’anzianità dell’operatore e dalla specialità. Diciamo in sintesi che un medico può guadagnare dai 400 ai 1200€ al mese mentre la remunerazione di un infermiere si attesta tra i 75 ed i 300€.

E.d.S.: Ritieni che sarebbe importante che le Università incrementassero le scuole di specializzazione nelle branche mediche e chirurgiche? Ed in quali prioritariamente?P.M.Y.: La cura ottimale dei propri cittadini rappresenta un indice di sviluppo ma anche la possibilità di risparmi e di investimenti più corretti. Per ora purtroppo

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la diffusione di scuole di specializzazione di primaria importanza quali quelle delle discipline chirurgiche, della pediatria, dell’infettivologia, dell’anatomia patologica, rappresenta ancora un miraggio. Non vi è dubbio che una politica di sviluppo che persegua il bene del popolo deve necessariamente attrezzarsi in questo senso e, ritengo, anche in tempi rapidi. Certamente avere più specialisti competenti porterebbe anche alla possibilità di coinvolgere gli stessi operatori nella programmazione degli acquisti delle strumentazioni ed anche dei farmaci e presidi. Noi siamo un Paese che da tempo, fortunatamente, non vive il dramma della guerra e quindi siamo nelle condizioni di lavorare affinché si possa entrare davvero in un tempo di medicina moderna. Confidiamo nell’aiuto della Provvidenza affinché illumini i governanti e, naturalmente, contiamo che l’opera di tutoraggio, di sostegno e di affiancamento di Paesi che sono più avanti di noi possa continuare.

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M.I.: Buongiorno Jean e grazie per il tuo tempo. Inizierei affermando che la salute è la più grande ricchezza. Visto che sei un esperto mondiale di salute pubblica: quali sono le maggiori sfide oggi per i nostri sistemi per garantire uno sviluppo sostenibile? J.B.: Le priorità cambiano a seconda se le analizziamo a livello regionale, nazionale e internazionale: la vaccinazione, il tabagismo sono più radicati a livello locale/nazionale, mentre se spostiamo l’analisi a livello europeo, troviamo le raccomandazioni, le quali vengono applicate in modo diverso negli Stati membri. Non dovrebbe essere così: se si prende in considerazione l’inquinamento atmosferico, le stesse raccomandazioni dovrebbero essere applicabili a tutti i paesi dell’UE, ma non lo sono. Per quanto riguarda i diserbanti ad esempio: le raccomandazioni nell’UE sono più deboli a causa degli effetti delle lobby che esercitano la loro influenza. A livello mondiale, esistono grosse differenze nei sistemi sanitari e nelle economie che non consentono l’attuazione degli stessi programmi di salute, perché non possono essere standardizzati con qualsiasi sistema applicabile a livello nazionale. Inoltre, in molti paesi in via di sviluppo le industrie del tabacco sono molto forti e interferiscono con le raccomandazioni dell’OMS: non possiamo fare un unico ricettario per tutti i paesi.

M.I.: L’approccio innovativo alla fornitura di servizi socio sanitari è la chiave della sostenibilità a lungo termine. Hai contribuito a progettare e implementare un nuovo approccio ai servizi sanitari per le malattie respiratorie: perché pensi

La nuove sfide per la salute pubblica.Un punto di vista internazionale

Maddalena Illario (M.I.), dirigente dell’UOD 14 - Promozione e potenziamento programmi di “Health’s Innovation” della Direzione Generale per la Tutela della Salute ed il Coordinamento del Sistema Sanitario Regionale della Campania, intervista il prof. Jean Bousquet (J.B.), professore di medicina polmonare all’Università di Montpellier in Francia, direttore del Centro di collaborazione dell’OMS per l’asma e la rinite, a Montpellier, dal 2005 è presidente della WHO Global Alliance contro le malattie croniche respiratorie (GARD) ed è anche co-presidente del Comitato Esecutivo della rete di collaborazione dei Reference Site (RSCN) del partenariato europeo per l’innovazione sull’invecchiamento sano e attivo.

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che sia così importante? J.B.: Il problema è che la maggior parte delle raccomandazioni vengono emesse dalle società scientifiche e applicate dai governi, ma si basano su prove di controllo randomizzate con un’adesione che è molto più alta rispetto alla vita reale. Solo il 5-10% dei pazienti visitati nell’assistenza primaria sarà in grado di partecipare a una sperimentazione clinica. Di questi la percentuale di adesione è minima. L’alta aderenza non avviene mai nella vita reale. Abbiamo bisogno di prove reali e percorsi assistenziali di nuova generazione per imitare il mondo reale e attuare il cambiamento.

M.I.: L’Europa parla di collaborazione e tu sei co-presidente con la Regione Campania, della rete di collaborazione dei Reference Site (RSCN) del partenariato europeo per l’innovazione sull’invecchiamento sano e attivo, che riunisce 74 regioni: qual è il valore aggiunto per l’Europa, gli Stati membri e le regioni?J.B.: L’UE è estremamente frammentata e abbiamo buone idee, ma non sempre si diffondono al di fuori di circoli ristretti. L’RSCN ha la possibilità di disseminare immediatamente le informazioni, questo è estremamente importante per superare le problematiche del lavoro in reti. L’RSCN può aiutare chi ha risorse basse e sta iniziando a raggiungere un livello più alto di attività nell’innovazione dei servizi socio sanitari, accendendo allo stesso tempo un’economia sostenibile basata sulla conoscenza e sull’innovazione. I benefici per un maggiore sviluppo non sono ovvi, ma è chiaro che le buone pratiche delle regioni sono più difficili da applicare da qualche parte in contesti diversi e devono essere supportate da attività orizzontali, professionisti abilitati e cittadini.

M.I.: Pensi che la trasformazione digitale della salute e dell’assistenza avvantaggi i cittadini dell’UE? Come?J.B.: La trasformazione digitale sta già avvenendo ma ci saranno pro e contro. Essa facilita la gestione, così come l’implementazione di percorsi assistenziali integrati, ma solleva questioni sulla privacy, che influenzano il modo in cui diffondiamo le informazioni nelle reti. Sarà un successo, sebbene può essere dannoso, ad esempio per le persone anziane, a meno che non ci sia uno sforzo, per aumentare la salute e l’alfabetizzazione informatica, lo stesso discorso vale per i professionisti più anziani alle prese con la gestione di nuove tecnologie sul posto di lavoro. La formazione deve andare oltre i limiti dei settori pubblici, ad esempio anche per i professionisti privati, e inoltre abbiamo bisogno di soluzioni ICT semplici e intuitive. I sistemi IT vecchi e obsoleti non supportano una distribuzione più efficace dei servizi sanitari, ma rappresentano un onere. È anche importante evitare la de-umanizzazione: verranno create nuove competenze e nuovi posti di lavoro per affrontare parte dei problemi.

M.I.: Sentiamo parlare di Silver Economy e salute come un settore non solo per spendere risorse, ma anche come settore in cui investire: ci sono nuove aree di

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sviluppo del business nell’invecchiamento attivo e in buona salute? J.B.: Di sicuro ci sono nuove nicchie di mercato, come quella del turismo della salute. Le innovazioni applicate alla salute possono essere dirompenti in un modo non prevedibile: nuove soluzioni a problemi noti non sono l’approccio migliore. Le soluzioni che stiamo vivendo oggi sono moderatamente innovative. Le innovazioni deriveranno da soluzioni sconosciute: innovazioni significative richiedono investimenti forti nella ricerca, anche parallelamente alla ricerca “me too”. Un esempio di questa modalità di ricerca sono i farmaci per i recettori adrenergici B2. Tali recettori sono il miglioramento della scoperta precedente: questo è un prodotto “me too”.

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P.C.: quando si parla di sistemi sanitari si utilizza spesso l’aggettivo complesso che, talvolta, viene considerato impropriamente come sinonimo di complicato. Non si tratta di un errore di poco conto, visto che la soluzione dei problemi complessi, caratterizzati da elementi di indeterminismo e non-linearità, rappresenta una sfida per il management, mentre i problemi “complicati” possono essere affrontati con un approccio riduzionistico e, almeno in parte, meccanicistico, che spesso si risolve nella produzione di procedure. Nella realtà nessuno dei due modelli sembra essere particolarmente efficace: è possibile conciliare l’apparente aporia fra complessità e determinismo, evitando di arrendersi, da un lato, alla presupposta ingovernabilità della complessità e, dall’altro, alla tentazione di dominare e ingessare tale complessità in un sistema di rigidi documenti procedurali? Ne parliamo con il dott. Giuseppe Sabatelli e con il dott. Maurizio Musolino, rispettivamente coordinatore e componente del Centro Regionale Rischio Clinico del Lazio.G.S.: Le organizzazioni sanitarie sono sistemi più che complessi, visto che sono il risultato di numerose complessità che si declinano e vivono al loro interno. Basti pensare ai milioni di utenti che interpretano in forma individuale i concetti di salute e di malattia, alle migliaia di operatori sanitari che traducono e personalizzano il proprio paradigma professionale nella prassi quotidiana e alle migliaia di strutture sanitarie che articolano le proprie organizzazioni sotto l’effetto delle esigenze, e talvolta delle turbolenze, politiche, sociali, economiche e finanziarie.È quindi del tutto evidente che i processi clinico-assistenziali si svolgono in condizioni di non-linearità, nelle quali la prevedibilità degli esiti attesi è ipotizzabile solo su base probabilistica, una volta che siano date alcune premesse strutturali e garantiti alcuni indicatori di processo. In un contesto di questo tipo

Clinical Risk Management e complessità dei sistemi di cura. L’acquedotto romano come paradigma di gestione nella Regione Lazio

Patrizia Cuccaro (P.C.), referente aziendale per il rischio clinico dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Federico II di Napoli conversa con Giuseppe Sabatelli (G.S.) e Maurizio Musolino (M.M.), rispettivamente coordinatore e componente del Centro Regionale Rischio Clinico del Lazio.

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è cioè statisticamente probabile l’esito atteso: ma statisticamente probabile non significa deterministicamente certo.All’interno di questo sistema ipercomplesso, è pertanto impossibile stabilire una relazione di prevedibilità tra le variabili in ingresso e quelle in uscita. È infatti possibile che piccole variazioni in ingresso portino ad ampie, e spesso non desiderabili, deviazioni in uscita rispetto al valore atteso; ma è anche possibile, e questo è quanto, fortunatamente, avviene molto spesso nella realtà, che a fronte di notevoli variazioni dei parametri in entrata, l’affidabilità e la resilienza dell’organizzazione (e degli operatori), dimensioni difficilmente quantificabili, consenta di ottenere esiti comunque accettabili.Affermare l’ipercomplessità delle organizzazioni sanitarie non significa, però, che siamo di fronte a sistemi anarchici e sostanzialmente ingovernabili. Occorre infatti fare una distinzione tra l’impossibilità di prevedere con esattezza lo stato futuro del sistema e la sua stabilità strutturale: in altri termini si può affermare che i sistemi complessi siano imprevedibili nel loro stato, ma determinabili nella loro struttura. Di fronte a organizzazioni di questo tipo l’approccio classico di matrice riduzionistica, comprensibilmente tranquillizzante e attrattivo, ha creato l’illusione che la definizione di un capillare sistema di procedure con cui normare ogni azione del processo clinico assistenziale bastasse a risolvere ogni problema, anche nell’ambito della qualità e della sicurezza. Ovviamente non è stato così.Avendo la necessità di elaborare documenti che definissero la policy regionale in tema di gestione del rischio clinico, ci siamo posti il problema di integrare lo strumento procedurale, nella sua funzione di supporto decisionale, con la complessità dei processi clinico-assistenziali. Siamo così arrivati ad elaborare il modello dell’acquedotto romano che, a nostro avviso, consente di definire, all’interno di un processo clinico-assistenziale, pochi e qualificanti requisiti di sicurezza di cui dare evidenza formale, senza in alcun modo limitare le dimensioni della complessità che stanno all’interno di quel processo.

P.C.: Il modello dell’acquedotto romano mi sembra individuare un vero e proprio strumento operativo che punta a definire i punti gestibili con logiche di tipo riduzionistico e aventi carattere di cogenza ai fini della tenuta del processo, senza determinare ogni singolo passo del processo clinico-assistenziale di volta in volta preso in esame: è così?M.M.: Esattamente. Nel nostro approccio il processo clinico-assistenziale viene assimilato a un acquedotto. In entrambi i casi, infatti, siamo in presenza di un flusso che presenta un elemento di direzionalità e, quindi, di irreversibilità del percorso. Come l’acquedotto, per assolvere alla propria funzione, ha bisogno di una struttura di sostegno costituita da colonne collegate da archi, anche i processi clinico-assistenziali sono costituiti da colonne, che rappresentano gli elementi di tipo strutturale, tecnologico e procedurale, fra loro collegate da archi che, invece, rappresentano elementi non riducibili all’interno di procedure

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o istruzioni operative. Questi elementi sono: la competenza professionale, la capacità di lavorare in team, la comunicazione interna ed esterna, solo per citarne alcuni. Si tratta di ambiti di autonomia e di responsabilità professionale che non possono essere proceduralizzati. Eventuali problemi di inadeguata competenza da parte di un operatore, ad esempio, non possono essere risolti in alcun modo dallo strumento procedurale, o dagli altri strumenti propri della gestione del rischio clinico, ma semmai con la costruzione di un percorso di accreditamento professionale che deve iniziare prima dell’ingresso nell’organizzazione sanitaria e, soprattutto, continuare durante la carriera lavorativa. Quello che può fare la gestione del rischio clinico è, invece, aumentare la rilevabilità delle azioni non corrette o delle condotte omissive, attraverso la definizione di minimum data set di indicatori all’interno del singolo processo clinico-assistenziale, con l’obiettivo di far sì che il processo di cura porti all’esito probabilisticamente atteso.

P.C.: La conoscenza basata su prove di efficacia supporta solo alcune delle attività clinico-assistenziali. Il modello dell’acquedotto romano può essere di aiuto anche in questo?M.M.: Le evidenze si basano su rigorosi studi di natura statistica e il loro rispetto è condizione necessaria, ma non sempre sufficiente, per una corretta gestione del singolo caso clinico, un ambito in cui l’esperienza, la competenza e l’autonomia professionale costituiscono una condizione fondamentale per un esito di qualità. Anche in questi casi l’applicazione del modello dell’acquedotto romano può essere di aiuto, visto che le “colonne” si limitano a definire una successione di set di indicatori che rimangono collegati da attività che chiamano in causa proprio l’esperienza, la competenza e l’autonomia professionale, che rappresentano gli “archi”. Nella nostra esperienza regionale elaborare documenti di indirizzo che dovranno poi essere implementati a livello locale significa quindi: (1) individuare le fasi essenziali (“colonne”) del processo in esame facendole possibilmente coincidere con snodi decisionali del percorso di cui dare evidenza nella documentazione sanitaria; (2) contestualizzare all’interno delle “colonne” le evidenze più idonee a garantire i requisiti di sicurezza e a definire indicatori di struttura e di processo di cui è fatto obbligo, per i professionisti, dare evidenza documentale.

P.C.: Quali sono i riflessi di questo approccio alla gestione degli eventi avversi?G.S.: Il carattere non deterministico di un sistema complesso, anzi ipercomplesso, ci permette di considerare l’organizzazione come un contesto operativo circoscritto non da un confine esplorabile e raggiungibile, ma da un orizzonte indefinito, aperto e permeabile all’ambiente circostante, che si muove di pari passo con l’evoluzione stessa dell’organizzazione e del contesto in cui essa si situa. All’interno di tale orizzonte, fino a quando gli esiti dei processi clinico-assistenziali rimangono fra quelli attesi, le dinamiche clinico assistenziali si svolgono con le caratteristiche tipiche dei sistemi complessi: non-determinismo,

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ricorsività, non-linearità ecc.Quando si verifica un evento avverso, invece, assistiamo a una sorta di decoerenza del sistema, il cui effetto saliente consiste nella delimitazione di quel singolo evento all’interno di un preciso confine spazio-temporale che costringe l’organizzazione a chiedersi, ex post: cosa, quando, dove e perché è successo. Potremmo metaforicamente affermare che l’evento avverso costituisca il fattore di cristallizzazione delle dimensioni organizzative di un fenomeno che, a quel punto, non è più probabilistico, bensì determinato e circoscritto nel tempo e nello spazio.L’applicazione del modello dell’acquedotto, più che sulla fase di analisi reattiva, che continuerà a utilizzare strumenti come la Root Cause Analysis o l’Audit GRC, consente all’organizzazione di concentrarsi sulla definizione e/o sulla corretta manutenzione delle “colonne”. In altri termini, la visione dell’organizzazione come un sistema aperto con un orizzonte continuamente in movimento, ridefinisce il clinical risk management come fattore di promozione della resilienza organizzativa.

NB: È possibile osservare l’applicazione del modello dell’acquedotto romano nei documenti di indirizzo pubblicati all’indirizzo:http://www.regione.lazio.it/rl_sanita/?vw=contenutiDettaglio&id=311

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Leadership, change and healthcare services in limited resource settings

Dr Leandro Pecchia (L.P.), University of Warwick, Elected President European Alliance of Medical Biomedical Engineering and Science (EAMBES), Secretary General of IUPESM (International Union of Physics and Engineering Sciences in Medicine). Dr Sanja Damjanovic (S.D.), Minister of Science of Montenegro and CERN Scholar. Dr Almir Badnjevic (A.B.), Associate Professor of Biomedical Engineering (BME) and President of the Bosnian Herzegovinian Society of BME (Biomedical Engineering). L’invito a scrivere questo capitolo è arrivato mentre Almir ed io eravamo in viaggio da Sarajevo (Bosnia-Herzegovina) verso Podgorica (Montenegro) per incontrare Sanja. Lei sta portando avanti una serrata discussione tra 10 paesi del Sud-Est Europeo e le Istituzioni Europee centrali per costruire una facility su larga scala per la Hadron Therapy (i.e., Terapia ad Emissione Positiva, PET, con ioni pesanti), che potrebbe servire la regione del Sud-Est Europeo. Almir sta supportando questa iniziativa, essendo il più esperto Ingegnere Biomedico (BME) nella regione balcanica, mentre io sono stato invitato come esperto di Health Technology Assessment (HTA) e Segretario generale dell’IUPESM, l’organizzazione che mette insieme la Società Scientifiche degli Ingegneria Biomedici (i.e., IFMBE) e dei Fisici Medici (i.e., IOMP), che sono due ONG in relazioni ufficiale con l’Organizzazione Mondiale della Sanita’ (OMS), l’UNESCO e l’Agenzia per l’Energia Atomica delle Nazioni Unite. Durante questo viaggio, sono emerse diverse riflessioni su leadership, cambiamento ed il futuro dei servizi sanitari in condizioni di risorse limitate. Ritengo che queste riflessioni potrebbero essere rilevanti per un pubblico più ampio, al di là dello scopo specifico della missione. Dunque questo capitolo riporta frammenti di queste conversazioni, con il permesso degli amici Sanja ed Almir.x

S.D.: [dopo aver finito di presentare il progetto ad Almir e me] Ho discusso questo progetto alla Commissione Europea ed abbiamo ottenuto supporto per avviare la fase di progettazione di dettaglio, per facilitare le riunioni e la creazione di un comitato direttivo internazionale per finalizzare i piani. Otto paesi della regione, non solo balcanica, hanno firmato la dichiarazione di intenti e sono molto favorevoli. Per quanto riguarda la fase di progettazione, sia il CERN (per la progettazione dell’acceleratore) che l’istituto GSI di Darmstadt (per la parte di ricerca biomedica) hanno già accettato di ospitare la sede per questa fase del progetto fino a quando il sito della struttura non sarà identificato. Attualmente stiamo ricevendo un sostegno finanziario per capacity building.

