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Istituto Comprensivo Tacito Guareschi, Vitinia Anno scolastico 2015/2016 Progetto “Le case della memoria” Municipio IX Roma Eur Storie di vita raccolte ed elaborate dai Reporter della Memoria della Scuola Media Tacito Guareschi

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Istituto Comprensivo Tacito – Guareschi, Vitinia

Anno scolastico 2015/2016

Progetto “Le case della memoria”

Municipio IX Roma Eur

Storie di vita raccolte ed elaborate

dai Reporter della Memoria

della Scuola Media Tacito – Guareschi

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I reporter della memoria di Vitinia

La Casa della Memoria del IX Municipio è il progetto di condivisione sociale e culturale che pone

al centro la tutela e la diffusione della memoria nel territorio attraverso iniziative di recupero, salva-

guardia e trasmissione dell’esperienza in un ambito complessivo di relazione e scambio tra genera-

zioni. Proposte di partecipazione all’iniziativa sono rivolte agli anziani, alle scuole, ai cittadini di

ogni età, sostenute da un’attività di coordinamento metodologico e organizzativo che aiuta ad af-

frontare una stimolante e utile avventura.

Il progetto ha ottenuto il patrocinio della Libera Università dell’Autobiografia di Anghiari (AR).

Partire dalla straordinarietà delle storie comuni per proseguire nella costruzione di un rinnovato

senso di appartenenza e di contatto profondo con il proprio territorio è uno degli obiettivi centrali

della Casa della Memoria del IX Municipio, che si offre come laboratorio di narrazione aperto e dif-

fuso nel territorio. Con i giovani che incontrano i non più giovani nel ruolo di “reporter della memo-

ria” per raccogliere le loro storie e condividerle con la Casa. Si parte dai nonni, da parenti e amici di

famiglia, ma con il sostegno del coordinamento del progetto si possono organizzare interviste anche

con altri “custodi della memoria”, recuperando preziose testimonianze da conservare e far conosce-

re.

Primo Istituto scolastico ad aderire a questa proposta, il Tacito-Guareschi di Vitinia ha messo in

campo un gruppo di ragazzi delle medie, seguiti dai propri docenti e guidati nel ruolo di “reporter

della memoria” dal Coordinatore del Progetto, dott. Roberto Scanarotti. Da questa esperienza, rea-

lizzata nei mesi di aprile e maggio 2016, sono nati i piccoli racconti di storie di vita qui pubblicati,

che saranno custoditi nella Casa della Memoria di Vitinia, presso il Centro Anziani. E che a tutti i

loro autori, ai nonni e alle persone intervistate lasceranno senza dubbio un affettuoso ricordo di

momenti intensi e preziosi, capaci di aprire menti e cuori a nuove scoperte e a dare un valore auten-

tico alle parole “ascolto” e “incontro”.

Vitinia, 30 maggio 2016

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Le storie

Elisa Cavaliere, IB

Il ricordo di Vitinia dei miei nonni

I miei nonni si ricordano di Vitinia che un tempo si chiamava “Risaro”. Era una borgata abitata da

persone molto semplici le quali, con molti sacrifici, costruivano le loro case prevalentemente a pia-

no terra con piccoli orti. Con lo sviluppo economico verso gli anni ‘60 si iniziò a costruire anche

palazzi a più piani. La cosa più bella era che gli abitanti si conoscevano quasi tutti e a volte si aiuta-

vano nella costruzione delle case. Le strade non erano tutte asfaltate e pochissime erano illuminate.

Sembra che il momento più emozionante sia stata la costruzione della chiesa verso il 1954/55 per-

ché divenne un luogo di preghiera e di aggregazione. C’era un signore che vendeva lupini e noccio-

line ed era sempre sorridente: ai bambini ne dava qualcuno in più. Con il tempo

aprirono negozi e attività commerciali: ad esempio il mio bisnonno aprì

un’autofficina e un autosalone. Mia nonna si ricorda che in via Sarsina, di fronte

a EFFEPIÙ, c’era un grande campo dove veniva il circo l’estate e tutti gli abi-

tanti si portavano le proprie sedie per assistere allo spettacolo. Si faceva anche il

cinema all’aperto. Negli anni ‘60 il punto di ritrovo dei ragazzi era l’attuale Bar

centrale perché vi era un juke box dove si ascoltavano le canzoni alla moda e

spesso le ragazze ballavano il twist ed era proprio un gran divertimento… La

stazione era diversa, molto più piccola, con una casupola (casa cantoniera) dove,

se pioveva o faceva freddo, ci si poteva riparare al piano inferiore.

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Marialaura Alfonsi, IB

Il ricordo di Vitinia dei miei nonni

Vitinia al giorno d’oggi è molto diversa da come era tanto tempo fa, all’incirca nel 1965, anno in

cui i miei nonni si trasferirono qui.

Ci rimasero 10 anni, ma in questo periodo videro molti cambiamenti. In questi anni c’era molta me-

no gente a Vitinia, erano poche persone e si conoscevano tutti grossomodo.

I miei nonni acquistarono un appartamento in via Castel Guelfo, di fronte al bar Bartoli.

All’epoca vicino Bartoli c’era un ristorante con i tavolini fuori. Vicino a questo appartamento, anzi-

ché altre palazzine, c’era un campetto dove i bambini trascorrevano i loro pomeriggi giocando a

pallone, tra questi anche mio padre; le strade erano sterrate e sassose, non asfaltate e lisce come og-

gi. Prima non c’erano neanche le scuole elementari e medie, non erano state ancora edificate;

l’edicola invece c’era, ma non era un negozio abbastanza ampio come lo vediamo oggi, bensì un

piccolo chiosco vicino alla chiesa, che è rimasta tale e quale. La stazione invece, era parecchio più

piccola rispetto ad ora e non aveva l’entrata ampia sulla strada, ma aveva, per accedervi, una rampa

di scalette piuttosto ripida e pericolosa, proprio dietro all’attuale fermata dell’autobus che già esi-

steva. Non c’era nessun parco-giochi, quindi i ragazzi per divertirsi andavano in una zona, i cosid-

detti “fortini”, che si trova accanto all’attualescuola media. La cosa che mi ha colpito di più e di cui

ho avuto testimonianza anche senon riesco proprio ad immaginarlo, è che Vitinia era molto più ver-

de e alberata e non me la figuro perché ormai è raro trovare un luogo verdeggiante qui.

Mi piacerebbe fare un salto indietro e vedere come era l’antica Vitinia, sarei moltocuriosa!

Comunque a me piace così com’è: un posto isolato dalla metropoli e dai rumori fastidiosi e inqui-

nanti dei motori delle auto se non quelle delle persone che la abitano. Sono molto felice del luogo in

cui abito, e spero che non peggiori andando avanti con il tempo.

Sara Bellatreccia, III A

Intervista alla signora Milla

Nata a Venezia il 4 settembre 1955. Intervista raccolta il 30/04/2016.

Mi chiamo Milla Esposito e sono nata a Venezia nel 1955. Subito dopo la mia nascita con la mia

famiglia ci siamo trasferiti a Napoli; ho vissuto in questa città fino all’età di circa 20 anni. Poi ho

cominciato a lavorare in banca a 22 anni, dopo aver vinto un concorso; qualche tempo dopo essermi

sposata mi sono trasferita a Vitinia con mio marito.

A quel tempo chiamata Risaro, che era un piccolo borgo isolato dal resto della città.

Mi sono trasferita qui perché entrambi lavoravamo a Roma ed il paese di Vitinia ci sembrava molto

carino perché tranquillo in quanto distante dalla città. Per raggiungere il posto di lavoro ci si sposta-

va con il trenino Roma-Lido già inaugurato negli anni’20. Quindi essendo ben collegato in poco

tempo si arrivava a destinazione. Il quartiere era inoltre un luogo sicuro per poter crescere i bambi-

ni. Ricordo delle immense distese di prati e di terreni incolti dove i nostri figli si incontravano con

altri bambini per giocare liberamente senza incorrere in particolari pericoli anche perché ci cono-

scevamo un po' tutti. Una cosa che sottolineo è che in questa piccola cittadina non c’erano luoghi di

svago per adolescenti, quindi i giovani si dovevano necessariamente spostare.

La nostra casa si trovava vicino la chiesa dove vi erano vari negozi, difatti la attuale Via Sarsina era

chiamata via dei negozi ed è proprio qui che si è sviluppato tutto il quartiere.

Sicuramente Vitinia era molto diversa da ora: c’erano stradine strette e in parte non asfaltate, ma

non a senso unico a differenza dei tempi attuali. Case poco numerose ma pian piano cominciavano

a nascere.

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Indubbiamente i luoghi erano molto diversi da ora: ovviamente rispetto a quei tempi attualmente è

tutto cambiato; strade e collegamenti maggiori, case e scuole che accolgono la crescente popolazio-

ne.

La stazione metro era ben diversa; senza banchina di attesa e senza tettoia per ripararsi dalla piog-

gia.La natura era molto rigogliosa ed il paesaggio di campagna.

Dico inoltre che se tornassi indietro ripeterei esattamente ciò che ho vissuto essendo soddisfatta del

luogo i cui sono stata dagli anni ’70 ad oggi e consiglierei alle generazioni future di vivere in questo

quartiere anche se attualmente quelle immense distese di prato sono state sostituite da costruzioni,

ma comunque rimane un luogo molto accogliente.

Lara Pisoni, II B

Intervista alla signora Clementina Paniccia

Qualche giorno fa ho intervistato la Signora Clementina Paniccia. Mi ha raccontato in breve la sto-

ria del suo trasferimento dal paese a Vitinia. Uno spaccato di storia vissuta che mi ha fatto molto ri-

flettere.

Mi ha detto che non è nata a Vitinia, ma a Priverno in provincia di Latina. Mi ha poi riferito che è

venuta vivere in questo quartiere nel 1958, per evitare che suo marito lavorando a Roma dovesse

continuare a fare il pendolare Priverno-Roma alzandosi alle 3.00 del mattino.

Il luogo dove viveva prima era molto diverso da Vitinia. Con il trasferimento sono cambiate anche

le abitudini, le amicizie. A Priverno l’abitudine era di tenere la chiave di casa alla porta. Si entra-

va e si usciva da tutte le case. A Vitinia ognuno sta per sé e Dio per tutti.

La Signora Clementina dice che l’arrivo a Vitinia è stato positivo, poiché il marito faceva una vita

diversa. Stava più a casa. Poi piano piano si è talmente abituata che se dovesse tornare indietro non

lo farebbe più. La maggior parte della sua vita l’ha trascorsa a Vitinia. Si è sposata a 17 anni. A 18

si è trasferita a Vitinia. Allora Vitinia era un po’ campagna, mentre lei viveva al centro storico di

Priverno.

