Il Giornale della Memoria n.01-2010

16
In questo numero PAG.2 Limbiate, 1960. Scandalo in consiglio comunale Nella rissa verbale, un assessore bestemmia e succede il finimondo. Polemiche per giorni PAG.3 Seregno, 1970. Nasce un pulcino mutante Allevatore scopre, in una covata, un aspirante galletto con due cuori e quattro ali PAG.4/7 Monza, 1960. Dalla nebbia spunta un treno impazzito Il diretto Sondrio-Milano deraglia in città e fa una strage di pendolari: 16 morti e centinaia di feriti. L’omelia del card. Montini PAG.8 Seregno-Giussano, 1970. L’influenza Spaziale fa flop Il virus di Honk-Kong, così temuto alla fine del 1969, colpisce in modo blando. Dubbi per la morte di un 50nne dopo il vaccino PAG.11 Desio, 1970. Nel dancing pestati i carabinieri Intervenuti per fermare un ubriaco, due giovani militi aggrediti selvaggiamente fuori dalla Coccinella PAG.12/13 Desio, 1960 - Muggiò 1970. Tornano le salme dei caduti Luigino Como, soldato desiano morto prigioniero in Polonia torna a casa. Dieci anni dopo, i resti di due altri militari muggesi deceduti su vari fronti PAG.14/15 Monza, 1950. La politica sogna la nuova ferrovia Dc mobilitata per la nuova tratta fra Milano e Bergamo. E il Pci interroga il ministro dei Trasporti FAUSTO E SILVANO M olti giornali, all’inizio di questo 2010, hanno ricordato la scomparsa, 50 anni orsono, di Fausto Coppi. Sono riapparse le foto delle sue imprese, dell’eterno dualismo con Bartali, dello scandalo dell’amante, la Dama Bianca. Nessun ricordo è stato invece tributatato alle 18 vittime del diretto 341, il diretto Sondrio-Milano, deragliato a Monza, una mattina del 5 gennaio del 1960. Una delle più gravi catastrofi ferroviarie italiane, mezzo secolo dopo, non esiste più, obliterata dalla memoria collettiva, se si eccettua un articolo de Il Cittadino (nella sola edizione monzese) e del Giornale di Monza. Nel luogo dove il disastro avvenne, non c’è neppure una piccola lapide. Eppure su quei vagoni c’era un pezzo di vita: c’erano progetti, desideri, attese di futuro. C’erano uomini e donne come noi, oi. Il più giovane era Silvano Cantù da Bernareio, 24 anni e una grande passione per la politica, tanto che animava la sezione della Democrazia cristiana. Chi lo ricorda ancora? Chi ripensa più al suo entusiasmo e il suo sorriso? Che Brianza era quella, che valori aveva e, soprattutto, che fine ha fatto? Questo giornale nasce per recuperare, attraverso le cronache del secolo scorso, la memoria di questa terra. I fatti e i protagonisti, spesso dimenticati, come sentieri attraverso i quali tentare di ricostruire una consapevolezza di chi siamo oi. Ché , senza saperlo, non si va da nessuna parte. Cari lettori, camminate con noi. GdM Editoriale EMERGENZA IMMIGRAZIONE, RIUNITI I SINDACI DELLA BRIANZA Amministratori locali, industriali, sindacalisti intorno a un tavolo a Monza per trovare soluzioni al crescente flusso migratorio dalle regioni del Sud 1970, iniziativa del primo cittadino Pavia M igliaia di perso- ne che arrivano dal Mezzogior- no d’Italia. Le cronache del 1970 segnalano fortissimi flussi mi- gratori a Monza e nel circondario. Il fiume di gente che, dal ’60, an- no del grande Boom economico, ha inondato Milano e Torino, ora pie- ga verso i comuni brianzoli. Un’onda di gente mossa dalla tra- gica scarsità di lavoro del Sud. Mi- gliaia di famiglie che hanno biso- gno di molte cose ma soprattutto di alloggi. Un’emergenza vera e propria. Per questo, il sindaco Lu- igi Pavia, riunisce nell’ottobre del 1970, decine di suoi colleghi, l’As- sociazione industriali e i rappre- sentanti del sindacato. Tutti a un tavolo per cercare solu- zioni e piuttosto in fretta. Vitto- rio Casanova, numero uno degli imprenditori, avverte infatti: «Nel ’71-’72 daremo lavoro ad altre 5mila persone». E dall’inizio del 1970, le fabbriche della Brianza, hanno già- sono già offerti 3.150 posti. servizio a pag.10 Un asilo e la sua storia ultra- centenaria. Il giornale che avete in mano nasce da qui. Ormai tre anni fa, alcuni geni- tori che avevano i figli all’Asilo Aliprandi di Giussano decise- ro di impegnarsi per celebra- re degnamente i 110 anni di quell’opera, nata appunto nel 1897. Dando un’occhiata agli archivi, perfettamente conser- vati, pensarono che un modo potesse essere realizzare un mostra con i documenti, le corrispondenze, i registri di quella istituzione. Ne scatu- rì, quasi miracolosamente, un bellissimo allestimento che, attraverso le minute e le pezze amministrative di un oltre un secolo, riconsegnava intatta la storia di un’opera educativa, riuscendo a ridire le ragioni di chi, con grande slancio ca- ritativo, la fondò e la seppe co- struire nei decenni. E raccontando la crescita del piccolo asilo giussanese, si finì inevitabilmente per ricostrui- re la memoria di una cittadina e di un pezzo di Brianza: quei documenti raccontavano di un mondo che cambiava, di una comunità che cresceva, di uo- mini e di donne che diventa- no sempre più consapevoli protagonisti del loro tempo, anche attraverso il disastro di alcuni conflitti (Libia, Grande e Seconda Guerra). Un’esperienza esaltante, che inoculò in alcuni di quei ge- nitori il germe della ricerca d’archivio e il desiderio di contribuire a divulgare la sto- ria di questa terra, la Brianza. Da quell’esperienza nasce infatti l’Associazione cultura- le Storia e Territorio-Ast che, come primo atto, ha deciso di fondare e di editare questo giornale. AST DA QUALE STORIA NASCE QUESTO GIORNALE BRIANZA n.01 febbraio 2010 euro 2,00 P u P P B B C À i t l i Questo spazio è a disposizione per la comunicazione di aziende e istituzioni per la pubblicità su Il Giornale della Memoria Associazione Storia & Territorio tel. 0362.285087 mail [email protected] OMAGGIO

description

Mensile gratuito di divulgazione storica della Brianza

Transcript of Il Giornale della Memoria n.01-2010

Page 1: Il Giornale della Memoria n.01-2010

In questo numero

PAG.2Limbiate, 1960. Scandalo in consiglio comunaleNella rissa verbale, un assessore bestemmia e succede il fi nimondo. Polemiche per giorni

PAG.3Seregno, 1970. Nasce un pulcino mutanteAllevatore scopre, in una covata, un aspirante galletto con due cuori e quattro ali

PAG.4/7Monza, 1960. Dalla nebbia spunta un treno impazzitoIl diretto Sondrio-Milano deraglia in città e fa una strage di pendolari: 16 morti e centinaia di feriti. L’omelia del card. Montini

PAG.8Seregno-Giussano, 1970. L’infl uenza Spaziale fa fl opIl virus di Honk-Kong, così temuto alla fi ne del 1969, colpisce in modo blando. Dubbi per la morte di un 50nne dopo il vaccino

PAG.11Desio, 1970. Nel dancing pestati i carabinieriIntervenuti per fermare un ubriaco, due giovani militi aggrediti selvaggiamente fuori dalla Coccinella

PAG.12/13Desio, 1960 - Muggiò 1970. Tornano le salme dei cadutiLuigino Como, soldato desiano morto prigioniero in Polonia torna a casa. Dieci anni dopo, i resti di due altri militari muggesi deceduti su vari fronti

PAG.14/15Monza, 1950. La politica sogna la nuova ferrovia Dc mobilitata per la nuova tratta fra Milano e Bergamo. E il Pci interroga il ministro dei Trasporti

FAUSTO E SILVANO

Molti giornali, all’inizio di questo 2010, hanno ricordato la scomparsa, 50 anni orsono, di Fausto Coppi. Sono riapparse le foto delle sue imprese, dell’eterno dualismo con Bartali, dello scandalo dell’amante,

la Dama Bianca. Nessun ricordo è stato invece tributatato alle 18 vittime del diretto 341, il diretto Sondrio-Milano, deragliato a Monza, una mattina del 5 gennaio del 1960. Una delle più gravi catastrofi ferroviarie italiane, mezzo secolo dopo, non esiste più, obliterata dalla memoria collettiva, se si eccettua un articolo de Il Cittadino (nella sola edizione monzese) e del Giornale di Monza. Nel luogo dove il disastro avvenne, non c’è neppure una piccola lapide. Eppure su quei vagoni c’era un pezzo di vita: c’erano progetti, desideri, attese

di futuro. C’erano uomini e donne come noi, ogg i. Il più giovane era Silvano Cantù da Bernaregg io, 24 anni e una grande passione per la politica, tanto che animava la sezione della Democrazia cristiana. Chi lo ricorda ancora? Chi ripensa più al suo entusiasmo e il suo sorriso? Che Brianza era quella, che valori aveva e, soprattutto, che fi ne ha fatto? Questo giornale nasce per recuperare, attraverso le cronache del secolo scorso, la memoria di questa terra. I fatti e i protagonisti, spesso dimenticati, come sentieri attraverso i quali tentare di ricostruire una consapevolezza di chi siamo ogg i. Ché , senza saperlo, non si va da nessuna parte. Cari lettori, camminate con noi. GdM

Editoriale

EMERGENZA IMMIGRAZIONE,RIUNITI I SINDACI DELLA BRIANZAAmministratori locali, industriali, sindacalisti intorno a un tavolo a Monza per trovare soluzioni al crescente flusso migratorio dalle regioni del Sud

1970, iniziativa del primo cittadino Pavia

M igliaia di perso-ne che arrivano dal Mezzogior-no d’Italia. Le cronache del

1970 segnalano fortissimi flussi mi-gratori a Monza e nel circondario. Il fiume di gente che, dal ’60, an-no del grande Boom economico, ha inondato Milano e Torino, ora pie-ga verso i comuni brianzoli. Un’onda di gente mossa dalla tra-gica scarsità di lavoro del Sud. Mi-gliaia di famiglie che hanno biso-gno di molte cose ma soprattutto di alloggi. Un’emergenza vera e propria. Per questo, il sindaco Lu-igi Pavia, riunisce nell’ottobre del 1970, decine di suoi colleghi, l’As-sociazione industriali e i rappre-sentanti del sindacato. Tutti a un tavolo per cercare solu-zioni e piuttosto in fretta. Vitto-rio Casanova, numero uno degli imprenditori, avverte infatti: «Nel ’71-’72 daremo lavoro ad altre 5mila persone». E dall’inizio del 1970, le fabbriche della Brianza, hanno già-sono già offerti 3.150 posti.

servizio a pag.10

Un asilo e la sua storia ultra-centenaria. Il giornale che avete in mano nasce da qui. Ormai tre anni fa, alcuni geni-tori che avevano i fi gli all’Asilo Aliprandi di Giussano decise-ro di impegnarsi per celebra-re degnamente i 110 anni di quell’opera, nata appunto nel 1897. Dando un’occhiata agli archivi, perfettamente conser-vati, pensarono che un modo potesse essere realizzare un

mostra con i documenti, le corrispondenze, i registri di quella istituzione. Ne scatu-rì, quasi miracolosamente, un bellissimo allestimento che, attraverso le minute e le pezze amministrative di un oltre un secolo, riconsegnava intatta la storia di un’opera educativa, riuscendo a ridire le ragioni di chi, con grande slancio ca-ritativo, la fondò e la seppe co-struire nei decenni.

E raccontando la crescita del piccolo asilo giussanese, si fi nì inevitabilmente per ricostrui-re la memoria di una cittadina e di un pezzo di Brianza: quei documenti raccontavano di un mondo che cambiava, di una comunità che cresceva, di uo-mini e di donne che diventa-no sempre più consapevoli protagonisti del loro tempo, anche attraverso il disastro di alcuni confl itti (Libia, Grande

e Seconda Guerra). Un’esperienza esaltante, che inoculò in alcuni di quei ge-nitori il germe della ricerca d’archivio e il desiderio di contribuire a divulgare la sto-ria di questa terra, la Brianza.Da quell’esperienza nasce infatti l’Associazione cultura-le Storia e Territorio-Ast che, come primo atto, ha deciso di fondare e di editare questo giornale. AST

DA QUALE STORIA NASCE QUESTO GIORNALE

BRIANZA

n.01febbraio 2010

euro 2,00 PuPPBBC Àit

liQuesto spazio è

a disposizione per la comunicazione

di aziende e istituzioni

per la pubblicità su Il Giornale della Memoria

Associazione Storia & Territorio

tel. 0362.285087mail [email protected]

OMAGGIO

Page 2: Il Giornale della Memoria n.01-2010

2Febbraio 2010

Dalla Corea ad Algeri, gli anni de La dolce vita

Che cosa succedeva in Italia e nel mondo, mentre in Brian-za accadevano i fatti che po-tete leggere qui accanto?Nel 1950, ad esempio, si regi-stra la Guerra delle due Co-ree: fallite le trattative Onu, il Nord comunista invade il Sud, con l’appoggio cinese. Gli Americani si schiereran-no con Seoul, intervenendo direttamente.In Italia, quell’anno, muore lo scrittore Cesare Pavese, viene ucciso il bandito Sal-vatore Giuliano e il Gover-no vara la Cassa del Mez-zogiorno.Dieci anni dopo, nel 1960, tu-multi a Genova, contro il Go-verno Tambroni, Fellini dà scandalo con La dolce vita, Roma ospita le Olimpiadi. La Francia concede l’indi-pendenza all’Algeria (e a molte colonie), Leonid Brez-nev diventa numero uno in Urss.Il 1970 è l’anno della Ostpo-litik verso l’Est del Cancel-liere tedesco Willy Brandt, degli scontri sanguinosi in Irlanda del Nord fra catto-lici e protestati, della morte del chitarista rock Jimmy Hendrix. In Italia, esordiscono le Re-gioni e lo Statuto dei lavo-ratori. Reggio Calabria si rivolta per giorni interi alla deci-sione di fare Catanzaro ca-poluogo.

