IL FINANZIAMENTO DELL’INNOVAZIONE E IL RUOLO DEL...

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_____________________________________________________________ 1 IL FINANZIAMENTO DELL’INNOVAZIONE E IL RUOLO DEL VENTURE CAPITAL Simona Cavallini (Dipartimento di Scienze Economiche e Metodi Quantitativi dell’Università degli Studi del Piemonte Orientale) Maggio 2003

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IL FINANZIAMENTO DELL’INNOVAZIONE

E IL RUOLO DEL VENTURE CAPITAL

Simona Cavallini (Dipartimento di Scienze Economiche e Metodi Quantitativi

dell’Università degli Studi del Piemonte Orientale)

Maggio 2003

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Il finanziamento dell’innovazione e il ruolo del venture capital

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1 Introduzione

Il presente paper ha lo scopo di analizzare la rilevanza della struttura finanziaria

nell’incentivare lo sviluppo e la formazione di nuove imprese innovative.

Negli Stati Uniti la presenza di un’efficiente sistema di finanziamento dell’innovazione è stata

indicata come la condizione che ha permesso la protratta espansione dell’economia

americana durante gli anni ’90, frutto di un circolo virtuoso generato dalla vitalità dei mercati

azionari e dalla crescita dell’economia reale senza la presenza di inflazione. La matura

industria del venture capital e la struttura finanziaria market-based sono state le assolute

protagoniste del meccanismo di produzione dell’innovazione ed un ruolo di particolare rilievo

è sicuramente stato ricoperto dal Nasdaq.

Nel “Green Paper on Innovation” del 1995 la Commissione Europea attribuiva la limitata

capacità di innovare in Europa all’inefficacia dei sistemi di finanziamento. Al primo posto tra

le cause della disparità di crescita economica tra Stati Uniti e Europa la Commissione

Europea individuava le limitazioni finanziarie allo sviluppo dell’innovazione e in particolar

modo l’assenza di un mercato azionario per le imprese innovative: “The lack of an

electronics sector stock market specialising in growth or high-tech enterprise securities,

similar to Nasdaq in the Unites States” (European Commission, 1995, p. 31).

Di conseguenza i governi europei hanno favorito lo sviluppo di un’industria del venture

capital europea e l’istituzione dei “nuovi secondi mercati” per creare le condizioni necessarie

per il finanziamento di imprese innovative. Il presente lavoro si propone di verificare se esse

siano state anche condizioni sufficienti per la “creazione” di innovazione.

2 Venture capital e mercati azionari nel finanziamento delle imprese innovative

Nell’esperienza statunitense il venture capital si è dimostrato la modalità di finanziamento

ideale per le giovani imprese innovative operanti nei settori delle ICT: “Venture capitalist

provide funds primarly to high-technology firms: over 80% of companies that get venture

capital are in computer-related industries, medical-related industries, telecommunications or

health care services” (Fenn e Liang, 1998, p. 1078).

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Dal punto di vista della domanda di finanziamenti, le imprese di nuova costituzione

specializzate nei settori tecnologici non hanno bisogno solo di capitale, ma anche di

consulenza e di esperienza gestionale.

Dal punto di vista dell’offerta sono necessarie soluzioni e forme tecniche di finanziamento

appositamente mirate a causa della specificità di tali imprese caratterizzate da un elevato

grado di rischio e di opacità informativa, soprattutto nei primi stadi di sviluppo1. L’asimmetria

informativa, l’assenza di garanzie e gli elevati costi di monitoraggio imputabili ai costi di

valutazione dei rischi tecnologici, richiedono l’impiego di capacità e professionalità altamente

specializzate difficilmente conciliabili con un tradizionale contratto di debito bancario.

Come indica Gompers (1995) in “Optimal investment, monitoring and staging of venture

capital” il venture capital è la modalità di finanziamento ideale per le società tecnologiche nei

primi stadi di sviluppo: “Venture capitalist concentrate investments in early stage and high

technology companies where informational asymmetries are highest” (Gompers, 1995, p.

1461).

La stessa necessità di informed capital per le giovani imprese esclude a priori i mercati

istituzionali dei capitali come fonti diretta di finanziamento, a causa degli eccessivi costi di

accesso, e privilegia tra le diverse fonti di finanziamento, il venture capital.

Il venture capital negli Stati Uniti si è rivelato l’anello essenziale della catena del

finanziamento: accompagna l’impresa durante tutta la sua vita e congiunge il finanziamento

informale dal concepimento dell’idea innovativa al capitale di rischio raccolto sui mercati

azionari al momento della quotazione dell’impresa. Come individuato in Petrella (2001), la

soluzione ai problemi di finanziamento delle imprese innovative è un modello di

finanziamento a stadi che associ, con la successione delle fasi di sviluppo del progetto, un

progressivo ricambio delle fonti di finanziamento: in particolare business angel, venture

capital e mercati azionari sono le fonti che meglio assolvono alla funzione di finanziamento

delle imprese innovative in maniera sequenziale e non esclusiva.

L’efficienza dei mercati azionari al finanziamento delle imprese high-growth è possibile solo

grazie all’”intermediazione” del venture capital2. Anche nel modello costruito da Boccard

(2001) per analizzare i comportamenti di finanziamento di una start up del settore high-tech è

1 La stretta relazione di dipendenza che esiste tra rischiosità dell’iniziativa e caratteristiche dei fabbisogni finanziari legati allo sviluppo dell’impresa permette di suddividere in diverse fasi la vita dell’impresa; secondo una classificazione della Bank of England (Bank of England, 1996) ripresa in Petrella, 2001, gli stadi di sviluppo di un’impresa innovativa sono: seed (concepimento dell’idea innovativa), start-up (avvio del processo innovativo), early growth (espansione iniziale) e sustained growth (consolidamento). 2 Il venture capitalist, oltre a permettere all’impresa una crescita dimensionale tale da affrontare le richieste di ammissione, agisce anche da consulente nelle pratiche burocratiche di ammissione.

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esclusa a priori la possibilità di finanziamento attraverso la quotazione diretta su di un

mercato azionario, considerando il venture capital l’unica alternativa. “We assume that the

cost of issuing public debt is too large for these entrepreneurs. Thus, their only source of

financing is venture capital” (Boccard, 2001, p.5). Per Michelacci e Suarez (2001) gli elevati

costi di quotazione inducono l’imprenditore ad affidarsi all’informed capital per l’avvio del

progetto con un effetto di posticipazione della quotazione.

2.1 I vantaggi dell’exit tramite i mercati azionari

Il venture capitalist, una volta esaurita la sua funzione di fornitore di informed capital, è un

socio temporaneo dell’imprenditore interessato a monetizzare il proprio investimento ed a

realizzare un guadagno di capitale attraverso la cessione della partecipazione (AIFI, 2000).

Tra le principali opportunità di disinvestimento (canali di smobilizzo o exit channels)3 la

quotazione su mercati regolamentati con un Initial Public Offering (Ipo) è la modalità di

disinvestimento più favorevole sia per il venture capitalist che per l’imprenditore (Lerner

1994, Gompers, 1995 in Hellmann e Puri, 1998, Black e Gilson, 1998, Schwienbacher, 2001,

Michelacci e Suarez, 2001, Ueda, 2000).

La preferenza per la modalità di exit via mercato dei soggetti interessati ha, oltre all’impatto

diretto sul sistema finanziario, anche effetti sul sistema economico in generale: in condizioni

di mercato rialziste, la scelta dell’exit via Ipo contribuisce a favorire e ad accrescere

l’innovazione.

Michelacci e Suarez (2001) in “Business creation and the stock market” individuano una

stretta relazione positiva tra la velocità dell’exit del venture capitalist sul mercato azionario e

il guadagno in innovazione e crescita dell’intero sistema economico. Dato che i costi di

ammissioni al mercato azionario sono troppo elevati, l’imprenditore di una start up è costretto

a rimandare la quotazione e a ricercare altrove capitali per finanziare la crescita dell’impresa.

L’informed capital del venture capitalist è la fonte di finanziamento a cui si rivolge

l’imprenditore, che gli permetterà anche di accedere alla quotazione. Michelacci e Suarez

(2001) attribuiscono la riduzione della durata media del finanziamento nel caso di exit via

mercato alla scarsità dell’informed capital. “…each venture capitalist can only select, monitor

and support a certain number of portfolio firms because his time is limited and because the

3 I principali sono la quotazione sui mercati azionari, il riacquisto della partecipazione da parte del gruppo imprenditoriale originario, la vendita dei titoli ad un’altra impresa industriale od ad un altro investitore istituzionale (trade sale), la liquidazione o (write off).

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supply of experienced venture capitalist is constant in the short term” (Gompers, 1998 in

Schertler, 2001 p. 4). L’esperienza necessaria per gestire una start up necessita di

specifiche competenze difficili da cumulare e impone ai venture capitalist delle limitazioni sul

numero di imprese da finanziare. The Economist del 25 gennaio 1997 riporta che “The main

problem is not the lack of investment opportunities, but a shortage of people expert enough

to spot them. Because the venture capitalist spend so much time with the companies they

invest in, they tend to finance just a few firm a year each”. In Michelacci e Suarez (2001) la

crescita della domanda di informed capital spinge il venture capitalist a liberare capitali più

velocemente con un effetto moltiplicatore sul tasso di creazione del business4. Il merito della

via di exit tramite la quotazione è quello di permettere il riciclo del denaro verso nuovi

progetti innovativi, con effetto di stimolo sulla crescita economica. “We claim that stock

market encourages business creation, innovation and growth by allowing the recycling of

informed capital” (Michelacci e Suarez, 2001).

2.2 La ciclicità dei collocamenti sui mercati azionari

Soprattutto in mercati azionari poco maturi, come i nuovi mercati europei, la quotazione delle

società appare in buona misura legato alla congiuntura economica in cui si trova il sistema

economico e al mercato stesso. Mentre la possibilità di quotazione di una società innovativa

su di un preciso mercato dipende dalle caratteristiche di liquidità e dalle prospettive di

crescita e di visibilità del mercato, la tempistica di un’Ipo dipende dal rendimento atteso dal

collocamento in una specifica fase del mercato. Per Manigart e De Maeseneire (2000) tra le

principali variabili che incidono sul rendimento iniziale di una Ipo ci sono il market sentiment

per lo stesso mercato al momento dell’Ipo e il market sentiment per la specifica Ipo. Petrella

in “Sistemi finanziari e finanziamento delle imprese innovative: profili teorici ed evidenze

empiriche dall’Europa” (2001) individua che la ciclicità è una caratteristica peculiare dei

mercati dedicati alle imprese innovative in Europa. Come mostra il grafico 2.1, da inizio 1998

a fine 2000, la raccolta dei capitali via Ipo sui mercati europei dedicati alle imprese innovative

è fortemente condizionata all’indice di mercato. L’analisi del trend dei capitali raccolti dai

collocamenti sui principali nuovi mercati europei (Nuovo Mercato, Neuer Markt, Nouveau

4 Il meccanismo di riciclo dell’informed capital attuato dai mercati azionari presuppone una fase di mercato rialzista. Infatti la crescita di domanda di informed capital da parte delle imprese, come mezzo per raggiungere la quotazione, è influenzata dalla possibilità di profitto e quindi dall’andamento positivo del mercato azionario. In caso di mercato azionario ribassista si riduce la prospettiva di profitto dell’imprenditore offerta con la quotazione e di conseguenza la domanda di informed capital diminuisce.