L.P.: Che dire, un progetto entusiasmante. Chiaramente, dovrei leggere attentamente tutte le relazioni, e non ho ancora avuto modo di farlo. Tuttavia, non ho visto molto sul rapporto costo-efficacia e sulla sostenibilità. Ho l’impressione

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che non sia stato eseguito uno studio di Health Technology Assessment (HTA). Sì, ci sono alcune meta-analisi e studi clinici randomizzati focalizzati su specifici ioni pesanti per tumori specifici, ma dovreste raccogliere prove sufficienti per costruire un modello e dimostrare che, almeno secondo la simulazione, che la nuova tecnologia è economica e sostenibile. Oppure che porti benefici non strettamente clinici che bilancino gli investimenti. Indipendentemente dal fatto che il budget della sanità può essere talvolta scarso, dobbiamo chiaramente visualizzare il fatto che è sempre limitato. Pertanto, se investi 1 euro per l’oncologia, stai prendendo questo budget da altri interventi clinici: chirurgia pediatrica, malattie croniche non trasmissibili, ecc. Pertanto, dovremmo essere in grado di dimostrare che l’investimento di 1 euro in questo progetto genererà per la società un vantaggio maggiore rispetto all’investimento dello stesso euro altrove. Questo è il motivo per cui usiamo scale di salute per scopi generali come il QALY. Chiaramente, possiamo sicuramente provare a quantificare altri benefici non clinici (occupazione, capacity building, spin-off innovative), ma sara’ difficile quantificarli.S.D.: sono d’accordo. Potremmo prendere certamente fare uno studio di HTA con il tuo aiuto. Ho presentato all’OMS il progetto tuttavia, fino ad ora non ho ricevuto alcun segnale del supporto.A.B.: Ma chiaramente una tale struttura non sarebbe vantaggiosa solo per i risultati clinici. Sarebbe anche una struttura di ricerca e potrebbe incorporare un’agenzia balcanica per l’HTA e l’ingegneria clinica. Pertanto, dovremmo eseguire un’analisi come quella che stai suggerendo, ma solo considerando quei costi derivanti dal momento in cui la struttura sarebbe stata utilizzata a fini clinici. Il resto dovrebbe andare sotto il budget della ricerca al di fuori della logica di una mera valutazione economica.

L.P.: non avrei saputo esprimermi meglio e non potrei essere più d’accordo. Non mi sorprende che l’OMS Europa non sia stata immediatamente sostenitrice dell’idea. Sono sicuro che il loro primo pensiero sarà stato che dovreste prima dimostrare che state facendo bene con l’elenco essenziale di dispositivi medici per la gestione del cancro, e poi pensare a tutte le cose più avanzate, soprattutto se esse sono ancora discusse anche in regioni ad alto reddito. Voglio dire, il Regno Unito stava ancora mandando pazienti all’estero per la terapia adronica pochi anni fa. Non fraintendermi, questa non è la mia visione, ma quello che ho imparato lavorando con l’OMS da alcuni anni. Dall’altro lato, dovrebbe essere chiarito che questo investimento è molto più ambizioso di una semplice tecnologia sanitaria. A mio avviso, i paesi in rapido sviluppo (tutti noi siamo ancora sviluppando, ma alcuni molto più velocemente di altri, come il Montenegro oggi) dovrebbero avere una visione molto più ambiziosa per avere successo. Il caso della Lituania è emblematico. Pochi anni fa non aveva un Servizio Sanitario Nazionale, ed oggi ne ha uno tra i più tecnologicamente avanzati al mondo. Ho sostenuto diversi progetti sull’HTA in paesi a reddito più basso, e credo che non possa essere errore peggiore

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che cercare di emulare ciò che è stato fatto nei paesi ad alto reddito. Potete fare molto meglio! Prendi solo consapevolezza gli errori precedenti. Nei Balcani avete conoscenza, un’ottima educazione, la maggior parte delle persone della nostra età ha anche studiato o lavorato all’estero, e tutti siete crescciuti affrontando momenti estremamente difficili. Niente di peggio della guerra. Grazie ad internet, i vostri ingegneri, fisici e tecnici hanno accesso alle stesse conoscenze teoriche dei loro omologhi nei paesi ad alto reddito e, inoltre, avete un enorme conoscenza pragmatica, poiché avete dovuto ricostruire la regione dopo anni di guerra. Siete preparati e resilienti come nessun altro in Europa oggi. Cos’altro vi serve?S.D.: Abbiamo questo atteggiamento mentale nella Regione per il quale credere che gli “altri” siano migliori. Quando si tratta di scienza e medicina, gli altri provengono da Stati Uniti, Regno Unito, Germania, Olanda ecc. E pure, quando ci trasferiamo li, dimostriamo il nostro valore, dimostrando che non abbiamo nulla da invidiare all’”altro” e in poco tempo, date le giuste condizioni ambientali, otteniamo ottimi risultati.

L.P.: credi davvero che questo atteggiamento sia solo un problema dei Balcani? L’ho visto in ogni paese che ho visitato in Africa, nella stragrande maggioranza dei paesi dell’Europa meridionale. Questo atteggiamento è comune nelle ex colonie e nei paesi che hanno perso la seconda guerra mondiale. Siamo cresciuti credendo che non possiamo esprimerci allo stesso livello. Siamo cresciuti con l’atteggiamento di coloro che credono che il mondo “reale” sia altrove, mentre quello in cui viviamo è solo una cattiva copia. Rotta. Un amico e grande scienziato ora in Canada chiama questa attitudine colonizzazione mentale. Anche se il colonialismo è finito, non lo è nelle nostre menti. Poi l’adozione dell’inglese come lingua ufficiale per la scienza e la medicina ha cristallizzato questo divario. In effetti, in questo sentimento c’è un puch e un pull : noi continuiamo ad avere un atteggiamento “perdente”, mentre gli “altri” fanno ben poco per aiutarci a superare questa mentalità. Perché dovrebbero? In effetti, quando ho lasciato l’Italia, mi ci sono voluti 4 anni per emanciparmi da questa mentalità. Una volta fatto, capisci che puoi fare qualsiasi cosa. Venire da un paese ‘in via di sviluppo’ e capire che è possibile ottenere grandi risultati è come avere dei superpoteri!A.B.: Guarda, siamo sopravvissuti ad una guerra. Se siamo riusciti a farlo, possiamo ottenere qualsiasi cosa. Questo sta cominciando a essere un sentimento comune nei Balcani. Sfortunatamente, negli ultimi 20 anni siamo stati dipendenti da aiuti internazionali. Un’intera generazione è cresciuta credendo che questa è una condizione naturale e poca motivazione per fare in maniera indipendente. Abbiamo la stessa classe politica, non solo in Parlamento, da 25 anni. La gente vede questo come un proxy per la continuità. Le giovani generazioni chiedono come sia possibile che questa classe possa essere la soluzione ai nostri problemi se li ha creati, o perlomeno ha coesistito con essi senza molte difficoltà apparenti. La discontinuità è un bisogno, ma senza populismo. Non è un problema generazionale. Se questa classe ha fallito, possono comunque contribuire a

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farsi da parte e creare l’ambiente affinché i nuovi leader possano fiorire e prosperare. Le lotte generazionali terrebbero le cose solo ulteriormente immobili e porterebbero al populismo. Tuttavia, i nuovi leader hanno bisogno di grande resilienza, conoscenza e profonda comprensione dei problemi locali e della loro storia. Altrimenti, il un cambiamento vero e sostenibile non è possibile.S.D.: Quando sono stata nominato Ministro, ero lontana da oltre 20 anni. Prima il dottorato in Germania, poi il lavoro al CERN. Quando ho iniziato, non avevo punti di riferimento. Mi ci è voluto un anno solo per capire il contesto. Sono tornata al CERN, mi sono confrontata con tutti i miei migliori amici e mentori per chiedere consigli. Tutti mi hanno sconsigliato di non accettare. Era impossibile fare bene, secondo loro. Pertanto, ho accettato. La prima cosa che ho fatto, è stato iniziare a pianificare questo progetto per la struttura terapeutica di adronica. Credo che questo sia un buon progetto, e ho pensato che questo avrebbe anche aiutato, aprendo la strada ad altri progetti meno ambiziosi di tutti i giorni.

L.P.: Vision? S.D.: Vision.

L.P.: Non potrei essere più d’accordo. Credo che avere una visione chiara ed ambiziosa sia la cosa più importante per un leader che miri a guidare il cambiamento in qualsiasi contesto, ma in particolare in paesi a basso reddito. Puoi acquisire competenze, conoscenze o capacità, ma non puoi prendere in prestito la visione di qualcun altro. Hai una visione, o non puoi guidare il cambiamento. Non importa se realizzi completamente la tua missione, ma avere una visione chiara di ciò che vuoi cambiare, ti aiuta a mettere insieme tutti i pezzi e nella giusta direzione. Se hai una buona visione, trovi budget, competenze, conoscenze e capacità e saprai come cucire tutto insieme. Se non hai una visione, il cambiamento non arriverà mai o non sarà mai stabile e sostenibile. Si disperderà nei mille rivoli dei dettagli o dei compromessi.A.B.: sii più chiaro.

L.P.: Bene, ora sono il Segretario Generale dell’IUPESM e in pochi giorni potrei essere eletto presidente dell’EAMBES (n.d.t., questo dialogo è avvenuto pochi giorni prima dell’elezione), la societa’ Europea di ingegneria biomedica. Ciò è fantastico e mi onora, ma credo di essere pronto per questo, oggi. Il compito più difficile che ho avuto nella mia vita è stato quello di presiedere la Divisione HTA dell’IFMBE. La nomina arrivò senza preavviso. Nel 2013, il professor Nicolas Pallikarakis fu nominato Chair della Divisione, ma dopo circa un anno dovette dimettersi per motivi personali. Pertanto, mi chiamò per dirmi che si sarebbe dimesso e che mi avrebbe proposto come nuovo Chair. Il tono era perentorio. Fu chiaro che non c’erano margini di discussione. La situazione era seria. Io ero congelato. Tipo fight-or flight. Ero anche colpito per la cattive notizie che lo portavano alle dimissioni. La mia risposta uscì dalla mia bocca senza controllo:

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“ok Nicolas, se credi che io possa farlo, accetterò questo incarico. Tuttavia, lo farò a modo mio. Nessun compromesso o influenza esterna. Se diventerò Chair, farò il Chair”. Questo fu l’inizio. Nel 2014, se avessi fatto domanda per una posizione accademica di BME con la tua produzione principale in HTA, saresti stato probabilmente respinto a tavolino, probabilmente nemmeno invitato per il colloquio. Guarda la situazione ora. È chiaro a tutti che l’HTA è un argomento per ingegneri biomedici e che gli ingegneri biomedici hanno il dovere di contribuire all’HTA, in particolare per i dispositivi medici. Quando sono stato nominato Chair dell’IFMBE HTA Division, ho trascorso 2 mesi a leggere, studiare, discutere e confrontarmi. Alla fine avevo strutturato una chiara e ambiziosa visione, una missione e un piano per renderli reali. Tutto molto ambizioso, ma questo era necessario per far emergere e prosperare una nuova generazione di ingegneri biomedici. Guarda la situazione oggi. Riviste di ingegneria biomedica accettano lavori di HTA, conferenze di settore che invitano i relatori a dare keynote su HTA, e tutte le conferenze BME hanno HTA come uno dei temi. In soli 5 anni. Avevamo una visione chiara, un buon piano ed una buona squadra per farlo accadere. Questa era la mia formula. Sanja, qual è la tua formula?S.D.: merito, merito, merito, ed autonomia. Ad esempio, tutti gli schemi per la ricerca che ho introdotto in questi anni, dalle borse di dottorato ai grandi grant, abbiamo revisori internazionali competenti e due fasi: la prima revisione tra pari su carta e, per coloro che raggiungono la soglia minima, anche un colloquio con esperti internazionali. Tutto è in inglese e i tre revisori internazionali vengono assegnati solo in base all’argomento ed alla competenza. Non è che non abbiamo buoni scienziati in Montenegro, anzi. Tuttavia non voglio esporli a pressioni inutili. Durante le call, non voglio incontrare nessuno che sia candidato o potenziale beneficiario. Anche l’autonomia è fondamentale. Il nuovo schema per gli studenti di dottorato viene fornito con un salario equo più un budget indipendente per la ricerca, in modo che gli studenti di dottorato siano indipendenti e possano costruire il proprio progetto, senza dipendere economicamente dai loro mentori. Da quando abbiamo iniziato, tutti gli altri paesi balcanici ci guardano come un esempio. Inoltre, i candidati sono felici. Anche quelli che non hanno ricevuto i fondi richiesti. Recentemente abbiamo invitato tutti i candidati per un pranzo e sono venuti tutti. Il feedback è stato positivo e molti mi hanno detto che il feedback dei revisori è stato molto positivo e costruttivo.

A.B.: gender bias?S.D.: Non lo dire nemmeno ... mi è stato detto ogni sorta di cose: non sono competente, sono troppo competente, sono troppo scienziato, non sono abbastanza scienziato, viaggio troppo, non mi muovo abbastanza, troppo donna, troppo poco donna. Non ho mai capit oquale fosse il termine di paragone...

L.P.: per non parlare dei pregiudizi sull’età, suppongo. In alcune circostanze l’essere giovani viene usato dagli “esperti più anziani” come una diminuenda.

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Troppo giovane per capire, troppo giovane per gestire, troppo giovane per fare bene. Questo mi fa davvero impazzire. Lo stesso se sei “troppo vecchio”. Troppo vecchio per iniziare un dottorato di ricerca, troppo vecchio per iniziare una nuova carriera, troppo vecchio per accettare una nuova sfida. Giudicate le persone per quello che fanno e per quello che sono, non per slogan. Ma suppongo che questi siano gli argomenti facili per i detrattori, quando ad essi non rimangono altri temi. Onestamente, conosco “giovani” che sono molto più “anziani” nel loro modo di fare e di pensare di quanto non siano i loro mentori. Nel Regno Unito, non usiamo il la parola giovane negli schemi di ricerca o nei premi, piuttosto parliamo di “inizio carriera”, indicando coloro che hanno un ruolo da meno di 3, 5 o 7 anni. Puoi essere ad inizio carriera, ma anagraficamente non più giovane. Così come puoi ricoprire un ruolo senior ed essere giovane. Perché dovremmo preoccuparci?

Conclusioni. Questa esperienza e questi dialoghi mi hanno davvero arricchito. In realtà sto finalizzando questo capitolo mentre sto tornando dalla Grecia, dove ho aiutato l’’OMS a sostenere il Ministero della Salute nella creazione dell’agenzia Greca per l’HTA. Ancora una volta, un bisogno di supporto esterno per facilitare il cambiamento, rafforzando la leadership locale. Bello, ma come facilitare il cambiamento e renderlo sostenibile? Leggere questi appunti e tornare indietro dopo un’altra grande esperienza umana e professionale relativa al cambiamento nei paesi cosiddetti “in via di sviluppo”, mi ha ulteriormente guidato nel trarre le conclusioni di questo capitolo. Io uso le virgolette per l’espressione “paesi in via di sviluppo”, poiché questa espressione mi sembra un po’ razzista. Come se esistesse un paese, che non ha bisogno di ulteriore sviluppo. Le recenti circostanze politiche (ad es. Brexit, Trump, populismi in tutta Europa, secessionismi gestiti in modo non professionale, ecc.) suggeriscono che anche i paesi ad alto reddito hanno ancora molto da imparare e necessità di svilupparsi ulteriormente. Forse non esiste una formula per guidare il cambiamento nei paesi in via di sviluppo, ma certamente ci sono molti elementi comuni che vale la pena riassumere. Visione. Senza visione, nessun cambiamento è possibile. “Lancia il cuore oltre l’ostacolo”, come diciamo in Italia. Gli altri muscoli seguiranno, aggiungerei. Senza visione, non ci può essere una leadership credibile e di successo. Una volta che hai una visione chiara, puoi condividerla e trovare persone competenti che possono aiutarti a colmare eventuali gap.Comprendere i diversi punti di vista. Nella mia esperienza, l’inerzia al cambiamento viene spesso da malintesi e sottostime. Senza comprendere la “vecchia” visione delle cose, non sarà mai possibile spiegare l’innovazione e fare salire tutti a bordo. Senza studiare il passato, non è possibile inventare il futuro. In sanità, come in molti altri campi. Contestualizzare. I problemi devono essere compresi nel contesto. Idem per le idee innovative. Copiare ciò che e’ riuscito bene altrove, non è una strategia vincente. Ci sono aspetti dell’innovazione che sono adatti per la ricerca e altri

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che sono maturi per il dominio clinico. Fallire nella contestualizzazione significa fallire nei progetti perché’ non si scelgono neanche gli interlocutori giusti.Colonizzazione mentale. C’è un atteggiamento comune, in molti paesi del sud Europa, del grande sud, e nelle ex colonie. È l’atteggiamento nel pensare che le grandi cose debbano necessariamente farsi altrove. Che l’innovazione deve venire dal nord o dagli Stati Uniti. Mentre manteniamo questa mentalità, la divisione culturale continua a crescere. Poiché’ viviamo nell’era della conoscenza, questo diventa un problema economico e sociale. Avendo avuto l’onore e l’opportunità di insegnare in 5 Continenti, posso confermare che questo fenomeno è globale. Prima emanciperemo noi stessi da questa mentalità, prima inizieremo a fare meglio. C’è bisogno di un patto tra le diverse generazioni per facilitare il cambiamento.Merito. Nessun vero cambiamento è possibile senza meritocrazia. La chiave del successo per una crescita e un cambiamento sostenibili è creare un ambiente in cui le persone motivate possano prosperare e affermarsi. I giovani devono osare educatamente. I senior, devono fare un passo di lato e capire che se uno è parte del problema, difficilmente sarà parte della soluzione. Investire nei nuovi leader è veramente necessario, per continuare ad avere un ruolo. Senza avare paura del cambiamento. Tanto arriva comunque.Pregiudizi di genere? Ci sono tutti i tipi di pregiudizi. La resistenza al cambiamento prende tutte le forme che può, e alle ultime schermaglie sa diventare veramente cattiva. Troppo giovane, vecchio, donna, uomo, scienziato, funzionalmente ignorante, appassionato, disonorato ... la letteratura è piena di stereotipi che possono essere usati dai detrattori per fermare il cambiamento. Ma se lo sai, ne puoi essere immune.