Fatti di tre decenni

Che cosa accadevaC

SE L’ASSESSORE SACRAMENTA Accalorato consiglio comunale: nella sala vola una bestemmia ed è scandalo

Una bestemmia nel bel mezzo di un consiglio comuna-le. Un’imprecazio-ne pesante contro il

Padreterno e per di più in un’aula istituzionale.Accade a Limbiate, nel febbraio del 1960, protagonista un assessore co-munista, Angelo Dell’Orto, che perde le staffe nel bel mezzo di una interpellanza presentata dal consi-gliere democristiano Barzon al sin-daco Donzelli. Un quadretto degno del miglior Giovanni Guareschi, l’inventore di Don Camillo, il sanguigno pre-te emiliano, cui si oppone, con la stessa passione, il sindaco Giuseppe Bottazzi, detto Peppone.L’Informatore limbiatese, pagina lo-cale de Il Cittadino, ne dà notizia nell’edizione del 13 febbraio, con toni scandalizzati. L’Italia esce da un decennio piutto-sto turbolento dal punto di vista po-litico. Il 1960, da poco iniziato, è un anno di forti tensioni politiche, in Parlamento e fuori. Proprio in quei giorni, il cardinale Alfredo Ottavia-ni, a capo del Sant’Uffizio, critica duramente l’annunciato viaggio in Urss del presidente della Repub-blica, Giovanni Gronchi, fautore della distensione e spinto dal presi-dente dell’Eni, Enrico Mattei. Una polemica che ne alimenta altre, in seno alla stessa maggioranza di centrodestra, tanto che il governo, presieduto da Antonio Segni, cade perché liberali e repubblicani criti-cano le prove di centrosinistra che si fanno in casa Dc. Il 25 marzo, Fernando Tambroni avrebbe poi formato un nuovo monocolore so-stenuto col voto decisivo del Movi-mento sociale italiano-Msi.L’Informatore limbiatese sfodera la bacchetta: «A chi, in sede ufficiale

1960 Limbiate

Il Numero

sono i cittadiniiscritti nell’elenco poveri del Comune di Giussa-no, nell’anno 1959. Ne dà notizia, agli inizi del 1960, il bilancio comunale approvato a marzo dell’anno successivo che dettaglia la ripartizione degli assistiti fra capoluogo e frazioni. Si tratta di 113 famiglie di cui 75 nel capoluogo, 19 di Paina, 8 a Robbiano e 11 a Birone. In quell’anno l’amministrazione spende 574.870 lire in farmaci gratuiti ai non abbienti.

258

Nuove imprese

Sono cinque le imprese neonate nella settimana fra il 13 e il 19 marzo 1950. Il Tribunale civile di Monza tiene infatti a battesimo la Metalmeccanica Srl di Cusano Milanino; la Tintoria industriale di Bettolino Srl di Cologno Monzese; la Giaiani e Montrasio Sas di Villasanta; la Tessiture Lane Gavazzo e Galbiati Snc di Caru-gate e la Fratelli Pozzoni Srl, «industria di fabbricazione acque gasate e affi ni» di Bernareggio, che raggiunse un certa notorietà anche con le spume fra cui la Polo (vedi foto sopra).

MARZO 1950: IN BRIANZA CINQUE FIOCCHI ROSA

Quel giorno avvenne

e pubblica offende così grossolana-mente i nostri sentimenti di civiltà e di religione non può andare se non la nostra classifica di maleducato», scrive un anonimo redattore. «Se osserviamo che tra il pubblico c’erano, oltre che alcune donne, an-che i due Parroci del paese», pro-segue l’articolo, «la maleducazione dell’assessore dobbiamo definirla inqualificabile e provocatoria». E la chiusa è, se possibile, al vetrio-lo: «Solo poco tempo fa era asses-sore all’Istruzione: bell’esempio per i nostri bambini».

8 GENNAIO 1970Cameriera vola dal quinto piano ma si salva. Miracolo a Monza

Poteva essere una tragedia e invece fu quasi una favola a lieto fi ne: una ragazzina sedicenne che vola giù dal quinto piano di una stabile a Monza e si salva.Le cronache raccontano che A. P., giovane sarda, era da pochi mesi in ser-vizio presso la famiglia di un noto commercialista monzese, Cesare M., in via Brianza, nelle adiecenze di Villa Reale. Al mattino, dopo le 9,30, quando il professionista e la moglie erano usciti e la bambina della coppia stava ancora dormendo, la giovane domestica era intenta a pulire i vetri di alcune fi nestre della camera da letto.Era salita su una scala, la cameriera, e probabilmente aveva anche aperto la fi nestra, per poter poggiare un piede sul davanzale e muoversi meglio. Im-provvisamente il dramma: la giovane scivola, perde ogni appiglio e scivola giù. Il suo esile corpo di ragazzina fende, precipitando, 15 metri dell’aria fredda di quell’inverno 1970. Il prologo di una tragedia: una giovane, poco più che ragazzina, lontanta da casa per guadagnarsi il pane, che perde la vita così. E invece, no. L’ora di A. non era ancora scoccata. Come spiega una cronaca da Monza del Corriere della Sera, «fortunamente l’atterraggio è avvenuto in una zona del giardino appena vangata. La gio-vane è caduta seduta ed ha riportato la frattura del bacino e alcune lievi contusioni. Soccorsa dal portinaio dello stabile, Ambrogio Casiraghi, è stata ricoverata all’ospedale di Monza, con prognosi di un mese».

Gino Cervi nei panni di Peppone, sindaco di Brescello, in uno dei molti film ispirati ai romanzi di Guareschi

Page 3: Il Giornale della Memoria n.01-2010

3Febbraio 2010

il Giornale della Memoriamensile di divulgazione storica

Periodico in corso di registrazione presso il Tribunale di Monza

Direttore responsabile: Giampaolo Cerri

RedazioneVia Giusti, 32/c20034 Giussano (MB)tel. 0362.285087 [email protected]

hanno collaborato: Leandro Cazzaniga,Martina Cerri, Beppe Citterio, Daniele Corbetta, Doranna Fumagalli, Walter Giussani, Annagrazia Internò,Daniele Villa

Progetto grafi co e impaginazione: box313 (www.box313.net)

Editore: Associazione Culturale Storia e TerritorioVia Giusti, 32/c20034 Giussano (MB)tel. 0362.285087email: [email protected]

StampaA.G. BELLAVITE Via I maggio, 4123873 Missaglia (Lc)

ColophoneC

La curiosità

Pochi anni dopo, si sarebbe certamente incolpata la diossina dell’Icmesa ma, in quel marzo del 1970, l’incidente di Seveso era ancora lontano.Eppure, la nascita di un pulcino con quattro zampe e due cuori non poteva non arrivare alla cronache locali. Protagonista, l’avicoltore Renato Zamuner, abitante a Seregno, in via Resegone. Andando a controllare dieci dozzine di uova deposte tre settimane prima, l’allevatore scopre fra i pulcini il piccolo mutante a quattro zampe. «Visto come i fratellini», scri-veranno le cronache del Cittadino, con corredo di foto. Il «mostriciattolo» sarà preso in consegna dagli studiosi di zo-ologia dell’Università di Milano, di cui l’articolo cita il profes-sore Gandolfi , per analizzarne lo sviluppo e «per accertarsi se sopravviverà».

SEREGNO, 1970MUTAZIONE NEL POLLAIO

Assicurato alla giu-stizia Miche-le D.N.,

31 anni, di Ce-sa, provincia di Caserta. I car abinie-ri della Te-nenza di Desio lo a c c i u f f a -no a Cara-te, alla fi ne de l l ’enne-smo tentati-vo di truffa ai danni dei mobi-lieri brianzoli. L’at-tività andava avanti da mesi e il furbo campano era riuscito a raggirare molti impren-ditori della zona, anche se le cro-nache non svelano i meccanismi del grisbi che aveva già fruattato alcuni milioni.In più, al momento del fermo, Mi-

Cronaca nera

Molti matrimoni a De-sio, ai primi di marzo del 1960.

Nei registri battesimali delle par-rocchie cittadine risultano:Zampaglioni Annunziata di An-tonio, Limonta Tiziana di Valen-tino, Meda Marina Maria di Giu-lio, Romano Daniele di Clodio, Arienti Maurizio di Carlo, Ven-tura Maria Luisa di Gianluigi, Ar-diti Giuseppe di Demetrio, Bal-dassarri Anna Maria di Alberto, Gianrusso Lucia di Giovanni, Sa-la Pietro di Sergio, Capuzzo Ma-tilde di Emilio, Tripodi Attilio di Salvatore, Sala Mario di Casimiro, Burgio Angela di Salvatore, Ma-scheroni Luisa di Pietro, Gec-chile Silvano di Giuseppe, Dalla Rosa Alberto di Ferruccio, Salva-tori Marina di Giuseppe, Zecchin Maria Rosanna di Zaccheo, Por-ro Anna Lisa di Eugenio, Riga-

monti Paolo di Domenico.Fiori d’arancioi per alcune cop-pie. Si tratta di Borsarelli Andrea che sposa Colombo Marisa, Cal-darola Luigi che va a nozze con Brandolin Maria mentre Quag-getto Giuseppe conduce all’altare Sapone Caterina, Maiorano Giu-seppe convola con Abbruzzese Rosa, Colombo Valentina va in moglie a Villa Natalino e si dico-no «sì» anche Camnasio Franco e Camnasio Olga.(Ai cinquantenni e agli sposi d’oro di ogg i, gli auguri della redazione e l’invito a inviarci foto o ricordi: li pubblicheremo, ndr).Ma furono anche giorni di lutto a Desio: morirono Natale Pere-go di 41 anni e Giuseppe Piccolo di 46, e due bambini praticamente neonati: Gabriele Degan, 2 due settimane e Giuseppe Bestetti, di appena 2 mesi.

Stato civile 1960

A DESIO, IN MARZO, BATTESIMI, NOZZE E QUALCHE FUNERALE

CARATE 1960, IN MANETTE IL TRUFFATORE DEI MOBILIERI

AD ARCORE, SBARRE DELLADISCORDIANel 1965, una singolare lite fra un casellante di Oggiono e un maccanico di Villasanta. Finita in Tribunale

U na discussione trascesa in alterco vero e proprio, una discussione accesa che diventa grana giudiziaria. Accade nei pressi di Arcore, in località Buttafava. Siamo nel dicembre del 1965 e Giovanni C., 33 anni, di Oggio-no, fa il casellante nel tratto ferroviario della Monza-Molteno,

una tratta abbastanza traffi cata, soprattutto di treni pendolari. Nella vicina drogheria, Giovanni incontra il meccanico Francesco C., classe 1917, di Villasanta, dove fa il meccanico. Non si sa come ma i due iniziano a discutere proprio della gestione del pas-saggio a livello da parte dell’oggionese. A detta del maccanico, da quando Giovanni C. si era insediato in quel casello, le cose non andavano più bene e i tempi di attesa si erano allungati. Un’ineffi cienza che sarebbe costata lunghe attese ai cittadini che, in automobile, devono attraversare quel trat-to di ferrovia. Una critica cui, il casellante risponde per le rime e, secondo i testimoni, volano parole grosse e gli avventori del negozio temono per un attimo che si possa arrivare alle mani.Per fortuna non si va oltre perché il ferroviere sgombra il campo e esce dal negozio. Per il meccanico di Villasanta quasi il segno di una vittoria. Qua-si, appunto, perché quando con l’auto riparte arriva la sorpresa: le sbarre sono abbassate anche se a quell’ora il treno non deve passare. Giovanni C. se la ride: è la sua vendetta. il meccanico deve aspettare almeno un quarto d’ora. Ma a sera, va dai Carabinieri che denunicano il casellante. Nel gennaio ’70 (la giustizia era lenta 40 anni fa, ndr), il Tribunale di Monza lo rinvia a giudizio: abuso in atti d’uffi cio e di falso.

La Storia

Quarant’anni fa scompariva il Burghett, un pezzo della vecchia Muggiò (nella foto, un altro scorcio cittadino di quegli anni). Alla fi ne di febbraio del 1970, iniziavano infatti i lavori di de-molizione del fabbricato dei Casati, costituito da stalle e fi enili e acquisito dalla parrocchia.La struttura, ormai logora, un tempo abitata dai coloni della nota famiglia e per gli abitanti di Muggiò era appunto il borghetto. Al suo posto, il nuovo centro giovanile ma anche la scuola serale.

Muggiò, 1970: addio al Burghett

chele D.N. ha in tasca anche un coltello a serramanico: abile nei raggiri ma anche pronto a tutto se qualcuno avesse scoperto la truff a. Sarò chiamato a rispondere anche di quello.

