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ANNO I N. 19 10/9/2016 RASSEGNA STAMPA DAL 1/09/2016 AL 9/092016 4 settembre 2016 IL GOVERNO PUNTA SULL'ANTICIPO PENSIONI "SU MISURA" CON OCCHIO ALL'AUMENTO DELLE MINIME (Teleborsa) - Un piano pensioni del Governo dalle molte novità, che potrebbe essere varato con "Decreto" addirittura prima della Legge di Bilancio. A "riposo" con anticipo a richiesta, quindi, secondo le necessità di ciascuno. Naturalmente avendo compiuto in ogni caso i 63 anni di età, con un massimo di 3 anni e 7 mesi prima di quanto prevede la norma attualmente in vigore. Una, per così dire, forma di "flessibilità allargata", con cui il lavoratore potrà individualmente scegliere quanto vorrà farsi anticipare sul proprio "quantum" di pensione, se il massimo o una qualsiasi percentuale più bassa a seconda di desideri e delle necessità personali. Un progetto in cui il Premier crede molto, in ogni caso dai costi molto alti. Si parla, infatti, di "qualche" miliardo di Euro, due ad essere ottimisti. E Renzi punta anche all'innalzamento delle "minime". Si tratta di un prestito concesso dalle banche tramite Inps, coperto da un'assicurazione, che a fronte dell'anticipo richiesto dal lavoratore sarà restituito ratealmente in 20 anni. Di regola a partire, appunto, da quei 66 anni e 7 mesi, soglia da cui parte al momento la "quiescenza". Ma con una "decurtazione" sostenibile, perché se troppo onerosa potrebbe far fallire l'intera operazione. L'idea del Governo sarebbe quella di detrazioni in misura fissa, appunto per favorire le categorie dai redditi più bassi. Ovviamente, sarà penalizzato in misura crescente chi dispone di un buon reddito. Agli "esodati" l'Ape la pagherà lo Stato, mentre per si trova tra gli "esuberi" ci penserà l'Azienda dove ha prestato la sua opera. Conti e simulazioni sono ormai in dirittura d'arrivo. Martedì 6 settembre ripartirà il confronto con i sindacati, preceduto, tuttavia, da una riunione a Palazzo Chigi di Premier, per stabilire esattamente quel che nei fatti si può fare. Renzi e il suo staff sono consapevoli della "delicatezza" della questione pensioni e sanno che una discussione con le parti sociali prima che "a cose fatte" potrebbe evitare uno scontro che non converrebbe proprio a nessuno. Il costo del "pacchetto" dovrebbe aggirarsi attorno ai 2 miliardi, senza considerare interventi sui trattamenti minimi, e comprende 7 misure: l'Ape, ovvero l'anticipo pensionistico, la "quattordicesima", gli interventi a favore dei "lavoratori precoci" e per quelli impegnati in attività "usuranti", l'eliminazione delle penalità per chi lascia l'occupazione prima di aver compiuto i 62 anni avendo maurato 40 anni di contributi, la no tax area, la ricongiunzione gratuita per i contributi versati in diversi fondi. Operazione, quest'ultima, altamente molto onerosa, e di fatto quasi impraticabile. Sull'Ape, tuttavia, incombe l'incognita Ue. L'Unione europea potrebbe, infatti, intervenire inserendo dei paletti. 4 settembre 2016 LAVORO, CRESCITA, DEFICIT, 80 EURO, FONDI ALLA SANITÀ, MUTUI E INVESTIMENTI: QUELLO CHE LE 30 SLIDE DI RENZI NON DICONO Il premier ha scelto accuratamente i numeri da usare per raccontare agli italiani, in occasione dei suoi primi 30 mesi a Palazzo Chigi, "come stavamo prima dell’arrivo del nostro governo" e "come stiamo adesso". Nessun cenno all'aumento del debito pubblico, al fatto che l'occupazione sale solo per gli over 50 e alla restituzione del bonus. Quanto al pil, l'andamento negativo del 2013 viene confrontato con un "+1%" che è il dato - non paragonabile - relativo al primo trimestre “Trenta slide per trenta mesi”. Il premier Matteo Renzi non cambia verso: la settimana dopo il terremoto del Centro Italia, e nel giorno in cui dall’Istat è arrivata la notizia che gli occupati hanno ricominciato a calare, per rivendicare i risultati ottenuti dal governo in due anni e mezzo di lavoro non ha rinunciato alle usuali diapositive con numeri in caratteri cubitali. Improntati come sempre all’ottimismo e alla lotta ai gufi “seminatori di odio e di bugie”. Secondo il premier quei numeri raccontano “come stavamo prima dell’arrivo del nostro governo” e “come stiamo adesso”. Numeri, “non chiacchiere“, chiosa il presidente del Consiglio nella sua enews, perché “le cifre non mentono“. Ma per compri mere trenta mesi in trenta slide sono state scelte accuratamente, cosa che non può non influenzare il quadro che ne risulta. Basti dire che il debito pubblico non compare da nessuna parte. Non solo: i numeri da soli senza contesto, riferimenti temporali e spiegazioni difficilmente danno informazioni sufficienti per “conoscere la verità” “in modo semplice e chiaro”. Soprattutto se si ricorre a quelli che Mario Seminerio sul suo blog Phastidio definisce “mezzucci da perfetto venditore di fumo come il cher ry picking (la scelta dei numeri migliori, ndr) sui dati realizzato cambiando l’orizzonte temporale di riferimento”. Proprio per fare chiarezza Ilfattoquotidiano.it ha contestualizzato i principali dati economici che Renzi ha deciso di evidenziare. Aggiungendo i numeri su cui l’inquilino di Palazzo Chigi ha sorvolato

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ANNO I N. 19 10/9/2016

RASSEGNA STAMPA DAL 1/09/2016 AL 9/092016

4 settembre 2016

IL GOVERNO PUNTA SULL'ANTICIPO PENSIONI "SU

MISURA" CON OCCHIO ALL'AUMENTO DELLE MINIME

(Teleborsa) - Un piano pensioni del Governo dalle molte novità, che potrebbe essere varato con "Decreto" addirittura prima

della Legge di Bilancio. A "riposo" con anticipo a richiesta, quindi, secondo le necessità di ciascuno. Naturalmente avendo

compiuto in ogni caso i 63 anni di età, con un massimo di 3 anni e 7 mesi prima di quanto prevede la norma attualmente

in vigore. Una, per così dire, forma di "flessibilità allargata", con cui il lavoratore potrà individualmente scegliere quanto

vorrà farsi anticipare sul proprio "quantum" di pensione, se il massimo o una qualsiasi percentuale più bassa a seconda di

desideri e delle necessità personali. Un progetto in cui il Premier crede molto, in ogni caso dai costi molto alti. Si parla,

infatti, di "qualche" miliardo di Euro, due ad essere ottimisti. E Renzi punta anche all'innalzamento delle "minime". Si tratta

di un prestito concesso dalle banche tramite Inps, coperto da un'assicurazione, che a fronte dell'anticipo richiesto dal

lavoratore sarà restituito ratealmente in 20 anni. Di regola a partire, appunto, da quei 66 anni e 7 mesi, soglia da cui parte

al momento la "quiescenza". Ma con una "decurtazione" sostenibile, perché se troppo onerosa potrebbe far fallire l'intera

operazione. L'idea del Governo sarebbe quella di detrazioni in misura fissa, appunto per favorire le categorie dai redditi

più bassi. Ovviamente, sarà penalizzato in misura crescente chi dispone di un buon reddito. Agli "esodati" l'Ape la pagherà

lo Stato, mentre per si trova tra gli "esuberi" ci penserà l'Azienda dove ha prestato la sua opera. Conti e simulazioni sono

ormai in dirittura d'arrivo. Martedì 6 settembre ripartirà il confronto con i sindacati, preceduto, tuttavia, da una riunione a

Palazzo Chigi di Premier, per stabilire esattamente quel che nei fatti si può fare. Renzi e il suo staff sono consapevoli della

"delicatezza" della questione pensioni e sanno che una discussione con le parti sociali prima che "a cose fatte" potrebbe

evitare uno scontro che non converrebbe proprio a nessuno. Il costo del "pacchetto" dovrebbe aggirarsi attorno ai 2 miliardi,

senza considerare interventi sui trattamenti minimi, e comprende 7 misure: l'Ape, ovvero l'anticipo pensionistico, la

"quattordicesima", gli interventi a favore dei "lavoratori precoci" e per quelli impegnati in attività "usuranti", l'eliminazione

delle penalità per chi lascia l'occupazione prima di aver compiuto i 62 anni avendo maurato 40 anni di contributi, la no tax

area, la ricongiunzione gratuita per i contributi versati in diversi fondi. Operazione, quest'ultima, altamente molto onerosa,

e di fatto quasi impraticabile. Sull'Ape, tuttavia, incombe l'incognita Ue. L'Unione europea potrebbe, infatti, intervenire

inserendo dei paletti.

