Affari di Gola - novembre 2010

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IN RASSEGNA SAPORI, GUSTI E PIACERI DEL TERRITORIO Detti: «I vitigni autoctoni sono una risorsa» SOMMELIER «Ecco come nascono i drink molecolari» IL BARMAN Anche il vino cerca la sua anima “bio” L’INCHIESTA A Valtorta è nato un casaro di talento IL PERSONAGGIO BERGAMO Meno olio, ma di qualità Una giornata al frantoio di Scanzo insieme agli olivicoltori. Stagione favorevole, l’extravergine è più strutturato e stabile novembre 2010 Supplemento al n. 40 de “La Rassegna” del 18 novembre 2010 - Giuseppe Ruggieri direttore responsabile Editrice: La Rassegna S.r.l. via Borgo Palazzo 137, Bergamo Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1, DCB Bergamo - 2,60

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In rassegna sapori, gusti e piaceri del territorio bergamasco

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IN RASSEGNA SAPORI, GUSTI E PIACERI DEL TERRITORIO

Detti: «I vitigni autoctoni sono una risorsa»

SOMMELIER«Ecco come nascono i drink molecolari»

IL BARMANAnche il vino cerca la sua anima “bio”

L’INCHIESTA

A Valtorta è nato un casaro di talento

IL PERSONAGGIO

BERGAMO Meno olio, ma di qualità

Una giornata al frantoio di Scanzo insieme agli olivicoltori. Stagione favorevole, l’extravergine è più strutturato e stabile

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NOVEMBRE 2010

S O M M A R I O5

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PENNA ALL’ARRABBIATAPerché la “Trattoria Caprese”è diventata subito un fenomeno

SUL CAMPOArriva l’olio nuovo: meno produzione ma di buona qualità

TENDENZEE ora anche il drink diventa molecolare

IL RISTORANTEDue Colombe, emozioni nel “Borgo”

L’INTERVISTADetti (Ais): “Puntiamo sui vitigni autoctoni,possono fare la differenza”

QUELLI DEL FORMAGGIOIl talento del giovane casaro

IL PUNTOAnche il vino cerca un’anima più “bio”

Editrice: La Rassegna S.r.l., via Borgo Palazzo, 137 - 24125 BergamoPresidente: Ivan RodeschiniDirezione e Redazione: La Rassegna S.r.l. - via Giorgio Paglia, 26 24121 Bergamo - tel. 035 213030 fax 035 [email protected] responsabile: Giuseppe RuggieriIn redazione: Anna FacciOpinionisti: Pier Carlo Capozzi, Enrico RotaPubblicità: S.P.M. srl - viale Papa Giovanni XXIII, 120/12224121 Bergamo - tel. 035 358 888 fax 035 358 753Abbonamenti: www.larassegna.it - tel. 035 4120304Registrazione Tribunale di Bergamo - N° 185 del 20 Febbraio 1950Collaboratori: Michele Andreucci, Leo Bartoli, Marco Bergama-schi, Laura Bernardi Locatelli, Pino Capozzi, Ettore Coffetti, Fulvio Facci, Roberta Martinelli, Roberto Morandi, Lelia Parisi, Rossana Pecchi, Fabrizio Pirola, Pierluigi Saurgnani, Giordana Talamona, Donatella Tiraboschi, Sara VavassoriImpaginazione: Videocomp, BgStampa: Litostampa Istituto Grafi co, Bg

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Perché la “Trattoria Caprese”è diventata subito un fenomeno

All’inizio se n’è parlato per via del nome in-gombrante.Già, perché di “Caprese” c’era già, e da un

pezzo, il locale di Bruno Federico a Mozzo. Poi però, dopo una sfolgorante inaugurazione di fi ne settembre, la “Trattoria Caprese” di via Piccinini a Bergamo, negli stessi spazi eleganti del “Kristi”, ha continuato a far parlare di sé per il successo che da subito l’ha premiata e che continua imperterrito a premiarla.Breve antefatto per capire: si tratta di una socie-tà alla sua quarta apertura con la stessa insegna, dopo Capri, Napoli e Monza. Chiarissimo l’inten-to: visto che la formula, in “patria”, funziona alla grande, perché non attaccare il mercato proprio nel profondo ed agiato nord?Così è partita la sfi da che pare stia portando soddi-sfazioni e riscontri davvero lusinghieri, segnatamente dalle parti del vecchio tea-tro Duse (di cui resta, ahi-noi, solo il ricordo) e del monumento a Garibaldi (nel 150° anniversario della Spedizione dei Mille, di cui Piccinini fu grande protago-nista).E siccome non ci piace pen-sare che certi accadimenti arrivino per caso, ecco che questo incrocio tra volontari bergamaschi in camicia rossa e cucina tradizionale campana sti-mola la nostra fantasia e ci suggerisce, dopo un pranzo gustoso, la lettura di qualche pagina del diario “Da Quarto al Volturno”. Per rinfrescare la nostra memoria storica e rafforzare il nostro senso di appartenenza. Dunque la “Trattoria Caprese” è partita in quar-ta senza avere il tempo di trarre ispirazione dallo scoglio genovese: sicuramente la collocazione è di quelle favorevoli, proprio lì, nel baricentro di uffi ci, a un passo dal Palazzo di Giustizia, a un tiro di schioppo dal Sentierone.Però c’è dell’altro. E subito corre il pensiero ai prezzi contenuti, convenientissimi a pranzo, ma competitivi anche a cena. Coi tempi che corrono, certamente avranno un peso anche loro, ma ci sembrerebbe riduttivo ricondurre tutto ad una questione di portafoglio: probabilmente, in questo

nuovo fenomeno di costume del nostro panorama enogastronomico, è il caso di andare oltre, come si è fatto, per esempio, con Giuliana e la sua “Tratto-ria D’Ambrosio”.Non venitemi a dire che si va da Giuliana solo per i prezzi, con la clientela “importante” che vi ritro-vate molto spesso vicina di tavolo e che non avreb-be problemi a spendere quattro volte tanto…Si va in via Broseta anche per l’atmosfera che si respira, perché ci si sente coccolati anche se non si è vips, perché un posto informale, molto spesso, ci mette di più a nostro agio.Credo che alla “Trattoria Caprese” stia accadendo qualcosa di tremendamente uguale e sarebbe dif-fi cile non fosse così davanti ad una lista che pro-

pone: “Misto di salumi, ricottine, formaggi, fritturina e sfi zioserie della casa”, “Pizza Ferdinando IV” (pomodoro, mozzarella, me-lanzane e basilico), “Spaghetti Margherita” (pomodorini, par-migiano e basilico) e dove tutti i piatti, carne e pesce, sono ri-gorosamente accompagnati da verdure e sorrisi. Materie prime semplici, quindi, ma buonissime e servite con al-legria.Per non parlare del carrello dei dolci, proposto con signorile

abbondanza partenopea (e in questo ci ricordano molto il nostro amico Bruno).Pare che il ristorante sia sempre affollato e non sol-tanto per pranzo, dove te la puoi cavare anche con un piatto unico, oltre alle pizze, cotte nei forni a legna e presenti mezzogiorno e sera.Un nuovo fenomeno di costume, a quanto pare, che si sta rincorrendo nel passaparola di tutta la nostra Provincia: da guardare con grande atten-zione in un momento di generale diffi coltà e di ri-presa che stenta a carburare.Certo, ogni tanto ci capita di arrivare in qualche locale dove il buonumore e la gentilezza non sono precisamente le prime sensazioni che vi accolgono e ci sorprendiamo a pensare che, poi, è perfetta-mente inutile lamentarsi se la crisi ti schiaccia. Il “prezzo certo”, “le materie prime scelte”, “la corte-sia non affettata” e i “sorrisi gratis” pare che siano formule tuttora vincenti.Peccato non approfi ttarne.

PENNA ALL’ARRABBIATAdi Pier Carlo Capozzi

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5Affari di Gola novembre 2010

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Arriva l’olio nuovo: meno produzione ma di buona qualità

Tra gli appuntamenti che scandiscono l’annata agricola bergamasca, da qualche anno a questa parte c’è anche quello della spremitura delle oli-

ve, momento che l’immaginario colloca di primo acchi-to in altri scenari - dalle sponde del Garda alle cascine toscane, dall’irta Liguria alle spianate pugliesi -, ma che tra le colline della Tribulina di Scanzorosciate, ordinata-

mente disegnate dai filari delle viti e mosse dall’argen-teo vibrare delle foglie degli olivi, trova una sua sugge-stiva collocazione. È qui infatti, all’interno dell’azienda agricola Il Castellet-to, che è in funzione dal 2005 il primo e unico franto-io della Bergamasca, realizzato grazie ad un contributo della Provincia e gestito dalla Cooperativa Olivicoltori

SUL CAMPOdi Anna Facci

Nell’unico frantoio della Bergamasca, a Scanzorosciate, si prevede, al termine della campagna, una leggera diminuzione delle quantità, a causa delle gelate. Lussana:

«Per il resto la stagione è stata favorevole e il prodotto risulta più strutturato e stabile»

Quello di Scanzorosciate è un impianto a ciclo continuo

che può lavorare 250-300 chili di olive all’ora. Una serie di macchi-nari tra loro collegati effettua le diverse fasi in modo automatico. Si comincia con il lavaggio e la defoliazione, dopodiché le olive

vengono trasportate da un eleva-tore alla frangitura dove un ap-parecchio a coltelli con una velo-cità di 850 giri al minuto sminuzza le drupe in una “pasta” di polpa e nocciolo. Il composto passa nella prima gramola, una vasca con u-na coclea in movimento che lo im-

pasta dando così la possibilità alle microparticelle di olio di unirsi a formare delle goccioline più gros-se. Dopo circa 20 minuti l’impa-sto passa alla gramola successiva dove viene lavorato per lo stesso tempo. La presenza di due vasche distinte permette al frantoio ber-

Così nasce il “nostro” extravergine

LA SCHEDA

Nell’unico frantoio della Bergamas

lavaggio e defoliazione gramolatura1 26 Affari di Gola novembre 2010

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Sebino, Franciacorta e Montisola, dal 2009 diventata Cooperativa Olivicoltori Bergamaschi accentuando il carattere territoriale. L’impianto è presto diventato un punto di riferimento per aziende e hobbisti, catturati da una crescente “febbre dell’olio”, da quell’autentica magia che è la trasformazione delle drupe nel prezio-so condimento. I macchinari fanno un po’ di fracasso, l’odore è un pregnante concentrato di olive triturate ed i produt-tori aspettano pazientemente a turno il momento in cui sgorgheranno dal decanter le prime gocce del loro extravergine. «Il frantoio non trattiene nessuna percentuale di olio – spiega Pietro Umberto Lussa-na, titolare del Castelletto che segue l’impianto -. Si fissa l’appuntamento, si portano le olive e si va via

con il proprio prodotto pagando il ser-vizio». Gli utenti sono

in costante crescita. Si tratta di appassio-nati che hanno sco-

gamasco di lavorare una dopo l’al-tra anche piccole quantità di oli-ve. Attraverso una pompa dosatri-ce il prodotto viene poi mandato nel decanter, ultima tappa prima di veder sgorgare l’extravergine. È formato da un tamburo che gi-ra ad elevata velocità (circa 3.500 giri al minuto) generando la for-za centrifuga necessaria, all’inter-no c’è un altro cilindro che ruo-ta anch’esso ma ad una velocità

minore (attorno ai 3.150 giri). La differenza di velocità, la forma ad imbuto del tamburo e il diverso peso specifico delle componenti permettono di separare la parte oleosa dalla sansa, composta da acqua e residui solidi. La sansa fi-nisce direttamente in un’autobot-te e viene utilizzata per produrre concime, mentre dalla bocca po-sta all’altro lato del decanter scen-de l’atteso flusso dorato. Dall’in-

serimento delle olive allo stillare delle prime gocce passa all’incir-ca un’ora. Le operazioni sono re-golate attraverso un pannello di controllo che evidenzia velocità e temperatura. Caratteristica salien-te dell’impianto di Scanzorosciate è la lavorazione a freddo, cioè al di sotto dei 27 gradi, modalità che garantisce la maggiore salvaguar-dia delle qualità organolettiche e nutritive dell’olio.

Il gusto dell’autoproduzione

LE TESTIMONIANZE

decanter ... ed ecco il prodotto3 4

È sabato pomeriggio e i frequentatori del fran-toio sono tutti produttori “casalinghi”, che si

sono magari resi conto che gli olivi piantati in giar-dino non sono solo un complemento estetico ma possono regalare un gustoso e salutare plus o sono appassionati di natura ed apprezzano la possibilità di portare in tavola qualcosa di prodotto in pro-prio. Tanto più se si tratta di olio extravergine, su cui aleggiano spesso dubbi su provenienza e meto-di di lavorazione. La quantità minima con la quale accedere al frantoio è 1,5 quintali di olive, un peso minore renderebbe antieconomica la lavorazione. Il raccolto ideale è fatto per metà da olive verdi e per metà scure (invaiate). Ferruccio Colleoni (foto 1) è arrivato con quasi due quintali, frutto delle 8/9 piante che ha in quel di San Rocco, frazio-ne di Cenate Sotto. «Sono un po’ meno dello scor-so anno – rileva – a causa del freddo. Ne ricaverò circa 25 litri di olio che consumeremo in famiglia. È prima di tutto una bella soddisfazione e una pas-sione che si va affinando nel tempo». Di professio-ne vende auto, ma ha imparato la potatura e la cura dell’uliveto. Per la raccolta ha fatto da sé a mano in quattro giorni.

7Affari di Gola novembre 2010

na, titolare del Castelletto che segue l’impianto -. Si fissa l’appuntamento, si portano le olive e si va via

con il proprio prodotto pagando il ser-vizio». Gli utenti sono

in costante crescita. Si tratta di appassio-nati che hanno sco-

Pietro Umberto Lussana (a destra) e il collaboratore Gianbattista

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SUL CAMPO

Costantino Pulcini (foto 2) di Alzano Lombardo nutriva già da tempo l’idea di farsi l’olio da solo. Aveva saputo in passato di altre iniziative in questo senso, di cui si è persa però traccia. Ha colto al volo l’opportunità data da un frantoio così vicino. Produ-ce da quattro anni. «Attualmente la piante che frutta-no, in un terreno a Villa di Serio, sono dieci – spiega -, ma ne abbiamo altre. Quest’anno il raccolto è stato di 3,4 quintali». L’olio è per la fa-miglia e ne è tal-mente appassio-nato che «quan-do è finito – dice – non condisco più niente fino a che non arriva la nuova spremitu-ra. Non vedo l’o-ra di assaggiarlo sulle patate bol-lite». Spigolatore si definisce, invece, Pierluigi Gotti (3), di Bergamo. Ha approfittato degli ulivi piantati in spazi pubblici e di quei frutti ignorati per farsi una scorta persona-le di olio. «Il Gleno ha tra belle piante – svela – che

mi hanno regalato un bel raccolto come anche de-gli olivi nella rotonda davanti alla Fiera». L’idea gli è venuta frequentando il Garda, dove l’usanza di fare l’olio è più diffusa. «Più in generale amo stare nelle natura e realizzare prodotti in casa che reputo più genuini, mi preparo anche marmellate e sughi per tutto l’inverno».Gruppetto allegro quello che viene da Foresto

Sparso, con Isi-doro Roggieri, artigiano, la mo-glie Chiara Zuc-chetti, e il genero Maurizio Rubini (4). Hanno una cascina con un uliveto di vent’an-ni e da tre anni fanno riferimento al frantoio berga-masco. Nella rac-colta delle olive è coinvolta la fami-glia e in due gior-ni e mezzo hanno raggiunto quota

3,7 quintali. Anche per loro utilizzare in tavola e in cucina il proprio extravergine è ormai un’abitudine irrinunciabile.