Page 4: Il Giornale della Memoria n.01-2010

4Febbraio 2010

mo

nz

a 1

960

Un boato ave-va asquar-ciato la quie-te di quella mattina. Un frastuono di lamiere, che

si accartocciavano violentemen-te, uno schianto sordo di muri che crollano, si era sovrapposto, annientandoli, ai soliti rumori di una tranquilla e nebbiosa giorna-ta monzese di martedì 5 gennaio 1960: poche auto, qualche furgo-ne, qualche autobus, calpestio e voci di persone che se ne vanno serene a lavoro.Quel sinistro clangore sibila per tutta via Libertà ma si sente di-stintamente nelle strade circo-stanti. è il fragore della morte: il diretto 341 – 10 carrozze con più di 200 persone a bordo - è deragliato schiantandosi contro le impalca-ture del cantiere che realizza un sottopasso e gli edifici circostanti, fra i quali i Lanificio BBB. Inspiegabilmente, il convoglio, ca-rico di pendolari della Brianza lec-chese, è piombato nel tratto fer-roviario cittadino a quasi cento chilometri orari, laddove, soprat-tutto a seguito dei lavori, si do-vrebbe procedere dieci volte più lentamente. Perché in quel punto, l’attraversamento avviene su una struttura di travi d’acciaio, sotto la quale appunto si scava per far scorrere la strada.E i vagoni sono schizzati via dal-la strada ferrata, schiacciandosi, rovesciandosi e aprendosi, alcuni, come scatolette di latta.Dopo il botto terribile, restano nell’aria solo le grida e il lamento dei feriti. Chi si affaccia alla sede ferroviaria e scorge il serpentone disarticolato delle carrozze, capi-sce subito che si tratta di un di-sastro.Accorrono tutti, nervosamente, disperatamente. La notizia in un istante fa il giro della città. Si pre-cipitano i carabinieri, i vigili del fuoco, le ambulanze della Croce rossa e a decine arrivano, dalla vi-cina stazione, i ferrovieri.Tutti, alla vista delle lamiere con-torte, mormorano la medesima parola: strage.E anche i resoconti ufficiali, i rap-porti di polizia, le indagini aperte immediatamente, di questo par-lano. Perché sulla massicciata, uno dopo l’altra, vengono ada-giate quindici salme mentre la sedicesima vittima, un trenten-ne di Calolzio Corte morirà in ospedale, dopo aver subito vana-mente l’amputazione di una gam-ba drammaticamente maciullata dalle lamiere. I feriti sono 123 (vedi box a sotto).Fra i morti anche il parroco di Dervio, don Giuseppe Gaffulli, che aveva preso precipitosamente quel treno per correre al capezza-le dell’anziana madre morente.Nel disastro del 341, il treno pen-dolari, muore gente semplice, che

Monza 5 gennaio 1960. Un treno di dieci carrozze deraglia in città

la morte sUi Binariil diretto delle otto arriva da lecco carico di lavoratori e studenti. nella nebbia i macchinisti non vedono i segnali e piombano in velocità in un tratto interessato da lavori. Vagoni crollati su Via Piave. sedici i morti e decine di feriti

ne scrisse ancHe Dino BUzzatiGrandi firme raccontarono le giornate di monza: Di Bella, cavallari e anche l’autore de Il Deserto dei Tartari

F irme illustri si distinsero nelle cronache tragiche del 341. Due inviati speciali raccontarono la tragedia, la sua dinamica, lo strazio dei sopravvissuti. Entrambi, negli anni ’70 e ’80, si sarebbero trovati alla direzione del Corriere: Franco Di Bella, che a Monza, raccontò l’incidente con tono appassionato, fu direttore dal

1977 fino al 1981, negli anni sfortunati di Angelo Rizzoli Jr e della bufera P2. Alberto Cavallari che, in quel gennaio di cinquant’anni fa seguì i feriti e i familiari, gli succedette alla guida del giornale, dopo che su via Solferino si era abbattuto lo scandalo legato a Licio Gelli.Ma un’altra grande firma dipinse la strage monzese: fu Dino Buzzati, grande inviato e cronista di nera, ma anche scrittore (Il deserto dei Tartari) e pittore.Buzzati firmò sulla pagina cinque del quotidiano un commento che legava quella tragedia agli altri fatti dolorosi con cui si era innaugurato l’anno: la morte violenta dello scrittore Albert Camus, lo stesso giorno in un inciden-te stradale, la scomparsa del grande Fausto Coppi, due giorni prima, per una malaria diagnosticata in ritardo, e la morte della figlia di Edoardo De Filippo, la piccola Luisella, uccisa da una sincope fulminante, mentre in vacanza con la famiglia, stava giocando a ping-pong.«Di che cosa stavano discorrendo quei poveri uomini donne mentre il treno imboccava la trappola fatale?», si chie-deva nell’articolo intitolato Cha fai, 1960?, apparso a pagina cinque dell’edizione del 6 gennaio. «Avevano compianto ancora Fausto Coppi, con gli inevitabili commenti che in questi giorni abbiamo udito migliaia di volte. E, intrec-ciando questi dialoghi di bocca in bocca, di scompartimento in scompartimento, si spargeva, fra esclamazioni di incredulità e orrore, la notizia di Luisella De Filippo. E chissà che qualcuno, fra tante commiserazioni, non abbia aggiunto il nome di Camus. “Camus, chi è?”, “Eh, un grande scrittore”. “Morto anche lui?”, “In un incidente di automobile. A tutta velocità andato a sbat...”. In quel preciso momento il selvaggio sbandamento, l’urto spaven-toso, il buio. Una catena un po’ troppo pesante, di disgrazie. Una dopo l’altra, senza pausa. E quest’ultima, vera-mente, troppo dura da portare. Che stai facendo, o anno appena nato?».

Così il settimanale Oggi raccontò il 14 gennaio la strage di Monza.Immagine tratta dal sitoArengario.net (Alfredo Viganò)

Page 5: Il Giornale della Memoria n.01-2010

5Febbraio 2010

1 gennaioItalia: assegnata alla lira l’Oscar della moneta ;Indipendenza del Camerun 2 gennaioTortona: muore all’età di 41 anni Fausto coppi, il cam-pionissimo, a causa di un’in-fezione di malaria non dia-gnosticata. 10 gennaioItalia: viene messa in onda per la prima volta sul primo canale radiofonico della Rai la trasmissione Tutto il cal-cio minuto per minuto.24 gennaioL’Algerie Française resiste al presidente De Gaulle e allo svolgimento di trattative di pace.

il costo della vitaTazzina caffè, 50 lire;pane, 140 lire al chilo;latte, 90 lire al litro;vino, 130 lire al litro;zucchero, 245 lire/chilo;benzina, 120 lire al litro

Gli stipendiPaga mensile operaioIndustria, 47mila lire;Agricoltura, 30mila lire.

Gennaio1960

Date e fatti di alloraD

Monza 5 gennaio 1960. Un treno di dieci carrozze deraglia in città

la morte sUi Binariil diretto delle otto arriva da lecco carico di lavoratori e studenti. nella nebbia i macchinisti non vedono i segnali e piombano in velocità in un tratto interessato da lavori. Vagoni crollati su Via Piave. sedici i morti e decine di feriti

continua a pag.6

tutte le vittime del 341

i mortiGiuseppe Gaffulli, Dervio, sacerdote; Piero Vacchini, 59 anni, Milano, macchinista; Lorenzo Rossi, Calolzio; Wanda Vertemati, 34 anni, Bernareggio, impiegata; Angelo Vertemati, 32 anni, Bernareggio, impiegato; Silvano Cantù, 23 anni, Bernareggio, impiegato; Silvana Vismara, 24 anni, Montevecchia di Merate; Luca Colombo, 32 anni, Montevecchia di Merate; Giovan Batti-sta Malighetti, 35 anni, impiegato, Caprino; Luigi Soldini, 75 anni, industriale, Palazzago; Lo-dovica Mariani, Merate; Maria Mandelli, 39 anni, Lomagno; Elio Sangiorgio, 20 anni, Olgiate Molgora; Alessandra Mazzola vedova Colombi, 30 anni, Calusco d’Adda; Anna Soggetti, 39 anni, Lecco; Paolo Milani, Calolzio Corte (deceduto in ospedale).

i feritiGiovanni Marai, Morbegno; Giuseppina Gavazzi, Talamona; Silvana Benetti, Mantello;Alma Fanti, Colorina; Teresina Massenti, Regoledo di Cosio; Imelda Baio, Usmate; Margarita Radaelli, Usmate; Maria Luisa Villa, Usmate; Federico Gagliardi, Bernareggio; Alessandro Ma-pelli, Usmate; Giuseppe Carpani, Milano; Agnese Meregalli, Milano; Pierina Mosconi, Milano; Mauro Passoni, Aicurzio; Luigi Cattaneo, Carnate; Luigio Morelli, Carnate; Andrea Giuliano, Milano; Bonaventura Mazzoleni, Almenno; Arturo Savoldelli, Calusco; Giovanni Tironi, Curno; Carlo Tentori, Calolzio; Egle Acquaviva, Ponte S.Pietro; Giovanni Mazzoleni, Almenno; Maria Lucchini, Calusco; Dora Pellegrino, Calolzio; Giovanni Bergamaschi, Ranica; Giovanni Butta, Calolzio; Mario Fontana, Calolzio; Mario Paolo Moschini, Mapello; Giovanni Corti, Calolzio; Rosanna Crespi, Calusco; Anita Gioisis, Bergamo; Linda De Venezia, Calolzio; Renzo Rota, Ber-benno; Mario Panza, Villa d’Adda; Luigi Cassi, Amolvere; Paolo Milano, Calolzio Corte; Maria Teresa Ravasio, Cisano Bergamasco; Gian Luigi Cattaneo, Villa d’Adda; Walter Contardo, Cal-co; Ernesto Carcano, Robbiate; Giovanni Ciapponi, Lecco; Giovanni Casate, Merate; Libero D’Andrea, Lomagna; Augusto Mauri, Lecco; Piero Orsenigo, Calco; Luigi Pirovano, Lomagna; Armando Fortunati, Lecco; Luigia Aldeghi, Verderio; Luigia Gasperazzo, Lecco; Giovanna Ste-fanoni, Merate; Rita Villa, Cernusco; Linda Vergani, Cernusco; Salvatore Alaimo, Olgiate; Feli-ce Bonfanti, Olgiate; Ernesto Maggiori, Cernusco; Pier Davide Pennati, Olgiate; Marino Mae-ran, Valmadrera; Luigia Ripamonti, Rovagnate; Dolores Camanera, Lecco; Amalia Gargantini, Cernusco; Giuseppina Mosa, Cernusco; Maria Luisa Soldini, Lecco; Paolo Fumagalli, Casate Novo; Roberto Cornello, Lecco; Giulia Prina, Merate; Egle Ravasi, Cernusco; Cesarini Manto-vanelli, Cernusco; Emiliano Sala, Calco; Angelo Ravasi, Olgiate;Raimondo Robbioni, Bellagio; Giuseppina Bossi, Lecco; Wanda Cogliati, Cernusco; Ferdinando Nizzola, Lierna; Giuseppina Ferrario, Olgiate Calco; Giacomina Meroni, Lecco.

sco; della camicia gli era avanzata soltanto una manica. C’era stata una lotta selvaggia per raggiunge-re i finestrini e gettarsi fuori».Augusto Grotteria, ferroviere, che era stato uno dei primi ad accorrere, racconterà al Corriere le terribili scene dell’immediato dopo-incidente. «Tutti urlavano come impazziti. C’era una don-na con le gambe fratturate che gridava: “Tiratemi fuori di qui”. Un bambino seduto sulla rotaia, piangeva e chiamava la mamma. Perdeva sangue dal capo». Sul posto, arrivano, con i soccor-si, anche tre sacerdoti della vicina parrocchia di San Gerardo. Con don Florindo Spinelli, parroco, c’è il coadiutore don Massimo Crespi e don Franco Fumagalli. Si precipitano verso il terzo vago-ne, da dove si odono dei lamenti di feriti. La carrozza è stata trafitta da una rotaia in cima alla quale è appeso un brandello di stoffa nera. Una tragica bandiera di morte perché, come scopriranno i tre religiosi, quel ferro impazzito, sollevandosi dal binario, ha sfondato lo scom-partimento dove sedeva don Gaf-fulli, trafiggendolo a morte, e quel drappo nero è un brandello della sua tonaca.Locomotore e primo vagone sono invece finiti nel cortile del Lanifi-cio BBB, le cui maestranze, gui-date dal proprietario, il cavalier Angelo Borghi, prestavano i pri-mi soccorsi.Come scrisse Di Bella, quel pezzo di treno impazzito, aveva distrut-to solo auto, motorini e biciclette degli operai e degli impiegati del lanificio che quel giorno, per esi-genze produttive, avevano inizia-to il lavoro alle sette: un miraco-lo perché alle otto, quando il 341, sbucando dalla nebbia, è venuto giù dalla ferrovia, solitamente i lavoratori sono appena arrivati e si dirigono, chiacchierando, verso la fabbrica.Tra i primi soccorritori anche gli operai di altri stabilimenti vicini come il nastrificio Ausonio, la fab-brica di caloriferi Streber.E quando l’ultima salma viene composta e l’ultimo ferito ac-compagnato al San Gerardo, su quell’orribile quadro di morte e devastazione aleggia soltanto un interrogativo: «Perché?». Già a sera, ascoltati i testimoni, le autorità ferroviarie addossano la colpa al macchinista che, peral-tro, è stata la prima vittima di que-sto disastro: il ferroviere milanese Piero Vacchini di 59 anni che, pro-babilmente, per la nebbia, non si sarebbe accorto che il convoglio era ormai prossimo alla stazione di Monza e a ridosso del punto di rallentamento. «Il responsabile ha già pagato: con la morte», dirà senza la minima esitazione il diret-tore generale delle Fs, l’ingegner Severo Rissone.

Page 6: Il Giornale della Memoria n.01-2010

6Febbraio 2010

Bresciano della Val Trom-pia (era nato a Concesio nel 1897), Giovan Battista montini diventa sacerdote nel maggio del 1920 e si tra-sferisce a Roma, per studia-re Diritto (canonino e civile) all’Università Gregoriana e Filosofia alla Sapienza. Nel 1923, viene avviato alla carriera diplomatica, diven-tando collaboratore della Se-greteria di Stato per volere dello stesso Papa Pio Xi. Nel ’44 diventa pro-segreta-rio di Stato di papa Pacelli, Pio XII.Nominato arcivescovo di Mi-lano il 1 novembre del 1954, dopo la morte di Giovanni Xiii, sale al soglio di Pietro come Paolo VI. Il suo papato dura fino all’agosto del 1978, quando Montini muore a Castelgan-dolfo.Scrisse sette encicliche fra cui la Populorum Progres-sio, sulla necessità di un giu-sto sviluppo di tutti i popoli della Terra, e la Humanae Vi-tae, che condannava la con-traccezione.