4 settembre 2016

LAVORO, CRESCITA, DEFICIT, 80 EURO, FONDI ALLA SANITÀ, MUTUI E

INVESTIMENTI: QUELLO CHE LE 30 SLIDE DI RENZI NON DICONO Il premier ha scelto accuratamente i numeri da usare per raccontare agli italiani, in occasione dei suoi primi 30 mesi a

Palazzo Chigi, "come stavamo prima dell’arrivo del nostro governo" e "come stiamo adesso". Nessun cenno all'aumento

del debito pubblico, al fatto che l'occupazione sale solo per gli over 50 e alla restituzione del bonus. Quanto al pil,

l'andamento negativo del 2013 viene confrontato con un "+1%" che è il dato - non paragonabile - relativo al primo trimestre

“Trenta slide per trenta mesi”. Il premier Matteo Renzi non cambia verso: la settimana dopo il terremoto del Centro Italia,

e nel giorno in cui dall’Istat è arrivata la notizia che gli occupati hanno ricominciato a calare, per rivendicare i risultati

ottenuti dal governo in due anni e mezzo di lavoro non ha rinunciato alle usuali diapositive con numeri in caratteri cubitali.

Improntati come sempre all’ottimismo e alla lotta ai gufi “seminatori di odio e di bugie”. Secondo il premier quei numeri

raccontano “come stavamo prima dell’arrivo del nostro governo” e “come stiamo adesso”. Numeri, “non chiacchiere“,

chiosa il presidente del Consiglio nella sua enews, perché “le cifre non mentono“. Ma per comprimere trenta mesi in trenta

slide sono state scelte accuratamente, cosa che non può non influenzare il quadro che ne risulta. Basti dire che il debito

pubblico non compare da nessuna parte. Non solo: i numeri da soli – senza contesto, riferimenti temporali e spiegazioni –

difficilmente danno informazioni sufficienti per “conoscere la verità” “in modo semplice e chiaro”. Soprattutto se si ricorre a

quelli che Mario Seminerio sul suo blog Phastidio definisce “mezzucci da perfetto venditore di fumo come il cherry picking

(la scelta dei numeri migliori, ndr) sui dati realizzato cambiando l’orizzonte temporale di riferimento”. Proprio per fare

chiarezza Ilfattoquotidiano.it ha contestualizzato i principali dati economici che Renzi ha deciso di evidenziare.

Aggiungendo i numeri su cui l’inquilino di Palazzo Chigi ha sorvolato

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03/set/2016

SINDACATI BANCARI A RENZI: ADESSO BASTA, SCIOPERO GENERALE "MOBILITAZIONE CONTRO L'EUTANASIA DEL SETTORE" Milano, 3 set. (askanews) - Sindacati dei bancari sul piede di guerra, con la minaccia dello sciopero generale. In un comunicato unitario di tutte le sigle sindacali del settore, i bancari affermano: "L'affermazione del presidente del consiglio Renzi circa la necessità di ridurre, in 10 anni, di 150mila lavoratori bancari (15 mila all'anno supponiamo), il numero degli addetti nel settore creditizio, merita una sola risposta: Sciopero Generale!!!". "Adesso Basta! A chi vuole l'eutanasia del settore creditizio - scrivono ancora - occorre rispondere con la mobilitazione". Secondo i sindacati, prima di fare queste dichiarazioni "che rischiano di destabilizzare l'intero settore", il premier "aveva l'obbligo di consultare le parti Sociali (Abi e sindacati), fare valutazioni di opportunità. La sua analisi si basa invece sul fatto che sua moglie usa lo smartphone invece di recarsi allo sportello bancario. Con il più bieco populismo dichiara che bisogna ridurre gli occupati (ma un Presidente del Consiglio non deve pensare a come incrementare l'occupazione visto anche gli esiti negativi del Jobs Act?), ridurre il numero delle filiali, aggregare le banche e che la politica deve stare fuori da questi processi". Affermazioni "contraddittorie", secondo Fabi, First Cisl, Fisac Cgil, Sinfub, Ugl Credito, Uilca e Falcri Silcea. "Infatti - sottolineano - ci chiediamo: se la politica deve stare fuori dalle banche (e noi lo affermiamo da sempre) perché il governo deve imporre il numero delle filiali, delle banche, degli addetti? Ma Renzi non ci ha spiegato fino a ieri che 'E' il mercato bellezza!". I sindacati dei bancari nvitano quindi anche l'Abi "a prendere posizione contro queste sconclusionate affermazioni del premier. Anche perché Renzi deve spiegare a tutti i cittadini, chi pagherà i costi sociali di questa drastica riduzione del personale? Con quali soldi? Con quali strumenti? Oppure Renzi, con le sue esternazioni, vuole invitare i banchieri a licenziare personale, decisione che contrasteremo ferocemente?". "Se il presidente del Consiglio non convocherà immediatamente le parti sociali - avvertono i sindacati - inizierà una contrapposizione e una mobilitazione totale da parte del sindacato del credito per la difesa dei posti di lavoro e della dignità professionale delle lavoratrici e dei lavoratori". Nel loro lungo comunicato, i sindacati ricordano poi al premier che "un suo predecessore (Romano Prodi) alla fine degli anni '90 di fronte alle prime avvisaglie della crisi delle banche convocò un tavolo a Palazzo Chigi con le parti sociali" e che "da lì scaturirono soluzioni che ancora oggi hanno una validità fondamentale per il settore e servono da ammortizzatori sociali senza costi per la collettività". "Invitiamo il presidente del Consiglio - aggiungono - a parlare di meno e a studiare un po' di più gli atti parlamentari e gli strumenti fiscali e previdenziali. Ma soprattutto gli consigliamo di stare alla larga da certi finanzieri d'assalto, con residenza all'estero, che probabilmente lo mal consigliano". "Il sindacato del credito - proseguono - ha dato prova di grandi capacità elaborative, costruttive e concertative per la risoluzione dei problemi del settore. Ciò è dimostrato da una contrattazione tra le parti che ha portato negli ultimi 10 anni ad esodi volontari tramite il Fondo di sostegno al reddito di circa 50 mila lavoratori e l'appoggio dato alle fusioni annunciate. A differenza delle affermazioni del premier attraverso il nostro Fondo per l'Occupazione, finanziato dai lavoratori, abbiamo creato, in questi ultimi 4 anni, oltre 12 mila posti di lavoro in più". "Ma oggi - affermano - il piatto è colmo. Non si può più accettare che un presidente del Consiglio si ostini sistematicamente a stimolare tagli di personale per accreditarsi quei poteri forti che lo hanno sostenuto". "Nei prossimi giorni - concludono i sindacati dei bancari - i nostri Uffici Studi produrranno documentazioni che contestano e contraddicono quanto affermato dal premier sia sul numero delle filiali che del numero delle banche in relazione al mercato europeo, soprattutto, sul costo del personale e sui trattamenti fiscali e gli oneri pubblici abbondantemente disallineati con quelli pagati dalle altre banche europee. Dati, tra l'altro, che saranno molto simili a quelli presentati dal presidente Abi Patuelli lo scorso luglio"

05/09/2016

VIAGGI, POSTE E SERVIZI: ITALIA MAGLIA NERA D'UE LA FIDUCIA DEI CONSUMATORI È IN PICCHIATA Rachele Nenzi Se gli europei dovessero scegliere un Paese, non vivrebbero certo in Italia. Il Belpaese, infatti, è maglia nera in Ue per il funzionamento del mercato e per la fiducia dei consumatori. Lo rileva la Commissione europea nel Quadro di valutazione 2016 dei mercati al consumo, che analizza il grado di fiducia, aspettative, possibilità di scelta, disguidi e lamentele per 44 mercati al consumo differenti. Gli indici di performance italiani sono tutti in aumento rispetto al 2013, ma rispetto all’Europa l’Italia resta ferma a 77,1 punti, vale a dire 2,7 punti sotto la media Ue a 28, mentre nello specifico la penisola resta sotto i valori Ue in 42 mercati al consumo sui 44 analizzati. Servono quindi "norme favorevoli ai consumatori, riforme del mercato e un’efficace applicazione delle norme a tutela dei consumatori stessi", ha ricordato il commissario per la Giustizia e la tutela dei consumatori, Vera Jourova. I mercati dei beni continuano ad essere valutati più positivamente rispetto ai mercati dei servizi, nonostante i notevoli miglioramenti registrati da questi ultimi. Fra i mercati dei beni, i mercati al dettaglio dei beni di largo consumo, come bevande analcoliche e pane, cereali e pasta, che nelle precedenti edizioni avevano conseguito buoni risultati, hanno perso terreno rispetto ad altri. La valutazione dei consumatori del mercato dei servizi ferroviari è notevolmente migliorata dal 2013. Il funzionamento del mercato dell'energia elettrica non è pienamente soddisfacente. Molti problemi si riscontrano nei mercati delle telecomunicazioni. È in questi settori, tra tutti quelli analizzati, che i consumatori subiscono nel complesso i maggiori danni. È aumentato il numero di consumatori che hanno cambiato fornitore, un'operazione che in alcuni mercati resta però difficoltosa. In particolare, però, sono i servizi postali, i mezzi pubblici e i servizi in generale a non convincere particolarmente i consumaori.

