Fascismo sintesi

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9. L'Italia fascista. 19.1. Il totalitarismo imperfetto. Organizzazione statale e organizzazione partitica, Dilatazione eburocratizzazione del Pnf, Le organizzazioni collaterali, Il progettototalitario, Il peso della Chiesa, I Patti lateranensi, Il concordato, Il successopolitico del fascismo e il plebiscito del '29, I vantaggi per la Chiesa, Il ruolodella monarchia.Nella seconda metà degli anni '20, quando in Germania il nazismo eraancora una forza marginale, in Italia lo Stato totalitario era già una realtà consolidata nelle sue strutture giuridiche (il partito unico, la milizia, isindacati di regime, ecc.) e ben riconoscibile nelle sue manifestazioniesteriori: le adunate di cittadini in uniforme, le campagne propagandisticheorchestrate dall'autorità, l'amplificazione dell'immagine e della parola delcapo, oggetto di un vero e proprio culto.Caratteristica essenziale del regime era la sovrapposizione di due strutturee di due gerarchie parallele: quella dello Stato, che aveva con servatol'impalcatura esterna del vecchio Stato monarchico, e quella del partito conle sue numerose ramificazioni. Il punto di congiunzione fra le due struttureera rappresentato dal Gran consiglio del fascismo, organo di partitoinvestito anche di importantissime funzioni costituzionali.Al di sopra di tutti si esercitava incontrastato il potere di Mussolini, cheriuniva in sé la qualifica di capo del governo e quella di duce del fascismo.Contrariamente a quanto sarebbe accaduto in altri regimi totalitari, nelfascismo italiano l'apparato dello Stato ebbe fin dall'inizio, per esplicitascelta di Mussolini, una netta preponderanza sulla macchina del partito. Pertrasmettere la sua volontà dal centro alla periferia, Mussolini si servì deltradizionale strumento dei prefetti assai più che degli organi locali del Pnf.A controllare l'ordine pubblico e a reprimere il dissenso provvedeva lapolizia di Stato, mentre la Milizia era confinata a una funzione poco più chedecorativa di corpo "ausiliario", senza nessun paragone con quello chesarebbe stato il ruolo svolto in Germania prima dalle SA e poi dalle SS.Privato di ogni autonomia politica, il Partito fascista venne peròcontinuamente dilatando le sue dimensioni e la sua presenza nella societàcivile. Dalla fine degli anni '20 l'iscrizione al partito cessò di essere il segnodell'appartenenza a un élite e divenne una pratica di massa (nel '39 iscrittisuperavano i due milioni e mezzo), quasi una formalità burocratica,necessaria fra l'altro per ottenere un posto

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9. L'Italia fascista.

19.1. Il totalitarismo imperfetto.

Organizzazione statale e organizzazione partitica, Dilatazione eburocratizzazione del Pnf, Le organizzazioni collaterali, Il progettototalitario, Il peso della Chiesa, I Patti lateranensi, Il concordato, Il successopolitico del fascismo e il plebiscito del '29, I vantaggi per la Chiesa, Il ruolodella monarchia.Nella seconda met degli anni '20, quando in Germania il nazismo eraancora una forza marginale, in Italia lo Stato totalitario era gi una realt