Lei non lavorava. Poi arrivata a Roma ha iniziato a lavorare a casa come sarta. Non si divertiva. I

divertimenti erano pochi all’epoca. I tempi erano diversi. Non c’era la macchina, non c’era il televi-

sore. Ma si andava qualche volta al cinema. A Vitinia l’ambiente era più aperto invece al paese si

doveva stare attenti.

Vittoria Biagetti, I D

I ricordi di Franco

Nome: Franco Vittorio

Cognome: Stella

Data e luogo di nascita: 14 maggio 1937, Novele (Ascoli Piceno – Marche)

Data e luogo dell’intervista: 03/04/2016 – 13/04/2016 casa dell’intervistato

Franco Vittorio Stella non è nato nel quartiere di Acilia. Proveniva infatti da Novele, piccolo paesi-

no in provincia di Ascoli Piceno nelle Marche. Di questo luogo ha molti bei ricordi a partire dalla

registrazione all’anagrafe della sua nascita che da l’idea di come si vivesse in quel periodo storico.

Il nonno infatti andò a fare la registrazione all’anagrafe ad Ascoli molti mesi dopo la sua nascita e

una volta lì, non ricordandosi che il nipote era nato il 16 maggio, decise di dare come data il 14

maggio convinto che fosse la data esatta!

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Ma i ricordi legati all’infanzia sono numerosi: alcuni belli come quello in cui va a raccogliere le ca-

stagne in autunno assieme ai suoi fratelli o la raccolta del miele insieme al nonno ed altri un po’

meno come quello di cui mi ha parlato nell’intervista.

All’età di 4 anni e mezzo circa fu colpito da una malattia per la quale perse quasi del tutto la vista.

A quel tempo era facile ammalarsi e difficile potersi curare (così come siamo abituati a fare noi):

scarsa igiene, povertà, guerra e pochi medicinali a disposizione rappresentavano un enorme ostacolo

per le persone.

Condusse perciò qualche mese di pellegrinaggio assieme alla mamma alla ricerca di un medico che

potesse guarirlo, andando di ospedale in ospedale con la volontà di trovare una soluzione al grave

problema che lo aveva colpito. Tra le varie visite fatte ne ricorda una in particolare: in un ospedale

vicino al porto di San Benedetto del Tronto, un medico disse a sua madre “Signora perché mi porta

questo ragazzo? Ormai è cieco!!”. Franco non dimenticherà mai sua madre che tentava di rassicu-

rarlo mentre singhiozzava. Decise quindi di non lasciare ricoverato il figlio in quella struttura – ol-

tretutto il padre era via per la guerra e non voleva prendere una decisione da sola – e continuò a gi-

rare per ambulatori. La tenacia della mamma fu ricompensata e finalmente trovarono un medico

che, per circa una settimana, gli diede delle gocce all’olio e alla fine Franco recuperò la vista dopo

circa un anno di cecità!

Dopo un’infanzia difficile venne a vivere ad Acilia nel 1952 perché il padre Nazareno aveva trova-

to lavoro a Roma. Quando è arrivato ha avuto

un’impressione positiva di Acilia perché proveniva da un paesino piccolo e qui gli sembrava che

tutto fosse più grande e che poteva esplorare nuovi luoghi. Era molto diverso da ora: c’erano po-

chissime case e solo nel centro del quartiere, il resto era tutto campagna. Sulla via Ostiense,

dove vive tuttora, passavano pochissime macchine e si andava a lavare i panni al fontanile.

E’ cambiato tutto, ora c’è poco verde e tantissime case, il traffico sulla via Ostiense è aumentato

moltissimo ed il fontanile non esiste più.

C’era solo campagna con molti animali che pascolavano, la maggior parte delle strade erano sterrate

e c’erano molti agricoltori con i relativi campi di terre coltivate. Franco è stato un muratore fino ai

19 anni d’età, dopo venne assunto come postino. Lavorava per tutta l’Italia nei vagoni dei treni po-

stali mentre la sede centrale era Milano. Proprio per questo motivo le sue prime due figlie nacquero

a Milano: qui aveva affittato un appartamentino con la moglie.

Sin da piccolo non ha mai avuto molto tempo per giocare, lavorava molto. Ma quando poteva gio-

cava a calcio con gli amici usando, al posto del pallone, dei barattoli di latta oppure, quando c’erano

le partite di pallone, andava nei bar che avevano la radio e ascoltava la cronaca con i suoi amici.

D’estate, invece, andava al mare di Ostia e qui giocava sulla sabbia o faceva il bagno.

Non faceva sport per due motivi fondamentali:

1) lavorava per più di 12 ore al giorno e quindi fare sport era impossibile;

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2) non si usava fare attività sportive.

Oggi Franco sebbene sia in pensione, lavora per buona parte della giornata nei suoi due amati orti

che si impegna a curare quotidianamente. Fino a 2 anni fa faceva anche l’apicoltore, cosa molto po-

sitiva per noi nipoti perché avevamo tanto buon miele da mangiare. Purtroppo per lui era diventato

un po’ troppo faticoso e ha rinunciato a questa attività che svolgeva da quando aveva 8 anni assieme

a suo nonno, regalando i suoi alveari ad un suo caro amico. Malgrado questa sofferta decisione con-

tinua a lavorare molto e spesso aiuta i suoi amici nella pratica degli innesti, dell’agricoltura e anche

della sua amata apicoltura.

L’evento che si ricorda ancora oggi e che gli piace raccontare è il primo sbarco sulla luna del 20

Luglio 1969.

Per Franco era quasi impossibile immaginare un uomo come lui che camminava sul suolo lunare.

La tecnologia aveva avuto un’accelerazione enorme e sarebbe stata inarrestabile. In piede, in un bar

gremito di persone, c’era un pesante silenzio… si sentiva solo la voce dello speaker che diceva:

“questo è l’evento che ci ricorderemo per tutta la vita!…”.

Filippo Resseguier de Miremont, II D

I ricordi di Sergio Festa intervista raccolta il 27/04/16

Sono nato nel 1941…La mia prima infanzia iniziò quando abitavo nella casa dei miei nonni in Ro-

magna, un castello che aveva un terrazzo grandissimo sopra le mura del paese. Ricordo che avevo

un triciclo con delle grandi ruote e correvo su questo grande terrazzo. Finita la guerra io e la mia

famiglia siamo venuti ad abitare a Roma in una casa a Piazza Verdi. Andavo alla scuola elementare

che si trovava in un grande giardino vicino casa; la mattina mia madre mi preparava la merenda,

cioè una fetta di pane con un pezzo di cioccolata e una mela che portavo dentro un cestino di paglia.

Il pomeriggio lo passavo con gli amici del palazzo in cui abitavo, in piazza, dove potevamo stare

tranquillamente perché non c’erano macchine. Il nostro gioco preferito era andare con i pattini che

allora avevano quattro ruote e si fissavano con le cinghie sotto le scarpe. Ci divertivamo anche a far

correre i tappi della birra su lunghe piste disegnate con il gesso sull’asfalto della strada spingendo i

tappi con le dita per tutto il percorso.

Finita la scuola l’estate la passavo insieme agli amici nella vicina villa Borghese; li ci incontravamo

tutti i giorni e stavamo insieme a parlare e a fare progetti per il futuro. Qualche volta io e i miei ge-

nitori tornavamo nella casa dei nonni in Romagna, andavamo su con la macchina di un amico e ci

mettevamo 2 giorni solo per fare 400 km. La macchina era una Topolina Giardinetta e poiché non

c’era posto per tutti sui sedili, io normalmente, visto che ero il più piccolo, sedevo dietro nel baga-

gliaio al posto del cane. Non vedevo mai la strada davanti alla macchina ma solo quella che era già

passata.

Durante la permanenza da mio nonno che poteva durare anche un mese, mi divertivo in una casa

che per me era magica, era una casa molto antica in cui c‘erano molti passaggi segreti che portava-

no a una stanza non raggiungibile da altre parti, bastava spostare un mattone dal pavimento e calarsi

giù per sparire dalla circolazione e vivere in un mondo fantastico. Un’ altra cosa che mi piaceva fare era salire sul tetto passando da un altro passaggio segreto e da li stare a guardare la valle fino alle

montagne in lontananza.

L’estate, quando non avevo la possibilità di andare in Romagna, mio padre mi portava molte volte

al mare a Fiumicino. Prendevo il treno alla stazione Termini, le carrozze del treno avevano i sedili

di legno. Uno dei momenti più belli dell’anno erano le feste di Natale, mio padre comprava un pic-

colo pino vero che addobbavamo con carta colorata e al posto della palle di vetro mettevamo i man-

darini, il profumo dell’albero e dei pini sono ancora impressi in me; sotto l’albero mettevamo i re-

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gali che per noi bambini era quasi sempre libri di avventura di Giulio Verne e Salgari, infine anda-

vamo a casa degli zii per prendere gli altri regali.

Poiché non avevamo molti giochi dovevamo inventarcene qualcuno da soli:

uno dei giochi che riuscivamo a costruire era un sommergibile che facevamo con un pezzo di legno

lungo e tondo, due pezzi di lamiera e due elastichetti; la sagoma migliore per il legno era il manico

della scopa a cui erano applicate le lamine in lamiera, sotto c’era l’elastico e una piccola elica; mia

madre si arrabbiava moltissimo perché gli tagliavamo la scopa che diventava sempre più piccola. Le

gare si facevano nella vasca della fontana di villa Borghese che si trova dietro il museo e vinceva

chi riusciva a far stare più tempo il sommergibile sott’acqua.

Elena De Fazi, I C

Nelle campagne a un km da Cuneo

Nome: Umberto Vassallo

Data di nascita: 30/ 01/ 1938

Data del racconto: 3/04/ 2016

Mio nonno mi ha raccontato che ai suoi tempi (si sta parlando della sua prima infanzia ) molte fa-

miglie per ripararsi dai bombardamenti si rifugiavano in campagna dove c'erano più possibilità di

non morire che rimanendo in città. Le sue giornate erano noiose: il papà stava tutto il giorno fuori

casa essendo un militare, ma anche a causa dell'abitazione dove vivevano: non era una piccola casa

ma una stalla dove si viveva tutti insieme, quindi non c'era tanto da fare.

Nonno si ricorda anche che, quando faceva molto freddo la sua mamma faceva bollire dell'acqua e

poi la metteva in bottiglie che poi posizionava alla fine del letto per far riscaldare le coperte fredde.