TERREMOTO: LA SOLIDARIETÀ DELLE BANCHE DEL

TERRITORIO

(6 settembre 2016) Ampia e tempestiva la risposta delle banche all’invito dell’Associazione bancaria italiana ad avviare

misure di supporto alle vittime del terremoto che ha colpito il Centro Italia lo scorso 24 agosto, in attuazione dello

specifico Protocollo di intesasottoscritto con la Protezione civile e le Associazioni dei consumatori il 26 ottobre 2015 e

teso ad assicurare ovunque nel Paese equità e tempestività degli interventi a favore delle popolazioni colpite da calamità

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naturali: sulla base delle prime adesioni raccolte dall’Associazione è stato già raggiunto il 100% di copertura in termini di

sportelli presenti nei comuni interessati dal sisma.

Tra le più significative iniziative finanziarie che le banche stanno adottando:

oltre a quanto previsto dall’Ordinanza del Capo dipartimento della Protezione civile n.388, emanata in coerenza

con il protocollo di intesa di fine 2015, ampliamento dei termini di sospensione fino a 12 mesi delle rate dei mutui

relativi a edifici residenziali, commerciali e industriali distrutti o inagibili o inabitabili, anche parzialmente. In alcuni

casi la misura di sospensione è estesa anche a prestiti personali, finanziamenti e leasing;

messa a disposizione di plafond e linee di credito dedicate per assicurare la rapida ricostruzione degli immobili a

uso residenziale, commerciale o industriale e così favorire un progressivo ritorno a una situazione di normalità

oppure fornire a privati e imprese liquidità straordinaria a tassi agevolati a copertura delle spese emerse in seguito

agli eventi tellurici;

attivazione di conti correnti finalizzati alla raccolta di donazioni, in generale senza prevedere l’addebito di costi

e/o commissioni.

Le banche operanti nei territori investiti dal sisma sono al contempo impegnate per alleviare i disagi sopportati dai clienti

che per effetto del terremoto hanno smarrito carte, libretti degli assegni, documentazioni bancarie. Sono stati inoltre attivati

servizi informativi attraverso numeri verdi dedicati per trasmettere indicazioni aggiornate circa l’operatività delle filiali nelle

aree danneggiate.

Nell’ambito dello sforzo collettivo di solidarietà avviato dal mondo bancario a favore dei terremotati, l’ABI ha invitato le

proprie associate a considerare l’opportunità di non riscuotere commissioni su bonifici o altre forme di trasferimento di

fondi disposti a favore di iniziative a sostegno delle popolazioni coinvolte nel sisma.

Tra le molte manifestazioni di solidarietà va annoverato anche l’impegno diretto del mondo del credito, che si è mobilitato

grazie all’impegno delle segreterie nazionali delle organizzazioni sindacali di categoria dei bancari (Fabi, First/Cisl,

Fisac/Cgil, Sinfub, Ugl/Credito, Uilca e Unisin) e dell’Associazione bancaria italiana: assieme Abi e sindacati hanno

concordato l’immediata attivazione di una raccolta di fondi dedicata al supporto delle popolazioni colpite attraverso la

Fondazione Prosolidar.

6 settembre 2016

LICENZIAMENTI NELLE BANCHE: IL SOSTEGNO DEL GOVERNO

Scivoli per il prepensionamento e incentivi alle uscite attraverso il recupero dei fondi versati dagli istituti di credito alla

Naspi

Pa

Sono 16 mila gli ulteriori lavoratori previsti in uscita dal settore bancario da qui al 2020 secondo i calcoli dei sindacati.

Per aiutare le banche a tagliare (un invito più volte arrivato anche dal governatore della Banca d'Italia Ignazio Visco) il

governo starebbe studiando l'opportunità di rendere disponibili fondi ad hoc per sostenere i processi di uscita dal settore

del credito.

Dopo lo scivolo per il prepensionamento, che è già stato portato da 5 a 7 anni di anticipo, arriverebbero anche risorse per

consentire alle banche di incentivare le uscite. Ma non viene spiegato, attingendo alla fiscalità generale quanto "liberando"

le risorse che le stesse banche versano per gli ammortizzatori sociali.

Una prima apertura, intanto, è arrivata dal viceministro dell'Economia Enrico Morando, secondo il quale si può

"eventualmente discutere di un ulteriore intervento del pubblico, come si è fatto in tantissimi altri settori", anche se "fino ad

oggi, e spero che possa essere così anche domani, il sistema del credito ha gestito in proprio gli ammortizzatori sociali del

settore e non ha avuto soldi dello Stato".

La strada, spiegano diverse fonti, potrebbe quindi essere quella di consentire agli istituti di credito di "recuperare" - o

quantomeno di attingere secondo le necessità volta per volta - i circa 200 milioni che le banche versano ogni anno per la

Naspi per tutte le categorie di lavoratori, senza però usufruire del meccanismo visto che il settore ha un suo Fondo esuberi

che entra in campo per "coprire" le uscite anticipate.

Questa soluzione, già suggerita dalla Fabi a inizio agosto, consentirebbe di gestire il problema. (ANSA)

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07 settembre 2016

UBIS, SINDACATI BANCARI: IL 9 SETTEMBRE È SCIOPERO Presidio di solidarietà di Fabi, First Cisl, Fisac Cgil, Uilca e Unisin, contrari al processo di esternalizzazione Il 9 settembre, dalle ore 9, presidio di solidarietà in via Magliocco, nei confronti dei lavoratori dell'Ubis, che lo stesso giorno incroceranno le braccia contro l'esternalizzazione dell'azienda. Anche a Palermo le segreterie territoriali di Fabi, First Cisl, Fisac Cgil, Uilca e Unisin esprimono solidarietà ai lavoratori di Ubis (Unicredit business integrated solution) società del gruppo Unicredit, che hanno deciso di scioperare contro l’ennesima cessione di attività e di lavoratori. Una parte del gruppo sarà ceduta a una interbancaria, la Sia, società partecipata della Cassa depositi e prestiti. Questa volta a essere interessati sono i lavoratori che si occupano della gestione informatica delle 'carte'. Ma in questi ultimi anni centinaia e centinaia sono stati i colleghi coinvolti da processi di esternalizzazione, che - secondo i sindacati dei bancari palermitani - non hanno portato i risultati economici che Unicredit dichiarava di volere raggiungere, ma che hanno determinato, invece, un impoverimento professionale e occupazionale nel territorio siciliano e palermitano, con ricadute pesanti. “Esprimiamo preoccupazione per la strategia seguita da questo gruppo, basata quasi esclusivamente sul taglio di attività lavorative e contenimento dei costi, in particolare del costo del lavoro, senza cercare d'incrementare i margini di redditività e senza, come nel caso di Ubis, tagliare le numerosissime e onerose consulenze esterne – affermano Carmelo Raffa di Fabi, Mimmo Crivello di First, Elia Randazzo di Fisac Sicilia, con delega su Palermo, Giuseppe Gargano di Uilca –. In relazione a ciò, preoccupano le affermazioni del nuovo ad, Jean Pierre Mustier, che ripropone per il prossimo piano industriale di Unicredit la stessa ricetta di tagli, con cessioni di filiali e di partecipazioni (Fineco, Pioneer, Pekao ecc.). "Insomma, un piano 'lacrime e sangue', sempre e solo per i lavoratori. Tutto questo, in un settore come il nostro, in cui il premier Renzi, in maniera improvvida, dichiara esuberi pari alla metà del personale attuale. Questa politica di Unicredit, a

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nostro avviso, può determinare conseguenze perniciose dal punto di vista sociale, economico e occupazionale, soprattutto nel nostro territorio, che è debole, dove ancora conta il rapporto tra operatore bancario e cliente, e le ripercussioni sono più forti che in altre parti d'Italia”, concludono i sindacati di categoria.

NOTIZIE RADIOCOR - PRIMA PAGINA

REFERENDUM: GOLDMAN SACHS, SE VINCE NO PROBLEMI PER BANCHE, MENO PER TITOLI STATO

Al 40% probabilita' di bocciatura modifiche costituzionali (Il Sole 24 Ore Radiocor Plus) - Milano, 07 set - Goldman Sachs punta i riflettori sul referendum italiano, che sulla scia della Brexit "sta riaccendendo le ansie degli investitori". Gli analisti della banca assegnano il 40% di probabilita' di successo del No, numero inferiore a quello suggerito dai sondaggi, ma comunque elevato. E' poco probabile, secondo la banca d'affari Usa, che una vittoria del No porti ad elezioni anticipate, ma sarebbe una battuta d'arresto per il cammino delle riforme di cui l'Italia ha bisogno per la crescita. In questo scenario, diminuirebbero le possibilita' di una ricapitalizzazione di mercato delle banche italiane piu' deboli, a cominciare da Mps, mentre i titoli di Stato italiani, sostenuti dal Qe della Bce, soffrirebbero meno. GS si attende che il referendum venga fissato il 20 o 27 novembre. Una vittoria del Si' dovrebbe portare all'adozione di riforme strutturali piu' incisive, con il premier Renzi pronto a capitalizzare il successo con "un'agenda di crescita", con un probabile aumento della spesa pubblica, che non dovrebbe trovare forte resistenza dal resto della Ue, visto il ciclo politico in Spagna, Francia e Germania. Se dovesse vincere il No e Renzi decidesse di dimettersi, GS si aspetta che il presidente Mattarella faciliti un