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A.D. Buongiorno Francesco e grazie per aver accolto il nostro invito a discutere di comunicazione della salute. Negli ultimi anni, l’esponenziale aumento dell’uso dei social network ha radicalmente cambiato le nostre modalità di comunicazione e se è vero che i network sociali rappresentano una nuova opportunità per favorire la comunicazione tra strutture sanitarie, cittadini e pazienti, ancora molte sono le criticità…F.D.C. Negli ultimi tempi, stiamo notando che il rapporto tra social e pubblica amministrazione è molto cambiato. Ad un iniziale scetticismo, o addirittura timore, sono seguiti interesse, partecipazione, consapevolezza dell’utilità di questi strumenti. Siamo ad un momento di svolta, non solo bisogna esserci, ma bisogna investire su una comunicazione social di qualità e rispondente alle attese dei cittadini. Esserci senza saper utilizzare tempi, funzionalità e linguaggi adatti al contesto di riferimento non basta più e rischia di far fallire gli obiettivi che ci si è prefissati. Non solo informazioni, quindi, ma dialogo, interazione e risposte ai bisogni di salute, una rivoluzione digitale che sta cambiando profondamente il rapporto medico-paziente. La forza della condivisione delle informazioni ha da un lato, spinto il cittadino a reclamare risposte in tempi strettissimi, dall’altro “obbligato” gli operatori della comunicazione sanitaria a cambiare modalità di gestione delle informazioni e della comunicazione.

A.D. I social cambiano radicalmente il rapporto con l’utenza, e stanno cambiando anche noi professionisti della comunicazione che stiamo imparando a conoscere e gestire questi strumenti con una sempre maggiore consapevolezza. Una consapevolezza che è tanto specialistica quanto diffusa, nella misura in cui occorre oltre alla conoscenza un’attenta regolamentazione nell’uso dei social. Si

Comunicare la salute al tempo dei social: guardare al presente per costruire il futuro

Rischi ed opportunità di una trasformazione culturale

Alessandra Dionisio (A.D.), responsabile della P.O. Comunicazione, URP e Ufficio Stampa dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Federico II di Napoli, PHD Scienze della Comunicazione, conversa con Francesco Di Costanzo (F.D.C.), Presidente dell’Associazione Nazionale per la nuova comunicazione PA Social.

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apre, quindi, lo spinoso tema della social media policy interna ed esterna. Cosa sta facendo PA Social in tal senso?F.D.C. Per confrontarsi e migliorare le risposte di salute attraverso i social, lo scorso anno si è costituito il Tavolo nazionale Sanità di PA Social (per partecipare basta scrivere a [email protected]) che sta riflettendo su una serie di argomenti. Il tavolo Sanità nasce come luogo di scambio di idee e buone pratiche tra chi fa comunicazione e informazione nella sanità e intende fornire a tutti gli iscritti strumenti e confronto costante per facilitare la comunicazione sui social network, raccogliere dubbi e criticità, proporre un confronto utile a risolvere la gestione dei casi più complessi. Infatti, se ampi sono gli scenari sui quali i social possono portare il loro contributo, altrettanti sono i nodi ancora da sciogliere per dare, in tutte le Aziende Sanitarie del nostro Paese, pari dignità alla funzione della comunicazione e dell’informazione. Tra gli aspetti che sono emersi di maggior interesse, così come anticipavi, la necessità di una social media policy. È necessario aiutare i cittadini a parlare con l’azienda e il personale a parlare dell’azienda in modo corretto e costruttivo e, soprattutto nel caso degli operatori, senza commettere errori che possono portare problemi. Come in tutti i settori, e in sanità è ancora più importante, è necessario conoscere i rischi e le tante opportunità che la nuova comunicazione mette a disposizione. È fondamentale avere un rapporto diretto, sapere gestire il dialogo e l’interazione e darsi delle regole condivise tramite la social media policy. Come PA Social stiamo portando avanti un lavoro con l’obiettivo di sfruttare al massimo le potenzialità positive di web, social network, chat, intelligenza artificiale.

A.D. Effettivamente quando parliamo di persone e di sanità entriamo in una sfera estremamente delicata dove diritto alla salute e diritto alla riservatezza rischiano di scontrarsi su una terra di confine su cui nessuno per il momento ha avuto ancora il coraggio di fare chiarezza. Insomma, dove finisce il servizio e comincia l’abuso di dati?F.D.C. È un tema delicato. Non solo in Sanità, in generale c’è poca chiarezza su come dovrebbe essere gestita questa tematica attraverso gli strumenti di nuova comunicazione. A partire dal 25 maggio 2018, è direttamente applicabile in tutti gli Stati membri il Regolamento Ue 2016/679, noto come GDPR (General Data Protection Regulation) relativo alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento e alla libera circolazione dei dati personali. Il GDPR nasce da precise esigenze, come indicato dalla stessa Commissione Ue, di certezza giuridica, armonizzazione e maggiore semplicità delle norme riguardanti il trasferimento di dati personali dall’Ue verso altre parti del mondo. Non sono un esperto, ma è sicuramente uno dei temi che è al centro del lavoro del Tavolo Sanità di PA Social, va definito con chiarezza come gestire il rapporto con il paziente e tra professionisti, penso per esempio a medici di famiglia e specialisti ospedalieri. Partendo dal presupposto che il mondo della Sanità deve stare dove sono i cittadini, quindi sui social e in chat, dobbiamo comprendere bene come

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utilizzare questi strumenti che di fatto tutti noi usiamo quotidianamente sia per il lavoro che nel nostro privato.

A.D. Ma in fondo c’è una domanda che i professionisti della comunicazione sanitaria si pongono, magari quando dietro a un pc cercano di redigere un comunicato stampa o si occupano di gestire un reclamo. Ma cosa cercano da noi gli utenti? Quali aspettative hanno in termini di comunicazione, quali standard, che tipologia di contenuti?F.D.C. Sono domande fondamentali, dobbiamo tenere sempre acceso il monitoraggio di cosa si aspettano i cittadini in termini di servizi, informazioni, comunicazione. Anche per questo PA Social e Istituto Piepoli hanno realizzato un Osservatorio nazionale sulla comunicazione digitale che si occuperà di analizzare scenari, domande e risposte di un campo sempre più ampio e sempre più richiesto come la comunicazione digitale. I recenti dati dell’Istituto Piepoli sul rapporto tra italiani e social, presentati nel corso dell’assemblea nazionale dell’associazione PA social, sono piuttosto chiari. Se l’80% degli utenti che fanno uso di social media è alla ricerca attiva di informazioni, sulla salute gli italiani non sono da meno, e in cima alla lista dei desideri spiccano ancora una volta le informazioni di servizio e utilità. Evidente la disparità ancora forte nel nostro Paese: nel centro sud il problema principale resta quello di riuscire a comunicare direttamente con le amministrazioni, tra cui anche le Aziende sanitarie e ospedaliere, magari usando proprio sistemi di messaggistica come WhatsApp, Messenger e Telegram.

A.D. Possiamo quindi con tranquillità affermare che le nuove forme di comunicazione pubblica sono asset fondamentali per un rapporto diretto ed efficace con i cittadini. Ma non bisogna dimenticare che dalla legge 150/2000 a tutt’oggi la comunicazione ha svolto troppo spesso una funzione ancillare rispetto alla strategie direzionali e che è invece fondamentale la continuità e una coerenza nella progettazione delle azioni di comunicazione. Cosa ne pensi, e soprattutto, ritieni che dal punto di vista legislativo sia giunto il momento di introdurre delle novità nell’inquadramento della nostra professione?F.D.C. Non c’è dubbio. Pur considerando la 150 una conquista per gli anni in cui è stata fatta, oggi non è più in grado di rispondere alle necessità di chi fa comunicazione e informazione e di chi si aspetta un servizio di qualità: il cittadino. Il lavoro di giornalisti, comunicatori, uffici stampa è completamente cambiato, esistono strumenti e figure professionali nuove che vanno riconosciute ed inserite a pieno titolo nella quotidiana gestione della comunicazione e informazione pubblica. Serve una legge “151” che tenga conto della rivoluzione portata nei fatti dalla nuova comunicazione, dia una casa e un riconoscimento alle tante professionalità del digitale, rafforzi e sviluppi la centralità dei “vecchi” ma sempre fondamentali mestieri del comunicatore e del giornalista, affermi un nuovo modello organizzativo da redazione unica e diffusa dove le varie professionalità

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collaborano (da tempo abbiamo proposto l’Ufficio Comunicazione, Stampa e Servizi al cittadino). Un percorso da fare tutti insieme, che non sia il riferimento di una o poche categorie professionali, ma che parta da un lavoro e da un obiettivo comune coinvolgendo comunicatori, giornalisti, nuove professioni, università. Non basta però solo una legge, un contratto, una riorganizzazione di uffici, servono tutti questi elementi e il lavoro quotidiano, straordinario in molte realtà italiane, di tanti professionisti che stanno concorrendo ad un grande passaggio culturale e sanno che il riferimento principale della loro attività è il cittadino. Sono cambiati i tempi. Oggi per chi fa comunicazione e informazione non funzionano più gli orari rigidi e la mancanza di flessibilità, c’è sicuramente bisogno di un aggiornamento e di maggiore libertà di movimento. Se riflettiamo sugli strumenti, oggi serve di più uno smartphone o un tablet, che una scrivania perché si lavora sempre di più in mobilità, si aggiornano i canali e si risponde ai cittadini anche fuori dalla sede e dall’orario di ufficio. Per quanto attiene ai linguaggi, se la PA riesce ad adeguarsi alle regole delle piattaforme su cui scrive, il messaggio sarà migliore e funzionerà di più, se la PA parla come i cittadini – senza perdere il proprio ruolo istituzionale – sicuramente otterrà risultati positivi e soprattutto intercetterà molte più persone. Se la PA utilizza, ad esempio, con la giusta misura strumenti come le emoticon e tutto ciò che semplifica il proprio linguaggio fa sicuramente un’operazione di avvicinamento al cittadino.

A.D. Stiamo parlando di un processo di trasformazione culturale davvero imponente. Mi conforta l’idea che la sua inevitabilità ci costringerà tutti a fare i conti con una realtà profondamente mutata, nel contempo non ti nascondo che credo che i tempi saranno ancora lunghi mentre l’urgenza di un cambiamento è sempre più stringente. Almeno potremmo cominciare con il delineare le nostre attività professionali in modo diverso, con delle realtà organizzative e funzionali più rispondenti ai reali contesti di riferimento. PA Social ha introdotto una nuova idea di organizzazione della comunicazione. Spiegaci meglio come dovrebbero essere configurato l’ufficio dedicato e che tipo di attività dovrebbe svolgere. F.D.C. Sono nate nuove opportunità professionali, nuove occasioni sociali ed economiche, nuove modalità di organizzare la giornata. Partiamo da un primo principio basilare, il giornalista e il comunicatore pubblico, che da sempre, a torto, si guardano in cagnesco, devono imparare a collaborare, a lavorare insieme e ad avere come obiettivo il miglior servizio possibile per il cittadino. I nuovi strumenti obbligano ad un lavoro comune, da redazione unica, perché per loro stessa natura toccano e influiscono su varie funzioni e uffici della nostra PA: ufficio stampa, ufficio comunicazione, ufficio relazioni con il pubblico, organizzazione di eventi, trasparenza, comunicazione interna, solo per citarne alcuni. Come associazione PA Social abbiamo proposto un modello organizzativo per la comunicazione pubblica che passi da un nuovo ufficio, l’“Ufficio Comunicazione, Stampa e Servizi al Cittadino”, che tenga conto e valorizzi le singole professionalità, ma che abbia una struttura da redazione unica e diffusa. Molte amministrazioni italiane,

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tra queste anche il Policlinico Federico II che rappresenti, stanno applicando il modello, riorganizzando le strutture per offrire un miglior servizio al cittadino e per lavorare meglio al proprio interno.

A.D. Anche sul piano del CCNL Comparto Sanità la figura del comunicatore e del giornalista pubblico hanno avuto un loro riconoscimento. L’art. 13 “Istituzione nuovi profili per le attività di comunicazione e informazione” individua, nel quadro dei processi di innovazione del lavoro pubblico, per valorizzare e migliorare le attività di informazione e di comunicazione svolte dalle pubbliche amministrazioni, due profili professionali.F.D.C. È un passo avanti importante, direi storico. Resta però molto da fare sulla classificazione, sul come le PA possono organizzarsi per inserire i profili e come organizzarli. Un passo avanti anche se molto c’è ancora da fare anche per le nuove figure professionali emergenti. Ma siamo contenti di essere stati parte attiva della progettazione di questa nuova realtà giuridica e contrattualistica.

A.D. Social media manager, strategist, community organizer, data analyst, visual design, open data, video maker e molte altre sono le nuove professioni della comunicazione che si stanno delineando a cui nella Pubblica Amministrazione non corrisponde di fatto un profilo di riferimento. Non c’è il rischio che in questa frammentazione specialistica si perda il senso di una visione complessiva e strategica della comunicazione organizzativa sanitaria e che ci si innamori sempre più di contenitori standardizzati che offrono livelli di personalizzazione minimi e che i contenuti da comunicare passino così in secondo piano? Il più grande problema, a mio parere, è oggi ritornare all’idea principe di un piano di comunicazione, vale a dire declinare obiettivi di comunicazione sulla base di obiettivi organizzativi e sulla scorta degli obiettivi di comunicazione delineati identificare destinatari, attività, azioni, strumenti. Se non inquadriamo le azioni di comunicazione sotto l’egida di obiettivi da perseguire e di una coerenza con gli obiettivi organizzativi assisteremo al perseverare di una logica di interventi “spot” della comunicazione, pronta sempre a servire per la visibilità del singolo professionista o di quella specifica iniziativa, ma continueremo a perderci il senso della continuità di un processo di comunicazione e l’utilità del suo monitoraggio a medio - lungo termine. In particolare, nella Pubblica Amministrazione e in Sanità, non possiamo permetterci che investimenti economici e di risorse umane non siano calibrati seguendo logiche e criteri di un coordinamento strategico comunicativo che abbia idee chiare sulla ramificazione delle attività di comunicazione ma che sappia usare gli strumenti come applicazioni di un’idea da perseguire. Senza coerenza e continuità, senza capacità di guardare il tutto, rischiamo ancora una volta un effetto boomerang sulla nostra disciplina. Che ne pensi? F.D.C. Si, credo che la comunicazione e l’informazione delle PA e del settore pubblico in generale debbano avere come riferimento e, quindi anche come strategia, il servizio al cittadino. Sempre più di qualità e nei luoghi e nelle

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piattaforme dove le persone stanno a prescindere. Proprio per evitare di disperdere energie, risorse umane ed economiche e lasciar passare grandi opportunità serve un coordinamento dove far convivere e crescere tutte le professionalità. È ormai superato il tempo in cui si parlava di smanettoni o “persone che giocano” riferito a chi si occupa di comunicazione e in particolare di nuova comunicazione. Siamo nella fase della costruzione, di organizzazione della rivoluzione portata dai nuovi strumenti, una bella fase che va affrontata sempre correndo sulla strada dell’innovazione.

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TESI AREA TEMATICA

Procedure gestionali innovative: HTA, Telemedicina,quality assessment

Tutor: Eugenio Maria Covelli

Un percorso diagnostico terapeutico assistenziale dei tumori cerebraliPasqualino De MarinisDirettore dell’Unità Operativa Complessa di Neurochirurgia,AORN “Sant’Anna e San Sebastiano” di Caserta

Il percorso riabilitativo unico integrato della persona con ictus per il miglioramento della qualità e dell’appropriatezza degli interventi riabilitativi

Maria Valeria Di MartinoDirettore dei Servizi Integrati delle Professioni Sanitarie,AO dei Colli di Napoli

La caduta del paziente ospedalizzato: il ruolo di un’opportuna gestione medico-legale

Pasquale GiuglianoDirigente Medico presso l’Unità Operativa Complessa di Medicina Legale, AORN “Sant’Anna e San Sebastiano” di Caserta

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Il Pronto Soccorso e la comunicazione del processo di cura: un metodo di interazione per il rapporto medico/familiari nel rispetto dei ruoli

Domenico NataleDirigente Medico presso l’Unità Operativa Semplice di Terapia sub-intensiva in Medicina d’Urgenza, AORN “Sant’Anna e San Sebastiano” di Caserta

L’organizzazione del III livello assistenziale (PDTA) nel trattamento dei pazienti con diabete mellito di tipo 1 nell’ambito dell’UOS di Diabetologia dell’AORN Sant’Anna e San Sebastiano di Caserta

Marciano SchettinoDirigente Responsabile presso l’Unità Operativa Semplice di Diabetologia,AORN “Sant’Anna e San Sebastiano” di Caserta

Il declino cognitivo: metodologia di un percorso protetto per pazienti fragiliGina VarricchioDirettore p.t. dell’Unità Operativa Complessa di Geriatria, AORN “Sant’Anna e San Sebastiano” di Caserta

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Un percorso diagnostico terapeutico assistenziale dei tumori cerebrali

Pasqualino De MarinisDirettore dell’Unità Operativa Complessa di Neurochirurgia,

AORN “Sant’Anna e San Sebastiano” di Caserta

Il percorso diagnostico-terapeutico-assistenziale (PDTA) costituisce lo strumento finalizzato all’implementazione delle linee guida (LG) o delle raccomandazioni scientifiche di buona pratica clinica e risulta dall’integrazione di due componenti: le raccomandazioni cliniche delle LG di riferimento e gli elementi di contesto locale in grado di condizionarne l’applicazione. I PDTA rappresentano, quindi, la contestualizzazione e l’adattamento locale di una LG e sono strumenti di Go-verno Clinico che permettono alle aziende sanitarie di delineare, rispetto ad una patologia o ad un problema clinico, la migliore sequenza di azioni da effettuare o, in altre parole, il miglior percorso praticabile all’interno della propria organizza-zione, sulla base delle LG ed in relazione alle risorse disponibili.Alla luce di quanto su esposto, presso l’Azienda Ospedaliera di Rilievo Nazionale “S. Anna e S. Sebastiano” di Caserta è stato disegnato e già reso operativo un PDTA per la gestione del paziente con neoplasie a carico del Sistema Nervoso Centrale (SNC) in modo da garantire la più efficace continuità clinico-terapeutica.

Ciò è stato reso possibile identificando e sviluppando alcuni punti programmatici:• Ottimizzazione delle reti di servizi esistenti;• Miglioramento dell’approccio al paziente sotto l’aspetto comunicativo;• Monitoraggio dei livelli di qualità delle cure prestate;• Programmazione di iniziative di aggiornamento scientifico clinico ed assistenziale.

