Il fattore di concentrazione delle...

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1 Il fattore di concentrazione delle tensioni Udine gennaio ‘09 ing. Andrea Starnini Indice 1 Introduzione ...................................................................................... 2 2 Il fattore di concentrazione delle tensioni ............................................... 5 3 Fattore d’intaglio nel caso di carichi statici e dinamici .............................. 9

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Il fattore di concentrazione delle tensioni

Udine gennaio ‘09 ing. Andrea Starnini Indice 1 Introduzione ......................................................................................2

2 Il fattore di concentrazione delle tensioni ...............................................5

3 Fattore d’intaglio nel caso di carichi statici e dinamici ..............................9

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1 Introduzione I componenti meccanici hanno delle geometrie tali da rendere possibile l’accoppiamento o il collegamento con altri componenti. Ad esempio un albero presenterà degli spallamenti per i cuscinetti, degli scavi per l’alloggio della linguetta, delle gole per alloggiare o-ring oppure fori per copiglie ecc.

fig. 1.1: Discontinuità tipiche in un albero

Ognuna di queste discontinuità altera la distribuzione dello sforzo attorno ad essa e le equazioni che si utilizzano per la determinazione delle tensioni normali o tangenziali non sono sufficienti a definire lo stato tensionale in prossimità di tali discontinuità, in quanto forniscono dati approssimati per difetto. Le figure sottostanti mostrano alcuni casi di concentrazione delle tensioni dovuti ad alcuni tipi comuni di discontinuità geometriche che possono presentarsi nei componenti meccanici. D’ora in avanti definiremo col termine generale “intaglio” la presenza di un foro, di una gola ecc.

fig.1.2: Concentrazione delle tensioni in un albero con raccordo soggetto a torsione

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fig. 1.3: Concentrazione delle tensioni in un albero con gola soggetto a flesso-torsione

fig. 1.4: Concentrazione delle tensioni nell’intono di un foro di una piastra soggetta a trazione

Ciò che interessa è allora la determinazione dei picchi tensionali che si presentano nell’intorno dell’intaglio e nei paragrafi successivi verrà illustrato un metodo pratico che fa uso di grafici ottenuti per via analitica o sperimentale. C’è comunque da sottolineare che allo stato attuale dell’arte spesso i progettisti utilizzano strumenti informatici (FEM:finite elements method) che consentono la determinazione dello stato tensionale anche in componenti meccanici di geometria complicata.

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fig. 1.5: Esempio di risultati ottenibili da software FEM

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2 Il fattore di concentrazione delle tensioni Considerando un elemento meccanico che presenta un intaglio (ad esempio l’albero della figura 1.1) risulta possibile determinare la tensione nominale prescindendo dalla irregolarità geometrica. Definiamo con Kt il fattore teorico di concentrazione delle tensioni, o semplicemente fattore d’intaglio, il rapporto

max maxt tt

0 0

K ; K

con σmax tensione massima nell’intorno dell’intaglio σ0 tensione nominale in assenza dell’intaglio Noto il Kt e calcolata la tensione nominale è possibile dunque risalire alla tensione di picco:

max t 0 max tt 0K ; K Il fattore d’intaglio viene fornito in forma di grafici definiti in base alla geometria del componente, alla geometria dell’intaglio e alla tipologia di sollecitazione alla quale è sottoposto il componente. Alcuni esempi di tali grafici sono riportati nelle figura successive.

fig. 2.1: Fattore d’intaglio per alberi con spallamenti e gole sottoposti a flessione (da Manuale di

Meccanica Hoepli)

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fig. 2.2: Fattore d’intaglio per alberi con spallamenti e gole sottoposti a torsione (da Manuale di

Meccanica Hoepli)

Nel caso di cave per linguette o chiavette la tensione massima, per sollecitazioni di flessione, può essere ottenuta considerando indicativamente un Kt=1,35 se la cava è ottenuta con fresa a disco o un Kt=1,7 se la cava è ottenuta con fresa a candela. In quest’ultimo caso infatti lo spigolo alla base della cava, punto critico per la concentrazione degli sforzi, risulta essere più acuto. Nel caso di torsione la cricca di fatica nasce generalmente ancora spigolo di base della cava; per la torsione si può assumere Kt=2,5.

fig. 2.3 Cava ottenuta con fresa a disco e con fresa a candela

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Facciamo un semplice esempio per rendere chiara l’applicazione del fattore d’intaglio nel caso di un albero soggetto a flesso-torsione.