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Marché, Alternative Investment Market e Techmark), in relazione all’andamento dell’EuroNm

Index5, attribuisce un ruolo di leading factor all’andamento di mercato: la correlazione tra la

raccolta di fondi tramite le Ipo del mese t ed il valore dell’indice dello stesso mese è pari al

75% e addirittura cresce quella con l’indice del mese precedente6 (81%).

Grafico 2.1 – Andamento dell’EuroNm Index e dei collocamenti sui nuovi mercati europei (Fonte: grafico in Petrella, 2001)

Andamento dell’EuroNm Index e collocamenti sui nuovi mercati

Fonte: grafico in Petrella (2001)

Come dimostra l’andamento dei mercati nel corso del 2000, il market sentiment è un fattore

rilevante per la scelta del timing della quotazione. Nel primo semestre dell’anno si può

parlare di un hot issue market accompagnato da un elevato numero di Ipo, mentre nella

seconda parte dell’anno 2000 il crollo dei corsi azionari, dovuto allo scoppio della cosiddetta

5 In Petrella (2001) è inoltre dimostrato che la scelta dell’EuroNm come indice di confronto non influenza le conclusioni, dato che nello stesso periodo di osservazione esisteva una forte correlazione tra l’EuroNm e gli altri indici europei: 90% con l’AIM Index, 96% con l’EASDAQ All Shares Index, e 96% anche con il Techmark All Shares Index). 6 Come in Black e Gilson (1998), il lag temporale tra il valore dell’indice e il numero di Ipo sottolinea oltre all’attenzione e all’analisi dell’andamento del mercato da parte del venture capitalist prima del passo della quotazione, anche i tempi tecnici necessari per l’ammissione alla quotazione.

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“bolla speculativa”, ha avuto due tipi di effetti: una reazione immediata di riduzione del

numero di quotazioni ed una reazione di “medio termine” con un ridimensionamento della

massa di imprese intenzionate a ricorrere alla quotazione sul mercato per la raccolta dei

capitali.

Una semplice analisi descrittiva7 individua anche sul Nuovo Mercato la presenza di ciclicità

dei collocamenti (grafico 2.2). Analizzando la correlazione tra indice di riferimento e Ipo si

nota che esiste un rapporto tra il numero di Ipo e il valore dell’indice di 4 mesi precedenti ( R2

= 0,51358) in grado di confermare l’attesa relazione di causa-effetto (il valore dell’indice

influenza il numero di Ipo e non viceversa).

Grafico 2.2 – Andamento del numero dei collocamenti sul Nuovo Mercato e del Numtel (Fonte: mia elaborazione su dati di Borsa Italiana)

Andamento del numero di Ipo e dell'indice del Nuovo Mercato

0

1

2

3

4

5

6

7

8

9

10

dice

mbr

e 19

99

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raio

200

0

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e 20

00

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000

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0

2.000

4.000

6.000

8.000

10.000

12.000

14.000

16.000

valo

re d

ell'in

dice

Num

tel

Numero di Ipo

Indice Numtel (base 1.000 al 17/06/1999)

Fonte: mia elaborazione su dati di Borsa Italiana

7 Il periodo preso in considerazione va da dicembre 1999 a marzo 2002 e le variabili utilizzate nella correlazione sono il Numtel su prezzi last con base 1.000 al 17/06/1999 come indice di riferimento per il Nuovo Mercato e il numero di Ipo mensili per i collocamenti. 8 A causa della ridotta dimensione del campione le stime potrebbero essere distorte.

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Come indicato da Gompers (1994) esiste una stretta relazione tra l’attività delle Ipo e l’entità

dei fondi raccolti e indirizzati a nuovi progetti da parte dei venture capitalist: “When the Ipo

market is hot, new funds flow into the venture capital industry” (Gompers, 1994 citato in

Berlin, 1998, p.22).

2.3 La ciclicità del venture capital

La riduzione della durata degli investimenti e l’effetto di riciclo dell’informed capital operata

dai mercati azionari, specialmente su quelli dedicati alle imprese innovative, è possibile solo

in favorevoli condizioni di mercato. La ciclicità dei collocamenti, più o meno ritardata, sui

mercati azionari influenza anche l’industria del venture capital. E’ infatti logico pensare che

un mercato liquido in una fase di hot issue market, oltre a favorire e a stimolare la quotazione

delle società venture backed, condizioni anche positivamente lo sviluppo successivo

dell’industria del venture capital: “… there is a clear relationship between newly committed

funds and Ipo activity: when the Ipo market is hot, new funds flow into the venture capital

industry” (Gompers, 1994 citato in Berlin, 1998, p.22).

Negli Stati Uniti la relazione positiva tra mercati azionari e crescita del venture capital è stata

dimostrata da Black e Gilson in “Venture capital and the structure of capital markets: banks

versus stock markets” (1998). Per Black e Gilson (1998) la maggior efficienza dei sistemi

market centered rispetto a quelli bank centered dipende dal nesso tra venture capital e

mercati azionari. L’analisi della variazione annuale del numero di Ipo venture backed e

l’ammontare di nuovi fondi raccolti dai venture capitalist tra il 1978 ed il 1996 sui mercati

americani dimostra la presenza di una correlazione positiva, che si può individuare anche

solo dall’osservazione del grafico 2.3. La possibilità del venture capital di exit via Ipo

(approssimata dal numero di Ipo venture backed) è strettamente legata con la raccolta di

nuovi fondi dei venture capitalist dell’anno successivo9.

9 La correlazione tra il numero di Ipo venture backed dell’anno X e l’ammontare di nuovi fondi raccolti nell’anno X+1 è confermata da un R2 = 0,56.

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Grafico 2.3 – Correlazione tra Ipo venture-backed e ammontare di nuovi capitali raccolti in Usa (Fonte: grafico in Black e Gilson, 1998)

3 Il finanziamento dell’innovazione in Europa

Dalla metà degli anni ’90, l’Europa, dopo aver assistito ai progressi tecnologici e alla crescita

di innovazione degli Stati Uniti, ha tentato di riprodurre le condizioni finanziarie ed

economiche che hanno permesso tale successo. I governi europei hanno dovuto affrontare

“a chicken and egg problem: a venture capital market requires a stock market, but a stock

market requires a supply of entrepreneurs and deals, which in turn, require a venture capital

market.” (Black e Gilson, 1998). Di conseguenza si è tentato di creare un ambiente

favorevole per lo sviluppo dell’innovazione con:

− stimoli alla nascita e allo sviluppo dell’industria del venture capital attraverso aiuti

pubblici, convenienza fiscale, ecc.

− istituendo nuovi mercati per le giovani imprese innovative10, con ridotti requisiti di

ammissione e listing ed una struttura tale da favorire la quotazione di imprese di ridotte

dimensioni.

10 Nel 1995, l’iniziativa del London Stock Exchange dell’Alternative Investment Market (Aim) ha costituito il precedente per la nascita e lo sviluppo dei nuovi mercati europei. Da allora si sono moltiplicate in tutta Europa le opportunità di accesso al mercato dei capitali per le imprese innovative, ma senza che nessuna iniziativa potesse

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3.1 Le relazioni tra Nuovi Mercati europei e venture capital

Secondo l’opinione della Commissione Europea (European Commission, 1995) la limitata

capacità di innovare in Europa è strettamente correlata alla mancanza di efficacia dei sistemi

di finanziamento. L’assenza di nuovi mercati è stata uno dei principali ostacoli allo sviluppo

del venture capital e, più in generale, al finanziamento delle imprese innovative.

L’istituzione del circuito EuroNm e dell’Easdaq a metà degli anni ‘90 ha consentito l’apertura

di un canale preferenziale di accesso ai mercati azionari per le imprese innovative. Nello

stesso periodo l’industria europea del private equity è cresciuta molto velocemente. Vista la

relazione simbiotica tra venture capital e mercati azionari dimostrata dall’esperienza

statunitense, i governi europei hanno costituito mercati azionari per le imprese innovative

nella speranza di poter in tal modo stimolare in qualche misura la crescita del private equity

in Europa. “But the pan-european EuroNm and Easdaq exchanges, as well the United

Kingdom’s AIM (a secondary market owned by the London Stock Exchange), are slowly

starting to take off – providing venture capitalist with a real exit strategy for their portfolio

companied in the form of liquid, functional market” (RedHerring Magazine, 1999).

Lo scopo di questo lavoro è quello di analizzare come la nascita e la presenza dei nuovi

mercati abbiano influenzato l’industria del private equity europeo. Una prima domanda a cui

si tenterà di rispondere sarà quella riguardante il legame diretto tra l’esplosione dei capitali

indirizzati e impiegati nel private equity in Europa e l’istituzione dei mercati secondari dedicati

alle imprese innovative. Innanzitutto si analizzerà se l’improvvisa crescita dei volumi del

private equity nella seconda metà degli anni ’90 abbia accelerato il processo di diffusione dei

Nuovi Mercati europei (iniziata con l’istituzione del circuito EuroNM nell’aprile 199711).

Successivamente si cercherà di individuare quanto abbia contribuito la presenza dei mercati

per le imprese innovative al successivo sviluppo del private equity12.

aspirare ad assumere un ruolo di rilevanza paragonabile a quella del Nasdaq negli Stati Uniti. Il risultato, dopo 8 anni dall’istituzione dell’Aim, è un‘Europa costellata di nuovi mercati che rispondono alle specifiche esigenze di finanziamento delle piccole imprese high-growth nazionali in relazione alla struttura finanziaria del paese. 11 E’ opportuno ricordare che il Nuoveu Marché ha iniziato ad operare prima dell’Istituzione del circuito EuroNm nel marzo 1996. 12 Nel corso della seguente trattazione l’attenzione è stata principalmente rivolta ai primi Nuovi Mercati tralasciando l’analisi della possibile influenza dell’Easdaq e dell’Aim sul private equity in Europa. L’Easdaq è stato escluso a causa della ridotta dimensione del mercato, per il successo marginale (alcuni venture capitalist intervistati da RedHerring sostenevano di essere esitanti nel quotare una società sull’Easdaq senza che prima fosse quotata sul Nasdaq, RedHerring Magazine, 1999) e per la spiccata vocazione internazionale (il 31% delle imprese quotate sull’Easdaq è extraeuropeo); l’Aim non è stato preso in considerazione a priori, viste le numerose opportunità di quotazione per le giovani imprese innovative nell’Europa continentale dopo la nascita dei nuovi mercati.