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Il percorso riabilitativo unico integrato della persona con ictus per il miglioramento della qualità e dell’appropriatezza

degli interventi riabilitativi

Maria Valeria Di MartinoDirettore dei Servizi Integrati delle Professioni Sanitarie,

AO dei Colli di Napoli

L’ictus cerebrale è una malattia ad elevato tasso di incidenza e mortalità, che coinvolge un elevato numero di persone, particolarmente gli anziani. Costituisce la seconda causa di morte nel mondo, la terza causa di disabilità a livello mon-diale e la prima causa di disabilità negli anziani. Coloro che sopravvivono spesso presentano significative limitazioni fisiche, cognitive e psicologiche.L’evento ictus rappresenta una problematica ad elevato impatto sociale, sanitario e riabilitativo, non solo per gli alti costi di assistenza che genera, ma anche per la difficoltà ad assicurare integrazione e continuità agli interventi riabilitativi, dalla fase acuta e post-acuta dell’evento fino alla fase di mantenimento e/o di uscita dal percorso riabilitativo.Il Decreto del Commissario ad Acta (DCA) n. 23/2015 “Percorso Riabilitativo Unico Integrato della persona con ictus”, ha approvato il percorso clinico-assi-stenziale necessario per dare una risposta strutturata al rilevante problema sa-nitario costituito dall’elevata frequenza di eventi ictus e dall’elevato numero di persone disabili con esiti di ictus.Il DCA n. 23/2015 ha definito le principali indicazioni per la realizzazione di un uniforme modello organizzativo basato sull’integrazione interdisciplinare, in-terprofessionale e intersettoriale che consenta l’effettiva attuazione del Percorso Riabilitativo, dalla fase acuta sino al ritorno al domicilio del paziente. Gli scopi finali del DCA sono: garantire la presa in carico riabilitativa precoce; assicurare l’effettiva realizzazione del Progetto Riabilitativo Individuale quale strumento di continuità assistenziale e di interventi integrati tra i vari settings di cura, ospeda-lieri e territoriali; favorire la dimissione programmata e protetta del paziente con esiti di ictus.Il DCA n. 23/2016 ha successivamente definito le linee di indirizzo tecnico-scien-tifiche per il miglioramento della qualità e dell’appropriatezza degli interventi riabilitativi.Il presente lavoro illustra il “Percorso Riabilitativo Unico Integrato del paziente con ictus” realizzato presso l’Azienda Ospedaliera Specialistica dei Colli (Monal-di, Cotugno, CTO), ne descrive gli aspetti organizzativi e gestionali, il processo riabilitativo e le procedure locali attraverso le quali il team mette in atto il Per-corso.

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Vengono inoltre analizzati i primi risultati derivanti dall’attività di monitoraggio del Percorso aziendale, finalizzato al miglioramento della qualità delle attività ri-abilitative aziendali, al raggiungimento della maggiore appropriatezza della presa in carico riabilitativa e al miglioramento dell’efficacia degli interventi riabilita-tivi.Al termine del presente lavoro saranno discusse le difficoltà riscontrate durante la realizzazione del Percorso e le criticità emerse durante la pratica clinica, nell’o-biettivo di perseguire costantemente l’integrazione e la continuità degli interventi nel percorso di cura.

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La caduta del paziente ospedalizzato: il ruolo di un’opportuna gestione medico-legale

Pasquale GiuglianoDirigente Medico presso l’Unità Operativa Complessa di Medicina Legale,

AORN “Sant’Anna e San Sebastiano” di Caserta

Nonostante l’avvicendarsi di linee-guida e raccomandazioni sull’argomento, il problema della caduta dei pazienti in corso di degenza rimane ancora statistica-mente significativo, oltre che estremamente rilevante per i riverberi negativi che ne conseguono in termini di salute pubblica e di efficacia dell’organizzazione sanitaria.I riferimenti normativi sull’argomento rimangono essenzialmente la Raccoman-dazione N. 13 del Ministero della Salute (Novembre 2011) ed il Decreto Dirigen-ziale N. 48 della Regione Campania (Luglio 2017), che regolano i fondamentali aspetti della prevenzione e della gestione del rischio di questi eventi avversi.Il confronto sul piano medico-legale con diversi casi di cadute in ambito ospe-daliero ha consentito tuttavia di rilevare, nonostante l’ulteriore impulso al tema della sicurezza delle cure scaturito dalla recente Legge N. 24/2017, un’attenzione ancora non ottimale nei confronti dei diversi aspetti volti a garantire la piena pro-tezione del paziente dal rischio caduta.Ci riferiamo, in estrema sintesi, al non sempre adeguato riscontro vuoi di una cor-retta valutazione dei fattori di rischio individuali, vuoi di un’adeguata documen-tazione degli stessi in cartella clinica, vuoi infine della conseguente, opportuna predisposizione e descrizione dei necessari accorgimenti preventivi.È scaturita perciò, dal contributo conoscitivo derivato a seguito dell’analisi di una congrua casistica medico-legale sull’argomento, l’obiettivo di proporre un percorso assistenziale che, utilizzando i principali strumenti di valutazione clinica del paziente indicati dalle raccomandazioni e dalle linee guida, delinei in cartella clinica un modello di assistenza, finalizzato ad elevare lo standard di sicurezza dei degenti rispetto al rischio di cadute.In questo modo si mirerà al duplice consequenziale obiettivo di migliorare la qua-lità delle cure e di ridurre i costi legati agli esiti di questi eventi avversi, in termini sia di erogazione di cure mediche aggiuntive, sia di risarcimento del paziente per danno alla salute conseguente all’infortunio.Tale percorso non trascurerà di considerare anche gli aspetti relativi alla presa in carico delle “cadute” sotto il profilo medico-legale.In tal senso lo strumento del Nucleo di Valutazione Interno, di cui ormai larga parte (se non tutte) le Aziende Sanitarie sono dotate, dovrà svolgere il ruolo ne-

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vralgico non solo di valutare, a fini risarcitori, l’entità dei quadri menomativi e la loro relazione causale con l’infortunio intra-ospedaliero, ma anche di cogliere quelle criticità assistenziali che hanno contribuito all’evento, concordando con le altre professionalità aziendali gli opportuni interventi correttivi.

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Il Pronto Soccorso e la comunicazione del processo di cura: un metodo di interazione per il rapporto medico/familiari nel rispetto dei ruoli

Domenico NataleDirigente Medico presso l’Unità Operativa Semplice di Terapia sub-intensiva in

Medicina d’Urgenza, AORN “Sant’Anna e San Sebastiano” di Caserta

La profonda modifica della percezione del bisogno di salute e della tipologia dell’offerta dei servizi ritenuti di maggior efficacia per la sua soddisfazione han-no rappresentato in questi anni una sfida culturale, prima che organizzativa, per il Sistema Sanitario.Una quantità innumerevole di cittadini si rivolgono ogni anno ai Pronto Soccor-so (PS). Circa un terzo di tali accessi è stato classificato come problema “non urgente” (codice bianco della procedura Triage). Gli accessi in Pronto Soccorso seguiti da ricovero ospedaliero (in media il 15%-18%) o, comunque, necessitanti di un’osservazione di 24 ore in ambiente ospedaliero (un ulteriore 10-12%), de-finiscono un profilo di “domanda sanitaria di urgenza” che, per la maggior parte, potrebbe essere soddisfatta dalle strutture territoriali in grado di garantire, teorica-mente, una risposta efficace ed efficiente, anche in ragione dei costi delle presta-zioni erogate dalle strutture ospedaliere. Il sovraffollamento che si verifica quoti-dianamente nel reparto di Pronto Soccorso rende sempre più difficile i processi di comunicazione che interessano lo stato di salute del paziente/utente. L’esigenza di dare risposta ai bisogni comunicativi e informativi richiesti dai pazienti e fa-miliari in Pronto Soccorso, ha portato alla realizzazione presso il PS dell’AORN Cardarelli, di un flusso comunicativo con l’utenza attraverso l’installazione di monitor nella sala d’attesa. Questo rende conto delle singole fasi del processo di cura, in accordo con la volontà del paziente di comunicare con i familiari e for-nendo elementi informativi nel rispetto della privacy.

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L’organizzazione del III livello assistenziale (PDTA) nel trattamento dei pazienti con diabete mellito di tipo 1 nell’ambito dell’UOS di Diabetologia

dell’AORN Sant’Anna e San Sebastiano di Caserta

Marciano SchettinoDirigente Responsabile presso l’Unità Operativa Semplice di Diabetologia,

AORN “Sant’Anna e San Sebastiano” di Caserta

La prevalenza del diabete mellito in Italia è del 5,3% e la Campania è una delle Regioni a più alta prevalenza e mortalità per diabete e sue complicanze. Il diabete di tipo 1 (DM tipo 1) è una malattia cronica di grande rilevanza sociale, si regi-strano in Italia circa 300.000 casi, colpisce soprattutto i soggetti in età pediatrica ed adolescenziale e, se non adeguatamente trattato, comporta gravi complicanze con un enorme impatto sulla vita dei giovani, delle famiglie e rilevanti costi per il SSN.Il Piano Nazionale Diabete, in linea con L.R. n.9/2009, prevede un’organizzazio-ne dell’assistenza basata su tre livelli: integrazione tra territorio ed ospedale, e un terzo livello assistenziale, assicurato dalle Unità Operative (UO), istituite in tutte le AORN e/o negli ospedali delle ASL. A queste strutture sono affidati diversi compiti: assistenza del paziente complesso per comorbidità; cura del piede diabe-tico; trattamento del DM tipo 1 attraverso l’utilizzazione delle nuove tecnologie; monitoraggio in continuo della glicemia (CGM); gestione dei microinfusori per infusione sottocutanea continua di insulina (CSII); telemedicina. In risposta ai bisogni di salute espressi da questi pazienti, si propone la realizzazione di un Percorso Terapeutico Assistenziale (PDTA) dedicato, che tenga conto dell’utiliz-zo delle tecnologie, nell’ambito del III livello assistenziale offerto dall’AORN di Caserta.Il PDTA elaborato ha come obiettivi: l’incremento del numero di pazienti presi in carico; l’implementazione nell’utilizzo di nuove tecnologie; il miglioramento dell’empowerment, della comunicazione, degli outcome clinici e della qualità di vita; la riduzione dei ricoveri ordinari, delle complicanze e dei costi connessi; la limitazione della dispersione dei giovani pazienti. Il personale coinvolto si iden-tifica con le figure del dirigente medico, del responsabile dell’UOS di Diabeto-logia, l’infermiere dedicato, il dietista e lo psicologo. Per l’organizzazione logi-stica e strumentale sono individuati spazi ad uso ambulatorio con la più idonea strumentazione, training per CSII e CGM e incontri educazionali di gruppo per la formazione. Per accedere al Servizio sono previste le seguenti modalità: visite ambulatoriali, invio per transizione dalla pediatria, consulenza durante ricovero ordinario. Le prestazioni effettuate prevedono: valutazione clinica iniziale, follow

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up, percorso educazionale strutturato, percorso tecnologie, informatizzazione del servizio, telemedicina e assistenza in ospedale per CSII. Infine il progetto prevede il monitoraggio del percorso e la valutazione di alcuni indicatori come: incremen-to percentuale dei nuovi pazienti, dei pazienti che fanno terapie innovative e dei pazienti in telemedicina, valutazione dei “drop out”, valutazione dell’apprendi-mento educazionale, della qualità di vita, monitoraggio dell’Hb glicata, degli epi-sodi di ipoglicemia severa, della dose totale media di unità di insulina giornaliera e del numero di ricoveri ordinari.I risultati attesi dall’organizzazione del III livello assistenziale (PDTA) sono: incremento del numero di pazienti afferenti, implementazione delle tecnologie e della telemedicina, miglioramento del compenso metabolico, della qualità di vita, riduzione delle ipoglicemie severe, delle unità di insulina e limitazione dei ricoveri ordinari.

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Il declino cognitivo: metodologia di un percorso protetto per pazienti fragili

Gina VarricchioDirettore p.t. dell’Unità Operativa Complessa di Geriatria,

AORN “Sant’Anna e San Sebastiano” di Caserta

Il morbo di Alzheimer e le demenze senili sono patologie in evoluzione, con ri-levante impatto sociale ed economico. In Italia circa 500-600.000 persone sono colpite da demenza, si registrano 150.000 nuovi casi l’anno con un incidenza mag-giore nelle donne.L’idea di questo lavoro nasce dalla necessità di creare un percorso che parta dallo screening e porti alla valutazione radiologica, neuropsicologica, nutrizionale e ge-riatrica di questi soggetti.Una volta effettuata una diagnosi specifica, con una corretta classificazione no-sografica, definendo fase e decorso della malattia, risulta necessario attuare un progetto di presa in carico sia della persona che della famiglia, attivando tutta la rete socio-assistenziale. Inoltre diversi studi hanno dimostrato che la riabilitazio-ne cognitiva ha un impatto positivo sul decadimento cognitivo, rallentandone il decorso clinico.Partendo da tali considerazioni, gli obiettivi del presente progetto sono: la crea-zione di un ambulatorio dedicato che effettui una valutazione dello stato cogni-tivo del soggetto afferente a 360° e che possa migliorare le qualità della vita del malato e della sua famiglia; la creazione di un continuum assistenziale attraverso l’integrazione tra servizio pubblico e famiglia; la riduzione del disagio sociale ed assistenziale per paziente e familiare; il contenimento delle spese familiari per la gestione dell’utente con declino cognitivo/demenza favorendone l’autonomia; il miglioramento della qualità di vita e dell’autonomia assistenziale della famiglia; la diminuzione della richiesta di ospedalizzazione del soggetto affetto da morbo di Alzheimer.Il percorso è caratterizzato da: una valutazione geriatrica, radiologica, clinica nu-trizionale, neuropsicologica (ampio numero di tests che permettono di quantificare le prestazioni dei soggetti nelle prove di memoria, linguaggio, prassia, capacità di ragionamento, abilità visuo-spaziali e attenzione) e una valutazione comportamen-tale.Per il paziente è prevista la strutturazione di un piano di intervento, articolato su tre livelli: intervento di tipo psicologico sugli aspetti affettivi e comportamentali nelle fasi iniziali di demenza; intervento sugli aspetti cognitivi mediante attività di riabilitazione e intervento di tipo nutrizionale con valutazione e supporto specifico

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Il Management in SanitàIl valore delle competenze e il confronto delle esperienze

(valutazione stato nutrizionale e relativi piani dietetici).Gli output attesi sono tutte le procedure e i protocolli integrati di riabilitazione cognitiva atti ad incidere positivamente sui soggetti con decadimento cognitivo.In generale gli esiti attesi sono: mantenimento delle proprie capacità cognitive e di relazione per un periodo di tempo maggiore rispetto alla prognosi; riduzione del carico assistenziale; miglioramento delle capacità funzionali; miglioramento della qualità della vita del soggetto.

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TESI AREA TEMATICA

Governo clinico e risk management

Tutor: Patrizia Cuccaro

Gli approcci innovativi di governance per nuovi modelli di cura: la tecnica HFMECA applicata al PDTA della mammella dell’Istituto Nazionale Tumori Napoli

Franca AvinoDirigente Medico presso l’UOC Chirurgia Senologica, Istituto Tumori Napoli

L’Health Technology Assessment nella chirurgia protesica di anca: l’impatto della mini-invasività su efficienza e sicurezza

Nicola CapuanoDirettore dell’UOC di Ortopedia e Traumatologia,Ospedale Buon Consiglio Fatebenefratelli di Napoli

L’importanza della campagna vaccinale nella regione Campania e le diseguaglianze sanitarie nell’applicazione delle direttive

Maria Giuliana Del PianoDirigente Sanitario di I livello presso il Dipartimento di Prevenzione, ASL Napoli 3 Sud

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Il Management in SanitàIl valore delle competenze e il confronto delle esperienze

Il Risk Management in farmacoterapia: la scheda unica di terapia come strumento di cambiamento nel processo di implementazione delle raccomandazioni ministeriali

Anna Italia PisacretaDirigente Responsabile presso l’UOC Medicina Interna,PO A. Maresca di Torre del Greco dell’ASL Napoli 3 Sud

L’importanza del percorso diagnostico terapeutico assistenziale nella cura del paziente: l’esperienza dell’AORN A. Cardarelli

Roberto SopranoDirigente presso l’UOC Segreteria Generale,AORN A. Cardarelli

Il progetto di prevenzione dell’aneurisma aorta addominale “stai sereno con lo screening” e la definizione di un percorso diagnostico terapeutico assistenziale

Francesco Paolo RuoccoDirigente Medico presso la UOC Risk Management, ASL Napoli 3 Sud

I principi LEAN SIX SIGMA e DMAIC in chirurgia ortopedica maggiore: l’importanza del patient blood management

Bruno RussoDirigente Medico presso la UOC di Ortopedia e Traumatologia, Ospedale del Mare dell’ASL Napoli 1 Centro

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Il Management in SanitàIl valore delle competenze e il confronto delle esperienze

Gli approcci innovativi di governance per nuovi modelli di cura: la tecnica HFMECA applicata al PDTA della mammella

dell’Istituto Nazionale Tumori Napoli

Franca AvinoDirigente Medico presso l’UOC Chirurgia Senologica,

Istituto Tumori Napoli

Il Percorso Diagnostico Terapeutico ed Assistenziale (PDTA) rappresenta, dal punto di vista manageriale, il disegno logico ed organizzato dell’insieme dei “pro-dotti” erogati da una (o più) strutture assistenziali, individuato secondo una stra-tegia condivisa fra tutte le componenti coinvolte, di cui permette di identificare ruoli e competenze. Tutt’altro che recente nell’origine del concetto e del termine, la reale implementazione dei PDTA nello scenario sanitario italiano ha avuto una dinamica articolata e frammentaria, tanto che oggi si contano oltre 80 definizioni di PDTA in letteratura ed un’estrema eterogeneità nelle applicazioni sul campo. Tra le defaillances, che si riscontrano nell’utilizzo dei percorsi come strumento gestionale, c’è sicuramente un utilizzo spesso parziale delle potenzialità previsio-nali e di misurazione dei fenomeni tipiche dei PDTA.Nel lavoro che qui si presenta, si è voluto dare risalto alla capacità della clinical governance di modificare i modelli di cura e, attraverso questi, influire sul valore in sanità, enfatizzando gli strumenti manageriali a disposizione del professionista sanitario. In particolare, il lavoro parte dal presupposto che ad ogni cambiamento radicale nell’approccio con gli strumenti di cura corrisponde una turbolenza nel sistema, che può essere foriera di errori (ritardi, omissioni, eventi avversi) o, co-munque, di una sottostima dei rischi sottesi. In tale ottica, un ruolo fondamentale svolge il controllo dell’errore nei percorsi, tanto più in un istituto di ricerca di ri-levanza nazionale quale l’IRCCS Pascale di Napoli. Il progetto tesi che segue, in particolare, ha inteso analizzare in termini misurabili i “modi di errore possibile” nel PDTA della mammella elaborato nell’istituto Tumori di Napoli, identifican-do e intervenendo sui livelli di rischio del processo clinico ancora prima della sua implementazione, sulla scorta di precedenti esperienze di ricerca clinica e dell’evidenza scientifica, onde assicurare ai pazienti la centralità, la salute e la sicurezza.