Franco Vismara era funzionario Telecom. Da 10 anni è coltiva-

tore diretto, avendo lasciato la posi-zione di dipendente e creato con la moglie Liliana un’azienda agricola, proprietaria di più di duemila ulivi, coltivati biologicamente sulle pen-dici del monte Misma, sopra Scanzo-rosciate, in un parco di 12 ettari. Gli ulivi sono stati scelti poiché richie-dono impegno alternato rispetto a quello da dedicare alle api: si pota-no tra marzo e maggio (2.000 ulivi richiedono 2 mesi di lavoro) quan-do gli insetti sono ancora in letar-go, l’erba nel campo si taglia 3 volte l’anno (l’ulivo vuole il piede pulito),

le olive si raccolgono a novembre. Oggi è affiancato dal figlio Gianluca che, laureato in filosofia, ha scelto la professione del padre, pur conser-vando l’interesse per la materia spe-culativa. La signora Liliana si occupa di vendita, oltre a sostenere la fami-glia come solo una donna sa fare.Coltura biologica significa rispet-tare la normativa europea riguar-do l’applicazione di protocolli. In concreto, i fitofarmaci sono vietati: la lotta alla mosca è condotta non con esteri fosforici, ma con trappo-le ai ferormoni, più costose ma non chimicamente invasive. Nella conci-mazione del terreno, l’urea è proi-

bita: l’ingrassamento avviene trami-te stallatico proveniente da alleva-menti biologici. Dopo la falciatura, l’erba tagliata è lasciata nel campo, pacciamatura che contribuisce alla composizione dell’humus. In più, la prima erba è fatta crescere fino ai semi, così da nutrire i cardellini. An-che i rami da potatura sono triturati in segatura e lasciati sotto le piante: dal campo infatti viene asportato il meno possibile. La raccolta delle o-live è fatta a mano: stesi i teli sotto la

E l’ex funzionario Telecompunta tutto sul biologico

8 Affari di Gola novembre 2010

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L’AZIENDA

Franco Vismara e, nell’altra pagina, la moglie Liliana

di Carlotta Plebani

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perto il piacere di produrre da sé il fabbisogno annuale per la propria famiglia e qualche omaggio alla cerchia degli amici o di aziende agricole che hanno trovato nell’olivicoltura una nuova opportunità. Il territorio bergamasco, del resto, risulta vocato a questa produzio-ne, in particolare la zona dei laghi e quella collinare fino a Bergamo, 24 comuni in tutto, che rientrano nell’area prevista dal disciplinare della Dop Laghi Lombardi – Se-bino, le cui caratteristiche sono quelle degli oli definiti “delicati”. «Arrivano al frantoio soprattutto produttori bergamaschi e bresciani – rileva Lussana -, quest’anno c’è stato anche il caso singolare di un brianzolo. Il baci-no di utenza, comunque, va dal Lecchese al Bresciano». Per i soci della Cooperativa, presiduta da Vittorio Capi-tanio, sono previste condizioni particolari. «Ad un anno di distanza dalla costituzione – prosegue – contiamo su una quarantina di associati bergamaschi e su una trentina di bresciani, alla fine della campagna gli iscritti saranno una decina in più rispetto all’anno scorso. L’o-biettivo della Cooperativa è promuovere l’olivicoltura e l’olio attraverso la collaborazione, nella convinzione che l’unione possa dare più forza all’attività. Il futuro potrebbe anche essere la commercializzazione da parte della cooperativa stessa».Quest’anno il frantoio ha cominciato a spremere le prime olive il 17 ottobre e continuerà fino agli inizi di dicembre. Nel 2009 ha lavorato circa 600 quintali di oli-ve, per 110 quintali di olio. Le previsioni sull’annata in corso parlano di un leggero calo di produzione e di un aumento della qualità. «Le gelate – spiega il frantoiano - hanno penalizzato a macchia di leopardo le colture.

Più colpite sono state le zone collinari meno riparate e il cultivar leccino. Non è, quindi, un fenomeno genera-lizzato, anche se crediamo porterà ad un leggero calo, attorno al 10%, della produzione. Per il resto però la sta-gione è stata favorevole, le piogge non sono mancate e l’olio di quest’anno risulta all’olfatto più fruttato e al gu-sto più amaro e piccante, caratteristiche che lo rendo-no più strutturato e stabile e che garantiscono, se ben conservato, un’ottima durata». In prospettiva le quantità sono in ogni caso destinate a crescere, visto che negli ultimi anni in Bergamasca sono stati impiantati nuovi olivi. «Il frantoio – conclude Lussana – può arrivare a lavorare 2mila quintali di olive, ha perciò ampi margini di sviluppo».Tra gli olivicoltori bergamaschi c’è anche chi ha intra-preso il percorso della Dop, una certificazione che offre garanzie ai consumatori di precisi standard produttivi. Sono sei o sette le aziende, tra cui la stessa Il Castelletto, che fanno riferimento al frantoio che si sono sottoposte al disciplinare che prevede verifiche sul campo e analisi dei campioni da parte dell’organismo di controllo Cer-tiquality di Milano. L’olio Dop deve essere imbottigliato in frantoio. Grande esperto di olivicoltura e punto di riferimento a vari livelli per la categoria, Pietro Lussana sta lavorando anche su oli monovarietali come il locale sbresa e il leccino.

pianta, si staccano i soli frutti (non le foglie!) con una pinza applicata manualmente ai rametti. La spremi-tura avviene entro 36 ore dalla rac-colta presso frantoi certificati bio-logici, che garantiscono la pulizia della mola tra una coltivazione e la successiva. Lo stesso locale di im-bottigliamento ha un certificato di conformità.Vismara produce così più di 12 quintali (2.000 bottiglie) di olio di extravergine d’oliva, biologico, che si fregia del riconoscimento Dop Laghi Lombardi, sottosezione di Se-bino. È un blend di frantoio, leccino e pendolino molto delicato e dige-ribile, con profumo fruttato di oli-va verde, un retrogusto di carciofo e sentori dolci di banana. In bocca fornisce un ottimo equilibrio ama-ro-piccante. Le api ci sono ancora, allevate bio-logicamente. Gli alveari variano tra

i 300 e i 350 a seconda dell’annata, posizionati in siti fissi (le pendici del monte Misma nelle oasi Wwf, il parco del Serio e la proprietà dell’a-zienda sopra Cenate Sotto), da cui le api sono spostate stagionalmente, in notturna, con l’utilizzo di mezzi 4x4 per raggiungere locazioni mon-tane ove si produce le varietà rodo-dendro, flora alpina e tiglio. Acacia, tarassaco e mille fiori sono invece prodotti di campagna.Le api hanno quattro mesi di produ-zione (da aprile ad agosto) e richie-dono otto mesi di sviluppo e con-servazione della famiglia. Il signor Franco ha acquistato la sua prima regina 40 anni fa e ora le alleva in autonomia. Ha studiato ed educato il gusto: ora è assaggiatore certifica-to, tiene corsi e presentazioni.Olio e miele sono venduti per passa-parola, a privati e ristoranti, e presso mercati della Coldiretti: la signora

Liliana per due volte alla settimana allestisce il banco di vendita con i vasetti di miele e gli altri prodotti dell’alveare, propoli, pappa reale e polline, caramelle, creme di miele e mandorla, nocciole sotto miele, ace-to di miele. È presente nei mercati di Bergamo (piazza Pontida il vener-dì mattina) e Treviglio (piazza Ca-meroni il mercoledì mattina).

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9Affari di Gola novembre 2010

Page 10: Affari di Gola - novembre 2010

L’APPUNTAMENTOdi Roberta Martinelli

Mei: “Il peccato più grave in cucina?Mangiare da soli”

È diffi cile trovare un perso-naggio nella cucina italiana a cui tanti chef devono così

tanto, a parte Gualtiero Marchesi (che però dalla sua ha anche l’e-tà). Sergio Mei, executive chef del Four Seasons Hotel Milano è uno dei maestri della cucina italiana, un “talent scout” della gastrono-mia che ha fatto scuola ai nuovi protagonisti della ristorazione. Portavoce della cucina Italiana nel mondo, ha lavorato a Parigi, Istanbul, Nuova Delhi, Tokyo, New York, San Francisco e collezionato riconoscimenti (tra gli altri come “Cuoco dell’Anno” nel 1998 e “Me-daglia d’oro” alla Culinary World Cup). La sua bravura ai fornelli è tale che persino la francese Ecole Lenotre di Plaisir di Parigi l’ha vo-luto come suo docente.Trovare una defi nizione alla sua cucina non è facile. Perché se da una parte è un convinto sosteni-tore della tradizione e della cucina italiana (tanto da dedicargli un li-bro, uscito proprio in queste setti-mane), dall’altro è aperto alle cul-ture gastronomiche estere e alle idee nuove, anche dei suoi stessi allievi. Gli abbiamo chiesto di parlarci del suo concetto di cucina, scopren-

do così che per lui il peccato più grande in cucina... è mangiare da soli.Come nasce un suo piatto?«Nasce dall’esigenza del mercato o da una suggestione. Non per forza si deve inventare. Si viene sempre stimolati da qualcosa. Può essere la richiesta di un cliente che ti dice che vorrebbe assaggiare qualcosa di nuovo. In quel caso creo il piat-to cercando di interpretare il suo pensiero. Oppure l’idea può ve-nire da un prodotto. Ad esempio, vado al mercato per comprare del branzino, poi vedo un pesce vetro o un dentice imperiale, che si tro-vano solo in quella stagione e pen-so: “toh, è un po’ di tempo non lo vedevo più, come potrei cucinar-lo?” Certo, quando si è condiziona-ti da un menù non si crea qualcosa di nuovo, al più si interpreta. Se c’è scritto risotto alla milanese il mio lavoro è quello di interpretarlo e di farlo al meglio».La creazione di un piatto è più un atto di testa o di gusto?«Prima c’è l’immaginazione. Nel-la memoria di ciascuno di noi ci sono tante cose, tanti ricordi a cui si attinge come a un archivio per costruire la ricetta. Poi ci sono il gusto, la costruzione del piatto».

Il talent scout della gastronomia italiana spiega la sua fi losofi a, un perfetto equilibrio tra immaginazione, conoscenza, gusto, costruzione del piatto ed esperienza. “Anche dai miei allievi - ammette - ho imparato tanto”. E poi confessa: “Io condivido sempre il cibo. In compagnia è più buono”

10 Affari di Gola novembre 2010

Un pranzo e al tempo stes-so una lezione dallo chef Ser-gio Mei. L’Accademia del Gu-sto, nell’ambito della rassegna “Convivium di stelle”, il 13 di-cembre organizza “un dietro le quinte”, una mattina di cotture e consistenze, stimoli e raccon-ti all’interno della cucina del Four Seasons Hotel di Milano. Un corso per “ascoltare” e al contempo un corso da “degu-stare” con un pranzo che rac-conterà la filosofia dello chef sardo. Si parte dall’Accademia a Osio Sotto alle ore 10.30. La giornata è aperta a cuochi e o-peratori della ristorazione. Per informazioni e prenotazio-ni: Ascom Formazione tel. 035 4120180/183 o 035 4185706 - www.ascomformazione.it.

Il 13 dicembre pranzo e lezione al Four Seasons

CONVIVIUM DI STELLE

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La cucina è più conoscenza o esperienza?«Esperienza e conoscenza vanno insieme. Devono andare insieme per forza».Il modello italiano dell’alta ri-storazione è in crisi?«No, è in perenne evoluzione. E quando ci si evolve si fanno due passi indietro e uno avanti. L’im-portante è che in questo percorso non dimentichiamo la nostra cul-tura. Da lì si parte. Le tecniche poi aiutano, uno strumento piuttosto che un altro, una padella piutto-sto che un’altra. Ma l’innovazione deve innestarsi sul fi lo storico che non può essere lasciato per ulti-mo».Il suo ultimo libro è dedicato alle ricette tradizionali italia-ne. Perché questa scelta?«All’estero tutti vogliono la cucina italiana ma quella originale, non creativa. Vogliono sapere come si fanno gli gnocchi, se con o sen-za uova, quali patate usare, come deve essere la cottura, quanto sale usare. Una sera uno scrittore fran-cese importante di cui ero ospite mi ha detto che aveva quattromila libri, di cui 200 italiani e nessuno dava ricette complete. Mancava un volume che spiegasse i detta-

gli delle nostre ricette passo pas-so e così ho deciso di scriverlo. Altrimenti non avrei mai fatto un libro di cucina italiana. L’ho intito-lato “La Cucina Italiana all’italiana” perché ho messo la mia interpre-tazione personale». Lei ha avuto tanti allievi di suc-cesso. Qual è l’insegnamento più importante che ha dato loro?«Non ho avuto tanti allievi. Ho avu-to tanti maestri, che non sapeva-no di esserlo. Hanno lavorato con me e quello che avevano dentro, il loro talento, è uscito fuori»Chi di loro le ha dato più sod-disfazioni?«Più di uno ma l’elenco è vera-mente lungo. Penso al bergamasco Marco Bax che ora è al Four Sea-sons Hotel di Londra, a Vito Molli-ca oggi al Four Seasons di Firenze, a Sebastiano Spriveri che è stato a Londra e ora è da me come sous-chef; a Alessandro Cartumini, che è executive chef del Four Seasons Hotel di Santa Barbara in America, a Elio Sironi, chef del Bulgari Hotel di Milano».Cosa ha appreso dai suoi allie-vi?«La voglia di mettermi in gioco, di stare in gruppo, di fare qualcosa

insieme, di condividere certe emo-zioni. I ragazzi ti fanno crescere e ti mettono in competizione per-ché capita che in qualcosa siano più bravi di te». Qual è il riconoscimento o l’apprezzamento che le ha fat-to più piacere ricevere?«Una volta Fredy Girardet (ndr. da alcuni considerato il più gran-de chef del pianeta) è venuto da me a mangiare. Gli ho proposto delle semplici triglie scottate con pomodoro fresco, olio e basilico. Quando gli ho chiesto come è andata mi ha risposto “Se avessi cucinato io non so se avrei fatto meglio”. Credo che sia il compli-mento più bello. C’è tutto».Qual è il peccato più grave ai fornelli? «Mangiare da soli. Io condivido sempre il cibo. Mangiare da solo il piatto più buono che ci sia non è lo stesso che mangiarlo in compa-gnia».