Inoltre mi ha raccontato che un giorno arrivarono a casa loro dei tedeschi che probabilmente vole-

vano mangiare, suo fratello aveva un fucile giocattolo con molto valore infatti i genitori lo avevano

pagato tantissimo, una volta che i soldati videro quel fucile si spaventarono e anche la famiglia di

nonno perchè se non avessero capito che il fucile era finto avrebbero potuto morire; ma non appena

si avvicinarono a esso e lo presero in mano cominciarono a ridere, avendo capito che si trattava di

un giocattolo. Un altro episodio che mio nonno non può dimenticarsi è quando un amico dei suoi

genitori è venuto a casa loro per consegnare il regalo a mio nonno visto che era il giorno della sua

prima comunione. Quel giorno non festeggiarono, dopo la cerimonia svolta a Cuneo, andarono in

un osteria prendendosi un caffellatte. Comunque stavo dicendo quando questo amico bussò la loro

porta mio nonno stava dietro il letto sul vasino, ma quando sentii il signore dire: Ho un pacco per

Bertino, fece un balzo davanti alla porta per prendere il regalo. Questo è quello che si ricorda mio

nonno della sua infanzia.

Margherita Malfatti e Leonardo Amorosi, II B

Intervista ad Anna Maria Grossi

Data di nascita: 30 settembre 1950

Data dell'intervista: 12 aprile 2016

"Io sono nata a Villalago, un paesino sperduto dell'Abruzzo, dove le persone si conoscono tutte e

l'amicizia è di casa" così la signora Anna Maria incomincia il suo racconto/intervista. Poi continua a

raccontare "La mia prima impressione è stata bruttissima perché mi sono sposata credendo di venire

a Roma quindi desideravo Roma, volevo andare via dal paese ed invece mi sono ritrovata qui, che

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era peggio di Villalago, con tutte le strade sterrate, senza lampioni, non conoscevo nessuno. Inoltre

io ho lasciato il mio lavoro, facevo la maestra d'asilo, per venire qui ed anche se è stata una mia

scelta però è stata anche una grande delusione. Per fortuna venendo qui non sono cambiata però tut-

tora mi sento sempre ospite anche se ho lavorato per tanto tempo, quasi trentacinque anni, qui ed ho

conosciuto tante persone. Io ho sempre lavorato però ho perso sei anni solo per fare dei giorni di

supplenze. Qui a Vitinia non c'erano molti modi di svagarsi soltanto a casa si stava bene giocando a

carte o a chiacchierare con le vicine oppure andando a Roma; a Villalago invece si stava sempre

fuori in giro a giocare con i bambini oppure nelle feste paesane dov'è si ballava e si cantava."

Ad un certo punto chiedo ad ella quale ricordo si ricorda meglio e allora i suoi occhi diventano luci-

di e come se avesse un nodo in gola incomincia a parlare "Il mio ricordo più bello e quello che mi

manca di più è l'odore del grano mietuto che mi fa pensare ogni volta che lo sento, e mi viene quasi

da piangere, alla mia casa è alla persona che sono là."

Dopo aver fatto una breve pausa ricominciamo l'intervista "Il modo di pensare tra Villalago e Viti-

nia è che a Villalago le persone sono più libere ma sono meno colte invece a Vitinia è il contrario.

Margherita Malfatti, Leonardo Amorosi, II B

Intervista a Bernardino Pirollo

Data di nascita: 16 luglio 1926.

Data dell'intervista: 19 aprile 2016

"Io non sono nato a Roma, ma in provincia di Frosinone, nel comune di Acquafondata che è situata

sui monti che circondano Cassino. La mia famiglia è formata dai miei genitori, le mie due sorelle ed

io; poi mi sono sposato ed ho fatto due figli, che però uno è morto" qui il signor Bernardino, un

geometra di novant'anni, si ferma come per ricordare suo figlio Marco morto troppo giovane. "La

mia infanzia, come ho già detto, inizia ad Acquafondata; a tre anni con la mia famiglia mi trasferi-

sco a Parigi. Poi in una vacanza a Nizza, dove mio padre stava costruendo delle villette, proprio in

quel mese, la Germania dichiarò guerra a tutto il mondo; allora mio padre disse: - Visto che stiamo

al confine con l'Italia scappiamo e ritorniamo al nostro paesino.

Ma arrivati al nostro paese ci ritrovammo in mezzo alla guerra tra i partigiani ed i fascisti l'unico

posto dove nascondersi era una grotta tra le montagne. Ad un certo punto i tedeschi presero tutti gli

abitanti del paese, come sfollati, e ci portò in un convento ad Arcere, però dopo un po' mia madre

disse:- Basta! Ora noi ce ne andiamo!

Allora prendemmo tutti i nostri bagagli e andammo in strada a fare l'autostop. Indovinate chi si fer-

mò?!" qua si ferma e ride "Un camion di tedeschi che ci prese e ci disse che non ci poteva portare

fino a Roma ma solo fino a Velletri. Allora noi salimmo e incontrammo un'altra famiglia. Arrivati a

Roma non sapevamo dove andare allora questa famiglia ci disse: - Perché non venite per qualche

giorno nel nostro palazzo?

Noi dicemmo di sì e, con grande fortuna, in quel palazzo, trovammo un signore che ci diede lavoro

a me e alle mie sorelle.

Nel 1954 ci trasferimmo a Vitinia perché mio zio aveva comprato un terreno e aveva bisogno che qualcuno ci costruisse sopra delle case quindi, visto che mio padre era costruttore, incominciammo

ad edificare Vitinia, perché prima c'erano sì o no venti case e tutte le strade erano sterrate e piene di

fango, non c'era elettricità e neanche il trenino.

Io studiavo la sera, dopo il lavoro, privatamente e non c'era neanche il tempo di divertirsi o di sfo-

garsi.

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Queste sono due interviste differenti di un signore di novant'anni e un'altra di sessantasei anni, mes-

sa a confronto per capire la differenza delle epoche; per esempio il signore racconta della guerra, la

signora invece parla del suo paese e come si è trovata a Vitinia....

Giorgia Lupi, II D

La storia di Piero

Piero Mariotti nato a Roma nel 1936 è venuto a vivere a Vitinia all' età di ventisei anni dopo essersi

sposato con mia nonna Gianna Piccioni nata nel 1940, anche lei a Roma. La sua infanzia però la ha

passata a Perugia in Umbria perché il padre aveva trovato lavoro cioè lavorare i campi;

sfortunatamente in quel periodo c' era la prima guerra mondiale però lui racconta che non gli pesava

molto ed infatti gli piace raccontare soprattutto di questo periodo due situazioni da lui vissute. La

prima è che quando i soldati tedeschi andavano a casa sua a prendere un caffè lui sfruttava la sua età

e si metteva a piangere per far si che i soldati gli dessero dei cioccolatini ma in realtà dopo un poco

di volte loro capirono che era solo per i cioccolatini ma continuavano a reggere il gioco; lui vedeva i

soldati non come persone che uccidevano innocenti, la maggior parete delle volte, per motivi

politici e religiosi ma come degli eroi che lo proteggevano dai “cattivi “ ma non aveva idea di cosa

fosse la guerra ed infatti la viveva come un gioco e non come una cosa seria. L' altro evento è

quando, da piccolo, a Perugia, un signore alto, con la gobba ed il bastone ed un cuore d'oro, ogni

volta che lo vedeva gli dava una monetina perché un giorno l'anziano signore gli chiese cosa

avrebbe voluto fare da grande e lui gli rispose il viaggiatore del mondo e proprio da quel giorno

iniziò a conservare queste monetine, una ad una, riponendole sotto ad un mattone disconnesso dal

muro che si trovava nel retro della casa vicino al recinto delle galline. Di questo segreto ne erano a

conoscenza solo lui ed un suo amico di nome Carlo ed un giorno quando, come al solito, andò a

riporre sotto a mattone una monetina, non trovò più nessuna monetina. Solo una settimana dopo

Carlo gli confessò di avergli rubato le monetine per comprarsi un giocattolo. Carlo purtroppo

qualche tempo dopo si dovette trasferire in Toscana per raggiungere i suoi nonni e dopo la sua

partenza vi ci perse i contatti e non lo rivide più.

Questa è solo una parte della memoria di mio nonno Piero

Daniele Michetti Aschi, II D

La vita di Domenico Michetti Aschi Intervista raccolta il14/04/2016

Salve a tutti, sono Domenico Michetti Aschi.

Io non sono nato a Vitinia, sono venuto ad abitare qui quando ero piccolo, nel 1951 all`età di nove

anni. Io nasco ad Avezzano, in provincia dell`Aquila il 10 Febbraio 1949. Ho vissuto i miei primi

anni di vita a Sante Marie, un piccolo comune dell` Abruzzo a venti chilometri da Avezzano.

Vengo da una famiglia povera, sono l’ultimo dei quattro fratelli e sono l’unico che è venuto a vivere

qui a Vitinia perché i miei genitori non avevano i soldi per mantenermi e mi affidarono a una mia

zia che viveva qui a Roma la quale aveva la possibilità di farmi studiare.

La ringrazio tutt`ora, senza di lei non ce l’avrei mai fatta.

Non ho frequentato la scuola a Vitinia perché allora non c` erano ancora scuole elementari e medie,

solo l`asilo; andavo alle elementari sulla via Prenestina. Mi ricordo che era molto dura andarci per-

ché bisognava alzarsi molto presto la mattina; le insegnanti erano molto severe; alle volte usavano

le bacchette sulle mani perché ti dimenticavi qualcosa o scrivevi male sul quaderno.

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Mentre frequentavo l’ultimo anno della scuola elementare, vennero a mancare i miei genitori natu-

rali e mi affidarono a mia zia. Successivamente venni adottato definitivamente da mia zia. L’ anno

dopo lei si sposò e divennero tutti e due i miei genitori adottivi. Mio padre adottivo riuscì a trovare

un lavoro al centro, prima come portiere in uno stabile, poi come impiegato nella motorizzazione

civile. Non stava molto tempo a casa con la sua famiglia perché aveva sempre da lavorare dovendo

mantenere noi e un figlio in arrivo.

Ricordo che Vitinia era molto diversa da ora: poche macchine, poche case, la maggior parte concen-

trate nei pressi della stazione; ma soprattutto poche strade, l’unico ingresso era quello sulla via

Ostiense.

Racconto sempre ai miei nipoti e figli che l`attuale strada di via Lago Santo apparteneva e forse ap-

partiene ancora oggi alla famiglia Pirampepe, quindi una strada privata; comunque anche se fosse

stata una strada libera, non ci si poteva passare perché era una strada non asfaltata e quindi inadatta

per le poche macchine di Vitinia.

