il fatto Bangladesh - pcn.net · di Purbar Borthola, al secondo pia-U no di una casa di bambù: per...

1
REPORTAGE MERCOLEDÌ 25 FEBBRAIO 2009 3 il fatto Il Paese fa i conti con una povertà ancora molto diffusa e deve fare i conti con ricorrenti inondazioni e terremoti. Ma sta conoscendo una stagione di rilancio economico e civile, con un nuovo protagonismo di giovani e donne. I cattolici, una minoranza che testimonia ilVangelo con opere in campo scolastico, sanitario e assistenziale DA DACCA PIERO GHEDDO enti giorni in Bangladesh, venendo dall’Occidente in crisi, aprono il cuo- re alla speranza. Uno dei Paesi più po- veri del mondo, periodicamente colpito da tifoni, inondazioni, terremoti e privo di ri- sorse naturali, in un territorio che è meno di metà Italia, ospita 150 milioni di abitanti (l’ul- timo censimento è del 1991, poi solo proie- zioni di dati). Eppure l’atmosfera che si re- spira non è di pessimismo, ma di ottimismo, di gioia di vivere. Da una ventina d’anni il Bangladesh sta beneficiando di due risorse impreviste: i bengalesi in Occidente e nei Paesi arabi sono circa 10 milioni (in Italia 70mila legali e 30mila illegali), le loro rimes- se in patria sono di circa 14 miliardi di dol- lari l’anno, più degli aiuti che vengono dal- l’estero. Inoltre la globalizzazione ha porta- to industrie tessili e dell’abbigliamento che stanno arricchendo il Paese e causando una vera rivoluzione sociale. Anche Cina, Corea del Sud e Taiwan vengono qui a investire nel tessile. Per la prima volta, migliaia di donne musulmane lavorano fuori casa, guadagna- no e prendono coscienza dei loro diritti. Cambiando le donne, cambia tutta la so- cietà. Il tipo umano bengalese – come conferma- no i missionari del Pime presenti in Benga- la dal 1855 – è aperto e senza complessi, cor- diale, lavoratore, tollerante, non ama la vio- lenza e si adatta ad ogni situazione e lavoro. Ho chiesto a padre Luigi Scuccato, che vive qui dal 1948, il motivo di questo carattere. Ri- sposta lapidaria: «La povertà educa, la ric- chezza diseduca». A padre Fabrizio Calega- ri, giovane milanese direttore dell’ostello dio- cesano di Dinajpur con circa 150 giovanot- ti, ho chiesto come fa a tenere tanti giovani. Risponde: «Se fossero italiani non ce la farei, noi siamo troppo complicati. Gli studenti bengalesi studiano e obbediscono senza che io glielo dica. Sanno bene che, se bocciati, torneranno in capanne di fango e paglia, a fare i manovali nei campi». Il 29 dicembre 2008 le elezioni politiche na- zionali hanno portato una svolta politica ra- dicale. Il governo militare provvisorio aveva preparato le elezioni con un comitato civile che ha cancellato dalle liste elettorali circa 10 milioni di votanti non esistenti (morti, gen- te che ha votato due volte in seggi diversi), so- stituendoli in parte con votanti esclusi, do- tando tutti i cittadini della carta d’identità e introducendo regole severe per la campagna pubblicitaria, che hanno calmato gli animi. Proibiti i manifesti più grandi del formato A4, proibite le manifestazioni che bloccano le strade e le auto dei partiti per città e villaggi assordando la gente con discorsi a pieno vo- lume. Per la prima volta le elezioni si sono svolte senza gravi incidenti e senza morti ne- gli scontri tra opposte fazioni. Hanno votato 81 milioni di elettori, il partito moderato del- l’Awami League ha conquistato 260 seggi al Parlamento nazionale e l’alleato Partito po- polare 26. Ha vinto Sheikh Hasina che da so- la ha la maggioranza parlamentare, mentre l’altra candidata, Khaleda Zia, è precipitata a 32 seggi e i giornali scrivono che è a capo del- la più piccola opposizione che ci sia mai sta- ta in Bangladesh. La Jamat Islam, il partito i- slamico coalizzato con la Khaleda, è sceso da 17 a 2 seggi. Il sistema elettorale è modellato su quello inglese che dà tutto a chi ha un vo- to in più in un distretto elettorale e i voti dei perdenti sono inutili. Ad esempio la Jamat, a giudicare dai seggi, avrebbe lo 0,90 dei voti, invece raccoglie almeno il 10% dei votanti. Comunque l’estremismo islamico e i vari al- tri estremismi politici (maoisti, ecc.), hanno V subìto una clamorosa sconfitta. Il governo attuale esprime meglio l’animo bengalese che non approva il terrorismo, la guerra san- ta e le forme di intolleranza presenti in mol- ti Paesi islamici. Il nuovo governo ha già preso provvedimenti coraggiosi per risolvere problemi enormi. Ad esempio, tutta l’industria si concentra at- torno alla capitale, nel 1980 