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3.1.1 E’ stata l’istituzione dei Nuovi Mercati europei a far esplodere i volumi del private equity in Europa?

I dati forniti dall’EVCA indicano una decisa crescita dei livelli sul private equity europeo sia

dei fondi raccolti che degli investimenti nel decennio dal 1990 al 2000. I fondi raccolti sono

cresciuti di quasi 10 volte con un tasso medio annuo del 38%, mentre gli investimenti sono

cresciuti di oltre 7 volte con un tasso medio annuo del 18%. Dalla rappresentazione nel

grafico 3.1, si possono individuare 3 distinti periodi in base ai livelli del private equity: la fase

dal 1990 al 1996 con i volumi di private equity invariati, la fase di crescita dal 1996 che si

conclude con il picco del 2000 e la fase dal 2000 al 2002 con un pesante ridimensionamento

dei capitali del private equity.

Nella parte successiva verrà tralasciata ogni considerazione sul terzo periodo, in quanto

irrilevante ai fini della dimostrazione di una relazione di causa effetto tra nascita dei nuovi

mercati e la crescita dei volumi di private equity in Europa13.

Grafico 3.1 - I fondi raccolti e gli investimenti del private equity in Europa (Fonte: mia elaborazione di dati Evca)

Private equity in Europa

0

10

20

30

40

50

1990 1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002

mili

ardi

di e

uro

Fondi raccolti

Investimenti

Istituzione del circuito EuroNm

(aprile 1997)

Fonte: elaborazione personale di dati Evca

Istituzione dell'Easdaq

(Novembre 1996)

A dimostrare che il 1996 sia stato l’anno di inizio del trend di crescita del private equity

europeo è l’analisi dei tassi di crescita medi annui dei sottoperiodi 1990-1995 e 1996-2000,

indicati nella tabella 3.1. Dal 1990 al 1995 il tasso medio annuo di crescita degli investimenti

13 Sembra che la riduzione del private equity dal 2000 in avanti sia direttamente ed esclusivamente correlato con l’andamento ribassista dei mercati azionari.

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è stato del 5%, mentre quello dei nuovi fondi raccolti è stato del 7% medio annuo. Dal 1996

al 2000 i fondi raccolti dal private equity sono cresciuti di 5 volte con un tasso di crescita

annuo del 70% e gli investimenti di private equity sono cresciuti di 4 volte con un tasso

medio annuo del 30%.

Tabella 3.1 - I tassi di crescita dei fondi raccolti e gli investimenti del private equity in Europa (Fonte: mia elaborazione su dati EVCA)

Dal 1990 al 2000 Dal 1990 al 1995 Dal 1996 al 2000Fondi raccolti 38% 7% 70%Investimenti 18% 5% 30%

Fonte: mia elaborazione su dati EVCA

Tassi di crescita medi annui del private equity in Europa

Da un’osservazione anche sommaria del grafico 3.1 si possono fare alcune considerazioni

sulla rilevanza dei nuovi mercati nel ruolo di stimolo della crescita del private equity europeo.

Dall’istituzione dell’Easdaq e dalla nascita dei mercati dell’EuroNm il private equity in Europa

è notevolmente cresciuto, ma il trend positivo è iniziato prima dell’istituzione dei mercati per

le imprese innovative.

Partendo dal presupposto logico che l’istituzione di un mercato azionario incida

maggiormente nel paese di origine e in modo marginale sui paesi limitrofi e quindi sull’intero

private equity europeo14, è più probabile individuare delle relazioni tra l’istituzione di un

nuovo mercato e l’andamento dell’industria del private equity a livello nazionale. Mettendo in

relazione il trend degli investimenti dei 5 stati in cui sono creati i primi nuovi mercati e la data

di istituzione del rispettivo mercato, viene confermato il mancato ruolo della istituzione dei

mercati europei15 per le imprese innovative come fattore scatenante dell’esplosione dei

volumi di private equity in Europa (vedi grafici A.1-A.5 in Appendice).

Quello che si può notare è che, nonostante i diversi livelli in termini assoluti di investimenti, in

ogni stato il trend di crescita del private equity inizia prima dell’istituzione del nuovo mercato.

Per Francia, Germania, Belgio il trend di crescita del private equity inizia nel 1996, mentre

per l’Italia ci sono già evidenze dal 1995 ed in Olanda si nota una lenta, seppur continua

14 I mercati secondari azionari hanno generalmente maggiore attrattiva sulle imprese nazionali, a causa degli ostacoli di natura finanziaria, legislativa e fiscale che le imprese straniere devono affrontare per la scelta di un’exit via mercato. Di conseguenza si può immaginare che la costituzione di uno di essi possa eventualmente stimolare solo il mercato nazionale del private equity e non l’intero mercato europeo (Schertler, 2001). 15 L’analisi dell’influenza Easdaq sul private equity in Belgio non avrebbe alcun senso vista che solo il 20% delle società quotate su di esso è di nazionalità belga.

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Il finanziamento dell’innovazione e il ruolo del venture capital

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13

crescita, dal 1993. Solo nel caso della Francia esiste contemporaneità tra il momento di

l’istituzione del Nuoveau Marché e quello di inizio della crescita del private equity nel 199616.

Negli altri stati l’inizio della crescita del private equity anticipa la costituzione del Neuer

Markt, del Nieuwe Markt, dell’EuroNm belga avvenuta ad aprile 1997. Il Nuovo Mercato di

Milano è stato costituito a maggio 1999, quasi 3 anni dopo le prime evidenze di crescita

dell’industria di private equity in Italia.

L’assenza di un nesso di causalità tra istituzione dei nuovi mercati europei e crescita del

private equity europeo è dimostrata anche dall’analisi del mercato europeo del private equity

senza i dati delle 5 nazioni dei nuovi mercati. La quota di private equity di Francia, Germania,

Olanda, Belgio e Italia ha rappresentato dal 1990 al 2001 dal 40% al 60% di tutto il mercato

europeo, lasciando la quota più rilevante della parte restante al Regno Unito. Come indicato

dal grafico 3.2, come per i paesi dei nuovi mercati, il capitale investito in private equity nel

Regno Unito ha iniziato a crescere lentamente dal 1996, mentre il resto degli investimenti

europei ha iniziato ad avere una certa rilevanza sia assoluta che relativa a partire dal 199817.

L’aumento dei volumi di private equity nei paesi europei in cui non stati costituiti i nuovi

mercati dimostrano che tale crescita è stata diffusa in tutta Europa e non attribuibile

all’istituzione del Nouveau Marché, del Neuer Markt, del Nieuwe Markt, dell’EuroNm belga e

del Nuovo Mercato.

16 L’andamento dei volumi di private equity degli altri 4 paesi nello stesso periodo spinge a ritenere che sia una coincidenza l’inizio della crescita del private equity francese proprio nel 1996, anno di istituzione del Nuoveau Marché. 17 Nel 1994 la quota degli investimenti di private equity europei esclusi i valori di Francia Germania, Olanda, Belgio, Italia e Regno Unito era dell’8%. Nel 1998 era salita al 10% per arrivare al 18% del 1999 e del 2000.

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14

Grafico 3.2 - Gli investimenti del private equity in Europa senza quelli di Francia, Germania, Olanda, Belgio e Italia (Fonte: mia elaborazione su dati Evca)

Investimenti di private equity in Europa

0

5

10

15

20

25

1990 1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001

mili

ardi

di e

uro

Regno Unito

Resto dell'Europa*

Istituzione del circuito EuroNm

(aprile 1997)

Fonte: mia elaborazione su dati Evca

Istituzione dell'Easdaq

(novembre 1996)

* Nella voce Resto dell'Europa sono esclusi gli investimenti di private equity di Francia, Germania, Olanda, Belgio, Italia e naturalmente quelli del Regno Unito indicati separatamente

In conclusione, è difficile scorgere qualche evidenza relativa all’influenza sullo sviluppo

dell’industria di private equity in Europa connessa alla nascita dei nuovi mercati. I dati sugli

investimenti a livello europeo mostrano che l’aumento strutturale dei volumi di private equity

successivo al 1996 non può essere attribuito all’istituzione dei nuovi mercati. Anche l’analisi

dei dati nazionali di Francia, Germania, Olanda, Belgio e Italia non evidenzia un nesso

causale tra l’istituzione dei nuovi mercati e il sostanziale incremento del private equity dello

stesso stato. Quello che ci si attenderebbe, in base ai suggerimenti della teoria sul contributo

di un mercato come via di exit, dovrebbe essere una crescita, magari con un certo lag

temporale, degli investimenti. In Europa, invece, la crescita del private equity, sia a livello

complessivo che a livello nazionale è precedente all’istituzione dei nuovi mercati.

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Il finanziamento dell’innovazione e il ruolo del venture capital

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15

3.1.2 Il private equity europeo è stato favorito dalla presenza dei nuovi mercati?

L’evidenza empirica, da cui si ricava un mancato ruolo dei nuovi mercati come fattore di

stimolo del private equity in Europa, però non può negare che essi abbiano successivamente

contribuito alla crescita del private equity offrendo una valida via di exit per le giovani

imprese innovative. La tempistica dei fatti dimostra che il Nouveau Marché, il Neuer Markt, il

Nieuwe Markt, l’EuroNm di Bruxelles e il Nuovo Mercato abbiano avuto lo scopo di offrire

una via di exit per un’industria del venture capital già in forte espansione (in Appendice i

grafici A.6-A.11 riportano il numero di Ipo per i primi 5 Nuovi Mercati e per il Nasdaq Europe).

Infatti l’ipotesi più probabile è che l’istituzione di un mercato secondario possa avere un

effetto positivo sulla crescita dei volumi investiti nel private equity solo nel medio periodo. Il

contributo della presenza dei nuovi mercati allo sviluppo del private equity si può desumere

considerando i disinvestimenti, e in particolar modo, quelli via mercato azionario18. Dal

grafico 3.3 si nota che, i volumi dei disinvestimenti, come quelli degli investimenti, mostrano

un notevole incremento in termini assoluti dopo il 1996.