Detti Mf e Mt il momento flettente e torcente nella sezione ove è presente l’intaglio e Wt, Wf i moduli di resistenza della sezione minore, siamo in grado di determinare le tensioni nominali:

2f0 3

f

2t0 3

t

M 40Nm15,1 N / mm

W 3032

M 300Nm56,6 N / mm

W 3016

Ora, in base alle figure 2.1 e 2.2 calcoliamo i parametri geometrici che definiscono la geometria dell’intaglio:

Q=1000 N

RA RB

Mf=40 Nm

L

Mt=300 Nm

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d 300,75

D 40D d

t 5mm2

r 20,4

t 5

Entrando nei grafici otteniamo: Flessione: Kt= 2,1 Torsione: Kt= 1,5 Dunque:

2max t 0

2max t 0

K 2,1 15,1 31,7 N / mm

K 1,5 56,6 84,9 N / mm

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3 Fattore d’intaglio nel caso di carichi statici e dinamici Nel caso in cui il componente meccanico intagliato sia soggetto a carichi statici, o sporadicamente a carichi dinamici, il contributo dell’intaglio all’incremento del livello locale delle tensioni può essere trascurato a patto che il materiale sia sufficientemente duttile. Infatti i materiali duttili presentano un ampio campo plastico e nella realtà le tensioni non salgono ai valori che si otterrebbero applicando il Kt ma, nei punti critici, si attestano al massimo attorno al valore della tensione di snervamento del materiale a discapito di locali plasticizzazioni operando una ridistribuzione degli sforzi. Ad esempio, considerando il foro della fig. 1.3, la tensione creerà delle plasticizzazioni nella zona rossa, quella più sollecitata, senza però salire fino alla tensione di rottura. In altre parole le plasticizzazioni locali fungono da calmieratici dello stato tensionale. Tutti gli acciai da carpenteria (S235, S275, S355) consentono in sicurezza di poter trascurare il coefficiente d’intaglio. Per capire meglio quanto detto riguardo la ridistibuzione degli sforzi, consideriamo per prima cosa il diagramma sforzo/deformazione tipico di un acciaio duttile ed approssimiamo il comportamento come indicato dalla linea rossa del diagramma sottostante.

fig. 3.1: Materiale elastico-perfettamente plastico (linea rossa)

Un materiale ideale che presenta il diagramma indicato dalla linea rossa della figura 3.1 si definisce a comportamento elastico-perfettamente plastico in quanto una volta giunti allo snervamento non servono aumenti di sollecitazione per continuare a deformare il provino e la tensione si mantiene dunque costante. Consideriamo una piastra con un foro soggetta a trazione e costituita con un acciaio a comportamento elastico-perfettamente plastico e osserviamo la distribuzione della tensione normale in campo elastico, ovvero ancora entro il valore di snervamento del materiale (fig 3.2).

σ

ε

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fig. 3.2: Distribuzione della tensione attorno ad un foro di una piastra soggetta a trazione

Se ora aumentiamo gradualmente la forza di trazione la tensione nell’intorno del foro essa ad un certo punto raggiungerà la tensione di snervamento del materiale. Continuando ad aumentare la forza di trazione la tensione, ove ha raggiunto lo snervamento, non può aumentare ulteriormente in quanto le ipotesi fatte sul materiale non lo consentono. Per equilibrare la forza esterna di trazione la tensione non può che aumentare nelle altre zone fino a raggiungere il valore della tensione di snervamento, come riportato nella figura 3.3.

fig. 3.3: Distribuzione delle tensioni attorno al foro

Aumentando ancora la forza di trazione sulla piastra la situazione diviene allora quella di figura 3.4.

fig. 3.4

N N

Re

N N

Re

N N Re

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Aumentando ancora la tensione viene quindi a ridistribuirsi al valore della tensione di snervamento per tutta la sezione, come indicato in fig. 3.5.

fig. 3.5: Sezione completamente snervata

Nel caso reale il comportamento del materiale non è ovviamente elastico-perfettamente plastico e quindi la ridistribuzione è comunque accompagnata da un incremento delle tensioni oltre lo snervamento. L’esempio è comunque utile a comprendere cosa si intende per ridistibuzione delle tensioni in un materiale duttile e perché in questo caso sia possibile trascurare il Kt. Nel caso in cui i carichi siano sempre statici ma il materiale abbia comportamento fragile, trascurare la presenza dei picchi di tensione è invece alquanto pericoloso. Infatti i materiali fragili presentano un campo plastico molto limitato se non assente e i picchi di tensione, se superano la tensione di rottura, portano a delle decoesioni locali con rapida apertura di una cricca che propagandosi in maniera quasi istantanea riduce la sezione resistente e l’elemento si rompe di schianto. Tristemente famose risultano essere le innumerevoli rotture di navi, ponti e serbatoi che improvvisamente sono collassati a causa di basse temperature (che riducono la duttilità dell’acciaio) e di elevati fattori d’intaglio dovuti in principal modo alle saldature. Ad esempio nella figura sottostante si nota la nave mercantile Schenectady che si schiantò improvvisamente mentre era ormeggiata in porto.

fig. 3.1: La nave Schenectady che si schiantò improvvisamente in porto il 16 gennaio del ‘43

N N

Re

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Nel caso di carichi dinamici è altrettanto pericoloso trascurare il fattore di concentrazione delle tensioni, anche per materiali duttili. Infatti, come vedremo trattando il fenomeno della fatica, le rotture dovute ai carichi dinamici (che chiameremo affaticanti) prendono origine proprio dalle zone nelle quali la tensione raggiunge valori elevati a causa della presenza di intagli. Riassumiamo quanto detto nella tabella sottostante:

Materiali duttili Materiali fragili Carico Statico È possibile trascurare Kt È pericoloso trascurare Kt

Carico Dinamico È pericoloso trascurare Kt È pericoloso trascurare Kt