con un milione di abitanti, oggi 12-13 milioni! Una concen- trazione quasi inevitabile perché Dacca è l’u- nica città unita all’unico porto di Chittagong, altre regioni e città sono isolate dai grandi fiumi che dall’Himalaya sboccano nel Golfo del Bengala e dalla mancanza di ponti e di strade adeguate. Il governo militare ha reso Dacca più vivibile di come l’avevo vista nel- l’ultima visita del 2001, preferendo i risciò u- mani alle auto-taxi (e dando lavoro a migliaia di giovani), espellendo dalla città i taxi-mo- torette con tre ruote che esalavano un fumo nerastro, obbligando le nuove industrie a co- struire impianti di purificazione degli scari- chi, proibendo l’uso dei sacchetti di plastica e imponendo i sacchetti di carta, sostituen- do il gas (unica risorsa naturale) al carbone per la produzione di energia elettrica. È vero che la modernizzazione lascia indie- tro circa il 40% dei 150 milioni di bengalesi, che vivono sotto il livello minimo di povertà, ma anche visitando le regioni rurali si nota- no notevoli miglioramenti in strade, scuole, assistenza sanitaria, meccanizzazione. Pa- dre Gregorio Schiavi, nel Paese dal 1965, vi- ve nel villaggio di Mohespur, in zona rurale e tribale (santal e oraon). Gli chiedo da do- ve vengono i molti cambiamenti che si no- tano nella vita della gente più umile. Dice: «Con le pompe per l’acqua e i fertilizzanti è cambiata radicalmente l’agricoltura. Quan- do sono venuto qui nel 1975 tutto dipende- va dalle piogge, adesso tirano su l’acqua e fanno tre raccolti l’anno. Coltivano riso, fru- mento, patate, ortaggi, canna da zucchero, banane. Poi sono arrivate le macchine, so- prattutto quei piccoli trattori giapponesi che si guidano con le mani. Inoltre è cambiata la scuola. Quando sono venuto io c’era solo la scuola elementare, oggi c’è la high school (scuola media). In paese non c’era niente, oggi, oltre alla chiesa, ci sono negozi, il cen- tro comunitario, la cooperativa, la Credit U- nion, il mulino del riso, varie associazioni, le strade sono spesso lastricate e anche quelle in terra sono praticabili, le case in muratura aumentano. Io abito ancora in una casa di terra, ma è bella e voglio vivere come la gen- te comune. Da sette anni abbiamo l’elettri- cità che va e viene, ma c’è. Il segreto dello sviluppo è stata l’educazione del popolo con le scuole, la stampa libera e la democrazia». Carlo Cozzi, volontario del Coe di Milano (Centro orientamento educativo), chiosa: «Siamo presenti in vari Paesi africani, ma in Africa se noi occidentali veniamo via tutto muore, in Bangladesh se ce ne andiamo tut- to va avanti lo stesso, magari in modo diver- so, ma crescono. Hanno voglia di cambiare, sono propositivi, lo stato c’è, la coscienza della gente cresce, soprattutto i giovani so- no impegnati e capaci di grandi sacrifici». Bangladesh, un Paese che marcia a piccoli passi verso la modernità senza rinnegare la tradizione. la Chiesa Il Paese in cifre Chittagong Rajshahi Khulna Dacca INDIA MYANMAR INDIA BANGLADESH Barisal Golfo del Bengala Cox's bazar Gange Pil pro capite 455 $ all'anno Aspettativa di vita M 65, F 66 Mortalità infantile 6% Superficie 147.570 kmq Analfabetismo 59% Popolazione sottonutrita 45% Popolazione 150 milioni di abitanti 34,6% Urbana 65,4% Rurale È uno dei Paesi più densamente popolati, con 975 abitanti per kmq (in Italia sono 198) Principali culti *soprattutto sunniti Musulmani* Induisti Cristiani Buddhisti 80% 13% 0,7% 0,7% CINA INDIA L’OPERA LE SUORE AIUTANO LE DONNE TRIBALI A MANTENERE LE FAMIGLIE I cattolici sono 300mila, lo 0,03% della popolazione. La Chiesa è organizzata in sei diocesi e ha fondato scuole molto rinomate per la qualità degli studi, ospedali, ostelli per studenti o lavoratori, opere sociali, lebbrosari, case per handicappati. Un esempio piccolo ma significativo del ruolo della Chiesa nella promozione umana viene dalle suore salesiane di Maria Immacolata che aiutano giovani donne e madri della tribù Garo a imparare un mestiere. Oggi oltre 100 famiglie possono mantenersi grazie ai guadagni ottenuti con il lavoro nel centro da esse fondato nel 1986 a nord-est di Dhaka, nella parrocchia di Bhalukapara. Suor Mary Rani Rozario, direttrice del centro, spiega all’agenzia AsiaNews che nella società matriarcale dei tribali lo sviluppo dei nuclei familiari e la loro capacità di auto- sostenersi si basa proprio sull’iniziativa della donna. Vent’anni fa Sujata Chicham non aveva una terra su cui costruire la casa per la sua famiglia. Dopo avere