Appena arrivato ricordo che ero un po’ spaesato perché, essendo abituato a un luogo di montagna,

qui a Vitinia c`erano molte più persone, ma alla fine mi piacque perché ho sempre amato Roma fin

da quando ero molto piccolo e mio nonno me ne parlava come se fosse stata una città magica, dove

le persone erano sempre felici e c’era ogni tipo di gioco per i bambini.

Il paesaggio di Vitinia era molto piacevole, la natura era dappertutto e gli abitanti ci tenevano a ri-

spettare l` ambiente; io andavo a pescare alla marana, a giocare a pallone con i miei amici per stra-

da, a fare delle partite a monopoli sulle scale di casa, ci si divertiva con poco. Non ho mai praticato

sport perché questi erano gli sport; inoltre, ad ogni fine del mese, facevamo delle ’battaglie’ con i

bambini del quartiere vicino.

Il luogo che mi è rimasto a cuore è la marana, un posto a contatto diretto con la natura, il punto d`

incontro di tutti e non scorderò mai i giochi, le gare in bicicletta, le partite a pallone, la pesca, ecc.

ecc.

Diventato grande iniziai a lavorare, spostandomi con il treno, ma lavorando sempre a Roma; poi

conobbi mia moglie Rita e ci sposammo.

Daniele Michetti Aschi, II D

La vita di Domenico Michetti Aschi (raccontata in 3a persona) Intervista raccolta il 28\03\2016

Ho intervistato mio nonno Domenico Michetti Aschi ponendogli delle domande sulla sua vita del

passato con le sue esperienze e i cambiamenti che si sono verificati nel suo quartiere.

Mio nonno non è nato a Vitinia, e venuto ad abitare qui quando era molto piccolo, nel 1951 all` età

di nove anni. Lui è nato ad Avezzano in provincia dell`Aquila nel 10 Febbraio 1949, ha vissuto i

suoi primi anni di vita a Sante Marie, un piccolo comune dell` Abruzzo a venti chilometri da Avez-

zano.

Non ha frequentato la scuola qua a Vitinia perché non cerano ancora scuole elementari e medie, so-

lo una scuola dell`asilo; andava a scuola sulla via Prenestina, si ricorda che era molto dura andarci

perché bisognava alzarsi molto presto la mattina e i professori erano molto duri e quando di merita-vi delle punizioni, alcune volte potevano essere fisiche come le bacchettate sulle mani.

E` venuto a vivere qui a Roma perché suo padre ha trovato un lavoro al centro, prima come portiere

in uno stabile, poi come impiegato nella motorizzazione civile. Non stava molto tempo a casa con la

sua famiglia perché aveva sempre da lavorare.

Domenico mi racconta che Vitinia era molto diversa da ora: poche macchine, poche case, la mag-

gior parte concentrate nei pressi della stazione; ma soprattutto poche strade, gli unici ingressi sono

quelli sulla via Ostiense. Mio nonno racconta che l`attuale strada di via lago Santo apparteneva e

forse appartiene ancora oggi alla famiglia Pirampepe, quindi una strada privata.

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Appena arrivato racconta che era un po’ spaesato perché, essendo abituato a un quartiere di monta-

gna, qui a Vitinia c` erano molte più persone, ma alla fine gli piacque perché mio nonno ha sempre

amato Roma.

Il paesaggio di Vitinia era molto piacevole, la natura era dappertutto e i cittadini ci tenevano a ri-

spettare l`ambiente; mio nonno si ricorda che andava a pescare alla marana, a giocare a pallone con

i suoi amici per strada, a fare delle partite a monopoli sulle scale di casa, ci si divertiva con poco.

Non ha mai praticato sport. Diventato grande iniziò a lavorare, spostandosi con il treno, ma lavo-

rando sempre a Roma; poi conobbe mia nonna e si sposarono.

Simone Masciola, I E

Il racconto di Gino

Intervista raccolta il 2/04/2016

Il mio nome è Gino, sono nato a L’Aquila nel 1932 e sono il penultimo di cinque figli, avevo due

sorelle e due fratelli. Ho perso la mia mamma all’età di sei anni e mio padre, costretto ad andare in

guerra in Albania ci lasciò con una mia zia che aveva a sua volta altri quattro figli. La mia infanzia

non la ricordo molto semplice sia per la guerra sia per la mancanza di mia madre. Vivevamo in un

piccolo paese dove le attività principali erano l’agricoltura, la pastorizia e l’allevamento. All’età di

diciotto anni partii per il militare che all’epoca durava diciotto mesi, fui arruolato nel corpo degli

alpini e ricordo quegli anni con tanta nostalgia. Al ritorno dal periodo militare iniziai a cercare lavo-

ro a Roma, anche perché in quegli anni iniziava ad esserci una ripresa economica successiva al pe-

riodo della guerra. Tramite miei parenti trovai lavoro come contadino nei casolari della tenuta del

principe Aldobrandini, situata vicino ad Ostia Antica. Lavorai lì per circa otto anni e vivevo in un

casolare insieme a mio fratello maggiore Emidio e alla sua famiglia. Durante quel periodo mi ricor-

do che si lavorava molto ma ci si divertiva anche, eravamo giovani e nei giorni di riposo si andava

nelle sale da ballo. Anche quei momenti li ricordo con grande nostalgia; si facevano molti sacrifici

ed era una vita semplice ma nello stesso tempo genuina e sana. Non avevamo molto ma riuscivamo

ad accontentarci e a stare bene con quello che c’era. Eravamo felici così, nel nostro piccolo mondo

ricco di valori e rispetto. Fu proprio in quegli anni che conobbi la mia futura moglie, Maria che spo-

sai nel 1960 e con la quale ebbi due figli la maggiore Sandrina e il minore Gianni. Inizialmente non

avevamo una casa propria e vivevamo in una casa in affitto ad Acilia, in seguito con i risparmi riu-

scimmo a comprare un piccolo terreno per poi costruirci una casetta che con gli anni è stata miglio-

rata. Trovai dunque un altro lavoro che mi permise di mantenere più agevolmente la mia famiglia;

nel 1988 andai in pensione e decisi di tornare nei miei luoghi natali ed è lì che tutt’ora vivo con mia

moglie nella casa che fu di mio padre e nella quale ho ancora spesso il piacere di ospitare, durante le

festività, i miei figli con i miei nipoti.

Claudia Di Giorgi, I E

La memoria di…

Il signor Fernando, nato il 29/09/1958 a Roma, ha accettato di farsi intervistare il 02/04/2016 a Ro-

ma. Fernando ha 58 anni ma ricorda perfettamente tutti i dettagli della sua infanzia. Nato e cresciuto

in un quartiere popolare, zona Tormarancia, si viveva con poco anzi con niente. I suoi giochi da

bambino erano creati dal nulla con quello che la natura metteva a disposizione, non c’erano né

computer né telefoni e la televisione si vedeva raramente la sera.

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LA ZONA

Stiamo parlando degli anni ‘50/’60, la zona allora era una periferia mente ora è considerata quasi

centro. Prima c’erano pochissimi negozi e passava a malapena l’autobus. Non esistevano i super-

mercati. Nella zona c’erano solo due scuole: Raimondi e De Nicola. C’era la chiesa “ Madonna di

Lourdes “.

Il meccanico di zona aveva un cane che si chiamava Vagabondo. Lo aveva chiamato così perché

non stava mai nell’officina, gli piaceva girare per tutto il quartiere.

QUESTA E’ UNA SUA FOTO NEL 2005, 4 MESI PRIMA CHE MORISSSE

LA SCUOLA

La scuola di Fernando era diversa dalle scuole attuali: alle elementari non c’era il tempo pieno, si

usciva alle 13.00. C’era un’unica maestra che insegnava tutte le materie a parte religione, di quella

se ne occupava un prete.

Alla scuola primaria non si studiavano le lingue e non c’era l’ora di educazione fisica.

Le medie erano più o meno uguali a quelle attuali.

I GIOCHI

Fernando giocava sempre nel cortile con i suoi amici. Si giocava a calcio, organizzavano partite e il

loro campo preferito era il piazzale della chiesa.

Un altro gioco era piastra e barattolo: il gioco consisteva nel lanciare una mattonella il più vicino

possibile al barattolo.

Un gioco molto creativo era quello di costruirsi i pattini con 4 tavole di legno e i cuscinetti che gli

regalava il meccanico.

C’erano tanti altri giochi come costruirsi una fionda, andare a fare il bagno nel ruscello, fare escur-

sioni nei campi, salire sugli alberi…

IL TELEFONO

Ai tempi di Fernando non esistevano i telefoni cellulari, ma c’era un’unica linea fissa dentro casa.

Qualche anno dopo arrivarono le cabine telefoniche per strada.

LA FAMIGLIA

La famiglia di Fernando era composta da papà Carmine, mamma Claudia, i tre figli maschi Fernan-

do, Massimo e Franco e nonna Antonia.

Il signor Fernando ha avuto un’infanzia molto divertente!!

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Samuel Ribeca, I E

La storia di mio nonno

Nome e cognome: Mauro Tonissi

Data di nascita: 25/04/1948

Data intervista: 14/04/2016

Mio nonno si chiama Mauro Tonissi ed è nato il 25/04/1948. Non è nato in questo quartiere ma nel

quartiere Ostiense. È venuto a vivere a Vitinia nel 2005. È venuto per cercare un po’ di tranquillità

perché viveva nel quartiere Ostiense e rispetto alla città Vitinia è molto più tranquilla. Secondo lui

dopo 11 anni dal suo arrivo a Vitinia non è cambiato nulla quando arrivò le sue impressioni furono:

-di trovarsi in un quartiere di persone educate

-che c’era molto verde

-gli sembrava di essere in un piccolo paese

Lavorava alla società ENEL cioè: E=ente N=nazionale E=energia L=elettrica

Per andare a lavoro si spostava a Roma.

Si divertiva quando si riuniva con gli amici.

Insomma questa è la storia di mio nonno.

Riccardo Fallani, I E

Mio nonno

Mio nonno si chiama Sergio di cognome Zigrossi.

Mio nonno è nato il 29/08/1949.

Mio nonno non è nato in questo quartiere ma è venuto in questo quartiere nell’ anno 1955, e provie-

ne dalla provincia di Latina.

È venuto a vivere in questo quartiere per il lavoro.

Quando è venuto in questo quartiere ha avuto una buona impressione in realtà non è cambiato nien-

te. Il paesaggio era molto fresco e artigiano.

