Affari di Gola - marzo 2012

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IN RASSEGNA SAPORI, GUSTI E PIACERI DEL TERRITORIO Supplemento al n. 10 de “La Rassegna” del 15 marzo 2012 - Giuseppe Ruggieri direttore responsabile Editrice: La Rassegna S.r.l. via Borgo Palazzo 137, Bergamo Poste Italiane S.p.A. Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1, DCB Bergamo - 2,60 marzo 2012 "Guerra" dei Pizzoccheri, tutte le ragioni di Bergamo L’EVENTO Al Vinitaly torna la “Piazza Valcalepio” Piacciono le gastronomie dei supermercati TENDENZE IL BILANCIO Sulle De.Co. “tradito” il progetto di Veronelli A Treviglio apre la “Casa del Formaggio” LE STRATEGIE

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In rassegna sapori, gusti e piaceri del territorio bergamasco

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IN RASSEGNA SAPORI, GUSTI E PIACERI DEL TERRITORIO

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0marzo 2012

"Guerra" dei Pizzoccheri,tutte le ragioni di Bergamo

L’EVENTO

Al Vinitalytorna la “PiazzaValcalepio”

Piacciono le gastronomiedei supermercati

TENDENZEIL BILANCIO

Sulle De.Co.“tradito” il progettodi Veronelli

A Treviglioapre la “Casa del Formaggio”

LE STRATEGIE

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Comune diVolta Mantovana

Pro LocoVoltese

Mostra Nazionale

Vini Passiti e da Meditazione

www.vinipassiti.com

Volta Mantovana28, 29, 30 Aprile1 Maggio2012

In questa X Edizione

Rassegna e banco d’assaggio dei vini passiti da tutta Italia

Ampia mostra mercato e degustazioni guidate

Ospite di quest’anno i pregiati vini passiti del Sud Africa

Possibilità di menu convenzionati nei ristoranti locali

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Editrice: La Rassegna S.r.l., via Borgo Palazzo, 13724125 BergamoPresidente: Ivan Rodeschini

Direzione e Redazione: La Rassegna S.r.l.via Giorgio Paglia, 26 - 24121 Bergamotel. 035 213030 - fax 035 [email protected]

Direttore responsabile: Giuseppe RuggieriIn redazione: Anna FacciOpinionisti: Pier Carlo Capozzi, Enrico Rota

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Abbonamenti: www.larassegna.it - tel. 035 4120304

Registrazione Tribunale di Bergamo - N° 48 del 22 novembre 2001

Collaboratori: Michele Andreucci, Leo Bartoli, Marco Bergamaschi, Riccardo Lagorio, Laura Bernardi Locatelli, Pino Capozzi, Ettore Coffetti, Fulvio Facci, Alex Gabbi, Roberta Martinelli, Roberto Morandi, Lelia Parisi, Rossana Pecchi, Fabrizio Pirola, Pierluigi Saurgnani, Giordana Talamona, Donatella Tiraboschi

Impaginazione: Videocomp, BgStampa: Litostampa Istituto Grafi co, Bg

MARZO 2012

S O M M A R I O5

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PENNA ALL'ARRABBIATA

Felici per il "Premio in memoria di Arrigoni".

Che coppia se ricordassimo anche Veronelli

L'INTERVENTO

"Guerra" dei Pizzoccheri,

perché Bergamo non ha tutti i torti

IL BILANCIO

De.Co., a dieci anni dal lancio

"tradito" il progetto di Veronelli

LA NOVITÀ

Nasce a Treviglio la "Casa del Formaggio"

TENDENZE

La gastronomia piace.

Anche al supermercato

IL RISTORANTE

La Corte del Noce,

a tavola circondati dalla storia

L'EVENTO

Al Vinitaly torna la "Piazza Valcalepio".

Produttori e ristoratori a braccetto

L’EXPORT

La Cina e il vino,

"l'Italia non perda questo treno"

LOW COST

La nostra sfi da: mangiare

al prezzo di un buono pasto

IL PREZZO FISSO

La Gare, sosta con un tocco di classe

IN RASSEGNA SAPORI, GUSTI E PIACERI DEL TERRITORIO

I NOSTRI INSERZIONISTI

4R Gaudes, Il Cipresso, Florian Maison, Gelateria la Mimosa,Metalfrigor, Mostra nazionale Vini Passiti e da Meditazione,

La Rocchetta

www.affaridigola.it

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L’ E

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Felici per il “Premio in memoria di Arrigoni”.Che coppia se ricordassimo anche Veronelli

I tempi di consegna e di impaginazione, a volte, sanno essere davvero dispettosi.E’ il caso di questo numero e di questo articolo,

scritto giocoforza il giorno prima dell’evento che ce l’ha ispirato, ma che, essendo così appagante (l’evento, non l’articolo), non corre il rischio di cadere nell’oblìo.Nell’ambito della Fiera del Libro, a Calusco d’Adda, è stato assegnato il primo Premio in memoria di Fran-cesco Arrigoni, giornalista e critico enogastronomico scomparso improvvisamente l’agosto scorso.E la premiata, proprio nel giorno della Festa della Donna, è stata Petronilla Frosio, patronne del risto-rante “Posta” di Sant’Omobono Imagna e presidente dei Ristoratori Ascom bergamaschi.La notizia quindi ci ha reso doppiamente felici: per l’istituzione di un premio che ricordi Francesco e per chi questo premio ha meritato di ottenere.La perdita di Arrigoni continua a lasciare il segno perché con lui se n’è andato un giornalista di grande talento e, soprattutto, una persona davvero affi dabile e credibile, dal carattere non facilissimo, ma con un’e-tica raramente riscontrabile in qualsiasi redazione.Pensiamo con rammarico che, con l’apertura del “Cor-riere della Sera” a Bergamo, avremmo potuto leggere le sue osservazioni, le sue critiche e le sue indicazioni nel nostro settore, con il rigore ed il puntiglio che ne contraddistingueva lo stile. Sarebbe stato un arricchi-mento per tutti e una fonte di dibattito stimolante e vantaggioso.Antonella, moglie deliziosa, cercando di distrarre il suo dolore, lo descriveva come papà e marito affettuo-so, ma come critico tutto d’un pezzo, a costo di cac-ciarsi nei guai. Pensando a lei, nutriamo un imbaraz-zo notevole a scrivere che ci manca.Bravissimi quindi quelli che si sono ricordati di lui, mentre ci spiace veramente leggere righe di rammari-co per la mancata dedica a Francesco di una qualsiasi intitolazione nell’ambito del suo comune, Villa d’Ad-da, di cui era attivissimo consigliere.Una targa alla memoria su un sentiero del monte Canto, territorio che gli deve molto e che lo ha visto battersi con grande generosità, non sarebbe davvero

un’idea peregrina e così diffi cile da man-dare in onda. Baste-rebbe forse un mi-nimo di attenzione, unita alla voglia di superare steccati di appartenenza che, quando il risultato è per il bene della comunità, non hanno proprio ragione di esistere.E qui non può non tornare in mente il suo (ma anche nostro) grande maestro Gino Veronelli, colui che scelse Arrigoni come suo erede e al quale, a distanza di qua-si otto anni dalla scomparsa, Bergamo non ha senti-to ancora il bisogno di dedicare una via, nonostante l’immenso contributo offerto alla crescita del patrimo-nio enogastronomico e culturale di casa nostra.C’è arrivato Vigolzone, nel piacentino, a maggio del 2007: una via Veronelli che porta sui vigneti della Val-nure, che lui tanto amava e che aveva arricchito con le Denominazioni Comunali dei Tortelli con la coda e dei Fichi di Albarola, presto seguiti dalla Torta di pata-te e dalla Pancetta di paesi limitrofi .Noi l’abbiamo già lanciata, l’idea di una via col suo nome dalle parti dei Colli, dove abitava e dove si pos-sono trovare ancora contadini e fi lari di vite.Ma se anche qualche paese volesse fare il bel gesto, to-ponomastica permettendo, sarebbe davvero una gran-de notizia: pensiamo a Pradella di Schilpario (che lui adorava per le patate) oppure Covo per il raviolo no-strano. Facessero loro.E torniamo al Premio appannaggio di Petronilla Fro-sio nel giorno delle mimose. Conosciamo e stimiamo Nilla da tempo: lei e la sorella Luisa, una in cucina e l’altra in sala su in valle, formano un valido binomio. Dev’essere una prerogativa di famiglia, considerando che, a due sorelle lassù, rispondono due fratelli quag-giù, ad Almè, dove Paolo ai fornelli e Camillo in sala e in cantina offrono un’accoglienza professionale e piena di simpatia.Una famiglia vincente, insomma, in cui Nilla è una guida attenta e premurosa. Crediamo che Francesco, da lassù, abbia apprezzato la scelta.

[email protected]

PENNA ALL’ARRABBIATAdi Pier Carlo Capozzi

Affari di Gola marzo 2012

Con Francesco se n’è andato un giornalista di talento, affi dabile e soprattutto credibile

Francesco Arrigoni

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La Valtellina degli industriali alimentari e dei politi-canti ha da tempo capito che l’agricoltura non ser-ve, è un optional. Il business alimentare funziona

benissimo - anzi meglio - se si usa l’ingrediente purifica-to dell’immagine, della rappresentazione della montani-tà, della valtellinesità, per poi smerciare funghi, marmel-late, pizzoccheri, bresaole di zebù brasiliano, violini di capra spagnola (e in parte anche formaggi) prodotti con materia prima rigorosamente global. Hanno però trovato sulla loro strada un ostacolo che hanno a lungo sottova-lutato ma che si sta rivelando formidabile: i ribelli del Bit-to storico (Davide contro Golia). Ora sono incappati in un altro agguerrito avversario: un pastificio bergamasco che non ne vuole sapere di rinunciare a produrre “Piz-zoccheri valtellinesi”, con qualche buona ragione dalla sua, visto che lo fa da oltre mezzo secolo.Il Pastificio Annoni di Fara Gera d’Adda non da oggi con-testa il monopolio sondriese della produzione del “Piz-zocchero valtellinese” e lo ha fatto anche lo scorso 19 gennaio quando alla Camera di Commercio di Sondrio si è svolta la seduta per la presentazione del disciplinare dei Pizzoccheri della Valtellina Igp, già approvato dalla Regione Lombardia.

GRANO SARACENO E SFARINATI, LE “SVISTE” DEL DISCIPLINAREA parte il punto nodale della localizzazione della produ-zione che i sondriesi vogliono far coincidere con “tutta la provincia di Sondrio e nient’altro che la provincia di Sondrio”, qualcuno nel corso della seduta ha rilevato un errore macroscopico nella stesura del disciplinare laddove si precisa che la pasta è “derivata dall’impasto di grano saraceno e sfarinati”. Una dizione a dir poco imprecisa, dal momento che non si impasta il “grano”, ovvero gli acheni (granelli) ma la farina (detta “fraina” o “farina bigia”). E pensare che diverse istituzioni hanno “controllato”. Svista? Per nulla. La ratio dell’operazione industriale si regge su una materia prima a basso costo (è stata la “genialata” di Rigamonti valorizzare la carne dura e tigliosa dello zebù). Parlando di “grano saraceno”, gli industriali e i funzionari dei vari enti (Camera di Com-mercio, Provincia, Regione) hanno legittimato la formula industriale del Pizzocchero. In realtà il Pizzocchero Val-tellinese ne esce umiliato. Perché il disciplinare prevede praticamente tutti i formati prodotti dalla Moro Pasta (tranne i “fidelini del Moro”, un marchio aziendale che Moro si gioca per conto proprio).

SI GIOCA SULL’UTILIZZO DI MATERIE PRIME DI MINOR PREGIO Tagliatelle, gnocchetti, fettuccine tutto va bene. Tutto di-venta “Pizzocheri della Valtellina Igp”. Va beh. Ma almeno sono fatti di farina di grano saraceno? No, ecco il punto. Perché si parla genericamente di “sfarinati” (categorie di prodotti della molitura che comprendono anche le cru-sche)? Perché i Pizzoccheri industriali sono in realtà una preparazione pastaia di semolato (rimacinato) di grano

Il paradosso di rivendicare l’esclusiva per la provincia di Sondrio di un prodotto

industriale Igp che di “valtellinese”

ha quasi nulla. Più “tradizionale” e attento

alla qualità è semmai quello di Fara Gera d’Adda

“Guerra” dei Pizzoccheri,

perché Bergamo

non ha tutti i torti

L’INTERVENTO

Michele Corti, è ruralista, professore di Sistemi Zootecnici e pastorali montani all’Università

degli Studi di Milano. Dedica la sua attività allo studio, alla valorizzazione e alla

tutela dei sistemi zootecnici e pastorali alpini. Cura il sito www.ruralpini.it dove è possibile trovare la versione integrale dell’intervento sulla guerra del pizzocchero proposto in queste pagine. Il suo impegno per la difesa del Bitto storico è diventato un libro, I ribelli del

Bitto” per Slow Food Editore.

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di Michele Corti

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duro (attenzione non “semola” che è quelle di prima qualità) nella quale, oltretutto, possono finire anche de-gli sfarinati di qualità inferiore normalmente destinati ad uso zootecnico. Una preparazione “con” grano saraceno, quindi, e non di grano saraceno che entra nella misura del solo 30%. Questo se non si volesse turlupinare il con-sumatore. Ma non è finita. La componente di grano sa-raceno (ecco perché non si parla di farina!) è costituita anche da pula (ricca di fibra senza valore nutrizionale). Una bella differenza rispetto al “Pizzocchero di Teglio”, capitale del Pizzocchero Valtellinese dove l’impasto è realizzato con il 20-30% di farina di frumento tenero 00 e per il resto da farina di grano saraceno. Forse il Piz-zocchero Valtellinese industriale sarà più dietetico, ma è ben diverso da quello che si produce artigianalmente come pasta fresca. Si dirà che vi sono tanti prodotti Igp che non hanno nulla a che vedere con i loro antenati artigianali. Giusto. Ma se è un prodotto ad identità e razionalità industriale (del tutto legittime) per-ché volerlo legare a tutti i costi con un’area territoriale? E assegnargli dei blasoni storico-culturali che non ha, strumentalizzando denominazioni, tra-dizioni e culture (e persino innescando una ulteriore polemica - c’è già quella relativa al Bitto storico - con la vicina provincia di Bergamo). La ragione è semplice: per danneggiare la concorrenza. In modo poco corretto. I PIZZOCCHERI IN VALCHIAVENNA? TUTTA UN’ALTRA COSA Tutto da ridere, verrebbe da dire. Sì perché Moro non solo produce pizzoccheri secchi industriali “moderni” da minor tempo di Annoni, ma lo fa a Chiavenna dove il grano saraceno non è mai stato coltivato. Tanto è vero che non ne esiste traccia nella gastronomia del terri-torio. Se andate Chiavenna nei locali più “andanti” se chiedete “pizzoccheri” vi serviranno quelli “Valtellinesi” (ma sarebbe meglio dire “industriali”). Ma succede così anche in tutta l’area lariana e i Pizzoccheri sono scesi sino alla Brianza. Se, invece, andate in crotti e locali di cucina del territorio vi serviranno i “Pizzoccheri bianchi o chiavennaschi o al cucchiaio” fatti in casa perché non esistono fabbriche dedite alla loro produzione. Sono gnocchetti di farina bianca e nella preparazione, oltre al formaggio e al burro, si utilizzano le sole patate. Una bella differenza dai “Pizzoccheri Valtellinesi”, tagliatelle di grano saraceno (in parte) preparate con vari ortaggi! Il tutto si spiega storicamente con la maggiore facilità di accesso del frumento in Valchiavenna che è orientata Nord-Sud, a differenza della Valtellina che segue la diret-trice Est-Ovest. Ma procediamo. Abbiamo appurato che il maggior pro-duttore di “Pizzoccheri Valtellinesi” (e presidente del Comitato che ne rivendica la Igp per la Provincia di Son-drio) non ha sede e stabilimento in Valtellina ma in un’al-

tra valle dove non esiste alcuna tradizione storica di uti-lizzo del grano saraceno e tanto meno dei “Pizzoccheri Valtellinesi”. Poi non si può sottacere come la farina che utilizza viene molita in Brianza (non tanto distante dal pastificio Annoni) ed è ottenuta da grano saraceno ci-nese (o forse anche vietnamita). Annoni, invece, utilizza farina molita a Teglio (patria indiscussa dei “Pizzoccheri Valtellinesi” - tanto è vero che è sede dell’Accademia del Pizzocchero) presso il Molino Tudori, con grande tradi-zione nella lavorazione del “saraceno” che, attento alla qualità, fa venire dalla Germania (ed è quindi di origine comunitaria quantomeno).

IL RISCHIO È DISPERDERE GRANDI VALORI

È poi facilmente dimostrabile come il saraceno fosse ampiamente diffuso nell’Italia setten-

trionale (come in varie parti d’Europa) prima della rivoluzione alimentare co-lombiana. Tutti ricordano la “polenti-na bigia” di Tonio nei Promessi Spo-si in zona milanese (oggi lecchese) confinante con la Bergamasca.

Con queste premesse, è ben chiaro che le opzioni possono essere solo due.