frequentato i corsi di taglio e cucito e avere cominciato a lavorare nel centro delle sorelle salesiane, oggi ha una casa e tre ettari di terra da coltivare. Come lei anche Uzzala Rema: quindici anni fa non era in grado di mantenere i cinque figli, oggi grazie ai guadagni del suo lavoro riesce a sostenere la famiglia. Le donne del centro di Bhalukapara guadagnano tra i mille e i 2mila taka (tra i 12 e i 24 euro) al mese, in base alle commesse ricevute, e questo permette alle famiglie un tenore di vita decoroso e ai figli di studiare e frequentare corsi professionali e di avviamento al lavoro. La presenza delle sorelle salesiane nella parrocchia ha portato anche alla nascita di vocazioni con diversi ragazzi che negli anni sono diventati sacerdoti, suore o catechisti. Anche se il 40% vive sotto la soglia minima di povertà, negli ultimi anni sono stati compiuti molti passi avanti E nella società si respira un diffuso ottimismo DA DACCA n Paese quasi totalmente i- slamico invita alla «missione fuori delle strutture». Nume- rose sono in Bangladesh le «vie nuo- ve» tentate e percorse dai missiona- ri. Un americano di Maryknoll, pa- dre Bob Cahill, realizza quel che gli Atti degli Apostoli dicono di Gesù: «Passò ovunque facendo del bene e guarendo i malati». In una delle tan- te città dove non c’è ancora alcuna istituzione cristiana, affitta un ap- partamento, gira in bicicletta visi- tando i malati, li aiuta come può an- che portandoli in un ospedale cat- tolico e prendendosi cura di loro. La gente gli chiede: perché fai questo? Lui risponde: «Sono un missionario di Gesù che è il mio profeta, che pas- sò curando i malati e facendo del be- ne e anch’io faccio come lui. Non ho nessuna associazione alle mie spal- le, ma parenti e amici in America che mi aiutano e posso aiutare chi sta male e non riceve cure». La presen- za di un americano «benefico» fa di- scutere, ne parlano la stampa e le ra- dio locali. Quando Bob pensa che abbiano capito chi sono i cristiani, lascia quella città e va in un’altra. Un missionario napoletano del Pi- me, fratel Lucio Beninati, dal 2005 vive a Dacca e s’interessa dei ragaz- zi di strada. Abita nella baraccopoli di Purbar Borthola, al secondo pia- U no di una casa di bambù: per arri- varci bisogna salire una ripida scala con gradini alti 40 centimetri (il dif- ficile è scendere!). Una stanzetta di due metri per tre, pavimento e pareti di bambù, nel corridoio un solo ru- binetto dell’acqua (da far bollire pri- ma di berla), i servizi al piano terra, due per una quarantina di poverac- ci. Nella sua cella ha un letto, la va- ligia con vestiti sotto il letto, un "an- golo della preghiera" con un tappe- tino, il crocifisso di missionario alla parete e un mappamondo di plasti- ca colorato; un tavolinetto basso e uno sgabello, uno scaffale con la "cu- cina" e un altro con la Bibbia e alcu- ni album illustrati e colorati per i molti bambini che vengono da lui. «Io sono il nonno di questi bambini. Qui il nonno non esiste, muoiono prima». Lucio lavora con un’associazione di volontariato locale (sessanta volon- tari), che ha fissato a Dacca otto pun- ti di incontro con i ragazzi di strada, tutte le sere alle otto. «È girata la vo- ce e questi ragazzi vengono per in- contrarci, parlare, raccontare i loro problemi. Se possiamo, li aiutiamo. Vogliamo costruire ponti fra questi giovani e la società che hanno ab- bandonato per vari motivi. Per ri- portarli a casa, per farli andare a scuola, per trovare loro un la- voro, un’occupazione, per cu- rarli. Oppure per ottenere at- tenzione dallo Stato per la loro situazione, anche un lavoro, un ricovero, cure mediche. Ci sono orga- nizzazioni della Chie- sa cattolica o di altri enti, che accolgono questi ragazzi: se li porti tu è un’altra co- sa che se si presentano da loro stessi e poi da so- li non ci andrebbero mai». Da quattro anni Lucio Beni- nati conduce una vita molto sa- crificata per un giovane italiano, convinto che «per annun- ziare Cristo bisogna vi- vere come vive la gente del posto, dando testi- monianza della carità con i più poveri e miseri». Piero Gheddo Lucio Beninati, missionario a Dacca, incontra i giovani emarginati. «Costruiamo ponti per aiutarli a tornare nella società che hanno abbandonato» Bangladesh A piccoli passi verso la modernità L’educazione, chiave dello sviluppo «Così testimonio Cristo tra i ragazzi di strada» A Dacca, capitale del Bangladesh, la popolazione è passata dal milione di abitanti del 1980 agli attuali 13 milioni