Il suo lavoro faceva il pescatore e si è sposato a Vitinia. Di solito si divertivano a giocare con gli

amici a poker, giochi da tavolo.

Ilaria Sabatini, II C

Prima … Dopo …

Nome intervistato: Maria Salvia Tomassini

Data e luogo di nascita: Napoli 4/06/45

Data e luogo intervista: Roma, casa di nonna 18/04/16

Il mio nome è Maria Salvia Tomassini e sono nata a Napoli il 4 giugno nel 1945. Sono andata a vi-

vere ad Acilia nel 1972 con marito e due figlie, Valeria e Paola, di 4 e 1 anno, per un trasferimento

di lavoro di mio marito Vincenzo Tomassini che lavorava all’Eur presso l’INPS, mentre io avevo

avuto la cattedra per l’insegnamento in una scuola superiore di Ostia: l’ITC Toscanelli. Il quartiere,

ben collegato con Roma e Ostia tramite strade e metropolitana, mi apparve tranquillo e ben organiz-

zato. La via principale, la Via di Acilia, metteva in comunicazione le due arterie principali di Acilia

con la Cristoforo Colombo e costituiva la strada principale. Superato il ponte che passa sulla ferro-

via, che esiste tutt’ora, si arriva nella piazzetta con il caseggiato rosso a sinistra, questa costruzione

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all’epoca era “la delegazione” e, a destra, la costruzione bianca era adibita a Pronto Soccorso. Nella

destra della piazzetta, dove c’è sempre stata la farmacia, si aprivano le porte di una sala cinemato-

grafica che ora è stata sostituita da un negozio di abbigliamento. Lungo la Via di Acilia vi erano ne-

gozi “storici” che ora non ci sono più; in particolare, la gioielleria “Baroni”, il negozio di abbiglia-

mento “Giad” della famiglia Gordioni, il parrucchiere Leonardo ecc… Superata la strada si arrivava

alla Chiesa di Santo Leonardo di Porto Maurizio, poi c’era “la Standa”, sostituita ora dall’O.V.S. e

una pasticceria molto famosa per il quartiere. Molti negozi sono ora gestiti da cittadini stranieri, le

frutterie da egiziani, vi sono diversi negozi di cinesi che hanno sostituito le cartolerie, ed anche ne-

gozi di abbigliamento gestiti sempre da cinesi. In mezzo alla piazza c’erano molte aiuole che ancor

ora esistono. Il centro del quartiere non ha mutato molto il suo aspetto, però si sono creati molti ag-

glomerati urbani che hanno cementificato la zona e unito Acilia con l’Axa, Casal Palocco, Dragona

e Vitinia, riducendo al minimo la campagna che circondava il quartiere. Io e la mia famiglia, viven-

do in un parco condominiale, ho potuto partecipare a molte attività ludiche e sportive. Giochi molto

praticati dai bambini erano: tre tre giù giù, in cui si dovevano formare due squadre e i partecipanti

di una si mettevano accovacciati uno dietro l’altro e l’altra squadra doveva cercare di spezzare la ca-

tena di bambini dell’altra squadra. Altri giochi molto praticati erano la campana, mosca cieca, an-

davamo con i pattini, la bicicletta, i maschi giocavano a calcio. Altri, al giorno d’oggi poco cono-

sciuti, sono lo schiaffo del soldato, le biglie ecc… Le mie figlie, insieme ad altri ragazzi, spesso si

dedicavano a costruire capanne e casette nel parco condominiale. Mi sorprende come questi giochi

collettivi adesso siano molto meno praticati dai ragazzi che preferiscono l’individualismo della tec-

nologia. Per quanto riguarda i mezzi di comunicazione si usava esclusivamente il telefono fisso, e

per le telefonate extraurbane era necessario passare per il centralino. Io, durante il mio fidanzamen-

to, lungo sei anni, comunicavo con mio marito, che studiava in un’altra città, oltre che per telefono

una volta alla settimana, scrivendo lunghe lettere, anche più di una al giorno. All’epoca i luoghi di

incontro per i giovani erano pochi, le feste si organizzavano a casa e, soprattutto nel nostro com-

prensorio, dove erano sorte bellissime amicizie, si festeggiava sempre nelle nostre case, nel parco o

in piscina. Feste tradizionali e molto divertenti erano quelle di carnevale in cui ci mascheravamo

tutti, grandi e piccoli. Molti di questi ricordi li ho raccolti in album che mi piace conservare gelo-

samente. Altre mie passioni, oltre a quella degli album, sono ballare, anche se non lo faccio da tem-

po dato che mio marito non condivideva questa passione, e viaggiare; infatti ho visitato molti paesi

anche molto belli come la Cina, la Francia, l’America, l’Argentina, l’Inghilterra, la Norvegia, la

Russia ecc….

Secondo me si viveva meglio prima perché eravamo più uniti anche senza tutta la tecnologia che c’è

oggi.

Mattia Bonanni, III A

Intervista a Mariella Panighelli (e a sua sorella)

Noi siamo nate a Roma, per la precisione a P. San Giovanni, vicino a via Tasso. Siamo venute a vi-

vere qui nel 1951 perché mio padre aveva trovato lavoro all’alimentari vicino all’attuale Bartoli (al-

lora era anche l’unico). Purtroppo mio padre morì quando mia sorella era ancora piccolina. Lei è na-

ta nel 1950: proseguì gli studi fino alle superiori; io invece mi fermai alle medie per aiutare mio pa-

dre nel suo lavoro, ho finito gli studi a 30 anni. Che io mi ricordi non ci sono enormi differenze: le

strade già c’erano (tutte sterrate e piene di buche), le file di case vicino a Bartoli pure… Addirittura

quando siamo arrivati noi c’erano già sia il trenino che il bar. La chiesa anche, mancava il parchetto,

che allora era solo un prato con due alberi e tante margherite; anche quello pieno di buche. Quando

siamo arrivati mamma era triste, era abituata alla musica, alle feste e ai balli, si è trovata in mezzo al

nulla. Invece per noi era uguale, potevamo sempre giocare! Molte strade sono state cementate nel

1980, ma soprattutto c’era Ultra, che vendeva noccioline! Ai grandi le faceva pagare, invece a noi

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piccolini le regalava, anche se faceva un po’ paura... era un po’ matto! Una cosa che è cambiata è il

paesaggio: prima c’erano molti più prati e meno case, più fiori ma meno alberi. In questi prati noi

giocavamo a nascondino, rincorrerci, corda, a palla, ma noi adoravamo Campana!! Purtroppo non

ho una vera scatola dei ricordi, ma ho delle foto sul davanzale, mi piacciono tanto! Ho delle collane

molto belle di quando ero bambina, dei braccialetti e delle altre foto che in realtà non trovo più. Le

foto non sono proprio tante, dato che allora non c’erano i soldi per comprare una macchinetta foto-

grafica, tantomeno quella istantanea, che adoravo ma che costava veramente tanto.

Spero di essere stata utile e soprattutto esauriente!!

Delia Dicosola e Lorenzo D’Ovidio, I A

La storia di Angelo Ranucci

Nome e cognome: Angelo Ranucci

Data di nascita: 6/06/1947

Data dell’intervista: 18/04/2016

Piacere, mi chiamo Angelo Ranucci, sono nato a Cascina un paese in provincia di Pisa (in Toscana).

I miei genitori si sono conosciuti durante la seconda guerra mondiale, durante lo sbarco di Anzio.

Mio padre era americano e faceva il militare mentre mamma era della Toscana. Quel periodo co-

struirono ad Anzio una caserma per i militari americani e papà ci viveva. I miei genitori si sono in-

contrati un pomeriggio al porto, si sono visti per vari pomeriggi e poi si sono fidanza-

ti.Successivamente sono andati a vivere a Cascina, dove siamo nati io e mio fratello. Per problemi

economici ci hanno portato al collegio dove ho trascorso la maggior parte dell’infanzia. All’età di 9

anni papà è ritornato in America e da lì abbiamo perso i contatti e non ci siamo più rivisti. È stato

un periodo molto brutto ma… tutto si supera! Anche se vivere nel collegio può sembrare

un’esperienza non molto bella, io grazie ai miei amici mi sono divertito tantissimo. Il pomeriggio

dopo scuola con la mia comitiva andavamo al campetto da calcio e giocavamo a pallone, nascondi-

no, salta cavallo e siccome eravamo tutti dei birbanti ci davamo anche gli schiaffi. Il mio migliore

amico si chiamava Francesco. Lui era un giocherellone, era molto basso, aveva i capelli biondi e gli

occhi azzurri. Ci divertivamo sempre a fare gli scherzi a gli altri compagni soprattutto alle femmine

che quando aprivamo la porta delle loro stanze urlavano tantissimo. Quando avevo 6 anni sono an-

dato in ospedale perché mi dovevo operare alle tonsille, la cosa mi spaventava molto ma passata

l’operazione ero felicissimo perché le dottoresse mi portavano ogni giorno un ghiacciolo. Ma non è

l’unica volta che sono andato in ospedale: un giorno stavamo giocando al campetto con i miei amici

e mio fratello e cadendo mi sono rotto un braccio dopo questa caduta per lo spavento non ho giocato

a palla per 2 mesi ma poi ho tolto il gesso e ho ricominciato. Mi ricordo che un giorno, nel collegio

feci cadere i piatti in cucina, la cuoca si arrabbiò così tanto che mi chiamò diavolo. Da quel giorno

vengo soprannominato Angelo Ranucci il Diavolo. La mia materia preferita delle elementari era

matematica anche se non ero molto bravo. Ero una schiappa a educazione fisica. Mi ricordo che una

volta, durante la partita di pallavolo ho fatto perdere la mia squadra all’ultimo punto. All’età di 11

anni io e mia madre ci siamo trasferiti ad Anzio mentre mio fratello è andato a Roma in un centro

per ragazzi. Ad Anzio mamma mi ha portato in un altro collegio mentre lei è andata ad abitare in

appartamento vicino. Questo è stato il periodo più bello della mia vita! In estate ci portavano a fare

tantissimi viaggi in Italia; il mio preferito fu quello in Toscana perché rimasi colpito dalla torre di

Pisa infatti rimane ancora oggi il mio monumento preferito. Quando andavamo a scuola passavamo

dalla villa di un signore chiamato Anzalone Gaetano. Lui era il presidente della squadra della Roma

e faceva anche l’allenatore nel centro ragazzi dove si trovava mio fratello. Passando davanti casa

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sua un giorno lui mi chiamò e mi disse:” alla fine di quest’anno vuoi venire al centro dove vive an-

che tuo fratello?”. Io accettai volentieri e mi trasferii a Roma. In questo centro io e gli altri ragazzi

ci siamo divertiti tantissimo. Ricordo soprattutto la festa del natale. Anzalone si travestiva da babbo

natale e ci portava tantissimi regali tra cui il completo da calcio, il pallone e altri giochi. Dopo un

paio di mesi mi trovai un lavoro: l’elettricista. In questo lavoro mi spostavo in varie regioni d’Italia

a seconda di dove stavano i cantieri. Un giorno Anzalone venne da me e mi chiese se volevo entrare

ella squadra di calcio. Io ero felicissimo! Facevamo partite dappertutto solo che dopo un po’ di

tempo ho dovuto lasciare la squadra per via del lavoro. Nel centro ragazzi lavorava una ragazza bel-

lissima che si chiamava Eufemia Maria Cipriani. Mi innamorai profondamente di lei, così un giorno

mi feci avanti e le chiesi di uscire. Lei accettò e la sera stessa andammo in un piccolo ristorantino a

mangiare. Ci fidanzammo e siccome lei aveva un appartamento da sola andai a vivere da lei. Nel

1969 ci sposammo e facemmo due figli: uno maschio e una femmina. La casa era diventata troppo

piccola per quattro persone così andammo a vivere ad Acilia, il nostro appartamento attuale. Mi so-

no divertito molto nella mia infanzia, infatti a volte rimpiango quei tempi!