11Affari di Gola novembre 2010

ACCADEMIA DEL GUSTO / I CORSI DI DICEMBRE

Laboratorio pratico in due incontri tenuto da Roberto Carcangiu per chi vuole festeggiare il giorno più impor-tante dell’anno con ricette nuove e speciali. I piatti sono illustrati in ogni fase di preparazione e ripresi da un me-gaschermo che permette di vedere nel dettaglio le operazioni.Grazie alla presenza di postazioni at-trezzate con fuochi e lavelli ciascun partecipante realizza le ricette in aula.30 novembre e 7 dicembre – martedì dalle 20 alle 23

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Page 12: Affari di Gola - novembre 2010

Dopo anni di sperimentazione con vini ad in-dicazione geografi ca, i produttori bergama-schi - restringendo rese ed elencando in un

disciplinare le regole di produzione - hanno deciso di chiedere per alcune tipologie della Igt Bergamasca una nuova denominazione di origine controllata. Prende-rà il nome di “Terre del Colleoni”, o più semplicemente “Colleoni”, ed accoglierà 14 tipologie. La richiesta è stata accolta lo scorso 13 ottobre dal Co-mitato nazionale dei vini a denominazione di origine. Da dove nasce l’esigenza di una nuova Doc da affi an-care alla storica del Valcalepio? È presto detto. La “Terre del Colleoni”, oltre a comprendere il naturale impegno sul fronte della qualità, garantito da regole più chiare e restrittive, assicurerà ai produttori la possibilità di raggiungere ed accattivarsi una fascia più ampia di mercato e clientela. Questo essenzialmente per due ragioni. La prima è strettamente collegata con la nostra denominazione storica: abbiamo una identifi cazione del Valcalepio le-gata ad un vino rosso abbastanza strutturato e non a spumanti, vini aromatici o altro. Ciò sino ad oggi ha precluso la possibilità di una affermazione connessa a una forte identità territoriale di questi ultimi prodotti. Il secondo motivo riguarda il mercato estero. I vini ven-duti nel mondo che non godono di una denominazio-ne di origine ben caratterizzata vengono troppe volte non considerati a livello qualitativo è diviene così diffi -cile sostenere la loro quotazione economica: relativa la conseguenza di una drastica riduzione di valore. Dunque, una scelta, quella di una nuova Doc, ben pon-derata e motivata. Provare nuove strade, valorizzando

qualità e potenziando le armi per aggredire merca-ti sempre più competitivi (specie in una fase di crisi mondiale come quella che stiamo attraversando) è un diritto sacrosanto dei produttori, che rischiano sulla propria pelle e con i propri soldi. Se si ritengono ma-turi e pronti, dopo anni di prove e di mercato, per af-frontare questa sfi da, è giusto che ci provino. In barba agli scettici e a quanti negli anni, invece di appoggiare le cause dell’enologia bergamasca, hanno continuato a cambiare opinione a seconda del momento e delle mode, con motivazioni spesso lontane dalla realtà og-gettiva. Inutile - quando le cantine restano spesso piene (perché vendere oggi è sempre più diffi cile) - parlare solo di vitigni, escludendo il territorio, la tradizione e la cultura, senza considerare anche le politiche com-merciali che devono rinnovarsi in linea con i tempi. Consigli e critiche sono ben accetti, s’intende, ma quan-do sono costruttivi, quando aiutano la Bergamasca a diffondere il proprio prodotto, a rafforzare, correggere e migliorare i propri strumenti, anche di marketing.Evidenziare solo criticità senza guardare in prospet-tiva non serve a nessuno, serve solo a dar gloria mo-mentanea a chi fa accademia. Quanto volte, negli anni, abbiamo letto gli inviti a fare vini grassi e con-centrati, poi il contrario, a privilegiare il bianco al ros-so, poi contrordine, con alcuni produttori a rincorrere i “maître à penser” dell’enologia, smarriti e alle prese con un mercato altrettanto disorientato. Ecco, per una volta proviamo tutti a fare uno sforzo, a sostenere una scelta imprenditoriale e territoriale. E aspettiamo che siano i consumatori, i numeri e i bilanci a dare il re-sponso fi nale.

La Doc “Terre del Colleoni”?È una partita da giocare

di Enrico Rotaconsigliere delegato

e responsabilevendite Italia della QUATTROERRE

di Torre de’ Roveri (Bg)Per ulteriori informazioni

scrivere [email protected]

IL DIBATTITO

Page 13: Affari di Gola - novembre 2010

Il Moscato di Scanzo aumentala produzione e guarda all’estero

IL PRODOTTO

Il numero di bottiglie (da mezzo litro) di Moscato di Scanzo pro-

dotte ogni anno salirà da 60/65mila a 90mila unità. Un obiettivo che do-vrebbe essere raggiunto nel prossi-mo quadriennio e che rappresenta uno dei cardini della nuova politi-ca di promozione che il Consorzio di Tutela guidato da Giacomo De Toma ha deciso di pianifi care per offrire alla Docg più piccola d’Ita-lia un futuro ricco di maggiori sod-disfazioni, anche fuori dai confi ni nazionali. Uno sforzo rinnovato che ha mos-so i primi passi dal convegno che lo scorso 10 novembre, al Palazzo Maestri di Cenate Sopra, ha riunito numerosi esperti per parlare delle potenzialità e della valorizzazione del Moscato di Scanzo, anche in termini di volano turistico per il territorio. “L’importanza dell’incon-tro - puntualizza De Toma - sta nel messaggio che tutti i produttori, at-traverso il Consorzio, hanno voluto inviare; ovvero la volontà di cresce-re nell’eccellenza e nella tutela del marchio come massima espressio-ne di qualità”. L’occasione del convegno è servita anche per fare il punto sullo studio della Facoltà di Agraria dell’Univer-sità degli Studi di Milano, che attra-verso gli strumenti della biologia molecolare sta valutando debolez-ze e potenzialità del vitigno in fun-zione di una sua migliore valoriz-zazione. Il professor Osvaldo Failla ha spiegato che i profi li sensoriali di un vino sono il rifl esso della sua

composizione chimica, che a sua volta dipende dalla composizione delle uve di partenza e dagli eventi microbiologici, chimici e fi sici in-tercorsi nel processo di vinifi cazio-ne e di affi namento. Ha poi aggiun-to che il sequenziamento dell’in-tero genoma (Dna) di un vitigno è in grado di svelarne le peculiarità e ha quindi illustrato come l’analisi delle componenti del metabolismo cellulare nei singoli tessuti vegetali consentono di verifi care come le specifi cità varietali si esprimano ef-fettivamente e come le condizioni di suolo e clima, e quelle di tecni-ca colturale, possano incrementare i fattori qualitativi del vino e delle note di tipicità.Un passaggio importante, questo dello studio, per defi nire ulterior-mente l’identità del Moscato di Scanzo e poter crescere con radici

solide. Il Consorzio crede in que-sta nuova stagione forte anche di risultati incoraggianti sul mercato (come il premio vinto ad Autochto-na, a Bolzano) e di un marketing che guarda anche all’estero. Prova ne è la partecipazione a “Monte-carlo Gastronomie”, dal 26 al 29 novembre prossimi, dove la Docg orobica si giocherà le proprie carte accanto a prodotti blasonati come caviale, Sauternes e altre preliba-tezze.Certo, De Toma non nasconde che il lavoro da fare è tanto, paradossal-mente proprio in casa, dove la ri-storazione non sempre apre le por-te al Moscato di Scanzo. “Per questo - spiega il presidente - puntiamo su un programma di forte promozio-ne, anche attraverso sinergie con altre realtà, come il Comune di Scanzo o la Provincia di Bergamo. La nostra è sì una Docg piccola, ma ha un prodotto di valore che dà anche altri vantaggi, come la salva-guardia del paesaggio e l’occupa-zione”. Non solo. Come puntualizza l’assessore provinciale al Turismo, Giorgio Bonassoli, “il Moscato è in grado di accendere un piccolo faro sul nostro territorio e alimentare la complessa macchina del turismo”. Un concetto condiviso anche dal sindaco di Scanzorosciate, Massi-miliano Alborghetti: “Certamente parliamo di un vino che dà risalto al nostro Comune, ma vorremo che fosse sempre più considerato an-che uno stimolo per varare nuove iniziative”.

13Affari di Gola novembre 2010

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Sfatiamo un luogo comune. Non è vero che le nuove ten-denze in tema di food and

beverage nascono tutte oltre con-fine. Dopo la cucina molecolare, da qualche tempo si è affacciata la “molecular mixology”, tecnica d’a-vanguardia che fonde la moderna miscelazione con strumenti e pro-cedimenti tipici della cucina mole-colare. In altre parole, la versione applicata al bere miscelato delle tecniche e conoscenze acquisite dalla cucina. E pioniere di questa nuova “filosofia” è Dario Comini, patron del Nottingham Forest, uno dei locali più famosi di Milano e tra i dieci migliori bar al mondo. Sul suo top sfilano infusioni, gela-tine, glasse e spume; drink d’avan-guardia dai nomi più strani come l’“Igiene Orale” e l’“Infuso Moleco-lare”, realizzati con ingredienti del-la gastronomia molecolare come l’alginato (ricavato dall’essicazio-ne e macinazione delle alghe bru-ne), o il lecin (la lecitina di soia), l’isomalt (dolcificante usato per creare sculture in zucchero) e la metilcellulosa (impiegata per rea-lizzare film commestibili). Al posto di shaker, blonder & c. ci sono fon-dine, pentolini, vasi di vetro, alam-bicchi, contagocce e boccali spe-ciali rubati ai laboratori di chimica che consentono di creare due coc-ktail nello stesso bicchiere. Con le sue capsule riempite con una riduzione di Mojito o di altri drink, Comini ha fatto conoscere il suo nome e quello del Nottingham Fo-

rest oltre i confini nazionali ed è successa una cosa unica: il traffico dei barman in cerca di novità per una volta si è invertito. Da Londra in direzione Milano. La molecular mixology al momento è una moda mondiale. Decine di barman ven-gono dall’estero a seguire i suoi corsi e i suoi libri sono venduti in tutto il mondo. In Italia i bar-chef (questa la definizione per Comini) e i bartender d’avanguardia si con-tano sulle dita di una mano.

Come si riconoscono? Dalla casac-ca nera da cuoco. In stile “bar-chef” appunto.Come è nata l’idea di trasferire il molecolare nei drink?«Abbiamo voluto portare le tec-niche e le conoscenze acquisite dalla ristorazione dietro il banco del bar. Così è nata la molecular mixology, un’evoluzione delle tec-niche di cucina applicate all’alcol. In realtà è completamente un’altra tecnica ma il risultato è identico.

E ora anche il drinkdiventa molecolare

TENDENZEdi Roberta Martinelli

14 Affari di Gola novembre 2010

Il mondo del beverage si lascia “contaminare” dalle tecniche e dai procedimenti lanciati dalle cucine d’avanguardia. Dario Comini, patron del Nottingham Forest di Milano, è un pioniere di questa fi losofi a. Arrivano anche dall’estero per seguire i suoi corsi.

“Striscia la Notizia? Su questo tema è stata superfi ciale”

Dario Comini

Page 15: Affari di Gola - novembre 2010

15Affari di Gola novembre 2010

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Abbiamo ripreso delle applicazioni di chimica che consentono di dare al prodotto diverse consistenze, di spuma, gelatina, di gelato. È un gioco di texture, di struttura».E ai clienti questi drink piacciono?«Sono entusiasti. Sui cinquecento cocktail che propo-niamo in lista, il trenta percento è “molecolare” e le richieste sono cento volte superiori alla disponibilità del locale».Cosa pensa della polemica sulla cucina moleco-lare?«I giornalisti di Striscia la Notizia hanno fatto nascere polemiche su un argomento che non conoscevano a fondo, che non hanno approfondito. Molecolare non significa necessariamente chimico come è stato det-to in televisione. Vuol dire, invece, intervenire sulla struttura del prodotto, che può essere un liquore o un filetto, per migliorarne il gusto e la consistenza. Tutti i prodotti che utilizziamo sono innocui. Non è niente di nuovo. Sono prodotti che si utilizzano da anni nella pasticceria e nell’industria alimentare. È solo l’appli-cazione che è diversa». Ci avviciniamo alla fine dell’anno. Quali saran-no le nuove tendenze per il 2011?«Gli ingredienti orientali, cocktail a base di tè ver-de, zenzero, wasabi, utilizzati singolarmente o anche insieme. A fine anno nel nostro locale proporremo drink dedicati alle serie televisive. Ad esempio i drink ispirati alle serie Csi, una sorta di piccoli laboratori che permettono al cliente di interagire con i cocktail. Oppure i “Desperate housewives”, presentati in cali-ci sormontati da mollette del bucato che trattengono perizoma che lasciamo in omaggio alle clienti. O an-cora i “Dexter” e i “Colombo” con infuso di tabacco».

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Le birre artigianali italiane stanno viven-do un momento magico, generato da molteplici situazioni che, in poco

meno di 15 anni, hanno permesso al no-stro comparto brassicolo di colmare, in buona parte, il profondo divario con i paesi che vantano una grande tradi-zione in materia. Il mercato oggi offre prodotti molto interessanti ed intervi-ste, dibattiti, serate a tema, stimolano ulteriormente e di continuo l’interesse per questi prodotti. Anche all’estero si inizia a dare il giusto peso al prodotto italiano, vuoi per curiosità o più semplicemente perché è “made in”. Comunque sia, molto si è fatto e molto ancora si deve fare. Uno scoglio importante da abbattere però è il prezzo di vendita rispetto ai diretti competitori euro-pei. Spesso birrifi ci di piccole dimensioni - in grado di produrre solo quantità ridotte, pregio impagabile ma che non deve diventare un alibi per prezzi elevati - soccombono nel confronto economico con le birre estere. Il progetto della 4R di Torre dè Roveri, dedicato alla birra artigianale italiana, vuole proprio abbattere que-sta barriera ed osare altro. I fratelli Rota da tempo stanno lavorando su una ricetta esclusiva che per-metta la produzione di una birra di qualità e in li-nea con i prezzi delle belghe o tedesche, garantendo contemporaneamente quel valore aggiunto unico e intrinseco delle artigianali italiane. Progetto che vivrà di luce propria il prossimo mese e porterà il nome di “Cuvèe Millesimata - Birrifi cio Nazionale”. Con il marchio si vuole fi n da subito evidenziare la valenza del territorio del nostro paese e della nostra cultu-ra, sottolineando l’importanza della singola cottura (ecco il perché del nome). Presupposti necessari, ma non suffi cienti per questo progetto. Secondo l’inter-

pretazione dei Rota, la birra è e deve rimanere una bevanda popolare, accessibile a tutti sia nel gusto che nel prezzo, senza preclude-re le emozioni gustative. La Cuvèe Millesimata è una birra artigianale, integra, non fi ltrata e senza aggiunta di conservanti, rifermentata in bottiglia. È prodotta in un microbirrifi cio lombardo, iscritto alla Unionbirrai, che ha in dotazione un impianto di produzione della Kaspar Schulz di Bamberg che per la lunga tradizio-ne ed innovazione tecnologica permette di produrre birra di qualità senza trascurare gli aspetti ecososte-nibili, consentendo un risparmio del 60-70% di ener-gia primaria. La Cuvèe Millesimata ha caratteristiche ben defi nite. Chiara opalescente, profumo fruttato ed agrumato, sapore delicato, gusto leggero con grada-zione alcolica contenuta (poco più di 5 gradi): tutte peculiarità che la rendono estremamente piacevole e fresca. E con una sorpresa che gli addetti commercia-li della 4R ci tengono a sottolineare: l’ottimo rappor-to qualità-prezzo.