O si chiede la protezione per il Pizzocche-ro di Teglio (l’Accademia di Teglio ha chiesto la Stg

ma pare “ferma”, intuiamo per non disturbare l’iter della ben più remunerativa Igp) o la pretesa di far coincidere con il territorio della Provincia di Sondrio le varie pre-parazioni “con grano saraceno” di varia forma, formato e datazione è assolutamente infondata perché le prepa-razioni a base di grano saraceno erano diffuse anche in altre aree. E allora a che pro industriali e politici sondriesi si ap-pellano a documenti secolari (che sono poi quelli che figurano sul retro delle confezioni dei Pizzoccheri Valtel-linesi di Annoni)? Non serve solo a mescolare le carte e a intorbidare le acque? L’orizzonte “storico” delle Dop e Igp, è bene ricordarlo, è quello di “venticinque anni di tradizione”. Il pastificio Annoni, da questo punto di vista, può vantare multipli di questo lasso temporale oltre al fatto di aver conferito al Pizzocchero industriale la sua forma attuale e maggiormente diffusa a “tagliatella corta”.Annoni parla di “tradizione lombarda”, per gli industriali sondriesi è “Valtellinese”. Ma con i Pizzoccheri moderni tutto ciò cosa c’entra? E poi cosa c’entra la tradizione del grano saraceno del XVII secolo con i pizzoccheri industriali fatti al 75-80% di grano duro? Con gente che usa “tipicità”, “storia”, “cultura”, dimensio-ne territoriale, identità in una sorta di gioco delle tre tavolette si rischia di disperdere grandi valori. La Pro-vincia di Sondrio di patrimoni agriculturali ne ha molti. Ma questa “lobby” industrial-istituzionale (in ciò poco responsabilmente assecondata per “automatismo buro-cratico-istituzionale” dalla Regione) li sta distruggendo. E la parabola della bresaola passata in mani brasiliane è lì a raccontare dove si va a finire.

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7Affari di Gola marzo 2012

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“Pregevole produzione di frutta e verdure; in particolare, di sedani

che, per eccellenza, dovrebbero aver diritto a denominazione d’o-rigine”. Così scriveva Luigi Vero-nelli, nel lontano 1968, sulle “Gui-de all’Italia piacevole” nel volume dedicato all’Umbria e alle Marche.Sulle denominazioni di origine i fari dell’interesse pubblico si sa-rebbero accesi solo decenni più tardi, con il diffondersi di Dop ed Igp (Doc e Igt nel mondo del vino). E questo conferma come il compianto giornalista berga-masco di genialità ne avesse da vendere. Con le sue intuizioni e definizioni nel campo dei prodotti alimentari, aveva precorso i tempi. L’ultima sua battaglia - quella che forse sentiva più intima perché era investito di un compito intuito come una vera e propria missione - fu quella dedicata alle Denomina-zioni Comunali (De.Co.). Veronelli partiva dal concetto che, per garantire futuro alle nostre produzioni alimentari, intrise di storia e tradizioni, non sarebbero state sufficienti le protezioni co-munitarie, ma bisognava ripartire dal basso, dal campo, da un terri-

torio circoscritto, dal cru. L’omo-logazione di vaste aree del territo-rio ad un metodo di produzione o ad un’omogenea materia prima avrebbe condotto ad un generale impoverimento della cultura ma-teriale di una nazione multiforme e complessa, oltretutto giovane, come l’Italia. Con la Denominazio-ne di Origine Comunale, ciascuna contrada sarebbe stata chiamata a fornire il pro-prio contribu-to in merito a memorie, gusti, odori per creare, sommata si-nergicamen-te alle altre mi-gliaia, un unicum da proporre al turista e grazie alle quali vivere. È pure vero che le sensibilità e l’interesse rimasero sopite per lungo tempo, ma il 12 giugno 2002 fu adottata la prima Denominazione Comuna-le, nel Bresciano, con la complicità di Riccardo Lagorio, uno dei suoi ultimi allievi. L’Italia dei Comuni esplose. La curiosità nei confronti di uno strumento di facile applica-bilità, il crescente richiamo che i

prodotti locali stavano suscitando in un numero sempre maggiore di consumatori e la visibilità - del Co-mune e dei singoli amministratori - ottenuta tramite sforzi e risorse relativamente contenuti, furono le molle che spinsero numerosi enti locali ad istituire la De.Co. Accanto all’entusiasmo che seguì nei primi mesi del progetto, vi fu-

rono interpretazioni fuori luo-go degli obiettivi che ci si

erano proposti almeno sotto due aspetti. In-nanzitutto con l’idea che la De.Co. dovesse cercare nella legisla-

zione europea la propria ragione d’essere, ignoran-do che il diritto

europeo è praticamente estraneo alla genesi delle logiche della De-nominazione Comunale; altri inve-ce non colsero il significato della concreta tutela di cui si sarebbe giovato l’impianto, se la Deno-minazione fosse stata concepita come un marchio collettivo. Così molti sindaci adottarono la De.Co. più come strumento funzionale ad un aspetto folclorico che per una reale tutela del prodotto in sé.

Avrebbero dovuto tutelare le produzioni tipichedi un comune, eppure a Bergamo nessuno ha applicato la Denominazione rispettando le poche e semplicissime regole previste dal marchio

De.Co., a 10 anni dal lancio "tradito" il progetto di Veronelli

IL BILANCIO

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Luigi Veronelli

I ravioli di Covo

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9Affari di Gola marzo 2012

Inoltre, tradendo di fatto il signifi-cato stesso della Denominazione Comunale, vi fu un’esplosione di decreti fotocopiati e passati da un Comune all’altro, ridimensionan-do l’aspetto peculiare di ciascu-no, ma soprattutto tralasciando l’aspetto più interessante della trouvaille veronelliana: la garanzia giuridica conferita a quei prodotti che non possono aspirare ad altre

forme di tutela poiché elaborati su scala ridotta, ovvero che rap-presentano l’autentica relazione tra cibo e territorio. Peraltro in Europa prosperano moltissimi esempi di De.Co. (non si chiama-no così, ovviamente, ma la sostan-za non cambia) e basta affacciarsi in qualsiasi supermercato tedesco o francese per rendersi conto che l’indicazione geografica contrad-distingue centinaia di prodotti alimentari. Ovviamente non è una semplice delibera di consiglio co-munale che può difendere ade-guatamente, per stare nel Berga-masco, il raviolo nostrano di Covo. Spulciando in internet, si trova un po’ di tutto. Dalle ottime (e riconoscibilissi-me) patate di Martinengo - che hanno una tradizione cui la De.Co. è ancillare e che ricadrebbero di fatto nella fattispecie da tutelare - a una nuova linea di prodotti de-finiti “Melgotto”, che hanno dato origine a questa iniziativa che il Comune di Gandino richiama nel-le sue pagine istituzionali. Come una nuova linea di prodotti possa rientrare nel concetto di tutela della cultura, della storia e delle tradizioni di un territorio rimane un enigma… Curioso quanto invece si legge nel sito della Pro Loco di Rovetta: “Nel 2011 è stato invece deliberato il marchio De.Co. (Denominazione Comunale) per il mais rostrato rosso di Giovanni Marinoni, il coltivatore che nei decenni ha preservato una qualità di mais tipica del territorio rovettese con caratteri-stiche così uniche che si è giustamente rite-nuto di doverle salva-guardare”. Una varie-tà di cereale diventa quindi riconoscibi-le con il nome di chi, si legge, l’ha preservato…Al di là quindi di ogni ragionevole dubbio e contro-versia, a dieci anni

dai primi passi, serve perciò una effettiva svolta di tipo culturale da parte dei Comuni che hanno creduto di adottare la De.Co., im-piegando le procedure idonee a tutelare effettivamente i loro pro-dotti attraverso quattro semplici adempimenti:• Redazione di un disciplinare

contenente nome del prodotto, zona di produzione, caratteristi-che dello stesso e tecniche pro-duttive;

• Deposito del marchio con alle-gato il regolamento d’uso e so-prattutto il sistema sanzionato-rio;

• Organizzazione dei controlli;• Concessione del marchio a be-

neficio di soggetti interessati che hanno superato i controlli.

Al momento nessuno dei Comuni che abbiamo sentito ha applicato queste quattro semplici regole. Se ne può dedurre che, sconsola-tamente, nel Bergamasco, nessun Comune abbia decretato con suc-cesso e a favore della effettiva tu-tela dei propri prodotti e del pro-prio territorio la Denominazione Comunale…. Un bilancio davvero amaro.

Che cos’è1. È un marchio di qualità che

certifica la provenienza di un determinato prodotto (del comparto enogastro-nomico o artigianale) da un determinato territorio

2. È regolamentato dalla legi-slazione che norma i mar-chi collettivi

3. Non è incompatibile con le Denominazioni Europee (Dop, Igp...)

4. È un ottimo strumento per valorizzare un determi-nato territorio. Si presta a molteplici opportunità di marketing territoriale ed è un serio lavoro di analisi e censimento per individua-re quali sono i prodotti che rappresentano il territorio stesso

5. Può precisare come un prodotto viene elaborato e può valorizzare metodi tradizionali al fine di accre-scere il senso di apparte-nenza di una comunità

6. Gli attori che devono esse-re coinvolti dall’Ammini-strazione Comunale sono gli allevatori, i produttori, i ristoratori (autentici amba-sciatori del territorio) at-traverso lo sviluppo di una sinergia volta alla valorizza-zione del territorio

rritorio rimane

ece si legge nel di Rovetta: “Nel e deliberato il

Denominazione mais rostrato Marinoni, il i decenni

qualità di rritorio tteri-

che te-va-e-a

Riccardo Lagorio

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Affari di Gola marzo 201210

Ha sempre avuto la passione per i dolci, tanto che gli amici

le chiedevano di prepararli per le occasioni speciali. Ora ha trovato il luogo giusto per farla diventare la sua attività e soddisfare al con-tempo i più svariati desideri dei golosi. Unendo il suo gusto perso-nale alle idee raccolte viaggiando, Milena Magri ha aperto dallo scor-so ottobre a Chiuduno, sulla pro-

vinciale, la caffetteria e pasticceria Gardenia, in poco tempo diventata un punto di riferimento per chi vuole concedersi piccoli piaceri in un ambiente raffinato. «Il locale ricorda in molti tratti una casetta – racconta Milena -, con tanto di imposte che segnano il passaggio verso la balconata e la veranda, inserite in un’ampia zona vetrata. È un modo per sottolineare il de-

siderio di accogliere e coccolare i clienti, di farli sentire graditi ospiti. Ci sono tre diversi spazi, ognuno caratterizzato da un tocco diverso, per un totale di una cinquantina di posti». In primo piano dolcezze di ogni tipo, accompagnate dalla caffette-ria e da una selezione di tè, anche biologici. Per la colazione o la me-renda - ma anche per qualsiasi altro

Gardenia, «coccolare i golosi è la nostra missione»

La filiera bergamasca dei prodotti caseari vale il 4% della produzione nazionale, il 10% di quella lombar-

da e ben 8 Dop - che potrebbero a breve salire a 9 con la consacrazione dello Strachitunt nel Gotha dei formaggi - per un giro d’affari di 700 milioni di euro. Il convegno dedicato al formaggio italiano dal titolo “Il sapore del ter-ritorio incontra la qualità e vince nel mercato”, promos-so dall’Associazione Promozione del Territorio lo scorso 21 febbraio alla Fiera di Bergamo, ha tracciato un ritratto della realtà imprenditoriale con cuore bergamasco, at-traverso la voce e l’esperienza di chi ha lanciato alcune proposte per valorizzare la tradizione contadina e l’abili-tà artigiana e rendere i nostri prodotti protagonisti, sulle tavole come nei mercati. Massimo Taddei di Fornovo San Giovanni, produttore del taleggio all’antica che si riconosce dalla mano del ca-saro e presidente del Consorzio Taleggio, ha sottolinea-

to il valore della tradizione bergamasca e di un prodot-to mal copiato in altre regioni e perfino all’estero, dalla Germania all’Ucraina: «Abbiamo un patrimonio tutto da valorizzare – ha ricordato -, anche attraverso manifesta-zioni e saloni del gusto in grado di puntare i riflettori sul-la qualità. La ricetta per traghettare oltre la crisi i nostri prodotti è unirsi e impegnarci per un obiettivo comune: quello di dare valore al territorio. Un contributo impor-tante potrebbe venire da un’alleanza tra produttori e ri-storatori, a sostegno della filiera corta e all’insegna della filosofia del chilometro zero. Sarebbe un segnale impor-tante vedere nei menù indicati i produttori, invece trop-po spesso manca perfino il carrello dei formaggi al risto-rante, che in Francia è sempre presente». Francesco Maroni della Latteria Sociale di Branzi ha invece evidenziato l’esigenza di valorizzare la montagna, e l’arte casearia che da sempre contraddistingue l’al-

IL CONVEGNO

«Più sinergie per valorizzare il patrimonio Collaborazione tra le aziende, alleanza con i ristoratori e impegno su marketing e comunicazione sono le ricette emerse dal confronto tra gli imprenditori in Fiera

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momento della giornata, visto che l’assortimento è garantito fino a tardi - si può contare, ad esempio, su una quindicina tra croissant, veneziane, trecce, tortine, krapfen, sfoglie e sulla brioche del giorno, sempre diversa e un po’ più ricca e ricercata del solito. Ampia è anche la scelta di biscotti (i bambini van-no matti per le frolle con la glassa che riproducono i personaggi dei cartoni animati), della pasticceria mignon, con paste classiche e in-novative, delle torte tradizionali o moderne e poi ancora semifreddi, bavaresi, senza dimenticare i bi-

scotti preparati con farina di riso, latte di soia e miele, ideali per chi ha intolleranze, o le torte ed i se-mifreddi per le persone celiache. «I dolci vengono realizzati da un laboratorio che li prepara secondo le nostre indicazioni – continua la titolare –. Abbiamo creato anche la torta Gardenia, simbolo del locale, ricoperta di cioccolato bianco con una “G” in fondente e greche. Un settore che stiamo sviluppando è infatti quello delle torte decorate, in “stile americano” per intenderci, quelle glassate e arricchite di detta-gli grafici e guarnizioni, che non si trovano dappertutto ma sono mol-to apprezzate per celebrare eventi e ricorrenze». L’attenzione al cliente che ha ispi-rato la struttura si ritrova nelle proposte. L’ora della merenda, ad esempio, è stata pensata un po’

come l’happy hour e ordinando un tè o un cappuccino si possono assaggiare liberamente dall’alzata biscotti, fettine di torta, frittelle. An-che la colazione del sabato e del-la domenica permette di togliersi qualche sfizio in più, con un buffet dolce e salato che comprende an-che affettati e yogurt (al costo di 4.50 euro). Per l’aperitivo entrano in campo salumi e formaggi sele-zionati, soprattutto toscani in ac-cordo la scelta principale dei vini, e si sta pensando anche al pranzo introducendo piatti di freddi, insa-late e primi. Nel locale è anche pos-sibile acquistare bottiglie, tè, miele e confetture in confezione regalo. Gardenia è aperto dal martedì alla domenica dalle 7 del mattino alle 19.30. Con la bella stagione propor-rà anche il gelato e probabilmente prolungherà leggermente l’orario nel fine settimana. «Lavoravo in uf-ficio – conclude Milena Magri - ma occuparmi di dolci è sempre stata una mia aspirazione. In questo lo-cale, favorito dal passaggio e da un comodo parcheggio, ho finalmen-te trovato le condizioni ideali per dare forma alle mie idee».