Giovan Battista montini

Di chi si parlaD

E infatti le testimonianze dei so-pravvissuti, parrebbero avvalorare la tesi della tragica disattenzione. «Se questo non si ferma in tempo», aveva detto Federico Gagliardi, 38nne di Bernareggio, passegge-ro della prima carrozza, «voliamo fuori con tutto il treno». E, più al-larmato di lui, seduto anch’egli nel primo scompartimento, Armando Fortunati urlava: «Ma è pazzo... andiamo almeno a cento all’ora, santo cielo». Un istante dopo l’ir-reparabile: «Da sotto il pavimento sprizzavano scintille, fuori balugi-navano fiamme: erano le ruote che mordevano l’asfalto», racconteran-no i due.Alla ricostruizione del deraglia-mento, sulle prime, non contribui-

sce il secondo macchinista, Andrea Giuliano, 51 anni, milanese, che è salvo ma sotto choc, anche se nei giorni successivi, nell’inchiesta del-le Ferrovie e in quella della magi-stratura, si farà strada l’ipotesi che fosse proprio lui alla guida del 341. A lungo in esame, anche la posizio-ne di due cantonieri (vedi articolo a pag. 7). Avrebbero dovuto curare alcuni dispositivi di illuminazione e disporre sulle rotaie alcuni petardi che, anche in caso di scarsa visibili-tà, esplodendo al passaggio del tre-no, possono dare un segnale.Accorso sul luogo della strage an-che il cardinal Giovan Battista Montini, arcivescovo di Milano. Il porporato aveva sostato in preghie-ra davanti alle lamiere. «Si è ferma-to più volte davanti alle carrozze

trasformate in bare d’acciaio, reci-tando a fior di labbra il de profun-dis e impartito benedizioni», scrisse il Corriere.Due giorni dopo il deragliamento, quando le 15 bare, dalla Villa Reale, raggiunsero il Duomo di Monza, seguite da un interminabile corteo di gente, il cardinale officerà i fu-nerali, pronunciando la bellissima omelia che riportiamo qui sopra.Un discorso sofferto, in alcuni pas-saggi destinato a richiamare un’al-tra celebre omelia, quella pronun-ciata, 18 anni dopo, in morte di Aldo Moro, in cui, l’allora Paolo VI, si rivolgerà a Dio dicendo: «Si-gnore, non hai ascoltato la nostra preghiera». A Monza, le vite spezzate sono molte e tutte giovani. Le cronache

riportano con commossa dramma-ticita, storie di affetti troncati. Come quella di Marisa C., che l’in-domani mattina di quel 5 gennaio, vaga nel salone d’onore della Villa Reale, fra la bare contenenti i po-veri resti delle vittime. Cerca il fidanzato, Elio Sangior-gio, 20 anni, di Olgiate Molgora. «Sangiorgio», grida la ragazza, «è qui Sangiorgio?». Ma le spoglie so-no così dilaniate da non poter esser mostrate. Un poliziotto le sottopo-ne l’agenda rinvenuta addosso alla vittima. Alla pagina del 5 gennaio, l’annotazione che conferma la sua personale tragedia: «Oggi vedrò la mia Marisa», si poteva leggere. E Marisa C., raccontò il cronista del Corriere della Sera, «crollava al suolo priva di sensi»

continua da pag. 5

«siGnore, tU Hai PreParato loro Un’altra città» Un imponente corteo funebre che parte dalla Villa reale per arrivare al Duomo, dove il futuro Paolo Vi celebra le esequie delle vittime. ecco le parole del cardinale destinate, molti anni dopo, a risuonare in un altro drammatico funerale

L’omelia dell’Arcivescovo

signore siamo davanti a Te prostrati dal dolore; davanti a Te andiamo gemendo oppressi dal mistero di questo dolore. Il ricordo di questo fatto violento, cieco, micidiale non si potrà cancellare dai no-

stri spiriti; ed i pensieri che salgono dalla fatale tra-gedia sono anch’essi impetuosi e folli. Fa, o Signore, che non siano disperati. Come fu possibile tale scia-gura? È il nostro lamento; come sono possibili tali sciagure? È il nostro grido. Perché queste leggi che reggono l’ordine della natura,sono così inesorabili da produrre tanto disordine? Vi è qualche demone assurdo in questo cosmo che ogni giorno scopriamo così sapientemente costruito?Tu ancora c’insegni, o Signore. Assurdo no... Miste-ro del mondo, non scandalo assurdo, destino dispe-rato. Tu ci insegni, o Signore; mistero tremendo ma non fatale se tu stesso l’hai subito e dal male che’esso nasconde il dolore, tu hai tratto il nostro bene. Tu sei terribile, o Signore - anche quando sei buono - e ci umilii e ci flagelli, perché ci abbiamo a ricordare della nostra piccolezza e perché ci ricordiamo d’altro male, di tutto il peggiore, che è la colpa che da te ci recide, da te recide la vita; e tu sei buono, o Signore, anche quando sei terribile, tu che sai svolgere il di-segno di misericordia e di pietà, anche nella rovina d’ogni nostro tenue e superbo disegno di sicurezza e di felicità in questa effimera vita.Sì, o Signore, perché tutto non è finito; noi compo-niamo nella tomba queste salme infelici e carissime, ma tu componi in altro mondo ineffabile. Com’è Si-gnore, questo altro mistero della morte? Anch’esso riempie di tenebre l’occhio che lo contempla. Erano sante queste vite, erano care, erano nostre. I fili si sono spezzati; stroncati i loro progetti; infranti i loro ed i nostri affetti.Ecco: il ricordo dolcissimo, nel cuore di chi li piange, diventa amarissimo. La nemica, la morte, ha vinto. E qualche cieca e crudele vittoria! Ma tu ci richiami, o Signore, tu o Cristo suppliziato dormiente sulla Croce, tu ci richiami ad una suprema coraggiosa lezione dell’immortalità verso cui spasima il nostro cuore e si acceca la nostra mente.Tu ci richiami e ci avverti che queste vite palpitano ancora; il loro spirito vive; si è dissolta la magnifica fusione dei due eterogenei elementi: anima e corpo, che li faceva un solo essere. Ma l’anima è incorrutti-bile, l’anima è superstite, vive ancora. Dove? Come? Tu non metti che risposte balbettanti sulle nostre lab-bra, ma affranchi ogni dubbio la nostra certezza: tu non sei il Dio dei morti ma il Dio dei vivi. Tu non ti vergogni di essere chiamato il Dio dei nostri defunti, perché hai preparato loro un’altra città. Tu li hai accolti o Signore, tu li hai giudicati, ma un mistero di pietà segue quello della morte, perché una solida-

rietà unisce in Cristo il regno di noi vivi morituri col regno dei morti sempre immortale. E un messaggio di bontà di pace non può essere trasmesso dal centro della vita e della sorte umana che è Cristo. Fratelli, se vogliamo bene a questi defunti che orren-da morte rende a tutti diletti, preghiamo per essi. Ho detto “fratelli”. Perchè questa preziosa parola viene facile in questo luttuoso momento? Erano sco-nosciuti, per quanti di noi a loro non siamo parenti o colleghi, e forse erano sconosciuti fra loro stessi. Ma ora una unica morte li ha uniti, ora un unico rito li circonda, un unico pianto li segue.Erano lavoratori, erano studenti, la maggior parte gente intenta alla propria quotidiana fatica. Tra esse un umile prete che correva al capezzale della madre morente. Ecco, la sorte pietosissima ci pre-senta il quadro della loro semplice esistenza. Erano figlio del nostro popolo. La loro fine li strappa a noi e non mai li sentiamo nostri come quando non lo sono più, e quanti siamo qui ci sentiamo orfani della loro presenza, avvertiamo d’essere membri di una stessa società, che nell’ora del dolore si svela famiglia, famiglia umana.Il dolore ci affratella, la morte ci fa buoni. Vorremmo conservare di questo tragico episodio un ricordo, un vincolo di bontà umana e di cristiana pietà. Fratelli, non è piccolo questo bene. Lo dobbiamo raccogliere. La nostra società ne ha bisogno, tanto bisogno; es-

sa non è abbastanza compaginata da sentimenti di sincera e solida fratellanza. Tutto questo progresso tecnico ed economico che ci agita e ci arricchisce, da sé manca di amore.È una macchina che ci solleva e chi ci può, da un momento all’altro, deprimere. È tutto pieno di po-tenze potenti, ma non ha cuore. Ci può rendere rivali e nemici. Può, proprio per i suoi tremendi stimoli materiali ed economici, prepararci quella rovina me-ditata e voluta che è la guerra. Ma non deve essere così, assolutamente. La tragedia di queste vittime stritolate da un incidente stupi-damente tecnico, ci avverte che dobbiamo vivere da uomini, da fratelli, da cristiani, nel grande appa-rato civile meccanico che andiamo costruendo. Le possiamo dire vittime della civiltà queste vite sen-za colpa recise; la loro morte innocente ha qualche cosa del sacrificio che le unisce al sacrificio di Cri-sto; il dovere che stavano compiendo e l’involonta-rietà della cause che le ha colpite, ci fa pensare ad una immolazione che vorremmo salisse a Dio per il nostro mondo del lavoro, per la nostra società ci-vile, per la nostra spirituale famiglia di credenti e di cristiani.A loro pace, a conforto delle vittime piangenti e di tutto il personale che ogni giorno vive la sua vita ri-schiosa, a nostro salutare ammonimento: o Signore abbi pietà di loro; o Signore abbi pietà i noi

Page 7: Il Giornale della Memoria n.01-2010

7Febbraio 2010

mo

nz

a 1

960

PresUnti colPeVolicosì l’incHiestaDopo l’ipotesi dell’errore umano si fa largo quella dei segnali omessi. e un dubbio: chi guidava il 341?

errore umano. Da subito, nelle ore successive alla strage del diretto 341, le inchieste delle Ferrovie dello Stato e della magistratura si indirizzano su questa ipotesi

per cercare di spiegare il disastro. Nell’Italia del 1960, il garantismo è scarsamen-te praticato e, dinnanzi a una strage di enormi proporzioni, si fa largo nelle autorità la tenta-zione di sbattere subito qualche colpevole in prima pagina.I primi a muoversi in questa direzione sono pro-prio i vertici delle Ferrovia. Già nella serata del 5 gennaio, comincia il di-rettore generale delle Ferrovie, Severo Risso-ne con le dure dichiarazioni che riportiamo nell’articolo qui a fianco e secondo le quali il responsabile avrebbe già pagato con la vita il proprio errore, riferendosi quindi al macchini-sta deceduto. E nella stessa direzione si muove l’inchiesta giu-diziaria, affidata al magistrato Roberto Petro-sino, della Procura di Monza, che individua un profilo di colpa per i due macchinisti: Pie-tro Vacchini, morto nell’incidente, e Angelo Giuliano, uscito quasi illeso. Quest’ultimo, a partire dalla sera dell’incidente, viene addirit-tura piantonato in ospedale. Ma gli inquirenti monzesi, da subito, seguono un’ipotesi diversa: quella dello scambio di ruoli. A insospettire gli inquirenti, il fatto che il se-condo fosse uscito vivo dal terribile impatto. Il locomotore infatti appariva completamente

distrutto nel punto dove solitamente si trova l’aiuto macchinista mentre risultava miracolo-samente intatta la zona dei comandi e il posto di guida del treno. Di qui l’ ipotesi: che fosse lui, e non il Vacchini, ai comandi della motrice. Il superstite negò sempre, raccontando come, dopo la stazione di Arcore e a poche centinaia di metri dal disastro, avesse realizzato che il col-lega sottovalutava il pericolo e di aver tentato disperatamente di strapparlo ai comandi.Regolari sarebbero stati gli allarmi sonori (pe-tardi sulle rotaie che scoppiarono effettivamen-te al passaggio del treno) e le segnalazioni vi-sive, le vele gialle, che però la nebbia avrebbe potuto nascondere alla vista di chi conduceva il diretto 341. Non mancarono ovviamente i sopralluoghi lungo lungo la sede ferroviaria. Le indagini do-cumentarono come sui binari a monte della tragedia non ci fossero segni di frenata.Pochi giorni dopo il fatto, tuttavia, si cominciò a parlare di un possibile concorso di colpa. En-trarono infatti nell’inchiesta anche le possibili responsabilità di chi lavorava lungo la linea e al cantiere del sottopasso. La polizia interrogò a lungo Giuseppe Cauc-chiolo, che risiedeva nella casa cantoniera al chilometro 3+315. L’uomo doveva infatti azio-nare alcuni dispositivi luminosi e aucustici in caso di nebbia. Si trattava di vele luminose co-stituite da lampade a olio con vetri catarifran-genti, issate nelle ore buie - dalle 17 fino alle 8 del giorno successivo o comunque fino al dira-

darsi della nebbia. In contemporanea, il canto-niere, nei giorni di scarsa visibilita quali quelli della strage, piazzava sulle rotaie i petardi.Gli inquirenti ipotizzarono che proprio questi ultimi non fossero stati collocati e che le vele fossero state ritirare malgrado permanesse una fitta nebbia.La deposizione finale dell’aiuto macchinista scagionò definitivamente il cantoniere. La neb-bia era fitta, tanto che i due avevano abbassato i finestrini e si sporgevano spesso all’esterno con la testa per vedere i segnali. Giuliano con-fermò di avere udito gli scoppi, di aver avvisato il collega e di aver tentato la manovra dispera-ta per mettersi ai comandi alla vista della se-conda vela, quella immediatamente adiacente il sottopasso. Gesto che non avrebbe impedito il deragliamento.L’autopsia di Vacchini e le analisi del sangue dell’aiuto accertarono che i due erano sobri. L’inchiesta chiarì anche che Vacchini non in-dossava gli occhiali, quel giorno, ma che gli stessi correggevano una lieve presbia e non gli erano necessari per il lavoro.Come riferì il Corriere della Sera alcuni giorni dopo la tragedia, il magistrato Petrosino avreb-be atteso una giornata di forte nebbia per riper-correre, nella cabina del Sondrio-Lecco-Milano, il tratto dela morte. Nelle cronache successive non c’è traccia però di questo test. Forse, quando fu effettuato, al-tro dominava l’attualità e i 16 morti del 341 non interessavano più

Macchinista superstite sotto accusa

Nella suggestiva ricostruzione di Achille Paticucci per il Corriere del 6 gennaio 1960, il deragliamento di Monza. Il convoglio esce dai binari perché arriva in velocità sul cantiere dei lavori di Via Piave. Il locomotore supera l’attraversamento, rimanendo miracolosamente sulle rotaie, mentre i primi tre vagoni crollano nel cortile del Lanitificio BBB, dove la strage avrebbe potuto ingigantirsi: le operaie, quel giorno, erano entrate un’ora prima.