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L’Health Technology Assessment nella chirurgia protesica dianca: l’impatto della mini-invasività su efficienza e sicurezza

Nicola CapuanoDirettore dell’UOC di Ortopedia e Traumatologia,

Ospedale Buon Consiglio Fatebenefratelli di Napoli

L’Health Technology Assessment (HTA) è un approccio multidimensionale e multidisciplinare per l’analisi delle implicazioni medico-cliniche, sociali, orga-nizzative, economiche, etiche e legali di una tecnologia attraverso la valutazione di più dimensioni quali l’efficacia, la sicurezza, i costi, l’impatto sociale e orga-nizzativo.Nella fattispecie, il termine “tecnologia” si riferisce tanto agli interventi tera-peutici e riabilitativi quanto agli strumenti, alle apparecchiature, alle procedure mediche e chirurgiche, ai protocolli d’intervento e d’assistenza e, non ultimo, ai sistemi organizzativi e gestionali. L’HTA valuta l’efficacia sperimentale (in ter-mini d’efficacia assoluta o efficacy), l’efficacia pratica (detta “efficacia relativa” o effectiveness) e l’efficienza (efficiency) di ciascuna “tecnologia” che prende in esame.L’obiettivo di questo studio è valutare gli effetti reali e/o potenziali dell’approccio mininvasivo nella chirurgia protesica di anca e le conseguenze dell’introduzione di tale tecnologia nel Sistema Sanitario usando la metodologia dell’Health Tech-nology Assessment (HTA). La tecnologia presa in esame, in riferimento alla chirurgia protesica di anca, è l’approccio chirurgico di tipo mininvasivo, con l’obiettivo di verificarne le poten-zialità in termini di miglioramento dei risultati clinici e funzionali, dell’outcome e dell’assistenza ai pazienti. La tecnica esaminata è denominate “Tissue sparing posterior superior” (TSPS) introdotta nel 2009 e successivamente modificata e adottata nella nostra esperienza italiana.È stato eseguito uno studio retrospettivo, di tipo osservazionale, in un singolo centro, su 262 pazienti sottoposti ad artroprotesi primaria di anca nel periodo 2009-2010.I pazienti da sottoporre ad intervento chirurgico protesico sono stati distinti in due gruppi: Il primo gruppo di 130 pazienti è stato sottoposto ad intervento chirurgico prote-sico con un approccio posteriore standard (gruppo standard);Il secondo gruppo di 132 pazienti è stato sottoposto ad intervento chirurgico pro-tesico con approccio TSPS, che prevede la capsulotomia postero-superiore (grup-po new technology).

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Il Management in SanitàIl valore delle competenze e il confronto delle esperienze

Sono stati valutati i differenti risultati relativamente alla lunghezza media dell’in-cisione, alla durata media dell’intervento chirurgico, alla perdita ematica, alla rapidità di recupero funzionale post-chirurgico. Lo studio ha permesso di dimo-strare la reale efficacia della tecnica TSPS sia in termini di efficacia sia in termini di efficienza.

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Il Management in SanitàIl valore delle competenze e il confronto delle esperienze

L’importanza della campagna vaccinale nella regione Campania e le diseguaglianze sanitarie nell’applicazione delle direttive

Maria Giuliana Del Piano Dirigente Sanitario di I livello presso il Dipartimento di Prevenzione,

ASL Napoli 3 Sud

Il presente lavoro di tesi intende individuare una traccia operativa per i policy maker che possa restituire al tema delle vaccinazioni un taglio puramente tecnico e una titolarità che solo le evidenze scientifiche possono e devono detenere. Ne-gli ultimi anni in Italia si è assistito a un progressivo deterioramento dell’utilità percepita dei vaccini e a un aumento delle preoccupazioni in merito ai possibili effetti avversi che le vaccinazioni potrebbero causare, soprattutto nell’infante. Le ragioni dietro questa tendenza (come la ridotta percezione del rischio delle malattie infettive, la diffusione di assunzioni non dimostrate sulla associazione tra vaccini e altre patologie come l’autismo, una ridotta consapevolezza dei vantaggi individuali e collettivi delle vaccinazioni) vanno oltre lo scopo del lavoro di tesi che qui si presenta. Occorre tuttavia sottolineare che, a partire dal 2013, si è assi-stito a una progressiva riduzione delle percentuali di copertura delle vaccinazioni obbligatorie in Italia.Dal 2012 al 2016, tranne poche eccezioni (Sardegna e Calabria; Campania per la sola epatite B, che si ferma però al 92.7%), il trend è in decremento per tutte le Regioni; la copertura per morbillo, dopo un periodo di crescita, a partire dal 2007 ha raggiunto in Italia un valore medio del 90% nel 2013, per poi diminuire in maniera drastica nel 2014 (–3,6%) e 2015 (–1,45%). Soltanto i dati del 2016 sembrano suggerire un’inversione di tendenza, con tassi che ritornano a crescere in Italia del 2,3%. Pur non potendo identificare evidenze che spieghino in maniera esplicita tali differenze, è ragionevole ipotizzare che queste possano essere ri-condotte alle diverse politiche vaccinali regionali, responsabili per la definizione delle modalità di attuazione dei principi e obiettivi formulati a livello centrale.

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Il Management in SanitàIl valore delle competenze e il confronto delle esperienze

Il Risk Management in farmacoterapia: la scheda unica di terapia come strumento di cambiamento nel processo di implementazione

delle raccomandazioni ministeriali

Anna Italia PisacretaDirigente Responsabile presso l’UOC Medicina Interna,

PO A. Maresca di Torre del Greco dell’ASL Napoli 3 Sud

Il Clinical Risk Management si propone come mezzo per ridurre l’incidenza dei danni ai pazienti e per diminuire le loro sofferenze. Gli errori in corso di te-rapia farmacologica possono causare danni al paziente con un prolungamento della degenza o dei ricoveri ripetuti e l’impiego di ulteriori risorse sanitarie, tali errori possono riguardare tutto il processo di gestione del farmaco sia in ospedale che sul territorio. All’interno della più ampia problematica dell’integrazione, una questione ancora aperta in molte realtà sanitarie italiane è la gestione della terapia farmacologica con più strumenti informativi e di registrazione (cartella clinica, scheda della terapia, ecc.), anche col ricorso alla trascrizione dall’uno all’altro.La scheda unica di terapia (SUT) è un eccellente strumento di comunicazione interna, che integra in un unico documento tutte le informazioni sul processo terapeutico dei pazienti ricoverati. Per questo consente di far fronte ai problemi di comunicazione, prima causa degli errori di terapia. La consapevolezza delle potenzialità della SUT, insieme alla condivisione della necessità di migliorare, implementare, cambiare e verificare, sono alla base dell’avvio sperimentale della scheda unica di terapia in formato Excel nel reparto di Medicina Interna del Pre-sidio Ospedaliero di Torre del Greco dell’ASL Napoli 3 Sud. Un’unica scheda di terapia, strutturata per più giorni, aiuta a ridurre gli errori di ridondanza nella prescrizione e nella compilazione, permette di avere un conti-nuum terapeutico facilmente tracciabile.A dodici mesi dall’utilizzo della nuova scheda della terapia, si ritiene che questa costituisca uno strumento efficace per la gestione dell’intero processo terapeuti-co, al fine di assicurare la massima collaborazione e responsabilizzazione di tutti gli operatori coinvolti.L’integrazione della scheda con la Cartella Infermieristica, attualmente in fase di proposta all’UOC di Risk Management, darà maggior valore alla qualità del-la prestazione ospedaliera offerta. È auspicabile, successivamente, un’adozione formale definitiva della SUT, nonché l’impiego della stessa nella Cartella Clinica Elettronica per la futura gestione informatizzata del processo terapeutico.

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Il Management in SanitàIl valore delle competenze e il confronto delle esperienze

L’importanza del percorso diagnostico terapeutico assistenziale nellacura del paziente: l’esperienza dell’AORN A. Cardarelli

Roberto SopranoDirigente presso l’UOC Segreteria Generale,

AORN A. Cardarelli

Il presente lavoro nasce dall’esigenza di garantire la trasparenza delle liste d’atte-sa delle Aziende Sanitarie, attraverso la corretta gestione delle modalità d’accesso ai Servizi Sanitari.A tal fine, presso l’AORN A. Cardarelli è nato il progetto per il Percorso Dia-gnostico Terapeutico Assistenziale del piede diabetico, poiché in Campania si assiste tutt’oggi a una grande incidenza delle amputazioni per questa patologia e perché, rispetto alle altre Regioni, non vi è alcuna tendenza al ribasso di questo dato percentuale.L’approccio più immediato e d’attacco è stato creare un gruppo multidisciplinare di medici in grado di gestire nel suo complesso il paziente dopo averlo inquadrato in Pronto Soccorso e averne definito il grado di rischio.Dopo aver identificato il protocollo per l’inquadramento del paziente sono stati definiti gli obiettivi che, con la predisposizione del piano, si intendevano raggiun-gere: la riduzione del tempo intercorrente tra l’accesso al Pronto Soccorso e la presa in carico del paziente da parte del gruppo multidisciplinare; la riduzione del tempo di trasferimento dal Pronto Soccorso all’unità di ricovero; la riduzione dei tempi di primo intervento per la rimozione del tessuto contaminato.Sono state attivate le procedure selettive per l’acquisizione delle figure profes-sionali necessarie a completare il gruppo multidisciplinare, ed è stato avviato il percorso. L’attivazione del percorso ha reso l’AORN Cardarelli un centro di riferimento per il trattamento del piede diabetico complesso, con conseguente incremento del numero di pazienti ammessi (nel 2017 tale numero è aumentato del 20% rispetto all’anno precedente). I risultati ottenuti possono considerarsi molto incoraggianti, infatti, si è osservato una riduzione del 31% del numero di amputazioni maggiori e del 64% di quelle dell’avampiede, mentre sono aumentati del 51% i casi risolti senza ricorrere all’amputazione e trattati con rivascolarizzazione o cicli di medi-cazioni.

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Il Management in SanitàIl valore delle competenze e il confronto delle esperienze

Il progetto di prevenzione dell’aneurisma aorta addominale “stai sereno con lo screening” e la definizione di un percorso

diagnostico terapeutico assistenziale

Francesco Paolo RuoccoDirigente Medico presso la UOC Risk Management,

ASL Napoli 3 Sud

La patologia aneurismatica rappresenta la tredicesima causa di morte nei pae-si occidentali con un notevole incremento della prevalenza e dell’incidenza di tale patologia negli ultimi decenni. L’incidenza di Aneurisma Aorta Addominale (AAA) è stimata tra il 6-8 % della popolazione con più di 60 anni.La patologia AAA non è caratterizzata da segni e sintomi specifici, spesso mi-sconosciuta, in genere diagnosticata in modo occasionale nel corso di un esame ecografico completo dell’addome effettuato per altri riscontri diagnostici. La con-seguenza più temibile di questa patologia è la rottura improvvisa, imprevedibile e gravata da una elevata mortalità in regime di emergenza. Il tasso di mortalità risulta molto più basso in caso di interventi programmabili, soprattutto per quelli eseguiti con tecnica mininvasiva di tipo endovascolare. Partendo dall’analisi del-le esperienze precedenti in tema di screening vascolare, dall’analisi delle risorse già esistenti e sulla scorta dell’Atto Aziendale approvato, che prevede l’attivazio-ne della Chirurgia Vascolare presso il Presidio Ospedaliero di Boscotrecase, la Direzione Strategica ha costituito un gruppo di lavoro e avviato un protocollo di intesa con l’ASL Napoli 1 Centro, anche ai fini di una formazione del proprio per-sonale presso l’UO di Chirurgia Vascolare dell'Ospedale del Mare. Tale gruppo di lavoro, sulla scorta dell’analisi dei bisogni e delle risorse esistenti e da acquisire, ha concluso il lavoro preliminare configurando l’insieme delle attività previste per avviare una campagna di screening vascolare.Il programma di screening dell’AAA si basa sull’uso dell’esame ecografico dell’aorta addominale, eseguito con l’applicazione del Color-doppler, e si rivolge a una parte della popolazione considerata a rischio, maschi e femmine di età com-presa tra i 60 e i 75 anni.L’obiettivo primario del progetto è la prevenzione dei decessi da rottura dell’a-neurisma dell’aorta addominale attraverso l’identificazione, il monitoraggio e il trattamento chirurgico precoce in elezione della patologia aneurismatica asinto-matica. Obiettivi secondari sono l’osservazione e la distribuzione dei fattori di rischio nella popolazione affetta da patologia e nella popolazione esaminata. È stata prevista, infine, la figura del Case Manager, un infermiere professionale che permette la presa in carico del paziente e il coordinamento delle varie professio-nalità e risorse, per garantire un’assistenza personalizzata al paziente.

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Il Management in SanitàIl valore delle competenze e il confronto delle esperienze

I principi LEAN SIX SIGMA e DMAIC in chirurgia ortopedica maggiore: l’importanza del Patient Blood Management

Bruno RussoDirigente Medico presso la UOC di Ortopedia e Traumatologia,

Ospedale del Mare dell’ASL Napoli 1 Centro

La chirurgia protesica elettiva dell’adulto è molto frequente nella popolazione generale. In Italia, si eseguono ogni anno oltre 160.000 interventi di artroprotesi in 750 strutture, con un incremento medio annuo di circa il 5% e un costo totale stimato di circa un miliardo di euro per il solo DRG chirurgico. Si tratta di una procedura che sia per impatto epidemiologico ed economico, sia per la complessi-tà tecnico-organizzativa e per gli esiti clinici, merita di essere analizzata secondo principi di management e di efficientamento. Attraverso i principi Lean Six Sigma (LSS) e DMAIC, abbiamo individuato il patient blood management (PBM) come punto critico. Nel lavoro si giunge a valorizzare l’importanza del PBM e quindi, una corretta gestione pre- e peri-o-peratoria dei livelli di emoglobina nei pazienti sottoposti a chirurgia ortopedica maggiore che, riducendo il rischio di trasfusioni, determina una notevole ridu-zione del lenght of hospital stay (LOS), utilizzato come indicatore di risultato, e una minore incidenza di complicazioni legate alle emotrasfusioni. Sono stati analizzati 2 gruppi omogenei di 20 pazienti ciascuno, che sono stati sottoposti ad artroprotesi totale del ginocchio. Entrambi i gruppi sono stati accettati e operati con procedure identiche al fine di accorciare i tempi di degenza. Per i pazienti del gruppo A, operati presso il Presidio Ospedaliero San Giuliano, non era prevista alcuna procedura di blood management. Nei 20 pazienti del gruppo B, operati presso l’Ospedale del Mare, abbiamo applicato i principi fondamentali del PBM. Il numero dei pazienti sottoposti a trasfusioni nei due gruppi sono stati i seguenti: nel gruppo A 15 pazienti (75%) sono stati trasfusi con sacche da donatore; nel gruppo B nessun paziente è stato trasfuso. Il LOS è stato di 13,2 giorni per i pa-zienti appartenenti al gruppo A e di 6,3 giorni per i pazienti del gruppo B.Il PBM quindi, migliora l’outcome dei pazienti e riduce notevolmente i costi, confermando la validità del lean thinking e del DMAIC nel migliorare i processi produttivi in Sanità.

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Il Management in SanitàIl valore delle competenze e il confronto delle esperienze

TESI AREA TEMATICA

Comunicazione organizzativa sanitaria, project-management e gestione dei gruppi di lavoro

Tutor: Alessandra Dionisio

La supervisione allargata: strumento di team building per il miglioramento della presa in carico del paziente complesso e del benessere organizzativo.L’esperienza del progetto formativo condotto presso il DSM dell’ASL Napoli 3 Sud

Emilia AscoliDirigente Medico di Psichiatria presso l’UOSM 24 e 31 /73 – DSM,ASL Napoli 1 Centro

La costruzione della casa di vetro: comunicare la trasparenza nella Pubblica Amministrazione – Il caso SORESA

Virgilio BarbatiDirettore del Personale e degli Affari Generali di SORESA SPA, Responsabile per i Rapporti Sindacali, Responsabile del Sistema di Gestione della Qualità (RGQ),Responsabile per la Prevenzione della Corruzione e Responsabile del ProgrammaTriennale per la Trasparenza (RPCT)

Dalla sordità all’impianto cocleare: progetto di miglioramento del governo delle dinamiche comunicative per l’ottimizzazione dei processi organizzativi nella UOC ORL dell’AORN Azienda dei Colli

Marcello BarillaroDottore in Tecniche Audiometriche presso l’UOC di ORL,Azienda Ospedaliera dei Colli Ospedale Monaldi

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Il Management in SanitàIl valore delle competenze e il confronto delle esperienze

Il management degli aspetti organizzativi: l’invecchiamento della popolazione lavorativa e la questione di genere

Mariarosaria BasileDirettore dell’UOC e RSPP Aziendale,ASL Napoli 2 Nord

L’ Evoluzione di SORESA SPA dal 2006 al 2018: dalla mission unica con prospettiva temporale limitata alle nuove sfide assegnate come braccio operativo della Regione Campania. Una nuova identità da comunicare

Gennaro FerrignoFunzionario presso la Direzione Amministrativa SORESA SPA

Soresa l’evoluzione del soggetto aggregatoreGiovanni PorcelliAmministratore Unico di ARPAC Multiservizi SRL

La gestione del fine vita: un protocollo per il miglioramento della qualità, dell’assistenza e dell’accoglienza nell’AORN A. Cardarelli di Napoli

Romolo VillaniDirettore dell’UOC Terapia Intensiva Grandi Ustionati, Centro Antiveleni,Attività anestesiologiche in emergenza, AORN A. Cardarelli Napoli

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Il Management in SanitàIl valore delle competenze e il confronto delle esperienze

La supervisione allargata: strumento di team building per il miglioramento della presa in carico del paziente complesso e del

benessere organizzativo. L’ esperienza del progetto formativo condotto presso il DSM dell’ASL Napoli 3 Sud

Emilia AscoliDirigente Medico di Psichiatria presso l’UOSM 24 e 31 /73 – DSM,

ASL Napoli 1 Centro

Il seguente lavoro propone l’analisi dello strumento della supervisione all’interno di un Dipartimento di Salute Mentale nella gestione dei pazienti con disagio psi-chico complesso. L’obiettivo del lavoro è valutare se lo strumento psicoanalitico della supervisione possa essere applicato nell’ambito Istituzionale mettendo in risalto le criticità e quanto esso possa influire sia sull’efficacia, sull’appropriatez-za della gestione del percorso diagnostico-terapeutico e assistenziale dei pazienti complessi, che sulle relazioni professionali degli e tra gli operatori.La valutazione dell’efficacia, condotta presso DSM dell’ASL Napoli 3 Sud, è stata effettuata attraverso la registrazione numerica delle presenze dei Sanitari dei singoli gruppi agli incontri programmati, l’analisi delle percentuale delle pre-senze agli incontri, dalla rilevazione dei tassi di assenza/presenza (out-takes) e inoltre il numero totale di elaborati prodotti da ciascun Sanitario sui casi clinici complessi, nelle varie tematiche, nell’arco temporale 2013-2017. Successivamen-te è stato valutato sia il grado di soddisfazione degli operatori attraverso l’analisi delle risposte alle schede di gradimento, sia il miglioramento delle prassi operati-ve in termini di contenimento dei ricoveri in reparti di Psichiatria e Case di Cura e dei costi annuali (elementi non omogenei e disaggregati).L’analisi di processo ha mostato la fotografia di un’Istituzione in cui è possibile pensare e ripensare al lavoro clinico con i pazienti, tenendo in mente sia gli aspetti Istituzionali (in termini di vincoli, ruoli, responsabilità, etc.), inerenti al proprio lavoro e alla propria funzione di curanti, sia il ruolo della famiglia e dei gruppi di origine dei soggetti in carico presso le varie Unità Operative di Salute Mentale e nelle strutture di ricovero, sia gli aspetti emotivi e relazionali che si attivano nella relazione, non sempre semplice, con la grave sofferenza psichica.Si è, quindi, ritenuta utile l’esperienza in oggetto alla luce dei risultati positivi che tale lavoro ha prodotto e anche in considerazione dell’originalità dell’approccio: per quanto noto e diffuso in altri settori, infatti, esso è ancora poco utilizzato in ambito sanitario con gruppi allargati, non strettamente legati alla singola équipe di lavoro.