GARDENIAvia Trieste 36 - Chiudunotel. 035 838834chiuso il lunedì

ta quota, attraverso sinergie tra le aziende, con lo stesso spirito che animò la creazio-ne della cooperativa da parte del nonno nel secondo dopoguerra: «Abbiamo grandi Cru nelle nostre valli, piccole produzioni di ele-vata qualità, che sappiamo produrre al me-glio e che il nostro territorio deve valoriz-zare in quanto parte integrante della nostra cultura. Il formaggio è il prodotto principe delle Orobie, tutto da promuovere anche a livello turistico attraverso ricette tradizio-nali e innovative proposte nei nostri risto-ranti». E la ristorazione di qualità può far molto per valorizzare un prodotto, come insegna a Soriso Luisa Valazza con la sua battaglia di promozione del Bettelmatt, ricordata da Pa-olo Massobrio. Guido Zanetti di Zanetti Spa, azienda di riferimento del Grana Pada-no che deve all’export il 50% del fatturato (visto che il 30% delle forme di grana pada-

no e parmigiano reggiano italiane partono da quest’industria casearia dal cuore e dalla mente bergamasca doc, con sede per la pro-duzione a Marmirolo, in provincia di Manto-va) ha fatto il punto sulla produzione e sulle tendenze del mercato. Quando i numeri di-ventano importanti, la costanza del prodot-to rappresenta il punto di partenza per con-quistare consumatori e tenerli legati a sé nel tempo. «Il mercato richiede una pasta dal colore bianco e non paglierino – ha rilevato -, così per soddisfare le richieste dei consu-matori lavoriamo più latte invernale che e-stivo». Questione di immagine, di colore, ma anche di marketing, che ormai rappresenta la voce più onerosa d’impresa: «Il gap con i grandi gruppi che investono da multinazio-nali in comunicazione diventa sempre più rilevante ed è sempre più difficile stare sul mercato e conquistare nuove quote».

l.b.l.

caseario bergamasco»

Massimo Taddei

Guido Zanetti

Francesco Maroni

A Chiuduno la passione per i dolci è diventata un locale, che fa dell’accoglienza e della varietà

delle proposte il suo biglietto da visita. Tra le novità le torte decorate in “stile americano” e la merenda con assaggi

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Una casa tutta dedicata al mondo del formag-gio: in una parola un Palaformai. Spazio fisico ma anche icona ideale di un territorio, di un

prodotto simbolo della Bergamasca. Che la provin-cia avesse bisogno come l’aria di far sapere al mon-do che, ebbene sì, è la terra campione, primatista nazionale di Dop e di piccoli ma inimitabili gioielli caseari di nicchia, era pacifico. Progressi e comuni-cazione hanno sempre marciato in ordine sparso in questi anni: si sono perse tante occasioni che avreb-bero meritato visibilità e anche per questo il mercato non ha adeguatamente premiato un comparto che nel frattempo diventava sempre più importante, che portava a casa onori e medaglie anche nei più celebri concorsi internazionali. Ora il sogno si avvera a Tre-viglio, con questa struttura moderna e accattivante, ideale per far crescere un intero movimento, per far

uscire una provincia allo scoperto con i suoi prodot-ti bandiera e provare a conquistare il pianeta. Non è mera ambizione ma esigenza: se nei prossimi anni non assisteremo a un corposo salto di qualità, i no-stri caci rischieranno di venire fagocitati se non dai prodotti dei mercati emergenti, dallo tsunami delle debordanti imitazioni. Secondo dati recenti forniti da Assolatte, il giro d’affari del lattiero caseario è il 4% del totale italiano che vale 15 miliardi di euro. Con l’indotto quindi la filiera orobica arriva a pesare oltre 700 milioni di euro, con 800 allevamenti e oltre 4mila addetti, una cifra enorme che spesso l’opinione pub-blica tende a sottovalutare, così come gli opinion ma-ker che rilevano, guardando sempre altrove, i punti di forza dell’economia di questa provincia. Lo sanno bene i consorzi che hanno aderito ad Alti Formaggi (Provolone, Taleggio, Quartirolo e Salva), primi prota-gonisti di questa nuova avventura che può cambiare i destini o la cultura del principe dell’agroalimentare orobico. Diciamola tutta: i tempi sono ormai maturi perché produttori e grossisti, affinatori, commercianti e le migliaia di appassionati che affollano locali alla ricerca della forma da sogno trovino un luogo, un ri-fugio, dove poter discutere, e magari anche litigare, sui futuri destini del comparto lattiero caseario. Il progetto “Casa del Formaggio” è già in fase di avvio dei lavori (saranno ultimati entro fine aprile) in via Roggia Vignola (attuale sede di Alti Formaggi). Sarà realizzato un ampio salone di circa 250 metri quadri con possibilità di una cinquantina di posti a sedere, uno spazio espositivo, attrezzature per cooking show (prova di abbinamenti e ricette), possibilità di pro-iezioni di filmati. E degustazioni: tante degustazioni mirate, con al centro tutti i grandi protagonisti del pa-norama caseario non solo locale, ma anche nazionale e internazionale. “La nostra - assicura il presidente di Alti Formaggi, Gianluigi Bonaventi - è un’esperienza ricca di suggestioni, nella quale il gusto si trasforma in un viaggio che permette agli appassionati di scoprire

Entro aprile la fi ne dei lavori nella sede di via Roggia Vignola, grazie ai Consorzi che aderiscono ad “Alti Formaggi”. L’obiettivo dichiarato: far crescere un intero movimento, far uscire una provincia allo scoperto con i suoi prodotti bandiera e provare a conquistare i mercati

Nasce a Trevigliola “Casa del Formaggio”

LA NOVITÀdi Leo Bartoli

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e vivere i colori delle stagioni, sentire i profumi, ascol-tare la gente ed assaporare la vita. Per questo avevamo bisogno di una “casa” che racchiudesse queste emo-zioni”. “Gli obiettivi della Casa del Formaggio - spiega il direttore di Alti Formaggi, Vittorio Emanuele Pisani - sono molteplici e puntano, con modalità diverse alla valorizzazione dei prodotti, attraverso una conoscen-za più approfondita, una migliore applicazione in cu-cina e ad una serie di abbinamenti, non consueti, per suggestionare il pubblico coinvolto”. “L’apertura al mercato è l’unico atteggiamento possibile - aggiunge Libero Stradiotti, presidente del Consorzio del Provo-lone Valpadana -, l’unica scelta per poter sopravvive-re: questa è la nostra via, la nostra missione. Lottiamo per mantenere la qualità dei nostri prodotti, ci cre-diamo, pensiamo che sia utile e vantaggioso per tutti. La Casa del Formaggio diventa lo specchio di questa volontà ed apre le proprie porte sia a collaborazioni con altri operatori del settore che alla disponibilità di fornire supporto al consumatore evoluto e curioso”. “Un progetto così ambizioso come quello della Casa del Formaggio - spiega il presidente del Consorzio Ta-leggio Massimo Taddei - rappresenta un momento di sintesi del nostro impegno collegiale: abbiamo biso-gno di tutte le energie positive possibili per far decol-lare a livello internazionale il formaggio bergamasco e questo spazio può diventare lo spartiacque per un nuovo corso a livello d’immagine e di promozione”. “L’iniziativa legata alla Casa del Formaggio - conclude Stefano Dragoni, presidente Consorzio Tutela Salva Cremasco - diventa assolutamente strategica, oltrechè per le iniziative legate alla promozione, per quelle at-tività di formazione degli operatori e di informazione ai consumatori, che potranno misurarsi direttamente con le espressioni produttive di una tradizione che va coltivata in tutti i suoi aspetti”. Il conto alla rovescia per l’inaugurazione è partito: vedremo se con questa rivoluzione nascerà un futuro diverso per il formag-gio bergamasco.

È frutto dell'incontro di due prodotti di alta qualità: il latte delle capre camosciate e il miele di castagno. Si tratta del Capriele, il nuovo formaggio prodotto da Fabio Bonzi, giovane allevatore di Piazzegotto di San Giovanni Bianco. "L'idea di sperimentare il Capriele - spiega il produttore - è nata durante un viaggio studio nella provincia di Asti organizzato da Giovani Impresa Coldiretti Bergamo che mi ha dato la possibilità di ve-dere un'azienda dove si produce un formaggio simile. Dopo aver fatto alcune prove, sono riuscito a trovare la ricetta giusta e a ottenere un formaggio molto parti-colare, dal gusto delicato e con un perfetto equilibrio tra il dolce e il salato. Per ora ne ho realizzato piccole quantità, ma penso di produrne di più perché ha ri-scosso molti consensi".I formaggi caprini sono particolarmente apprezzati perché hanno pochi grassi e sono facilmente digeribi-li. Nella Bergamasca il loro consumo è sempre più dif-fuso e anche il loro peso sull’economia provinciale sta diventando via via più significativo. "Per me è molto importante proporre sempre delle no-vità - dice Bonzi - perché i miei clienti sono alla ricer-ca di sapori diversi. Acquisto il miele da un apicoltore della zona perché voglio mantenere il legame con il territorio. Per essere competitivo mi devo distingue-re e interpretare con creatività la filiera agricola tutta italiana".Il Capriele va ad aggiungersi ai 12 formaggi prodotti dall’azienda, una selezione molto variegata che va dai formaggi stagionati con varie forme ai formaggi con a-romi naturali come il peperoncino, il carbone vegetale, erbe e spezie di vario genere. Bonzi produce i caprini in un caseificio aziendale an-nesso alla stalla realizzata completamente in legno do-ve alleva 70 capi di capre camosciate. La sua azienda ha anche un punto vendita associato alla rete di Campa-gna Amica. “Le idee e la creatività sono importanti per battere la crisi - commenta il presidente di Coldiretti Bergamo, Alberto Brivio - così come sono importanti l’entusiasmo e la voglia di sperimentare dei giovani a-gricoltori. Questo nuovo formaggio non rappresenta solo un nuovo sapore ma anche un nuovo modo di in-terpretare la rinomata tradizione casearia bergamasca, un tratto della cultura del nostro territorio che il mondo agricolo contribuisce ad esaltare”.In provincia di Bergamo sono un centi-naio gli allevamenti di capre, di cui 40 hanno un’ipostazione professiona-le e sono dotati di caseificio per la produzione dei formaggi. Le capre in lattazione sono circa 2.500.

Latte di capra e miele: ecco il “Capriele”

stro territorio che il ad esaltare”.o un centi-di cui 40 iona-er

Un rendering della "Casa del Formaggio"

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L’APERTURAdi Giordana Talamona

Sommelier e docente di “Scienze e tecniche alimentari” all’Istitu-

to Alberghiero di Clusone, Valeria Giudici ha le idee chiare sul mondo dell’enogastronomia. “Ho sempre amato il vino - spiega - ma più ne approfondivo le tematiche, più mi rendevo conto che era un mondo elitario, popolato da vip e piccoli produttori”. Da questa sua consape-volezza e dall’evoluzione di una pas-sione, è nato Artigianbeer, un luogo d’incontro a Ponte Nossa, dove sco-prire le birre artigianali italiane. “Un

mondo ben diverso da quello del vino - commenta -. Non si devono sborsare milioni di euro per com-prare delle vigne vicino a Bolgheri, non ci sono limiti, la fantasia del ma-stro birraio può garantire prodotti sempre nuovi e diversi. Guardando-mi in giro, tuttavia, da consumatrice, non trovavo un luogo che sapesse esaltare e spiegare le birre in ma-niera professionale. Mi domandavo come mai la birra piacesse a tutti, ma fosse difficile da trovare o con-servata male. Mancava un luogo di

conoscenza condiviso sulle birre ar-tigianali italiane, per questo mi sono messa in gioco”. Settore da “veri machi”, quello delle birre, da partita di calcio e pizza tra gli amici. Eppure pochi sanno che la storia delle birre nasconde un ani-mo tutto al femminile. “Fino all’in-dustrializzazione - spiega Valeria Giudici - erano le donne a detenere le ricette di produzione delle birre, custodi di un’arte antichissima che in seguito, è andata via, via scompa-rendo. Oggi quell’arte è stata risco-

Docente di Scienze e tecniche alimentari, Valeria Giudici ha aperto un beershop, con vendita anche online, per esaltare il valore dei prodotti italiani

La birra artigianaletrova casa a Ponte Nossa

“Tutti gli oli extravergini d'o-liva sono di prima spremi-

tura perché non ne esiste una se-conda”. Così esordisce Marco An-tonucci (giornalista, assaggiatore professionista con qualifica di Capo Panel Internazionale) che con il collega architetto, Paolo Oscar (storico) nei giorni scor-si ha presentato il libro “Oli-

vicoltura in provincia di Bergamo - Storia, tecnica e futuro di una coltura di fron-

tiera”, realizzato per conto della Provincia di Bergamo. “Scrivere che un olio è a bassa acidità è inutile perché tutti gli oli extravergini sono per legge a bassa acidità

e filtrare l’olio è fondamentale perché il mosto e cioè il non filtrato irrancidisce più velocemente. Ecco, questo abbiamo scritto nel libro - afferma Antonucci -. Non un manuale tecnico, ma un’analisi critica che, rivolgendo-si ai tecnici, agli olivicoltori, ai frantoiani, agli storici, ai consumatori ma anche e soprattutto ai curiosi, raccon-ta l’olivicoltura in provincia di Bergamo in tutti i suoi aspetti”.I capitoli del libro infatti sono in buona parte “rispo-ste” più o meno articolate alle domande che frequen-temente sono state poste in questi anni nei corsi e nei convegni dedicati all’olio, a cui gli autori hanno preso parte. In particolare, nella prima parte, che è di caratte-re storico-statistico, si racconta l’evoluzione quantitati-va e localizzativa degli oliveti nell’arco degli ultimi due

IL LIBRO

L’olio bergamasco ora è senza segretiNel volume di Marco Antonucci e Paolo Oscar un’analisi critica dell’olivicoltura orobica e uno spaccato sui metodi di produzione e conservazione

L’APEdi Gio

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perta, nascono sempre più spesso piccoli birrifici artigianali, ma que-sto è considerato ancora un mon-do maschile. Se una donna dice di bere vino, è raffinata, se beve birra, è un maschiaccio. È su questo falso mito che vorrei lavorare. La birra è democratica, alla portata di tutti, ma non per questo dev’essere conside-rata “dozzinale” o meno elegante di un vino. Esistono birre dal bouquet complesso, che si possono abbinare a tutto pasto, alcune di raro pregio che possono accompagnarsi degna-mente ai dessert. Tuttavia la maggior parte degli italiani non lo sa. Per questo ho selezionato 150 tipologie di birra, da 21 birrifici italiani, su cui voglio puntare per spiegare la com-plessità del mondo delle birre. Oltre al negozio, le birre saranno acquista-bili anche sul nostro store on-line”.

secoli per ogni comune dove è documen-tata la presenza dell’ulivo, basandosi sulle statistiche ministeriali e dell’Istat, mante-nendo come riferimento il comune am-ministrativo.Nella seconda parte invece vengono af-frontati i metodi di produzione e con-servazione dell’olio ed analizzate le mo-derne tecniche di coltivazione dell’olivo che possono essere messe in atto della provincia di Bergamo. Un’analisi che non è una semplice raccolta di informazioni sull’olivicoltura e la produzione dell’o-lio ma è un’esposizione critica che, par-tendo dalle descrizioni agronomiche di dettaglio del 1826, racconta come è cam-biato il modo di fare olio nella nostra provincia negli ultimi duecento anni. Un

confronto che, attraverso dati scientifi-ci e semplici esempi a volte di caratte-re discorsivo, mostra come la tradizione sia ancora molto radicata nel processo produttivo dell’olio bergamasco e co-me spesso ancora oggi inibisca lo svi-luppo di quelle potenzialità proprie di un prodotto di nicchia quale è, offrendo una serie di indicazioni per orientare le scelte dei prossimi anni affinché non vengano ripetuti gli sbagli del passato e si produca quell’olio poco amaro, poco piccante, equilibrato, molto gradevole, dal profumo tipico di mandorla, banana e erba appena falciata con sentori frut-tati molto leggeri, il cui grande pregio è l’ elevata percentuale di acido oleico, il cosiddetto “grasso buono”.

Olivicoltura in provincia di Bergamo Storia, tecnica e futuro di una coltura di frontieraRitirabile gratuitamente presso la Provincia (settore Agricoltura) in via Calvi 10, Bergamo

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• Verdure in carpione e Mama Kriek Baladin. La vena acida e frutta-ta di questa Kriek riesce ad abbinarsi alle note di aceto del piatto.

• Lasagna ai carciofi con Stoner Brùton. È una birra cremosa e leg-germente speziata che non va ad accentuare le leggere note amare del carciofo, ma sostiene la ricchezza del piatto.

• Agnello arrosto con salsa al pepe rosa con Filo Forte Pasturana. Si tratta di una Tripel che con le note di frutta secca e sentori affu-micati ben si sposa con le note caramellate dell'agnello al forno e la leggera speziatura.

• Crostatine di ricotta e gocce di cioccolato con d'Oro Abbà. Una birra bionda ma calda e con sentori di cacao, che non copre la deli-catezza della ricotta.

Gli abbinamenti consigliati da Valeria Giudici

Paolo Oscar e Marco Antonucci

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Single, anziani, ma anche famiglie alle prese con i ritmi frenetici del quotidiano ricorrono sempre più spesso ai piatti pronti.Aggiungerli al carrello della spesa è comodo e nei punti vendita la gamma delle proposte si amplia

La vaschetta salva la pausa pranzo (occasione in cui fa spesso e volentieri anche da

piatto da portata alla faccia del ser-vizio in porcellana), risolve il menù domenicale ed esorcizza l’incubo di vedere trasformarsi la cucina in una friggitoria (magari aromatizza-ta al baccalà o al calamaro) o in una fumeria turca, con l’arrosto lasciato per distrazione bruciare nel forno. La diffusione di un nuovo model-lo familiare sempre più ristretto, single che senza mamma in cucina non sanno a che Santo votarsi e rit-

mi di vita frenetici, con donne sem-pre più in tailleur e meno “rezdore”, “cesarine” e “sòre” o “sciure” stanno provocando un grande cambiamen-to nel carrello della spesa. Le vaschette di piatti pronti diven-tano spesso e volentieri la via per dare una declinazione più varia al solito piatto di pasta o alla bistecca alla piastra che rende il ménage familiare più triste della minestra riscaldata da cui tutti siamo sempre stati messi in guardia. La clientela del banco gastronomia dei super-mercati è varia, ma è in crescita

specialmen-te negli iper-mercati, anche se registra buoni risultati anche nei punti vendita più piccoli che hanno scelto di dedicare risorse importanti al re-parto e che riescono a salvare il fatturato grazie ai piatti pronti. Con

La gastronomia piace.Anche al supermercato

TENDENZEdi Laura Bernardi Locatelli

ritmi frenetici ti pronti.