Conoscevi questi fatti? Li hai vissuti in prima perso-na? Sai di persone che ne so-no stati protagonisti o sem-plici testimoni? Raccontalo al Giornale della Memoria. Con i tuoi ricordi e le tue foto potrai costruire il prossimo numero assieme alla reda-zione. Contattaci al numero di tele-fono 0362.285087 o, via mail, all’indirizzo [email protected]

tuc’eri?t

Page 8: Il Giornale della Memoria n.01-2010

8Febbraio 2010

TR

IUG

GIO

- SE

RE

GN

O 1

960-

70

1970, il nuovo virus

SPAZIALE, UN FLOP D’INFLUENZALa pandemia di Honk Kong arriva dieci anni dopo l’Asiatica e semina panico in tutta la Brianza ma, alla fi ne, risulta meno letale di altre di Daniele Corbetta

Il caso

L’infl uenza Spaziale fa salire alla ribalta delle cronache del 1970 anche una vittima indiretta. Si tratta di un operaio cinquantenne di Seregno, deceduto il 5 febbraio, a picco infl uenzale ormai su-perato. I giornali di quel periodo riconsegnano la tragica sto-ria di Ferdinando Giuliani, classe 1919, spentosi all’ospedale di Monza. Il lavoratore viene colpito dal virus dell’infl uenza spa-ziale verso la fi ne del 1969, nel momento di massima espansio-ne del contagio, senza tuttavia dover sottoporsi a cure mediche particolari. Ma il quadro si complica. Giuliani non guarisce e si rivelano necessari alcuni accertamenti, consigliati dal medico curante. Dalla analisi emerge infatti una complicazione e le la-stre evidenziano un addensamento polmonare. Da qui il ricove-ro presso nel reparto di pneumologia. Ma qui, dopo un’inizione di antibiotico, l’operaio di Seregno perde conoscenza nel giro di pochi minuti. E malgrado gli interventi del personale medico Giuliani si spegne. Una morte che fa scalpore, in città e in tutta la Brianza, per l’età ancor giovane della persona e per le mo-dalità con le quali avviene. Per qualche settimane le cronache fanno varie ipotesi, fra le quali shock anafi lattico. Poi del caso si perde traccia. Resta una sola certezza: Ferdinando Giuliani, 50 anni, operaio, non c’è più.

Vaccinato, muore 50nne

la Storia

Dopo l’orrore della guerra di trincea, la paura della spagnola. Nel 1918, dopo il virus della guerra si diffuse, mietendo più vittime, quello dell’infl uenza.La pandemia, che fece 50 milioni di morti, si diffuse inizialmente nella Penisola iberica ma, a introdurla in Europa, furono proprio le truppe americane che com-batterono nella Grande Guerra, a partire dal 1917.E proprio le drammatiche condizioni di igiene che re-gnavano sui fronti e soprattutto nelle trincee, dove mi-gliaia di fanti combattevano ammassati, favorirono il contagio. In Italia i morti furono da 400 a 600mila, secondo varie fonti. E 600mila erano stati i morti italiani dell’intero confl itto ’15-’18.Nel mondo la Spagnola contagiò un miliardo di perso-ne, uccidendone 50 milioni. Il confl itto era stato letale «solo» per 10 milioni di soldati.

1918, LA SPAGNOLA NE UCCIDE PIÙ DELLA GUERRA

Influenza, pandemia, vac-cinazioni, contagio: anche nell’inverno 1969/70, così come in quello 2009/2010 le parole maggiormente

in voga erano queste. E, a distanza di quarant’anni, la si-tuazione non si è modificata poi tanto. Anche allora una grossa fet-ta del globo terrestre dovette fare i conti con l’influenza di «Hong Kong», in Italia rinominata talvol-ta come influenza Spaziale, per via del maccanismo che la generava, detto di «spostamento antigenico» che, dal ceppo influenzale H3N2 conduceva allH2N2. Il particolare virus dell’influenza, al pari dell’ormai celeberrima Su-ina, protagonista delle cronache

(ma anche delle polemiche sulla sua effettiva pericolosità) dei gior-ni nostri, dette origine a una pan-demia, con problemi e allarmismi correlati.Il virus viene isolato 1968 a Hong Kong e si è in seguito diffuso, per tutto il 1969, nel resto del mondo, ma avendo una mortalità piutto-sto bassa. Secondo gli esperti, la derivazione di questo virus da quello dell’Asia-tica, che aveva colpito circa dieci anni prima (1957/58) nelle stesse zone, aveva diffuso fra la popola-zione gli anticorpi per combattere e rendere meno offensiva la Spa-ziale. Secondo le statistiche sanitarie, quel virus causa complessivam-

te all’incirca 700mila decessi di cui ben 34mila nei soli Stati Uni-ti d’America (ma c’è chi parla di 2 milioni). Storicamente si tratta di una delle pandemie meno letali della storia dell’influenza.Tanto per stare al precedente più prossimo, l’Asiatica, che si svilup-pò in Cina come aviaria delle ana-tre per poi combinarsi in un cep-po umano, causò quattro milioni di morti. Per non parlare della terribile in-fluenza Spagnola (vedi box, sopra), che uccise circa 50 milioni di per-sone nel mondo.In Italia arriva di fatto la coda del-la «Spaziale» che si sviluppa nell’in-verno a cavallo tra il 1969 e gli inizi

1970 e la Brianza non è immune dal diffondersi del contagio. Da Monza a Lecco, da Arcore a Cantù c’è, in quei giorni di fine ’69 una forte preoccupazione. E la e comunità tireranno un respi-ro di sollievo solo verso la fine del gennaio 1970, a picco influenzale ormai superato. Dalle cronache dell’epoca è pos-sibile ricostruire l’andamento del contagio nell’area di Seregno-Ce-sano Maderno e Giussano, zona di competenza, anzi «Consorzio di vigilanza igienica» come si diceva allora, di un unico ufficiale sanita-rio, il dottor Ernesto Benedetti. Una situazione che può essere pre-sa a modello per buona parte degli altri comuni brianzoli.

Millenovecentottanta e dintorni. Che cosa successe, per quanto

riguarda le malattie, trent’anni fa? Le risposte, a livello regionale, le fornisce l’area statistiche dell’Isti-tuto superiore della Sanità, nel sito www.iss.it.L’infl uenza, per esempio, quell’an-no causò 192 morti in Lombardia, di cui 115 uomini e 77 donne, quasi tutti fra gli over70. I dati però mo-strano anche una dozzina di de-cessi sotto i 12 anni e tutti, singo-larmente, fra le femmine.Andò certamente peggio, quell’an-no, con le malattie infettive, che fe-cero registrare qualcosa come 531 vittime, di cui 347 maschi e 184 femmine. Qui, a diff erenza dell’in-fl uenza, ad essere colpiti sono più

fasce di popolazione, a cominicare dai 50 anni.Fra i più piccoli, la mortalità più al-ta si registra sempre fra i neonati: quell’anno se ne andranno 11 per malattie infettive.Dieci anni dopo, nel 1990, i dati relativi all’infl uenza sono sopren-dentemente in linea: i decessi furo-no 192 anche quell’anno, solo che le donne furono stavolta 124 e 68 i maschi. Per fortuna nel 1990, la pandemia infl uenzale fu clemente con bambini e giovani. Si segnala-rono solo tre casi, e tutti maschi, nella fascia 15-19 anni.Migliore, e molto, il dato delle malattie infettive. Furono 267, quell’anno i lombardi a morire per queste patologie: si trattò di 162 uomini e 105 donne.

Statistiche 1980 e 1990

VIRUS BLANDO, IN LOMBARDIA, DIECI E VENTI ANNI DOPO

Page 9: Il Giornale della Memoria n.01-2010

9Febbraio 2010

Il 30 gennaio, l’Automobil Club d’Italia-Aci rende no-to lo strabiliante dato del-le immatricolazioni di auto: 731.182 contro le 473.833 nuove auto dell’anno prece-dente.Dal 28 al 30 gennaio, il Tea-tro Ariston di Sanremo ospita la decima edizione del Festi-val. Vincono Renato Rascel e Tony Dallara con Romantica, seguiti da Dominico Modu-gno con Libero. Mina solo ot-tava (insieme a Teddy Reno) con È vero.Fred Buscaglione, cantante e attore di fama, muore all’alba del 3 febbraio, a Roma, in un tragico incidente stradale. Il 10 maggio, a Malaga, in Spagna, nasce Antonio Ban-deras, attore. Tre mesi dopo, il 10 agosto, a Dublino, vede la luce Paul Hewson, noto in seguito come Bono Vox, lea-der degli U2. Dalla base americana di Ca-pe Canaveral, il 12 agosto viene lanciato Echo, uno dei primi satelliti per te-lecomunicazioni.

1970: Beatles e Mariano Rumor

Il 3 gennaio i Beatles s’in-contrano per l’ultima volta in uno studio di registrazio-ne, a Londra. Lo scopo? inci-dere l’album Let it Be. Il 10 aprile «i fantastici quattro» comunicheranno al mondo lo scioglimento del gruppo. Il 15 gennaio la Libia ha un nuovo premier: Mu’ammar Gheddafi, già salito al pote-re l’anno precedente, a ca-po del Consiglio della Rivo-luzione. Il 5 febbraio Mike Bongior-no lancia il telequiz Rischia-tutto. Due giorni dopo cade il governo dc Rumor II: il 27 marzo si formerà il suo terzo governo, quadripartito com-posto da Democrazia Cri-stiana, Partito repubblicano italiano, Partito socialista ita-liano e Partito socialista de-mocratico italiano, che dure-rà fino al 6 luglio dello stesso anno.

1960: l’anno di Dallara e Bono

Storianel mondoS

L’influenza arriva in città nei primi giorni del dicembre 1969, portando con sé le classiche ricadute socia-li: numerose assenze da fabbriche, uffici e scuole.Ovviamente, come accade per ogni pandemia, l’atten-zione dei mezzi di comunicazione si focalizza sui decessi, in questo ca-so legati soprattutto a complicazio-ni bronco-polmonari sopraggiun-te per la maggior parte in persone anziane o con precedenti problemi di salute.Anche in quei giorni, c’è un im-portante capitolo legato al vacci-no. Allora come oggi la profilassi antinfluenzale venne ampiamen-te raccomandata, resa disponibile presso gli uffici sanitari, special-mente per malati ed anziani o per persone dai 60 anni in poi, ovvero la fascia d’età più coinvolta dai de-cessi. Non c’era, a differenza di oggi, nessun accenno ai costi sociali del-la vaccinazione: le polemiche dei nostri giorni sui possibili sprechi nell’acquisto di dosi da parte del ministero della Sanità, non erano proprio nella sensibilità delle per-sone.Possiamo quindi entrare nel detta-glio con i dati forniti dall’ufficiale sanitario dell’epoca e pubblicati dal Cittadino del 31 gennaio del 1970.Dal confronto fra il numero di de-cessi complessivi nel periodo pre-cedente ai mesi di dicembre ’68 e ’69 non emerge nessun dato signifi-cativo: le cifre sono sostanzialmen-te invariate, attestandosi sotto i 20 morti. Confrontando invece la prima de-cade di dicembre ’68 con quella di dicembre ’69, si nota che la morta-lità è aumentata. In particolare la forbice cresce nella seconda deca-de: 41 decessi contro 19 dell’anno precedente. Il picco si tocca negli ultimi dieci giorni del 1969: 45 mor-ti contro i 18 del 1968. Il 1970 riapre sugli stessi valori: 35 decessi contro 19. Quindi la discesa: 27 morti nella seconda decade e un principio di ripopolamento di scuole e fabbri-che. Insomma: una violenta on-data d’influenza Spaziale, breve e intensa, che provoca circa il rad-doppio della mortalità ordinaria mensile. Una situazione grave ma complessivamente abbastanza nel-la norma. Speriamo di poter archiviare allo stesso modo la Suina, di cui è atteso un ritorno a breve dopo la fiamma-ta di novembre

Morti pandemia

inverno ’68/69 ’69/70ottobre 47 45novembre 21 18dicembre 54 116gennaio 37 62

inverno ’68/69 ’69/70ottobre 6 2novembre 11 12dicembre 12 37gennaio 9 27

Infl uenza

Broncopolmonite

EPATITE KILLER, TRE VITTIME IN UNA SETTIMANAIl virus terrorizza Triuggio e Tregasio. Contagiati anche due bambini ma, per i sanitari, è tutto sotto controllo di Martina Cerri