Transcript of il fatto Bangladesh - pcn.net · di Purbar Borthola, al secondo pia-U no di una casa di bambù: per...

Page 1: il fatto Bangladesh - pcn.net · di Purbar Borthola, al secondo pia-U no di una casa di bambù: per arri-varci bisogna salire una ripida scala con gradini alti 40 centimetri (il dif-ficile

REPORTAGE

MERCOLEDÌ25 FEBBRAIO 2009 3

il fattoIl Paese fa i conti con unapovertà ancora moltodiffusa e deve fare i conticon ricorrenti inondazionie terremoti. Ma staconoscendo una stagionedi rilancio economicoe civile, con un nuovoprotagonismo di giovani e donne. I cattolici, unaminoranza che testimoniail Vangelo con opere incampo scolastico, sanitarioe assistenziale

DA DACCA PIERO GHEDDO

enti giorni in Bangladesh, venendodall’Occidente in crisi, aprono il cuo-re alla speranza. Uno dei Paesi più po-

veri del mondo, periodicamente colpito datifoni, inondazioni, terremoti e privo di ri-sorse naturali, in un territorio che è meno dimetà Italia, ospita 150 milioni di abitanti (l’ul-timo censimento è del 1991, poi solo proie-zioni di dati). Eppure l’atmosfera che si re-spira non è di pessimismo, ma di ottimismo,di gioia di vivere. Da una ventina d’anni ilBangladesh sta beneficiando di due risorseimpreviste: i bengalesi in Occidente e neiPaesi arabi sono circa 10 milioni (in Italia70mila legali e 30mila illegali), le loro rimes-se in patria sono di circa 14 miliardi di dol-lari l’anno, più degli aiuti che vengono dal-l’estero. Inoltre la globalizzazione ha porta-to industrie tessili e dell’abbigliamento chestanno arricchendo il Paese e causando unavera rivoluzione sociale. Anche Cina, Coreadel Sud e Taiwan vengono qui a investire neltessile. Per la prima volta, migliaia di donnemusulmane lavorano fuori casa, guadagna-no e prendono coscienza dei loro diritti.Cambiando le donne, cambia tutta la so-cietà.Il tipo umano bengalese – come conferma-