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specialmen-te negli iper-mercati, anche se registra buoni risultati anche nei punti vendita più piccoli che hanno scelto di

Affari di Gola marzo 201216

Negli stabilimenti di produzio-ne di Limito si realizzano i Pronti

in Tavola, la linea completa di piatti pronti Esselunga che segue stagioni e ricorrenze. A Natale e

Pasqua è infatti possibile ordinare un menù su misura come nella classica gastronomia di fiducia o affidarsi ai piatti pronti che seguono i menù della tradizione. È un continuo il ricambio di piatti tenuti in caldo, come lasagne, stinco al forno, galletto, ali e coscette di pollo, polenta pasticciata e patate novelle. In vendita ci sono anche gnocchi alla romana, melanzane alla Parmigia-na, quiche di verdure, roast-beef, polpettone in crosta. E non mancano piatti della memoria come la trippa (10.99 euro al chilo), la lingua salmistrata in salsa ver-de (20.90 euro al chilo) e l’insalata di nervetti (12.90 euro al chilo). Più che ampia l’offerta di antipasti nobili dall’aragosta in bellavista ai patè, dai vol au vent ai gam-beri, alle coquilles Saint Jacques (22.90 euro al chilo).

In omaggio alle tradizioni del Bel Paese non mancano piatti regionali, dalle orecchiette ai pizzoccheri (12.40 euro); tra i primi di pesce la pasta ai gamberi (16.90 euro al chilo) sempre in assortimento. Gli appassiona-ti di pastelle e dintorni possono contare su gocce di gorgonzola filante (10.99 euro al chilo) e crocchette di patate e baccalà fritto (27.90 euro al chilo). Se la carne domina tra i secondi, dagli arrosti ai polpettoni, alla ta-gliata di manzo, chi preferisce il mare può contare su seppie in umido e specialità che variano di settimana in settimana. In assortimento anche proposte dal mon-do, dagli involtini primavera al riso alla cantonese, da sushi e sashimi al cous cous. I vegani possono sbizzar-rirsi con le verdure, dai 6 ai 9 euro bollite (prezzo mas-simo a sorpresa per il poverissimo cavolfiore) e 12.90 euro al chilo per ortaggi cucinati al grill. E per chi non rinuncia alle padelle ma deve fare i conti con l’orologio ci sono sughi pronti e basi da personalizzare.

ESSELUNGA

In assortimento anche antipasti “nobili” e piatti della memoria

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la vaschetta nel sacco della spesa si incontrano single, donne in carriera coi minuti contati o disastrose ai fornelli, mamme sempre di corsa ma anche molti anziani. Tra le specialità proposte vince la tradizione: polenta, coniglio, baccalà fritto, lasagne, casoncelli e crespelle. Ma il pollo allo spiedo si conferma il best seller, forse perché ogni tanto lascia cadere nella tenta-

zione della vaschetta anche i più indefessi e assidui praticanti

e difensori della cucina ca-salinga e forse perché è

un piatto universale che anche gli im-migrati cucinano dalla notte dei tem-

pi. La media e grande distribuzione si sono attrezzate

per portare una buona parte del mondo in tavola: tra sushi e

sashimi, spaghetti di soia, riso alla cantonese e paella alla valenciana c’è solo l’imbarazzo della scelta. Spazio anche ai salutisti – cui con-sigliamo vivamente di leggere le etichette, visto che grassi vegetali e idrogenati, conservanti e additivi sono purtroppo largamente impie-

gati - e alla loro voglia di insalate di farro, orzo e zuppe. A sorpresa, tra i piatti più venduti fi gurano le verdure bollite e griglia-te - con ricarichi davvero al limite della sostenibilità e accettabilità - che richiedono uno sforzo che si approssima allo zero e un’abilità nulla ai fornelli e invece belli, pronti e lucenti nelle loro vaschette fi ni-scono sempre più nel carrello as-sieme al resto della spesa. Spesso la vergogna di ammettere di ricorrere al banco gastronomia come esca-motage in cucina ha il sopravvento: non mancano le furbette della va-schetta che con abile camoufl age accendono il forno e fingono di sfornare arrosti che in realtà si limi-tano a riscaldare.

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17Affari di Gola marzo 2012

Auchan ha scelto da tempo di puntare sui piatti pronti, con un’offerta ampia di prodotti dai classici della gastro-nomia ai prodotti tipici, alle specialità alimentari dal sa-pore internazionale. Per la gastronomia, Auchan si affida quasi esclusivamente a fornitori esterni, limitando la pro-duzione “in casa” ai prodotti di rosticceria calda, dalle car-ni alle patate. Con il restyling del punto vendita cittadino si è intervenuti anche sulla gamma prodotti, con un au-mento considerevole dell’offerta del reparto dei freschi e della gastronomia. «Da ottobre è stata ampliata la gamma di prodotti pronti – sottolinea Alberto Ferrari direttore dell’Auchan di via Carducci a Bergamo - arricchita di 20 nuove referenze, dalle monoporzioni, acquistate soprat-tutto dai single e dalle piccole famiglie, alle confezioni di pasta fresca monoporzione al servizio take away, con pro-dotti cotti e ancora caldi, oppure da riscaldare o con cot-ture da ultimare. Il trend è in crescita e registriamo dall’in-serimento di una nuova referenza una crescita che arriva a sfiorare il 50%». Il prodotto più venduto è quello che an-che i più capaci ai fornelli acquistano senza remore: «Dal primo novembre abbiamo venduto più di 11.000 polli da

spiedo (dato al 19 febbraio ndr.). Seguono nelle vendite le verdu-re grigliate e l’insalata russa», continua Ferrari. Il direttore del punto vendita di Berga-mo traccia l’identikit del cliente-tipo di prodotti ad alto valore di servizio come quelli pronti, solo da scaldare, me-glio se pochi secondi al microonde: «Lavora – rileva - e ha poco tempo a disposizione per cucinare, ma dedica una parte importante del budget alimentare alla gastronomia. Single, famiglie con pochi componenti e chi va sempre di corsa, o preferisce dedicare solo poco tempo alla cucina per poter impegnare in altre attività il proprio tempo libe-ro, acquistano piatti pronti prevalentemente per la cena e non per la pausa pranzo. Non ci sono molti uffici nelle vicinanze, non abbiamo un’area dedicata al consumo di piatti pronti e la maggior parte dei prodotti è da cucinare o scaldare». Lo scontrino medio per il reparto fresco viag-gia attorno ai 10 euro: «Il cliente tipo spende una media di 6-7 euro per il banco salumi/gastronomia; i piatti pronti di gastronomia costano in media 4-5 euro a vaschetta. Con 2-3 euro si acquistano piatti monoporzione».

AUCHAN

«Successo per le nuove proposte»

Nel centro commerciale Pellica-no di Treviglio dieci anni fa è stata creata all’interno dell’ipermerca-to un’area ristoro che, senza al-cun costo aggiuntivo, consente di godere dei servizi di un ristorante self service ai prezzi di un super-mercato, potendo scegliere tra la proposta dei piatti normalmen-te venduti al banco gastronomia. «È ormai una formula collauda-ta che, dopo aver registrato una crescita continua nei primi anni, si è ormai consolidata. I numeri non sono importanti, anche per-ché i coperti - 20 in tutto - non sono molti, ma è un servizio sem-pre apprezzato», sottolinea Lu-igi La Montagna, responsabile della filiera Freschi degli Iper e Super Pellicano, che fanno capo al Gruppo Lombardini. L’anda-mento del reparto gastronomia varia in base all’affluenza e alle

PELLICANO

A Treviglio c’è lo spazio per gustarli subito

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Il reparto gastronomia e salumeria del Pam di Bergamo salva il pesante calo registrato nelle vendite, dovuto alla contrazione dei consumi e alla concor-renza sempre più pressante degli ipermercati. La scelta di Renato Rodiga-ri - presidente del Gruppo Gastronomi e Salumieri Ascom, che da due anni ha preso in gestione il supermercato di via Camozzi - di riaprire le cucine, chiuse per la bellezza di 25 anni, e di rinnovare il banco della gastronomia, con una proposta di piatti monoporzione da portare in ufficio in pausa pranzo in settimana e piatti tradizionali la domenica mattina, si è rivelata vincente. Una ricetta anticrisi a suon di arrosti, brasati e polenta sul fuoco: «Molti la domenica di cucinare non hanno voglia, come gli anziani, o non hanno tempo, come le famiglie per cui la settimana è una corsa ad ostacoli con l’occhio sempre all’orologio - sottolinea -. Grazie al passaparola sanno che da noi possono trovare i piatti classici della nostra tradizione. L’incasso domenicale è al 90 % merito delle vendite di piatti pronti e pane fresco». La scelta non manca: «La domenica mattina vendiamo bene tra i primi piatti lasagne, melanzane alla parmigiana e crespelle al salmone o ai funghi. Ma i secondi sono sempre i preferiti per il pranzo in famiglia. La proposta è all’insegna della qualità: noce di vitello per un arrosto succulento (34 euro il prezzo al chilo) e pesce di manzo per un brasato che si taglia con la for-chetta (19 euro al chilo). Il più venduto è il classico coniglio (14.90 euro al chilo) che spesso proponiamo ai funghi: ogni domenica ne vendiamo una media di 60-70 porzioni. E poi i polli allo spiedo vanno sempre a ruba (con 3.90 euro si acquista un bel pollo per quattro persone) come del resto le patate al forno». Ma forse l’attrazione principale del punto vendita è il pa-iolo di polenta ciclopico, da settanta chili: «La polenta vera non si prepara certo con macchinari elettrici ma a mano e con il paiolo di rame – dice Ro-digari -. Ogni domenica preparo settanta chili di polenta in un paiolo di ra-me che per anni è stato impiegato in un convento e che mi è stato affidato dalle suore. Non è semplice cuocere una tale quantità, ma le soddisfazioni non mancano visto che la mia polenta non sembra mai abbastanza». Più che soddisfacente anche l’andamento del banco gastronomia in setti-mana: «I primi piatti da scaldare sono i più venduti: dalla pasta al pesto alla carbonara, dal risotto ai funghi alle tagliatelle alle crespelle di magro. Con 1.80 euro (il prezzo medio dei primi è di 8.90 euro al chilo) si acquista una porzione più che abbondante e il pranzo è servito in pochi secondi al mi-croonde. Vanno forte anche i piatti di verdure, grigliate o bollite». E il vener-dì impazza il pesce fritto: «Le frittelle di baccalà, gli anelli di totano, i pescio-lini fritti (prezzi dai 10 ai 15 euro al chilo) e le verdure in pastella vanno alla grande. Non mancano gli estimatori delle ricette classiche della tradizione italiana, dal baccalà alla vicentina o alla livornese al merluzzo in insalata». La clientela del reparto piatti pronti è trasversale, ma le piccole famiglie, i single e gli anziani sono i più assidui: «Chi è da solo non si mette certo a cucinare per sé un arrosto, ma anche le fami-glie di 2-3 persone rinunciano spesso a prepa-rare piatti a lunga cottura». Non mancano le “furbette” della vaschetta: «Ho clienti che mi commissionano di cucinare un arrosto da tre chili e vengono a ritirarlo con la loro pirofila da forno». Un trucco collaudato per far bella figura con gli ospiti senza rinunciare ad una bella passeggiata domenicale o a qualche ora di sonno in più.

PAM

«Alla domenica la polenta tradizionale va a ruba»

dimensioni del punto ven-

dita: le vendite cresco-no negli Iper, ma calano nei

Super: «Il trend del 2011 sul 2010 è stato di sostanziale parità – di-chiara -, con un incremento sul canale ipermercati pari al 9% e u-na diminuzione nei supermerca-ti pari al 3,6%. Nel 2011 il prezzo medio per unità d’acquisto è sta-to di 5.90 euro». Vanno forte i piat-ti della tradizione: «I più venduti su base annua sono i secondi. Il punto di forza nel reparto gastro-nomia è - esclusi alcuni prodotti che sono in assortimento sem-pre - la varietà dei piatti in gamma con una particolare attenzione sulle tradizioni locali e sulle nuo-ve tendenze. I casoncelli sono i più venduti a Bergamo, mentre nel Bresciano, a Rezzato, va forte il classico manzo all’olio. Ma non mancano le specialità di respiro internazionale come la paella e qualche altra ricetta dal mondo». Le vendite seguono i ritmi frene-tici della settimana: «Sabato è la giornata più importante in ter-mini di fatturato perché resta il giorno dedicato dagli italiani alla spesa, ma in settimana l’afflusso al banco dei piatti pronti è abba-stanza costante. La domenica in-vece si cucina ancora a casa», di-ce La Montagna. La scelta segue ancora i dettami della dieta che rispetta il venerdì di magro: «Il venerdì notiamo un incremento considerevole delle vendite del pesce, che viene privilegiato ri-spetto alla carne che vale l’80% delle vendite di piatti pronti». I nuovi Iper Pellicano come quel-lo di Mapello hanno puntato par-ticolarmente sul reparto dei fre-schi: «Stiamo avendo un buon riscontro, in linea con le nostre aspettative. Oltre al libero servi-zio, con porzioni già pronte, che consente una rapida scelta tra va-ri piatti, chi ha più tempo per la spesa preferisce il classico banco di gastronomia, che offre un ser-vizio su misura».

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Via Madonna d’Argon · S.Paolo D’argon (Bg) · tel.+39 035 4254202 · fax +39 035 4254064 · [email protected] · Chiusura: domenica sera e lunedì tutto il giorno

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ALTA CUCINA E CHARME ABITANO QUIFermarsi in un luogo ospitale e ricco di fascino per viaggiare alla ricerca dell’essenza dei sapori e lasciarsi conquistare dalla cucina a “chilometro giusto”.

Rilassarsi con un cocktail aperitivo sulla terrazza panoramica o nel lounge bar. Gustare un distillato nell’accogliente cantina. Scoprire prelibatezze

gastronomiche provenienti da tutto il territorio italiano. Festeggiare ricorrenze e organizzare eventi. Da Florian Maison il viaggio nel gusto non termina mai.

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Villa D’Adda. Un territorio ancora da scoprire questo lembo posto lungo l’antico confi ne tra Repubblica Veneta e Stato di Milano e immerso

nel Parco dell’Adda nord, piccola propaggine appesa all’ultimo fi lo di terra bergamasca e già sventolante in territorio Brianzolo. È il fascino apolide delle terre di confi ne, dell’essere non una ma tante cose insieme, quello che troviamo a La Corte del Noce di Villa d’Adda. Un luogo sperduto in località collinare, che pare quasi pensato più per essere vissuto che adibito al ristoro, con le sue architetture compatte e rassicuranti, la sua acco-gliente loggia, tiepida di sole primaverile, la terrazza da cui si srotola, sterminata e luccicante, la pianura. In questo bel ristorante ricavato in una corte settecente-sca, che trasuda da ogni angolo il sapore della sua storia, si respira una cucina di base classica, curata dallo chef e patron Graziano Foresti, natali nell’Alto Sebino (Riva di Solto) ma da quasi trent’anni stabile con la moglie Mina Putelli a Villa d’Adda, che attinge le sue proposte nel triangolo Bergamo, Lecco, Milano, attualizzando sapori del passato ben radicati nei tre territori. Abbinandole però, forte anche di una brigata di giovanissimi ed esube-ranti commis in fasce, a una cucina che trova altresì il suo vessillo in linee di pensiero più creative, espresse in due menù dai titoli poetici, “Ispirandoci all’Ac-qua” e “Ispirandoci alla Terra”. Che siano piatti “ispirati” lo si vede nell’accuratezza delle esecu-zioni che non lasciano nulla al caso e nella presenza di una componente “speculativa” che incanala l’intuizione sot-tostante a ogni piatto. È qui che troviamo proposte

particolarmente appetibili e all’apparenza “spensierate”, come le code di gambero allo zenzero virate verso le note agrodolci di un ananas caramellato con zucchero grezzo, o semplicissimi calamari arrostiti con una deli-ziosa insalata di peperoni stufati, di cui si apprezza l’ab-binamento con la calda nota dolciastra (per un’esecu-zione perfetta, non guasterebbe ammorbidire un poco le carni del calamaro), o ancora, il polpo grigliato al sale vanigliato con contorno di fagiolini e patate spadellati. Piatti a cui far seguire, a seconda dei gusti, un primo stuz-zichevole ed equilibrato come i cavatelli con gallinella di mare in battuto di pomodori secchi, o sapido come i pac-cheri con tonno fresco e alici di Cetara. Anche sul fronte “terra” troviamo proposte convincenti, come il foie gras con riduzione di balsamico e sultanina e gelato di foie gras, quasi una citazione del gioco di consistenze alla Sergio Mei, dei non scontati tagliolini con tartufo nero e ragù di verdure e castagne, un risotto classico al Neb-biolo con bocconcini di lepre in salmì, e, tra i secondi, l’invitante guanciolo di vitello cotto a bassa temperatura con tortino di polenta al formaggio di malga e il fi letto con fonduta di taleggio e tartufo nero. Tornando al menù d’acqua, un piatto sicuramente da non perdere, che basta da solo a dar lustro al locale,

è il “Connubio di orata e gamberi” con crema di crostacei e contorno di se-

dano rapa fondant a scaglie: una specie di ibrido mitologico tra

un’orata e dei gamberi, dove non riesci a distinguere dove inizia l’una e finiscono gli altri. Ottima l’idea e perfetta l’esecuzione.