Marco Porrone, III C

La storia di Rosario

Rosario è nato nel 1933 a Pescopennataro. Le condizioni economiche della sua famiglia erano di-

screte anche se i suoi genitori non potevano permettersi molte cose.

Malgrado fosse molto bravo a scuola, una volta finita la 5^ elementare, iniziò a lavorare perché la

sua era una famiglia molto numerosa. Di cinque figli lui era il fratello maggiore e bisognava aiutare

e portare dei soldi in più a casa.

Quando divenne maggiorenne venne arruolato nell’esercito ma non andò mai a combattere; infatti

lui ci dice sempre che non ha mai sparato un colpo. Durante il suo periodo da militare si occupava

di trasmettere i messaggi tramite radio. Infatti conosceva molto bene l’alfabeto Morse.

All’età di 26 anni si sposò con Anna, una donna nata a Villa Santa Maria, un paese dell’Abruzzo.

Dopo qualche anno nacquero due figlie: Daniela a Maria Pia, mia madre.

Quando aveva circa trent’anni si spostò a Roma per lavoro e lì incontrò un imprenditore che gli

vendette un terreno in un piccolo quartiere chiamato Vitinia. In quegli anni c’erano poche costru-

zioni e le case erano un po’ isolate. La zona era molto tranquilla, alcune volte un po’ troppo e la

moglie spesso gli diceva che avrebbe preferito abitare in una zona più centrale di Roma.

Qui però i prezzi erano più accessibili e quindi decise di costruire con altri operai quella che sarebbe

diventata la sua futura casa.

Non è stato semplice per lui che ha dovuto fare tanti sacrifici e affrontare molte spese.

Il lavoro da operaio lo impegnava molto, durante la settimana trascorreva poco tempo con la fami-

glia ma i fine settimana e le vacanze erano sempre dedicati alla moglie e alle figlie. Gli piaceva

molto trascorrere il tempo libero all’aria aperta, infatti spesso andava con la famiglia a fare lunghe

passeggiate a piedi o in bicicletta in pineta o lungomare. Inoltre, ha sempre apprezzato l’arte. I suoi

musei preferiti erano i Musei Capitolini e i Musei Vaticani che ancora oggi visita con piacere.

Durante l’estate, Rosario portava spesso la sua famiglia in Molise, nel suo paese originario, e lì si divertiva molto perché incontrava i suoi vecchi amici e ricordava il periodo della sua infanzia che

seppur semplice era stata piena di divertimento e spensieratezza.

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Elena Ceccaroni, III D

Intervista alla nonna Riccardina

-Data di nascita dell’intervistato: 11 Gennaio 1937

-Luogo di nascita: Roma Est

-Luogo intervista: casa di nonna

Per questo compito ho scelto di intervistare la mia nonna paterna.

L’intervistata si chiama Riccardina Zinfollino da noi nipoti e dalle sorelle detta Riccarda, zia Dina,

nonna e little Richard dai figli.

Mia nonna si è trasferita a Vitinia nel 1955 all’età di 18 anni per lavoro, faceva l’impiegata e ogni

mattina doveva andare a prendere i mezzi per arrivare all’Eur da Vitinia prendeva l’autobus che la

portava alla stazione e poi prendeva il treno ci metteva massimo 20 minuti ad arrivare ma neanche

mentre quando abitava a Roma Est doveva prendere anche il tram o il taxi.

Le ho chiesto se ricordava alcuni giochi che faceva da piccola e quando aveva la mia età, all’inizio

l’ho vista un po’ confusa ma poi dopo qualche minuto si è ricordata tutto, ha detto che giocavano

spesso a nascondino, a saltare la corda o con le bambole fino alla nostra età…

Appena era venuta ad abitare a Vitinia era in affitto dopo essersi sposata con mio nonno si compra-

rono alcuni terreni.

Mio nonno aveva costruito una casa, appena venne a vivere definitivamente si sentì molto più tran-

quilla.

Ricorda molto bene che Roma Est era ed è ancora oggi un quartiere molto popolato.

Mi ha raccontato che la differenza tra oggi e il passato, mi ha detto che 50 anni fa Vitinia non si

chiamava così ma portava il nome di Via del Risaro, c’erano pochissime case, poche macchine e

quindi c’erano le strade più grandi, poi c’era più natura, le case erano più curate, tenute meglio,

avevano dei giardini magnifici e che il nostro era uno dei più grandi e dei più belli.

Oggi invece anche le strade principali di Vitinia sono sporche e piene di buche mentre prima passa-

vano spesso gli spazzini.

Dopo tutto quello che mia nonna mi ha raccontato penso che non sarebbe male tornare alla Vitinia

di prima!

Benedetta Manzi, I D

Il racconto di Gabriella Trovini Data dell’intervista: 28 marzo 2016

Data di nascita dell’intervistato: 30 novembre 1942

Luogo: Acilia (abitazione dell’intervistato)

Sono Gabriella Trovini e sono nata nel 1942, il 30 novembre. Non sono nata nel quartiere in cui at-

tualmente vivo dal 1983, cioè Acilia. Provengo dal Gianicolo, precisamente da Monte Verde vec-

chio. La causa del nostro trasferimento, e quando dico nostro, intendo me e mio marito, era la ne-

cessità di una casa più grande, dato che intanto i nostri figli crescevano, e un giardino più grande; le

differenze dal mio quartiere, dal 1983, fino ad oggi, sono la presenza maggiore di costruzioni e si-

curamente più abitanti e strade.

Quando sono arrivata qui, le mie prime impressioni sono state le grandi aree pulite e molto verde,

infatti la natura era ricca di prati, ma molto incolti.

Facevo l’insegnante e per lavorare mi spostavo da casa mia fino a viale Marconi (Roma). Da ragaz-

za i divertimenti non erano molti, infatti si usciva con gli amici per andare al cinema, ma molte vol-

te anche con i genitori, purtroppo; quando si stava a casa, leggevo e quando fu inventata, la sera ve-

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devo la televisione. Non facevo nessuno sport, esclusa la ginnastica a scuola, analogamente a mio

fratello Giulio.

Non possiedo una scatola dei ricordi ma quelli più belli rimarranno sempre nella mia testa: IL MIO

MATRIMONIO, LA NASCITA DEI MIEI DUE FIGLI, GIUSEPPE E SIMONA, I LORO MA-

TRIMONI E LA NASCITA DEI MIEI DUE NIPOTINI DA PARTE DI SIMONA, BENEDETTA

E GABRIELE, mentre Giuseppe ancora non ha figli, sfortunatamente.

Matteo Greco, II E

Come era trentatré anni fa Centro Giano?

La persona intervistata si chiama Oliveto Maria Antonietta, nata a Potenza il 31 marzo del 1960 e

l’intervista è stata effettuata il 7 aprile 2016. Oggi sono andato ad intervistare Maria Antonietta, per

farmi raccontare come era Centro Giano trentatré anni fa.

Lei è nata in Basilicata e si è trasferita in questo quartiere all’età di ventitré anni, nel 1983, perché la

zona era molto tranquilla, i terreni non costavano molto e perché il paesaggio, con immense pianure

verdi , le ricordava la campagna in cui da bambina viveva . << Trentatré anni fa questo quartiere era

molto diverso da oggi >>. Ha iniziato l’intervista descrivendomi le differenze fra il Centro Giano di

oggi e il Centro Giano degli anni ‘80. Mi ha detto che c’erano pochissime case (circa un quarto del-

le attuali) e proprio per questo motivo c’era tra tutte le famiglie un forte rapporto d’amicizia.

Un fattore negativo, invece, era la mancanza di illuminazione pubblica, tranne che nelle due princi-

pali vie del quartiere. Le strade non erano asfaltate, escluse le due principali del quartiere. Purtroppo

non era presente né una rete fognaria né una linea dell’autobus e per questo motivo per spostarsi bi-

sognava utilizzare il treno.

Erano presenti molti negozi alimentari, che attualmente sono chiusi e non c’era neanche un centro

sportivo. A differenza di oggi, tutti i terreni in cui non erano presenti case, venivano utilizzati per

l’agricoltura, uno dei punti di forza del Centro Giano degli anni ‘80. Il clima, a differenza di oggi ,

era più caldo, per la mancata presenza di alberi che facevano ombra. Lei mi ha detto che non lavo-

rava in questo quartiere, e che come lei, la maggior parte delle persone si spostava nel centro della

città (Roma), tranne i contadini che si dedicavano ai propri orti , ricavando un profitto minimo , ne-

cessario a farli sopravvivere. Infine mi ha parlato dei giochi e dei “passatempo” preferiti dai bambi-

ni di quel tempo: giocare con il pallone (o qualsiasi oggetto “calciabile”) per la strada e andare in

bicicletta sulle “ruvide” strade di quel quartiere .

Jacopo Palladini, Carlo Fania, I A

Vitinia

Il signor Giovanni Brunetti ha settantuno anni e si è trasferito a Vitinia quando aveva vent’anni. Vi-

tinia oggi è una zona tranquilla e poco trafficata, una volta era molto più pulita.