La nuova sfi da della 4R,al via la produzionedi una birra artigianale

Si chiamerà “Cuvèe Millesimata - Birrifi cio Nazionale” e sarà commercializzata dal prossimo mese.Identità italiana e prezzi competitivi i punti di forza

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16 Affari di Gola novembre 2010

Page 17: Affari di Gola - novembre 2010

Prima tappa del gemellaggio gastronomico col ristorante del Carlos V di Alghero

17Affari di Gola novembre 2010

Organizzato dall’associazione Ristoranti Regionali - Cucina

Doc (www.ristorantiregionali.it), il 13 novembre scorso, al Castello di Clanezzo di Ubiale si è tenuta una serata gastronomica con la cucina del ristorante del Carlos V Hotel di Alghero. La cena è stata preceduta dalla presentazione dell’iniziativa nella sala congressi del castello, dove è stato proiettato un breve fi lmato dell’ hotel situato sulla pas-seggiata lungomare Valencia, a 20 metri dal mare, con una splendida vista panoramica sul golfo della ri-viera del corallo, a pochi passi dal centro storico della cittadina cata-lana del nord-ovest della Sardegna. La serata ha permesso di gustare piatti e prodotti tipici della gastro-nomia sarda abbinati ai vini della Cantina Santa Maria la Palma di Alghero che, con i suoi 700 ettari di superfi cie vitata, 480 dei quali di uve Doc, è la maggiore Cantina

dell’isola per estensione di vigneti, che producono 3 milioni e mezzo di bottiglie l’anno.Il menù è stato aperto da una de-gustazione di salumi dell’Azienda Puddu di Oliena, produttori arti-gianali. Poi, la cena preparata da Giancarlo Onidi, executive chef del Carlos V Hotel, con la collabo-razione di Marco Marcionni, execu-tive chef del Castello di Clanezzo, è proseguita con il Malloreddus allo zafferano con ragù di cinghiale, il Porcetto al forno con crudità e pa-tate al rosmarino e il Culurgiones di ricotta dolce con miele di liquiri-zia. Il gemellaggio gastronomico fra la cucina del Castello di Clanezzo e quella del Carlos V si riproporrà la prossima primavera, questa volta con base Alghero. Il tutto facilitato dal collegamento aereo tra le due città, entrambe ben servite dall’ae-roportoSplendida cornice della prima par-

te del gemellaggio, il Castello di Clanezzo è stato edifi cato verso la prima metà del X secolo in posizio-ne strategica tra le Valli Brembana e Imagna e per questo utilizzato come “fortezza” sino al XV secolo. Dopo quest’epoca, il castello è di-ventato la dimora di diverse nobili famiglie bergamasche. Oggi, con la ristrutturazione del 1989, il Castel-lo è stato convertito in albergo con annesso centro benessere, mentre le belle sale affrescate e il parco di pini secolari ne fanno un luogo scelto da molte coppie per festeg-giare il loro matrimonio.

La cucina sarda approda al Castello di Clanezzo

Ottenuta la De.Co (Denominazione Comunale) nel 2007, l’ossobuco alla Milanese - ricetta tipi-

ca del capoluogo lombardo, semplice da preparare e soprattutto molto gustosa - è ormai diffusa in tutta I-talia. L’ingrediente fondamentale per la preparazione dell’ “oss bus a la milanesa” è, ovviamente, l’ossobuco, ovvero lo stinco del vitello attorno al quale, una volta tagliato e cucinato, resta la polpa del muscolo tutta da spolpare!Non sappiamo esattamente quando l’ossobuco sia entrato a far parte della cucina milanese, ma sappia-mo con certezza che nel ‘700 era già uno dei piatti

tipici ed era considerato una prelibatezza. Chi vuo-le può apprezzare la ricetta il prossimo 25 novem-bre, alle 20,30, all’Enoteca Porta Osio, in via Moro-ni a Bergamo. Il menù prevede lo stuzzichino dello chef , il musetto con lenticchie di Castelluccio, l’Ossobuco con risotto alla milanese e lo strudel in pasta fillo con gelato allo zabaione. Il costo della serata è di 27 euro (vi-ni esclusi). Info: tel. 035 219297

L’ossobuco alla milanese tiene banco a Porta Osio

de lo stuzzichino dello e

Il Castello di Clanezzo

Il Carlos V di Alghero

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18 Affari di Gola novembre 2010

“Ma sì, al Kalòs mancava un “fratello”. Così ci sia-mo decisi a darglielo”. Franco Plebani scherza

presentando il nuovo vino rosso che da poche settima-ne arricchisce il catalogo di etichette dell’azienda viti-vinicola “Il Calepino”, di Castelli Calepio. Non scherza, invece, il nuovo prodotto, un Merlot in purezza con tut-te le carte in regola, che va ad affi ancare il Kalòs (100% Cabernet Sauvignon) quasi a ricomporre idealmente l’ “accoppiata” bordolese. Porta un nome impegnativo questa nuova Igt: M.A.S, acronimo di Merlot Annata Storica. Quella in etichetta è il 2005. “Parliamo - annota Franco, insieme al fratello Marco alla guida dell’azienda - di un vino di grande personalità, dal bouquet elegante, che dovrebbe incontrare sicuramente i favori del pub-blico”. Le uve pigiate dopo 20 giorni di appassimento in cas-setta, due anni di affi namento in botte di rovere e uno in bottiglia, regalano a M.A.S. un colore rosso rubino carico con rifl essi porpora, profumi complessi ed evo-luti che ricordano frutti a bacca rossa (ciliegia, marasca, prugna matura) e spezie ed essenze orientali, nonché

sapori intriganti che ben si abbina-no a carni rosse, salumi, arrosti tra-dizionali e formaggi stagionati. Un vino di struttura, ben disposto all’in-vecchiamento, che sarà prodotto solo nelle annate ritenute migliori. Circa 6mila le bottiglie del 2005, commercializzate a un prezzo in cantina di circa 15 euro l’una. I ca-nali privilegiati saranno ovviamente ristorazione ed enoteche. Una perla in più quindi per l’azienda fondata da An-gelo Plebani, che nel 1972 rilevò i 13 ettari di vigneti in posizione ideale lungo le balze che scendono all’O-glio, dando vita ad un’azienda oggi di sicuro livello. Con Merlot e Cabernet, vitigni tradizionali della zona, sono state via via piantate barbatelle di Pinot e Chardonnay, le cui uve hanno dato vita, nel 1978, alla prima produ-zione di spumante metodo classico. Oggi la produzione si attesta sulle 200mila bottiglie, un terzo delle quali di bollicine.

“Il Calepino” lancia il Merlot Annata Storica

È da oggi in vendita in tutto il Paese il francobollo della serie

tematica “Made in Italy” dedicato alla Guido Berlucchi & C., stori-ca azienda di Borgonato in Fran-ciacorta cui si deve la creazione, grazie al patron Franco Ziliani, del primo metodo classico del terri-torio bresciano. Una produzione che ha dato avvio all’importante sviluppo enologico della Francia-corta, oggi tra le aree leader del settore vitivinicolo. Alla cerimonia di presentazione del francobollo, tenutasi nei giorni scorsi nella se-de dell’azienda, sono intervenuti, tra gli altri, Stefano Saglia, sottose-gretario al ministero dello Svilup-po Economico, Marisa Giannini, responsabile settore filatelia di Po-ste Italiane, Giulio De Capitani, as-sessore regionale all’Agricoltura.

Saglia ha sottolineato il valore sim-bolico di questo riconoscimento per l’economia italiana: “Celebria-mo il genio di Franco Ziliani, che rappresentando il genio italiano ci fa guardare con più ottimismo al futuro”. La Guido Berlucchi, con oltre 4,6 milioni di bottiglie ven-dute, corrispondenti al 26% del mercato italiano dello spuman-te, e 40 milioni di euro di fattura-to nel 2009, in crescita rispetto all’anno precedente, non sembra toccata dalla crisi e per fine 2010 prevede risultati altrettanto positi-vi. Rinnovata nel tempo, l’azienda ha sposato la ricerca e l’innova-zione in vigna e in cantina e il suo futuro è nelle mani dei tre figli di Franco Ziliani, già in azienda con ruoli di responsabilità: Arturo, Pa-olo e Cristina.

Un francobollo celebra le bollicine Berlucchi

Franco Ziliani e il sottosegretario Stefano Saglia

Page 19: Affari di Gola - novembre 2010

19Affari di Gola novembre 2010

Il 2010 è per le Tenute La Montina di Monticelli Brusati (Franciacorta) una data importante: una

nuova fase della storia iniziata nel 1987 con la prima vendemmia commercializzata nel 1990, per giunge-re a quella del Ventennale 2007, in degustazione dal 2010. Per celebrare le prime 20 vendemmie, la famiglia Bozza ha rinnovato non solo l’immagine grafi ca a-ziendale, ma anche il design delle bottiglie nei forma-ti Classico, Magnum e Jeroboam. La nuova immagine è stata creata dall’artista Paolo Menon, membro del Museo della Permanente di Milano. Elegante e auste-ra, la nuova bottiglia ha fuso nel vetro un cammeo raffi gurante due leoni che reggono una tiara, per le-gare la cultura bresciana del territorio all’orgoglio leonino de La Montina radicata nella settecentesca tenuta di campagna bresciana, che appartenne a Be-nedetto Montini - avo di Papa Paolo VI - da cui prese il nome anche la collina retrostante. Nuova anche l’e-tichetta a punta, che s’incastona in una nicchia nella parte bassa della bottiglia e, con la retro etichetta, la cinge a mo’ di corona. Ogni etichetta è stata declinata nei sei colori che contraddistinguono i Franciacorta delle Tenute La Montina, che per quanto riguarda le tipologie più complesse, saranno defi niti anche da un nuovo nome: il color avorio per i Brut, l’oro per i Brut Millesimato Aurum, l’argento per i Brut Satèn Argens, il verde per gli Extra Brut, il rosa melograno nelle versioni Rosé Demi Sec e Rosé Extra Brut Ro-satum, per concludere con l’etichetta di colore ne-ro e logo in oro per denominare le Vintage, le gran-di Pas Dosé Riserva, orgoglio di famiglia. E proprio in occasione del Ventennale, la Montina ha presen-tato la sua prima Riserva, il Vintage 2004, un Extra Brut affi nato sui lieviti in bottiglia per alme-no di 60 mesi, elegante e avvolgente al na-so, complesso al palato, ampio e di grande personalità. Riserva che ha fatto l’en plein aggiudicandosi i 3 bicchieri della Guida del Gambero Rosso e i 5 grappoli di quel-la dell’Ais. È prodotto da 45% Pinot nero e 55% Chardonnay e le sue uve provengo-no da vigneti selezionati, con una resa per ettaro non superiore agli 85 quin-tali. “Quando, in occasioni veramente rare, i vigneti, l’esperienza e le scelte lo consentono, nasce una Riserva” ha commentato Michele Bozza, diretto-re commerciale e marketing dell’a-zienda.

La Montina festeggiail ventennale con un “Vintage” pluripremiato

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Page 20: Affari di Gola - novembre 2010

Lasciato Rovato e approdato in un complesso medievale a Cortefranca, il locale stellato guidato da Stefano Cerveni conferma tutto il suo valore, con una cucina che onora il territorio e mantiene un perfetto equilibrio tra gusto ed estetica

Non poteva scegliere migliore location, Stefano Cerveni, chef stellato del Due Colombe di Ro-vato, per alloggiare le sue idee e la sua cucina,

di questo borgo alto-medievale sottratto alle insidie del tempo da un restauro durato sette anni. E si badi, non uno di quei restauri che modellano un luogo più sui bi-sogni del proprietario che su quelli della Storia. Qui c’è stato l’imprimatur della Soprintendenza archeologica della Lombardia e del Comune di Cortefranca, che han-no avviato i lavori, presi poi in carico dai Gozio (onori e oneri), distillatori di Franciacorta dal 1901. Da pochi mesi il Borgo Antico San Vitale ospita la distil-leria artigianale della famiglia Gozio (titolari delle Di-stillerie Franciacorta), dove si distillano esclusivamente vinacce di aziende franciacortine, e un percorso museale nei meandri dell’alambicco, con splendidi esemplari in rame che raccontano vita e gesta di un’arte minore (non tale per tutti, ovviamente…). E poi, la nuova sede del Due Colombe, inaugurata lo scorso settembre, lasciando ai

genitori la gestione del locale di Rovato (ora Trattoria al Vecchio Mulino),

con un entusiasta Stefano Cerveni, rinato anche lui

a nuova vita insieme a questo borgo, dove vive e medita la sua arte e chissà, forse attende (perché

no) la seconda stella. A sfi atare da questi ambienti non solo fumi e profumi di alcol e vinacce, ma anche le tante anime che nei secoli hanno abitato queste mura (il papi-ro della storia si srotola qui sino al IX-X secolo), liberate fi nalmente dalla loro petrosa prigionia. E ora la storia torna a narrare ordinarie fatiche quotidiane di genti anonime, coloni e villani, che però fecero la Franciacorta. “Questo luogo, con la sua storia, è la rappresentazione fi sica della mia idea di fare territorio”, chiosa Cerveni. E potrebbe essere altrimenti? Qui il territorio è forte, si im-pone, non puoi far altro che assecondarlo. E lui sa come prenderlo. Anche se non sono solo prodotti locali ad ani-mare la sua eccellente tavola, “la materia prima poderale è scarsa e non basta a imbastire una proposta, bisogna attingere fuori”, la sua cucina ha una parola passepartout per onorare degnamente il territorio, ed è il simbolo per eccellenza di queste terre. La vite, di cui la Franciacorta va fi era da oltre duemila anni, e il suo vino, decantato da Virgilio, elogiato dal re longobardo Teodorico. “Tutti i miei piatti sono abbinabili con il Franciacorta e hanno una componente acida”. È qui l’appiglio, il legame con il territorio, il giusto tributo pagato alla storia. Il retrogusto, semantico e gustativo, di ogni piatto di Cerveni è in quel-le bollicine, di cui son spesso dolce-acido ingrediente. E poi semplicità e leggibilità, le stesse che dimorano in questi spazi. Esempio della perfetta convergenza di mare e terra nel segno del Franciacorta è il gambero rosso su patata viola

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Due Colombe, emozioni nel “Borgo”

IL RISTORANTEdi Lelia Parisi

Stefano Cerveni

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e ristretto di bollicine. Diffi cile trovare tanta per-fezione, gustativa ed estetica, in un solo piatto ed equilibrio tra note dolci, salate e acide. Perfezione doppiata dall’insalata di germogli e fi ori su crème brulée di foie gras. Un cuscino di petali e germogli, dove sprofondare dentro una mousse di foie gras dolce-salato con velo croccante. E anche dal nido di spaghetti, omaggio della semplicità alla bontà, con mazzancolle e ricci di mare serviti a 40°C per non alterare il riccio crudo. Tradizione locale “riformata” e creatività oscillano come un pendolo sulla proposta del Due Colombe, diffi cile stabilirne il confi -ne. Per esempio, i ravioli di ricotta dell’Adamello con castagne, che paiono il più tradizionale dei piatti, hanno una liturgia un po’ ereticale che li sottrae a questa vocazione: cotti a va-pore (e quindi un po’ più duri sulle giunture) e sommersi da tartufo bianco d’Alba, ricevono la benedizione del consommè di parmigiano solo a piatto in tavola. La versione “revisionista” del manzo all’olio (piat-to storico del Due Colombe), a sua volta, è tradi-zione ricreata, con rosolatura in aglio e acciughe asciugata con amido di mais anziché pangrattato, e alleggerita dei grassi, con l’olio aggiunto a crudo anziché a inizio cottura. Puro godimento.Il desiderio di andare oltre alla bontà per veicolare un’esperienza più totale è l’energia oscura che percorre la cucina di Cerveni, forse memore della lezione di Marchesi, che la differenza tra un buon piatto e un grande piatto è l’emozione di chi lo pensa. Circa 70/80 euro ben spesi per un pranzo completo, vini esclusi.