Grafico 3.3 - I disinvestimenti del private equity in Europa (Fonte: mia elaborazione di dati Evca)

Private equity in Europa

0

3

6

9

12

15

1990 1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002

mili

ardi

di e

uro

Disinvestimenti

Istituzione del circuito EuroNm

(aprile 1997)

Fonte: elaborazione di dati Evca

Istituzione dell'Easdaq

(Novembre 1996)

18 Non sono disponibili i dati dell’exit via mercato delle società venture-backed divisi per mercati primari e nuovi mercati. Per la seguente analisi saranno utilizzati i dati generali forniti dall’Evca sui disinvestimenti via mercato come approssimazione dell’importanza dei nuovi mercati nello stimolare la crescita dell’industria del private equity europeo (come già in Shertler, 2001).

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16

L’analisi dei dati forniti dall’EVCA sui volumi disinvestiti sul mercato azionario19 nel periodo

dal 1991 al 1999 in Schertler (2001) non mostra un incremento significativo, ne in termini

relativi, ne in termini assoluti. Il volume dei disinvestimenti via Ipo è cresciuto solo

lievemente, addirittura riducendo l’importanza relativa della quotazione come via di exit per il

venture capital. Come raffigurato nel grafico 3.4, la modalità di exit dominante per tutto il

periodo è praticamente sempre stata il trade sale (solo nel 1994 le percentuali del trade sale

e dell’exit via Ipo sono state entrambe prossime al 30%). I dati storici sui volumi dell’exit via

Ipo non hanno un andamento definito nel tempo: agli inizi dello scorso decennio la

percentuale era inferiore al 10%, nel 1995 era quasi del 30%, nel 2000 circa del 14% e nel

2001 è scesa sotto al 5%. Dal 1991 al 2001 sono stati due i periodi in cui la percentuale di

exit via mercato del private equity è cresciuta: dal 1991 al 1995 e dal 1997 al 1999. Mentre la

sostanziale crescita della percentuale dell’exit via mercato della prima metà del decennio

(dall’8,8% al 29,3%) non è ovviamente attribuibile ai nuovi mercati, essi potrebbero essere

tra le ragioni dell’incremento del ridotto incremento percentuale tra il 1997 (14%) ed il 1999

(19,9%). Per poter confermare un contributo dei nuovi mercati alla crescita del private equity,

ci si aspetterebbe un aumento dei volumi disinvestiti via mercato negli anni successivi

all’’istituzione dei nuovi mercati, a meno che tale crescita non sia esclusivamente legata,

come nella prima parte del decennio ai mercati primari o alla riduzione della percentuale dei

write-off.

19 I dati dei volumi disinvestiti sul mercato azionario forniti dalla EVCA comprendono i dati delle Ipo e di quelli delle successiva offerte sul mercato azionario.

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17

Grafico 3.3 – Le percentuali dell’exit del private equity sugli ammontari dei disinvestimenti in Europa (Fonte: mia elaborazione di dati in Shertler, 2001 e di dati Evca)

Principali sistemi di disinvestimento in Europa (in percentuale dei volumi disinvestiti)

0%

10%

20%

30%

40%

50%

60%

70%

1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001

mili

ardi

di e

uro

Trade sale

Ipo

Write-off

Fonte: mia elaborazione su dati in Schertler (2001) e di dati Evca

Schertler (2001), utilizzando come misura dello sviluppo della via di exit via Ipo il numero di

società venture-backed che disinvestono via mercati20, ottiene percentuali simili tra inizio e

fine degli anni ’90. La conclusione a cui giunge è che il contributo dei nuovi mercati alla

crescita del private equity europeo sia stato del tutto marginale a causa della loro giovane

età e in parte alle differenze nazionali. “However, the number of Ipos as a share in the total

number of disinvestiments does not differ considerably between the beginning and the end of

the 1990s, which is to be expected, since secondary stock markets were established in the

second half of the 1990s.” (Schertler, 2001, p. 39). Il confronto delle percentuali di inizio e

fine decennio è piuttosto superficiale per poter affermare l’irrilevanza dei nuovi mercati sulla

crescita del private equity, poiché non prende in considerazione la variabilità della

percentuale di exit via mercato nel periodo considerato. Analizzando solo la seconda metà

degli anni ’90 si nota che dal 7,6% delle società che disinvestivano via ipo nel 1997 la quota

è salita al 16,6% del 1998 e si è mantenuta prossima al 15% per gli anni successivi, fino alla

caduta dal 2001 in poi. Non può essere escluso che l’inversione del trend delle percentuali 20 La percentuale del numero di imprese è una migliore misura dell’importanza dell’exit via Ipo dato che le percentuali sul volume dei disinvestimenti potrebbero essere poco significative a causa dell’influenza della dimensione di ogni singola Ipo.

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18

del numero, e, come già osservato sopra, dei volumi dei disinvestimenti via Ipo dal 1997 al

1999 potrebbe essere merito della presenza dei giovani nuovi mercati.

Grafico 3.5 – La percentuale di exit via mercato del private equity sul numero di società in Europa (Fonte: mia elaborazione di dati Evca)

Exit via mercato in Europa (in percentuale del numero di società)

0%

5%

10%

15%

20%

25%

1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001

Fonte: elaborazione di dati EVCA

La crescita tra 1997 e 1998 della percentuale di imprese che ricorrevano all’exit via Ipo

potrebbe essere correlata all’istituzione del circuito dell’EuroNm ed in particolar modo al

ruolo di rilievo del Nouveau Marché e del Neuer Markt21. Dai risultati ottenuti da Schertler

(2001) analizzando le singole realtà nazionali relative ai principali nuovi mercati europei è

possibile concludere che, pur essendo aumentata la percentuale di imprese che utilizzano il

canale di exit dei mercati nella seconda metà degli anni ’90, l’incremento non sia correlato

con la nascita di un segmento nazionale per le imprese innovative. Secondo i dati riportati in

Schertler (2001), in Francia la percentuale di imprese che hanno utilizzato come canale per il

disinvestimento via mercato è passato dall’8% del 1993 al 13,4% del 1994, mentre il

Nouveau Marché è stato costituito nel 1996. La tendenza di una crescita dei disinvestimenti

21 Il Nieuwe Markt e l’EuroNm non hanno mai superarto il numero di 10 Ipo in un anno, mentre il Nuovo Mercato non può aver influito in alcun modo sul numero di exit via mercato dal 1997 al 1998, dato che è stato istituito a maggio del 1999.

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19

via mercato azionario antecedente alla nascita del nuovo mercato è confermato anche in

Germania. Nel 1996, il 6,7% delle imprese venture backed ha utilizzato l’exit via mercato,

mentre nell’anno in cui Neuer Markt è stato fondato solo il 5,9% delle imprese ha scelto la

quotazione22. A dar forza alla teoria di Schertler (2001) è il caso italiano. In Italia, in base ai

dai Aifi, la crescita percentuale dell’importanza del collocamento sul mercato come via di exit

della partecipazione degli investitori di private equity, avvenuta tra il 1997 e il 1998 (da poco

più del 3% al un valore superiore al 12%) non può essere certamente attribuita al Nuovo

Mercato. Come mostra la tabella 5.3, dopo il 1998, il trend della percentuale dei

disinvestimenti delle società via mercato è stato leggermente decrescente: l’importanza

relativa dell’exit del private equity via mercato è pressappoco rimasta costante sia nel 1999,

l’anno di istituzione del Nuovo Mercato, sia nel 2000, l’anno del boom delle Ipo sul Nuovo

Mercato23, ma si è decisamente ridotta nel 2001, con il ridimensionamento degli indici

azionari.

Tabella 5.1 – La percentuale dei disinvestimenti in base al numero di società in Italia (Fonte: mia elaborazione di dati Aifi)

1997 1998 1999 2000 2001Trade sale 58,7% 63,6% 45,9% 58,1% 46,3%IPO o vendita post-IPO 3,2% 12,4% 11,8% 11,3% 7,4%Write-off 16,7% 8,5% 3,5% 4,8% 21,5%Altro 21,4% 15,5% 38,8% 25,8% 20,8%

Fonte: mia elaborazione di dati Aifi

Percentuale dei disinvestimenti in base al numero di società in Italia

L’analisi delle realtà nazionali dei 3 principali nuovi mercati conferma le conclusioni di

Schertler (2001): non è possibile affermare che i nuovi mercati abbiano contribuito in modo

rilevante alla crescita del private equity europeo essenzialmente per due ragioni legate agli

stessi mercati: la nazionalità e l’immaturità.

Sarebbe già azzardato affermare che i componenti dell’EuroNm abbiano contributo alla

crescita del private equity nazionale, tanto meno ci sono evidenze che attribuiscano ad essi

un ruolo nello sviluppo del private equity europeo. Dopo la chiusura del circuito EuroNm e il

22 Schertler (2001) avverte però che i dati relativi alla Germania potrebbero portare a conclusioni non attendibili a causa della ridotta dimensione del campione di investitori di private equity forniti dalla BVK. 23 Solo sul Nuovo Mercato le Ipo nel 2000 sono state 34, oltre il 75% di tutte le quotazioni avvenute dalla nascita del Nuovo Mercato nel maggio 1999 a marzo 2002: 6 sono state le Ipo nel 1999, 5 nel 2001, mentre nel 2002 (fino a fine maggio) nessuna società si è quotata sul Nuovo Mercato.

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Il finanziamento dell’innovazione e il ruolo del venture capital

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20

fallimento del progetto di un mercato europeo per le imprese innovative si accentuato il

carattere di nazionalità degli aderenti. E’ quindi sempre più difficile attribuire ai nuovi mercati

un ruolo nello sviluppo dell’industria del private equity europeo: dal 1998 i tassi di crescita

degli investimenti di private equity nei paesi senza un mercato di exit per le imprese

innovative sono stati pari se non superiori di quelli in cui erano stati costituiti i nuovi mercati:

infatti, come è stato dimostrato precedentemente, i mercati aderenti al circuito EuroNm sono

sorti solo dopo la costituzione di un industria nazionale del private equity24.

Come già sottolineato anche da Schertler (2001), la giovane età dei mercati europei è

probabilmente la causa principale dell’assenza di nesso tra sviluppo tra mercati azionari e

finanziatori del capitale di rischio. L’istituzione dei nuovi mercati in Europa, in un momento di

decisa crescita dell’industria del private equity, non ha innescato il meccanismo automatico

di produzione e sviluppo dell’innovazione. Le cause della crescita del private equity in

Europa possono essere paradossalmente ricercate nella mancanza di un mercato europeo

di riferimento per le imprese innovative. Il tentativo di imitazione del modello di successo

statunitense può aver spinto, sotto l’influenza di un sentiment favorevole alla crescita e

all’innovazione negli Stati Uniti, la crescita del private equity in Europa. La valutazione

relativa all’influenza alla presenza dei nuovi mercati sul private equity potrebbe essere

prematura proprio a causa della loro breve vita: il Nuoveau Marché, il primo ad essere

istituito, ha meno di 8 anni. Di conseguenza, anche ogni analisi statistica, se non di carattere

descrittivo, risulta poco significativa25.