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La costruzione della casa di vetro: comunicare la trasparenzanella pubblica amministrazione - Il caso SORESA

Virgilio BarbatiDirettore del Personale e degli Affari Generali di SORESA SPA, Responsabile per i

Rapporti Sindacali, Responsabile del Sistema di Gestione della Qualità (RGQ),Responsabile per la Prevenzione della Corruzione e Responsabile del Programma

Triennale per la Trasparenza (RPCT)

L’evoluzione del rapporto tra cittadino e Pubblica Amministrazione ha trasforma-to il primo da semplice fruitore di servizi ad attore e giudice della cosa pubblica in ordine, soprattutto, alle scelte e agli orientamenti degli amministratori nazionali e locali sull’utilizzo delle risorse economiche disponibili. L’utilizzo di queste ulti-me, infatti, secondo la dottrina prevalente, sia nazionale che europea, deve essere fatta secondo criteri di economicità, trasparenza, efficienza ed efficacia.La trasparenza viene recepita, pertanto, sia quale rimedio essenziale per la miglio-re allocazione di tali risorse che per la prevenzione della corruzione e della mala amministrazione.Per il raggiungimento di questi obiettivi, il legislatore nazionale ha messo in cam-po una serie di norme che partono dal 1990 con la promulgazione della L. 241 (“Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi” e s.m.i.) fino al D. Lgs. 97/2016 (“Revisione e sem-plificazione delle disposizioni in materia di prevenzione della corruzione, pubbli-cità e trasparenza, correttivo della legge 6 novembre 2012, n. 190 e del decreto legislativo 14 marzo 2013 in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche”).Sarà trattato il caso di SORESA SPA (Società Regionale per la Sanità) società controllata al 100% dalla Regione Campania, operante quale braccio operativo della stessa, nell’ambito del Polo Sanità con lo scopo di prestare servizi di sup-porto alla Direzione Generale per la Salute, alle Aziende Sanitarie Locali e alle Aziende Ospedaliere della Regione.Il buon uso del denaro pubblico unito a una serie di best practice di cui SORESA SPA si è dotata perseguendo i concetti di trasparenza, economicità, efficacia ed efficienza hanno avuto una immediata ricaduta sia in termini di risparmio di spesa e, quindi, di migliore allocazione delle risorse finanziarie disponibili.La costruzione di “Una casa di Vetro”, come luogo di accesso immediato e traspa-rente di informazioni, appare, pertanto, uno step necessario al fine di perseguire gli obiettivi.

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Dalla sordità all’impianto cocleare: progetto di miglioramento del governo delle dinamiche comunicative per l’ottimizzazione dei

processi organizzativi nella UOC ORL dell’AORN Azienda dei Colli

Marcello BarillaroDottore in Tecniche Audiometriche presso l’UOC di ORL,

Azienda Ospedaliera dei Colli Ospedale Monaldi

L’incidenza delle sordità congenite è del 3 per mille ed è la prima causa di sordità dell’età scolare. Il 60% delle sordità prelinguali sono dovute a cause ereditarie. Questo tipo di sordità è di tipo profondo e spesso bilaterale, per cui non si può raggiungere un livello soddisfacente di recupero uditivo e per questo motivo si ricorre all’impianto cocleare che ripristina la percezione sonora.Si rende necessaria ed ormai inderogabile l’istituzione della figura di un Dirigen-te Magistrale di Tecniche Diagnostiche con compiti di tutoraggio tra ospedale e territorio per la presa in carico degli impiantati al momento della dimissione ospedaliera. Inoltre è auspicabile istituire una Rete Protetta di Audiologia e attua-re una scheda informatica operativa che sia efficace, efficiente e trasparente per la gestione e il monitoraggio delle criticità successive all’impianto.Gli impiantati cocleari dovrebbero avere la possibilità di poter essere seguiti dopo l’impianto in qualsiasi ambulatorio territoriale specializzato, attraverso la crea-zione di una Piattaforma Digitale Crittografata, in grado di soddisfare le esigenze per il corretto funzionamento dell’impianto cocleare in tutti i suoi componenti. Ulteriori indicazioni migliorative alla metodica dovrebbero prevedere la presa in carico del paziente in tutte le fasi del processo mediante la creazione di una App dotata di Gps gestita da tutta l’équipe della Azienda Dei Colli per avere in-formazioni in tempo reale sullo stato clinico del paziente e poterlo aiutare anche in caso di Emergenza e/o di Urgenza; l’istituzione di un database Open Office su piattaforma Health LINUX UBUNTU a basso costo (5 euro), contenente la storia clinica degli impiantati, in grado di fornire informazioni utili per il supporto agli Operatori Sanitari, sia ospedalieri che territoriali, come i Riabilitarori, gli Psico-logi, gli Psichiatri e i Medici di Medicina Generale. L’obiettivo è l’ intervento precoce e continuativo al fine di raggiungere una ridu-zione soddisfacente del numero dei drop-out, spesso dovuti ad una presa in carico parziale e in affanno rispetto alle aspettative del benessere psico-fisico-sociale, compromettendo il rendimento scolastico e/o lavorativo fino a una condizione di disabilità permanente.

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Il management degli aspetti organizzativi: l’ invecchiamento della popolazione lavorativa e la questione di genere

Mariarosaria BasileDirettore dell’UOC e RSPP Aziendale,

ASL Napoli 2 Nord

L’ergonomia si occupa dell’adattamento delle condizioni di lavoro alle capacità e alle caratteristiche del lavoratore e delle possibilità di adattamento dell’uomo alle mansioni che è chiamato a svolgere; non riguarda soltanto l’adattamento delle attrezzature di lavoro alle caratteristiche antropometriche ed anatomiche dell’in-dividuo, ma si occupa anche dell’organizzazione a misura d’uomo del lavoro, del suo contenuto e dell’ambiente in cui si svolge. Una cattiva organizzazione del posto di lavoro può arrecare danni fisici al lavoratore e i disturbi fisici si ripercuo-tono sul rendimento del lavoratore fino ad assenze non programmate che possono comportare un ulteriore impatto negativo alla già precaria organizzazione lavo-rativa. In casi estremi l’organizzazione sbagliata della postazione e dell’attività lavorativa può condurre all’inabilità e all’invalidità. Questo va a scapito non solo della singola impresa, ma può talvolta coinvolgere e influenzare altri settori della economia del paese.Un ambiente di lavoro progettato in modo ergonomicamente corretto contribuisce a ridurre il rischio di infortunio ed è possibile trovare una soluzione globale ai problemi legati alla sicurezza sul lavoro. Oggetto della tesi è l’analisi del contesto lavorativo con riguardo alle ricadute organizzative legate al genere e all’età della popolazione lavorativa: genere ed età sono indubbiamente elementi sempre più rilevanti nella normativa che regola il mercato del lavoro disciplinando tratti essenziali del rapporto lavorativo e ciò sia in merito alle politiche antidiscriminatorie e di incentivazione dell’occupazione, soprattutto femminile e giovanile, ma anche adulta, che a quelle di inasprimento dei requisiti per il pensionamento e, con esso, del significativo prolungamento della permanenza in servizio, discendente dal consistente aumento della speranza di vita della popolazione e, allo stesso tempo, dal suo rapido invecchiamento.Il modello organizzativo del lavoro laddove risponde alle capacità e alle esigen-ze dell’individuo, diminuisce il sovraccarico fisico e la relativa stanchezza del lavoratore. Inoltre, la sua motivazione aumenta. Tutti questi fattori influiscono positivamente sulla qualità, sulle prestazioni e sulla produttività. È pertanto utile all’economia Aziendale modulare il lavoro e i luoghi di lavoro nel rispetto della tipologia dei lavoratori con un approccio tecnicistico-oggettivo, rivalutando la soggettività al fine di progettare gli indicatori per rilevare i determinanti di salute sia psicofisici che socioeconomici.

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L’evoluzione di SORESA SPA dal 2006 al 2018: dalla mission unica con prospettiva temporale limitata alle nuove sfide assegnate come braccio operativo della Regione Campania. Una nuova identità da comunicare

Gennaro FerrignoFunzionario presso la Direzione Amministrativa SORESA SPA

SORESA SPA è oggi una realtà rilevantissima, tra le prime realtà nel panorama italiano dei Soggetti Aggregatori e delle Centrali di Committenza, come certifica-to da primari enti di ricerca universitari, tra cui l’Università Bocconi, che la col-locano come prima assoluta tra le centrali regionali per importo d’indizione delle gare e tra le principali per volumi messi a gara. Descrivere e discettare su cosa sia SORESA SPA oggi, su come sia cambiata dalla sua costituzione e come vada posizionata in termini di comunicazione verso gli stakeholder, non può prescin-dere da quello che fu il motivo di costituzione ed il primo incarico assegnatole, che rappresenta, a torto o a ragione, il primo banco di prova per una società che all’epoca non aveva alcuna struttura organizzativa e poteva contare soltanto sulla guida e le indicazioni di un presidente che oggi si potrebbe definire “skillato”, un team di “prestatori d’opera intellettuale” che furono guide operative con esperien-za in materia contabile-finanziaria ed un gruppo di giovanissimi: neolaureati, ani-mati da tanta buona volontà, spirito di collaborazione e sana incoscienza rispetto ad attori e valori economici in gioco.Nel nostro Paese la disciplina legislativa in materia di appalti si è da sempre caratterizzata per aver regolato minuziosamente con norme di dettaglio le proce-dure di selezione e di affidamento delle gare d’appalto. L’attenzione ai modelli organizzativi, in sostanza “a chi fa cosa” in materia di appalti pubblici, ha iniziato ad imporsi in relazione a tematiche non facilmente armonizzabili tra loro: 1) la crisi economica iniziata negli anni ’90 alla quale è conseguita la necessità di porre argini e razionalizzare la spesa pubblica, 2) il nuovo contesto ordinamentale origi-nato dalla Riforma del Titolo V della nostra Carta Costituzionale, 3) il susseguirsi di fenomeni corruttivi. Ne è emerso un percorso, ad oggi tutt’altro che concluso, nel quale si sono iniziati a sperimentare modelli organizzativi di approvvigio-namento assai variegati, ispirati a logiche e principi talora anche molto distanti.La Centralizzazione degli appalti si è proposta nel nostro Paese attraverso 3 for-me diverse: le convenzioni CONSIP; il mercato elettronico; i Sistemi Telematici Regionali.A questi modelli si sono poi aggiunti negli ultimi anni le Centrali Uniche di Com-mittenza ed i Soggetti Aggregatori della Domanda.

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Soresa l’evoluzione del soggetto aggregatore

Giovanni PorcelliAmministratore Unico di ARPAC Multiservizi SRL

Questo lavoro nasce dalla necessità di rendere noto il processo che ha portato all’evoluzione di SORESA SPA da centrale d’acquisto a soggetto aggregatore e la normativa che lo ha reso possibile. Nella fattispecie, scopo ultimo è stato quello di sottolineare come, nella crescita di SORESA SPA, si sia tenuto conto della neces-sità non solo di attuare tutte le misure necessarie a garantire gli obiettivi di razio-nalizzazione della spesa, ma anche di dar vita ad un nuovo paradigma che avesse come elemento centrale il paziente/utente del Sistema Sanitario Regionale.

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La gestione del fine vita: un protocollo per il miglioramento della qualità, dell’assistenza e dell’accoglienza nell’AORN A. Cardarelli di Napoli

Romolo VillaniDirettore dell’UOC Terapia Intensiva Grandi Ustionati, Centro Antiveleni,

Attività anestesiologiche in emergenza, AORN A. Cardarelli Napoli

La scelta di garantire al malato una terapia palliativa piuttosto che una aggressiva o invasiva rappresenta per il medico una delle decisioni più difficili da prendere. Lo sforzo di definire modalità di comportamento omogenee che, pur tenendo con-to delle diverse impostazioni etiche o religiose degli operatori, pongano al centro il paziente con la sua sofferenza e la sua dignità, hanno portato, attraverso per-corsi di confronto e condivisione, a sviluppare il concetto di “End of Life Care” come un percorso clinico-assistenziale nelle aeree di comunicazione con paziente e familiari, con limitazione dei trattamenti intensivi e individuando cure palliative nel fine vita.Questo progetto ha l’obiettivo di definire un percorso clinico-assistenziale che serva da punto di riferimento per gli operatori coinvolti nella gestione del malato morente ed allo stesso tempo fornisca un supporto a pazienti e familiari all’inter-no dell’Ospedale Cardarelli di Napoli.

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TESI AREA TEMATICA

Management della prevenzione, dell’integrazionesocio-sanitaria, della medicina territoriale

Tutor: Grazia Formisano, Laura Leoncini

Lo sviluppo di un percorso diagnostico terapeutico assistenziale per la presa in carico riabilitativa del paziente con frattura del femore presso l’AORN A. Cardarelli di Napoli: un possibile modello organizzativo

Maria Grazia BarberioDirigente Avvocato presso l’UOC Affari Legali,AORN A. Cardarelli di Napoli

Management delle maxiemergenze: il PEIMAF nel PO dott.ssa Anastasia Guerriero di Marcianise

Antonella CristofaniniSpecialista Ambulatoriale presso il Dipartimento di Prevenzione,ASL Napoli 2 Nord

Lo sviluppo di un progetto di prevenzione della malnutrizione proteico-energetica nel paziente ospedalizzato: proposta di una cartella nutrizionale come strumento di screening, diagnosi e prevenzione delle complicanze e ricadute economiche in termini di risparmio nella spesa sanitaria

Concetta Del PianoDirigente Medico di I livello presso la UOSD di Nutrizione Clinica Area Nolana, Ospedale di Nola

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La razionalizzazione e la sistematizzazione dei percorsi di prevenzione e gestione del carcinoma polmonare: costruzione di un modello virtuoso tra criticità attuali e prospettive future

Danilo RoccoPhD, MD presso l'UOC Pneumologia ad Indirizzo Oncologico, Azienda Ospedaliera dei Colli Monaldi, Napoli

Un’ipotesi di recupero dell’appropriatezza in ambito ostetrico-ginecologico. L’esperienza in un PO di ASL alla luce delle vigenti disposizioni inerenti i tagli cesarei in ottica LEA

Giuseppe RotaDirigente Medico presso l'UOC di Ginecologia ed Ostetricia,PO Frattamaggiore, ASL Napoli 2 Nord

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Lo sviluppo di un percorso diagnostico terapeutico assistenziale per la presa in carico riabilitativa del paziente con frattura del femore presso

l’AORN A. Cardarelli di Napoli: un possibile modello organizzativo

Maria Grazia Barberio Dirigente Avvocato presso l’UOC Affari Legali,

AORN A. Cardarelli di Napoli

Attualmente l’obiettivo principale che il Servizio Sanitario intende raggiungere è mettere al centro del percorso di cura la persona in tutta la sua complessità. Tale cambiamento implica anche trasferire l’approccio diagnostico e terapeuti-co dall’ospedale al territorio, in modo che entrambi operino non come momenti autonomi e separati in ogni fase, ma in modalità, per così dire, simbiotica attra-verso l’attivazione di consequenziali processi di interazione. Si rende necessario attuare un nuovo modello gestionale e tra questi vi è il Chronic Care Model che introduce un approccio “proattivo”, improntato al paradigma preventivo, mirato ad evitare o rinviare nel tempo la progressione della malattia e a promuovere l’empowerment del paziente e la qualificazione del team assistenziale (sanitario e sociale). Tra gli strumenti di traduzione organizzativa ed operativa del Chronic Care Model vi è il Percorso Diagnostico Terapeutico Assistenziale (PDTA). Il PDTA è un metodo utilizzato per la revisione critica ed il ridisegno degli iter assi-stenziali di specifici target di pazienti, un percorso che include anche l’assistenza alla persona e il sostegno psicologico e sociale. L’attivazione dei PDTA implica la partecipazione di diversi setting sia a livello ospedaliero che territoriale ma tutti però devono riuscire a garantire la presa in carico del paziente e la continuità tra ospedale e territorio, integrandosi tra loro in un’unica rete assistenziale. Si è scel-to a tal fine di prendere in considerazione il Percorso Assistenziale e Riabilitativo del paziente con la frattura del femore presso l’AORN A. Cardarelli.Tale percorso prevede l’elaborazione di un piano individuale che accompagni il paziente, affetto da tale patologia, dalla fase acuta sino a quella domiciliare. Con delibera del Direttore Generale n. 491/2018, l’AORN A. Cardarelli ha pro-ceduto all’approvazione del documento tecnico relativo al Percorso Riabilitativo della persona con frattura di femore (rif. Decreto CA n.69/2017) la cui attuazione è in itinere nella suddetta Azienda. In merito all’adozione di tale modello, l’AORN ha inteso favorire il recupero funzionale del paziente attraverso la riduzione di eventuali complicanze e di disabilità residue al fine di favorire la rapida ripresa dello stesso alle attività della vita e ad un precoce ed adeguato reinserimento sociale.