AMBIENTE 8,5/10Le sale del ristorante, poste al primo piano, di cui la più grande in passa-to fungeva da fi enile, accolgono 45 coperti a cui, in estate, se ne aggiun-gono altrettanti nel giardino interno. Al ristorante è annesso un elegante salottino, adibito a zona-aperitivo. Le doti di semplicità e leggibilità del Due Colombe albergano anche in questi spazi luminosi e minimali, pri-vi di decori se non quelli disvelati dal restauro, con arredi che paiono come “risucchiati” nei colori naturali degli ambienti, quasi a non voler perturbare l’austera bellezza che pervade l’intero complesso. Gli spazi della chiesa di San Vitale, ormai sconsacrata, sono stati adibiti a centro eventi. La sala è dotata di un servizio ristorazione con 150 coperti, con cucina espresso a pari livello del ristorante.

CUCINA 25/30Tradizionale e insieme creativa, quella del 41enne bresciano

Cerveni è una cucina che eccelle sia nella linea di terra sia in quella di mare, con prodotti di primissimo livello. Stella Michelin al vecchio Due Colombe di Rovato, che ha lasciato in gestione ai genitori Beppe e Clara, per lo chef

bresciano “non è solo l’ingrediente a fare il territorio, ma il modo in cui lo si utilizza e lo si mette in relazione con il patri-

monio storico e culturale della Franciacorta. È quel tipo di legame unico che lo chef ha con il suo territorio a costituirne anche l’originalità della proposta”. Per Cerveni, la tradizione stessa è qualcosa in divenire e calato nella storia, non di statico o museale. Da qui la sua riformulazione di piatti storici, come il manzo all’olio, all’insegna di una leggerezza e digeribi-lità che nulla toglie al sapore.

CANTINA 16/20Cantina corposa, con 600 etichette, di cui una novantina provenienti dal-le aziende della Franciacorta. Presente anche la produzione Castello di Gussago della famiglia Gozio. Ricarichi in linea con il prestigio del locale.

COMPETENZA 9/10Fondamentale la lezione di Gualtiero Marchesi, che anni fa indirizzò Cerveni sulla retta via, trasmettendogli un intero sapere con la gravità di una sentenza apodittica, quasi oracolare, “fai dell’uno tre”. “Quell’in-vito a fare tre piatti di uno solo (perché troppo carico di ingredienti), che in realtà era un’esortazione a semplifi care la mia cucina e lavorare sulle essenze, mi ha cambiato la vita. Da quel momento il mio faro sono diventati la pulizia dei sapori, il dosaggio dei grassi e delle spezie, l’attenzione alle cotture e alle scansioni temporali nell’impiattamento degli ingredienti”. Leggibilità, semplicità e leggerezza, dunque, e poi “i contrasti, la riconoscibilità dei sapori e la presenza in ogni piatto delle quattro note: acido, salato, piccante, dolce”.

SERVIZIO 9/10Impeccabile direttore di sala è Giovanni Pizzurro, che coordina il ser-vizio svolto ottimamente ai tavoli, con effi cacia ed eleganza, dai giova-ni Maria Rosa e Gabriele.

RAPPORTO QUALITÀ/PREZZO 8/10Sulla ristorazione Cerveni ha le idee chiare. “Il futuro è nella semplifi ca-zione: meno oggetti d’arredo e meno vaissellerie costosa e investimento invece nella qualità delle materie prime, che è ciò che il cliente chiede. Il mio stesso locale, nella sua semplicità ed essenzialità, è un manifesto della mia cucina”. Diffi cile non essere d’accordo. Lui è già su questa linea, niente coperto, e buon rapporto qualità/prezzo. Anche nei corposi menù degustazione, “I classici delle Due Colombe” a 55 euro, e “La nostra creatività” a 80 euro vini esclusi. Presente anche il menù “Bollicine”, sei portate e due dessert con degustazione di Franciacorta, a 120 euro.

p.s.

IL GIUDIZIO

DUE COLOMBE Ristorante al Borgo Antico

via Foresti 13 Cortefranca (Bs) tel. 030 9828227

chiuso il lunedì

21Affari di Gola novembre 2010

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Le idee chiare sul mondo del vino non gli manca-no. E non potrebbe essere altrimenti per uno che, come Fiorenzo Detti, è in questo settore da tutta

una vita ed è arrivato, nel luglio scorso, alla presidenza di Ais Lombardia, Associazione Italiana Sommelier, dopo 25 anni di impegno nel gruppo. Il suo curriculum contiene una sfi lza interminabile di competenze che ne fanno un professionista, a tutto tondo, del comparto food & beve-rage. Pavese d’origine, assaggiatore di grappe e relatore Ais, ha gestito per 19 anni un bar-enoteca che ha lasciato, nel 2007, per dedicarsi maggiormente all’associazione lombarda. Oggi che ne è diventato il presidente, faccia-mo con lui il punto della situazione su questo settore che, in pochi decenni, ha vissuto cambiamenti epocali e che, oggi più che mai, è di fondamentale importanza per l’economia dello stivale.Il comparto ha mosso, nel 2009, un fatturato complessivo di 13,5 miliardi di euro attestando-si al primo posto, nel comparto alimentare delle esportazioni, con 3,5 miliardi. Come commenta questi dati?“Sono dati confortanti, non c’è che dire. Abbiamo supe-rato anche la Francia nelle esportazioni, ma credo che questo settore possa fare di più aprendosi ad altri merca-ti esteri, come quello cinese e russo, per esempio”.Non c’è il rischio che oggi il vino, caricato com’è di sovrastrutture (guide, associazioni, esperti, marketing e quant’altro), rischi di non essere più il vero protagonista? “In certi casi il rischio si corre, ma credo, per fortuna, che nel complesso rimanga ancora il primo attore di tut-to questo mercato”. Oggi il pubblico è comunque più attento e compe-tente rispetto a una volta.. “Certamente, c’è maggiore promozione e di vino se ne parla sempre di più. L’editoria e i mass media, per esem-pio, si occupano da anni del settore, mentre gli Enti han-no capito che il vino può essere un traino importante per la promozione del territorio. Tutto questo ha creato un nuovo consumatore, più attento e curioso”. Come sceglie una bottiglia il consumatore medio? “Non si può generalizzare. In alcuni casi, infatti, sceglie

un vino basandosi sul prezzo, altre volte decide in base alla marca di cui ha sentito parlare. Il consumatore più evoluto invece si spinge sempre più verso il vino scono-sciuto, quello autoctono, o va alla ricerca del produttore di nicchia”. Esistono “grandi vini” che oggi sono sopravalutati, il cui prezzo non è giustifi cato dalle loro caratte-ristiche? “Ci sono. In certi casi sono vini che vivono del nome che si sono fatti nel passato, ma è altrettanto vero che esistono, al contrario, vini che per qualità valgono l’alto prezzo che costano”. Venendo ai nostri cugini d’Oltralpe, possiamo dire che il divario è stato ormai colmato? “Dal un punto di vista qualitativo direi di sì, abbiamo fatto molto, ma non possiamo dire di aver raggiunto i francesi. Vede, loro hanno saputo promuovere al meglio i loro vini e territori. È su questo aspetto che dobbiamo lavorare ancora molto”. Quale potrebbe essere la nostra carta vincente? “Prestare attenzione alla qualità e riscoprire il nostro patrimonio viticolo. Dalla nostra abbiamo una cosa che

L’INTERVISTAdi Giordana Talamona

22 Affari di Gola novembre 2010

“Puntiamo sui vitigni autoctoni,possono fare la differenza”Fiorenzo Detti da luglio è il nuovo presidente dei sommelier lombardi. “Dobbiamo prestare attenzione alla qualità ma anche riscoprire il nostro patrimonio viticolo, che altri Paesi non hanno”. “Non sono contro la barrique, se serve, ma il vino non va snaturato. Oggi, per fortuna, si sta riscoprendo l’importanza del vitigno e della sua riconoscibilità”

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23Affari di Gola novembre 2010

loro non hanno, una varietà di vitigni autoc-

toni, dalla Valle d’Aosta alla Sicilia, che se coltivati

al meglio potrebbero fare la differenza, diventando vera espres-

sione del nostro territorio”. Venendo ai canali di vendita del vino, la parte del leone oggi la fa sempre più la grande distribuzio-ne che incide per oltre il 45% nelle vendite nazio-nali. Il cliente che acquista vino al supermercato è diverso da quello che va in enoteca?“Non credo, penso che sia lo stesso se si indirizza verso le etichette classiche dei produttori più noti”. Quali sono allora le differenze tra i due canali? “Naturalmente la grande distribuzione ha una forza eco-nomica che le permette di avere, oltre alle produzioni classiche, anche delle “private lebel”, ossia dei vini che etichetta come sue selezioni che, generalmente, proven-gono da note aziende. Dall’altra parte abbiamo l’enoteca che è fatta, nella grande maggioranza dei casi, da esper-ti del settore che scelgono personalmente ogni singolo prodotto”. Anche il settore vitivinicolo non è esente da mode e tendenze che ne condiziona-no i consumi. Quali sono state quelle degli ultimi anni? “Qualche anno fa andava per la maggiore il Nero d’Avola, per esempio, poi abbiamo assistito all’affermazione della Sardegna col suo Vermentino di Gallura”. Ed oggi? “Va moltissimo il Prosecco, soprat-tutto tra i giovani che lo consu-mano come aperitivo. Non credo però che si debba avere una visio-ne negativa di queste tendenze, al contrario. In fondo, i gusti cambiano e si ha un’evoluzione dei consumi che determinano il successo e l’affermazione di un vino piut-tosto di un altro”. Parlando ancora di mode. La barrique ha imperato per anni, omologando molti prodotti. Oggi è tor-nata in discussione, cosa ne pensa? “È vero, per un periodo tutti hanno fatto vini barrica-ti sconfi nando, in alcuni casi, in “vini da falegnameria”. Non sono contro la barrique, se un vino ne ha bisogno per essere ingentilito va bene, ma non deve esserne sna-turato. Oggi, per fortuna, si sta riscoprendo l’importan-za del vitigno, della sua riconoscibilità, senza che il vino rimanga per forza appesantito dai profumi terziari del legno”. Nel mare magnum di produttori, vini e vitigni non è facile per il consumatore orientarsi. Che consigli può dare?“Partendo dal presupposto che nessuno regala niente, consiglio di diffi dare dai vini che costano troppo poco. Si tenga sempre presente che esistono dei costi fi ssi per

un produttore tra i quali etichetta, bottiglia, tappo e tra-sporto. Se pensiamo a questo è possibile orientarsi”.Oltre alla crisi, crede che anche i limiti alcolemici abbiano giocato un ruolo fondamentale nel calo dei consumi? “Direi di sì, hanno penalizzato soprattutto i ristoratori che, forse più di altri, stanno vivendo una doppia crisi. Naturalmente condivido le campagne di sensibilizzazio-ne contro le “stragi del sabato sera”, anche se non biso-gnerebbe fare di tutta l’erba un fascio. Per questo noi di Ais siamo in prima linea per fare cultura del bere respon-sabile”. Cosa ne pensa del limite di 0,50? “Credo sia eccessivo. Oggi chi va al ristorante non può più bere serenamente del buon vino perché il terrore del ritiro della patente, in molti casi, lo fa desistere a priori. Io sarei per ripristinare il limite di 0,80, come nel Regno Unito, che permette di bere, un po’ più di un bicchiere in tutta tranquillità, senza per altro essere sbronzi”.Che soluzioni si possono ipotizzare? “Beh, noi di Ais abbiamo promosso la campagna “Porta-mi via” cercando di cambiare un’abitudine, tutta italiana, che sfavorisce il consumo del vino nei locali, anche alla luce di quello che dicevamo”.

Di cosa si tratta? “Della possibilità di portarsi via la bottiglia non terminata, messa in un’elegante wine bag. Abbia-mo coinvolto molti proprietari e gestori di locali italiani proprio con l’intento di trovare delle spin-te nuove che promuovessero la cultura del bere bene con mode-razione”. Venendo all’Ais, la Lombardia conta su 4.500 iscritti, il 75% dei quali semplici appassiona-

ti, attestandosi ad oggi come la prima regione per numero di soci Ais. “Questi numeri ci danno il polso di quanto sia cresciuto l’interesse per il vino. Il fatto che ci siano più appassiona-ti che professionisti è un bene perché se la percentuale fosse invertita ci sarebbe meno mercato, è evidente in-fatti che i consumatori siano più dei ristoratori e degli enotecari. Detto questo, credo che per il futuro occorra avvicinare sempre più professionisti alla formazione Ais”. Per quale motivo? “Perché sono loro i veri divulgatori della cultura del vino ed occorre, anche in vista dell’Expo, che siano corretta-mente formati”. Come si immagina questo settore tra qualche anno? “Credo che ci sarà un’internazionalizzazione dei consu-mi, già oggi vediamo che altre culture si stanno avvici-nando al mondo del vino. Giappone, Corea e Cina po-trebbero essere i mercati del futuro e credo che, a lungo andare, il vino si fonderà anche nella cultura e nella cuci-na di questi popoli”.