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rimpasto di Governo, con un allargamento della maggioranza. Gli analisti della banca assegnano il 60% di probabilita' a questo scenario, il che sulla base delle chance di successo del No (40%), risulta in un 25% di possibilita' di uscita di scena di Renzi entro inizio 2017. Nel caso di elezioni anticipate (probabilita' del 15%) con le attuali regole, il voto probabilmente porterebbe a un 'hung Parliament', con Pd e M5S entrambi al 30%. Quanto all'impatto sui mercati, GS stima che la vittoria del Si' si rifletterebbe in una riduzione del rischio sovrano, con l'annullamento o il calo del differenziale sui titoli spagnoli (ora tra 10 e 20 pb nel settore 5-10 anni). Nel caso opposto, il differenziale potrebbe salire fino a 40 punti base, con qualche rischio di contagio per i periferici. Nell'insieme, comunque, GS ritiene che "sia decisamente poco probabile a questo stadio un allargamento degli spread oltre tali livelli o addirittura una crisi dell'Eurozona con ripercussioni sistemiche". Per le banche una vittoria del No influirebbe negativamente sulla ricapitalizzazione di Mps: "gli investitori potrebbero preferire di aspettare in attesa di maggiore chiarezza, con ricadute anche per altri istituti", alle prese con il nodo degli Npl. Concludendo, "un governo piu' forte che va avanti sulle riforme, mitiga i timori degli investitori e riporta l'attenzione sulle valutazioni. Il verificarsi, invece, di turbolenze politiche in autunno e una stop alle riforme ridurrebbe le chance di una soluzione di mercato per le banche deboli e aumenterebbe la probabilita' di una ristrutturazione degli istituti con denaro pubblico".

7/9/2016

IMPOSTA PATRIMONIALE IN

ARRIVO? ECCO I DETTAGLI Come in ogni crisi che si rispetti (o che stia per arrivare), ecco giungere proposte finalizzate a tassare la ricchezza degli italiani attraver-so l’introduzione (o l’inasprimento) di imposte patrimoniali. Con la crescita economica che arranca, il bilancio statale in cronica difficoltà è necessario ottenere gettiti fiscali aggiuntivi. Quindi, cosa di meglio di una balla imposta patrimoniale? dicono. Dei cinque rischi capitali dei quali da anni si parla in questo blog, trovo che l’impo-sta patrimoniale sia quello che presenta maggiori maggiori difficoltà applicative, sia a causa degli aspetti tecnici, sia a causa della soste-nibilità politica di un’imposta del genere, che tuttavia piace e viene evocata da molte parti politiche. Di seguito vi propongo un mio ultimo lavoro che riprende e aggiorna i precedenti contributi. Si tratta di un articolo pubblicato su Inve-stors’ mese di maggio. Buona lettura. Quando si parla di imposta patrimoniale, la mente tende a correre al lontano 1992, quando l’allora Presidente del Consiglio, Giuliano Amato, durante la notte, operò un prelievo una tantum del 6 per mille sulle giacenze dei conti correnti. Benché in forme differenti rispetto al 1992, imposte patrimoniali sono già presenti nel nostro ordinamento tributario e si chiamano prin-cipalmente IMU e Imposta sostitutiva sulle attività finanziarie; ma ne esistono anche altre minori. Al netto delle modalità censurabili con cui venne effettuato il prelievo dai conti, a differenza della patrimoniale di Amato del 1992, quelle attuali sono addirittura più invasi-ve poiché, essendo strutturali, colpiscono periodicamente le attività possedute in forma di patrimonio immobiliare e attività finanziarie (conti correnti, fondi comuni, dossier titoli ecc). Scopo di questo articolo è quello di cercare di capire in che modo si potrebbe essere colpiti da un’imposta patrimoniale e quali sono le attività più esposte a questo rischio. Quindi, cerchiamo di capire quali difficoltà potrebbero riscontrarsi nell’applicazione di una simile imposta. Preliminarmente, va osserva-to che il governo potrebbe contare su un ”extragettito”, semplicemente inasprendo il prelievo fiscale sulle imposte patrimoniali già in essere. Ciò potrebbe esser fatto agevolmente alzando le aliquote del prelievo sia per l’IMU, che per l’imposta sostitutiva sulle attività finanziarie. Nel caso dell’IMU, inoltre, per ottenere lo stesso risultato, ad aliquote immutate , sarebbe sufficiente una rivalutazione degli estimi delle proprietà immobiliari, tali da attribuire agli immobili un valore superiore, aumentando così la base imponibile da colpire e favorendo quindi un aumento di gettito. Questa soluzione, per quanto di facile applicazione, presenterebbe comunque delle controin-dicazioni delle quali il Governo dovrebbe tenerne conto, almeno si spera. Innanzitutto, nel pensare ad un eventuale inasprimento del prelievo fiscale relativo alle imposte patrimoniali già presenti, non si potrebbe non tenere in considerazione gli effetti che questo deter-minerebbe alla luce del quadro congiunturale decisamente debole, dopo un lungo periodo di recessione, che ha colpito duramente il reddito delle famiglie italiane (Figura 1).

Figura 1: Il Grafico mostra l’andamento dei redditi reali nei vari paesi considerati, ponendo come base 100 i redditi nell’anno 1995. Come si osserva i redditi degli italiani sono precipitati ai livelli del 1995 e nessuno dei paesi considerati vanta un prima così negativo. Elaborazione di Paolo Cardenà su dati Eurostat. Si consideri che, un eventuale aumento dell’imposizione, per quanto limitato che sia, andrebbe a colpire il reddito disponibile delle fami-glie, e pertanto produrrebbe una ulteriore contrazione dei consumi e quindi aggraverebbe anche il ciclo economico, già per nulla bril-

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lante. Questo, inoltre, potrebbe comportare una diminuzione più o meno marcata della capacità di rimborso dei mutui al sistema banca-rio, impattando sugli istituti di credito che, a quel punto, si troverebbero nella condizione di dover esporre ulteriori sofferenze potenzial-mente idonee ad abbatterne il patrimonio, aggravando così una situazione già complessa (confronta Investors’ n. 1). In tal senso, ad esempio, un aumento della struttura impositiva dell’IMU (realizzata attraverso un aumento delle aliquote o anche attraverso una rivalu-tazione della base imponibile), rischierebbe di essere troppo severo o addirittura insostenibile per coloro che non dispongono di una capacità di reddito adeguata per poter sopportare un esborso aggiuntivo rispetto a quanto pagato in ragione alle regole attuali. Tutt’altro ragionamento potrebbe esser osservato in caso di aumento delle aliquote patrimoniali sulla ricchezza finanziaria, ossia quella ricchezza investita in titoli, obbligazioni, azioni, fondi comuni ecc. In questo caso, benché sia già prevista una imposta sostitutiva dello 0,20%, ciò che rende possibile un ulteriore inasprimento dell’imposizione fiscale, risiede proprio nella natura dell’investimento stesso. E cioè, il fatto che questo sia “immobilizzato” e quindi potenzialmente escluso dal soddisfacimento diretto dei bisogni, e quindi dal so-stenimento del ciclo economico attraverso la spesa di parte delle risorse investite.

Figura 2: La tabella riporta i dati relativi alle attività reali delle famiglie italiane nell’anno 2013. Elaborazione di Paolo Cardenà su dati Banca d’Italia. Veniamo ora alla ricchezza finanziaria, quantificata in 3897 miliardi di euro, tentando di comprendere in che modo potrebbe essere inte-ressata da un’eventuale imposizione patrimoniale.

Figura 3: La tabella riporta i dati relativi alla ricchezza finanziaria delle famiglie italiane nell’anno 2014. Elaborazione di Paolo Cardenà su dati Banca d’Italia Per il ragionamento sopra esposto, quindi, escludendo le componenti sopra descritte, la ricchezza che rimarrebbe rilevante ai fini di un imposizione patrimoniale, per lo più in forma liquida, sarebbe poco più di 2000 miliardi come è possibile desumere dalla figura n. 4.