Le osservazioni precedenti portano a concludere che la presenza dei nuovi mercati, come

via di exit per le giovani imprese innovative, non sia stata uno dei fattori di stimolo della

crescita del private equity in Europa. Per quanto l’incremento sostanziale della percentuale di

exit via mercato a livello europeo dal 1997 al 1998 possa essere interpretato come un

probabile contributo, seppur marginale, dei nuovi mercati allo sviluppo dell’industria europea

del private equity, l’analisi dei dati nazionali francesi, tedeschi ed italiani smentisce ogni

possibile evidenza. L’istituzione del Nouveau Marché, del Neuer Markt e del Nuovo Mercato

non è seguita, nei rispettivi paesi, da un incremento della percentuale delle società finanziate

dal private equity che scelgono la modalità di exit via mercato. L’assenza di un feedback

positivo tra disinvestimenti su mercato e sviluppo del private equity, può essere strettamente 24 Oltre al caso dei primi nuovi mercati europei, l’istituzione di mercato dedicato alle imprese innovative successiva alla nascita dell’industria di private equity nazionale è confermata anche dalle recenti esperienze del Nuevo Mercado spagnolo e dallo Swiss New Market. 25 Ad esempio, come indicato precedentemente nel caso statunitense, Black e Gilson (1998) hanno potuto analizzare il rapporto di ciclicità tra mercati azionari (numero di Ipo venture backed) e venture capital (ammontare di nuovi fondi raccolti) grazie alla disponibilità di serie storiche dalla fine degli anni ’70.

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Il finanziamento dell’innovazione e il ruolo del venture capital

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21

correlata al ritardo temporale con cui ci si aspetta che possa avere l’effetto dell’istituzione di

un mercato secondario nell’influenzare la struttura finanziaria di un paese.

I risultati ottenuti in questo lavoro non negano le potenzialità future dei nuovi mercati, come

via di exit per le imprese innovative, ma allo stato attuale non è stata trovata alcuna evidenza

di un loro concreto contributo al private equity europeo. Nonostante le condizioni

economiche e finanziarie favorevoli fino all’inizio del 2000, non sembra che la presenza dei

mercati azionari europei per le imprese innovative sia stata rilevante per la crescita del

private equity. Al contrario sembra che la ciclicità dei nuovi mercati abbia influenzato l’arresto

dei volumi investiti e raccolti dal private equity durante la fase negativa, seguita al crollo dei

mercati azionari dopo la primavera del 2000: gli investimenti di private equity si sono ridotti

del 44% dal 2000 al 2001 e i fondi raccolti del 21%26 proseguendo il calo nel 2002.

3.1.3 I problemi legati all’approssimazione dell’attività del venture capital e alla rilevanza dei nuovi mercati

Dai paragrafi precedenti si giunge alla conclusione che il ruolo dei nuovi mercati sia stato

piuttosto irrilevante tanto nella nascita quanto dello sviluppo del private equity in Europa. E’

necessario però fare qualche precisazione sui dati utilizzati per individuare la relazione tra

venture capital e nuovi mercati.

L’utilizzo dei disinvestimenti via Ipo come approssimazione del contributo dell’exit delle

partecipazioni dei venture capitalist sui nuovi mercati potrebbe essere troppo generico:

− innanzitutto perché una parte rilevante dei disinvestimenti via Ipo, soprattutto intorno alla

metà degli anni ‘90 è da attribuire al Regno Unito (dove il mercato azionario è sempre

stato il fulcro della struttura finanziaria a differenza dell’Europa continentale);

− perché i nuovi mercati costituiscono solo una ridotta frazione dei mercati azionari

europei: sia in termini di capitalizzazione che di numero di imprese quotate non sono

paragonabili ai mercati primari nazionali e la loro relativa importanza si riduce

ulteriormente nel contesto europeo27.

Inoltre è importante distinguere il venture capital dal private equity in Europa: per private

equity si intende l’attività di finanziamento in qualsiasi stadio d’impresa e senza porre

26 E’ ovvio pensare che in una fase ribassista di mercato l’operatività degli investitori in private equity si riduca immediatamente e che in una fase rialzista vi siano maggiori ostacoli all’aumento dell’attività di investimento che di raccolta di fondi. 27 Mentre ogni stato europeo ha un mercato primario, non tutti hanno un efficiente mercato o un segmento separato dedicato alle imprese innovative a elevato potenziale di crescita.

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Il finanziamento dell’innovazione e il ruolo del venture capital

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22

particolare attenzione al settore di riferimento, mentre il finanziamento del venture capital

interessa solo imprese ai primi stadi di sviluppo in settori altamente innovativi (definizione di

venture capital classico). La mancanza dei dati relativi al venture capital28 e la loro

approssimazione con quelli relativi del private equity può aver in qualche modo distorto i

risultati ottenuti in precedenza. E’ infatti ipotizzabile che le imprese innovative che siano

quotate sui nuovi mercati siano finanziate dal venture capital in senso stretto, inteso come

finanziamento alle fasi di seed e start-up.

4 Confronto tra venture capital negli Stati Uniti e in Europa

Per capire il divario tra l’attività di venture capital statunitense e quella del private equity

europeo è sufficiente osservare il fenomeno dal punto di vista quantitativo. Dal 1995 sia i

livelli di investimenti che di fondi raccolti del private equity europeo sono cresciuti a livelli

imparagonabili a quelli della prima metà del decennio: dal 1990 al 2000 l’ammontare

investito è passato da poco più di 4 miliardi di euro ai quasi 35 del 2000 con un tasso di

incremento del 750%; dal 1995 gli investimenti sono cresciuti del 530%; ancora più evidente

è la crescita nella seconda parte del decennio per i fondi raccolti: in pratica tutta la crescita di

oltre il 950% dal 1990 (4,5 miliardi di euro) al 2000 (48 miliardi di euro) è avvenuta dopo il

1995 (vedi grafico 4.1).

A livello nazionale con i dati di solo sei paesi è possibile riassumere il quadro europeo:

Regno Unito, Francia, Germania, Olanda, Belgio e Italia in media hanno rappresentato dal

1990 al 2000 il 90% di tutti gli investimenti di private equity europei29.

Per quanto possa sorprendere tali valori risultano modesti se paragonati all’attività del

venture capital negli Stati Uniti: dal 1991 al 2000 gli investimenti sono cresciuti del 4230% e i

nuovi fondi 6440% (grafico 4.2).

28 Sia l’EVCA che le singole associazioni nazionali forniscono dati relativi al private equity generale. Da essi si possono ricavare gli investimenti nelle prime fasi di sviluppo d’impresa e in settori innovativi come approssimazione del venture capital. 29 Come mostra il grafico 3.3, il Regno Unito ha sempre rappresentato almeno il 40% del mercato del private equity in Europa, seguito dalle ben più modeste Francia e Germania con una quota media, rispettivamente, del 17% e del 14%.

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Il finanziamento dell’innovazione e il ruolo del venture capital

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23

Grafico 4.1 – Private equity in Europa (Fonte: mia elaborazione di dati Evca)

Private equity in Europa(in miliardi di euro)

0

10

20

30

40

50

1990 1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001

mili

ardi

di e

uro

Fondi raccolti

Investimenti

Fonte: mia elaborazione di dati Evca

Grafico 4.2 - Venture capital negli Stati Uniti (mia elaborazione di dati Venture Economics e Nvca)

Venture capital negli Stati Uniti(in miliardi di dollari)

0

20

40

60

80

100

120

1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001

milia

rdi d

i dol

lari

Fondi raccolti

Investimenti

Fonte: mia elaborazione di dati Venture Economics e Nvca

La differenza nell’entità delle variazioni percentuali si nota anche nel caso della riduzione

dell’attività: nel corso del 2001, la diminuzione dei fondi e degli investimenti statunitensi

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Il finanziamento dell’innovazione e il ruolo del venture capital

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24

successiva al brusco crollo dei mercati azionari e all’inversione di un ciclo economico

particolarmente positivo, è stata tale da portare i valori del venture capital americano quasi in

linea con quelli del private equity europeo30. L’andamento dell’attività degli investitori di

capitali di rischio nel 2002 conferma una ridotta componente strutturale ed una spiccata

componente ciclica sia per i volumi del private equity in Europa che per quelli del venture

capital negli Stati Uniti.

In questo caso però un’analisi puramente quantitativa non è in grado di fornire un quadro

preciso dell’importanza relativa dei finanziamenti dei capitali di rischio in Europa e negli Stati

Uniti.

Per valutare l’effetto dell’informed capital nel favorire la crescita e lo sviluppo di giovani

imprese specializzate nei settori tecnologicamente innovativi nel sistema finanziario europeo

è più corretto fare riferimento al venture capital in senso stretto che alla generica attività di

private equity31.

Poiché i dati disponibili per l’Europa non solo si riferiscono agli investimenti in venture

capital, ma anche a quelli in settori poco tecnologici così come in imprese mature, nel resto

di questo lavoro utilizzeremo un’approssimazione dell’attività del venture capital europeo.

Utilizzando i dati forniti da Schertler (2001)32, gli investimenti in private equity nelle prime fasi

di sviluppo in imprese classificate come high technology possono essere usati come proxy

dell’attività europea del venture capital. In base alla tipologia dei dati disponibili saremo però

costretti a trattare separatamente gli investimenti in early stage e quelli nei settori high tech33.

Inoltre, per esplicitare la differenza tra i due tipi di attività di investimento in Europa, da

questo punto in poi sarà utilizzato il termine di private equity per l’attività generica di

investimento e quello di venture capital per gli investimenti specializzati negli early stage e

nei settori tecnologici.