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tranquillità, senza essere

sbronzi”

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Ha appena cominciato e ha già fatto incetta di premi con il suo piccolo allevamento di 12 vacche brune alpine e pezzate rosse. Il suo

sogno è quello di poterne accudire (sì, usa proprio questo verbo) “il doppio, il triplo e soprattutto met-terle in condizione di pascolare libere, con tanto spa-zio attorno”. Lui è Luca Regazzoni da Valtorta, 23 anni, ragioniere mancato, ma allevatore e casaro di talento. A settembre, quasi per scommessa, ha provato a parte-cipare per la prima volta alla celebre Fiera Zootecnica del suo paese e da allora la gente in piazza o in strada non lo guarda più allo stesso modo. Al primo colpo in-fatti ha sbaragliato anche i colleghi più esperti facen-do un fi lotto di riconoscimenti che non ha preceden-ti, se si considera un concorrente all’esordio. Nell’or-dine si è classifi cato 1° nella categoria vitelle da 6 a 10 mesi; 3° per le vitelle dai 14 ai 21 mesi; 1° per le manze dai 24 ai 27 mesi e soprattutto ha conquistato l’ambito titolo di “Reginetta” della Mostra, grazie alla sua Kristal, manza della categoria dai 24 ai 27 mesi. Così in lui è cresciuta di colpo la consapevolezza di aver fatto bene a seguire il cuore, lasciando il quarto anno l’istituto di ragioneria di Zogno e rompendo il salvadanaio. “Con quei primi risparmi e l’aiuto di mio padre ho cominciato ad acquistare i primi capi - spie-ga lui -. Poi qualche mese dopo mi sono iscritto alla scuola Casearia di Pandino dove ho imparato i mille segreti pratici e teorici per far nascere un formaggio”. Diplomato con il massimo dei voti, Luca approda alla Latteria Sociale di Valtorta, dove viene assunto e comincia la sua avventura nel mondo del latte. Fa di tutto, da magazziniere a commesso nello spaccio fi no al gradino più alto: “Mi sono ritrovato casaro senza ac-corgermene: mi hanno dato fi ducia e anch’io ho visto

nascere tra le mie mani, agrì, stracchini, formaggelle e formai de mut. La mia passione è stata ripagata anche grazie alla pazienza di mio zio, Silvano Busi, presiden-te della Latteria di Valtorta, che mi ha insegnato tutte le malizie di un casaro navigato, preziose integrazioni agli ammaestramenti pandinesi”.Così ha scoperto ben presto che i momenti cruciali per far nascere un buon formaggio, a parte il latte di qualità, sono due. “Il primo - racconta - è la caseifi ca-zione: bisogna essere molto delicati e la rottura della cagliata deve avvenire lentamente. Il secondo riguar-da la stagionatura: ogni giorno spazzolo e capovolgo centinaia di forme. Lì si decide il loro destino: ci vuole una cura metodica e quasi amorevole: da noi si dice che se non ci metti passione il formaggio non può venire buono”.E tra i Cru che lavora c’è un formaggio che ama par-ticolarmente: “Naturalmente l’Agrì. È un formaggino freschissimo, che si può consumare appena nato, dopo soli 2-3 giorni, oppure avere pazienza e farlo stagionare. Con un fi lo d’olio sopra e un po’ di pepe è straordinario e lo consiglierei a tutti i bambini per una pausa di mezza giornata davvero speciale e nutritiva, che non teme la concorrenza di nessuna merendina industriale al mondo…”.Ragazzo moderno e integrato, la parabola di Luca smentisce tutti quei luoghi comuni del casaro ombro-so e solitario, taciturno e selvatico, che hanno accom-pagnato spesso le vecchie generazioni: “Io lavoro duro, è vero, ma poi non mi faccio mancare nulla. Ho tanti amici, esco, vado in discoteca, a mangiare la pizza, a tifare a San Siro per il mio Milan. Amo viaggiare e sono appena stato due settimane in Portogallo, conoscen-do luoghi e persone davvero speciali”. Ma poi si torna

QUELLI DEL FORMAGGIOdi Leo Bartoli

24 Affari di Gola novembre 2010

Il talento del giovane casaroLuca Regazzoni da Valtorta, 23 anni, abbandonati gli studi di ragioneria per seguire la sua vocazione, ha sbaragliato colleghi esperti ai concorsigrazie al suo piccolo allevamento.“Questa è un’arte dove senza passione non si fanno buoni prodotti”

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25Affari di Gola novembre 2010

alle lunghe giornate in valle, che il giovane Regazzoni trascorre tra caseifi cio e il suo mini-allevamento: “Cer-to, non si può dire che abbia tanto tempo da perdere: alle 5,30 del mattino sono già in piedi per la mungitu-ra e la pulizia degli animali, poi corro in cooperativa per fare il formaggio e al pomeriggio torno a curare le mie brune alpine e pezzate rosse. Non lo baratterei mai con un lavoro d’uffi cio perché ho sempre desi-derato stare all’aria aperta, a contatto con la natura. E poi facendo il formaggio ci metto anche la giusta dose di creatività che non guasta”. Sembra quasi uno spot a tanti coetanei che senza pensarci troppo lasciano la montagna per un lavoro sicuro più a valle. “A par-te che oggi anche in città un’occupazione è tutt’altro che sicura, ma davvero dico a tutti: pensateci! Anche i nostri amministratori dovrebbero però fare di più per trattenere le nuove leve: qualcosa si sta sbloccando, vedo qualcuno addirittura che ci ripensa e torna in quota, magari cominciando ad allevare qualche capra, che è un modo anche economico di fare impresa. Cer-to, per noi brembani, molto dipenderà dal progetto San Pellegrino: se davvero si potesse avere tra qualche anno un polo termale di livello mondiale, anche tutto l’indotto verrebbe trascinato al rialzo”.

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26 Affari di Gola novembre 2010

AGENDA

Non solo bollicine. La Franciacorta celebra un altro prodotto d’eccellenza della propria ter-

ra come l’olio d’oliva in due manifestazioni. La pri-ma è legata ad una ricetta della tradizione conta-dina, il manzo all’olio, autentico vanto di Rovato, in passato uno dei mercati di bestiame più impor-tanti e affollati del Nord Italia ed ancora oggi sede di storiche e accreditate fiere zootecniche ed agri-cole. Fino alla fine di novembre nei ristoranti e agriturismo che aderiscono al “Mese del Man-zo all’Olio” è possibile assaggiare il piatto tipico e altri sapori della tradizione locale a prezzo con-venzionato. Ricetta semplice, che lascia “parlare” gli ingredienti genuini (carne scelta, olio extraver-gine d’oliva, vino bianco e aromi), il manzo all’olio si presta come tale anche alle diverse interpreta-zioni dei cuochi: la rassegna è perciò un’occasio-ne per scoprire e mettere a confronto le variazio-ni sul tema. A base d’olio è anche la due giorni (27 e 28 no-vembre) in programma in riva al lago a Marone, comune che aderisce all’Associazione Nazionale Città dell’Olio. Protagonista di “Pane e Olio in Frantoio” è la nuova spremitura, da degustare sul pane e in abbinamento ad altri prodotti tipici. Nel corso della manifestazione – che da quest’an-no rientra nella rassegna nazionale GirOlio d’Ita-

lia -, sono possibili visite guidate agli uliveti e ai frantoi, dove scoprire tutti i passaggi

che conducono dall’oliva all’olio. Viene inoltre proposta la rievo-

cazione del rito della raccolta e della molitura. A fare da co-rollario, spettacoli folklori-stici e figuranti in costume. Per informazioni: Iat Iseo,

e-mail [email protected]

NOVEMBRE

Sapori d’olio in Franciacorta,dal manzo alla nuova spremitura Artway è un tour tra i locali serali di

Bergamo che dà spazio della creatività dei giovani e promuove il divertimento responsabile. “No Alcol, Sì Party!” è lo slogan della ma-nifestazione, organizzata dall’assessorato alle Politiche Giovanili del Comune di Ber-gamo e dall’assessorato provinciale alle Politiche socia-li in collaborazione con l’Asl e le associazioni di catego-ria, tra cui l’Ascom. Fino al 10 dicembre sono in programma serate dedica-te all’arte, alla musica, alla pittura durante le quali i lo-cali proporranno cocktail analcolici a un prezzo mas-simo di tre euro, spazi con alcol test e un concorso a estrazione che premierà chi consuma almeno quattro bevande senza alcol. Questi i prossimi appuntamenti: martedì 23 novem-bre all’UD Concept Bar di via Moroni spazio al djset con Francesco Previtali aka don Franke Previtali e alle creazioni grafiche di Fabrizio Terzi; giovedì 25 il Ritual Pub in via San Francesco d’Assisi proporrà una mostra fotografica di Giampiero Ghislandi, mentre mercoledì 1 dicembre al Caffè della Funicolare, in Città alta, si potranno vedere gli scatti di Marianna Preda e ascolta-re cover di Fabrizio De Andrè interpretate da Alex Laz-zari e canzoni d’autore di Logan Laugelli. Giovedì 2 di-cembre all’Agorà del Polaresco triplo appuntamen-to, con il folk dei 3 metri sotto il kilt, il punk rock degli Ac Knup e le illustrazioni “Il Male Abile” del Laborato-rio Gattoquadrato. Martedì 7 alla Birreria di Città Al-ta in via Gombito Daniele Lavagna presenta il suo libro “Scarface, una storia violenta” e Maddalena Bianchetti espone le sue fotografie.Venerdì 10 dicembre gran finale alla Stazione autolinee con l’evento conclusivo: alle 18.30 verranno offerte de-gustazioni di aperitivi analcolici e dalle 20.30 alle due di notte ci sarà una festa con djset, musica dal vivo, mo-stre e tutti i protagonisti di Artway. Gli appuntamenti si terranno a partire dalle 21.

Artway, i bar della città fanno spazio ai giovani artisti

FINO AL 10 DICEMBRE

Vista la bontà, la tipicità e l’apprezzamento, è stato proposto di farlo diventare un dolce per tutto l’an-

no, ma è durante il periodo natalizio che il panettone regala senza dubbio le emozioni più intense. Per arri-vare preparati ai pranzi e alle cene delle feste, a Milano,

sabato 27 e domenica 28 novembre c’è la terza edizione di Re Panettone, una rassegna che met-te in mostra le specialità dei pasticcieri più rino-mati d’Italia. I visitatori potranno assaggiare gra-tuitamente ed acquistare ad un prezzo speciale

27 E 28 NOVEMBRE

Milano celebra Re Panettone

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27Affari di Gola novembre 2010

Nell’ultimo decennio, all’interno del mercato enologico si è spesso sentito parlare di vini

cosiddetti “naturali” o “diversi”. È una realtà molto concreta che si sta diffondendo, soprattutto all’este-ro, e che sta prendendo piede anche nelle carte dei ristoranti di alto livello: una tendenza che rispec-chia l’esigenza di tornare all’essenza della pratica vitivinicola. A questa speciale fi losofi a del vino è de-dicata la prima edizione di “Semplicementeuva”, manifestazione nata da un’idea del gastronauta Da-vide Paolini e organizzata dall’azienda Piaceri d’Ita-lia. La fi era, in programma da sabato 27 a lunedì 29 novembre al Milano, vuole dare voce alle principa-li associazioni, consorzi, gruppi nazionali e interna-zionali, alle più importanti etichette indipendenti e ai maggiori esponenti del vino “naturale”. I prodotti presentati avranno una garanzia di qualità, ovvero un’autocertifi cazione che assicura il rispetto di tre condizioni fondamentali nella produzione: l’esclu-sione dell’uso di concimi chimici, diserbanti e trat-tamenti antiparassitari sistemici in vigna, l’esclusio-ne dell’uso di sostanze chimiche in cantina e l’uso di lieviti indigeni. Semplicementeuva è un evento al tempo stesso commerciale e culturale, di degusta-zione e di contatto diretto tra pubblico e produttori. Oltre al vino sarà presente uno spazio dedicato all’a-limentazione naturale con i suoi migliori rappresen-tanti. L’appuntamento è in via Ventura 15, in zona Lambrate, in una suggestiva location in un’area ri-qualifi cata e oggi tra quelle architetto-nicamente e artisticamente più inte-ressanti della città. L’ingresso costa 30 euro e comprende un carnet di 15 degustazioni. Ulteriori get-toni di degustazione possono essere acquistati all’inter-no della manifestazione a 1,50 euro ciascuno. Info: www.semplice-menteuva.it

DAL 27 AL 29 NOVEMBRE

A Lambrate la prima fi era dei vini “naturali”

panettoni artigianali, tradizionali, innovativi o farciti e conoscere di persona grandi interpreti delle paste lie-vitate. La manifestazione ha esordito nel 2008 al Teatro Litta, si è poi trasferita nelle sale del Museo Diocesano e quest’anno approda al Teatro Franco Parenti (via Pier Lombardo 14). L’iniziativa, organizzata da Amphibia, è una festa – si legge nella presentazione - per celebrare la grandezza di un “re”. Info: www.repanettone.it

e più inte-sso costa carnet ri get-ssono

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IL PUNTOdi Giordana Talamona

28 Affari di Gola novembre 2010

Anche il vino cerca un’anima più “bio”Nel mondo dell’enologia cresce l’attenzione alle colture rispettose dell’ambiente, del prodotto e dei consumatori.Ma su biologico e biodinamico resta un quadro di regole ancora incerte sui processi di vinifi cazione. E anche l’Ue ha le sue colpe

I cosiddetti vini naturali, prodotti da agricoltura bio-logica e biodinamica, si stanno ricavando, in questi anni, un posto di tutto rispetto nel mondo dell’e-

nologia italiana. Il rifi uto di concimi chimici, diserbanti, di trattamenti antiparassitari sistemici in vigna rappre-sentano un approccio culturale diverso dall’agricoltura convenzionale, mettendo al centro il rispetto per la na-tura e per i suoi cicli vitali. Attenzione però a non fare confusione tra biologico e biodinamico perché, pur condividendo certe pratiche, hanno approcci e origi-ni diverse. Se nel biologico infatti si recuperano prati-che tradizionali come il sovescio o la rotazione delle colture, si utilizzano le leggi naturali per aumentare le rese e la resistenza alle malattie; nel biodinamico si fa qualcosa in più. Potremmo dire che si va “oltre la natu-ra” aiutando la fertilità del terreno con degli starter di vitalità, come il corno-letame o il corno-silice, che fun-zionano da medicine omeopatiche, creando le miglio-ri condizioni possibili per il raccolto. Il biodinamico, inoltre, trae origine da un movimento fi losofi co legato all’antroposofi a di Rudolf Steiner, pensatore austriaco nato nella seconda metà dell’Ottocento che, forse per questo, l’ha fatto ritenere, per molti anni, un metodo oscuro e lontano, legato a una dottrina quasi esoteri-

ca. Oggi infatti questo metodo, come pure il biologico, ha assunto un’alta credibilità data, prima di tutto, dalla sua crescente applicazione e dalle certifi cazioni che ne garantiscono la metodologia. Chi vigila in Italia sono gli Enti del Ministero delle Politiche Agricole per il bio-logico, mentre per il biodinamico l’associazione inter-nazionale Demeter. Sinora siamo stati sostanzialmente in vigna e c’è un motivo. Ad oggi, infatti, un paradosso europeo non permette di parlare ancora di vino biolo-gico, ma esclusivamente di “vino ottenuto (o prodotto) da uve da agricoltura biologica”, poiché il processo di vinifi cazione non ha ancora una normativa che ne di-sciplini la produzione. La questione, lunga e complessa, è iniziata nel 1991 quando l’Ue varò il primo regola-mento sull’agricoltura biologica escludendo il vino dal capitolo riguardante i prodotti trasformati. Nel 2005, poi, prese l’avvio il progetto di ricerca Orwine che avrebbe dovuto offrire le basi tecniche necessarie per creare una normativa condivisa. Tutto lavoro sprecato perché, nel giugno scorso, a causa dell’opposizione di alcuni Paesi sui limiti dei solfi ti nel vino, l’Ue ha dovuto necessariamente rigettare la bozza buttando all’aria le speranze di molti Paesi, tra cui l’Italia e la Francia, che da anni si battono per la nascita di questo regolamento.

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29Affari di Gola novembre 2010

PARLA IL DIRETTORE GENERALE SILVANO BRESCIANINI

È stata una delle prime aziende a credere nei vini naturali, con ter-reni biodinamici a Jesi e biologi-ci in Franciacorta e a Scansano. La storica Azienda Barone Pizzini, di queste pratiche, ne ha fatto una questione di principio. “Il valore aggiunto della viticoltura bio? Ave-re un prodotto esente da residui di pesticidi - spiega il direttore gene-rale Silvano Brescianini - e piante che, lavorando in equilibrio con la natura, sono meno stressate.” Vedia-mo dunque, con lui, quanto lavo-ro e tecnica si nascondano dietro queste pratiche alternative. Come avete scelto tra biologico e biodinamico? “In base ad esigenze legate alla pio-vosità e al clima. Demeter, l’organo che a livello internazionale certifi-ca il biodinamico, mette dei limiti piuttosto rigidi per la difesa fitosa-nitaria, con un utilizzo massimo di 3 kg di rame per ettaro. Nelle Mar-che riusciamo ad utilizzare il biodi-namico, mentre in Franciacorta, il clima continentale e l’alta piovosi-tà, ci consentono di rientrare nella soglia prevista dal biologico”. Il bio è molto dispendioso? “Oh sì enormemente. Vede è proprio l’approccio alla calendarizzazione del lavoro nei terreni che cambia”.