1960, Epidemia letale

Oggi le epidemie spaventano ancora. Ol-tre alle sindromi infl uenzali, la Brianza è spesso funestata da casi gravi di meningite

di un ceppo tipico di queste zone. C’è stato un tempo però, e neppure tanto lontano, in cui poteva accadere che i virus colpissero brutal-mente fra le case di questa terra, come accadde, 50 anni fa, a Triuggio e Tregasio.L’inverno se ne stava andando e la primavera già illuminava le nevi del Resegone e i campi, di lì a poco, sarebbero tornati a fi orire di vita. Ma su quei colli, d’improvviso, scoppiò la malattia: un morbo, un virus noto, che pareva rimandare agli anni diffi cili, ai giorni bui della guerra e della fame, degli sfollati senza mezzi scappati via da Milano. D’improvviso arrivò l’epatite virale. Si cominciò a Triuggio, dove, il 21 febbraio, di do-menica, spirò Rodolfo Sanvito, 47 anni. E la gente del paese non si era ancora riavuta dallo sbigottimento e dal dolore che, pochi giorni dopo, l’epatite si portava via anche Adele Colombo, nata solo 28 anni prima. Quando il medico aveva capito di cosa si trattasse, ne aveva ordinato subito il ricovero nell’ospedale di Carate ma era proprio qui che la malattia aveva la meglio. E mentre il dolore si mescolava alla paura e per le strade, nei negozi, nelle cascine della zona

non si parlava d’altro, di colpo, la notizia di un’al-tra morte, stavolta a Tregasio: giovedì 25, il virus si prendeva Lodovico Sala. Era quello il suo ses-santunesimo anno di vita e certamente non aveva messo in conto, con quella primavera incipiente, che potesse essere l’ultimo.Ormai in ogni casa, allo sconforto per tante perso-ne ancora giovani fulminate dal male, era suben-trata la paura del contagio, anche se, come riporta il Cittadino, nell’inserto La voce di Giussano del 26 marzo 1960, «l’autorità sanitaria ha disposto tutte le le misure profi lattiche del caso mentre sono in corso le indagini sulle cause dell’epidemia che, a detta dei sanitari, non deve però destare eccessive preoccupazioni». Al contrario, nei due paesi, le preoccupazioni cre-scevano alla notizia che la malattia non risparmia-va nessuno, neppure i più piccoli come Giampiero Casiraghi, 7 anni, di Triuggio e Rosanna Viganò, classe 1954. Le preghiere delle famiglie, le cure in ospedale a Carate e l’attaccamento alla vita dei piccoli ebbero però la meglio sul morbo. Giampiero e Rosanna ce la fecero: tornarono a scuo-la e in oratorio, a giocare con gli amici e a raccon-tare quella brutta storia di quando, in un giorno di quasi primavera, li avevano portati all’ospedale

Il virus dell’Epatite virale osservato al microscopio

Page 10: Il Giornale della Memoria n.01-2010

10Febbraio 2010

Poco dopo aver raggiun-to la piena unità con la pre-sa di Roma, l’Italia conosce un’enorme emigrazione. Le dure condizioni di vita, particolarmente nelle cam-pagne, provocano un esodo molto forte da tutte le regio-ni, soprattutto verso le Ame-riche.Non fa eccezione la Lombar-dia che, secondo i dati del Centro studi emigrazione di Roma, dal 1876 al 1900, vede espatriare oltre mezzo mi-lione di cittadi. Negli anni che vanno dal 1901 al 1915, se ne andarono in più di 820mila, mentre nel periodo fra le due guerre, la-sciarono la regione 497mila persone. Nel secondo dopoguerra e fino al 1961, il fenomeno si at-tenua: saranno «solo» 292mi-la a emigrare.

Lombardiemigranti

FocusF IMMIGRAZIONE, È EMERGENZASindaci riuniti a Monza per affrontare i problemi aperti dal grande afflusso di lavoratori dal Mezzogiorno. Mancano le case. Gli industriali: 5mila nuovi posti di lavoro nel ’71-’72

Sindaci, consiglieri, sin-dacalisti, industriali: tutti insieme a discu-tere di immigrazione, problema al centro

dell’agenda politica della Brianza. Quando? Nell’ottobre del 1970 e l’immigrazione di cui si parlava non era certo quella africana, del-lo Sri Lanka o dell’Est europeo ma quella che conduceva migliaia di lavoratori del Mezzogiorno d’Ita-lia a Monza e dintorni.Ne dà notizia il Cittadino del 31 ot-tobre, che segnala una riunione di amministratori locali nell’attuale capoluogo. Ci sono i primi cittadini di Bias-sono, Burago, Carate, Cavena-go; i sindaci di Giussano, Lesmo, Lissone, Macherio, Monza, Mug-giò, Seregno e non mancano neppure quelli di Sovico, Vedano, Villasanta,e Vimercate. Con loro, spiega il giornale, ci so-no i vertici dell’Associazione in-dustriali monzese: il presidente, ragionier Vittorio Casanova, e il direttore Mancosu. Non mancano neppure i rappresentanti dei sin-dacati, con Beretta, Somaschini, Colombo, De Vecchi. Ci sono ovviamente anche i vertici del Comune, con il sindaco Luigi Pavia, promotore del meeting con i colleghi brianzoli, accompagnato dagli assessori Bertazzini, Mon-tanelli, Malvezzi. Presenti, secondo le cronache an-che i consigliieri comunali Ferrari e Fossati.Al centro del dibattito è la cresci-ta, esponenziale in quegli anni, del numero di italiani immigrati dal Sud che si insediano nei comuni brianzoli. Un mese via l’altro, lavoratori e fa-miglie arrivano dalla Puglia come dalla Sicilia, dalla Calabria come dalla Campania. Cercano, per sé e per i propri cari, il futuro che il Mezzogiorno italiano, ancora ar-retrato, non è in grado di offrire. Ma questo crescende insediamen-to non è privo di problemi, innan-zitutto, come recitano le cronache del ’70, dal punto di vista abitati-vo. Il richiamo è quello dell’industria brianzola, affamata di manodo-pera. Proprio in quella riunione dell’autunno, gli industriali met-tono sul tavolo i dati: 3.150 posti in quel 1970. E per gli anni a venire si stimano altri posti da coprire. Per il biennio ’71-’72, spiega Casano-va, tessiture, mobilifici, industrie meccani del territorio richiederan-no almeno 5mila addetti.Il Boom economico data ormai 1960, la crescita del tessuto imprendito-riale brianzolo è stata impetuosa e continua: alle linee produttive e alle macchine mancano braccia e teste e bisogna fare in fretta a trovarle. Ma poi bisogna trovare

1970, dal Sud a migliaia

Dal 1960, anno del Boom, ai primi anni '70 migliaia di immigrati del Sud raggiunsero la Brianza

anche dove alloggiare le famiglie, solitamente molto numerose, che arrivano dal Sud.«Sono emersi dati interessanti», scrive sul giornale monzese un collaboratore che si sigla “erreti”, relativi alla richiesta di manodo-pera, alla disponibilità di alloggi atti a risolvere almeno in parte i problemi marginali posti dall’im-migrazione che sembra però sta-

gionale anziché permanente».Quarantanni dopo, sappiamo che quei flussi non erano affatto stagionali ma rappresentavano l’avanguardia di un fenomeno de-stinato a crescere negli anni a ve-nire, così come era stato conosciu-to da Milano nel decennio appena concluso.No, gli italiani del Sud che arri-vavano a Cinisello come Desio,

Dal Boom in poi

La Stazione Centrale è stata la porta d’ingresso di migliaia e migliaia di lavoratori meridionali con le loro famiglie che arri-vavano al Nord in cerca di una vita migliore.Da qui, una quindicina di anni prima, partirono, dopo essere stati radunati da molte regioni, gli italiani che emigrarono in Belgio per lavorare nelle miniere. Sotto le alte volte, si ferma-rono, in attesa di un treno per Charleroi, i 136 destinati a perire nei pozzi della miniera di Marcinelle, nell’agosto del 1956. Un esercito di braccia che l’Italia di allora «scambiò» con robuste forniture di carbone, in un accordo di cooperazione con il re-gno di Baldovino.La scrittrice Anna Maria Ortese la chiamò «porta del lavoro, ponte delle necessità, estuario del sangue semplice». Dal ’50 all’80, dicono le statistiche, si trasferirono a Milano in cerca di lavoro 300mila persone. Nei giorni del Boom econo-mico, intorno al ’60, fu un crescendo: 32.619 persone nel 1955, 36.970 nel 1956, 41.416 nel 1957, 55.856 nel 1958, 58.856 nel 1959, 66.930 nel 1960, 87.000 nel 1961. Nel 1962 arrivarono 105.448 immigrati.

LA PORTA ERA LA CENTRALE

a Seregno come ad Arcore, veni-vano per restare, come era stato, un decennio prima, con i Veneti che, a migliaia, si erano stabili-ti in Brianza.«Per quanto attiene all’edilizia economica e popolare», prosegue la cronaca del Cittadino, «nei comuni adottanti il piano 167 si provvederà alla realizzazione di 630 alloggi nel biennio 71-72». Poche centinaia di appartamenti, a fronte di migliaia di famiglie in ar-rivo. Il resto verrà offerto dal mer-cato degli affitti.«L’impostazione», dirà il sindaco monzese Luigi Pavia, «è di carat-tere squisitamente politico ma i mezzi sono di carattere legisla-tivo e si realizzano nel quadro di un programma che anticipi le esi-genze non dilazionabili degli im-migrati». Il documento, avverte il giornali-sta, «sarà stilato in base al piano di lavoro progettato e sarà la sintesi della volontà e della disponibilità degli amministratori della Brianza, per la soluzione concreta», prose-gue, «di un fenomeno di così alto interesse sociale, in una più alta coscienza della solidarietà umana nelle libertà democratiche».Vent’anni dopo, la Brianza e le sue città avrebbero conosciuto la terza immigrazione: dopo le migliaia di famiglie venete giunte dal Padova-no e dal Trevigiano negli anni ’50, l’immigrazione meridionale del Boom e degli anni a seguire; negli anni ’90 sarebbe stata la volta di quanti venivano da Africa, Asia e Sud America.Nuovi drammi da fuggire, nuovi problemi da fronteggiare ma an-che nuove speranze con cui costru-ire il proprio futuro

Page 11: Il Giornale della Memoria n.01-2010

11Febbraio 2010

Chi c’era o chi ricordaC

Il giornale lo fai tuConoscevi questi fatti? Li hai vissuti in prima perso-na? Sai di persone che ne so-no stati protagonisti o sempli-ci testimoni? Raccontalo al Giornale della Memoria. Con i tuoi ricordi e le tue fo-to potrai costruire il prossi-mo numero assieme alla re-dazione. Contattaci al numero di tele-fono 0362.285087 o, via mail, all’[email protected]

1950, i profughi

L’avviso appare sul Cittadino del gennaio: «I profughi della Tu-nisia sono pregati di presentarsi agli uffi ci comunali per avere informazioni relative alla loro posizione di cittadinanza». Tre righe stringante che segnalano un dramma: quello degli Ita-liani di Tunisia che stanno abbandonato il Paese nord-africano dove, sin dall’800, si erano insediati migliaiai di connazionali, particolarmente dalle regioni del Mezzogiorno. Con la fi ne del confl itto e il ritorno dei Francesi, molti dei 66mila italiani scel-gono di rientrare. Alcuni approdarono in Brianza.(Nella foto un gruppo di Italiani nei pressi di Tunisi, 1950)

DALLA TUNISIA IN BRIANZA

NOTTI VIOLENTE A DESIO PESTATI DUE CARABINIERIPer liberare un amico ubriaco, un gruppo di giovani aggredisce due militi e si dà alla fuga. Un mese di prognosi

1970, al dancing Maggiolina

Sarà il carnevale imminente. O forse l’alcol. O, semplicemente, la voglia

di bravata che, secondo le crona-che, imperversa fra i giovani di quel 1970. È domenica notte, 1 febbraio, anzi, essendo superata la mezzanotte, il calendario segna il giorno 2.Nel dancing Magg iolina di Via Tri-poli a Desio, molti giovani balla-no. Allo shake, il nuovo ballo che va per la maggiore, si alternano i lenti guancia-guancia con la mo-rosa o con la bella che si vuol con-quistare.Nel bar, a due passi dalla pista, però qualcuno ha alzato il gomi-to. Un giovane avventore, visibi-limente ubriaco, sta disturbando un po’ tutti, senza che i barman riescano a contenerlo. Due carabi-nieri in borghese, venuti anche lo-ro a fare quattro salti dopo il servi-zio, notano il giovane visibilmente alterato e cercano di evitare che la situazione degeneri.

Gli mostrano il tesserino e lo in-vitano a seguirli fuori. Probabil-mente volevano solo fargli pren-dere una boccata d’aria fresca con l’intento di farlo calmare. O forse, volevano eff ettivamente accompa-gnarlo in caserma e denunciarlo per ubriachezza molesta. Quando però i due - brigadiere Pietro Colaiacono, 26 anni, ca-rabiniere Antonio Picarella, 22 anni - fanno per abbandonare il locale, si ritravano in una attimo circondati da un gruppo di gio-vani che non paiono animati da buone intenzioni. Sono gli amici dell’ubriaco che vogliono opporsi al fermo.Sottuffi ciale e carabiniere non si fanno intimorire e, come riporta una cronaca del Corriere della Se-ra, «decidono di tirare diritto». I compagni del fermato, forse an-che loro un po’ alticci, passano alle vie di fatto: appena fuori dal locale, si scaraventano addosso ai due militi. Calci e pugni, in breve i due hanno la peggio, fi nendo a terra sotto i colpi del gruppo. Sono al suolo, storditi e sanguinanti. Un passan-te li nota, si avvicina, comprende la situazione e avvisa la caserma dei Carabinieri.Il tempo di riprendersi dallo stor-dimento e anche i due contusi sal-gono sui mezzi dell’Arma, alla ri-cerca degli aggressori: una piccola caccia all’uomo per le vie di Desio, a notte inoltrata. Si perlustra tutta la città ma senza esito: i picchiatori hanno avuto il tempo di dileguarsi.I due carabinieri vengono ricove-rati in ospedali: per entrambi la prognosi è di un mese

Febbraio 1950. È giovedì mattina presto. A Cesa-no Maderno si preparano

per il lavoro. I carabinieri lo sono già: hanno un mandato di cattu-ra dell’autorità giudiziaria da ese-guire. La jeep dell’Arma si ferma davan-ti alla casa di Carlo O., cesanese, classe ’22, di professione calzolaio. Scendono in due, bussano e si fan-no aprire, cercano e trovano Carlo che si fa ammanettare senza op-porre resistenza.Quindi tocca a Giuseppe B., di Ce-sano pure lui, carpentiere 25nne.. Non è fi nita, i militi bussano an-che alla porta di Ernesto C., 35 an-ni. Per il Cittadino, che ne dà noti-zia, il terzo arrestato, fa il ciclista. Per tutti e tre, l’accusa è pesantis-sima: li si ritiene responsabili della morte di Benedetto Rizzotti da Se-veso. Non un fatto recente: l’ucci-sione, a opera di ignoti, è avvenuta il 5 maggio del 1945. Sono i giorni, durissimi, che se-

guirono la liberazione. Solo pochi giorni prima, il 25 aprile, Mussoli-ni e i gerarchi fascisti fucilati erano stati appesi, a testa in giù, a Piaz-zale Loreto e anche in Brianza era scoccata l’ora della vendetta.Secondo gli archivi, Rizzotti, clas-se 1915, e nativo di Desenzano (Bre-scia), era stato fucilato a Cogliate. Anni dopo la giustizia fa il suo cor-so: quelle uccisioni a guerra fi nita, non avevano a che fare con la resi-stenza (nella foto, gli Alleati entrano a Lissone il 29 aprile 1945).