30 Nel 2001 i fondi raccolti erano di 40,6 miliardi di dollari per gli Stati Unti e di 38,2 miliardi di euro per l’Europa; gli investimenti statunitensi erano scesi 36,5 miliardi di dollari contro i 24,3 miliardi di euro. Nel 2000 sia i fondi che gli investimenti europei erano meno di un terzo di quelli statunitensi. 31 Come individuato anche in Tykvovà (2000) la definizione di venture capital europeo è più ampia e comprende anche le operazioni di management buy-out ed i management buy-in (MBO e MBI)31. 32 Le numerose serie storiche riportate nel lavoro di Schertler “Venture Capital In Europe’s Common Market: A Quantitative Description”’ (2001) permettono un’analisi più che soddisfacente dell’attività di investimento nel capitale di rischio in Europa. Lo svantaggio di tali serie è che l’ultimo anno considerato è il 1999 e che i dati non sono aggiornabili poiché deflazionati al 1995. Utilizzando i dati raccolti da analisi successiva sulle caratteristiche del classic venture capital in Europa saranno principalmente utilizzati i dati raccolti L’uso 33 L’Evca suddivide i dati dell’attività totale degli investitori del capitale di rischio in Europa per fasi di sviluppo e per settori di investimento. Ciò implica che considerando come venture capital gli investimenti negli early stage è possibile includere degli investimenti nei settori più tradizionali, mentre utilizzando gli investimenti high-tech è possibile che non tutti si riferiscano a quelli relativi alle prime fasi di sviluppo dell’impresa.

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Il finanziamento dell’innovazione e il ruolo del venture capital

_____________________________________________________________

25

4.1 Investimenti negli early stage

Ricavando i dati relativi al venture capital negli Stati Uniti dalla National Venture Capital

Association e quelli del private equity europeo dalle varie edizioni annuali dell’European

Venture Capital Association, Schertler (2001) permette il confronto tra investimenti in early

stage tra Stati Uniti ed Europa34.

Come indicato nel grafico 4.3, negli Stati Uniti dal 1990 al 1999, gli investimenti si sono

concentrati principalmente nella fase di expansion (una media di quasi il 40% per i dieci anni

presi in considerazione) e in quella di early financing (con una media di poco superiore al

30%). I buy-out rappresentano in media il 11,4%. Su tutto il periodo considerato le

percentuali si mantengono piuttosto costanti. Dal 1995, invece, anno in cui comincia a

notarsi il trend di crescita delle attività di investimento in valore assoluto (vedi grafico 4.4), la

percentuale degli investimenti in early stage, come quella in buy-out, sembra diminuire a

vantaggio dell’expansion stage financing: la percentuale media dell’early stage financing

passa dal 31,5% del periodo 1990-1994 al 28,9% tra il 1995 e il 1999; la percentuale media

per le operazioni di buy-out scende dal 12,8% al 9,9% tra la prima e la seconda metà degli

anni ’90; la percentuale dell’expansion financing cresce dal 36,7% dei primi 5 anni al 42,1%

dei 5 successivi; le percentuali medie per gli investimenti nelle fasi avanzate di sviluppo

(later) rimangono invariate al 19,1%.

34 Nonostante la differente classificazione dei finanziamenti per fasi di sviluppo delle imprese è possibile considerare early financing statunitense come un raggruppamento dei finanziamenti nelle fasi di seed e start-up, che nel caso europeo sono indicate separatamente.

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Il finanziamento dell’innovazione e il ruolo del venture capital

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26

Grafico 4.4 – Percentuale degli investimenti suddivisi per stadio di sviluppo delle imprese negli Stati Uniti (Fonte: Schertler, 2001)

Investimenti negli Stati Uniti (in percentuale)

0%

10%

20%

30%

40%

50%

60%

70%

80%

1990 1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999

Early

Expansion

Later

Buy-out

Fonte: Schertler (2001)

Per quanto riguarda l’Europa (vedi grafico 4.5), la maggior parte degli investimenti, oltre

l’85% in media dal 1990 al 1999, è in buy-out con una media del 45,1% e in expansion stage

con una media del 40,4%. Gli investimenti in seed e start-up, accorpati nell’early stage

financing per gli Stati Uniti, complessivamente, sulla media del periodo, rappresentano il

7,5% di tutta l’attività. Solo dopo il 1998 gli investimenti in seed e start-up superano la soglia

del 10%, mostrando un trend di crescita dalla metà degli anni ‘90 (dal 5,7% del 1995 al

12,5% del 1999). Dall’osservazione del grafico 3.2 si nota un trade-off tra expansion stage

financing ed operazioni di buy-out: agli inizi del decennio gli investimenti nelle fasi di

espansione rappresentavano circa il 50% di tutta l’attività e quelli nei buy-out il 35%; durante

gli anni ’90 i primi hanno perso rilevanza a favore dei secondi; nel 1999 l’expansion stage

financing rappresentava il 29,2%, mentre i buy-out erano saliti al 55,5%.

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Il finanziamento dell’innovazione e il ruolo del venture capital

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27

Grafico 4.5 - Percentuale degli investimenti suddivisi per stadio di sviluppo delle imprese in Europa (Fonte: Schertler, 2001)

Investimenti in Europa (in percentuale)

0%

10%

20%

30%

40%

50%

60%

70%

80%

1990 1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999

Seed

Start-up

Expansion

Replacement capital

Buy-out

Fonte: Schertler (2001)

Il confronto diretto tra Stati Uniti ed Europa permette di riassumere le principali differenze tra

le tipologie di investimenti prevalenti:

− Rilevanza dell’early stage financing: negli Stati Uniti il finanziamento alle imprese nelle

prime fasi di sviluppo ha rappresentato costantemente circa il 30% di tutta l’attività degli

investitori istituzionali del capitale di capitale di rischio; in Europa, tale percentuale nel

1999, seppur in crescita, era di poco superiore ad un decimo di tutti i finanziamenti.

− Rilevanza dell’expansion financing: pur rappresentando in entrambi i casi una

consistente percentuale media di investimenti su tutto il decennio (circa il 40%), il trend è

completamente diverso; dalla metà degli anni ’90 negli Stati Uniti l’expansion financing è

diventata la tipologia di investimento più rilevante, superando l’early stage financing; in

Europa dal 1994 gli investimenti in buy-out hanno sempre rappresentato un impiego di

capitale più consistente di quelli nella fase di espansione.

− Rilevanza dei buy-out: il buy-out è la modalità di investimento che domina in Europa,

mentre negli Stati Uniti ha un’importanza relativa; nel 1999 i buy-out europei

rappresentavano il 55,5% di tutti gli investimenti contro il 4,4% di quelli americani.

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Il finanziamento dell’innovazione e il ruolo del venture capital

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28

Come indicato nel grafico 4.6, il confronto tra l’early stage financing tra Stati Uniti ed Europa

in valore assoluto indica una netta predominanza degli Stati Uniti in termini di ammontare

investito: in media gli investimenti europei nelle fasi iniziali di sviluppo delle imprese sono

stati inferiori del 30% rispetto a quelli americani.

Nonostante tale divario, dal 1995 al 1999 la crescita percentuale dei capitali investiti nelle

fasi iniziali di sviluppo delle imprese in Europa è stata quasi dell’800% contro il 450% negli

Stati Uniti35. Inoltre l’analisi congiunta dei dati in termini assoluti ed in termini percentuali

della rilevanza dell’early stage financing conferma la crescita di interesse delle attività di

venture capital in senso stretto nel continente europeo: al considerevole aumento dei capitali

investiti in Europa nelle imprese nelle fasi iniziali di sviluppo si deve aggiungere anche la

crescita della rilevanza percentuale su tutti gli investimenti, mostrata in precedenza36.

Grafico 4.6 – Paragone tra l’ammontare degli investimenti in early stage tra Stati Uniti ed Europa (Fonte: Schertler, 2001)

Confronto degli investimenti in early stage(in milioni di euro)

0

1.000

2.000

3.000

4.000

5.000

6.000

7.000

8.000

9.000

10.000

1990 1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999

milio

ni d

i eur

o

Europa

Stati Uniti

Fonte: Schertler (2001)

35 Alla crescita dell’800% degli investimenti in early stage tra il 1990 e il 2000 in Europa corrisponde una aumento degli investimenti complessivi europei del 750%: ciò può essere interpretato come una crescita del venture capital in Europa maggiore di quella del private equity. Tale risultato è confermato anche dalla crescente importanza percentuale delle fasi di seed e di start-up negli investimenti complessivi. Negli Stati Uniti la crescita degli investimenti in early stage è stata del 450% contro il 4230% degli investimenti totali. La differenza tra le due realtà è spiegata dal differente comportamento dell’expansion financing. 36 Negli Stati Uniti l’interesse relativo per l’early stage financing pare ridimensionato dalla riduzione della rilevanza percentuale su tutti gli investimenti.

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Il finanziamento dell’innovazione e il ruolo del venture capital

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29

Regno Unito, Francia, Germania, Olanda, Belgio e Italia per il periodo dal 1990 hanno

rappresentato in media l’86% di tutta gli investimenti nelle imprese ai primi stadi di sviluppo

in Europa. La situazione è piuttosto difforme all’interno dei singoli stati europei.

A differenza da quanto indicato per le attività totali di investimento il Regno Unito occupa una

posizione del tutto marginale con nemmeno una media del 20% nei 10 anni dal 1990 al 1999

(vedi grafico 4.7). La divergenza tra la l’enorme quota di mercato del private equity inglese

(oltre il 40%) e la modesta percentuale di investimenti in early stage indica che l’attività

specifica del venture capital in senso stretto è molto meno rilevante di quella del private

equity37.

Per gli altri paesi europei la quota è decisamente più alta e in continua crescita. La nazione

leader per gli investimenti in early stage è la Germania con una percentuale media del 24%

di tutti gli investimenti europei negli anni ’90, seguita dalla Francia con il 17%. In base ai dati

del 2000 riportati nell’ “EVCA 2001 Yearbook” in Germania le fasi di seed e di start-up

rappresentavano il 35% degli investimenti tedeschi e in Francia il 22%.

37 Secondo l’European Venture Capital Association nell’ “EVCA 2001 Yearbook” nel Regno Unito nel 2000 gli investimenti in buy-out sono stati di 6.971 milioni di euro su di un totale di 13.179 milioni di euro (53%). Secondo i dati riportati da Schertler (2001) gli elevati volumi investiti nei buy-out sono il risultato di un ridotto numero di operazioni di dimensioni ragguardevoli. Le operazioni di management buy-out sono state il 27% delle operazioni di private equity nel 1990 e nel 1999 il numero era salito al 35%.

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Il finanziamento dell’innovazione e il ruolo del venture capital

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30

Grafico 4.7 - Paragone tra l’ammontare degli investimenti in early stage in Europa (Fonte: Schertler, 2001)

Confronto degli investimenti in early stages(in milioni di euro)

0

100

200

300

400

500

600

700

800

900

1990 1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999

milio

ni d

i eur

o

Francia

Germania

Italia

Belgio

Olanda

Regno Unito

Fonte: Scheltler (2001)

4.2 Investimenti in settori innovativi

La specializzazione degli investimenti in settori tecnologicamente innovativi è il secondo

elemento caratterizzante che distingue l’attività generica di private equity dal venture capital

secondo la definizione americana.