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Figura 4: La tabella riporta i dati relativi alla ricchezza finanziaria delle famiglie italiane nell’anno 2014, a parere dell’autore “facilmente” tassabile con imposte patrimoniali straordinarie. Elaborazione di Paolo Cardenà su dati Banca d’Italia. A rigor di logica, da questo stock di ricchezza finanziaria così determinata, dovrebbero essere scomputate le passività che ammontano a circa 912 miliardi di euro, restituendo un imponibile tassabile di circa 1100 miliardi di euro. Riducendo la base imponibile da colpire, il pericolo è proprio quello che l’azione dello Stato, a parità di gettito atteso, possa concentrarsi su patrimoni molto più piccoli e quindi colpire in maniera indiscriminata anche una platea diffusa di piccoli risparmiatori. Infatti, tenuto conto che i depositi bancari e postali si avvicinano, già di loro, alla soglia dei 1000 miliardi, ciò significa che questi sono distribuiti su tutto l’universo dei risparmiatori italiani, piccoli compresi. Giova ricordare che in Italia vige un sistema di garanzia dei depositi di conto corrente fino a 100 mila euro, che dovrebbe quantomeno escludere prelievi straordinari fino a tali somme, riducendo ulteriormente la base imponibile da colpire. Ma su questo, personalmente, nutro qualche dubbio e comunque, dipende dagli obbiettivi di gettito prefissati dallo stato, e soprattutto dallo stato di bisogno. In altre parole, proprio perché sono risorse investiste in attività finanziarie, in un certo qual modo, sfuggono dalla disponibilità del titolare e quindi anche dalla possibilità di spesa, seppur con le dovute eccezioni del caso. Il risparmiatore, nel sostenimento delle proprie spese, difficilmente intaccherà le risorse investite in strumenti finanziari anche se, in questa crisi, ciò potrebbe essere parzialmente smentito, poiché sempre più frequente sembra essere il ricorso all’utilizzo di risparmi per integrare o sostituire un reddito che si è contratto o è venuto meno per effetto della crisi. Quindi, in teoria, il governo potrebbe intervenire per inasprire l’imposizione sulla ricchezza finanziaria, senza con ciò determinare, in maniera proporzionale, una diretta diminuzione dei consumi. Ma anche una simile impostazione potrebbe risultare del tutto discriminante per talune categorie di investimenti o di cespiti, che potreb-bero essere oggetto di imposizione. Si pensi, ad esempio, a due risparmiatori che dispongono entrambi di un patrimonio di 500.000 euro e che uno di questi abbia investito i propri risparmi in fondi comuni o titoli, mentre il secondo acquistando un immobile. Ebbene, nel primo caso, operare un prelievo a fronte dell’entità del patrimonio, risulterebbe di agevole portata poiché basterebbe aumentare l’aliquota di imposizione e la società di gestione del fondo comune o l’intermediario finanziario provvederebbe immediatamente ad operare la ritenuta, anche vendendo titoli per crearsi la liquidità necessaria al pagamento dell’imposta. Analogo ragionamento potrebbe essere svolto nel caso di azioni o obbligazioni in custodia su un dossier titoli intrattenuto presso qualsiasi banca. La quale banca, in questo caso, addebi-terebbe l’importo dell’imposta sul conto corrente agganciato. E nel caso non si dovesse disporre della liquidità necessaria al pagamento dell’imposta, che si fa? In estrema ratio, si potrebbe comunque vendere dei piccoli quantitativi di titoli ed integrare il saldo del conto corrente, in modo da poter consentire alla banca di operare il prelievo necessario al pagamento dell’imposta. Una soluzione simile a quella appena descritta, potrebbe comunque avere delle controindicazioni soprattutto nel caso in cui dovessero essere introdotte delle patrimoniali straordinarie o una tantum; ma di questo parleremo a breve. Come dicevamo, il discorso si complica, e non poco, nel caso di immobili. Il risparmiatore che ha investito le sue disponibilità, magari pro-sciugandole, nell’acquisto di un immobile avvenuto in tempi più favorevoli, oggi potrebbe trovarsi nella condizione di non poter provvedere al pagamento dell’imposta patrimoniale, magari aumentata rispetto alle aliquote attuali. In questo caso, il contribuente in esame, non potrà certamente vendere una frazione dell’immobile per poter provvedere all’obbligazione tributaria. E ciò per evidenti ragioni. E in questo caso, cosa si potrebbe fare? A questo interrogativo, al momento, non è stata fornita alcuna risposta a mio avviso praticabile. A meno che non si facciano suonare le trombe della cavalleria e, attraverso l’ente di riscossione (Equitalia), si aggredisca il patrimonio del contri-buente. Ma questo, a parer di chi scrive, cozzerebbe con gli elementi cardine di uno stato democratico e di una economia avanzata: ossia la tutela del risparmio e della proprietà privata, peraltro prevista costituzionalmente. Inoltre, l’immobile acquistato potrebbe essere assistito da ipoteca a fronte del mutuo contratto per l’acquisto; quindi una passività. E’ evidente che, dal punto di vista del contribuente, è del tutto legittimo considerare a scomputo del valore del cespite da colpire con imposta anche le passività finanziaria a fronte dell’acquisto, e quindi l’eventuale mutuo. Aspetto, questo, che avrà comunque una marcata rilevanza in caso di applicazione di imposte a carattere straordinario, poiché, queste, verosimilmente, oltre ad impattare in modo più significativo, sconterebbero aliquote progressivamente più alte in ragione del patrimonio posseduto. Quindi, nel rispetto di elementari ed intuibili principi di equità, sarebbe discriminante colpire in maniera identica due patrimoni, nel caso in cui uno di questi risulti assistito da un mutuo (quindi una passività), ancorché esprimano identici valori patrimoniali. In buona sostanza, se così fosse, verrebbe confermata l’attuale impostazione dell’IMU che, come noto, colpisce il “valore” degli immobili a prescindere dall’eventuale passività (mutuo) in capo all’immo-bile stesso, rendendo l’imposta profondamente iniqua. Senza dimenticare, poi, che un ulteriore inasprimento dell’imposizione tributaria sugli immobili, causerebbe nefaste conseguenze anche sul valore, deprimendolo ulteriormente. Circostanza, questa, che non esaurirebbe i suoi effetti solo in capo al proprietario dell’immobile, che, a quel punto, si vedrebbe diminuire il valore dell’immobile; ma produrrebbe effetti pericolosi anche nel mondo bancario attraverso la diminuzione dei valori posti a garanzia di eventuali mutui, con conseguenze del tutto immaginabili. Come abbiamo visto sin qui, un inasprimento della imposizione patrimoniale presenta numerose difficoltà applicative, soprattutto se si dovesse agire nel rispetto dei principi di equità che dovrebbero essere comunque garantiti ed imprescindibili. Alle imposte patrimoniali presenti nel nostro ordinamento, sebbene abbiano carattere strutturale e quindi ripetute negli anni, tutto som-mato, appartiene la caratteristica della sostenibilità in termini di possibilità da parte del contribuente di poter adempiere all’obbligazione tributari; benché in un contesto di deterioramento delle capacità reddituali e di evidenti difficoltà, soprattutto in alcuni strati della popola-zione. L’applicazione di una imposta patrimoniale straordinaria, troppo spesso impropriamente evocata da parte dei nostri politici, verosi-milmente, viene pensata sulla base di un feroce inasprimento delle aliquote impositive, tale da poter utilizzare il gettito straordinario per abbattere in modo proporzionale il debito pubblico di qualche centinaio di miliardi. Senza addentrarci nei numeri che, a parer di chi scrive, smentiscono (almeno in via di principio) le aspettative di gettito auspicato dai vari politici che evocano l’introduzione di una patrimoniale straordinaria, vediamo come possono complicarsi le cose nel caso che questa imposta venga effettivamente introdotta. Andiamo con ordine. E’ evidente che l’eventuale applicazione di una imposta patrimoniale feroce e magari progressiva, dovrebbe quantomeno considerare non solo i patrimoni facilmente colpibili come nel caso delle imposte già in vigore, ma l’intera ricchezza del soggetto o del nucleo fami-gliare a cui l’imposta è rivolta. E ciò per evidenti ragioni di equità impositiva, secondo cui chi più possiede più paga in termini di imposta. E quindi, cosa comprendere? Cosa potrebbe essere considerato nella definizione di patrimonio? Sicuramente gli immobili, anche perché offrono un’ ottima base imponibile che, tuttavia, dovrebbe quantomeno essere abbattuta delle passività (mutui) . Certamente anche il patrimonio mobiliare (azioni, titoli, obbligazioni, depositi ecc ecc). Ma, oltre questa ricchezza, peraltro già ampiamente tassata, cos’altro potrebbe essere considerato nella definizione di patrimonio del contribuente? E qui, potremmo sbizzarrirci con tutto ciò che possa costituire asset suscettibile di valutazione economica, purché visibile ed individuabile dal fisco. Ecco quindi che potremmo considerare il valore della partecipazione ad una società ancorché non quotata, il valore della nostra impresa, o una barca, un’automobile, e quant’altro possa essere individuato e definibile nella sua dimensione patrimoniale. Sicuramente, l’estensione delle tipologie di assets a cui applicare l’imposta patrimoniale, oltre ad offrire una base imponibile tanto più ampia quanto più estese saranno le specie e i volumi di patrimonio considerati, tenderebbe a favorire il rispetto di elementi di maggior equità. Tuttavia, qui emergerebbero fin da subito le prime difficoltà applicative. Innanzitutto, non sempre ciò che costituisce un valore patrimoniale è ben identificabile ed individuabile da parte del fisco. Si pensi, solo per citare alcuni esempi, a dei quadri di valore, a delle opere d’arte, a vasi antichi, o una collezione di arazzi. Questi, in genere, sono beni che talvolta possono rappresentare dei grandi valori, ma difficilmente intercettabili da parte del fisco, poiché raramente censiti e quindi conosciuti all’anagrafe tributaria nella dimensione patrimoniale (valore) e nella sua collocazione. Ma questi, non sono gli unici valori patrimoniali che potrebbero sfuggire all’interesse del fisco. Si pensi, ancora, al denaro contante, a monetati aurei, a lingotti in oro o altri metalli preziosi, detenuti anche fuori dal perimetro bancario. Ecco quindi che, in questi casi, risulta impossibile che il fisco possa colpire beni di cui non ne conosce il valore e soprattutto la collocazione. A meno che lo stato non obblighi il contribuente a produrre una dichiarazione patrimoniale dalla quale emerga anche le ricchezze non note al fisco. Ragionando invece su altre tipologie di patrimoni quali, ad esempio, aziende, quote di partecipazione in società, o più semplicemente una piccola impresa individuale, si porrebbe il problema di attribuire un valore a queste attività, che tenga conto di moltissime variabili e fattori, attraverso i quali, tuttavia, non sempre si riesce a valorizzare in maniera pertinente l’esatto valore di questi patrimoni. E ciò,