Un menù ad hoc è riservato

La Corte del Noce,a tavola circondati dalla storia

IL RISTORANTEdi Lelia Parisi

Graziano Foresti e Mina Putelli

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Nel locale di Villa d’ Adda, ricavatoin uno stabile settecentesco, lo chef e patron Graziano Foresti propone una cucina che mette d’accordo terra, mare e territorio. Piatti ispirati, che non lasciano nulla al caso

randoci all’Ac-rra”. Che vede cu-al a ” -

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alle specialità del territorio, con un’interessante presenza di “piatti unici” al costo di 15-16 euro, tra cui casseoula con polenta, tempura di pesce e verdura, risotto alla Milanese con ossobuco e verdure. Nel menù tipico, casoncelli secondo di-sciplinare, con pere abate e uvetta nel ripieno di carne, rognoncino di vitello trifolato e, in stagione, pure un piatto camuno (omaggio della moglie Mina, camuna, appunto): il raro tortino di rane. Del territorio anche gran parte delle materie prime utilizzate e, in estate, addirittura a “metro zero” le verdure, coltivate nell’orto accanto al ristorante.Ricercati infi ne i dolci, tutti fatti in casa come pure le paste e il pane, tra i quali una sofi sticata meringa all’arancia con marron glacé e crema di liquirizia, crespella con crema al tiramisù e gelato al caffè, sformatino di cioccolato con cuore di lampone e gelato alla menta; talvolta un po’ “sovraccarichi” (come nel caso del gelato con miele e noci e salsa al cioccolato, magari da semplifi care). Si termina con un conto medio sui 40 euro, vini esclusi, e una irrinunciabile puntata in terrazza.

IL GIUDIZIO AMBIENTE Immerso nella quiete del Parco dell’Adda nord, il ristorante è ospitato all’interno di un casolare d’epoca che ha mantenuto in-tegro il suo aspetto originario, tanto da sembrare una fotografi a d’altri tempi. La Sala del Camino, con i suoi archi a sesto acuto, le mura massicce e i mobili d’epoca, accoglie 40 coperti. A essa si affi anca una seconda sala dedicata a congressi e cerimonie con un centinaio di coperti. A partire dalla primavera, si può pranza-re all’aperto nel bel cortile ombreggiato da un vicino albero di noce (da cui il nome), che domina dall’alto la pianura e il parco.

CUCINA Una cucina classica equamente divisa tra mare, terra e territorio, che si traduce in specialità sia bergamasche sia milanesi, attenta nella scelta delle materie prime. «Per il pesce fresco - racconta Graziano - ci approvvigioniamo da Spe.Al di Medolago, per le carni nostrane dalla macelleria Agazzi di Carvico, che macella e fa stagionature come un tempo, oppure, per animali di piccola taglia, da allevatori locali. Facciamo anche uso di verdure pro-dotte in zona, mentre in estate utilizziamo verdure e aromi che coltiviamo nel nostro orto».

CANTINA Ampia la carta dei vini, con 450 etichette, in corso di revisione per dare più spazio alla produzione lombarda, come ci spiega il patron, sommelier come la moglie. Vini anche al bicchiere e ri-carichi nella media. Interessante l’attenzione per i prodotti vini-coli del territorio: in particolare per l’azienda Magni di Carvico, che produce con il marchio Tassodine gli Igt della Bergamasca Merlot e Pinot nero in purezza. «Nella prima vendemmia ha pro-dotto solo un migliaio di bottiglie. Quest’anno si salirà a 6.000. Stiamo spingendo la produzione, proponendola ai nostri clienti». Un prodotto di buona qualità, destinato sicuramente a crescere.

ESPERIENZA Classe 1961, scuola alberghiera a San Pellegrino, Graziano ha collezionato esperienze al Grand Hotel di Rimini, alla Caravella di Venezia e in Gran Bretagna, prima di avviare nel 1983 una sua attività di ristorazione, con un locale per soli soci, diventato dal 2000 La Corte del Noce. Buone le capacità tecniche che si esprimono in un utilizzo disinvolto di tutte le nuove tecnolo-gie, senza abdicare ai metodi di lavorazione tradizionali, in una cucina classica con punte di creatività, a cui non è estraneo il contributo dei giovani collaboratori. «Devo spesso temperare le arditezze della loro giovane età, ma portano idee che poi condi-vidiamo», ammette Graziano.

SERVIZIO A gestire la sala con decisione e precisione, la moglie del patron, Mina, presenza discreta ed effi ciente, che affi anca il marito nella gestione dell’attività.

RAPPORTO QUALITÀ/PREZZO Buono il rapporto qualità-prezzo negli antipasti e nei primi, un po’ elevato nei dolci (tutti a 10 euro). Valido, in particolare, il prezzo a 16,50 euro (inclusivo di acqua e caffè) del menù del giorno, praticato a pranzo dal lunedì fi no al sabato compreso (questa la novità), con due piatti (primo e secondo, anche di pesce) di buona fattura e, soprattutto, con cottura espressa.

p.s.

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RISTORANTE LA CORTE DEL NOCEvia Biffi , 8 - Villa d’Adda

tel. 035 792277sempre aperto

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A Osio Sotto, il ristorante pizzeria Très Bien rad-doppia con il recente taglio del nastro di Ca-

sta Diva, full enjoy bar che affianca il locale, ormai affermato punto di riferimento per pranzi di lavoro e cene. La scelta di raddoppiare è nata quando gli uffici dell’impresa di pulizie della famiglia Ciocca sono stati trasferiti. I locali un tempo occupati dall’azien-da aperta da papà Andrea sono stati completamen-te rivisti per fare spazio a due laboratori, uno per la pasticceria e uno per i lievitati e la pizzeria, e ad un locale dallo stile minimalista d’ispirazione metro-politana. Un locale dalla doppia anima, come i due colori, il bianco e il nero scelti per gli arredi, pronto ad accogliere un pubblico trasversale dalla colazio-ne al dopocena al pre-disco. “Casta Diva” è infatti aperto dalle 6.30 all’1 di notte (fino alle 2 il venerdì e il sabato) e funziona sia come pasticceria - tutto è rigorosamente preparato in casa - che come wine-bar ed enoteca, con una buona scelta di etichette nazionali ed internazionali, oltre che una proposta di cocktail e drink realizzati con cura. La scelta del nome “Casta Diva” è un omaggio voluto da Alessan-dra Ciocca, che con la sorella Stefania si divide tra le due attività, alla più celebre aria di Bellini tratta dalla Norma ed interpretata in modo unico da Ma-ria Callas, che ha consacrato il brano all’immortali-tà. “Quando si è trattato di dare un nome al locale ho subito pensato a quell’aria, contenuta in un cd della Callas, che mi piace ascoltare spesso - spie-ga Alessandra, che ha scelto di lanciare il ristorante pizzeria Très Bien, voluto da suo padre, dopo aver conseguito la laurea in Lettere -. “Il nome mi piace-va e dopo una breve consultazione in famiglia, la scelta è stata fatta”. Il locale, che ha ricevuto dall’A-cea di Osio Sotto una targa di riconoscimento, sta riscuotendo un buon successo, radunando attorno ai suoi tavoli famiglie per la colazione, colleghi per colazioni di lavoro veloci (la proposta per il pranzo va dalle pizze in teglia ad insalatone a piatti freddi e caldi), un pubblico trasversale all’aperitivo (con pasticceria salata e stuzzichini particolari preparati in casa e un’ampia scelta di drink) per trasformarsi dopocena in un punto di ritrovo e riferimento. Con la bella stagione, “Casta Diva” si prepara ad ospitare nel suo dehors, che si affaccia sulla corte interna del palazzo, una quindicina di tavolini per pregusta-re l’atmosfera da vacanza a due passi da casa, con un piccolo calendario di spettacoli e momenti di animazione, con una o due date in programma ogni mese.

"Casta Diva", il locale con l’offerta sempre ad-hoc

OSIO SOTTO

CASTA DIVAcorso Vittorio Veneto, 85Osio Sotto - tel. 035 808645

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A rappresentare l’enologia bergamasca a Vinitaly, ve-trina d’eccellenza per il

vino italiano, saranno ancora il Consorzio Tutela Valcalepio e i suoi soci. Al Pala Expo Lombardia sarà allestita la Piazza Valca-lepio, un ampio spazio espositivo che riuni-sce i soci del Consor-zio che hanno deci-so di prendere parte al Salone veronese in programma dal 25 al

28 marzo. “L’unione fa la forza” e “uniti si può”, ecco i due slogan che muovono l’azione collettiva del Consorzio. Sergio Cantoni, enologo e anima del Consorzio da oltre vent’anni, nel riprendere la filosofia che muove oggi il Di-

rettivo, afferma: “Unione anche nella differenza, di dimensio-ne aziendale, di produzio-ne e di idee, a volte. Ecco perché si è scelta la forma della piazza, lo spazio del dibattito e dello scambio

per eccellenza: per dimostrare, se mai ce ne fosse bisogno, che all’in-terno del Consorzio c’è spazio per tutti, grandi e piccoli, e per tutte le idee e le opinioni, purché portate avanti con convinzione e serietà e fondate su basi reali. La piazza, quindi, come simbolo di unione e collaborazione tra forze simili ma

Al Vinitaly torna la “Piazza Valcalepio”. Produttori e ristoratori a braccettoCantoni: “A Verona per rilanciare il territorio e valorizzare la nostra produzione”

L'EVENTO

Ecco i 19 produttori chepartecipano al VinitalyCà del Manet Cantina Sociale Bergamasca Cascina Del BoscoCastello degli AngeliCelinateIl Calepino Il Cipresso La CollinaLa Rovere La Tordela Le Mojole Locatelli Caffi Lurani Cernuschi Magri Eligio Medolago Albani Pecis Angelo Tallarini Tosca Villa Domizia - 4R

g y,trina d’eccellenza per il

vino italiano, saranno ancora il Consorzio Tutela Valcalepio e isuoi soci. Al Pala Expo Lombardiasarà allestita la Piazza Valca-lepio, un ampio spazio espositivo che riuni-sce i soci del Consor-zio che hanno deci-so di prendere parte al Salone veronese in programma dal 25 al

p , gche muovono l’azione collettivadel Consorzio. Sergio Cantoni, enologo e anima del Consorzio da oltre vent’anni, nel riprendere la filosofia che muove oggi il Di-

rettivo, afferma: “Unione anche nella differenza, di dimensio-ne aziendale, di produzio-ne e di idee, a volte. Ecco perché si è scelta la formadella piazza, lo spazio del dibattito e dello scambio

Sergio Cantoni

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uniche e differenti allo stesso tempo - precisa Canto-ni -, dal piccolo produttore al distributore, dalla can-tina sociale alla media azienda. Tutti radunati in un luogo di incontro, di confronto e, a volte, di scontro, purché costruttivo”. In Piazza Valcalepio i visitatori saranno accolti da due banchi d’assaggio. Il primo dedicato ai Valcalepio Doc, ai Terre del Colleoni Doc e ai Bergamasca Igt dei soci del Consorzio Tutela Valcalepio (presenti in fiera e non). Il secondo, gestito dai Vignaioli Bergamaschi, riserva-to all’esposizione e all’assaggio dei vini vincitori di medaglie durante la settima edizione del Concorso Enologico Internazionale “Emozioni dal Mondo: Mer-lot e Cabernet Insieme” (tra questi, otto vini bergama-schi). A proposito del concorso, sono state già fissate le date dell’ottava edizione, che avrà luogo dal 18 al 20 ottobre prossimi. Per dare l’opportunità ad ogni azienda che partecipe-rà alla fiera di farsi conoscere, il Consorzio Valcalepio ha ideato “Anteprima Vinitaly 2012”: fino al 24 marzo, ogni giorno, il sito www.valcalepio.org e la pagina Fa-cebook del Consorzio saranno dedicati interamente ad una delle aziende partecipanti, che potrà presen-tare la propria produzione e le novità che porterà a Vinitaly. Valcalepio, comunque, è anche e soprattutto legame con il territorio. E da qui nasce la collaborazione con la Camera di Commercio di Bergamo e con i suoi Ri-storanti dei Mille Sapori per la realizzazione di “Mille Sapori di Bergamo a Vinitaly”. Dal 26 al 28 marzo, dalle 12 alle 14, sei ristoratori aderenti al marchio camerale presenteranno piatti della tradizione bergamasca: Da Mimmo e Ristorante del Moro il 26 marzo; Da Frosio e Il Posta il 27 marzo; Roof Garden e Trattoria Visconti il 28 marzo. “Con queste iniziative - annota ancora Cantoni - il Consorzio punta a rafforzare l’ unione tra i produttori con l’obiettivo primario di promuovere il territorio del quale il Valcalepio Doc (come l’Igt Bergamasca e il Terre del Colleoni Doc) fa parte. Perché, come amano ripetere il componenti del Cda del Consorzio, il valore di un territorio si vede dalla sua produzione e in Valcalepio non dobbiamo temere confronti”.

Sono 11 le Rose d'o-ro, il massimo rico-noscimento elar-gito che la guida Vin ip lus edi ta dall’Ais Lombar-dia ha assegna-to nell’edizio-ne 2012 pre-sentata nei giorni scor-si a Milano. Tra i pre-miati, uni-co berga-masco, il Moscato di Scanzo 2008 prodotto dall’azienda agricola Biava di Scanzo-rosciate. Ben 19, invece, i vini premiati con le Rose d'ar-gento, e tra questi l’unico bergamasco è risul-tato il Valcalepio Rosso 2008 Magri Sereno. Le 4 Rose Camune, riservate dalla guida ai vi-ni considerati "eccelsi", sono state assegnate complessivamente a 113 aziende fra le pro-vince di Bergamo, Brescia, Sondrio, Pavia e Mantova. Di queste nove sono etichette ber-gamasche: Valcalepio Moscato Passito Argo 2008 di Angelo Pecis; Moscato di Scanzo 2008 e Passito Giallo 2008 di Biava; Goccio di So-le 2009 della Caminella; il Moscato di Scanzo 2007 della Cascina del Francès; il Moscato di Scanzo 2008 di De Toma; il Moscato di Scan-zo Doge 2008 della Brugherata; il Moscato di Scanzo 2008 e il Valcalepio rosso 2008 di Ma-gri Sereno.«Questi numeri confortano la scelta di Ais Lombardia di sostenere e promuovere il con-cetto di bere bene e responsabilmente - ha spiegato Fiorenzo Detti, presidente Ais Lom-bardia - e la ricerca che stanno facendo le a-ziende lombarde per continuare ad elevare il livello qualitativo dei loro prodotti è testimo-niato dall'elevato numero dei riconoscimenti attribuiti». Numeri che nell’edizione 2012 par-lano di 448 pagine, 208 aziende inserite e ol-tre 700 campioni degustati tra bollicine, bian-chi, rossi, rosati e vini da dessert.

Ais Viniplus,i bergamaschi premiati

ose d'o-mo rico-o elar-guidadi ta bar-na-io-e-i

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LA GUIDA

Piazza Valcalepio in una delle precedenti edizioni

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È tornato dalla Cina con qualche consapevolezza in più, Luciano Merlini, consulente di aziende vitivinicole italiane e relatore dell'Associazione

Italiana Sommelier (Ais). “I cinesi non sono certo degli sprovveduti in fatto di vino – commenta -. Amano i vini francesi, ma ci invidiamo l'Italian style”. Valigia alla mano, Merlini ha passato qualche settimana tra Canton, Pechino e Shanghai promuovendo i vini di alcune aziende italiane di Lombardia, Puglia, Toscana e Sardegna. Che il mercato cinese sia oggi un nuovo Eldorado ce lo confermano gli ultimi dati pubblicati da Coldiretti: nel 2011 il valore delle esportazioni di vino si è praticamen-te raddoppiato, raggiungendo un valore di 65 milioni di euro. “L'anno scorso la crescita dei vini italiani esportati in Cina è stata dell’80% - spiega Merlini - una tendenza motivata dal buon rapporto qualità/prezzo e da quello che, nell'immaginario internazionale, rappresenta l'Ita-lian style. I vini italiani che piacciono ai cinesi sono quel-li dall’importante gradazione alcolica, tondi, con intensi richiami di barrique, come il Barolo, l'Amarone, il Valtelli-na, il Nobile di Montepulciano, il Brunello di Montalcino, l'Aglianico, il Primitivo ed il Nero d'Avola”. I nostri vini piacciono, costano mediamente due volte in meno a bottiglia di quelli francesi e rappresentano uno status symbol. “È su questo che dovremmo punta-re - commenta Merlini -. I marchi di alto livello presenti nelle grandi città cinesi (Ferrari, Maserati, Lamborghini) e le boutique monomarca di fashion ci danno il senso di quanto il made in Italy sia per loro estremamente af-fascinante”. Un business non da poco, se si tiene conto che oggi in Cina, su una popolazione di 1 miliardo e 300mila per-sone, ci sono oltre 200 milioni di ricchi, cifra destinata a salire a 400 milioni nel 2020. I numeri parlano chiaro, come le proiezioni dei dati per i prossimi anni, che foto-

L’EXPORTdi Giordana Talamona

Belgian Beer Gourmet,alla 4R il primo incontro del Cenacolo Si terrà il prossimo 24 marzo, a partire dalle 11, il primo incontro annuale del gruppo amici "Cenacolo Belgian Beer Gourmet". L'appunta-mento è fissato alla 4R di Torre de' Roveri, in via Marconi 5, ed è promosso da Cesare Assolari Belgian Beer Ambassador & Zytholoog in colla-borazione con la Quattroerre dei fratelli Rota e con "Cars for Africa Onlus".Il gruppo è composto da amici "Buongustai" che hanno in comune la passione per le birre autentiche di carattere e di qualità, ricche di sto-ria e tradizione brassicola, che donano grandi emozioni nel degustarle. Birre che provengono da vari Paesi, con particolare riguardo verso le birre belghe. "Insieme - spiega Assolari - deside-riamo scoprire e trasmettere l'amore per la vera cultura birraria mediante incontri e giornate a tema e degustazione di birra e cibi, attività che va sotto il nome di zytho-gastronomia". Il programma della giornata prevede alle 11 i saluti di benvenuto e a seguire la presentazione programma annuale del Cenacolo che prevede il corso Belgian Beer Gourmet, il Convivio men-sile di zytho-gastronomia, l'approfondimento sulla carta delle birre belghe tradizionali sele-zionate, Beer & Wine Shop 4R, viaggi e visite, la Settimana della Zytho-Gastronomia italo-belga e la presentazione del libro "La Zythologia e i grandi chef italiani".Alle 13.30 avranno luogo le degustazioni di: formaggi italiani e della birra belga a cura di

Pier Beretta; del culatello di Zibello a cura di Sebastia-no Treccani e di pralines di cioccolato alla birra a cura di Omar Qua-dri. Le birre in degustazione saranno: Pri-mus Pils, Orval, Charles V Ru-bis, Tongerlo Prior, Gueuze F.

