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Il fascismo in Italia L’Italia aveva perso oltre 600.000 soldati al fronte e conosceva una forte crisi economica: un altissimo debito pubblico dovuto alle spese sostenute dallo Stato durante la guerra e sostenuto dai prestiti nazionali; la rapida inflazione dei prezzi e la svalutazione della moneta; il problema della riconversione industriale e l’aumento della disoccupazione; la crisi dell’agricoltura visto l’abbandono dei campi durante il conflitto.

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Il fascismo in Italia

L’Italia aveva perso oltre 600.000 soldati al fronte e conosceva una forte crisi economica: un altissimo debito pubblico dovuto alle spese sostenute dallo Stato durante la guerra e sostenuto dai prestiti nazionali; la rapida inflazione dei prezzi e la svalutazione della moneta; il problema della riconversione industriale e l’aumento della disoccupazione; la crisi dell’agricoltura visto l’abbandono dei campi durante il conflitto.

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Inoltre i nazionalisti parlavano della vittoria mutilata poiché l’Italia non aveva ricevuto dalla Conferenza di Pace il possesso della Dalmazia, promessa inserita nel Trattato di Londra. Emersero così i punti deboli dell’Italia nel primo dopoguerra: un sistema politico liberale fragile, lo sviluppo industriale limitato solo all’Italia nord-occidentale, la disparità tra Nord e Sud del paese, la miseria dei ceti popolari.

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Tra il 1919 e il 1920, il biennio rosso, le organizzazioni sindacali e i movimento operai diedero vita a una lunga serie di scioperi nelle grandi città del Nord, come Torino, Milano e Genova. Nelle piazze ci fuori diversi moti con disoccupati, ex-ufficiali dell’esercito, la piccola e media borghesia in povertà. Anche i contadini della Valle Padana occuparono terre per ottenere aumenti del salario e riduzione delle ore lavorative. Nel 1920 iniziò anche l’occupazione delle fabbriche.

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Gli industriali e i proprietari terrieri volevano l’intervento dell’esercito per sgomberare le zone occupate. Il governo, presieduto da Giolitti, non mandò l’esercito per non provocare una reazione rivoltosa e la rivoluzione. Gli operai alla fine restituirono le fabbriche e ci furono degli aumenti salariali. Ma si diffuse un forte clima di paura e di allarme nelle classi dirigenti e nel ceto borghese: essi temevano la rivoluzione bolscevica come in Russia.

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Alle elezioni politiche del 1919 cambiò lo scenario politico. Nacque il Partito Popolare, che riuniva i cattolici, guidato da don Luigi Sturzo che voleva difendere la famiglia, la proprietà privata e la libera iniziativa economica; una forza moderata e di centro. All’interno del Partito Socialista invece aumentò il divario tra riformisti e massimalisti (rivoluzionari), i quali diedero vita nel 1921 al Partito Comunista con Antonio Gramsci.

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Nel 1919 nacque il Movimento Fascista per iniziativa di Benito Mussolini, poi diventato Partito Nazionale Fascista; inizialmente il movimento proponeva riforme come il voto alle donne, la riforma agraria e la requisizione dei beni ottenuti in modo illecito durante la guerra. Poi però Mussolini la trasformò in una forza di estrema destra per la difesa e per l’ordine, usando la forza al fianco di industriali e proprietari terrieri; ebbe così l’appoggio dell’alta e della media borghesia italiana che temeva le rivoluzioni.

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Le elezioni politiche del 1919- 1921 non diedero a nessun gruppo politico una maggioranza solida e si susseguirono governi liberali molto deboli. Mussolini riuscì a coagulare le paure della borghesia e i suoi interessi economici, il risentimento dei reduci tornati dal fronte, l’appoggio dei nazionalisti delusi per la vittoria mutilata, l’appoggio degli industriali e degli agrari che temevano le rivoluzioni socialiste. I fascisti nel 1919 non entrarono in parlamento mentre nel 1921 ottennero pochi eletti.

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I fascisti intensificarono l’uso della violenza dandosi un’organizzazione paramilitare: nacquero le squadracce che svolgevano spedizioni contro i socialisti e i popolari cattolici, devastando le Camere del Lavoro, incendiando le sedi dei giornali avversari, uccidendo oppositori politici e sacerdoti antifascisti. I governi liberali erano incapaci di fronteggiare la situazione poiché l’avevano sottovalutata. I fascisti imponevano la forza, l’ordine, la capacità organizzativa e il culto della personalità di Mussolini.