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neanche attraverso apposite perizie effettuate da professionisti. Il rischio, quindi, è proprio quello di subire una valorizzazione ammini-strativa da parte dello Stato attraverso delle procedure che, in maniera più o meno arbitraria, possano valorizzare determinati attivi. Ecco quindi che l’applicazione di imposte patrimoniali straordinarie incorpora molteplici difficoltà che tendono ad aumentare anche in ragione al gettito che si vorrebbe ottenere. Alcuni esponenti politici, nel recente passato, hanno addirittura evocato una tassa patrimoniale di 400 miliardi di euro, destinata alla riduzione del debito pubblico ( Si confronti, ad esempio, LInkiesta del 24 febbraio 2014 http://www.linkiesta.it/it/article/2014/02/24/la-patrimoniale-e-il-boomerang-del-governo-renzi/19778/). Per comprendere se è possibile estrarre un gettito così rilevante dalla ricchezza degli italiani, è opportuno considerare qualche numero fornito dalla Banca d’Italia, nel suo ultimo rapporto sulla ricchezza delle famiglie italiane. Secondo la Banca d’Italia la ricchezza degli italiani è così costituita: Attività reali 5.848 miliardi Attività finanziarie 3.793 miliardi Passività 912 miliardi. Le prime due macro classi di attività, dedotte dalle passività, costituiscono la ricchezza netta degli italiani, che quindi viene quantificata in euro 8.477 miliardi di euro. Il dato, essendo multiplo di oltre quattro volte lo stock di debito pubblico, fa un po’ impressione e suscita l’interesse di chi vorrebbe che, almeno parte di questa enorme ricchezza, possa essere utilizzata per abbattere il debito pubblico confinandolo entro volumi di maggio sostenibilità. Più in dettaglio, osservando i dati riportati nella figura n. 2 (Le attività reali delle famiglie italiane) si desume che la parte prevalente della ricchezza è costituita da abitazioni, già ampiamente tassata con l’IMU o con altre imposte minori (ma non marginali). Gli oggetti di valore, essendo per lo più costituiti da beni non registrati (preziosi, oggetti di antiquariato, d’arte e da collezione), come abbiamo detto, sfuggono dalla possibilità di poter essere tassati, per il semplice fatto che il fisco non potrà mai tassare ciò di cui non ne conosce la collocazione e quindi la proprietà. I fabbricati non residenziali e i terreni, sono anch’essi già tassati. Mentre gli impianti e i macchinari, attrezzature e avviamenti (capitale fisso), rientrando prevalentemente nelle disponibilità delle imprese per l’esercizio delle proprie attività, non potrebbero essere tassati, poiché ciò graverebbe sulle imprese che già scontano livelli di prelievo fiscale insostenibile. Quindi, la parte di ricchezza effettivamente tassabile e che desta l’attenzione da parte del fisco è costituita dai 5 miliardi delle abitazioni, peraltro già ampiamente tassata. In sintesi, da questa ricchezza, è pressoché impossibile estrarre rilevanti gettiti tributari rispetto a quelli già ottenuti dalla tassazione in vigore. In questa categoria di ricchezza sono ospitate un numero di attività che, l’analisi prodotta da Bankitalia, sostanzialmente, scompone come riportato nella figura n. 3. Molta materia imponibile da colpire con un’imposta patrimoniale feroce, si direbbe! Ma le cose non stanno esattamente in in questi termini. Vediamo perché. Prima di tutto occorre scomputare il denaro contante: tassare il contante, fino a quando questo rimane tale, è un esercizio impossibile da praticare. Non deve sorprendere, infatti, che sempre più spesso si sente dire che il mondo politico sarebbe favorevole ad una progressiva abolizione del denaro contante. Ciò perché, per obbligo normativo, questo verrebbe depositato in banca e quindi diverrebbe individuabile da parte del fisco, facendo emergere materia imponibile da colpire. Esistono inoltre altre categorie di attività che, sebbene parzialmente note al fisco, tassarle con un’imposizione patrimoniale, risulterebbe abbastanza difficile e soprattutto rischierebbe di fare più danni che altro. E’ il caso, ad esempio, dei crediti commerciali. Tassare un credito vantato da un’azienda, benché tecnicamente possibile -obbligando ogni impresa a rendere noti al fisco i rispettivi crediti commerciali attraverso apposita comunicazione- appare poco ortodosso, oltreché distruttivo. E poi, è evidente che al credito di un’azienda, corrispon-da un debito di un’altra azienda. Siccome sarebbe ragionevole attendersi che il credito possa essere scomputato dal debito, alla fine, la base imponibile sarebbe comunque limitata e un’eventuale imposizione patrimoniale, anche in questo caso, graverebbe sulle imprese che già scontano livelli di prelievo fiscale insostenibile. Discorso del tutto simile può essere osservato per le riserve assicurative. Anche queste potrebbero essere tassate, ma non senza diffi-coltà, contraddizioni, e non senza arrecare più danni che guadagni. L’applicazione di una imposta patrimoniale feroce, verosimilmente, andrebbe a colpire anche i fondi pensione e i fondi assicurativi, verso i quali un numero non del tutto indifferente di risparmiatori hanno riposto le speranze per ottenere l’integrazione pensionistica, al fine di integrare (o sostituire) la pensione erogata dai vari enti previden-ziali. Sotto questo punto di vista, le scelte del governo volte all’applicazione di una imposta patrimoniale straordinaria, contrasterebbero con le politiche di welfare e con le varie riforme pensionistiche varate negli ultimi 10/15 anni, o forse più. Al riguardo, vale la pena ricordare che tali politiche hanno impresso uno stimolo allo sviluppo di forme pensionistiche alternative, capaci di integrare i flussi finanziari del risparmiatore in età pensionabile, al fine di arginare la progressiva diminuzione delle prestazioni garantite dai veri enti pensionistici. Non un problema da poco, direi Anche la ricchezza riconducibile alle partecipazioni in società di capitali non quotate (circa 562 miliardi di euro) o alle partecipazioni in società di persone o quasi società (circa 211 miliardi di euro) è di difficile imposizione poiché, essendo questa una ricchezza riconducibile essenzialmente a partecipazioni in piccole società che non hanno una valutazione di mercato giornaliera (come invece avviene per le società quotate), oltre ad essere del tutto astratta, occorrerebbe definire un criterio attendibile di valutazione della partecipazione. Benché sia possibile effettuarlo per via amministrativa, il rischio è proprio quello di subire una valorizzazione arbitraria da parte dello Stato attra-verso delle procedure che possano valorizzare determinati asset non in maniera pertinente. In sostanza, è un po’ come oggi avviene con gli studi di settore per la quantificazione dei redditi di impresa. E anche in questo caso l’esperienza ci conferma quanto possano risultare arbitrarie e non pertinenti la determinazione del fisco. Inoltre, nel caso di imposte patrimoniali applicate ad imprese o aziende, c’è da dire che queste comporterebbero anche un’ulteriore abbattimento della competitività della imprese che, a quel punto, dovrebbero compensare la compressione di redditività patita con l’imposta applicata, attraverso un aumento di prezzi che le renderebbero ancor meno competitive, aggravando una situazione già critica. Figura 4: La tabella riporta i dati relativi alla ricchezza finanziaria delle famiglie italiane nell’anno 2014, a parere dell’autore “facilmente” tassabile con imposte patrimoniali straordinarie. Elaborazione di Paolo Cardenà su dati Banca d’Italia. Gli investimenti finanziari (ossia in titoli di stato, fondi comuni, azioni ecc) per loro natura, si prestano ad essere colpiti con maggiore attitudine rispetto ad altre tipologie di asset. Ma anche in questo caso, l’applicazione di una imposta patrimoniale straordinaria fortemente invasiva in termini di prelievo fiscale, rischierebbe di produrre più danni che guadagni. Pensiamo, ad esempio, ad un pacchetto di azio-ni detenute da un risparmiatore, supponiamo per 100.000 euro, e che vengano colpite da un imposta straordinaria di qualche punto percentuale. In questo caso, se il risparmiatore non dovesse disporre di liquidità sufficiente per provvedere al pagamento dell’imposta, egli sarebbe costretto a liquidare parte del proprio investimento al fine di ottenere le risorse necessarie per provvedere al pagamento dell’imposizione tributaria. Questo, se effettuato su scala rilevante, determinerebbe pericolose distorsioni di mercato. Si pensi, ad esem-pio, alla caduta dei prezzi che si potrebbero determinare su un titolo: il risparmiatore ne risulterebbe doppiamente penalizzato poiché, oltre a subire una diminuzione del patrimonio per effetto dell’imposizione fiscale, subirebbe anche il deprezzamento del proprio portafoglio titoli per effetto delle vendite sui titoli. Questo appare tanto più vero nel nostro mercato finanziario, il quale, essendo di modeste dimen-sioni, risulta particolarmente esposto alla possibilità di variazione di prezzi anche con capitali relativamente esigui. Inoltre, ciò rischierebbe di avvantaggiare investitori stranieri (quindi esenti da imposta), che in quest’ultimo caso, potrebbero acquistare pacchetti azionari a buon mercato per effetto della depressione dei prezzi causata da una patrimoniale feroce. Evidentemente. le conseguenze nefaste non si esaurirebbero con le casistiche appena descritte, ma andrebbe ben oltre. Discorso analogo potrebbe essere effettuato per le obbligazioni societarie (soprattutto bancarie) e i titoli di stato. Ma, in quest’ultimo caso, occorre effettuare qualche ulteriore ragionamento in virtù del fatto che, il titolo di stato, essendo un debito dello Stato che si vorrebbe abbattere proprio attraverso l’imposizione patrimoniale straordinaria, lo Stato potrebbe essere tentato di operare una compensazione tra il suo credito derivante dall’imposizione tributaria e il suo debito rappresentato dal titolo di Stato nel portafoglio del risparmiatore. In altre parole, in questo caso, laddove non si dispongano di risorse necessarie per poter corrispondere l’imposizione tributaria, lo Stato potrebbe effettuare una compensazione tra il proprio credito (imposta patrimoniale) e il proprio debito (titolo di stato), diminuendone o azzerandone