Sempre ricorrendo ai dati raccolti da Schertler (2001) si possono confrontare gli investimenti

in settori innovativi statunitensi ed europei fino al 1999, utilizzando come proxy gli

investimenti in settori delle communications, computer, biotechnology e medical/health.

Dall’osservazione del grafico 4.8 si nota che ancora una volta il 1995 è stato l’anno in cui la

distanza tra Stati Uniti ed Europa ha iniziato a crescere a vantaggio dei primi. Dal 1990 al

1995 il tasso di crescita degli investimenti medio annuo nei settori delle comunicazioni, dei

computer, delle biotecnologie e del medical/health è stato, sia per l’Europa che per gli Stati

Uniti leggermente superiore al 10%. Dal 1995 il tasso medio annuo di crescita degli

investimenti nei settori innovativi è stato del 56% in Europa e del 90% negli Stati Uniti: nel

1999 gli investimenti in tali settori in Europa non erano nemmeno di 7 miliardi di euro mentre

negli Stati Uniti superavano i 35 milioni di euro.

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Il finanziamento dell’innovazione e il ruolo del venture capital

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31

Grafico 4.8 - Paragone tra l’ammontare degli investimenti in communications, computer, biotechnology, medical/health tra Stati Uniti ed Europa (Fonte: Schertler, 2001)

Investimenti in communications, computer, biotechnology e medical/health

(in miliardi di euro)

0

5

10

15

20

25

30

35

40

1990 1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999

milia

rdi d

i eur

o

Europa

Stati Uniti

Fonte: Schertler (2001)

Suddividendo i dati tra settore delle Information and Communication Technology

(communications e computer) e quelli del settore della biotecnologie (biotechnology e

medical/health) è possibile analizzare la percentuale dei capitali investiti nei settori innovativi

sia negli Stati Uniti che in Europa.

In particolare nel 1990 la percentuale di investimenti nelle ICT negli Stati Uniti era del 45,2%,

oltre 2 volte la percentuale europea nel 1999 (del 24%). Nel 1999 negli Stati Uniti gli

investimenti in ICT rappresentavano quasi l’80% di tutti gli investimenti del venture capital,

mostrando una crescita sia in termini relativi che in termini assoluti.

Per quanto riguarda invece il settore delle biotecnologie, mentre dal 1990 al 1997 è stato

investito mediamente il 6% dell’ammontare dell’attività del capitale di rischio in Europa e il

23% negli Stati Uniti, dal 1997 gli investimenti statunitensi sono crollati per arrivare, nel 1999

ad un valore inferiore all’8% e prossimo alla percentuale europea: infatti gli investimenti di

venture capital in biotechnology e medical/health negli Stati Uniti sono cresciuti solo in

termini assoluti.

L’investimento complessivo nei settori dell’information e communication technology e delle

biotecnologie su tutti gli investimenti di private equity in Europa nel corso degli anni ’90 è

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Il finanziamento dell’innovazione e il ruolo del venture capital

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32

stato mediamente del 20%, con una crescita fino al 30% nel 1999; negli Stati Uniti l’attività

del venture capital ha investito mediamente il 74% nei settori innovativi, con un massimo

dell’85,4% nel 1999.

Dall’analisi del grafico 4.9 è evidente che la quota di investimenti in ICT e biotecnologie

differisce molto a seconda del paese europeo considerato. Belgio e Olanda sono stati dal

1990 al 1999 i paesi con le percentuali maggiori di capitale investito in settori innovativi: la

percentuale annua media di investimenti in ICT e biotecnologie è stata del 48% per gli

investitori belgi e del 30% per quelli olandesi38. Francia e Germania hanno superato di poco il

valore medio europeo (20,7%) con il 23% e il 22%. Regno Unito e Italia mostrano le minori

percentuali di investimento su tutto il periodo con una media del 19% e del 10%.

Grafico 4.9 - Paragone tra le percentuali degli investimenti in communications, computer, biotechnology, medical/health tra gli stati europei (Fonte: Schertler, 2001)

Investimenti in communications, computer, biotechnology e medical/health

(in percentuale)

0%

20%

40%

60%

80%

100%

1990 1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999

Regno Unito Fancia Germania Olanda Belgio Italia

Fonte: Schertler (2001)

38 In linea con la tendenza europea la maggior parte degli investimenti è avvenuta nei settori ICT: il Belgio ha mediamente investito nei settori strettamente tecnologici il 34% contro il 15% delle biotecnologie; analogamente in Olanda le percentuali sono state del 23% e del 7%.

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Il finanziamento dell’innovazione e il ruolo del venture capital

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33

4.3 Trasposizione del modello americano del venture capital in Europa

L’analisi precedente ha mostrato che gli investimenti nell’attività di tipica del venture capitalist

statunitense in Europa sono molto ridotti. Sono state confrontate sia le percentuali di

investimenti negli early stage che quelle degli investimenti indirizzati ai settori innovativi in

Europa, tralasciando però un elemento strutturale del venture capital americano: la

contemporaneità dei due fenomeni. Secondo la definizione del classic venture capital

l’attività di investimento avviene in imprese ai primi stadi di sviluppo specializzate in settori

innovativi: non devono quindi essere compresi tra le operazioni di venture capital i

finanziamenti ad imprese innovative già mature e quelli a start-up in settori tradizionali.

La mancanza di dati che indichino congiuntamente la tipologia ed il settore dell’investimento

costringono, oltre a paragonare separatamente i due aspetti come è stato appena fatto, a

cercare delle approssimazioni della definizione di finanziamento del venture capital.

Nei paragrafi precedenti sono state evidenziate due caratteristiche del private equity

europeo:

− La scarsa rilevanza media sia degli investimenti in early stage sia degli investimenti in

settori innovativi

− Il diverso grado di utilizzo del capitale di rischio come finanziamento per l’innovazione tra

i paesi europei presi in esame

In base a tali considerazioni, e quindi anche riconoscendo una scarsa diffusione del venture

capital a livello europeo, è possibile individuare quali siano i paesi europei che più si

avvicinano agli Stati Uniti nell’attività di venture capital.

Riprendendo l’analisi di Schertler (2001) si può confrontare l’attività di private equity dei

paesi europei con quella americana del venture capital in base a quattro parametri:

− Investimenti in early stage sul Pil

− Investimenti in expansion stage sul Pil39

− Ruolo del settore pubblico

− Investimenti nei settori tecnologici

L’osservazione della tabella 4.1 indica che nel 1999 i paesi in cui l’attività del private equity è

più simile al venture capital americano sono stati Belgio e Olanda. Sia in Olanda che in

39 In Schertler (2001) anche l’expansion stage finacing è ritenuto parte dell’attività dei venture capitalist.

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Il finanziamento dell’innovazione e il ruolo del venture capital

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34

Belgio gli investimenti in early ed expansion stage40 erano superiori all’1 per mille del Pil. Tra

le altre caratteristiche, gli investimenti in Belgio erano concentrati nei settori tecnologici,

mentre l’Olanda si distingueva per la scarsa significatività del settore pubblico negli

investimenti di private equity41. I risultati per il Regno Unito indicano una spiccata presenza di

industria del private equity, ma evidenziano una carenza di attività tipiche del venture capital

in senso stretto: gli early stage sul Pil sono inferiori tra lo 0,3 e l’1 per mille del Pil e gli

investimenti nel settore tecnologico sono inferiori al 30%.

40 Per quanto riguarda gli investimenti nelle fasi di espansione, il Regno Unito, Paesi Bassi e Belgio avevano i maggiori livelli di investimenti sul Pil, con più dell’1,5 per mille nel 1999. 41 In Belgio il settore pubblico è una delle principali fonti di capitale di rischio.

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Il finanziamento dell’innovazione e il ruolo del venture capital

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35

Tabella 4.1 – Paragone tra venture capital statunitense e private equity nei paesi europei (Fonte: mia elaborazione di una tabella in Schertler, 2001)

Early stage sul Pil

Expansion stage sul Pil

Ruolo del settore pubblico

Attenzione al settore tecnologico

Austria

Belgio

Danimarca

Finlandia

Francia

Germania

Irlanda

Italia

Paesi Bassi

Portogallo

Spagna

Svezia

Regno Unito

Stati Uniti

Early stage sul Pil < 0,3 0,3 < x <1,0 > 1,0Expansion stage sul Pil < 0,5 0,5 < x < 1,0 > 1,0Ruolo del settore pubblico > 20% 5% < x < 20% < 5%Attenzione al settore tecnologico < 30% 30% < x < 50% > 50%

Fonte: mia elaborazione di una tabella in Schertler (2001)

Paragone tra private equity in Europa e venture capital negli Stati Uniti nel 1999

Legenda

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Il finanziamento dell’innovazione e il ruolo del venture capital

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36

Un ulteriore tentativo di classificare il private equity nei singoli paesi europei in base alla

somiglianza con il venture capital statunitense è stato effettuato dall’Oecd, (2001), in

“Science, Technology and Industry Outlook. Drivers of Growth: Information Technology,

Innovation and Entrepreneurship”. Per superare le difficoltà legate al complesso paragone

tra le varie caratteristiche del venture capital sono state utilizzate tre variabili:

− investimenti nelle fasi di early e di expansion sul Pil

− investimenti nei settori high-tech sul totale degli investimenti di venture capital

− attività di private equity o venture capital sul Pil

Il grafico 4.10 della pagina seguente, ricavato da una figura della pubblicazione dell’Oecd (p.

101) mostra dei risultati molto simili a quelli ottenuti da Schertler (2001). Dal 1995 al 1999 gli

Stati Uniti hanno investito più dell’80% in settori high-tech seguiti dal Belgio con valori

prossimi al 60%. Dal punto di vista della rilevanza delle fasi iniziali di sviluppo e di

espansione, gli investimenti per gli Stati Uniti superano lo 0,2% del Pil seguiti dall’Olanda con

un percentuale approssimativa dello 0,15%. Il Regno Unito si distingue per una percentuale

di investimenti nel capitale di rischio sul Pil persino superiore a quella degli Stati Uniti.

Le conclusioni anche in questo caso sono le stesse: in Europa la rilevanza del venture

capital in senso stretto è piuttosto ridotta, in qualsiasi modo si voglia misurare. Solo in

Olanda e in Belgio l’attività del private equity è qualitativamente simile a quella del venture

capital statunitense.