Nello specifico? “In base alle precipitazioni, per prevenire il più possibile le malat-tie della vite, dobbiamo decidere se trattare con lo zolfo e, soprattutto, dove procedere. Sta ai nostri peri-ti la responsabilità di monitorare attentamente tutte le particelle di terreno verificando, caso per caso, se e come intervenire”. Cosa risponde a chi dice che la contaminazione accidentale da pesticidi è possibile anche su terreni biologici? “Che è vero, si chiama CAI, conta-minazione accidentale incrociata, ma è altrettanto vero che esistono dei protocolli che permettono di prendere precauzioni molto serie a riguardo”. In che modo? “Ad esempio con delle barriere na-turali tra terreni biologici e con-venzionali, oppure attraverso valu-tazioni sulle distanze tra filari. Nel nostro caso procediamo addirittu-ra con delle vendemmie e vinifica-zioni separate in quei terreni che risultano esposti a particolari con-dizioni come, per esempio, la poca distanza dalla strada”. La vinificazione non ha anco-ra una normativa comunitaria, come mai?

“Lo scoglio più importante è il li-vello di solfiti presenti nel vino che, nel giugno scorso, ha visto l’opposizione di Germania ed Au-stria costringendo l’Ue a rigettare la bozza di legge”. Non si è forse tutelato l’interes-se di un piccolo gruppo di loro produttori? “Purtroppo sì ed apparentemente senza motivo visto che la ricerca di Orwine ha messo in luce come già circa il 90% dei produttori bio-logici tedeschi ed austriaci, rientri-no ampiamente nel limite per l’u-tilizzo di solfiti. Questo disgrazia-tamente ostacola tutti noi perché un regolamento condiviso sarebbe ormai auspicabile”.

Barone Pizzini tra i pionieri: “Per noi è un grande valore aggiunto”

Ha toccato il biologico, gli Ogm, i miti legati al man-giar sano ed il suo libro, “Pane e Bugie”, pubblica-to ad aprile da Chiarelettere, è arrivato già alla sesta ristampa. Lui, Dario Bressanini ricercatore del di-partimento di Scienze matematiche, fisiche e na-turali dell’Insubria di Como, questo successo se lo spiega per l’approccio scientifico, ma accessibile,

che ha utilizzato per smontare i tanti luoghi comu-ni che ruotano attorno a questi temi. Primo mito da sfatare, gli alimenti biologici non sono più nutrien-ti di quelli ottenuti da agricoltura convenzionale. “Sono partito da una ricerca della Food Standard A-gency (Fsa), che ha messo in luce - spiega Bressanini che su L’Espresso cura il blog “La scienza in cucina”

Ma Bressanini sfata il mito: “Il biodinamico non ha basi scientifi che di ricerca”

L’AUTORE DEL LIBRO “PANE E BUGIE”

BARONE PIZZINIvia S. Carlo, 14 Provaglio d’Iseo (Bs) tel. 030 9848311www.baronepizzini.it

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30 Affari di Gola novembre 2010

- come molti nutrienti, tra cui la vitamina C, il calcio e il potassio, siano presenti in modo simile nei pro-dotti di entrambe le coltivazioni senza particolari differenze per l’apporto nutritivo”. Seconda idea da rivedere, non c’è prova scientifica che i solfiti nel vino facciano venire mal di testa. “In letteratura non è stato dimostrato che ne siano i diretti respon-sabili - afferma -. Certo, sono additivi ed è meglio tenerli sotto controllo, ma ricordiamoci che una piccola parte di solforosa viene prodotta in fase di fermentazione e la ritroviamo anche in altri alimen-ti, come nei sottaceti”. Altra visione difforme se-condo lui: l’approccio rigoroso. “Se il biologico ha basi scientifiche di ricerca - spiega - lo stesso non si può dire del biodinamico che, al contrario, si ba-sa su pratiche astrologiche e filosofiche che poco o nulla hanno a che fare con la scienza. Che poi certi vini siano buoni è al-tra cosa, ma direi

che lo sono, nonostante questa agricoltura. Per a-verne prova scientifica, infatti, occorrerebbero del-le comparazioni su terreni simili nei quali utilizzare l’agricoltura convenzionale o biologica, da un lato, e quella biodinamica dall’altra.” Sulla valenza scien-tifica del biologico, al contrario, Bressanini non nu-tre dubbi, ma il discorso si complica se gli chiedete cosa ne pensi del suo impatto ambientale. Secondo il ricercatore, infatti, se si estendesse il biologico a livello globale si avrebbero altre incredibili conse-guenze, non ultima la necessità di coltivare nuova terra mettendo, paradossalmente, a rischio la bio-diversità animale e vegetale. “Questo è un dilemma che la scienza si sta ponendo: sarebbe meglio limi-tare i terreni coltivabili utilizzando un’agricoltura intensiva, nonostante l’utilizzo di pesticidi sintetici, oppure sarebbe meglio usare il biologico che, per le basse rese, avrebbe bisogno di altri terreni colti-vabili che metterebbero a rischio la biodiversità?”, si chiede Bressanini. Una domanda amletica a cui pochi, se non gli addetti ai lavori, avevano mai pen-sato. “Esistono terreni non coltivati, molti dei quali nei Paesi in via di sviluppo, Cina in testa - prosegue il ricercatore - che garantiscono, oggi, la sopravvi-venza di molte specie animali e la salvaguardia del-la biodiversità. Per questo spero che si arrivi, sen-za pregiudizi, ad un’agricoltura integrata, tra quel-la biologica e convenzionale, che possa di volta in

volta utilizzare la tecnica migliore di produzione col minor impatto ambientale”. Il tema, si sa-

rà capito, è tutt’altro che chiuso.

si può dire del biodinamico che, al contrario, si basa su pratiche astrologiche e filosofiche che poco o nulla hanno a chefare con la scienza. Che poi certi vini siano buoni è al-tra cosa, ma direi

tare i terreni cintensiva, nonooppure sarebble basse rese, avvabili che mettsi chiede Bresspochi, se non gsato. “Esistono nei Paesi in viail ricercatore -venza di moltela biodiversità.za pregiudizi, ala biologica e c

volta utilizzacol mino

rà cap

La fi losofi a che anima l’Azienda Tosca di Pontida è quella di fare vini che siano espressione diret-ta del territorio, dell’annata e del vitigno. Marco Locatelli, con la moglie Tosca Comi, ha messo su nel 2000 l’azienda di famiglia e non ha dubbi a riguardo: “Nel biologico uno ci deve credere, è un’attenzione che si ha per la campagna, ma non credo che fac-cia implicitamente il successo di un vino”. Quasi a dire che, dietro la gradevolezza del nettare di Bac-co, si nasconda in realtà tutto un mondo fatto di tradizione, prati-

che di cantina ed apprezzati viti-gni storici. “Non so se il biologico sarà il futuro dell’enologia italia-na - commenta Locatelli - io natu-ralmente lo spero, ma noto che il consumatore di vino non sceglie in primis una bottiglia perché vie-ne da un’agricoltura eco-compa-tibile. Al contrario, vedo un’atten-zione maggiore quando si tratta di acquistare frutta e verdura pro-venienti da agricoltura biologica”. Locatelli, sommelier dell’Ais, que-sta sensazione ce l’ha fi n sottopel-le, come pure la convinzione che, nonostante tutto, valga la pena

L’AZIENDA DI PONTIDA DAL 2000 PRODUCE VINO CON METODO BIO

Tosca: “Ma il consumatore è ancora poco sensibile su questo fronte”

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IL PUNTO

Dario Bressanini

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31Affari di Gola novembre 2010

Simone Luraghi, sommelier e pro-prietario dell’Enoteca Diapason di Milano, nei vini naturali ci crede, ec-come. Dei 600 vini presenti nel suo negozio, il 40% sono bio, così come tutta la selezione di oli e cioccolati che dimostrano quanto tenga dav-vero all’integrità dell’ambiente. Non si creda, tuttavia, che questa fi loso-fi a abbia offuscato il suo spirito cri-tico, tutt’altro. “Oggi il biologico va di gran moda - commenta - così si as-siste, sempre più spesso, a riconver-sioni di terreni che nulla hanno a che fare con l’attenzione per la natura. Ci sono molte aziende che operano nell’agricoltura convenzionale, a vol-te tra le può inquinanti, che per ri-cavarsi una nuova fascia di mercato hanno iniziato a produrre vini natu-rali.” Un J’accuse senza mezzi termi-ni contro gli assertori bio dell’ultima ora, quelli che, saliti sul carro del vin-citore, seppur più piccolo rispetto al convenzionale, stanno cercando di

allargare la propria fascia di mercato. “Credo nel rispetto della tradizione - continua - che non equivale, tuttavia, ad un “elogio dell’imperfezione” del vino. In passato, infatti, i primi vini naturali avevano, in certi casi, degli odori sgradevoli che si giustifi cava-no per l’utilizzo della metodologia bio. Oggi, per fortuna, non è più così, la tecnica è cambiata e la qualità dei vini naturali è la stessa di quelli con-venzionali, ma con qualcosa in più. Questi vini, infatti, ci parlano del ter-ritorio che li ha prodotti, hanno un carattere che li preserva dall’omolo-gazione imperante delle produzioni super-industrializzate, fatte di vitigni internazionali, muscolosi, che ricor-dano, per aroma, le marmellate”. U-na scelta di campo, quella di Luraghi, come quella di chi partendo da vini potenti, ma tutti uguali, si avvicina al bio cercando qualcosa di diverso.“Il cliente tipo va, di norma, dai 30 ai 50 anni, è mediamente scolarizzato

ed ha, dalla sua, delle caratteristiche fondamentali: è curioso e interessa-to - conclude -. Dalla mia esperienza chi prova vini naturali, chi li capisce fi no in fondo, diffi cilmente torna in-dietro”.

continuare con questa che per loro è diventata una vera fi losofi a agricola. L’azienda Tosca si estende su cinque ettari, di cui tre vitati, producendo tre rossi e due bianchi che sono espressione di una terra, quel-la di Pontida, vocata per la produzione vinicola sin dal Medioevo.“Non utilizzando i prodotti di sintesi,

le ore di lavoro in vigna non fi niscono mai - spie-ga -. Per i trattamenti si usa il solfato di rame fi no a un massimo, per stagione, di 6 chili per ettaro. La ri-cerca, a riguardo, ci sta venendo incontro con nuo-vi prodotti nei quali la presenza di questo metallo è ridotta ormai al 15% rispetto al 30% del passato”. Questo fuga qualche dubbio a chi sostiene che, nel biologico, l’utilizzo di rame al posto dei diserbanti chimici possa inquinare, a lungo andare, la falda ac-quifera. “Molto di ciò che fa un buon vino dipende da come si lavora in cantina - prosegue -. Noi non u-siamo mosti rettifi cati, ne correttivi o acidifi canti. La solforosa che utilizziamo è minima, 15 volte in me-no rispetto a quella consentita”. Sulle caratteristiche organolettiche dei vini biologici Locatelli esprime, in ultima battuta, quello che sembra essere un pare-re condiviso anche da altri produttori. “Ogni annata è diversa perché quest’agricoltura segue davvero i cicli della natura. A lungo andare abbiamo notato una particolarità nei nostri vini: non sempre sono pronti subito - conclude - ma anche se non sono fat-ti per il lungo affi namento, migliorano col tempo.”

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Luraghi (sommelier): “Chi li prova diffi cilmente torna indietro”

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Marco Locatelli e Tosca Comi

Simone Luraghi e la moglie

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Colta al volo tra i tavoli del pranzo di mezzogiorno: «Al venerdì non possiamo

mancare perché ci sono gli gnoc-chi». Ma non si tratta di violazione della privacy, siamo alla trattoria Teresina in piazza San Giovanni, la piazza del comune e della chiesa, a Fornovo San Giovanni. Il locale è piccolo - due graziose salette e quando serve si utilizza anche lo spazio del bar, per una quarantina di posti in tutto, mentre la cucina è al piano di sopra - ed è inevitabile ascoltare anche non volendo.Non possiamo dire di essere arri-vati alla meta, ma la tanto ricercata trattoria tradizionale c’è: una l’ab-biamo trovata. «Non so quante ce siano ancora – racconta Alberto Co-mandulli che con la moglie Angela Rivoltella ed i fi gli Teresa e Lucia-no manda avanti l’attività – ma noi resistiamo bene. In zona qualcuno ha dovuto aggiungere la pizzeria od offrire qualcosa di diverso, noi proseguiamo con la stessa linea proposta a partire dal 1950 da mia suocera». È lei la Teresina che, con il marito Avellino, ha iniziato l’attività; Alber-to e la moglie sono titolari dal 1990. All’origine il locale si chiamava Trattoria Roma, ma si racconta fos-se d’uso corrente dire «andiamo a mangiare dalla Teresina», così è nata l’insegna attuale. E se è vero che si

fa presto a dire “trattoria tradiziona-le” e “piatti tipici della tradizione” (situazioni che peraltro abbiamo ri-scontrato anche in tante altre realtà interessanti), la particolarità della “Teresina” che non è stato aggiunto nulla, non è stato rivisitato nulla ri-spetto alle abitudini culinarie delle nostra terra e il menù è tanto ava-ro di proposte in termini numerici quanto invece è ricco in termini di gusto.«Negli antipasti abbiamo degli ot-timi salumi piacentini mentre per il salame ho la mia ricetta – ha proseguito Alberto Comandulli, Bertino per gli amici –; per i primi proponiamo ravioli fatti in casa sia di carne sia di magro, con ricotta e spinaci. I secondi sono sempre ac-compagnati dalla polenta e faccia-mo il brasato, il coniglio, l’arrosto di vitello, lo spinacino ed il salami-no con le lenticchie. È tutto qui. Su ordinazione prepariamo anche altri piatti, come la casöla». E per dolce torta di mele o crostate, altri emble-mi della cucina casalinga. Raccontata così la ricetta del suc-cesso sembrerebbe facile, in realtà, pur in un contesto sostanzialmente semplice, nessun particolare viene trascurato. La Teresina è sì una ti-pica trattoria di paese, intendendo la defi nizione un pregio, e quindi l’arredamento è in linea con questa realtà e può essere tranquillamente

defi nito essenziale se non addirittu-ra spartano, ma il locale è accoglien-te, vivace, con tovagliati e mise en place di buon livello. In sala, oltre a Bertino, c’è il fi glio Luciano che ha frequentato l’Istituto Alberghiero e garantisce un servizio professio-nale, mentre la cucina è lo spazio delle donne, con Angela e Teresa ai fornelli. Di rilevante nella propo-sta del locale c’è anche una buona selezione di vini, non molto ampia ma impostata con competenza ed un occhio di riguardo al prezzo.«Andiamo avanti con la nostra linea – ha concluso Alberto Comandulli - e siamo molto soddisfatti. Siamo un’azienda a conduzione familia-re e ci integriamo bene nei ruoli. Quando serve, ad esempio, viene a darci una mano anche l’altra fi glia,

Teresina, «ricetta vincente non si cambia»Attivo da sessant’anni, il locale di Fornovo San Giovanni non ha aggiunto né rivisitato nulla rispetto alle abitudini culinarie delle nostra terra, con proposte che si snodano tra pochi capisaldi come salumi, ravioli e carni con polenta. «Forse è proprio questa la ragione del successo»

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IL PREZZO FISSOdi Fulvio Facci

Affari di Gola novembre 2010

Alberto Comandulli con la moglie Angelae i fi gli Luciano e Teresa

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Laura. La clientela è affezionata. Abbiamo un buon giro per il pranzo di mezzogiorno e nelle tre sere in cui siamo aperti, mentre nelle altre lavoriamo su prenota-zione. Il motivo di un consenso costante? Forse è per-ché non abbiamo cambiato nulla rispetto a quello che faceva la Teresina». Un’ultima nota di assoluto merito: il locale è una tratto-ria con prezzi da trattoria.