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gli interessi previsti o, nei casi più “estremi”, decurtandone il capitale alla scadenza del titolo. In buona sostanza, un default mascherato da una patrimoniale. Concludendo, le classi di attività che si prestano ad essere colpite con maggior attitudine, anche con imposizioni feroci, sono proprio quelle liquide (ad esempio depositi bancari, di conto corrente, o postali), poiché aggredire tali patrimoni costituisce, per lo stato, garanzia della celerità e del buon esito della pretesa tributaria. In tal senso, anche quelle attività in cui lo stato risulta essere debitore (titoli di stato) si prestano con particolare attitudine a soddisfare le proprie esigenze, in quanto, lo stato, potrebbe agevolmente compensare la sua posizione debitoria con il credito emerso per effetto dell’imposizione fiscale. Analogo discorso può essere osservato per le obbligazioni bancarie, le quali, come noto anche per via della recente introduzione della normativa sui salvataggi bancari, potrebbero essere sottoposte all’azzeramento (o alla riduzione) al fine di obbligare il risparmiatore a contribuire al salvataggio di qualche banca che potrebbe trovarsi in stato di difficoltà. A mero titolo informativo, giova segnalare la proposta di iniziativa popolare avanzata dalla Cisl. La proposta avanzata dal sindacato prevede l’introduzione di un’imposta patrimoniale ordinaria sulla ricchezza netta che cresca al crescere della ricchezza mobiliare e im-mobiliare complessiva, con l’esenzione totale sugli imponibili delle famiglie fino a 500.000 euro di ricchezza, con l’esclusione da tale computo della prima casa. L’imposta andrebbe a colpire l’ammontare complessivo dei valori mobiliari ed immobiliari con aliquote crescenti su diversi scaglioni di valore, dai 500 mila euro in su (si veda Il Sole 24 Ore del 2 settembre 2015,http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2015-09-02/fisco-legge-popolare-targata-cisl-via-tassa-prima-casa-e-bonus-mille-euro-i-redditi-fino-40mila-euro-105824.shtml?uuid=ACaTgaq&refresh_ce=1). Pensare che con un’imposizione patrimoniale straordinaria possa ottenersi un gettito di 400/500 miliardi di euro come quanto auspicato da “autorevoli” commentatori, appare del tutto irrealistico, oltreché destabilizzante per uno stato di diritto, ove la proprietà privata e la tutela del risparmio è anche garantita costituzionalmente. Ma ciò non toglie che questo patrimonio possa essere comunque esposto al rischio di qualche forma di imposizione patrimoniale o, peggio, confisca. L’imposta patrimoniale, oltre ad essere una tassa iniqua ed ingiusta per definizione (poiché andrebbe a colpire anche i patrimoni realizzati con flussi di reddito già ampiamente tassati), comporterebbe il concretizzarsi di un evento deprecabile che comprometterebbe in maniera sostanziale anche la già precaria fiducia dei risparmiatori nei confronti dello Stato. Tuttavia, i risparmiatori dovrebbero comunque adottare quelle strategie più idonee (anche in relazione al proprio status e alla composizione del proprio patrimonio) a limitare l’impatto di un’even-

tuale inasprimento delle imposte esistenti o dall’introduzione di qualche forma di imposizione patrimoniale straordinaria.

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8/9/2016

4 BANCHE: AL VIA I RIMBORSI. FEDERCONSUMATORI A DISPOSIZIONE DEI

CITTADINI PER PRESENTAZIONE ISTANZE INDENNIZZO

ATTENDIAMO RISPOSTE PER LA TUTELA DI AZIONISTI E LAVORATORI.

(Federconsumatori) - All'indomani della pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del provvedimento che ha aperto

la strada agli indennizzi, i responsabili e gli esperti della Federconsumatori stanno lavorando instancabilmente

per tutelare i cittadini interessati e far ottenere loro quanto gli spetta.

Abbiamo partecipato ad incontri e confronti sia con Roberto Nicastro, l'AD delle 4 banche salvate, ovvero

Nuova Banca Etruria, Nuova Banca Marche, Nuova CariChieti e Nuova CariFerrara, sia con il Fondo

Interbancario Tutela Depositi, al fine di agevolare l'iter dei rimborsi e di chiarire alcuni aspetti rilevanti che

potevano creare dubbi per ottenere il previsto indennizzo.

Ad esempio, una delle questioni poste, per la quale abbiamo ottenuto quanto richiesto, è quella relativa

all'allargamento della platea dei possibili richiedenti: mentre prima avevano diritto al rimborso solo i

sottoscrittori delle obbligazioni, ora tale diritto spetta a tutti i cointestatari del conto (ovviamente qualora

posseggano i requisiti necessari).

Inoltre abbiamo chiesto e ottenuto la semplificazione e l'incremento delle modalità di trasmissione e inoltro

delle domande di rimborso, via raccomandata, ma anche via pec e tramite un apposito form sul sito del Fondo

Interbancario Tutela Depositi.

Si tratta di alcuni importanti passi avanti, ora ne aspettiamo ancora molti altri.

Il più importante ed urgente è senza dubbio l'accelerazione delle procedure per consentire l'avvio dell'arbitrato,

per dare finalmente piena libertà di scelta ai risparmiatori su quale percorso intraprendere. È intollerabile che,

a quasi un anno di distanza, ancora non sia stata resa operativa tale procedura.

Inoltre, nell'ambito di tali incontri, in relazione alla vendita degli istituti bancari abbiamo rivendicato soluzioni

che salvaguardino da un lato i lavoratori e l'economia locale, dall'altro gli azionisti. Nel dettaglio, per questi

ultimi proponiamo alcune soluzioni, ad esempio un warrant: ovvero il diritto di convertire le vecchie azioni nelle

azioni delle nuove banche (con modalità e criteri da definire insieme).

In attesa di risposte concrete su tali fronti invitiamo i cittadini a rivolgersi ai nostri esperti presso gli sportelli

Federconsumatori, presenti su tutto il territorio nazionale, per le informazioni, i chiarimenti e l'assistenza

necessaria ai fini della presentazione delle istanze di indennizzo.

I nostri consulenti competenti in materia ed i nostri legali sono a disposizione anche per fornire spiegazioni in

relazione ad ulteriori aspetti, ad esempio le problematiche legate a sottoscrittori deceduti e relative

successioni, nonché per richiedere alle 4 banche tutta la documentazione necessaria alla presentazione

dell'istanza e per l'assistenza successiva.

N 7/9/2016

Banche: Intesa Sanpaolo è la preferita di Morgan Stanley, potenziale upside del 19% di Titta Ferraro

Morgan Stanley predica ancora cautela sul settore bancario italiano nonostante le valutazioni attuali siano

decisamente a buon mercato, con i titoli che quotano a multipli pari a 0,4 volte il valore di libro tangibile

rispetto alle 0,9 volte del settore bancario a livello europeo. Secondo la casa d'affari statunitense è

consigliabile mantenere una posizione cauta alla luce dell'incombere del referendum sulla riforma

costituzionale che secondo MS al 65% darà un esito sfavorevole con la vittoria del no. Unica banca

italiana con rating overweight (sovrappesare) è Intesa Sanpaolo, su cui ha un target price di 2,6 euro,

con potenziale upside del 19% e dividend yield molto interessante (7,6%).

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9/9/2016

Crisi, il vero problema dell'economia mondiale? L'Europa e i suoi paraocchi L’inizio “formale” della crisi economica si fa risalire al settembre del 2008, con il crollo della banca d’affari americana Lehman Brothers. La data collima abbastanza bene con lo “svaccamento” dell’Unione Europea che — con in più la coincidenza non del tutto casuale della crisi dell’immigrazione incontrollata — ha radici sostanzialmente economiche.

Ha fatto comodo a molti in questi anni supporre che il crollo economico fosse globale. Pertanto, fa effetto andare per il mondo e trovare che i riferimenti alla “crisi” non vengono bene compresi senza specificare di quale crisi stiamo parlando. Ce n’è sono tante… I paraocchi messi dall’Europaper non vedere troppo bene come stanno le cose altrove hanno prodotto una percezione sempre più distorta del resto del mondo.