no i missionari del Pime presenti in Benga-la dal 1855 – è aperto e senza complessi, cor-diale, lavoratore, tollerante, non ama la vio-lenza e si adatta ad ogni situazione e lavoro.Ho chiesto a padre Luigi Scuccato, che vivequi dal 1948, il motivo di questo carattere. Ri-sposta lapidaria: «La povertà educa, la ric-chezza diseduca». A padre Fabrizio Calega-ri, giovane milanese direttore dell’ostello dio-cesano di Dinajpur con circa 150 giovanot-ti, ho chiesto come fa a tenere tanti giovani.Risponde: «Se fossero italiani non ce la farei,noi siamo troppo complicati. Gli studentibengalesi studiano e obbediscono senza cheio glielo dica. Sanno bene che, se bocciati,torneranno in capanne di fango e paglia, afare i manovali nei campi».Il 29 dicembre 2008 le elezioni politiche na-zionali hanno portato una svolta politica ra-dicale. Il governo militare provvisorio avevapreparato le elezioni con un comitato civileche ha cancellato dalle liste elettorali circa 10milioni di votanti non esistenti (morti, gen-te che ha votato due volte in seggi diversi), so-stituendoli in parte con votanti esclusi, do-tando tutti i cittadini della carta d’identità eintroducendo regole severe per la campagnapubblicitaria, che hanno calmato gli animi.Proibiti i manifesti più grandi del formato A4,proibite le manifestazioni che bloccano lestrade e le auto dei partiti per città e villaggiassordando la gente con discorsi a pieno vo-lume. Per la prima volta le elezioni si sonosvolte senza gravi incidenti e senza morti ne-gli scontri tra opposte fazioni. Hanno votato81 milioni di elettori, il partito moderato del-l’Awami League ha conquistato 260 seggi alParlamento nazionale e l’alleato Partito po-polare 26. Ha vinto Sheikh Hasina che da so-la ha la maggioranza parlamentare, mentrel’altra candidata, Khaleda Zia, è precipitata a32 seggi e i giornali scrivono che è a capo del-la più piccola opposizione che ci sia mai sta-ta in Bangladesh. La Jamat Islam, il partito i-slamico coalizzato con la Khaleda, è sceso da17 a 2 seggi. Il sistema elettorale è modellatosu quello inglese che dà tutto a chi ha un vo-to in più in un distretto elettorale e i voti deiperdenti sono inutili. Ad esempio la Jamat, agiudicare dai seggi, avrebbe lo 0,90 dei voti,invece raccoglie almeno il 10% dei votanti.Comunque l’estremismo islamico e i vari al-tri estremismi politici (maoisti, ecc.), hanno

Vsubìto una clamorosa sconfitta. Il governoattuale esprime meglio l’animo bengaleseche non approva il terrorismo, la guerra san-ta e le forme di intolleranza presenti in mol-ti Paesi islamici.Il nuovo governo ha già preso provvedimenticoraggiosi per risolvere problemi enormi. Adesempio, tutta l’industria si concentra at-torno alla capitale, nel 1980 con un milionedi abitanti, oggi 12-13 milioni! Una concen-trazione quasi inevitabile perché Dacca è l’u-nica città unita all’unico porto di Chittagong,altre regioni e città sono isolate dai grandifiumi che dall’Himalaya sboccano nel Golfo

del Bengala e dalla mancanza di ponti e distrade adeguate. Il governo militare ha resoDacca più vivibile di come l’avevo vista nel-l’ultima visita del 2001, preferendo i risciò u-mani alle auto-taxi (e dando lavoro a migliaiadi giovani), espellendo dalla città i taxi-mo-torette con tre ruote che esalavano un fumonerastro, obbligando le nuove industrie a co-struire impianti di purificazione degli scari-chi, proibendo l’uso dei sacchetti di plasticae imponendo i sacchetti di carta, sostituen-do il gas (unica risorsa naturale) al carboneper la produzione di energia elettrica. È vero che la modernizzazione lascia indie-