33Affari di Gola novembre 2010

Così come lo è il menù alla carta, altrettanto essen-ziale - e non poteva essere diversamente vista l’im-postazione del locale - è la proposta per il pranzo a prezzo fi sso di mezzogiorno. Medesima, peraltro, la qualità. Primo, secondo, contorno, acqua, vino e caf-fè per dieci euro. Conchiglie e gnocchi fatti in casa i primi piatti, conditi con ragù, sugo al pomodoro o pesto, anche questi rigorosamente preparati in pro-prio; cotoletta di pollo impanato e lesso i secondi, cui si aggiungono, sempre disponibili come secon-da portata, bresaola e grana o prosciutto cotto con mozzarella. La proposta per i primi piatti è presso-ché standard, può capitare comunque di trovare gli straordinari ravioli in brodo oppure il condimento all’arrabbiata, mentre tra i secondi ruotano anche il fegato e le valdostane, il carpaccio e il vitello ton-nato.Non ci siamo lasciati sfuggire gli gnocchi con un ot-timo ragù di carne e dopo qualche indecisione, data dall’ammiccante piatto di lesso che ci è sfi lato din-nanzi, abbiamo optato per la cotoletta, con una pa-natura perfetta. Coste lesse il contorno, ottimo il vi-no e molto buono il rapporto qualità/prezzo.

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Page 34: Affari di Gola - novembre 2010

IL LOCALEdi Michele Andreucci

Anzitutto, è bravo e simpatico. E il clima fami-liare e professionale ben si sposa con il locale e il suo titolare. Alfred Jaku, 32 anni, albanese

ma nato in Italia, circa 8 anni fa ha aperto il bar “Va-nilla”, in via Statuto, nel quartiere di Santa Lucia. Da allora il successo è andato via via crescendo. Il motivo è semplice: oltre alla tecnica, Alfred ci mette il cuore. E si vede. Al “Vanilla” tutto gira comme il faut: dall’acco-glienza al servizio, che mescola la professionalità a una sapiente discrezione. Tutto questo è merito anche di due brave collaboratrici: Alessandra Rocchetti, 22 anni, e Valentina Moretti, 27 anni. Ale e Vale, come le chiama-no i clienti, assicurano un servizio accurato, sfoggian-do competenza nel consigliare e spiegare i piatti o i vini da consumare. Insomma al “Vanilla” il clima che si respira è questo: relax e tanta attenzione al cliente a partire dall’originalità dei piatti, semplici ma sempre con un tocco d’innovazione e di originalità. Un luogo dove ci si riempie oltre che lo stomaco anche lo spi-rito, rallegrato da Alfred, Alessandra e Valentina e dalla clientela che lo frequenta. “La nostra - spiega Alfred - è variegata: dagli artigiani che pranzano a mezzogiorno, ai professionisti che arrivano per il doppio turno del pranzo (in realtà è un incessante turnover), alle com-pagnie di amici che, soprattutto all’ora dell’aperitivo

serale (imperdibile, ndr.), arrivano qui per trascorrere alcune ore in allegria. La mia fi losofi a della tavola, infat-ti, è quella di mangiare bene e stare rilassati in un am-biente accogliente. Magari bevendo un bel bicchiere di vino. Da noi si possono trovare discrete bottiglie a prezzi contenuti: Refosco, Morellino di Scansano, Nero d’Avola e qualche Valcalepio”.“Certo - ammette Alfred - questo è un lavoro faticoso, che richiede sacrifi ci e per il quale devi avere una gran-de passione. Ma dà anche grandi soddisfazioni. Come quando il cliente ti avvicina per farti i complimenti. Io adoro preparare da mangiare, sbizzarrirmi con le varie pietanze. Anche nel privato cucino per tutti e la mia casa è sempre aperta agli amici. Amo i piatti semplici, quelli che ricordano la tradizione, ma realizzati sempre con ingredienti selezionati e di qualità. Cucinare per me signifi ca voler bene, perché mentre preparo pen-so a quello che mangeranno i miei clienti e cerco di assecondare i loro gusti. Cucinare è mettere l’energia che si ha in un piatto e la buona tavola è quella serena e godereccia, che ti fa stare bene con il mondo. No-nostante il lavoro mi stia dando grandi soddisfazioni, non ho mai smesso di studiare per imparare e proporre sempre qualcosa di nuovo. Perché io sono un curioso e la curiosità serve per crescere”.

Il bar “Vanilla” e la passione di AlfredÈ aperto da 8 anni nel quartiere Santa Lucia di Bergamo ed è un punto di riferimento

34 Affari di Gola novembre 2010

Da sinistra: Valentina Moretti, Alessandra Rocchetti

e Alfred Jaku (foto Gianni)

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35Affari di Gola novembre 2010

IL 29 NOVEMBRE

Si rinnova lunedì 29 novembre, nel rispet-to di una tradizione consolidata portata

avanti dal presidente onorario Pino Capozzi, la Cena degli Auguri dei ristoratori aderen-ti all’Ascom. L’appuntamento, alle 20.30 al ristorante Gourmet di Città alta (via San Vi-glio 1), è un incontro informale e gioioso tra colleghi prima delle festività natalizie. Natu-ralmente si svolgerà all’insegna della buona tavola, con un menù che vedrà cimentarsi ai fornelli più ristoratori che compongono l’associazione. L’apertura sarà affi data a Bruno Federico della Caprese di Mozzo, il primo a Pino Capozzi dell’A-gnello d’oro di Città alta, il secondo di pesce a Roberto Gambirasio del ristorante Cadei di Villongo, il secondo di carne allo stellato Paolo Frosio dell’omonimo locale di Almè ed il dessert alla cucina del Gourmet dei padroni da casa Aldo Beretta e Gianni Cornacchia. L’invito è ri-volto ai ristoratori, ai loro familiari e ai collaboratori. Per ragioni organizzative è necessaria la prenotazione. Per informazioni e prenotazioni è a disposizione la segrete-ria del Gruppo ristoratori Ascom (tel. 035 213030).

Ristoratori Ascom a cena per gli auguri

Il legame tra la Bergamasca e la Spagna, in particolare la regione di Valencia, è consolidato da una lunga tra-dizione di incontri e scambi reciproci di ospitalità e cultura gastronomica, favoriti dallo speciale rapporto che Pino Capozzi, presidente onorario dei ristorato-ri Ascom, intrattiene da anni con quella comunità. Un nuovo capitolo di questa bella amicizia è stato scrit-to in Valcalepio nel comune di Villongo, al ristorante Cadei dove è stata organizzata una cena che ha fatto incontrare in piatti della ristorazione bergamasca e la famosa “paella” valenciana realizzate dall’infaticabile chef e patron Roberto Gambirasio. Hanno presieduto all’evento il presidente della Confraternita Interna-zionale del Riso della Comunità Valenciana signor Xi-mo Saez e il sindaco di Villongo Lorena Boni. Per l’oc-casione Gambirasio ha ricevuto il diploma d’onore di appartenenza alla Confraternita Valenciana, mentre Pino Capozzi è stato insignito del titolo di Ambascia-tore della Confraternita del Riso per l’Italia.

Bergamo-Valencia, il legame si rinnova

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Page 36: Affari di Gola - novembre 2010

Un piatto saporito, gustoso e molto semplice nella re-alizzazione, anche per chi ne capisce poco di fornelli o è alla ricerca di idee veloci. In commercio si posso-no acquistare tipi differenti di gnocchi (confezionati nelle apposite vaschette oppure freschi), come quelli di frumento, di riso, di semola o di ceci, ma i più diffu-si sono sicuramente gli gnocchi di patate, costituiti da amido e ricchi di sali minerali tra cui zinco, fosforo, fer-ro, magnesio e potassio. Il gorgonzola è un formaggio a pasta cruda di colore bianco paglierino le cui scre-ziature verdi sono causate da quel processo denomi-nato “erborinatura”, cioè la formazione di muffe. È un delizioso alimento che da sempre caratterizza primi e secondi piatti, ma perfi no antipasti o spuntini sfi ziosi, tanto è vero che sono davvero pochi quelli a cui non piace. Ma non è solo buono, il gorgonzola fa anche be-ne poiché apporta proteine di elevata qualità biologi-ca, calcio altamente assimilabile e vitamine B1, B2, ol-tre a sodio, potassio e fosforo. E, anche se molti credo-no il contrario, è un prodotto altamente digeribile in quanto i fermenti lattici in esso contenuti hanno un’in-fl uenza positiva sulla fl ora batterica intestinale ed eser-citano un’attività batteriostatica ed antibiotica. Quan-do lo utilizziamo in cucina, se non lo si consuma subi-to, è meglio conservarlo in contenitori chiusi ermeti-

camente, avvolto nella carta stagnola; in questo modo siamo sicuri che il sapore si manterrà integro. Infi ne non dimentichiamo che, per esaltarne il gusto e la cre-mosità, è consigliabile tenerlo a temperatura ambiente almeno mezz’ora prima di consumarlo. Intorno al gor-gonzola circola una serie incredibili di leggende e una delle più diffuse riguarda la sua origine a dir poco “ca-suale”. Si racconta che nel IX secolo, durante il periodo di transumanza dalle malghe alpine lombarde a quelle della pianura padana, come tradizione, le mandrie e i mandriani si concessero una meritata sosta nel paese di Gorgonzola; pare che uno dei mandriani, preso da altri pensieri, dimenticò l’usuale attrezzatura per lavo-rare il latte della sera destinato a diventare crescenza o quartirolo. Lasciò perciò la cagliata in un recipiente, riservandosi di unirla a quella più abbondante del mat-tino e poi di lavorare il tutto con gli attrezzi recupera-ti. Quando poi lo fece, non ottenne né crescenza né quartirolo, ma un alimento nuovo; l’unione delle due “paste” aveva dato origine al gorgonzola. Ma la leggen-da non fi nisce qui: da quel giorno si cominciò a crede-re che il nuovo formaggio fosse un elisir di lunga vita e che chi ne mangiava, oltre che godere di ottima salute, avrebbe allungato la propria esistenza di molti, molti anni. Buon appetito a tutti.

LA CURIOSITÀ

Ingredienti per 1 persona150 g di gnocchi di patate80 g circa di gorgonzolauna manciata di nocisale a piacere

PreparazioneMettete l’acqua a bollire, poi salatela e buttate gli gnocchi. Togliete la buccia al gorgonzola, tagliatelo a pez-zettini e mettetelo in una fondina. Fate scaldare il tutto nel microonde a potenza media. Scolate gli gnocchi, versateli nella fondina insieme alle noci precedentemente sbucciate e sminuzzate. Mescolate bene e accom-pagnate con delle fette di pane al latte.

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vive da solo, ma non rinuncia

alla buona cucina

Capita a tutti nella vita di vivere per un certo periodo di tempo da soli. E spesso ciò coincide con la rinun-cia ai piaceri della buona tavola ed è sinonimo di cibo congelato, essiccato, imbustato. Ecco allora qualche idea per preparare ricette “monodose” da mangiare seduti a tavola o ri-lassati sul divano, a seconda dell’umore, per non sentirsi mai più soli ai fornelli... perché anche mangiare da soli può essere piacevole.

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DEL SINGLE di Marco Bergamaschi

Che nozze tra gli gnocchi e il “leggendario” gorgonzola!

36 Affari di Gola novembre 2010

a buccia al gorgonzola, tagliatelo a pez-

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FINO AL 28 NOVEMBRE

Nel cremasco è tempo di rassegne gastromoniche. Fino al 28 novembre “A Tavola con la Tradi-

zione Cremasca” è un’occasione per far incontrare la ristorazione con i prodotti tipici. Nei nove locali aderen-ti si possono trovare alcuni dei cavalli di battaglia della gastronomia locale, che la manifestazione, iniziata nel 1993, ha contribuito a riportare all’attenzione: i Tortel-li Cremaschi, il Salva Cremasco Dop, i piatti a base di pollame nobile da cortile (anatra, faraona, oca), i salu-mi locali, vere chicche diverse per stagionatura e impa-sto a seconda del paese di produzione. Le proposte di menù completi vanno dai 30 ai 35 euro, vini compresi. Tra i partecipanti fi gura anche l’Osteria del Chiurlo di Ripalta Cremasca, premiata con il “Diploma di Miglior Tortello della Rassegna 2009”, riconoscimento specia-le dell’Accademia del Tortello Cremasco. L’elenco dei ristoranti e il dettaglio dei menù è disponi-bile sul sito www.nonsolovino.it. È necessaria la preno-tazione.

Crema, sapori tipici in tavola

na 2009 , riconoscimento specia-Tortello dei

La Regione Lombardia punta sull’educazione alimen-tare nelle scuole, università comprese, per l’anno 2010-2011. E’ quanto ha deciso nei giorni scorsi la Giunta su proposta dell’assessore all’Agricoltura, Giu-lio De Capitani, e di quello alla Semplifi cazione e Digi-talizzazione, Carlo Maccari. “Per modifi care le abitudi-ni alimentari, per maturare una piena consapevolezza al consumo e una vera libertà di scelta - ha detto De Capitani - non è suffi ciente informare, occorre invece educare nel senso pieno del termine, ecco perché ci rivolgiamo innanzitutto alle scuole e ai bambini. Con l’anno scolastico 2010-2011, attraverso “Scuola e ci-bo”, lanceremo un piano di educazione alimentare quinquennale. Obiettivi di questo programma: pro-muovere la conoscenza e l’importanza dell’agricoltu-ra e dei prodotti agroalimentari, stimolare l’adozione di corretti comportamenti nella nutrizione, sostene-re l’interdisciplinarietà dell’educazione alimentare, educare al gusto, a partire dalle eccellenti produzioni lombarde, voci autentiche del nostro territorio e ga-ranzia di elevati controlli”.

Il Piano della Regione

L’educazione alimentare entra anche in classe

37Affari di Gola novembre 2010

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L’AZIENDA

Barman, creativi per professioneServono passione e alta formazione, ma la fi gura continua ad avere numerosi sbocchi sul mercato. I consigli dei big

ottobre 2010

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Q U A T T R O E R R E

una SPETTACOLAREpartecipazione.

quattroerre:

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