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Il finanziamento dell’innovazione e il ruolo del venture capital

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37

Nota: l'area delle bolle corrisponde alla percentuale totale di investimenti in venture capital e private equity sul Pil Fonte: mia elaborazione su dati Oecd (2001)

Investimenti del venture capital in early/expansion stage e nei settori high-tech

(1995-1999)

0%

0%

0%

0%

0%

0%

10,00 20,00 30,00 40,00 50,00 60,00 70,00 80,00 90,00

Percentuale dell'investimento nei settori high-tech

Pere

cntu

ale

degl

i inv

estim

enti

in e

arly

/exp

ansi

on s

tage

sul

Pil

Stati Uniti

Belgio

Olanda

Regno Unito

Italia

Europa

Danimarca

Svezia

Spagna

Giappone

Portogallo

GermaniaFrancia Irlanda

Finlandia

AustriaGrecia

Nota: l'area delle bolle corrisponde alla percentuale totale di investimenti in venture capital e private equity sul PilFonte: mie elaborazioni su dati Oecd (2001)

Grafico 4.10 - Paragone tra private equity in Europa e venture capital negli Stati Uniti (Fonte: mia elaborazione su dati Oecd, 2001)

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Il finanziamento dell’innovazione e il ruolo del venture capital

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38

5 Conclusioni

Il tentativo europeo di trasformare il proprio sistema finanziario orientandosi verso i mercati

azionari per sviluppare un’industria di venture capital in grado di finanziare l’innovazione,

sulla scia del successo statunitense, può dirsi fallito. Le ragioni sono da ricercare sia nelle

differenze economiche, finanziarie e sociali tra i due continenti, che non hanno permesso

una perfetta trasposizione del modello del venture capital statunitense in Europa, sia

all’influenza della ciclicità dell’attività del venture capital legata all’andamento dei corsi

azionari.

Nel caso americano, Michelacci e Suarez (2001) in “Business creation and the stock market”

(2001) mostrano che la presenza di un mercato azionario non solo stimola lo sviluppo del

venture capital, ma favorisce anche l’innovazione e la crescita del sistema economico.

Secondo tale teoria, la “produzione di innovazione” negli Stati Uniti è stata possibile grazie

ad un effetto moltiplicatore sulla crescita del venture capital dovuta alla presenza di mercati

azionari liquidi, dinamici e in una fase di aspettative rialziste: l’incremento dell’innovazione

del sistema economico dipende direttamente dalla crescita dell’efficienza dei mercati azionari

come via di exit della partecipazione del venture capital.

Diversamente in Europa non ci sono evidenze complementarità tra informed capital e

mercati azionari nel finanziamento delle imprese innovative. L’industria europea del private

equity è stata trascinata dalla fase negativa dei mercati azionari piuttosto che dalla presenza

di specifici i mercati dedicati alle giovani imprese innovative. I nuovi mercati si sono

moltiplicati in tutta Europa più trascinati dalle prospettive future che dalle attuali necessità di

exit del venture capital.

In sintesi, non si può negare la crescita in termini quantitativi sia del private equity europeo

sia delle possibilità di accesso ai mercati azionari da parte delle imprese innovative, ma

sembra che i 2 fenomeni siano tra loro scarsamente correlati: la crescita dei volumi del

private europeo è avvenuta solo dopo l’istituzione dei principali Nuovi Mercati europei, ma su

di essi solo una ridotta parte delle imprese quotate è stata venture-backed.

Una probabile spiegazione alla mancanza di una stretta relazione tra capitale di rischio e

Nuovi Mercati può essere individuata analizzando il venture capital europeo dal punto di

vista qualitativo. Mentre la definizione classica di venture capital prevede una elevata

concentrazione degli investimenti in giovani imprese dei settori high-technology, in Europa il

capitale di rischio ha preso piede come fonte di finanziamento per le imprese negli stadi di

sviluppo già avanzati. Per tale motivo confrontare direttamente l’attività del venture capital

negli Stati Uniti e quella in Europa risulta poco significativo. In Europa Belgio e Olanda sono i

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Il finanziamento dell’innovazione e il ruolo del venture capital

paesi in cui il venture capital si avvicina maggiormente alla definizione statunitense e

paradossalmente anche quelli in cui i Nuovi Mercati hanno avuto l’esperienza più deludente.

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Il finanziamento dell’innovazione e il ruolo del venture capital

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Il finanziamento dell’innovazione e il ruolo del venture capital

Appendice

Grafico A.1 - Gli investimenti del private equity in Francia (Fonte: mia elaborazione su dati Evca)

Investimenti di private equity in Francia

0

1

2

3

4

5

6

1990 1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001

milia

rdi d

i eur

o

Istituzione del Nouveau Marché

Fonte: mia elaborazione su dati Evca

Grafico A.2 - Gli investimenti del private equity in Germania (Fonte: mia elaborazione su dati Evca)

Investimenti di private equity in Germania

0

1

2

3

4

5

6

1990 1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001

milia

rdi d

i eur

o

Istituzione del Neuer Markt

Fonte: mia elaborazione su dati Evca

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Il finanziamento dell’innovazione e il ruolo del venture capital

Grafico A.3 - Gli investimenti del private equity in Olanda (Fonte: mia elaborazione su dati Evca)

Investimenti di private equity in Olanda

0,0

0,5

1,0

1,5

2,0

2,5

1990 1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001

milia

rdi d

i eur

o

Istituzione del Nieuwe Markt

Fonte: mia elaborazione su dati Evca

Grafico A.4 - Gli investimenti del private equity in Belgio (Fonte: mia elaborazione su dati Evca)

Investimenti di private equity in Belgio

0,0

0,1

0,2

0,3

0,4

0,5

0,6

0,7

0,8

1990 1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001

milia

rdi d

i eur

o

Istituzione dell'EuroNm

Fonte: mia elaborazione dati su Evca

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Il finanziamento dell’innovazione e il ruolo del venture capital

Grafico A.5 - Gli investimenti del private equity in Italia (Fonte: mia elaborazione su dati Evca)

Investimenti di private equity in Italia

0,0

0,5

1,0

1,5

2,0

2,5

3,0

3,5

1990 1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001

milia

rdi d

i eur

o

Istituzione del Nuovo Mercato

Fonte: mia elaborazione su dati Evca

Grafico A.6 – Numero di Ipo sul Nuoveau Marché fino a dicembre 2001 (Fonte: mia elaborazione di dati in Bottazzi e Da Rin, 2002 e Nouveau Marché)

Numero di Ipo sul Nouveau Marché

0

5

10

15

20

25

giug

no 9

6

sette

mbr

e 96

dice

mbr

e 96

mar

zo 9

7

giug

no 9

7

sette

mbr

e 97

dice

mbr

e 97

mar

zo 9

8

giug

no 9

8

sette

mbr

e 98

dice

mbr

e 98

mar

zo 9

9

giug

no 9

9

sette

mbr

e 99

dice

mbr

e 99

mar

zo 0

0

giug

no 0

0

sette

mbr

e 00

dice

mbr

e 00

mar

zo 0

1

giug

no 0

1

sette

mbr

e 01

dice

mbr

e 01

Fonte: mia elaborazione di dati in Bottazzi e Da Rin (2002) e Nouveau Marché

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Il finanziamento dell’innovazione e il ruolo del venture capital

Grafico A.7 - Numero di Ipo sul Neuer Markt fino a dicembre 2001 (Fonte: mia elaborazione di dati in Bottazzi e Da Rin, 2002 e Neuer Markt)

Numero di Ipo sul Neuer Markt

0

5

10

15

20

25

30

35

40

45

mar

zo 9

7

giug

no 9

7

sette

mbr

e 97

dice

mbr

e 97

mar

zo 9

8

giug

no 9

8

sette

mbr

e 98

dice

mbr

e 98

mar

zo 9

9

giug

no 9

9

sette

mbr

e 99

dice

mbr

e 99

mar

zo 0

0

giug

no 0

0

sette

mbr

e 00

dice

mbr

e 00

mar

zo 0

1

giug

no 0

1

sette

mbr

e 01

dice

mbr

e 01

Fonte: mia elaborazione di dati Bottazzi e Da Rin (2002) e Neuer Markt

Grafico A.8 - Numero di Ipo sul Nieuwe Markt fino a dicembre 2001 (Fonte: mia elaborazione di dati in Bottazzi e Da Rin, 2002 e Nieuwe Markt)

Numero di Ipo sul Nieuwe Markt

0

1

2

3

4

5

6

7

mar

zo 9

7

giug

no 9

7

sette

mbr

e 97

dice

mbr

e 97

mar

zo 9

8

giug

no 9

8

sette

mbr

e 98

dice

mbr

e 98

mar

zo 9

9

giug

no 9

9

sette

mbr

e 99

dice

mbr

e 99

mar

zo 0

0

giug

no 0

0

sette

mbr

e 00

dice

mbr

e 00

mar

zo 0

1

giug

no 0

1

sette

mbr

e 01

dice

mbr

e 01

Fonte: mia elaborazione di dati in Bottazzi e Da Rin (2002) e Nieuw e Markt

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Il finanziamento dell’innovazione e il ruolo del venture capital

Grafico A.9 - Numero di Ipo sull’EuroNm Belgium fino a dicembre 2001 (Fonte: mia elaborazione di dati in Bottazzi e Da Rin, 2002 e EuroNm Belgium)

Numero di Ipo sull'EuroNm Belgium

0

1

2

3

4

mar

zo 9

7

giug

no 9

7

sette

mbr

e 97

dice

mbr

e 97

mar

zo 9

8

giug

no 9

8

sette

mbr

e 98

dice

mbr

e 98

mar

zo 9

9

giug

no 9

9

sette

mbr

e 99

dice

mbr

e 99

mar

zo 0

0

giug

no 0

0

sette

mbr

e 00

dice

mbr

e 00

mar

zo 0

1

giug

no 0

1

sette

mbr

e 01

dice

mbr

e 01

Fonte: mia elaborazione di dati in Bottazzi e Da Rin (2002) e EuroNm Belgium

Grafico A.10 - Numero di Ipo Nuovo Mercato fino a dicembre 2001 (Fonte: mia elaborazione di dati in Bottazzi e Da Rin, 2002 e Nuovo Mercato)

Numero di Ipo sul Nuovo Mercato

0

2

4

6

8

10

12

14

giug

no 9

9

sette

mbr

e 99

dice

mbr

e 99

mar

zo 0

0

giug

no 0

0

sette

mbr

e 00

dice

mbr

e 00

mar

zo 0

1

giug

no 0

1

sette

mbr

e 01

dice

mbr

e 01

Fonte: mia elaborazione di dati in Bottazzi e Da Rin (2002) e Nuovo Mercato

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Il finanziamento dell’innovazione e il ruolo del venture capital

Grafico A.11 - Numero di società quotate sul Nasdaq Europe (Fonte: mia elaborazione di dati tratti dal sito www.nasdaqeurope.com)

Società quotate al Nasdaq Europe (dicembre 2001)

0

10

20

30

40

50

60

70

1996 1997 1998 1999 2000 2001

Fonte: w w w .nasdaqeurope.com