Boon, Kriek F. Boon, Rodenbach G. Cru, Malheur Brut Cuvée Royale, Blanche de Namur, West-malle Double Gouden Carolus Classic, Chimay Grand Reserve e St. Feuillien Blond.

Luciano Merlini, consulente di aziende vitivinicole italiane e relatore dell'Associazione Italiana Sommelier

L’EXPORTdi Giordana Talamona

Cesare Assolari

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grafano una crescita di appassionati stimata tra i 60 e i 130 milioni di persone. Fiutato l'affare, in pochi anni il mercato cinese è diventato estremamente competitivo e complesso. L'Italia è il quarto Paese per ettolitri di vino esportato all'ombra della Grande Muraglia, con una quota di mer-cato del 6%, mentre la Francia è al primo posto con il 43%, seguita da Australia e Cile. Ma qual è l'identikit del nuovo appassionato di vino? Si tratta di cinesi di un'età media compresa tra i 30 e i 45 anni, concentrati preva-lentemente nelle "boomtowns" e con un'alta scolarizza-zione. “Ci sono oltre duecento milioni di persone che potrebbero già permettersi di bere quotidianamente una bottiglia di vino - spiega Merlini -. Il consumo pro capite oggi è di un litro di vino, prevalentemente rosso. Il bianco non è attraente per loro, perché è un “simbolo funereo”, così come le etichette di quel colore. Amano i vitigni internazionali, cabernet, sirah, gamay, merlot; prediligono i vini morbidi barricati, corposi, dagli opu-lenti aromi di spezie e tostatura, con tannini ancora ben definiti che ricordano quelli del tè fermentato. Anche le etichette devono essere di richiamo, per esempio rosse o stampate con oro a caldo”. Storia, arte e stile di vita, sono questi gli elementi a cui i cinesi sono particolarmente sensibili ed attenti. La chia-ve di volta per entrare nel mercato cinese come pro-duttori di vino è quella di riuscire a tradurre il proprio marchio in un richiamo culturale dell'Italian style, facil-mente riconoscibile. Ma se qualcuno pensa che la Cina stia immobile a guar-

dare, si sbaglia di grosso. Oltre alle accise doganali del 40-45%, che fanno levitare il prezzo dei vini importati, i cinesi si stanno attrezzando "in casa" per rispondere alla crescente domanda interna di vino. “Le aziende ci-nesi che producono vino sul territorio sono 450 - spie-ga Merlini - con terreni vitati piuttosto estesi, alcune delle quali raggiungono addirittura i 700 ettari. Sprov-veduti, in questo settore, non lo sono affatto, tutt'altro. Stanno lavorando molto bene, supportati da alcuni im-portanti flying winemaker australiani”. E non si creda, tuttavia, che la produzione di vino in Cina sia un'idea dell'ultima ora, perché la loro vitivini-coltura ha origini antichissime, risalente a più di set-temila anni fa. Il business sì, quello è tutto nuovo e fa gola a molti gruppi stranieri. È notizia di poche setti-mane fa che il colosso francese dello Champagne e del Cognac, Moët-Hennessy, produrrà vino rosso sulle montagne dello Yunnan, ai confini del Tibet, seguendo a ruota i Domaines Barons de Rothschild che già da qual-che anno posseggono dei vigneti in Cina, così come la Remy Martin e Swarowski, colosso del cristallo. “Ho assaggiato alcuni importanti vini rossi locali, dal colore carico, caratterizzati da aromi spinti di barrique e dal corpo ben “masticabile”- spiega Merlini -. Li considero di un livello sufficientemente accettabile, anche se han-no un gusto omologato e mancano di riferimenti del terroir d'origine”. Oltre ai vitigni internazionali, la Cina ha sia dei vitigni autoctoni, come l'Occhio del Drago ed il Roudingxiang (Soffice Lillà), che altri vitigni cre-ati per ibridazione, come l'Hongzhilu nato da Merlot e Cabernet.Si attende che qualche importante gruppo italiano fiuti l'affare e prenda il treno in corsa della produzione inter-na di vino cinese, prima che questa fetta di mercato si saturi velocemente anche se, nella distribuzione, Zonin è in questo momento l’azienda più introdotta. Anche sul versante export del vino italiano, occorre non perder tempo e muoversi con intelligenza. Se anche la Cina comincerà seriamente a produrre vino per il mer-cato interno, sulla scorta del nome delle grandi Maison francesi, occorrerà saper vendere, in un bicchiere di vino italiano, prima di tutto la nostra storia, arte, cultura e life style, per essere altamente competitivi. Un'ultima domanda corre sul filo dell'improbabile, ma non dell'impossibile. Potrà mai il vino cinese essere un concorrente pericoloso per il mercato internazionale? È notizia del dicembre dell'anno scorso che una giuria di esperti chiamati a giudicare, alla cieca, dei vini pro-venienti da Bordeaux e da Ningxia, sperduta regione settentrionale ai confini con la Mongolia, abbiano asse-gnato i primi quattro posti ai vini cinesi e il quinto al francese Medoc Lafite. Risultato che fa riflettere, soprat-tutto se si tiene conto che il prezzo medio dei vini ci-nesi è estremamente vantaggioso. La domanda, dunque, rimane aperta, ma si fa maledettamente seria. E per il nostro mercato interno? Se “Hu” è il quarto co-gnome a Milano, davanti a Brambilla e a Fumagalli, anche questa domanda non è da prendersi come una boutade.

La Cina e il vino, “l’Italia non perda questo treno”Parla Luciano Merlini, consulente e relatore Ais, appena reduce da un viaggio nel Paese asiatico. “I nostri prodotti piacciono, soprattutto i rossi come Barolo, Brunello, Amarone, Aglianico e Nero d'Avola. Ma la concorrenza di francesi, australiani e cileni è forte. Dobbiamo cambiar passo e spendere tutto il valore dell’Italian style”

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La tendenza è avvertita da tempo e recentemente una ricerca della Fipe-Confcom-

mercio, presentata alla fiera Sapore di Rimini, l’ha anche quantificata, indicando in oltre un miliardo di euro negli ultimi cinque anni la ri-duzione di spesa degli italiani per mangiare fuori casa. La crisi ha por-tato a rivedere abitudini e consumi, ma la pausa pranzo per chi lavora e non rientra a casa resta un’esigen-za. La “schiscetta” o i piatti pronti del supermercato, entrambi in cre-scita, sono alcune soluzioni per cercare di risparmiare, ma se ogni tanto ci si vuole concedere qualco-sa di diverso cosa offre Bergamo?Visto che l’obiettivo principale è fare economia, il nostro budget è volutamente basso: cinque euro (o poco più), che sono anche il taglio

minimo (pari al valore non sogget-to a tassazione) di un buono pasto, uno strumento che dovrebbe con-sentire ai lavoratori di ricevere un

servizio sostitutivo della mensa e agli esercenti di intercettare inte-ressanti flussi di clientela, che oggi si è però trasformato, a causa delle commissioni e dei costi di gestio-ne, in un onere eccessivo per le attività, tanto che alcune (soprat-tutto quelle che puntano sul con-tenimento dei prezzi ed hanno ri-carichi bassi) hanno scelto di non accettarli o di accettare solo quelli emessi da alcune società. E per chi deve pensare al pranzo ogni gior-no il disagio aumenta. Dando per assodato che con fast food, pizza, panino, piadina o ke-bab si riesce a rispettare il tetto di spesa fissato, siamo andati alla ricerca di altre proposte, cercando anche di capire se la ristorazione ha in qualche modo intercettato il forte bisogno di low cost.

La nostra sfida: mangiare al prezzo di un buono pasto

L’esigenza di risparmiare

si fa sentire anche sulla pausa pranzo.Con un budget pari

al taglio minimo di un ticket (5 euro

o poco più)siamo andati alla ricerca

di qualche idea

IL FRANCESINO DI SAN BERNARDINORISTOUFFICIO

Il panino? Sì, ma biologico Per chi vuole a

Se panino deve essere, che almeno abbia qualcosa in più. La paninoteca da asporto “Il francesino di San Bernardino”, di fronte alla biblioteca Tiraboschi al numero 67/d di via San Bernardino, ha puntato con decisione sui prodotti biologici, biodinamici e di stagione. Il pane, innanzitutto: ciabattine fresche di farina biologica, dello storico mulino Sobrino di La Morra in provincia di Cuneo, prodotte da un panificio di Coccaglio con solo lievito naturale, la-vorate a mano e cotte a legna. Il formato piccolo pesa 100 grammi e costa in media 3.50 euro (si va dai 2.50 euro dei panini più semplici, con salame, con mortadella o con pancetta, ai 4.20 di quello con speck, formaggio d’al-peggio e carciofi o di quello con speck, tomino e zucchine grigliate). Per la versione grande (150 grammi il pane), i costi vanno da 3.30 a 5.50 euro. La scelta è ampia e comprende panini vegetariani, con pesce e la possibilità di

aggiungere a piacere ingredienti, salse e condimenti. «Per alcuni ingre-dienti, ad esempio il prosciutto crudo, è difficile trovare la produzione

biologica – spiega il titolare 37enne Matteo Vigentini, che ha aperto la paninoteca due anni fa -. Non possiamo perciò affermare che tutte le proposte sono bio, ma un buon 80% lo è di sicuro. Il mio consiglio per stare nel budget di 5 euro? Il panino con crudo, mozzarella di bufa-

la, pomodorini e basilico». Piccolo costa 4 euro. Anche le bibite sono bio. Chinotto e cedrata sono quelle più richieste e costano 2 euro,

ci sono anche birre e vini.Buoni pasto: solo di alcune società emettirici

Dalla sua parte ha la possibilità di contenere i costi, ma anche il risparmio di tempo è un fattore tenuto in considerazione da chi sceglie Ristoufficio, un servizio di consegna di piatti pronti pen-sato per la pausa pranzo di chi lavora. Se si ha disposizione un forno a microonde e un frigori-fero, ci si può infatti iscrivere alla newsletter tramite il sito www.ristoufficio.com e ricevere ogni giovedì il menù della settimana successiva con i piatti pronti fre-schi disponibili giorno per gior-no. L’accortezza è quella di veri-ficare che la propria zona sia tra quelle coperte dalla consegna (la città e alcuni paesi dell’hin-terland) per poi effettuare l’ordi-ne via e-mail entro le ore 15 del giorno precedente. Da lunedì a venerdì si possono trovare tre

scelta è ampia e comprende panini vegetaraggiungere a piacere ingredienti, salse edienti, ad esempio il prosciutto crudo,

biologica – spiega il titolare 37enne Mla paninoteca due anni fa -. Non possile proposte sono bio, ma un buon 80per stare nel budget di 5 euro? Il panin

la, pomodorini e basilico». Piccolo cobio. Chinotto e cedrata sono quelle

ci sono anche birre e vini.Buoni pasto: solo di alcune s

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PRIMI AMORI POLENTONE

Sbizzarrirsi con la pasta La pausa col sapore della tradizione

e anche risparmiare tempo

È nato con la precisa volontà di contenere il costo di un pasto fuori casa, visto il difficile momento economico, e ad agosto compirà due anni. “Primi Amori” è un piccolo spazio con alcu-ni tavoli e sgabelli, specializzato in primi piatti espressi in via borgo Santa Caterina 5. «Semplificazione e trasparenza sono i concetti che hanno guidato l’ideazione», racconta Luca Carra-ra, 42 anni, titolare con la compagna Liliana Campos, la cui origine cubana è stata d’aiuto per decidere di puntare su uno dei punti di forza della cucina italiana, i primi appunto, spesso dati per scontato. «Qualunque primo si scelga – dice Carrara – il costo è sempre 6 euro, compresi la bevanda (bibite, ma anche birra o vino ndr.) e il cestino del pane. Questo intendo con tra-sparenza, la certezza di spendere una cifra e solo quella». Le pro-poste del giorno sono indicate su una lavagna. Su una colonna i formati disponibili, su un’altra i sughi: basta incrociarli per ordi-nare il piatto preferito, le opzioni sono 6-7 in ciascuna colonna. Si va dal classico ragù agli abbinamenti con verdure, il venerdì c’è lo scoglio. Con la stessa formula tutto compreso si possono trovare alcuni secondi, dagli 8 a 10 euro, accompagnati da ver-dure e patatine. «Si tratta di piatti semplici ma fatti bene – rileva Carrara -, preparati al momento nella cucina a vista con ingre-dienti freschi. Gli standard sono quelli di un ristorante, ma si so-no semplificati la gestione e il servizio».Anche gli orari sono più flessibili. Per la pausa pranzo l’orario va dalle 12 alle 15, la sera dalle 19 alle 23. Solo quando gioca l’Atalanta Primi Amori è aperto la domenica. Buoni pasto: no

Il successo mediatico (ne hanno parlato un po’ tutti, comprese le tv nazionali) è stato confermato dal gradimento della clientela e a poco più di un anno dall’apertura del pri-mo “PolentOne” in via Borgo Santa Cateri-na 86, la formula è già stata replicata in altri quattro punti vendita - Città alta, Treviglio, Brescia e Vicenza - con ulteriori prospetti-ve di diffusione in franchising. Protagonista è la polenta, «uno dei piatti più poveri e più vecchi al mondo - sottolinea l’ideatore Mar-co Pirovano, 30 anni -, che esce dal classi-co contesto del ristorante per di-ventare la base di un pasto veloce ed informale, come succede con la pizza, il panino o il kebab». «All’e-stero – racconta – ho avuto modo di vedere molti take away con piat-ti tipici di nazionalità diverse ed ho pensato che anche la polenta pote-va prestarsi ad essere interpretata in questo modo, coniugando la tra-dizione con l’esigenza, data la crisi in atto, di contenere i costi della proposta». La polenta è preparata con farine macinate a pietra in apposite macchine che la erogano “alla spi-na”. Si può optare per la tradizionale Brama-ta o per la taragna ed abbinarle a scelta ai di-versi condimenti, come il sugo al cinghiale, quello ai funghi, alla contadina o ai formag-gi. Il piatto con la polenta “gialla” costa 5 eu-ro, quello con la taragna 6, cui va aggiunto il prezzo delle bevande. Si può portare via o fermarsi a mangiarlo su alcuni tavolini nel locale. «Le porzioni sono pensate per esse-re sufficienti così – rileva il titolare -. Per chi vuole uno spuntino ci sono proposte a parti-re da 3 euro, la sola polenta costa 4 euro, i ta-glieri di affettati e formaggi 7 euro. A meno di appetiti eccezionali non si riesce a spendere più di 10 euro». A seconda delle stagioni ven-gono introdotti abbinamenti diversi. «Crede-vo nel progetto – dice ancora Pirovano – ma le incognite c’erano, soprattutto quella di far capire ai bergamaschi che la polenta alla spi-na è buona come quella classica. I risultati so-no positivi ed è bello vedere i ragazzi che ri-scoprono una tradizione ed i più anziani che vengono a prendersi la polenta take away». Alla sera il locale è aperto fino a tardi.Buoni pasto: no

primi e tre secondi diversi, oltre alla lista dei “sempre pron-ti” (lasagne, crespelle, casoncelli, pasta, omelette, carni ai ferri, insomma i classici della pausa pranzo) e a quella delle verdure lesse e delle insalate. I primi si aggirano attorno ai 3 euro (2.70 + Iva del 10%), i secondi ai 3.70 (3.30 al netto dell’Iva), le omelette vanno sui 3.40, i contorni (200 g) sui 2.20. La cifra più alta si spende per l’insalata di piovra (5.50 euro per 250 grammi). L’idea è di Marciano Calzavacca, 47 anni. «La proposta punta sul servizio e sull’esigenza di low cost – spiega - e sta avendo buoni riscontri, anche per-ché permette di velocizzare la pausa pranzo, guadagnando tempo per una passeggiata o per tornare a casa prima la se-ra. I piatti sono preparati in un laboratorio di Grassobbio e ricevere l’ordine in anticipo permette di preparali freschi ogni giorno e senza sprechi». Le consegne vengono effet-tuate nella mattinata, le porzioni vanno conservate in fri-gorifero fino a quando non si scaldano nel microonde. Se si vuole fare una piccola scorta o non si è in una zona rag-giunta dalla consegna giornaliera si può optare per le pre-parazioni che si conservano in frigorifero per 20 giorni o per la linea surgelata. Buoni pasto: Ticket restaurant, Qui ticket service, Risto-mat e Pellegrini card

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Q U A T T R O E R R E

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Page 31: Affari di Gola - marzo 2012

31Affari di Gola marzo 2012

Fino al 24 giugno, Bergamo rende omaggio a Carlo Ce-resa (1609-1679), uno dei suoi più illustri pittori, con

una antologica che si terrà negli spazi del Museo Adriano Bernareggi e dell’Accademia Carrara/GAMeC. Il grande evento viene celebrato anche dai ristoratori che promuovono una rassegna enogastronomica dal ti-tolo “A tavola con Carlo Ceresa”, ispirata alla cucina del ‘600 e coordinata con la mostra. Per tutta la durata della manifestazione, 40 ristoranti di città e provincia propongono singoli piatti per il mezzo-giorno a 15 euro e menù completi per la sera, secondo tre fasce di prezzo: 30, 40 o 50 euro (vino incluso) con l’omaggio o di una bottiglia di vino Valcalepio ogni due persone o del coupon sconto della mostra. I piatti sono ispirati alla cucina locale del Seicento, che ha permes-so, grazie all’aiuto offerto da Silvia Tropea Montagnosi, storica della cucina bergamasca, di riscoprire antiche e gustose ricette. I 40 ristoranti che hanno aderito all’iniziativa incarnano tutto il panorama della ristorazione bergamasca: dagli stellati a ristoranti importanti fino alle affascinanti trat-torie sparse su tutto il territorio. In città si contano 13 insegne, mentre le restanti 27 spaziano dalle valli al lago, dalla pianura all’Isola. Molti comuni sono anche tappa dell’itinerario della mostra, in quanto ospitano opere del pittore.