Oggi è abitata da molti stranieri e molti del posto se ne sono andati. Vitinia è abitabile perché è vi-

cina alla stazione e per questo il signor Giovanni vi si trasferì. Inoltre era cominciato un nuovo pro-getto per costruire la scuola elementare e questo era molto importante per i suoi figli. Le scuole me-

die all’inizio si trovavano al centro poi successivamente fu costruito un nuovo edificio di fronte alle

elementari.

Il signor Giovanni racconta che dal 1950 Vitinia è cambiata molto, prima le strade non erano asfal-

tate, ci vivevano solo i contadini che coltivavano la vite. All’inizio si chiamava Risaro perché colti-

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vavano il riso, poco dopo cambiarono coltivazione e cominciarono a coltivare la vite, e cambiò il

nome da Risaro a Vitinia.

Riccardo Caporale, II C

Acilia, un quartiere da ricordare

Nome: Domenico Bucci

Intervista del 24 marzo 2016

Giovedì 24 marzo abbiamo intervistato il presidente del centro sociale anziani di Acilia Piazza dei

Sicani, Sig. Domenico Bucci, che si è gentilmente prestato a raccontarci di come i viveva ad Acilia

quando lui era ragazzo.

A quell’epoca (gli anni ’50-’60) c’erano solo 4 casali con 20.000, 30.000 abitanti, la maggioranza

erano contadini. Tutto il territorio circostante era aperta campagna e Domenico ci andava spesso a

cacciare.

Egli non ha sempre vissuto ad Acilia prima infatti viveva a Gerano, un piccolo comune in provincia

di Roma e quando si era trasferito ha iniziato a lavorare all’Atac e subito ha deciso di formare fami-

glia stabilendosi definitivamente ad Acilia.

L’osteria era anche il luogo principale di ritrovo di tutti gli amici.

Domenico seguiva e segue tuttora con grande passione il calcio che presenta per i giovani di ieri e

di oggi uno dei principali svaghi.

Tutte le domeniche infatti Domenico andava allo stadio con gli amici per seguire la sua squadra del

cuore: la Lazio.

Altri giochi molto popolari dei sui anni di gioventù, erano i giochi con le figurine per esempio sof-

fietto, i giochi con le biglie, o della nizza conosciuto anche come “mazza e becco”. In conclusione

Domenico Bucci ci ha confessato che si viveva meglio prima perché, essendoci pochi abitanti, tutti

erano amici di tutti.

L’intervista è stata molto interessante.

Valerio Carta, II D

Il racconto di Assunta Maria Cicilloni

18/05/2016, 09:24:02 ho sottoposto alcune domande alla signora Assunta Maria Cicilloni, nata il 15

agosto del 1939; è cresciuta a Cagliari, in Sardegna, in un quartiere che si chiama Quartu

Sant’Elena dove aveva due case.

Della sua infanzia ricorda che nel quartiere in cui abitava aveva diversi amici, tra cui la sua migliore

amica dell’epoca. Viveva con i suoi genitori e le 2 sorelle più piccole, e andava alla scuola elemen-

tare Giovanni Paolo.

Quando ho chiesto quali fossero gli aspetti negativi e positivi del suo quartiere ha risposto che lei

gradiva molto il numero ridotto della popolazione perché ciò permetteva una maggiore conoscenza

tra i cittadini, la pulizia del posto. Inoltre era tutto a portata di mano: farmacie, mercati, bar, edicole

ecc.

Quello che non gradiva erano la disorganizzazione delle scuole, la paura della guerra, le strade che

erano molto rovinate e soprattutto mal organizzate, anche perché non c’era il controllo dei vigili ur-

bani, visto il periodo molto difficile.

Oggi vive ad Ardea in provincia di Roma con suo marito e uno dei suoi tre figli. Ha detto che si tro-

va meglio in questa nuova quartiere perché è più tranquillo e organizzato.

In seguito ho chiesto le differenze tra il suo quartiere di nascita e quello in cui vive e lei ha risposto

che ci sono molte guardie e si sente più sicura, gli ospedali sono attrezzati, i servizi postali sono

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molto più frequenti e le scuole offrono molto di più...almeno nella scuola elementare dove porta sua

nipote dove si trovano palestre attrezzatissime, banchi e sedie molto resistenti e addirittura numero-

se Lavagne Interattive. E’ stata molto contenta dell’intervista.

Casa della memoria è un progetto del IX Municipio che serve per trascrivere i ricordi dei primi abi-

tanti di Vitinia in modo che non si perdano informazioni importati della cittadina e dei suoi abitan-

ti.

Emiliano Sciamanna, I C

La Storia di Matilde

Nome e cognome: Matilde Felici

Nata a Leonessa (Rieti)

Data di nascita: 26 03 1943

Data dell’intervista: 30 03 2016

Matilde è nata a Leonessa dove ha vissuto fino ai 7 anni quando suo padre, allevatore che fino ad

allora aveva portato il suo bestiame al pascolo a Roma solo d’inverno, decide di approdarci definiti-

vamente.

Vivono in varie borgate (Ostia, Acilia) prima di stabilirsi definitivamente a Vitinia il 25 Marzo del

1959. Lì i suoi genitori avevano acquistato una frutteria. Affianco alla loro frutteria c’era un nego-

zio che vendeva un po’ di tutto ed era l’unico della zona, quello stesso negozio oggi è un supermer-

cato.

Hanno trovato una cittadina completamente diversa da ora, ricorda che c’era una sola via asfaltata le

altre erano tutte stradine di campagna. Ed in particolare ricorda che dopo tre giorni dal loro arrivo

illuminarono le strade con i lampioni. Le abitazioni erano davvero poche, in tutta Vitinia ce n’erano

solo dieci o undici. Ripensa con piacere alle colline di Vitinia che in primavera si ricoprivano di

prati pieni di fiori colorati come papaveri e margherite…”uno spettacolo meraviglioso”.

Matilde lavorava ad Ostia, faceva la cassiera in un vapoforno, e quindi andava avanti e indietro 4

volte perché tornava a pranzo a casa, ma ricorda che era tranquillo muoversi, “..si viveva bene..”.

I divertimenti che ricorda erano le passeggiate e i giri in bicicletta. Il suo svago era prendere il treno

ed incontrare persone al negozio.

E’ a Vitinia che Matilde incontra Corrado, colui che in seguito diventerà suo marito. Hanno avuto

due figli che hanno frequentato la mia stessa scuola, la Tacito Guareschi. Ora sono grandi e non vi-

vono più a Vitinia.

Matilde è una donna impegnata nel sociale, collabora con la chiesa e con il comitato di quartiere per

organizzare diversi tipi di feste, a una delle quali, una sera d’estate di 2 anni fa, ho partecipato

anch’io con la mia famiglia.

Cecilia Simei, II E

Il racconto di mio nonno

Vitinia per i bambini è sempre stata un centro ricreativo, giocare a pallone, chiacchierare, andare a

mangiare nei pochi bar divertendosi con tanti tipi di caramelle diverse dai colori vivaci.

Per me Vitinia non è mai stata tutto questo.

A scuola ero escluso da tutti e a volte anche preso in giro, ricordo la voce di un bambino che in 4°

elementare mi disse "tu non vali niente" quelle parole mi resero così infelice che per il resto degli

anni scolastici non volli stringere più alcun rapporto con nessuno per evitare di essere trattato poi in

quel modo che non era assolutamente piacevole.

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Era come se quel bambino con le sue parole, avesse spento quella parte di me simpatica ed aperta.

All'inizio della 5° elementare decisi che dovevo cominciare a socializzare, lasciare alle spalle il pas-

sato, credere che quelle parole non mi avrebbero poi indebolito facendomi apparire sensibile e stu-

pido.

Volevo rialzarmi.

Cominciai a passeggiare nella speranza che qualcuno si fermasse e mi chiedesse di far parte del suo

gruppo ma non successe perché erano tutti troppo impegnati a parlarsi invece che guardarmi anche

solo per un istante.

Allora cominciai a visitare la cabina telefonica, ad inserire spiccioli per poi chiedere ai miei amici

di uscire anche se non funzionò mai perché avevano sempre altro da fare.

Nonostante questi continui rifiuti cercai sempre di salutare con la mano chi conoscevo quando pas-

seggiavo, chiamare per i compiti anche se già li sapevo (nella speranza che quella persona cambias-

se argomento e mi chiedesse di uscire),cercare di intrufolarmi nelle conversazioni in classe e dire la

mia ma tutto con scarsissimi risultati.

Pensavo che con il mio carattere non sarei mai riuscito ad acquisire amicizie quando un giorno, di

cui non ricordo precisamente la data, in classe arrivò una nuova alunna e colsi l'occasione per farci

amicizia.

Lei a differenza degli altri sembrò molto più aperta e sociale con me difatti non ci volle molto tem-

po prima di diventare migliori amici.

Col passare del tempo quella ragazza mi faceva divertire ed insieme potevamo sentirci come quei

bambini che chiacchierano, andavano al bar divertendosi e che giocavano con il loro miglio-

re amico.

Insieme formavamo un bel team e a lei devo tutta la mia gioia.

Negli anni successivi quella donna la sposai ed oggi è tua nonna.

Daniele Tassa, II A

I miei nonni Intervista raccolta il 27 aprile 2016.

Mio nonno paterno non è nato in questo quartiere e neanche in questa regione. La sua storia a Viti-

nia ebbe inizio nel lontano 1957, lui aveva 20 anni e mia nonna Liliana 17 e si erano appena sposati.

I miei nonni provengono dalla provincia di Avellino. Sono venuti a Roma a cercare lavoro. I miei

nonni mi dicono che Vitinia era molto diversa, c’erano poche case e la via principale era via del Ri-

saro, chiamata così perché prima c’erano le risaie. I miei nonni quando sono arrivati a Vitinia hanno

avuto un’ottima impressione perché il quartiere era piccolo e tranquillo e questo fece loro molto

piacere perché per essere venuti a Roma, una grande città a cui non erano abituati, Vitinia rappre-

sentava invece la tranquillità. Adesso il quartiere è molto cambiato. Sono state costruite tantissime

case, soprattutto villette, e si è molto sviluppata la parte alta dove io abito. Negli anni ’60 non c’era

molto verde inteso come alberi, c’erano tanti campi incolti dove poi sono state costruite le case.

Adesso ci sono invece molte case e molti alberi, molti giardini. C’è anche una caserma militare cir-

condata da un immenso parco che viene aperto al pubblico rarissimamente. Mio nonno faceva il

muratore ed è stato proprio lui a costruire le prime case di Vitinia. In seguito è andato a lavorare an-che fuori del quartiere. Non si concedeva molti divertimenti, lavorava e il fine settimana andava in

chiesa. Il suo unico svago era il pranzo domenicale insieme ad alcuni fratelli che vivono ancora a

Vitinia. Questa è la storia dei miei nonni e del loro arrivo a Vitinia.