Della vicenda si era occupato il Commissariato di Monza. Non per il fatto in sé, quanto per la conferma che, a cinque anni dalla fi ne della guerra, ci sono ancora molte, troppe armi in

giro. Era accaduto che, nel mattino di sabato 13, la quiete del quartiere San Rocco, a Limbiate, fosse squarciata da una lunga raffi ca di mitra. Proprio così, tanti, troppi colpi di fucile mitragliatrore - otto secondo i poliziotti - sparati in un cortile, di fronte a un’abitazione di via Casati 48. Regolamento di conti? Malvita organizzata, odii politici mai sopiti? Niente di tutto questo, per fortuna. Solo un cane, un grosso cane ran-dagio, forse idrofobo che ringhiava spaventosamente a chiunque si av-vicinasse. Una situazione che aveva spinto Gino C., 42 anni, brianzolo di Limbiate, a imbracciare un mitragliatore Beretta a canna lunga e a far fuoco verso l’animale. La raffi ca, però, oltre a spaventare la bestia, ha generato allarme anche fra i vicini che, successivamente, hanno av-vertito le autorità. Poche ore dopo, i poliziotti giunti da Monza, erano a bussare alla casa dello sparatore, chiedendo conto della sua azione e soprattutto della detenzione di un’arma da guerra. Di fronte all’evi-denza, il mitragliere aveva ammesso il fatto, fornito la spiegazione e consegnato il fucile che, a suo dire, sarebbe un souvenir paterno del recente confl itto. Già, devono avere commentato gli inquirenti, ma se quel Beretta era solo un (discutibile) ricordo, perché mantenerlo così oliato e funzionante. E perché segargli il calcio, operazione tipica di chi vuol trasportare l’arma nascondendola sotto il cappotto. Cane o non cane, ricordo o non, gli uomini del Commissariato mon-zese avevano stretto le manette ai polsi del Gino, denunciandolo per porto e detenzione abusiva d’arma, nonché per il reato di spari in luo-go pubblico.

1950 Cesano Maderno 1950, Limbiate

OMICIDIO A GUERRA FINITA,TRE FINISCONO IN MANETTE

CANE IDROFOBO IN CORTILE E LUI IMBRACCIA IL MITRA

Page 12: Il Giornale della Memoria n.01-2010

12Febbraio 2010

GIU

SSA

NO

194

0

Il libro riprodu-ce le pagine ori-ginali del diario di Ghidoni. Per acquisti: EditoreGuardamagna, tel 0383 52184

Le pagine del sergenteC’È ANCORA UN DIO CHE CI PROTEGGE

Undici mesi fra fatica, sofferenza, paura e fede. La prigionia del sergente maggiore Giuseppe Ghidoni è tutta qui. Ecco alcuni pasaggi del suo diario.

«27 febbraio 1944. Continuano gli allarmi giorno e notte. Giorno 1, mi accorgo che si è gonfi ata una ghiandola ed allora vado dal dottore del campo per farmi vedere. Mi consiglia di rimanere a riposo riparato dall’aria che è la causa di tutto il male e fare fasciature di ittiolo. Giorno 2 rimango a riposo, primo giorno di riposo viene inaugurato con un potente bombardamento che mi lascia salvo per miracolo insieme a molta gente nel rifugio. Bom-be dirompenti sono cascate tutte all’intorno delle scuole dove noi alloggiamo alla distanza di una decina di metri, non posso descrivere lo spavento, i muri del rifugio ad un certo punto pareva che crollassero, 5 minuti è durato lo scarico di queste bombe e ho provato ciò che non ho

provato in tutto il periodo di guerra. Vi è ancora un Dio che ci guarda e ci protegge in questa vita di tormento».

Giuseppe Ghidoni, classe 1917, giussanese, sergente maggiore dell’artiglieria italiana si trova in Francia, quando alla sera ar-riva la notizia dell’armistizio.

La voce del maresciallo Badoglio, attraverso i microfoni dell’Eiar, aveva annunciato a tutti gli Italiani che la guerra era finita. Cinque giorni prima, a Cassibile, in provincia di Siracusa, i generali Giuseppe Castellano e Walter Bedel Smith avevano sottoscritto l’ac-cordo.Per il militare giussenase, come per altre migliaia di uomini in grigioverde, sparsi in tutti i teatri di guerra o di occupazione, dopo la notizia, non ci fu molto tempo per pensare: gli ex-alleati tede-schi li disarmarono e li fecero prigionieri.Giuseppe Ghidoni inizia proprio quella sera un diario della sua lunga prigionia che lo condur-rà in Germania. Si tratta di oltre sessanta pagi-ne, scritte con calligrafia precisa - da civile era fotoincisore - , molto nitide, conservate oggi dal figlio, un tenente colonnello dell’Esercito, e recentemente pubblicati dalla studiosa Paola Chiesa, per la Guardamagna editori in Varzi, col titolo Matricola n.4100. Un documento importante e commovente che, attraverso le annotazioni precise di questo sottuficiale brianzolo, ci riconsegnano un’ora drammatica per milioni di italiani che, perduta la guerra, si trovavano sotto le occupazioni o prigionieri in balia altrui.Nei racconti del sergente, storia di ordinaria di-sperazione per quel tempo: lavoro durissimo per molte ore al giorno, fame, malattia, condizioni degradanti, sporcizia. E fra le righe, il dolore lacerante per i cari a Giussano, per la distanza che lo separano da loro, per l’incertezza del de-stino di tutti.La tragica normalità della prigionia e della guer-ra, che l’artigliere brianzolo appunta, quasi a volerla fissare nella memoria, consapevole del-la straordinaria tragicità di quelle ore e di quei fatti.«Con la massa di 300 uomini», scrive il 27 di-cembre del 1943, «per andare in una zona peri-ferica della città colpita dai bombardamenti - a sgomberare macerie. Nell’intero rione non una

casa era rimasta in piedi. Lavoro tutto il giorno con picco e badile e, dopo aver preso per pranzo mezzo mestolo di brodo, si fanno più di due ore di strada per tornare al campo».Da Gap, in Francia, il prigioniero Ghidoni viene condotto a Forbach, in Germania per lavorare. Riuscirà a rientrare in Italia nel luglio del 1944, rimpatriato assieme a un gruppo di ammalati. Durante la prigionia, il giussanese pensa spesso alla mamma, dalla salute malferma. Ad aprile del 1944, ricoverato in ospedale, anno-ta: «(...) Non avendo bisogno di rimanere a let-to, vado ogni giorno ad assistere alla messa ed ogni settimana faccio pure la Santa Comunione. Prego Iddio che mi abbia presto a guarire e che assista anche la mia mamma affinché la tenga in vita e possa tornare a casa e vivere ancora con lei a lungo». Giorni di sofferenze e ma anche di preghiere. «Prima settimana di maggio», scrive più avanti, «mese della Madonna. La sera, nella piccola cap-pella dell’ospedale, vengono fatte le funzioni del mese, io pure assisto e mi fa piacere pure sentire la parola del cappellano francese che, in certo modo, riesco a capire».L’abbraccio con la madre, la signora Enrichetta Moroni, non ci sarà: quando il sergente riuscirà a raggiungere Giussano, lei è già morta da dieci giorni. Epilogo che dimostra come la guerra non sia solo dolore, paura, privazione ma anche separatezza dai propri affetti. Nel caso di Giuseppe Ghidoni, sottufficiale gius-sanese, una separatezza divenuta drammatica-mente irreparabile

70 anni dallo scoppio della Seconda Guerra

NEL DIARIO DEL PRIGIONIEROUna studiosa riporta alla luce la vicenda di un sergente giussane deportato in Germania. Nelle pagine di Matricola 4100, la tragica normalità della guerra.

«Per pranzo, mezzo mestolo

di brodo»

Page 13: Il Giornale della Memoria n.01-2010

13Febbraio 2010

DE

SIO

196

0

IL SOLDATO LUIGINO COMOTORNA A CASAQuindici anni dopo la fine della Guerra, le spoglie di un caduto rientrano a Desio. In migliaia, commossi, alle esequie

La città commossa

Uno scorcio di Aschwitz, lager nazista in Polonia, il paese in cui morì anche Luigi Como

Novembre 1970

PuPPBBC Àit

li

Questo spazio è a disposizione per la pubblicità delle vostre aziende o delle istituzioni di cui avete la responsabilità.Scegliendo di comunicareattraverso questo giornale avrete scelto un mezzo efficace e sostenuto un’iniziativa culturale

MUGGIÒ DÀ L’ULTIMO SALUTO A DUE GIOVANNI CADUTI LONTANO DALLA BRIANZA

Il 4 novembre era ancora festa nazionale nel 1970.Si ricordava (e si ricorda) la vittoria di Vittorio Veneto ed è di fatto il giorno delle forze armate italiane. Festa importante, con sfi late di bande, gagliardetti di associazioni, corone di fi ori ai monumenti. Ricorrenza che, quarant’anni fa, fu molto sentita a Muggiò dove furono tumulate le spoglie di due concittadini caduti durante l’ultimo confl itto mondiale, uno in prigionia, in Germania, e l’altro sul campo di combattimento, in Italia, dopo l’8 settembre. Si trattava di Giovanni Cadario, deceduto in un campo di concentramento tedesco, il 12 settembre del ’44 e Giovanni Varbale, morto durante un’azione bellica in Italia il 12 settembre del ’43. Il primo certamente prigioniero, l’altro probabilmente negli scontri con i Tedeschi, immediatamente dopo l’armistizio e lo sbandamento delle truppe italiane segui-to alla fuga dei Savoia. La traslazione delle salme avveniva per interessamento del ministero per la Difesa.

Luigi Como alla fine è tor-nato a Desio. Anche se in una piccola bara, è tornato.

Ad aspettarlo c’erano i suoi amici, quelli della classe 1911, con i quali aveva diviso i pomeriggi di dome-nica a Santa Maria, a giocare o a imparare la dottrina da don Cel-so. Luigi è tornato in una fresca gior-nata di fine inverno, il 2 marzo del 1960, dalla lontana Polonia dove le tragiche vicende della guerra l’ave-vano condotto lontano dall’amata

Brianza. Un0 dei 194mila italiani caduti, al fronte o in prigioniaIl soldato era morto in un lager te-desco in terra polacca ma le crona-che del tempo non indicano qua-le. Auschwitz? Chelmno? Sobibor? Oppure Belzec? Sta di fatto che le sue spoglie sono state recuperate da un lontanissi-mo cimitero e ricondotte a De-sio, dove sono state ricevute con tutti gli onori, sindaco Lissoni in testa.La cronaca del Cittadino del 5 mar-

zo, racconta di onoranze impo-nenti, partecipate da tutta la po-polazione, prima nella parrocchia di S.Maria, dove centinaia di per-sone gli hanno reso omaggio, poi nei funerali solenni, per le vie della città fino al cimitero dove Luigi è stato tumulato nella Cappella dei Caduti.«Il feretro, portato a spalla dai commilitoni», scrive il giornale monzese, «era fiancheggiato da un picchetto militare, inviato espres-samente per disposizione ministe-

riale dalla Difesa, dopo i parenti, frammezzati dall’imponente fol-la, si notavano il sindaco con rap-presentanti di Giunta e consiglio comunale, le rappresentanze del-le autorità il gruppo compatto dei compagni di leva e di lavoro». C’erano tutti dietro le spoglie, an-che il cavalier Egidio Cerri, presi-dente dell’Associazione combat-tenti che tanto si era prodigato per favorire il rientro della salma e perché al caduto fossero tributati tutti gli onori. Cerri aveva scritto ai comandi militari, al ministero del-la Difesa, perché il soldato Como avesse le esequie che meritava.E certo quella domenica fu, per chi la visse, una giornata indimen-ticabile. Nella grande basilica, la Corale intonò i canti più belli, la gente, accalcata, rispose con fer-vore alla liturgia. Molti, in quel tempio, ricordavano Luigi per averci fatto un tratto di vita assieme: chi un gioco di ragaz-zi, uno scherzo a scuola, una gita con l’oratorio. Lui, il Luigino, par-tito in guerra e mai più tornato. E certo la commozione sarà sta-ta al culmine quando, nel tragitto verso il camposanto, il feretro è passato davanti alla sua parrocchia che l’aveva visto muovere i primi passi, crescere, farsi uomo, parti-re con la divisa grigioverde verso l’ignoto.Molto probabilmente il corteo transitò in via Santa Maria dove, nell’aprile del ’49, era stata appo-sta una targa a ricordo dei caduti del conflitto e della resistenza, con un’epigrafe che molti avranno cer-to riletto: «Da questo marmo gli spiriti immortali dicano monito austero alle genti: quanto fecon-da e benedetta sia la pace, quanto funesta ed esecrata sia la guerra».Al cimitero, dopo il requiem e la tumulazione nel pensiero di molti, dolore e commozione lasciarono il posto alla letizia: Luigi Como, soldato della classe 1911, avrebbe riposato per sempre. E, finalmen-te, sotto una terra amica