LA CUCINA DEL SEICENTOL’immagine più conosciuta della cucina seicentesca è data dai banchetti principeschi delle città ospitanti una corte. Ma è Bergamo, città senza principi e cortigiani, a fornire una testimonianza importante sul cibo quotidia-no, sulle abitudini domestiche e sulla mensa agiata dei privati cittadini. Il Cocho bergamasco alla casalenga, ma-noscritto della fine del Seicento, inizi Settecento, fa luce

sulla tradizione bergamasca. Grazie al suo autore, profes-sionista anonimo per modestia o discrezione, è possibile penetrare nei segreti delle cucine della città e scoprire cibi semplici, come le polpette piste, il pollastro ripieno alla casalinga e i dolci del Cocho bergamasco.La cucina del ‘600 distingue i vari sapori naturali degli in-gredienti (dolce, salato, acido-agro, amaro-piccante) e ri-dimensiona l’uso delle spezie che non sono più simbolo di ricchezza; predilige aromi semplici e naturali. Le salse a base di agresto, zucchero e spezie sono, poco alla vol-ta, sostituite con quelle a base di roux, più morbide ed eleganti. Le primizie diventano il nuovo status symbol. Nel pasto si alternano i servizi di credenza (con pietanze calde o fredde che venivano poste sul tavolo apparec-chiato prima dell’arrivo dei commensali) e i servizi di cucina, con i commensali seduti.La cucina del Seicento è fatta anche dalle mense dei più poveri e dei contadini, il cui pasto è composto da puls, farine miste (segale, miglio, migliaccio, panico o paniz-za, fave, fagioli dell’occhio o macco) cotte nell’acqua o nel latticello (il siero che re-stava dopo la produzione del burro) e ar-ricchite con erbe selvatiche, castagne ed un poco di formaggio; pà lavat con aceto e zucchero; minestre di erbe e talvolta formaggio. Date queste linee guida, i 40 ristoratori hanno messo in moto ingegno e creati-vità e hanno realizzato grandi menù, in-serendo, ad esempio, pollo in carpione tratto dalla ricetta del Choco bergama-sco, nusècc con erbe e salsa d’arrosto, gnocchi di mascherpa, zuppe, pana-de, maisse, büseca, pan del paradiso, casonsèi, foiade, crostate di serése.

“A tavola con Carlo Ceresa”, la cucina del Seicento sbarca in 40 ristoranti

FINO AL 24 GIUGNO

Chi partecipaMENÙ A 50 EUROAntica Osteria dei Camelì (Ambive-re), Frosio (Almè), Al Rustico Villa Pa-trizia (Sorisole), Papillon (Torre Bol-done), Trattoria del Tone (Curno).

MENÙ A 40 EURO In città: Antico Ristorante del Moro, Colleoni & dell’Angelo, Da Mimmo, Enoteca Zanini Osteria, Il Gourmet, Sarmassa, Vineria Cozzi. In provincia: Albergo Ristorante del-la Torre (Trescore Balneario), Canti-

na Lemine (Almenno San Salvatore), Villa Cavour (Bottanuco), Il Becco-fino (Albino), Locanda Don Miche-le (Zandobbio), Locanda della Corte (Alzano Lombardo), Museo (Castio-ne Della Presolana), Negrone (Scan-zorosciate), Pampero (Ranzanico al Lago), Posta (Sant’Omobono Ter-me), Taverna Le 12 Lune (Scanzoro-sciate).

MENÙ A 30 EURO In città: Da Cece e Simo, Giopì e Mar-

gì, I Sapori di Terra e Mare, La Ciotola, Osteria Vineria Bacco Matto, Tijuana.In provincia: Antica Trattoria Bre-ve Respiro (Zogno), Cucina Cere-da (Ponte San Pietro), Dal Burbero (Mozzo), Hostaria Ristorante La Trisa (Endine Gaiano), Il Carroccio (Dal-mine), Locanda dei Cantù (Carona), Al Sorriso (Curno), Cadei (Villongo), Ristorante Parco dei Colli (Pontera-nica), Trattoria del Sole (Fiorano al Serio), Trattoria La Conca Verde (Tre-score Balneario).

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Posso pranzare? «Sì, ma deve aspettare un po’, sa, il locale è piccolo», ci viene risposto cortese-mente. Quindi aspettiamo e dopo di noi diverse

altre persone aspetteranno ancora. Funziona così, è de-cisamente un buon segno, soprattutto di questi tempi. E alla sera come va? «Beh, non facciamo i doppi turni, ma non ci si può certo lamentare». C’è una vena di orgoglio e tanto entusiasmo nelle pa-role del giovane Mario Pesenti, dal 2009 chef e patron del locale. Siamo al ristorante La Gare a Caravaggio in viale Papa Giovanni XXIII, la strada che porta al celebre Santuario, al numero 25. Ristrutturato in occasione del passaggio delle consegne dai genitori (Clara Mandelli e Angelo Pesenti) al figlio, il locale ha un aspetto decisa-mente gradevole coniugando l’armonia dell’ambiente con l’esigenza di sfruttare al massimo gli spazi: siamo al di sotto dei 50 coperti, nella bella stagione si utilizza l’esterno.Ma la “rivoluzione” della struttura è forse poco rispetto a quanto è avvenuto in cucina. Con mamma Clara ai fornelli, dopo una lunga tradizione di famiglia, le pro-poste erano quelle classiche bergamasche. Il ristoran-te si chiamava La Pergola e tra i clienti c’erano anche diverse persone che si recavano in visita al Santuario. Oggi babbo e mamma continuano a dargli una mano e qualche pellegrino, soprattutto alla domenica, arriva ancora, sull’onda dei ricordi, ma Mario (che all’anagrafe

La Gare, sosta con un tocco di classe

IL PREZZO FISSOdi Fulvio Facci

LA PROVA

A mezzogiorno ci sono anche gli “steak menù”Il tocco di raffinatezza che caratterizza il locale lo si coglie anche nel menù a prezzo fisso di mezzogiorno, integrato dalla proposta di alcune combinazioni per piatti unici ai quali lo chef ha voluto abbinare delle definizioni particolari. “New York steak menù” è una tagliata di manzo con contorno, “Tonno steak menù” è una tagliata di tonno con salsa alla soia, “Maialino me-nù” comprende invece stinco di maialino da latte al forno con risotto allo zafferano e contorno. Il primo ed il terzo menù costano 14 euro, quello a base di ton-no 16. Tutti comprendono vino, acqua e caffè.La lista per il pranzo fisso “classico”, a 11 euro acqua vino e caffè compresi, proponeva invece: pasta cacio e pepe, risotto con salsiccia e gnocchi pomodoro e mozzarella tra i primi. Nodino con crauti e patate, ar-rosto con funghi e polenta e insalatona con uova e tonno invece l’offerta per i secondi piattiOttimi i sedanini cacio e pepe che abbiamo scelto per primo e decisamente apprezzabile il nodino con i gradevolissimi contorni curati in modo eccellente. La mano di classe si sente al gusto e si vede nella presen-tazione. Se uniamo l’attenzione nel servizio e la qua-lità della mise en place non possiamo che sintetizza-re con un giudizio ottimo il rapporto complessivo tra qualità e prezzo.

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lità della mise en place non possiamo che sintetizzare con un giudizio ottimo il rapporto complessivo tra qualità e prezzo.

Chef e patron, il giovane Mario Pesenti ha “rivoluzionato” il ristorante di famiglia a Caravaggio puntando su una proposta attenta e ricercata

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LA GARE RESTAURANT & LOUNGEviale Papa Giovanni XXIII, 25 Caravaggio - tel. 0363 53589 www.restolagare.it chiuso il mercoledì

fa anche Leonardo, ma lui la definisce una formalità) ha cambiato decisamente impostazione.Per cogliere appieno le scelte del nostro chef bisogna conoscerne la storia, seguire il suo percorso formativo. Spirito concreto, Mario Pesenti non si dilunga infatti nell’esposizione di chissà quali filosofie gastronomi-che, ma lascia che siano le sue esperienze ed i piatti a parlare. «Dopo aver frequentato l’Istituto Alberghiero a Nembro – ricorda - sono stato tre anni e mezzo, di cui due e mezzo a Parigi, con Gualtiero Marchesi, poi ho lavorato con Ezio Gritti dell’Osteria di via Solata in Città alta e con Andrea Berton da Trussardi alla Scala. L’imprinting è quello ricevuto da Gualtiero Marche-si, senz’altro, una base che cerco in qualche modo di adeguare al contesto entro il quale opero e quindi a Caravaggio».I piatti sono elaborazioni originali, una ricerca di equi-librati accostamenti tra sapori, forme e consistenze. Qualche esempio? Tra gli antipasti citiamo la Crema di patate viola con polvere di prosciutto, vongole e olio al curry. Il Risotto con piselli dolci, liquirizia e animel-la fritta è invece la proposta per un primo mentre un Trancio di branzino con anice stellato potrebbe essere un ottimo secondo piatto.«Qualche volta probabilmente mi complico la vita – ammette Mario Pesenti – visto la brigata di cucina estremamente ridotta che ho a disposizione, rappre-sentata da mia mamma a mezzogiorno e da un ragazzo per la sera. Ma questa è la strada che ho scelto e che mi sta dando delle soddisfazioni: è gratificante consta-tare l’apprezzamento. Per il menù a prezzo fisso all’ora di pranzo cerchiamo sempre di proporre delle novità. Alla sera invece, oltre al servizio alla carta, abbiamo un menù degustazione che proponiamo a 45 euro, bevan-de escluse. Sono cinque portate oltre agli aperitivi e alla piccola pasticceria. Carne o pesce a seconda di quello che offre il mercato e poi via libera alla fantasia».

Eventi e promozione con il Co. Gel Ascom

Gelaterie, riparte l’operazione Fiducia

Con l’arrivo della primavera entra nel vivo l’atti-vità delle gelaterie e si rimette in moto “Gelate-ria di Fiducia”, la campagna del Comitato Gela-tieri dell’Ascom per la promozione del prodotto artigianale, che offre agli operatori una serie di opportunità per farsi conoscere e ai consumato-ri alcuni momenti golosi. A fare da filo conduttore quest’anno è lo slogan “Gli ottimisti si gustano la vita”, attorno al qua-le si svilupperanno iniziative già sperimentate con successo in passato. La campagna prevede la presenza delle gelaterie aderenti sulla stam-pa in spazi dedicati alla valorizzazione del gela-to artigiana-le ed alcuni appunta-menti ormai entrati nella tra-dizione, come “La merenda non si paga”, che torna dal 14 al 18 maggio per la gioia dei più piccoli. I gelatieri distribuiranno infatti presso gli asili e le scuole del loro territorio coupon per ritirare nei propri punti vendita un cono gratuito a scel-ta e, perché la festa sia davvero per tutti, il Co-mitato provvederà a consegnare al reparto pe-diatrico degli Ospedali Riuniti di Bergamo del buon gelato artigianale da distribuire ai bambini ricoverati.Un taglio maggiormente sociale ha ricevuto dal-lo scorso anno anche la “Festa dei nonni”, che propone agli esercizi aderenti di offrire una for-nitura di gelato ad una casa di riposo o un cen-tro anziani della propria zona nella giornata dal 2 ottobre, dedicata, appunto a tutti i nonni e le nonne.Le attività potranno contare anche su vetrofa-nie, locandine e volantini con l’immagine co-ordinata della nuova edizione e chi parteciperà agli eventi riceverà delle forniture omaggio dal-le aziende sponsor. Il costo di adesione è deci-samente interessante, 50 euro più Iva, per favo-rire la partecipazione e accrescere la visibilità e l’impatto delle iniziative. Il Co. Gel. ha inviato ai gelatieri bergamaschi la descrizione dettaglia-ta del progetto. Per informazioni ed iscrizioni è possibile contattare la segreteria al numero 035 213030.

33Affari di Gola marzo 2012

pazi dedicati alla valorizzazione del gela-giana-lcuni ta-

ra-e, “L d i ” h

Mario Pesenti con la compagna Elisa, mamma Clara e papà Angelo

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Affari di Gola marzo 201234

“Scegliere biologico signifi-ca rispettare la nostra ma-

dre terra, l'ambiente, la vita...noi stessi!”. È la scritta che campeg-gia su bionaturaweb.com, il sito dell’omonimo negozio di Clusone guidato di Stefania Nava, che ha puntato tutto sul valore aggiunto che solo il rapporto stretto con la

natura può offrire. “Quando ho deciso di ritirare que-sto esercizio - spiega infatti Stefa-nia - l'ho fatto a seguito di una scel-ta ben più importante, una scelta di vita che mi ha portata progres-sivamente ad avvicinarmi al mon-do del naturale, del biologico e dell'ecologico. In un mondo dove

il bene primario sem-bra essere “il denaro”, maga-ri facile, c'è ancora chi, come me, crede che il rispetto per la Madre Terra, la natura e la vita sia il bene più grande. L'amore per noi stessi e per ciò che ci circonda dovreb-be essere il nostro motore trainan-

BioNatura, la scommessa di Stefania

L’orto in casa, sei consi g

IL NEGOZIO

In linea con la propria fi losofi a di vita, ha aperto a Clusone un punto vendita dove vince l’alimentazione naturale

Il fenomeno è in forte espansione in città. Ma per raccogliere una produzione soddisfacente occorre seguire alcuni consigli. Ecco una breve guida

LA PAROLA ALL’ESPERTA

Verdure sulle pareti e fiori appesi come quadri. Dopo piante e vasi sui balconi, giardini e orti sotto casa, il

“piacere della zolla” è pronto ad andare in verticale, so-prattutto nelle grandi città dove i prezzi si allargano ma gli appartamenti si restringono. Aumentano i monolocali e i bilocali e quindi ottimizzare gli spazi dedicati al verde diventa una necessità. In città sono in rapida diffusione gli orti in casa, sui balconi, che richiedono solo un po’ di ingegno e qualche semplice conoscenza. Essendo un lavoro alla portata di tutti, ecco qualche consiglio per

raggiungere risultati soddisfacenti e poter gustare le prelibatezze dal balcone di casa.

L’organizzazioneLa parte organizzativa verte sulla valutazione di due parametri: l’e-sposizione e la tipologia di vaso. La maggior parte degli ortaggi estivi necessita di sole per la maturazione, anche se non deve essere eccessivo. Se sul balcone il sole è presente per

buona parte della giornata, quin-di con un’esposizione a sud-est o

sud-ovest, il posto è quello giusto. In relazione invece allo spazio a di-sposizione, si può decidere se colti-vare in vaso o utilizzando altri siste-mi. Un metodo di discreto successo è quello degli orti verticali, molto in sintonia con l’evoluzione urbana ver-ticale. Visto che l’utilizzo sarà domesti-

co, tali sistemi possono essere acquistati o auto costruiti. Gli orti verticali artigianali non sono altro che pannelli in legno posizionati verticalmente con delle “tasche” adi-bite alla coltivazione.

Terriccio e scelta degli ortaggiIl terriccio universale è adatto a questo tipo di coltiva-zione, soprattutto perché è facilmente reperibile in cit-tà e ha costi contenuti. È sconsigliato intervenire con concimi chimici, se si volesse aumentare la presenza di sostanze concimanti si può mischiare al terriccio dello stallatico, anch’esso facilmente acquistabile.Sul balcone sarebbe auspicabile coltivare specie facili da curare e, visto lo spazio limitato, che producano in modo continuativo per qualche settimana. Quindi per quanto riguarda gli ortaggi estivi si consiglia la coltivazione di pomodori, melanzane, peperoni, cetrioli. A seconda dei gusti, dello spazio a disposizione e dal tipo di vaso o contenitore scelto, si possono coltivare anche altre spe-cie come le insalate da cespo o da taglio, gli spinaci, i finocchi, i cavoli o le leguminose come fagioli e piselli.