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Management delle maxiemergenze: il PEIMAF nel PO dott.ssa Anastasia Guerriero di Marcianise

Antonella CristofaniniSpecialista Ambulatoriale presso il Dipartimento di Prevenzione,

ASL Napoli 2 Nord

L’organizzazione dei soccorsi sanitari, necessaria ad affrontare situazioni di emergenza caratterizzate da un elevato numero di feriti, rappresenta un elemento strategico che mette alla prova il sistema di emergenza territoriale e la rete dell’emergenza ospedalie-ra. La redazione di un piano d’emergenza che contempli l’insieme delle procedure ope-rative d’intervento da attuarsi nel caso si verifichi un evento rappresenta lo strumento che consente di coordinare i soccorsi, a tutela sia dei ricoverati sia del personale, al fine di mantenere livelli di assistenza efficaci ed efficienti anche in occasione di situazioni di emergenza straordinarie interne od esterne alla struttura ospedaliera. Purtroppo però, sono ancora molte le diffidenze nei confronti della Medicina delle Catastrofi, disciplina che in Italia stenta ad inserirsi stabilmente nel contesto sanitario e sociale. Di fatti la cattiva gestione di una maxiemergenza deriva spesso, più che dall’inadeguatezza delle risorse, dall’errata distribuzione di esse alle vittime. La gran-de emergenza, invece, non può essere affrontata come un’emergenza ordinaria, ma necessita di una mentalità specifica che si acquisisce con l’applicazione della dottrina, l’adattabilità delle componenti operative e la verifica dei risultati. È necessario con-frontare i risultati ottenuti, attuare le verifiche e promuovere la cultura necessaria per consentire il raggiungimento di quegli standards così scontati ed evidenti all’estero.Anche nel PO “Dott.ssa Anastasia Guerriero” le principali difficoltà trovate nella ste-sura del PEIMAF sono legate innanzitutto alla poca esperienza nella gestione delle maxiemergenze. Altro elemento che ha creato delle difficoltà nella stesura del piano è la mancanza di alcune Unità Operative fondamentali nella gestione di una maxie-mergenza come la Rianimazione e l’Ortopedia. Sulla scorta di ciò diviene ancora più importante il ruolo della Catena dei Soccorsi, cui spetta il compito fondamentale di smistare i pazienti nei reparti competenti tenendo conto delle loro patologie. Inoltre, non tralasciando l’aspetto importantissimo delle gravi carenze di personale (medici, infermieri ed ausiliari) che in Regione Campania pesano più che in altre regioni italia-ne, è proprio l’adattabilità delle varie componenti operative l’elemento più complesso con il quale ci si è dovuti rapportare. Il PEIMAF infatti, così come definito nelle linee guida, deve essere formulato sulle strutture e sugli organici esistenti, garantendo lo stesso standard di assistenza anche nei periodi di flessione del personale, ed essere adattabile a qualunque tipo di emergenza.

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Lo sviluppo di un progetto di prevenzione della malnutrizione proteico-energetica nel paziente ospedalizzato: proposta di una

cartella nutrizionale come strumento di screening, diagnosi e prevenzione delle complicanze e ricadute economiche in

termini di risparmio nella spesa sanitaria

Concetta Del Piano Dirigente Medico di I livello presso la UOSD di Nutrizione Clinica Area Nolana,

Ospedale di Nola

La Malnutrizione Proteico Energetica (MPE) rappresenta una patologia trascu-rata, ma la sua prevalenza supera il 50% tra i pazienti ricoverati in ospedale. La MPE è presente, infatti, nel 30% dei pazienti all’ingresso in ospedale (con un peggioramento dello stato malnutritivo durante il ricovero), mentre un altro 30% di pazienti, non malnutrito in ingresso, lo diventa durante il ricovero. Le conse-guenze della MPE durante il ricovero sono molto serie e includono un aumento di complicanze (piaghe da decubito, infezioni, cadute), con aumento delle gior-nate di degenza, più frequenti ricoveri ripetuti, costi superiori anche di tre volte e rischio di mortalità raddoppiato. A tutt’oggi tuttavia la MPE è misconosciuta. Sulla scorta di raccomandazioni del feed Medical Education Global Study Group (che include membri di tutti i continenti) si propone un piano di analisi del rischio di MPE nei pazienti all’ingresso in ospedale, in modo da identificare i pazienti a rischio di MPE e da trattare quelli già malnutriti in ingresso. Scopo del presente studio è la proposta di una cartella nutrizionale e di un algo-ritmo nutrizionale che facilitino la diagnosi, il trattamento e il monitoraggio della MPE. L’utilizzo di entrambi consentirebbe di ridurre complicanze e relativi costi di degenza. Alla dimissione, inoltre, faciliterebbe la trasmissione di dati inerenti il paziente ai servizi di NAD territoriali, facilitando il follow up della patologia, nell’ottica di un’azione di prevenzione e di terapia che migliori l’outcome del paziente.È stato, altresì, calcolato il costo relativo all’aumento di giornate di degenza cau-sato dalla MPE ospedaliera e dalle sue complicanze analizzando i dati dei ricoveri effettuati nell’anno 2017 presso l’Ospedale di Nola.

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La razionalizzazione e la sistematizzazione dei percorsi di prevenzione e gestione del carcinoma polmonare: costruzione di un

modello virtuoso tra criticità attuali e prospettive future

Danilo RoccoPhD, MD presso l'UOC Pneumologia ad Indirizzo Oncologico,

Azienda Ospedaliera dei Colli Monaldi, Napoli

Attualmente, il carcinoma polmonare si configura sia come il tipo di neoplasia maggiormente diagnosticato, con circa 1.400.000 nuovi casi ogni anno pari al 12,4% di tutti i nuovi casi di cancro, sia come la principale causa di mortalità neoplastica, essendo responsabile, da solo, del 20% delle morti per cancro nel mondo. Basti pensare che, a titolo esemplificativo, ogni anno negli Stati Uniti le morti per cancro del polmone sono equivalenti alla somma di quelle per cancro della mammella, della prostata e del colon.Pertanto, prendendo le mosse dall’elevato impatto clinico-sanitario-epidemiolo-gico del carcinoma polmonare, la seguente tesi si pone l’obiettivo di indagare lo stato attuale, i limiti e le possibili prospettive nell’ambito del management della prevenzione primaria (vale a dire l’insieme delle azioni mirate a eliminare le cau-se che provocano la patologia) e secondaria (ovverosia lo sviluppo di tecniche che permettano una diagnosi precoce di malattia o early detection) del carcinoma polmonare. Nello specifico, si dedica particolare attenzione all’early detection, tenendo presente che l’opzione chirurgica, che ad oggi offre la prognosi migliore nel trattamento di queste neoplasie, risulta praticabile solo nel 20% circa dei casi, proprio perché la grande maggioranza delle diagnosi avviene quando la malattia è ormai già metastatica (stadio IIIB/IV classificazione TNM), vanificando conse-guentemente questa opzione.Contestualmente, si esaminano le principali criticità associate ai percorsi di ge-stione del paziente affetto da questa neoplasia, troppo spesso gravati da man-canza di omogeneità organizzativa, diagnostico-terapeutica e tempistica, adot-tando come riferimento normativo e clinico lo strumento offerto dai Percorsi Diagnostici Terapeutici e Assistenziali (PDTA) sorti sulla scorta delle linee guida dell’OMS, evidenziandone luci e ombre e fornendo spunti e proposte di miglio-ramento nell’ottica di una possibile e necessaria razionalizzazione e piena attua-zione futura.

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Un’ipotesi di recupero dell’appropriatezza in ambitoOstetrico-Ginecologico. L’esperienza in un PO di ASL alla luce

delle vigenti disposizioni inerenti i tagli cesarei in ottica LEA

Giuseppe RotaDirigente Medico presso l'UOC di Ginecologia ed Ostetricia,

PO Frattamaggiore, ASL Napoli 2 Nord

La salute materno-infantile è un’area prioritaria della Salute Pubblica non solo perché la gravidanza, il parto ed il puerperio sono la prima causa di ricovero per le donne in Italia, ma anche perché gli indicatori relativi all’evento nascita sono riconosciuti, a livello internazionale, tra i parametri più efficaci per valutare la qualità dell’assistenza sanitaria di un Paese, tenendo conto dell’articolazione di tre punti fondamentali: organizzazione, comunicazione ed umanizzazione.Dal 1985, la comunità medica internazionale ritiene che il tasso ideale di tagli cesarei debba essere compreso tra il 10% e il 15%. Non ci sono evidenze scien-tifiche che dimostrino i benefici del parto cesareo per le donne e i bambini ove la procedura non sia necessaria; tuttavia si è assistito ad un progressivo incremento dell’incidenza di tagli cesarei nei paesi sviluppati e non. Negli ultimi anni i go-verni e i medici hanno espresso preoccupazione in merito all’aumento del numero di interventi e al conseguente possibile impatto negativo sulla salute materno-in-fantile. La comunità internazionale ha ripetutamente posto l’attenzione sulla ne-cessità della revisione del tasso raccomandato nel 1985. Nella Regione Campania la problematica perinatale, per molti aspetti, non è omogenea a quella nazionale, essendovi una percentuale di tagli cesarei superiore alla media del Paese, con verosimile inappropriatezza di tale procedura.L’obiettivo del progetto è focalizzato sull’assistenza alle gravidanze e ai parti spontanei con l’auspicio che la procedura adottata sia condivisa dagli operatori e possa contribuire al decremento dei parti cesarei inappropriati in Regione. Il progetto mira a ridurre i tagli cesarei nella UOC di Ginecologia ed Ostetricia del PO “S. Giovanni di Dio” di Frattamaggiore (NA) - ASL Napoli 2 Nord, in modo da rispettare gli adempimenti LEA richiesti alla Regione Campania per poter accedere al maggiore finanziamento del SSN, erogando tale prestazione in condizioni di appropriatezza ed efficienza e riducendo la mobilità intraregionale. Il progetto si propone di portare la percentuale dei tagli cesarei primari alle per-centuali dettate dall’OMS, in linea con gli standard europei, e di migliorare la qualità dell’assistenza clinica introducendo una serie di cambiamenti strutturali di tipo organizzativo e culturale in un tempo progettuale di 24 mesi.Metodologicamente, la difficoltà principale nel definire il tasso ottimale di tagli

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Il Management in SanitàIl valore delle competenze e il confronto delle esperienze

cesarei, a qualunque livello, è quella di ricercare un sistema di classificazione affidabile accettato a livello internazionale. Nel 2011, l’OMS ha condotto una re-visione sistematica dei sistemi di classificazione delle procedure di taglio cesareo e ha concluso che la classificazione di Robson risponde in maniera adeguata alle attuali esigenze locali e internazionali.Il progetto prevede l’attuazione di procedure organizzative finalizzate ad ottenere la riduzione del tasso di tagli cesarei soprattutto nelle classi 1, 5 e 10 di Robson. Per il raggiungimento dell’obiettivo si è ritenuta utile l’implementazione di un ambulatorio dedicato alle pazienti primipare e precesarizzate, effettuando la sele-zione delle donne da ammettere al travaglio di prova ed alla partoanalgesia.

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TESI AREA TEMATICAOrganizzazione e gestione delle strutture sanitarie

Tutor: Vincenzo Giordano

Il trapianto di rene: un investimento produttivo nella Sanità del III millennioParide De RosaDirettore dell’UOC Nefrologia e Dialisi,AOU San Giovanni di Dio e Ruggi D’Aragona

L’ospedale 2.0 smart hospitalCrescenzo De StasioDirettore dell’Unità di Business Centro Sud Siram SPA

L’organizzazione dell’UOC di medicina nucleare del nuovo Ospedale del Mare e gli adempimenti per l’autorizzazione all’esercizio ai sensi delle normative vigenti

Milena MasoneResponsabile dell’UOC Medicina Nucleare,Ospedale del Mare ASL Napoli 1 Centro

Il percorso diagnostico terapeutico assistenziale per i tumori del pancreas esocrino

Carlo MolinoDirettore f.f. dell’UOC Chirurgia Generale,AORN Cardarelli

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Il Management in SanitàIl valore delle competenze e il confronto delle esperienze

Definizione e organizzazione di un modello assistenziale riabilitativo ad integrazione ospedale-territorio per la gestione avanzata di pazienti con frattura di femore in età superiore ai 65 anni

Nicola OrabonaDirettore dell’UOC Ortopedia,Ospedale del Mare ASL Napoli 1 Centro

Le fratture del collo del femore nei pazienti over 65: best practice clinico-organizzativa in ottica LEA del PO “San Giuseppe Moscati” di Aversa

Achille PellegrinoDirettore dell’UOC di Orto-Traumatologia,PO “San Giuseppe Moscati” di Aversa ASL Caserta

Impatto organizzativo-gestionale delle attività di ricovero nella produzione della Clinica Sanatrix SPA di Napoli per gli anni 2015-2016

Francesco PennacchioDirettore Sanitario della Clinica Sanatrix SPA

Lo screening del carcinoma mammario: prospettive ed evoluzioni assistenziali

Ruggero SaponaraDirigente Medico presso l’UOC di Senologia Chirurgica,INT – IRCSS ‟Fondazione G. Pascale”

L’interazione tra la gestione giuridico-amministrativa del budget e la sua gestione motivazionale

Alfredo VitielloDottore Commercialista

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Il Management in SanitàIl valore delle competenze e il confronto delle esperienze

Il trapianto di rene: un investimento produttivo nella Sanità del III millennio

Paride De RosaDirettore dell’UOC Nefrologia e Dialisi,

AOU San Giovanni di Dio e Ruggi D’Aragona

La migrazione sanitaria costa alla Regione Campania circa 300 milioni di euro all’anno.Sono risorse trattenute alla fonte che contribuiscono a rendere il Fondo Sanitario Regionale – assegnato per popolazione pesata, in assenza di quegli indici di depri-vazione più volte e da tanti anni sollecitati nei tavoli delle Conferenze Stato-Re-gioni – costantemente e progressivamente sempre più insufficiente per i bisogni assistenziali dei pazienti in Campania. Rappresentano anche una grande fonte di reddito per quelle Regioni che, per diverse motivazioni, sono la meta prescelta dai pazienti della Nostra Regione.I trapianti rappresentano una parte consistente dei costi per migrazione sanitaria.In particolare i trapianti di rene i quali, coinvolgendo una popolazione costituita da malati cronici, rappresentano un campo di interesse primario della program-mazione e degli interventi sanitari regionali, soprattutto ai giorni nostri, in cui il problema delle “cronicità” è stato individuato come la vera sfida del futuro. Il lavoro analizza la malattia renale cronica nella nostra Regione, la sua incidenza e prevalenza, la possibilità di previsione a breve e medio periodo, il confronto con i dati europei ed americani, i costi per il suo trattamento, differenziati tra pubblico e privato accreditato; si sviluppa, successivamente, nella valutazione del trapianto quale terapia di scelta della malattia renale cronica, confrontando i costi della procedura trapianto con quelli della terapia dialitica sostitutiva temporanea.Il ridotto numero di trapianti di rene eseguiti in Regione rispetto al fabbisogno reale è alla base della conseguente migrazione sanitaria. Prendendo ad esempio un anno di riferimento, è possibile dimostrare come solo il 50% del fabbisogno medio annuale teorico è soddisfatto nella nostra Regione e che quindi interventi specifici di potenziamento della rete donazioni e trapianti della nostra Regione sembrano essere non solo necessari per rispondere al fabbisogno di salute della popolazione ma anche per ridurre enormemente i costi sostenuti dal Sistema Sa-nitario Regionale, in quanto l’attività di trapianto di rene risulta essere un reale “investimento produttivo”, oltre che la migliore risposta di salute da poter dare ai pazienti con malattia renale in stadio terminale.

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Il Management in SanitàIl valore delle competenze e il confronto delle esperienze

L'Ospedale 2.0 Smart Hospital

Crescenzo De StasioDirettore dell’Unità di Business Centro Sud Siram SPA

Il Servizio Sanitario Nazionale (SSN) è sottoposto a un continuo cambiamento in ragione dell’innovazione tecnologica, dell’invecchiamento della popolazione e delle diverse scelte politiche regionali. L’evoluzione più evidente negli ultimi anni ha visto una razionalizzazione della rete ospedaliera con accorpamenti, ri-conversioni funzionali e dismissioni che ha portato a una riduzione delle strutture pubbliche e all’incremento delle aziende sanitarie private operanti anche grazie a convenzioni e accreditamento, secondo regole diverse in funzione della Regione di appartenenza.Il numero di posti letto degli ospedali privati accreditati rappresenta a livello na-zionale circa il 20% di quelli disponibili nel SSN, con profonde differenze a livel-lo regionale. Gli ospedali privati accreditati hanno mediamente una dimensione ridotta rispetto alle strutture pubbliche; circa il 90% delle strutture private ha meno di 150 posti letto e solo il 5% ne ha più di 300. Le strutture private hanno mediamente periodi di degenza inferiori alle strutture pubbliche nel caso di rico-veri per acuti (5 giorni rispetto ai 7), uguali nel caso di riabilitazione (25 giorni), e superiori nei casi di lungodegenti (38 contro 27). Questi aspetti si traducono in differenze nella complessità delle strutture, in genere maggiore per il settore pub-blico, e nella gestione delle stesse, legata al tipo predominante di attività svolta (analisi, chirurgia, trattamenti di medio e lungo periodo, etc.).La sanità tra pubblica e privata, sia pur con incertezze sulla quota di sanità pub-blica dedicata alle convenzioni con la privata, vale per il 2017 in Italia attorno ai 115 miliardi di euro, circa 6,5% del PIL. Le spese per l’energia, spesso inglobate in quelle di manutenzione e di gestione degli impianti o del tutto esternalizzate in altre forniture, quali la biancheria, possono essere stimate attorno al 5% delle spese totali. Analizzare questo settore è quindi di estrema importanza, collegan-dosi con le varie iniziative di riorganizzazione della spesa pubblica, cercando ogni sinergia possibile fra gestione dell’energia e gestione della spesa sanitaria, con la CONSIP (la centrale acquisti della pubblica amministrazione italiana) e le centrali di spesa regionali.La sanità non solo vale il 6,5% del PIL italiano in termini di spesa, ma rappresenta l’utenza più “energivora” nel settore dei servizi, con energy manager che gesti-scono consumi comparabili a quelli di alcune industrie di media impresa.

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Il Management in SanitàIl valore delle competenze e il confronto delle esperienze

L’organizzazione dell’UOC di Medicina Nucleare del nuovoOspedale del Mare e gli adempimenti per l’autorizzazione

all’esercizio ai sensi delle normative vigenti

Milena MasoneResponsabile dell’UOC Medicina Nucleare,

Ospedale del Mare ASL Napoli 1 Centro

L’UOC Medicina Nucleare (MN), ubicata presso il Nuovo Ospedale della zona Orientale di Napoli, il cosiddetto “Ospedale del Mare”, nel Dipartimento di Dia-gnostica per Immagini e Terapia Radiante, al momento è caratterizzata da due settori principali di diagnostica” in vivo”:- diagnostica tradizionale “in vivo” (scintigrafie, SPET, SPET/TC) che prevede

la somministrazione diretta al paziente di radiofarmaci gamma emittenti;- diagnostica d’imaging molecolare (PET/TC) che prevede la somministrazione

diretta di radiofarmaci positroni emittenti.L’UOC MN si propone di fornire prestazioni efficaci e tempestive, integrate in percorsi clinico-assistenziali coerenti con le Linee Guida emanate dalle Società Scientifiche e con i criteri della EBM (Evidence Based Medicine), nel rispetto della normativa vigente riguardo alla radioprotezione del paziente, dell’operatore e alla qualità, quale supporto imprescindibile di efficacia e sicurezza dei medici-nali.

Obiettivo del progetto. Adeguamento dell’UOC MN ai requisiti previsti dal-le normative nazionali e regionali, necessari per l’autorizzazione all’esercizio dell’attività.

Metodologia. I processi principali, cioè le sequenze reali di azioni ed eventi che sono stati necessari al funzionamento della macchina organizzativa, si sintetizza-no in:- Gestione delle tecnologie sanitarie- Gestione delle risorse umane- Gestione del sistema informativo- Gestione dell’approvvigionamento radionuclidi- Gestione smaltimento rifiuti radioattivi- Gestione del sistema qualità

Risultati. Il progetto ha condotto alla stesura di un documento che ha definito:- la “Mission”- i problemi di salute pertinenti all’UOC MN- l’elenco delle prestazioni erogabili

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Il Management in SanitàIl valore delle competenze e il confronto delle esperienze

- l’elenco dei processi principali (tecnici e gestionali) e loro declinazioni in fasi- l’identificazione delle fasi critiche per la sicurezza, per la qualità organizzati-

va, per la qualità tecnico-professionale, per la qualità dal punto di vista dell’u-tente del servizio

- l’identificazione di indicatori e requisiti di qualità, cioè strumenti appropriati per misurare i fattori critici e per monitorare le fasi critiche evidenziate.