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Impressioni, osservazioni e commenti finali dei Reporter

Ho imparato a conoscere meglio la storia dei miei nonni, ho provato nuove emozioni che il nonno

mi ha trasmesso.

L’episodio che mi ha più colpito? Quando mio nonno ha abbandonato il suo paese per venire a

Roma e ha dovuto lasciare la sua famiglia.

A me questa esperienza è piaciuta, mi sono sentito più indipendente e mi ha fatto sentire come un

vero giornalista.

Questo lavoro mi ha fatto conoscere cose che pensavo di sapere su mio nonno e che invece non sa-

pevo.

Questa occasione può esserci utile in futuro magari scrivere un film, un copione.

Ho intervistato una persona che non conoscevo ed era felice di raccontare la sua vita, era conten-

ta…

Mio nonno mi ha raccontato tutto senza che io avessi fatto delle domande e alla fine mi ha ringra-

ziato.

Con questo progetto abbiamo raccolto le storie di vita sul nostro quartiere.

Il signor Roberto Scanarotti è venuto qui, ci ha spiegato molte cose, siamo stati i primi a diventare

reporter del Nono Municipio.

Questo tipo di lavoro mi ha fatto capire che prima il modo di vivere era molto diverso. Vitinia e il

territorio circostante era poco costruito ed erano presenti molti campi e coltivazioni: pascolavano

le mucche e passavano le greggi. Le poche persone che vi abitavano andavano a lavorare a Roma

con il treno. La scoperta di queste diversità mi fatto provare un dispiacere per tutto quello che non

c’è più, anche a me piacerebbe andare in bicicletta senza pericoli, camminare in stradine silenzio-

se, giocare con i miei amici, muovermi di più, però le cose cambiano ma dal passato possiamo por-

re le basi per un futuro migliore. Daniele Michetti Aschi II D

Il lavoro mi è sembrato molto utile sia per capire come impostare un’intervista sia per il fatto che

ho avuto il modo di scoprire e di farmi un’idea di come era Vitinia prima. Io ho intervistato mio

nonno, come anche altri hanno fatto, e mi è piaciuto in particolare quando ho letto il testo, che

avevo elaborato con le informazioni prese dall’ intervista, e mio nonno mi ha ringraziato di avergli

donato un breve ricordo della sua infanzia e mentre glielo leggevo si è commosso ed io sono stata

molto felice del lavoro che avevo realizzato. Ringrazio il signor Scanarotti per aver promosso que-

sto progetto nella nostra scuola e spero che, in classe, avremo modo di svolgere lavori simili.

Giorgia Lupi II D

Questo tipo di progetto mi ha fatto capire come fosse la vita in passato degli intervistati che hanno

avuto il piacere di raccontarci la loro infanzia. Io ho intervistato mio nonno che mi ha fatto prova-

re durante i suoi ricordi le emozioni che ha provato durate la guerra il cambio totale della sua vita

e le nuove compagnie. Ringrazio i collaboratori del progetto che lo hanno approvato e ringrazio il

signor Scanarotti che ci ha invitati in questo mondo. Filippo Resseguier II D

Questo incontro per parlare della memoria mi è sembrato molto utile per tutti noi. Questo ci ha

permesso di sapere la storia di mia nonna e tutte le altre persone anziane. La cosa bella di questi

lavori è che ognuno ha una sua storia diversa, e proprio per questo gli incontri sono stati sempre

più emozionanti, ho potuto scoprire la storia di mia nonna che prima di questi incontri non sapevo.

Ringrazio la mia scuola di averci permesso di partecipare a questi incontri, e soprattutto il signor

Scanarotti. Valerio Carta II D.

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Istituto Comprensivo Tacito – Guareschi, Vitinia - Dirigente Scolastico: prof. Giuliana Atzeni

PROGETTO MEMORIA

Anno scolastico 2015/2016

I REPORTER DELLA MEMORIA

Adesione al progetto “Le case della memoria” promosso dal IX Municipio, coordinato dal Dott.

Roberto Scanarotti, giornalista e scrittore.

Docenti referenti: Elena Andreuzzi Baldini, Annarita Marini.

Docenti: Vincenza Accardi, Mafalda Arseni, Daniela Altamura, Antonella Patacca Stefano Taglia-

cozzo, Roberta Vannelli.

Il progetto ha l’obiettivo di promuovere la scrittura autobiografica e biografica e raccogliere storie

di vita di gente comune che vive nel territorio. Attraverso il recupero della memoria individuale e

collettiva i ragazzi potranno sviluppare un senso d’identità e di appartenenza, realizzare momenti di

incontro e condivisione. I ragazzi diventeranno veri e propri “cercatori e raccoglitori di storie” , riu-

sciranno a far vivere quella “memoria comunicativa” che viene trasmessa oralmente e che, secondo

gli studiosi, si perde dopo tre generazioni. Capiranno di far parte di uno stesso passato.

Finalità del progetto:

• favorire un contatto tra scuola e territorio;

• acquisire maggiore consapevolezza di sé attraverso l’ascolto degli stati d’animo e delle

emozioni altrui;

• favorire l’inclusione attraverso il confronto di stili di vita e lo scambio di esperienze;

• collaborare con il gruppo dei pari e con gli adulti per la realizzazione di un progetto;

• attuare capacità organizzative.

Riferimenti al Profilo dello studente:

Dimostra una padronanza della lingua italiana tale da consentirgli di comprendere e produrre testi di

una certa complessità esprimendo le proprie idee e adottando il registro linguistico più appropriato

alla situazione. Si orienta nello spazio e nel tempo dando espressione a curiosità e ricerca di senso;

osserva ed interpreta ambienti, fatti, fenomeni e produzioni artistiche. Ha buone competenze digita-

li, usa con consapevolezza le tecnologie della comunicazione per ricercare e analizzare dati ed in-

formazioni, per distinguere informazioni attendibili da quelle che necessitano di approfondimento,

di controllo e di verifica e per interagire con soggetti diversi nel mondo. Possiede un patrimonio di

conoscenze e nozioni di base ed è allo stesso tempo capace di ricercare e di procurarsi velocemente

nuove informazioni ed impegnarsi in nuovi apprendimenti anche in modo autonomo. Ha cura e ri-

spetto di sé, come presupposto di un sano e corretto stile di vita. Assimila il senso e la necessità del

rispetto della convivenza civile. Ha attenzione per le funzioni pubbliche alle quali partecipa nelle

diverse forme in cui questo può avvenire: momenti educativi informali e non formali, esposizione

pubblica del proprio lavoro, occasioni rituali nelle comunità che frequenta, azioni di solidarietà,

manifestazioni sportive non agonistiche, volontariato, ecc. Dimostra originalità e spirito di iniziati-

va. Si assume le proprie responsabilità e chiede aiuto quando si trova in difficoltà e sa fornire aiuto

a chi lo chiede.

Riferimenti alle Competenze-chiave definite dal Consiglio d’Europa (18 dicembre 2006

(2006/962/CE).

Comunicazione nella madrelingua Utilizzare il patrimonio lessicale ed espressivo della lingua ita-

liana secondo le esigenze comunicative nei vari contesti: sociali, culturali, scientifici, economici,

tecnologici.

Competenza digitale Utilizzare e produrre strumenti di comunicazione visiva e multimediale, anche

con riferimento alle strategie espressive e agli strumenti tecnici della comunicazione in rete.

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Utilizzare le reti e gli strumenti informatici nelle attività di studio, ricerca e approfondimento disci-

plinare.

Imparare a imparare. Partecipare attivamente alle attività portando il proprio contributo personale.

Reperire, organizzare, utilizzare informazioni da fonti diverse per assolvere un determinato compi-

to; organizzare il proprio apprendimento; acquisire abilità di studio.

Competenze sociali e civiche. Agire in modo autonomo e responsabile, conoscendo e osservando

regole e norme, con particolare riferimento alla Costituzione. Collaborare e partecipare compren-

dendo i diversi punti di vista delle persone Spirito di iniziativa e imprenditorialità. Risolvere i pro-

blemi che si incontrano nella vita e nel lavoro e proporre soluzioni; valutare rischi e opportunità;

scegliere tra opzioni diverse; prendere decisioni; agire con flessibilità; progettare e pianificare; co-

noscere l’ambiente in cui si opera anche in relazione alle proprie risorse

Classi coinvolte: tutte. In ogni classe gli insegnanti individueranno, in base a inclinazioni,interessi o

altri criteri, due alunni (un maschio ed una femmina) che parteciperanno agli incontri con l’esperto

esterno per poi relazionare ai compagni. I ragazzi tutti, in seguito, diventeranno “reporter della me-

moria” realizzando interviste a tema agli anziani del quartiere.

Discipline coinvolte: italiano, storia, cittadinanza e costituzione (asse dei linguaggi, asse storico-

sociale).

Obiettivi di apprendimento:

• conoscere le caratteristiche del testo biografico e autobiografico; formulare e svolgere

un’intervista. Scrivere in modo ortograficamente corretto con uso appropriato della punteggiatura e

del lessico.

• apprendere le potenzialità delle diverse strategie di comunicazione

• rielaborare materiale didattico per realizzare un prodotto e rispettare i termini

• comprendere, interpretare e collegare i documenti con fatti storici

Attività previste:

• Presentazione del progetto il 21 marzo. Incontri nei locali della scuola con il dott. Roberto

Scanarotti che presenterà ai ragazzi il proprio lavoro e illustrerà le strategie di comunicazione

• Condivisione del lavoro con i compagni di classe e decisione dei temi e tempi per la realiz-

zazione delle interviste

• Stesura delle interviste

• Individuazione dei soggetti, luoghi e tempi

• Realizzazione delle interviste agli anziani del quartiere, in orario scolastico e/o extrascolasti-

co

• Creazione di elaborati secondo diverse tipologie, punti di vista e registri linguistici

• Condivisione dei prodotti finali con gli alunni della scuola, con gli intervistati e con la Casa

della Memoria

Metodologia: laboratorio a classi aperte; apprendimento cooperativo; circle time; roleplaying.

Tempi: dal 21 marzo fino a fine anno, con l’idea di proseguire nei successivi anni scolastici.

Ore destinate all’attività: 4 incontri con il dott. R. Scanarotti; 6 ore per la realizzazione.

Valutazione: Rispondenza dei prodotti alle consegne; interesse e partecipazione.