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Nel 1922 il governo, guidato dal liberale Luigi Facta, era incapace di fermare le violenze. Mussolini decise di organizzare la marcia su Roma (28 ottobre 1922), una manifestazione delle squadre fasciste armate nella capitale. Il governo inizialmente aveva pensato di fermarli ma il re Vittorio Emanuele III si rifiutò di firmare lo stato d’assedio. Facta si dimise e il sovrano convocò Mussolini per affidargli l’incarico di formare il nuovo governo di coalizione con liberali e nazionalisti.

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Mussolini, da capo del governo, istituì il Gran Consiglio del Fascismo, organo di indirizzo politico del Pnf, e la Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale, in cui confluirono le sue squadracce fasciste. Nel 1924 furono indette nuove elezioni in cui i fascisti presentarono una lista unica, un listone che comprendeva nazionalisti e liberali. Il clima elettorale fu segnato da violenze e intimidazioni fasciste; il listone ottenne la maggioranza assoluta dei voti con il 65% dei voti.

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Il deputato socialista Giacomo Matteotti, in un famoso discorso tenuto al parlamento, denunciò le illegalità delle elezioni; fu rapito da una squadraccia fascista e assassinato nell’agosto 1925. I deputati dell’opposizione per protesta abbandonarono il parlamento, dichiarando che non sarebbero rientrati finché non fosse stata ristabilita la legalità: era la secessione dell’Aventino. Il delitto Matteotti suscitò nell’opinione pubblica reazioni di condanna e di forte sdegno.

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Dopo una fase di crisi, Mussolini con un discorso alla Camera il 3 gennaio 1925 assunse la responsabilità politica, morale e storica dell’assassinio di Matteotti e le violenze commesse dai fascisti. Da quel momento furono introdotti provvedimenti che trasformarono il paese in un regime totalitario, una dittatura. Nel 1925-1926 il Pnf fece varare le leggi fascistissime che abolirono tutte le leggi democratiche: sciolti partiti, sindacati e abolito il diritto di sciopero.

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Al governo furono attribuiti il potere esecutivo e legislativo, venivano abolite le libertà fondamentali e istituita la censura. Fu creato il Tribunale Speciale per la difesa dello Stato per giudicare e condannare gli avversari del regime, arrestato dall’OVRA, la polizia politica che doveva riconoscere e denunciare gli oppositori. Fu reintrodotta la pena di morte per i reati politici e introdotto il confino o il carcere. Tutti gli impiegati pubblici dovevano giurare fedeltà al regime.

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Furono soppresse le elezioni e il parlamento privato di ogni potere e il governo nominava i dirigenti dello stato, come i podestà come governavano le città. Nel 1929 un plebiscito, che consisteva nell’approvazione di un’unica lista, preparata dal Gran Consiglio, composta solo da fascisti. Le votazioni non furono svolte con la segretezza del voto e questo permise al Pnf di essere confermato alla guida dai una dittatura totalitaria.

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La prima fase del fascismo fu caratterizzata da una politica economica liberista: lo Stato incoraggiava gli investimenti privati per migliorare l’economia e favorire le esportazioni. Dopo il 1925 la strategia diventò dirigista: lo Stato controllava e organizzava l’economia, favorendo la produzione delle grandi imprese italiane. Nello stesso anno fu avviata la battaglia del grano per raggiungere l’autosufficienza nella produzione agraria; tale politica aiutò soprattutto gli agrari.

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Per combattere la disoccupazione, furono avviati programmi di lavori pubblici e fu sostenuta l’opera di bonifica che interessò l’Agro Pontino: 80.000 ettari di paludi bonificate furono assegnate a circa 3.000 famiglie contadine, che fondarono anche 5 nuove città. Nel 1933, per salvare le aziende più dissestate, fu creato l’Istituto per la Ricostruzione Industriale (Iri) che prevedeva l’intervento pubblico in campo economico mediante l’assegnazione di fondi monetari ad aziende e banche.

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I sindacati vennero sostituiti dalle corporazioni, associazioni professionali e di mestieri controllati dal regime. Esse rappresentavano i vari settori e riuniva al suo interno sia i lavoratori che gli imprenditori; nel 1939 nacque la Camera dei Fasci e delle Corporazioni. Dal 1935 iniziò l’autarchia, in risposta all’esito della guerra in Etiopia: l’Italia avrebbe dovuto diventare autosufficiente, riducendo le importazioni dall’estero; il progetto fu un fallimento e danneggiò l’economia.