Prospettive di sviluppo. Non viene affrontata in modo specifico la dimensione dell’efficienza. Sarà quindi utile una eventuale successiva integrazione in questo senso del materiale prodotto.Il lavoro svolto si propone come riferimento concreto (baseline) per la successiva esperienza di sperimentazione degli indicatori in Azienda, per iniziative di audit e benchmarking, per la definizione di standard di riferimento condivisi, per ulteriori iniziative di contesto regionale o nazionale.L’applicazione degli indicatori nella pratica assistenziale e organizzativa della struttura di MN potrà essere promossa secondo due prospettive possibili:- dall’interno dell’UOC: l’UOC MN valuterà se stessa e utilizzerà gli indicatori

come strumento di miglioramento della qualità e di formazione e crescita pro-fessionale;

- dall’esterno dell’UOC: l’UOC MN verrà valutata da altri livelli organizzativi del sistema, ad esempio dalla Direzione dell’Azienda, nell’ambito del processo di budgeting o dallo stesso livello regionale o, ancora, all’interno di processi di accreditamento tra pari.

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Il Management in SanitàIl valore delle competenze e il confronto delle esperienze

Il percorso diagnostico terapeutico assistenziale per i tumori del pancreas esocrino

Carlo MolinoDirettore f.f. dell’UOC Chirurgia Generale,

AORN Cardarelli

Esiste da tempo, sia in ambito Nazionale che Regionale, la consapevolezza dell’utilità della creazione delle reti oncologiche e dei percorsi privilegiati per le patologie a grave impatto sociale e sanitario.Il tumore del pancreas, in netto incremento di incidenza e con indici di sopravvi-venza a cinque anni ancora estremamente bassi, richiede una terapia multimodale e una professionalità dedicate e di alta specializzazione. I numerosi protocolli clinici condotti nell’arco di più di 30 anni non hanno migliorato la prognosi che rimane assai sconfortante benché numerosi scenari terapeutici si sono sovrap-posti e aggiunti al trattamento chirurgico che però rimane ancora oggi l’unica potenziale possibilità di cura radicale; tuttavia solo una piccola percentuale di casi può beneficiare dell’intervento chirurgico resettivo con intento radicale. Nel-la maggioranza dei casi la diagnosi è tardiva, in genere quando è già presente una invasione locoregionale o una malattia metastatica. La diagnosi e la cura devo-no essere, pertanto, pianificate attraverso l’attuazione di un percorso diagnostico terapeutico che permetta di migliorare la qualità delle cure, centralizzarle verso centri regionali di riferimento e ridurre la mobilità passiva. La messa in opera di questo percorso rappresenta una sfida per la Sanità Campana la quale, anche in considerazione del fatto che nel 2020 il cancro del pancreas rappresenterà la quinta causa di morte, dovrà essere raccolta e portata al successo per garantire un’ottimizzazione delle cure e una qualità di vita accettabile per i pazienti affetti da uno dei maggiori big killer della società contemporanea. Il percorso favorisce un dialogo oltre che un confronto ottimale non solo fra medici, ma anche fra medico e paziente, sia nell’ambito di una stessa azienda sanitaria, sia sul territorio, creando una vera e propria rete di informazioni e di possibilità terapeutiche a tutela del cittadino e della qualità delle cure stesse.

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Il Management in SanitàIl valore delle competenze e il confronto delle esperienze

Definizione e organizzazione di un modello assistenziale riabilitativo ad integrazione ospedale-territorio per la gestione avanzata di

pazienti con frattura di femore in età superiore ai 65 anni

Nicola OrabonaDirettore dell’UOC Ortopedia,

Ospedale del Mare ASL Napoli 1 Centro

L’esigenza di eseguire il trattamento chirurgico in tempi rapidi, la scelta della corretta indicazione, l’utilizzo della tecnica operatoria e dei materiali più idonei, la necessità di attivare un percorso riabilitativo rapido e di ottenere una precoce deambulazione, stanno trasformando la frattura di femore negli ultrasessantacin-quenni da routinaria in specializzata. L’assistenza si deve necessariamente avva-lere di professionalità mediche dedicate e infermieristiche specializzate, nonché di un’organizzazione assistenziale molto precisa basata su protocolli e procedure specifiche. Questa nuova mentalità medica e assistenziale deriva da una serie di fattori condizionanti:- la vita media si è allungata notevolmente;- gli ultrasessantacinquenni rappresentano oltre il 20% della popolazione;- gli anziani cadono con facilità, di conseguenza, le fratture del femore prossi-

male sono molto aumentate negli ultimi anni ed è previsto un ulteriore incre-mento nei prossimi anni;

- l’aumento della patologia traumatologica dell’anziano rischia di portare al col-lasso i reparti ortopedici per come sono attualmente strutturati.

È pertanto indispensabile essere pronti, efficienti e rapidi nel trattamento di questi pazienti fratturati.La frattura del femore prossimale nel grande anziano non deve essere un proble-ma che ricade esclusivamente sull’ortopedico-traumatologo. Per ottenere risultati validi, ottimizzare i tempi e risparmiare risorse è indispensabile un co-manage-ment tra più figure professionali:- l’ortopedico-traumatologo: deve rimanere la figura di riferimento per il pa-

ziente;- il geriatra: ha il compito di occuparsi dell’inquadramento diagnostico e della

stabilizzazione delle patologie instabili in preparazione all’intervento chirurgi-co, nel postoperatorio, invece, deve gestire l’aspetto medico internistico;

- l’anestesista: deve essere possibilmente dedicato o perlomeno esperto di gran-di anziani e utilizzare soprattutto anestesie periferiche che si sono dimostrate meglio tollerate e in grado di assicurare una maggiore sopravvivenza;

- Il fisiatra: deve intervenire molto precocemente per favorire la respirazione nel

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Il Management in SanitàIl valore delle competenze e il confronto delle esperienze

periodo di allettamento, per stimolare la mobilizzazione del paziente nell’im-mediato postoperatorio e per riportare nuovamente al carico il fratturato, con-ferendogli nuova autonomia non appena le condizioni generali lo consentano e, in ogni caso, entro i primi due-tre giorni dall’intervento. Un altro aspetto che il fisiatra deve gestire è il percorso di dimissione.

Quindi è necessario definire percorsi di assistenza specializzati, sia per i pazien-ti deambulanti che per quelli senza carico; in particolare, è necessario creare gruppi di lavoro multidisciplinari (ortopedico, fisiatra e nursing infermieristico) allo scopo di definire il percorso più idoneo per ogni paziente, tenendo conto del tipo di intervento eseguito, delle condizioni generali di salute, della possibilità o meno del carico, del grado di collaborazione e della situazione familiare, con le possibili richieste dei parenti su soluzioni personalizzate. La scelta avviene tra un ventaglio di opzioni disponibili: trasferimento a domicilio con assistenza infermieristica e/o riabilitativa, trasferimento in lungodegenza oppure in centri di riabilitazione di primo o secondo livello a seconda delle necessità del fratturato. Una volta informato il paziente e i suoi familiari si deve procedere in tempi brevi alla dimissione perché è dimostrato che dilazionare i tempi rallenta il recupero funzionale.

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Il Management in SanitàIl valore delle competenze e il confronto delle esperienze

Le fratture del collo del femore nei pazienti over 65: Best Practice clinico-organizzativa in ottica LEA

del PO “San Giuseppe Moscati” di Aversa

Achille PellegrinoDirettore dell’UOC di Orto-Traumatologia,

PO “San Giuseppe Moscati” di Aversa ASL Caserta

Il fenomeno dell’invecchiamento della popolazione, dovuto all’innalzamento del-la speranza di vita, ha determinato un incremento di fratture del collo del femore negli anziani, costituendo un gravissimo problema sociale e assistenziale. Diversi studi hanno dimostrato che a lunghe attese per l’intervento chirurgico corrisponde un aumento del rischio di mortalità e di disabilità del paziente, ragion per cui le raccomandazioni attuali prevedono che il paziente con frattura del collo del fe-more venga operato entro 48 ore dall’accesso in Pronto Soccorso (PS). Nel 2016, in Italia, i pazienti ricoverati per fratture del collo del femore sono stati circa 121.000 (dati PNE-Agenas); la proporzione di fratture del femore in pazienti over 65 anni trattate chirurgicamente entro le 48 ore è passata dal 31% del 2010 al 60% circa del 2016. La Regione Campania con Decreto Commissariale n. 132 del 31 dicembre 2013 ha approvato il “Documento d’indirizzo per la definizione del percorso assisten-ziale nelle fratture di femore nel paziente anziano”. I ricoveri per fratture del femore avvenuti presso il PO “San Giuseppe Moscati” di Aversa (CE) nel 2016 sono stati più di 250, con trend stazionario rispetto agli anni precedenti (dati PNE-Agenas). Con l’entrata in vigore della direttiva regionale, la percentuale di interventi chirurgici eseguiti entro le 48 ore ha subito un rapido incremento pas-sando da valori intorno al 10% (8% nel 2012 e 13% nel 2013) a valori pari o su-periori al 60% (61% nel 2014; 60% nel 2015 e 67% nel 2016), riducendo in modo significativo sia la degenza media preoperatoria che i giorni di ricovero totale. La UOC di Orto-Traumatologia del suddetto PO, di concerto con la Direzione Sanitaria e con le UUOOCC di Anestesia e Rianimazione, di Cardiologia e del Centro Trasfusionale, ha stilato e approvato un documento per il Fast-Track delle fratture del femore prossimale (Percorso Assistenziale) che prevede l’attribuzione al triage del codice giallo e l’attivazione di un protocollo diagnostico-terapeutico con criteri di inclusione ed esclusione all’intervento chirurgico entro le 48 ore dall’accesso in PS. L’introduzione del Fast-Track ha determinato una diminuzio-ne sia della degenza media preoperatoria (3,4 giorni nel 2014; 3,2 giorni nel 2015 e 2,6 giorni nel 2016) che postoperatoria (5,5 giorni nel 2014; 4,5 giorni nel 2015 e 4 giorni nel 2016), con una marcata riduzione delle complicanze tale da evitare

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Il Management in SanitàIl valore delle competenze e il confronto delle esperienze

lunghe degenze ospedaliere e riabilitative e, quindi, un aggravio di costi diretti, indiretti e sociali. Nel triennio 2014-2016 le fratture del femore prossimale nei pazienti over 65 anni trattate chirurgicamente entro le 48 ore sono state 343 su 545 (63%), mentre nel 2017, al 30 settembre, sono state 165 su 241 (75,5%) (dati Archivio ASL Caserta).In un momento così delicato della Sanità Italiana, dove “tagli” e “spending re-view”, “medicina difensiva” e “controversie medico-legali” condizionano sempre più il timing e l’approccio terapeutico, il Fast-Track non rappresenta un mero obiettivo aziendale, ma un’azione efficace e tempestiva che permette al “paziente fragile”, sia “anziano” che “grande anziano”, di beneficiare di cure che assicurano il ritorno agli atti quotidiani della vita quo ante l’evento traumatico e una minore incidenza di complicanze e di aggravamenti delle condizioni cliniche pregresse già compromesse. Tuttavia, bisogna tener conto che, a fronte di un miglioramento delle condizioni cliniche nelle prime 24 ore, non si è modificata sostanzialmente la mortalità a 30 giorni. La non drastica riduzione della mortalità a 30 giorni, però, non deve far desistere da un protocollo che ha come obiettivo principale il miglioramento delle condizioni cliniche del paziente fratturato che, a causa dell’immobilità, va inevitabilmente incontro a una serie di complicanze sistemi-che che rendono altamente complessa la sua gestione.

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Il Management in SanitàIl valore delle competenze e il confronto delle esperienze

Impatto organizzativo-gestionale delle attività di ricovero nella produzione della clinica Sanatrix SPA di Napoli per gli anni 2015-2016

Francesco PennacchioDirettore Sanitario della Clinica Sanatrix SPA

Le informazioni sulla struttura, l’attività, il personale e i costi ospedalieri sono molto importanti al fine di un’ottimale allocazione delle risorse disponibili.In particolare, le attività di ricovero della Clinica Sanatrix SPA e la produzione per le diverse discipline che afferiscono alla struttura, oggetto del presente ela-borato, definiscono in modo rilevante le caratteristiche cliniche delle patologie trattate, ma rappresentano anche un “indicatore” complessivo della funzionalità della struttura nell’ambito del territorio della ASL Napoli 1 Centro.È stata eseguita un’analisi della casistica della Clinica Sanatrix SPA, in ragione della sua complessità e dei principali indicatori di performance che definisco-no sinteticamente i punti di forza e di debolezza della struttura, prendendo in considerazione anche i dati del Programma Nazionale Esiti (PNE) per gli anni 2015-2016. È stata realizzata, quindi, una fotografia degli anni 2015-2016 al fine di definire le priorità di intervento in rapporto alla fotografia stessa che diventa, di fatto, il reale indicatore di benchmarking e indicatore di performance. Sulla base dei dati analizzati per la Clinica Sanatrix SPA, infatti, è stato condiviso dalla Direzione Strategica Aziendale, di concerto con la Direzione Sanitaria, un Piano di Azione in un’ottica organizzativa nuova e con una maggiore formazione del personale interessato, con la possibilità di coinvolgere i clinici in modo consape-vole e partecipato in quanto interfaccia tecnica rispetto alla verifica dell’outcome erogativo (DRG).Le interconnessioni tra i flussi informativi, le elaborazioni metodologicamente rigorose dei dati, le letture e le interpretazioni ragionate dei risultati sono di fon-damentale importanza per il supporto dei processi decisionali e delle attività di monitoraggio dell’assistenza sanitaria, rivolti a garantire e a mantenere l’univer-salità, la qualità e l’equità del Servizio Sanitario Nazionale.

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Il Management in SanitàIl valore delle competenze e il confronto delle esperienze

Lo screening del carcinoma mammario: prospettive ed evoluzioni assistenziali

Ruggero SaponaraDirigente Medico presso l’UOC di Senologia Chirurgica,

INT – IRCSS ‟Fondazione G. Pascale”

Il presente lavoro ha come obiettivo lo studio dello stato dello screening del can-cro della mammella in Italia, partendo da un’attenta analisi della normativa delle diverse Regioni e Province Autonome. Sono stati valutati i volumi e gli esiti ad esso correlati. Sono stati, inoltre, descritti e definiti i requisiti quali-quantitativi delle reti dei Centri di Senologia e le modalità di valutazione e verifica dei pro-grammi stessi con monitoraggio dei flussi informativi e della gestione dati con indicatori di esito e di processo.Particolare attenzione è stata posta sulla necessità di migliorare e di diffondere i programmi di prevenzione mammaria su tutto il territorio nazionale, auspicando nuovi modelli di prevenzione sulla valutazione del rischio individuale allargato anche alle fasce di popolazione più giovani di quelle attualmente invitate dai pro-grammi nazionali di screening, con particolare attenzione alla problematica del rischio eredo-familiare. L’evidenza della particolare complessità della patologia, espressa dalle nuove conoscenze biologiche, rende ancora più evidente che la probabilità di guarigione delle pazienti è proporzionale al livello di competenza e specializzazione delle strutture sanitarie in cui vengono curate. Da questo studio è emersa la necessità di implementare, su tutto il territorio na-zionale, i Centri di Senologia come modello assistenziale dedicato alla diagnosi e alla cura del tumore della mammella. Si tratterebbe di una rete strettamente col-legata ai programmi di screening che permetterebbe un rapido trasferimento delle conoscenze scientifiche alla pratica clinica e un’allocazione delle risorse evitando la dispersione di pochi casi in tanti nosocomi.

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Il Management in SanitàIl valore delle competenze e il confronto delle esperienze

L’interazione tra la gestione giuridico-amministrativa delbudget e la sua gestione motivazionale

Alfredo VitielloDottore Commercialista

Le risorse assegnate al SSN dal Governo sono state estremamente ridotte con l’emanazione della Legge 111/2011, a cui è seguita la L. 135/2012 e successiva-mente il D.L. 78/2015 convertito con Legge 125/2015 (Spending Review). Questo è un dato estremamente significativo dal momento che le Regioni sono chiamate a coprire eventuali disavanzi sanitari tramite l’attivazione dei meccanismi auto-matici previsti dalla legislazione vigente, con la difficoltà, in virtù delle avverse condizioni economiche, di reperire maggiori entrate nonché il rischio di compro-mettere percorsi di “risanamento strutturale”.In questo contesto parrebbe necessaria una rivisitazione delle scelte compiute o dell’ampiezza dei servizi da erogare. Con il D.Lgs 158/2012 recante “Disposi-zioni urgenti per promuovere lo sviluppo del Paese mediante un più alto livello di tutela della salute” convertito in Legge 189/2012 si prevede, tra gli aspetti più significativi, che le Regioni ridefiniscano l’organizzazione dei servizi territoriali di assistenza primaria mediante il ricorso a forme organizzative sia monoprofes-sionali sia multiprofessionali, favorendo il processo di deospedalizzazione.Attualmente il dibattito sul SSN è molto acceso, le proposte normative ampie e complesse pongono a carico delle Regioni attività di riorganizzazione e gestione particolarmente intense, in un quadro reso ulteriormente teso dalla contrazione delle risorse. In un simile contesto diventa essenziale investigare le dinamiche del SSN andando al cuore del problema, ossia alle aziende, senza fermarsi ai risultati economico-finanziari regionali o aziendali, ma spostando il focus sulle attività e sui processi aziendali, sulla coerenza con le strategie deliberate per poter dare una rappresentazione più oggettiva della performance d’azienda e comprendere in che modo, attraverso le stesse, il SSN può evolversi e indirizzarsi verso scelte consapevoli. Parrebbe che il contributo che gli studiosi di economia aziendale possano offrire sia quello di chiarire i termini della questione facendo emergere il quantum economico necessario per garantire il livello essenziale di assistenza previsto dal policy maker e evidenziare eventuali modalità organizzative e gestio-nali che ne facilitino il raggiungimento degli obiettivi.Proprio in questo contesto il concetto di budget, la sua formazione e formulazio-ne, la sua funzione nell’ambito del controllo di gestione delle aziende in generale e di quelle pubbliche sanitarie in particolare, sono stati ampiamente studiati dalla

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Il Management in SanitàIl valore delle competenze e il confronto delle esperienze

letteratura. Il budget esprime la correlazione che si realizza tra risultati (obiettivi) e risorse disponibili. È assolutamente indispensabile che tale concetto venga a tal punto interiorizzato da diventare cultura personale dei responsabili di ciascuna Unità Operativa.L’obiettivo della tesi è individuare dei sistemi di programmazione e controllo che misurino le performance aziendali delle Aziende Sanitarie.

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