Per informazioni:Associazione culturale Storia & Territoriotel. 0362.285087mail: [email protected]

Page 14: Il Giornale della Memoria n.01-2010

14Febbraio 2010

MO

NZ

A V

IME

RC

AT

E 1

950

MILANO-BERGAMO LA FERROVIA MAI NATADeputato dc e sindaci di Monza, Vimercate e Villasanta lanciano una nuova ferrovia per raggiungere Milano

Pedemontana, addirittu-ra una Pedomontana-bis (vedi box), Brebe-mi: oggi, dopo decenni di stallo, la Lombardia

in generale registra una corsa alle infrastrutture viarie.Ma c’è stata un’epoca in cui la Brianza progettava altre vie di co-municazione in grado di accompa-gnarne lo sviluppo che, si intuiva

In tunnel sotto Villa Reale

essere dietro l’angolo. Nel 1950, si riteneva che il futuro fosse il tra-sporto ferroviario: non si imma-ginava che il trasporto su gomma fosse destinato a rivoluzionare così a fondo la vita e le abitudini dei cittadini.E neppure c’erano all’orizzonte le clamorose problematiche am-bientali che poi il boom dell’auto-mobile avrebbe portato con sé. In-

Il tracciato della Pedemontana e quello della ferrovia Milano-Bergamo, sponsorizzata da alcuni politici brianzoli nel ’50

Domani avvenneECCO LA PEDEMONTANASessantasette chilometri di autostrada da Cassano Magnago a Osio di sotto, 20 chilometri di tan-genziali e 70 di viabilità locale: è la Pedemontana, l’arteria che attreverserà la Brianza, congiun-gendo Varese a Bergamo e costituendo un’alternativa all’A4. Del tratto autostradale, 31 chilometri saranno in trincea, 11 in galleria artifi ciale, tre in galleria naturale, 17 in rilevato. Cinque i chilometri di ponti e viadotti. Cantieri aperti quest’anno ma i lavori nel tratto brianteo non partiranno prima del 2011 e dureran-no, in questo tratto 13 mesi mentre la prima auto circolerà solo nel 2015, in coincidenza dell’Expo. Costo 4,3 miliardi. Ma ci sarebbero enormi risparmi secondo la società che realizzerà l’opera, la Autostrada Pedemontana Lombarda Spa (68% Milano Serravalle Spa, 20% Equiter Spa, 6% Ban-ca infrastrutture Spa, 5% Ubi banca spa). In termini di tempi e carburante risparmiato rispetto ai fl ussi attuali e quelli che si prevedono nei prossimi anni. L’attraversamento della Brianza (vedi illustrazione sopra) comincia verso Lentate sul Seveso. Quindi si scende verso Meda, Seregno e Desio da dove ci si muoverà verso Est: Lissone, Biassono, Arco-re, Usmate, Carnate, Sulbiate, Mezzago per poi attraversare l’Adda. Ma intanto, c’è chi prevede di far la Bis, più a Nord (vedi box a pag. 14/15).

somma, quanti sessantanni orsono discutevano di nuove ferrovie che servissero una parte della Brian-za non scartavano certo l’ipotesi di altre strade perché preoccupati dei livelli di pm10 di cui, all’epo-ca, probabilmente si ignorava l’esi-stenza.Sta di fatto che all’inizio del 1950, alcuni parlamentari e ammini-stratori locali immaginarono, per

esempio, una linea ferroviaria che, partendo da Milano, arrivasse si-no a Bergamo toccando Villasanta e Vimercate ma soprattutto con-giungendo Monza al capuologo .Il 12 febbraio, la Dc brianzola si riunì pubblicamente per discute-re il progetto. C’erano il deputato Tommaso Zerbi (foto a destra), do-cente universitario che pochi anni prima aveva partecipato alla ste-sura della Costituzione; il segreta-rio cittadino Marchese, i sindaci di Monza, Leo Sorteni, Villasanta e Vimercate e, riferiscono le crona-che, «alcuni membri del direziona-le nazionale del partito».La Brianza aveva dato un contri-buto importante all’affermazione, due anni prima, dello Scudo cro-ciato e i politici del territorio pen-savano di poter scontare il peso elettorale con le prime infrastrut-ture per la loro terra.A monte del progetto, un’idea: congiungere Milano a Bergamo con una direttissima ferroviaria, ipotesi sulla quale, invece, il grup-po brianzolo studia una variante: utilizzare il medesimo tracciato per servire molti importanti centri del nord milanese e della Brianza meridionale.

ProgettoMilanoBergamo

Tracciato Pedemontana

Tunnel Villa Reale

Page 15: Il Giornale della Memoria n.01-2010

15Febbraio 2010

Una Pedemontana-bis, a nord della prima, che partirebbe da Malnate (Varese) per in-nestarsi nella Como-Lecco all’altezza di Inverigo, Ni-bionno e Veduggio. Il progetto, inserito nel Pia-no territoriale regionale-Pgt adottato nel luglio scorso, preoccupa non poco i citta-dini brianzoli delle zone in-teressate.In particolar modo, c’è pre-occupazione per il passag-gio nel Parco naturale della Valle del Lambro, nel tratto compreso fra Villa Sormani a Lurago, la tenuta Pomelasca e l’Orrido di Inverigo.La rivista Brianze, noto perio-dico del territorio animato da Domenico Flavio Ronzo-ni e da Paolo Pirola, lancia un allarme e un vero e proprio documento, Sos Brianze, per chiedere agli amministratori regionali, provinciali e comu-nali di bloccare il progetto.Info: www. brianze.it

il SOS di Brianze

Appelloai cittadiniA

Meda 1970Compleanno tondo per la Milano-Meda che ha visto la luce, come superstrada, nel 1970. Il 25 luglio di quell’anno, Il Cittadino mostra una foto sull’avanzamento dei lavori e racconta che, proprio nel tratto vicino alla Capitale del mobile, in prossimità di un attraversamento ferrovia-rio, sono state istallate reti di protezione per isolare la fer-rovia.

La nuova ferrovia sarebbe dovuta partire dalla stazione delle Nord a Cadorna, quindi toccare Bruzzano e Cinisello per poi lambire Monza nella sua parte più settentrionale e raggiungere Villasanta e Vimerca-te attraversando il Parco della Villa Reale in galleria. Tutti sono infatti d’accordo sulla necessità di preservare il grande polmone verde della città. An-zi, l’attraversamento in galleria è unanimemente considerato «pre-giudiziale» da tutti i partecipanti alla riunione. Qualcuno vede nell’ipotesi della ferrovia che raggiunge il Parco, la possibilità di renderlo disponibile, nel giro di pochi minuti, ai mila-nesi in cerca di svago domenicale, «dotando altresì Monza di un ra-pido e frequentissimo collegamen-to con la zona ovest di Milano e portando direttamente in centro» come scrisse Il Cittadino. Era sostanzialmente le ragioni che avrebbero spinto, vent’anni dopo, molti monzesi a sostenere l’idea di prolungare la prima metropoli-tana milanese fino in città.Tempo stimato della nuova fer-rovia: 16 minuti. Poco più di un quarto d’ora per andare e venire

da Milano.«La realizzazione di questa opera, veramente importante per i lavo-ratori che dalle zone attraversa-te si recano a Milano», scrissero i democristiani brianzoli in quel lontano febbraio di sessant’an-ni fa,«porterebbe, in un secondo tempo, ad affrontare e risolvere i problemi inerenti ai trasporti tra i quali, di notevole importanza, quello per la ferrovia di Molteno e Oggiono».Le cose non andarono così anche se, come si può leggere dal docu-mento che pubblichiamo qui a fianco, anche il Partito comunista, che in quell’epoca stava diventan-do il più grande schieramento di opposizione, si mobilitò localmen-te a sostegno dell’idea.Il progetto della nuova strada fer-rata rimase nei desideri dei demo-cristiani monzesi e, molto proba-bilmente, si perse nel cassetto del ministero o della Commissione Trasporti

MINISTRO, QUI SI VIAGGIA SUI PREDELLINIPochi giorni dopo la riunione monzese, il deputato comunista Buzzelli interroga il responsabile dei Trasporti D’Aragona

N on solo Dc. Anche il Partito comunista italiano, che proprio in quegli anni, stava togliendo al Partito socialista la leadership delll’opposizione, si mobilitò per la costruzione della ferro-

via fra Milano e Bergamo. Forse per non lasciare al partito di governo l’esclusiva sulla questione, ma sta di fatto che l’onorevole Aldo Buzzelli, avvocato e deputato in quella prima legislatura, rivolse al ministro dei Trasporti dell’epoca, Ludovico D’Aragona, un’interrogazione a risposta scritta il 25 febbraio, poco dopo la riunione dei democristiani. Interrogazione, il cui testo abbiamo recuperato dagli archivi della Ca-mera e che riproduciamo integralmente sotto.

BUZZELLI - al Ministro dei Trasporti.«Per conoscere se non intraveda la necessità di istituire altri treni oltre quelli esistenti sulle linee ferroviarie Chiasso-Milano, Sondrio-Milano e Bergamo-Milano, che potrebbero consentire alle decine di migliaia di lavoratori occupati, nelle fabbriche milanesi e di Sesto San Giovanni di portarsi al lavoro al mattino e di rientrare in sede alla sera, senza in-contrare ogni giorno gravi, immense diffi coltà di trasporto, cagionate dall’esiguo numero di treni. Lungo la tratta, numerosi lavoratori sono costretti ai viaggiare aggrappati alle parti esterne delle carrozze ferro-viarie e ciò con le tristi conseguenze di infortuni e di gravi incidenti».Risposta - «Linea Chiasso-Ticino. - La linea è esercitata con trazione elettrica a corrente continua ed off re quindi per le caratteristiche dei mezzi di trazione la possibilità di aumentare eventualmente la compo-sizione dei treni in relazione alla necessità.«Non si verifi cano però sui treni di detta linea, a quanto risulta all’Am-ministrazione ferroviaria, eccessivi aff ollamenti appuntc perché la loro composizione viene mantenuta in relazione alla frequentazione.«Linea Sondrio-Milano. - Taluni treni discendenti del mattino ed ascen-denti della sera sono in realtà sensibilmente aff ollati dagli operai. L’in-conveniente è stato però gradatamente ridotto aumentando il numero dei treni, di volta in volta, che si avevano i mezzi a disposizione, tanto da raggiungere già oggi, fra Lecco e Milano, il quantitativo dei treni che circolavano prima della guerra.«La linea in parola - quasi tutta a semplice binario - è però esercitata con trazione elettrica trifase con limitata disponibilità di prestazione, per cui non riesce facile l’aumento della composizione dei treni, ed inoltre nel-le ore di maggiore necessità, la circolazione è ormai tanto intensa che non è possibile impostare nuovi treni senza causare congestionamento nella circolazione stessa.«Comunque è già in corso la sostituzione del materiale ordinario dei treni più aff ollati con nuovo materiale più leggero che potrà permettere di aumentare il numero della carrozze e conseguentemente il quantita-tivo dei posti a disposizione dei viaggiatori, e con il nuovo orario, che andrà vigore il 14 maggio 1950 si esaminerà ad ogni modo la possibilità di aumentare fra Lecco e Milano ancora una coppia di treni.«Linea Milano-Bergamo. - Anche sui treni della linea Milano-Treviglio-Bergamo non risulta si verifi chino eccessivi aff ollamenti, mentre qualche diffi coltà si ha al mattino e alla sera sui treni della linea Milano-Usmate C.-Bergamo, che essendo nel tratto fra Usmate e Milano comune alla linea Lecco-Milano, per i motivi già esposti non , è suscettibile di impo-stazione di nuovi treni nelle ore in cui essi sarebbero più necessari. «Anche su questa linea però si cercherà di aumentare il numero delle vetture in circolazione, sostituendo l’attuale materiale con altro più leg-gero, non appena se ne avrà la disponibilità». Il Ministro D’ARAGONA.

Page 16: Il Giornale della Memoria n.01-2010

Il giornale lo fai tu!Il Giornale della Memoria vive del contributo

di idee e di racconti dei propri lettori.

Cerchiamo storie, diari, lettere, fotografie del secolo scorso con le quali ricostruire un pezzo

di memoria della Brianza. Tutti i materiali ti saranno prontamente restituiti

Segnalaci anniversari di istituzioni, parrocchie, circoli, associazioni, cooperative, aziende che ti farebbe piacere

ricordare: un nostro giornalista li racconterà insieme a te.

Tel. 0362.285087, email [email protected]

Abbònati!Il Giornale della Memoria, almeno per i primi numeri, verrà distribuito gratuitamente ma le copie non bastano per tutti.Abbonàti e lo riceverai per posta, comodamente a casa tua. Con soli 20 euro riceverai dieci numeri del giornale. Compila il coupon sottostante e spediscilo a Associazione culturale Storia e Territorio, via Giusti 32/c 20034 Giussano (MB) e ti invieremo il modulo di c.c.p. pre-compilato.

SÌ, MI ABBONO

Nome__________________________________ Cognome______________________________________Via_________________________________________________________n. civico___________________cap.___________comune__________________prov._____________telefono_____________________

Sì sottoscrivo l’abbonamento a 10 numeri a 20 euro. In questo modo riceverò il giornaledirettamente a casa. Acconsento al trattamento dei dati a questo fine.Titolare del trattamento è l’Associazione culturale Storia e Territorio - Giussano (Mb) Firma________________________________________