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L’11 febbraio 1929 Mussolini firmò un accordo con la Chiesa cattolica, ponendo fine alla questione romana. Furono stipulati i Patti Lateranensi, composto da due sezioni: il Trattato che riconosceva la sovranità del papa sullo Stato del Vaticano, assegnando un indennizzo in denaro; in cambio la Santa Sede riconosceva la sovranità italiana su Roma. Il Concordato regolava i rapporti religiosi-civili: ad esempio l’istituzione della religione di Stato. Mussolini firmò questi accordi per il consenso dei cattolici italiani.

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La dittatura fascista si insinuò nella vita quotidiana, controllando anche scelte di carattere privato: le famiglie, l’educazione dei giovani, lo sport, il tempo libero. Chi non era iscritto al Pnf non poteva ottenere un lavoro nell’amministrazione statale. Furono promossi incentivi come premi in denaro alla nascita di ogni figlio e una tasse per il celibato; nacque l’Opera Nazionale del Dopolavoro che organizzava attività inerenti al tempo libero per le famiglie indigenti.

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L’educazione era al centro dell’opera fascista: si impose l’uso di un testo scolastico statale unico e lo studio di una materia nuova chiamata cultura fascista. Nel 1923 il ministro dell’istruzione Giovanni Gentile attuerò una riforma della scuola che poneva tutti gli istituti sotto il controllo dello regime. Fu istituita l’Opera Nazionale Fascista, un’organizzazione paramilitare che si occupava del tempo libero dei fanciulli e dei giovani, dai 6 ai 18 anni: figli della lupa, balilla, i Guf universitari.

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Il fascismo riuscì a controllare l’opinione pubblica grazie ai mezzi di comunicazione di massa: la radio, il cinema, i giornali e i manifesti. Il regime tramite la rigida censura costringeva i mezzi di comunicazione a pubblicare solo notizie in linea con la posizione del fascismo; inviava veline, le circolati che indicavano le notizie da scrivere e da non scrivere. Per la cinematografia, nacque l’istituto film Luce, che produceva i cinegiornali che raccontavano le notizie esaltanti del governo di Mussolini.

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Dopo le leggi fascistissime 1925-1926 i più importanti esponenti politici dei partiti democratici e antifascisti furono costretti ad andare in esilio (don Luigi Sturzo, Pietro Nenni, Sandro Pertini, Umberto Terracini), oppure vennero incarcerati o condannati a vivere lontani dalla propria casa (Alcide De Gasperi, Antonio Gramsci), sorvegliati costantemente dalla polizia. 42 furono condannati a morte o assassinati (Giovanni Amendola, i fratelli Rosselli, Piero Gobetti, don Giovanni Minzoni).

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Il fascismo era a favore dell’espansione coloniale, vista come possibilità per occupare la manodopera in sovrabbondanza nel paese e realizzare le mire imperialistiche di Mussolini. Fu individuata l’Etiopia come territorio da conquistare; nell’ottobre 1935 iniziò l’invasione e la Società delle Nazione votò sanzioni contro l’Italia paese aggressore. Nel 1936 la conquista fu completata e nacque l’Impero dell’Africa Orientale Italiana, ma la colonizzazione si rivelò più costosa rispetto ai guadagni viste le poche ricchezze.

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L’Italia così di isolò, uscì dalla Società delle Nazioni, e strinse legali di amicizia con le Germania, guidata dal 1933 da Adolf Hitler. Nel 1936 nacque l’Asse Roma-Berlino, un’alleanza politica tra le due dittature che nel 1939 sarebbe stata denominata Patto d’Acciaio. Nel 1940 nell’alleanza sarebbe entrato anche il Giappone. L’alleanza con i nazisti portò nel 1938 l’approvazione delle leggi razziali in Italia contro gli ebrei; fu pubblicato il Manifesto per la difesa della razza e segregati gli ebrei italiani.

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La Spagna, diventata repubblica nel 1931, vide da subito uno scontro tra i partiti democratici e di sinistra e il movimento fascista spagnolo, la Falange. Alle elezioni del 1936 vinse il Fronte popolare, una coalizione che unica comunisti, socialisti, anarchici e repubblicani. I falangisti così organizzarono un colpo di stato guidato dal generale Francisco Franco, appoggiato dall’esercito, dalla Chiesa e dai grandi proprietari territori. Iniziò così una guerra civile, dal 1936 al 1939, con massacri, devastazioni, stragi e bombardamenti nelle città spagnole.

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L’Italia fascista e la Germania nazista inviarono uomini e armi in aiuto a Franco mentre dalle democrazie europee partirono volontari delle brigate internazionali per sostenere il Fronte popolare. Nel 1939 i falangisti entrò a Madrid e iniziò la dittatura di Franco, che durò fino alla morte nel 1975. La guerra di Spagna fu una sorta di prova generale della Seconda Guerra Mondiale.