Per molti europei ad esempio è diventato articolo di fede che l’economia americana e il dollaro siano in declino, quando è palesemente vero il contrario. Il dollaro è sempre di più — non sempre di meno — la valuta di riserva dell’intero pianeta. Nuovi dati della BIS-Bank for International Settlements

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indicano che la presenza della valuta americana nei $5,1 trilioni di operazioni di cambio quotidiane ha raggiunto l’87,6 percento di tutte le transazioni, mentre l’indebitamento in dollari tra terzi fuori dagli Usa è volato ai $9 trilioni. I dati BIS indicano che il volume dei cambi con l’euro da una parte dell’operazione è invece scivolato dal 37% del 2007 al 31,3% di oggi.

Un altro indice di fiducia internazionale è quello delle valute scelte dalle banche centrali dei vari paesi per costituire le proprie riserve. La parte del dollaro in questi “risparmi nazionali” è oggi tornata al 63,6%, il livello di dieci anni fa. La quota dell’euro invece è passata negli ultimi otto anni dal 28% al 20,4%, all’incirca dove si trovava il solo marco tedesco nei primi anni Novanta. Sono dati che mettono la Federal Reserve americana, la “Fed”, in una posizione scomoda. La banca è oggi in pratica la banca centrale del mondo intero—il che è un problema. Vuol dire che ogni volta che gli Usa danno segni di volere alzare i tassi, le borse del globo tremano e gli americani si trovano costretti a rinunciare. Così, il dollaro non solo è solido, costa poco e si allarga ancora di più sui mercati esteri.

Gli stessi paraocchi hanno confuso l’Unione Europea sulla Brexit, il cui esito è stato notoriamente del tutto imprevisto dall’Ue. Anche qui c’è un dato semplice—seppure eclatante—che la dice lunga. Tra il 2010 e il 2015 il Regno Unito ha, da solo, creato più posti di lavoro di tutti gli altri 27 stati membri dell’Unione presi insieme. Sì, è così, e l’ha fatto ignorando bellamente sia l’euro sia i “consigli” economici dell’Ue, rendendo l’andamento inglese politicamente invisibile a Bruxelles. Si ammetteva, questo è vero, un certo successo economico della Cina, ma quelli erano cinesi, con gli occhi a mandorla e capaci di tutto. Intanto, il spesso preannunciato crollo cinese non è ancora arrivato, ma forse verrà presto, specialmente perché il grande mercato europeo—per la scarsità di soldi—è progressivamente meno capace di assorbire la produzione orientale. È semplice. Il problema dell’economia mondiale è in larga parte l’Europa. La debolezza continentale è per molti versi la causa delle difficoltà che supponiamo universali.

James Hansen

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Notizie Italia

Stru menti Utili 9/9/2016

Banche salvate: Giorgianni, risarciti 4.000 risparmiatori su 12.500 di Alessio Trappolini

Letizia Giorgianni, portavoce del movimento “Vittime del Salva-banche”, ha pubblicato un post su Facebook nel quale ha

denunciato che “Su 12.500 risparmiatori colpiti dal salvataggio delle quattro banche (Banca Marche, Banca Etruria,

CariFerrara e CariChieti) di fine 2015, solo 4.000 riceveranno i rimborsi promessi dal governo”.

L’esponente del movimento ha incontrato i rappresentanti di Banca d’Italia e del Fondo di Tutela dei Depositi (Fitd), fondo

partecipato da tutte le banche italiane. A margine dell’incontro ha accusato l’esecutivo in carica di aver “Azzerato

obbligazioni subordinate pari a 768 milioni, 430 dei quali in mano a clienti retail, oltre 10.000 dei quali sono piccoli

risparmiatori”.

Ricordiamo che affinché venga riconosciuto un indennizzo occorre che sussista una di queste due condizioni: reddito

complessivo inferiore a 35.000 euro o un patrimonio mobiliare inferiore a 100.000 euro.

9/9/2016

UniCredit: sottotono dopo le indiscrezioni del Financial Times, si attende il piano strategico entro fine anno Oggi, 11:20

di Alessio Trappolini Mattinata sottotono per UniCredit, che al momento registra la peggior performance del settore bancario. Sul titolo pesano alcune indiscrezioni fatte circolare in mattinata dal Financial Times secondo cui l’ammontare di capitale fresco che l’istituto dovrebbe richiedere al mercato per il prossimo aumento di capitale si aggirerebbe intorno ai 10 miliardi di euro. Sempre secondo il giornale britannico, UniCredit sta valutando varie alternative da affiancare all’aumento di capitale. Oltre alla cessione della quota di Bank Pekao, il board guidato dall’Ad Jean Pierre Mustier vorrebbe cedere l’intera quota di Pioneer. Mentre sul fronte Bank Pekao il governo polacco ha espresso la volontà di voler procedere con l’acquisto di una quota dell’istituto, per riportarlo sotto il controllo pubblico, per Pioneer non sono ancora state avviate trattative ufficiali. Alcune prime indiscrezioni avevano riportato la possibilità di una fusione con Eurizon, il colosso del risparmio gestito di Intesa SanPaolo. Ieri invece alcuni giornali avevano alimentato le voci circa l’interessamento al dossier Pioneer da parte di Poste Italiane. Per gli analisti di Mediobanca Securities "Riteniamo che per Poste Italiane vi siano altre priorità in questo momento. Siamo quindi scettici circa la possibilità che Poste Italiane potrebbe andare avanti con l'acquisto di una quota consistente in Piooner”. Ricordiamo che la banca di Piazza Gae Aulenti ha conferito il mandato di esplorare possibili soluzioni per la vendita, acquisizione o IPO di Pioneer a JP Morgan, per il quale rimangono varie piste da sondare. La valutazione data da Unicredit a Pioneer è di circa 3 miliardi di euro. Gli investitori rimangono alla finestra, aspettando il piano strategico che dovrebbe essere stilato entro fine anno. In questo documento dovrebbero essere delineati con più chiarezza i piani per risollevare il Core Tier 1 dell’istituto che a fine giugno si attestava al 10,3%, in seguito ai risultati degli stress test pubblicati dall’Eba.

9/9/2016 Bancari in recupero, ma i dossier di Unicredit e Mps pesano sull'intero settore

FTA Online News

Titoli bancari in recupero a Milano nonostante la debolezza di Unicredit (-0,08%) . L'indice di settore Ftse Italia Banche segna un rialzo dello 0,42% sostenuto dal balzo di Ubi Banca (+1,37%) e Carige (+1,67%). Bene anche il Banco Popolare (+0,76%), Fineco (+0,56%), Bper (+0,39%), Bpm (+0,38%) e Mediobanca(+0,36%) e Intesa (+0,27%). Mps dopo un avvio fiacco segna un rialzo dello 0,12 per cento.

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Nel suo ultimo report sul tema Morgan Stanley afferma che ormai le banche italiane quotano ad appena il 40% del valore di libro tangibile contro il 90% della media europeo. Si tratterebbe insomma di un comparto estremamente attraente rispetto a questo multiplo, ma la banca americana frena sui consigli di acquisto perché ritiene che il prossimo referendum costituzionale possa influire sulla fiducia generale nel Paese e degli investitori domestici ed esteri. Di recente il quotidiano MF aveva evidenziato che secondo i consulenti l'aumento di capitale di MPS lanciato prima del referendum avrebbe potuto raccogliere sul mercato al massimo 2 miliardi di euro (contro i 5 miliardi previsti e garantiti dal consorzio guidato da Mediobanca e JP Morgan). Dopo un referendum dall'eventuale voto positivo (quindi con il cambiamento della carta costituzionale voluto dal governo) "ambienti finanziari" citati da MF ritenevano invece che i 5 miliardi di aumento di capitale sarebbero stati interamente coperti. A complicare le cose interviene ora la sostituzione dell'amministratore delegato Fabrizio Viola (sembra proprio su pressioni del consorzio di garanzia). Quel che conta in questo contesto è che il successo del referendum costituzionale, anche se il premier Matteo Renzi ha affermato questa estate che non si dimetterebbe neanche in caso di bocciatura della proposta di riforma costituzionale, viene abbinato anche nell'ultimo report di Morgan Stanley alla ricapitalizzazione di MPS e visto come un fattore dirimente per la fiducia dei mercati. Anche un report del 6 settembre di Goldman Sachs cerca di analizzare il peso e le conseguenze del prossimo referendum costituzionale, pur ritenendo poco probabile alla fine un ritorno alle urne anticipato in caso di vittoria del "no". Di certo il percorso di risoluzione della crisi di MPS si è reso più tortuoso dopo l'annuncio di una "Soluzione strutturale e definitiva per l'attuale portafoglio in sofferenza" del 29 luglio scorso. Con il rischio che il dossier della banca senese offuschi le prospettive dell'intero comparto bancario italiano travagliato anche dal sofferto piano di ripatrimonializzazione di Unicredit e dalla complessa vendita delle quattro good bank. Con tutto questo è difficile pensare che i prezzi convenienti di gran parte delle grandi banche italiane (almeno in termini di rapporto sul valore di libro tangibile) non si trasformino in un riserva di valore da dispiegare sui prezzi. A contribuire in maniera decisiva potrebbe essere lo sblocco del mercato degli NPL per il quale ora si prenota anche DeACapital. Un discorso decisivo per il credito italiano, che però passa ancora una volta da Mps e Unicredit. (GD)