Impianto o semina?Le distanze di impianto sono fondamentali per la buona

di Lara Abrati*

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i gli per avere successo

te”.Ecco allora spiegato il motivo per cui da BioNatura, in via Mar-coni 12, si trovano solo alimenti prodotti da agricoltura biologica, piatti pronti interamente vegetali, alimenti senza latte, senza uova, senza lievito e senza zucchero (c'è l'imbarazzo della scelta!) e al-tro ancora. “Più nel dettaglio - spiega Stefania - qui si possono acquistare pane biologico a lievitazione naturale, alimenti adatti a chi soffre di ce-liachia o intolleranze alimentari oltre a un larga offerta di alghe, tofu, seitan, tempeh, piatti pronti

(cucina GlisBer), bevande vegeta-li, tisane e infusi, vino e integrato-ri alimentari”. Tra le ultime novità, le Paste Degli Gnomi dell’azienda "L'Origine", offerta in quattro ver-sioni: Allegra (Grano duro, ortica, bietola rossa e carota); Completa (Grano duro, orzo, miglio, mais, se-

gala, avena, grano saraceno, ortica, bietola rossa e carota); Ai 4 Cereali (Grano duro, miglio, riso e orzo) e Colorata (Grano duro, riso, orzo, ortica, bietola rossa e carota).Oltre agli alimenti, uno spazio è dedicato sia alla cura della perso-na - con il un settore riservato a detergenti, shampoo, saponi, cre-me, oli essenziali, fanghi e sali del Mar Morto, argilla - e all’igiene del-la casa, con prodotti senza sbian-canti ottici o chimici. Non manca, infine, il comparto dei libri, per chi vuole approfondire il capitolo del biologico

BIO NATURA - via Marconi, 12 - Clusone - tel. 0346 1901085 - 339 7575951

Stefania Nava

*Perito agrario e dottore in Scienze gastronomiche

riuscita della coltivazione. Per una questione di tempo di attesa, è consigliabile acquistare le piantine da un vivaista o da un rivenditore specializzato. La distanza tra le piante deve essere di almeno 20 cm per evitare un’eccessiva densità. Questo non vale per le insalate da taglio e gli spinaci, da seminare a spaglio direttamente sul terreno. I legumi hanno un seme che va leggermente infossato alla distanza di 5-10 cm l’uno dall’altro.

L’irrigazione Ciò che molte persone erroneamente fanno è l’apporta-re eccessiva acqua alle piante. Spesso l’errore è causa di fallimenti. Questo potrebbe favorire lo sviluppo di muf-fe, funghi o marciumi a carico dell’apparato radicale. Tali condizioni porterebbero ad un mancato sviluppo della pianta e di conseguenza, ad una mancata produzione. È necessario l’apporto idrico, ma deve avvenire con cri-terio in modo tale che l’umidità non sia eccessiva. Se le piante iniziano ad appassire leggermente o il terreno è semi-secco è importante apportare acqua. Essa non deve mai ristagnare sulla superficie del terreno. Per evi-tare ustioni alle parti verdi, questa operazione è giusto eseguirla nelle ore più fresche della giornata, quindi alla mattina presto o alla sera.

ProtezioneAnche la protezione è fondamentale. Sia dai danni mec-canici che a carico di parassiti. È importante evitare i danni meccanici proteggendo ad esempio le piante dal vento o dalla grandine. Come rimedio agli insetti, esisto-

no in commercio antiparassitari e altri prodotti. Un uso inesperto e smodato di tali prodotti, però, potrebbe cre-are danni alle piante, all’operatore e a chi farà uso degli ortaggi raccolti. Bisogna quindi cercare di limitare il più possibile l’arrivo dei parassiti, per esempio coltivando specie aromatiche vicino alle orticole. Se gli insetti pa-rassiti hanno già attaccato le piante, si possono utilizzare preparati o macerati prodotti a partire da elementi facil-mente reperibili, come l’aglio o le ortiche.

Gli attrezziGli attrezzi da utilizzare per la conduzione del piccolo impianto domestico vanno dai semplici guanti da giardi-naggio a piccoli pali del diametro massimo di 1 cm per sostenere le piante durante la loro crescita. Questo per garantire maggiore ordine e minore spreco di spazio, fa-vorendo una crescita in verticale delle piante. Sarebbe utile possedere un piccolo sarchiello, composto da un manico e dei denti, per rimuovere la terra in superficie. Diviene essenziale al fine di rimuovere le erbe infestanti e rompere le croste date dai ristagni idrici. Per l’apporto di acqua è utile possedere un piccolo annaffiatoio ed uno spruzzino, da uti-lizzare anche per eventuali trattamen-ti. In ultimo si potrebbe acquistare un foraterra, utile per la messa a dimora delle piantine, ma non essenziale per la riuscita di questa operazione.

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Cucina fa rima con giallo. La passione per la gastronomia ha invaso anche il mondo let-terario. Noir, thriller, polizieschi. Non c’è un

romanzo o un “racconto con il morto” in cui il cibo non compaia. Il delitto, insomma, mette appetito agli investigatori. Niente di nuovo, in effetti: Sherlock Holmes, Nero Wolfe e il commissario Maigret erano tutti raffinati intenditori di piatti. Poirot un goloso cronico. Negli ultimi anni il cibo è diventato però un cardine nar-rativo: Pepe Carvalho di Montalbán e il commissario Montalbano di Camilleri, supremi rappresentanti di questa liaison noir-mangereccia sono grandissimi mangiatori. Marco Malvaldi ha scelto come protago-nista dei suoi romanzi (La briscola in cinque, Il gioco

delle tre carte, Il re dei giochi, La carta più alta) un bari-

sta con la passione del buon cibo e del buon vino (nel suo “Odore di chiuso” il detec-

tive di turno è addirittura Pel-legrino Artusi); Enrico Radeschi, il giornalista/hacker di Paolo

Roversi, tra un’indagine e l’altra si diletta ai fornelli; il commissario Soneri di Valerio Varesi è un eroe de-luso e scoraggiato che solo il cibo e il vino riescono a rasserenare. Persino Massimo Carlotto, tra i più ap-prezzati scrittori noir di casa nostra, ha scritto di cibo.L’elenco dei giallisti italiani attenti al tema della cuci-na potrebbe continuare all’infinito. Ma qual è il moti-vo di questo felice connubio? È un semplice pretesto letterario, è la passione dello scrittore riversata sul personaggio di carta oppure cosa?L’abbiamo chiesto ad alcuni di questi autori, durante il Festival Nebbia Gialla di Suzzara svoltosi il primo weekend di febbraio. Ecco cosa ci hanno risposto.«Il cibo è da sempre una fonte d’ispirazione per i ro-manzi - spiega Paolo Roversi, in libreria con “Milano Criminale” -. Nei miei gialli Enrico Radeschi si trova sempre, per un motivo o per l’altro, davanti ai fornelli per preparare qualcosa di buono». «Non potremmo scrivere senza questo aspetto - confida Roversi - fa parte della malinconia del detective, dei suoi ricordi». Per Valerio Varesi (Il Commissario Soneri e la mano di Dio, È solo l'inizio, Commissario Soneri, La senten-za) autore di una serie di romanzi con protagonista il commissario Soneri che ha ispirato la serie di sce-neggiati televisivi "Nebbie e delitti" con Luca Barba-reschi: «Il buon gusto a tavola è un cliché che ren-de più realistico il personaggio. Inoltre il mio Soneri è di Parma, difficile togliere di mezzo la cucina dal racconto». «Per Soneri - spiega Valeri - il cibo non è

Tutto il sapore del giallo

FOOD&BOOKdi Roberta Martinelli

Il cibo alimenta anche il genere noir, s’infi la spesso nelle sue trame. Ce lo hanno confermato diversi scrittori che abbiamo incontrato all’ultimo Festival Nebbia Gialla di Suzzara. E che ci hanno spiegato i motivi di questa scelta

rativo: Pepe Carvalho di Montalbán e il commissario Montalbano di Camilleri, supremi rappresentanti di questa liaison noir-mangereccia sono grandissimi mangiatori. Marco Malvaldi ha scelto come protago-nista dei suoi romanzi (La briscola in cinque, Il gioco

delle tre carte, Il re dei giochi, La carta più alta) un bari-

sta con la passione del buon cibo e del buon vino (nel suo “Odore di chiuso” il detec-

tive di turno èaddirittura Pel-legrino Artusi); Enrico Radeschi, il giornalista/hacker di Paolo

Valerio Varesi

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solo un piacere ma un elemento culturale, un segno di identificazione come lo raccontava Piero Campo-resi. Raccontare il cibo è un po’ raccontare la nostra storia, accanto al cibo entra in gioco la terra di cui quel cibo è espressione, l’Emilia Romagna con le sue campagne, la sua cultura, i suoi sapori e profumi, la cultura di questa regione. Il tutto in un mondo che ci standardizza anche a tavola facendo mangiare a tut-ti quanti le stesse cose. Senza contare - aggiunge lo scrittore parmense - che il cibo è sempre stato una componente della riflessione. Per così dire, la facilita, fa scorrere i pensieri». Anche per Massimo Carlotto (Arrivederci amore, ciao; L’alligatore; Alla fine di un giorno noioso) il cibo è un argomento importante. Nel suo caso però non si tratta di caratterizzare un personaggio o di renderlo più realistico, bensì di denunciare un sistema crimi-noso. Nel noir “Mi fido di te” racconta infatti di un assassino cinico e senza scrupoli che al riparo del suo irreprensibile ristorante Chez Momò si arricchisce con alimenti contraffatti e mortali per i consumato-ri. «La sofisticazione alimentare è il secondo business della mafia dopo i rifiuti - denuncia Carlotto - i media ne parlano poco o niente, per timore di perdere le pa-gine di pubblicità, per questo ho deciso di scriverne». «Il Ministero della Salute - spiega l’autore padovano - ha dichiarato che mangiamo molto male. Secondo l’Oms, gli alimenti sofisticati sono la causa delle tre patologie più diffuse: diabete, malattie cardiovascola-ri e tumori. L’industria alimentare investe cifre enor-mi per inventare di continuo sapori artificiali com-pletamente chimici e omologati, la malavita ricicla il cibo andato a male e lo trasforma in semilavorati destinati all’industria alimentare e i consumatori pri-vi di senso critico non sono capaci di distinguere un prodotto genuino da uno contraffatto. L’unico modo per contrastare questo fenomeno è contrastare la corruzione. La qualità del cibo è una battaglia fonda-mentale, è un diritto del cittadino, la gente deve farlo vedere».

L’INDAGINE

Carta dei vini, vince chi propone novità«Una carta dei vini dove figurano vini d’impor-tazione, in particolar modo francesi o del nuovo mondo avrà un effetto positivo sul cliente del ri-storante» (Santi Planeta). «Da sempre le etichette straniere più importate sono francesi, tedesche e spagnole, per un discorso di qualità effettiva del prodotto» (Massimo Spigaroli, chef del ristoran-te Antica Corte Pallavicina di Polesine Parmense - Pr). «La maggiore offerta di vini d’importazione è la risposta alla domanda di mercato, soprattutto per gli spumanti, champagne in primis» (Luigi Pia-centini, presidente di Premium Wine Selection). L’attenzione ai vini esteri è per i ristoratori «una ri-sposta alla domanda, alla ricerca di price for value e - al tempo stesso - di ricarico meno elevato di un tempo. Attenzione, però, a non cadere nell’equivo-co derivante dall’assioma vino internazionale e-guale vino dal prezzo abbordabile, che non è sem-pre vero. Basti pensare a certe etichette francesi… o spagnole!» (Alberto P. Schieppati, direttore edi-toriale di Artù). Dalle interviste di Aspettando Vi-nitaly, disponibili sul sito http://aspettando.vini-taly.com dove è possibile partecipare al dibattito, emerge uno spaccato sui vini esteri nelle carte dei vini dei ristoranti italiani.La Francia, non è una novità, fa la parte del leone, ma la Spagna sembra avere un prestigio tale da po-tersi permettere di piazzare etichette anche mol-to costose. La Germania occupa la terza posizione, confermando i dati raccolti dall’indagine “Vinitaly incontra la ristorazione”, disponibile nella sezione “Studi e Ricerche” del sito www.vinitaly.com.Dall’indagine è emerso, in particolare, che il 99% dei ristoranti italiani con carte dei vini con oltre 100 etichette aveva bollicine francesi, mentre so-lo il 9% offriva etichette spagnole. Più varietà per i vini rossi, con il 94% di ristoranti con vini francesi, il 49% con bottiglie spagnole, il 42% cilene, il 39% dagli Usa, il 35% dall'Australia, il 32% dall'Argenti-na e il 29% dal Sud Africa. Per trovare una buona rappresentanza di vini europei bisogna guardare tra i bianchi, che provengono per 96 ristoranti su 100 dalla Francia, per il 49% dalla Germania, per il 36% dall’Austria, per il 24 e 22% rispettivamente da Nuova Zelanda e Australia, mentre vini bianchi spagnoli vengono offerti solo nel 18% dei ristoran-ti, al pari di Sud Africa e Stati Uniti (18 e 17% rispet-tivamente). Di fronte a tanta offerta, però, secondo Planeta «la migliore carta dei vini è quella che rie-sce ad accontentare la ricerca di nomi conosciu-ti dal cliente e quella che soddisfa le sue curiosità di novità».

Massimo Carlotto

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Chi non conosce i segreti dei fornelli, diffi cilmente si cimenta nella preparazione di un piatto a base di pe-sce, soprattutto se si tratta di un crostaceo. In tanti so-no convinti che la parola pesce sia sinonimo di ricette complicate e laboriose e preferiscono quindi mangiar-lo al ristorante. Fortunatamente, al contrario di quel che si può pensare, ci sono alcune pietanze gustose, veloci e semplici da cucinare. Per ragioni pratiche (e perché non sono un cuoco dal palato sopraffi no) ac-quisto le mazzancolle surgelate, sempre disponibili in qualsiasi supermercato. Ma se amate il sapore del ma-re o vi sembra un oltraggio non usare il pesce fresco, potete acquistarle in qualsiasi pescheria. Se optate per la prima soluzione, ricordatevi di toglierle dal congela-tore con ampio margine di tempo: la buona prassi in-segna che andrebbero scongelate riponendole nel fri-gorifero otto-dieci ore prima dell'utilizzo, ma se è una decisione dell’ultimo momento, fategli fare un giro nel microonde e saranno pronte per essere sbollentate. La mazzancolla, ricca di vitamine B (come tiamina e ri-bofl avina) calcio e fosforo, è il tipico pesce che in cu-cina si presta ad essere utilizzato nei modi più diversi: cotta, alla griglia o fritta, rende squisiti antipasti, primi

e secondi piatti e, una volta sperimentata, avrete voglia di tentare nuove ricette. E poi c’è il soncino, una insa-latina che è una vera miniera di vitamine e sali minera-li: nutriente, vitaminizzante, utile soprattutto durante i cambi stagionali, regala all’organismo pro-vitamina A (100 gr di soncino coprono il fabbisogno quotidiano), vitamina B9 e C. La potete acquistare in busta, già lava-ta e pronta per essere messa in tavola, oppure “fresca”, stando attenti alle foglie che dovranno essere integre e senza macchie; particolare attenzione alle foglie molto grandi che sono indice di concimazione forzata e scar-so sapore. Se ve ne avanza un po’, preparatevi un infuso di foglie di soncino, dolcifi cato con una punta miele di tiglio o fi ori d’arancio: è un toccasana e favorisce il son-no, dopo una lunga giornata di lavoro. Infi ne la feta, in-grediente già protagonista di un piatto proposto qual-che mese fa. È sicuramente uno di quei cibi che merita un minuto di attenzione: la sua pasta compatta, il sapo-re delicatamente salato e il suo gusto che sa davvero di latte la dicono lunga sulla sua capacità di non rendere mai un piatto banale; e per chi ha poco tempo e poca fantasia culinaria, è un grande regalo. Non mi resta che auguravi buon appetito.

LA CURIOSITÀ

Ingredienti per 1 persona

250-300 g di mazzancolle100 g di feta100 g di insalata soncino

mezzo limoneolio extraverginesale q.b.

PreparazioneLessate in acqua bollente le mazzancolle per pochi minuti (meno cuociono, più restano tenere e polpose) e poi sgusciatele. Tagliate a dadini la feta e successivamente condite in una ciotola il soncino con sale, limone e olio mischiando bene il tutto. Trasferite l’insalata condita in un fondina capiente (va bene anche quella per la minestra) e disponetevi sopra, alternando, le mazzancolle sgusciate e i dadini di feta.Se volete, aggiungete ancora un po’ di olio extra vergine, mescolate e mangiate subito perché il limone tende a far appassire le foglie delicate del soncino.

L’A

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Ricette facili e veloci per chi

vive da solo, ma non rinuncia

alla buona cucina

Capita a tutti nella vita di vivere per un certo periodo di tempo da soli. E spesso ciò coincide con la rinun-cia ai piaceri della buona tavola ed è sinonimo di cibo congelato, essiccato, imbustato. Ecco allora qualche idea per preparare ricette “monodose” da mangiare seduti a tavola o ri-lassati sul divano, a seconda dell’umore, per non sentirsi mai più soli ai fornelli... perché anche mangiare da soli può essere piacevole.

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DEL SINGLE di Marco Bergamaschi

Mazzancolle e feta, nozze gustose tra mare e terra

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