tro circa il 40% dei 150 milioni di bengalesi,che vivono sotto il livello minimo di povertà,ma anche visitando le regioni rurali si nota-no notevoli miglioramenti in strade, scuole,assistenza sanitaria, meccanizzazione. Pa-dre Gregorio Schiavi, nel Paese dal 1965, vi-ve nel villaggio di Mohespur, in zona ruralee tribale (santal e oraon). Gli chiedo da do-ve vengono i molti cambiamenti che si no-tano nella vita della gente più umile. Dice:«Con le pompe per l’acqua e i fertilizzanti ècambiata radicalmente l’agricoltura. Quan-do sono venuto qui nel 1975 tutto dipende-va dalle piogge, adesso tirano su l’acqua efanno tre raccolti l’anno. Coltivano riso, fru-mento, patate, ortaggi, canna da zucchero,banane. Poi sono arrivate le macchine, so-prattutto quei piccoli trattori giapponesi chesi guidano con le mani. Inoltre è cambiata lascuola. Quando sono venuto io c’era solo lascuola elementare, oggi c’è la high school(scuola media). In paese non c’era niente,oggi, oltre alla chiesa, ci sono negozi, il cen-

tro comunitario, la cooperativa, la Credit U-nion, il mulino del riso, varie associazioni, lestrade sono spesso lastricate e anche quellein terra sono praticabili, le case in muraturaaumentano. Io abito ancora in una casa diterra, ma è bella e voglio vivere come la gen-te comune. Da sette anni abbiamo l’elettri-cità che va e viene, ma c’è. Il segreto dellosviluppo è stata l’educazione del popolo conle scuole, la stampa libera e la democrazia».Carlo Cozzi, volontario del Coe di Milano(Centro orientamento educativo), chiosa:«Siamo presenti in vari Paesi africani, ma inAfrica se noi occidentali veniamo via tuttomuore, in Bangladesh se ce ne andiamo tut-to va avanti lo stesso, magari in modo diver-so, ma crescono. Hanno voglia di cambiare,sono propositivi, lo stato c’è, la coscienzadella gente cresce, soprattutto i giovani so-no impegnati e capaci di grandi sacrifici».Bangladesh, un Paese che marcia a piccolipassi verso la modernità senza rinnegare latradizione.

la Chiesa

Il Paese in cifre

Chittagong

Rajshahi

Khulna

Dacca

I N D I A

M Y A N M A R

I N D I A

B A N G L A D E S H

Barisal

Golfodel Bengala

Cox's bazar

Gange

Pil pro capite455 $ all'anno

Aspettativa di vitaM 65, F 66

Mortalità infantile6%

Superficie147.570 kmq

Analfabetismo59%

Popolazione sottonutrita45%

Popolazione150 milioni di abitanti

34,6% Urbana

65,4% Rurale

È uno dei Paesi più densamente popolati,con 975 abitanti per kmq(in Italia sono 198)

Principali culti

*soprattuttosunniti

Musulmani*

Induisti

Cristiani

Buddhisti

80%

13%

0,7%

0,7%

CINA

INDIA

L’OPERA

LE SUORE AIUTANO LE DONNE TRIBALI A MANTENERE LE FAMIGLIEI cattolici sono 300mila, lo 0,03% della popolazione. La Chiesa è organizzata in seidiocesi e ha fondato scuole molto rinomate per la qualità degli studi, ospedali, ostelliper studenti o lavoratori, opere sociali, lebbrosari, case per handicappati. Un esempiopiccolo ma significativo del ruolo della Chiesa nella promozione umana viene dallesuore salesiane di Maria Immacolata che aiutano giovani donne e madri della tribùGaro a imparare un mestiere. Oggi oltre 100 famiglie possono mantenersi grazie aiguadagni ottenuti con il lavoro nel centro da esse fondato nel 1986 a nord-est diDhaka, nella parrocchia di Bhalukapara. Suor Mary Rani Rozario, direttrice del centro, spiega all’agenzia AsiaNews che nellasocietà matriarcale dei tribali lo sviluppo dei nuclei familiari e la loro capacità di auto-sostenersi si basa proprio sull’iniziativa della donna. Vent’anni fa Sujata Chicham non aveva una terra su cui costruire la casa per la suafamiglia. Dopo avere frequentato i corsi di taglio e cucito e avere cominciato a lavorarenel centro delle sorelle salesiane, oggi ha una casa e tre ettari di terra da coltivare.Come lei anche Uzzala Rema: quindici anni fa non era in grado di mantenere i cinquefigli, oggi grazie ai guadagni del suo lavoro riesce a sostenere la famiglia. Le donne delcentro di Bhalukapara guadagnano tra i mille e i 2mila taka (tra i 12 e i 24 euro) al mese,in base alle commesse ricevute, e questo permette alle famiglie un tenore di vitadecoroso e ai figli di studiare e frequentare corsi professionali e di avviamento al lavoro.La presenza delle sorelle salesiane nella parrocchia ha portato anche alla nascita divocazioni con diversi ragazzi che negli anni sono diventati sacerdoti, suore o catechisti.

Anche se il 40% vive sottola soglia minima di povertà,negli ultimi anni sono staticompiuti molti passi avantiE nella società si respira un diffuso ottimismo

DA DACCA

n Paese quasi totalmente i-slamico invita alla «missionefuori delle strutture». Nume-

rose sono in Bangladesh le «vie nuo-ve» tentate e percorse dai missiona-ri. Un americano di Maryknoll, pa-dre Bob Cahill, realizza quel che gliAtti degli Apostoli dicono di Gesù:«Passò ovunque facendo del bene eguarendo i malati». In una delle tan-te città dove non c’è ancora alcunaistituzione cristiana, affitta un ap-partamento, gira in bicicletta visi-tando i malati, li aiuta come può an-che portandoli in un ospedale cat-tolico e prendendosi cura di loro. Lagente gli chiede: perché fai questo?Lui risponde: «Sono un missionariodi Gesù che è il mio profeta, che pas-sò curando i malati e facendo del be-ne e anch’io faccio come lui. Non honessuna associazione alle mie spal-le, ma parenti e amici in America chemi aiutano e posso aiutare chi stamale e non riceve cure». La presen-za di un americano «benefico» fa di-scutere, ne parlano la stampa e le ra-dio locali. Quando Bob pensa cheabbiano capito chi sono i cristiani,lascia quella città e va in un’altra.Un missionario napoletano del Pi-me, fratel Lucio Beninati, dal 2005vive a Dacca e s’interessa dei ragaz-zi di strada. Abita nella baraccopolidi Purbar Borthola, al secondo pia-

Uno di una casa di bambù: per arri-varci bisogna salire una ripida scalacon gradini alti 40 centimetri (il dif-ficile è scendere!). Una stanzetta didue metri per tre, pavimento e paretidi bambù, nel corridoio un solo ru-binetto dell’acqua (da far bollire pri-ma di berla), i servizi al piano terra,due per una quarantina di poverac-ci. Nella sua cella ha un letto, la va-

ligia con vestiti sotto il letto, un "an-golo della preghiera" con un tappe-tino, il crocifisso di missionario allaparete e un mappamondo di plasti-ca colorato; un tavolinetto basso euno sgabello, uno scaffale con la "cu-cina" e un altro con la Bibbia e alcu-ni album illustrati e colorati per imolti bambini che vengono da lui.«Io sono il nonno di questi bambini.Qui il nonno non esiste, muoionoprima». Lucio lavora con un’associazione divolontariato locale (sessanta volon-tari), che ha fissato a Dacca otto pun-

ti di incontro con i ragazzi di strada,tutte le sere alle otto. «È girata la vo-ce e questi ragazzi vengono per in-contrarci, parlare, raccontare i loroproblemi. Se possiamo, li aiutiamo.Vogliamo costruire ponti fra questigiovani e la società che hanno ab-bandonato per vari motivi. Per ri-portarli a casa, per farli andare ascuola, per trovare loro un la-voro, un’occupazione, per cu-rarli. Oppure per ottenere at-tenzione dallo Stato per laloro situazione, anche unlavoro, un ricovero, curemediche. Ci sono orga-nizzazioni della Chie-sa cattolica o di altrienti, che accolgonoquesti ragazzi: se liporti tu è un’altra co-sa che se si presentanoda loro stessi e poi da so-li non ci andrebbero mai».Da quattro anni Lucio Beni-nati conduce una vita molto sa-crificata per un giovane italiano,convinto che «per annun-ziare Cristo bisogna vi-vere come vive lagente del posto,dando testi-monianzadella caritàcon i più poverie miseri».

Piero Gheddo

Lucio Beninati, missionarioa Dacca, incontra i giovaniemarginati. «Costruiamoponti per aiutarli a tornarenella società chehanno abbandonato»

BangladeshA piccoli passi verso la modernitàL’educazione, chiave dello sviluppo

«Così testimonio Cristo tra i ragazzi di strada»

A Dacca, capitale del Bangladesh, la

popolazione è passatadal milione di abitanti

del 1980 agli attuali13 milioni