consolidata nelle sue strutture giuridiche (il partito unico, la milizia, isindacati di regime, ecc.) e ben riconoscibile nelle sue manifestazioniesteriori: le adunate di cittadini in uniforme, le campagne propagandisticheorchestrate dall'autorit, l'amplificazione dell'immagine e della parola delcapo, oggetto di un vero e proprio culto.Caratteristica essenziale del regime era la sovrapposizione di duestrutturee di due gerarchie parallele: quella dello Stato, che aveva con servatol'impalcatura esterna del vecchio Stato monarchico, e quella del partito conle sue numerose ramificazioni. Il punto di congiunzione fra le due struttureera rappresentato dal Gran consiglio del fascismo, organo di partitoinvestito anche diimportantissime funzioni costituzionali.Al di sopra di tutti si esercitava incontrastato il potere di Mussolini, cheriuniva in s la qualifica di capo del governo e quella di duce del fascismo.Contrariamente a quanto sarebbe accaduto in altri regimi totalitari, nelfascismo italiano l'apparato dello Stato ebbe fin dall'inizio, per esplicitascelta di Mussolini, una netta preponderanza sulla macchina del partito. Pertrasmettere la sua volont dal centro alla periferia, Mussolini si serv deltradizionale strumento dei prefetti assai pi che degli organi locali del Pnf.A controllare l'ordine pubblico e a reprimere il dissenso provvedeva lapolizia di Stato, mentre la Milizia era confinata a una funzione poco pi chedecorativa di corpo "ausiliario", senza nessun paragone con quello chesarebbe stato il ruolo svolto in Germania prima dalle SA epoi dalle SS.Privato di ogni autonomia politica, il Partito fascista venne percontinuamente dilatando le sue dimensioni e la sua presenza nella societcivile. Dalla fine degli anni '20 l'iscrizione al partito cess di essere il segnodell'appartenenza a un lite e divenne una pratica di massa (nel '39 iscrittisuperavano i due milioni e mezzo), quasi una formalit burocratica,necessaria fra l'altro per ottenere un posto nell'amministrazione statale. Unafunzione importante nella fascistizzazione del paese fu svolta da alcuneorganizzazioni "collaterali" al partito: come l'Opera nazionale dopolavoro,fondata nel '25, che si occupava del tempo libero di milioni di lavoratoriorganizzando gare sportive, gite domenicali e altre attivit ricreative primagestite liberamente dalle organizzazioni di classe o dalla Chiesa; o come ilComitato olimpico nazionale (Coni), nato nel'27 allo scopo diincoraggiare,ma anche di controllare, le attivit sportive fin ora affidate all'iniziativa diorganismi privati. Pi importanti di tutte erano le organizzazioni giovanilidel partito: i Fasci giovanili, i Gruppi universitarifascisti (Guf) e soprattuttol'Opera nazionale Balilla (Onb). L'Onb, nata nel '26, inquadrava tutti igiovani fra i dodici e i diciotto anni (divisi, secondo l'et, in "balilla" e"avanguardisti") e forniva loro, oltre a un supplemento di educazione fisica e a qualche rudimento di istruzione "premilitare", anche un minimo diindottrinamento ideologico.Anche per i bambini sotto i dodici anni fu creata un'organizzazione, dettadei Figli della lupa.Il tentativo messo in atto dal fascismo attraverso queste e altreorganizzazioni di massa (dai sindacati alla Milizia) era quello di "occupare",insieme allo Stato, anche la societ, diriplasmarla dalle fondamenta facendoleva soprattutto sui giovani. In questo senso il regime fascista fu certamentetotalitario, almeno nelle intenzioni. Ma alle intenzioni non semprecorrisposero i risultati, visti i notevoli ostacoli che il fascismo dovevasuperare nel suo tentativo di permeare di s la societ. L'ostacolo maggioreera senza dubbio rappresentato dalla Chiesa. In un paese in cui oltre il 99%della popolazione si dichiarava di fede cattolica, in cui la pratica religiosaera diffusa in modo massiccio, in cui le parrocchie rappresentavano spessol'unico centro di aggregazione sociale e culturale, non era facile governarecontro la Chiesa o senza trovare con essa un qualchemodus vivendi.Consapevole di ci, Mussolini non solo aveva cercato un'intesa politicacol Vaticano - e l'aveva trovata, come si visto, ai danni del Partitopopolare [16.9] - ma aveva mirato pi lontano, profittando delladisponibilit manifestata dalle gerarchie ecclesiastiche nei confronti delregime per avviare a definitiva composizione lo storico contrasto fra Stato eChiesa che aveva segnato l'intera vita del Regno d'Italia. Le trattative fragoverno e Santa Sede cominciarono nell'estate del '26, siprotrassero per dueanni e mezzo nel pi assoluto segreto e si conclusero l'11 febbraio 1929 conla stipula dei patti che presero il nome dai palazzi del Laterano, cio dalluogo in cui Mussolini e il segretario di Stato vaticano cardinal Gasparri siincontrarono per la firma.I Patti lateranensi si articolavano in tre parti distinte: un trattatointernazionale, con cui la Santa Sede poneva ufficialmente fine alla"questione romana" riconoscendo lo Stato italiano e la sua capitale evedendosi riconosciuta la sovranit sullo "Stato della Citt del Vaticano"(uno Stato poco pi che simbolico, comprendente la basilica di San Pietro ei palazzi circostanti); una convenzione finanziaria, con cui l'Italia siimpegnava a pagare al papa una forte indennit a titolo di risarcimento perla perdita dello Stato pontificio; infine un concordato, che regolava irapporti interni fra la Chiesa e il Regno d'Italia, intaccando sensibilmente ilcarattere laico dello Stato. Il concordato stabiliva fra l'altro che i sacerdotifossero esonerati dal servizio militare, che i preti spretati fossero esclusidagli uffici pubblici, che il matrimonio religioso avesse effetti civili, chel'insegnamento della dottrina cattolica fosse considerato "fondamentoe coronamento" dell'istruzione pubblica, che le organizzazioni dipendentidall'Azione cattolica potessero continuare a svolgere la propria attivit,purch sotto il controllo delle gerarchie ecclesiastiche e al di fuori di ognipartito politico.Per il regime fascista i Patti lateranensi rappresentarono un notevolesuccesso propagandistico. Presentandosi come l'artefice della"conciliazione", come l'uomo che era riuscito laddove erano falliti tutti igoverni liberali, Mussolini consolid la sua area di consenso e la esteseanche a strati della popolazione rimasti fin allora ostili o indifferenti. Leprime elezioni plebiscitarie - tenute col sistema della lista unica e indette,non a caso, nel marzo '29, a poche settimane dalla conciliazione -registrarono un afflusso alle urne senza precedenti (quasi il 90%) con un98% di voti favorevoli. Un risultato da valutare con cautela (come tuttiquelli dei plebisciti tenuti in regimi autoritari, dove l'elettore non ha unavera libert di scelta e manca qualsiasi controllo sulla veridicit dei dati),ma comunque indicativo di undiffuso orientamento favorevole al regime.Se il fascismo trasse dai Patti lateranensi immediati vantaggi politici fuper il Vaticano a cogliere i successi pi significativi e duraturi. In cambiodella rinuncia a qualcosa che aveva irrevocabilmente perduto da quasi

sessantanni

(il potere temporale), la Chiesa acquist una posizione diindubbio privilegio nei rapporti con lo Stato - anche in materie importanticome l'istruzione e la legislazione matrimoniale - erafforz notevolmente lasua presenza nella societ. Mantenendo intatta la rete di associazioni ecircoli facente capo all'Azione cattolica, la gerarchia ecclesiastica siassicurava un largo margine di autonomia operativa ed entrava inconcorrenza col fascismo proprio nel settore che stava pi a cuore alregime: quello delle organizzazioni giovanili. Di questi spazi la Chiesa nonsi serv mai per fare opera di opposizione; li us, per, per educare ai suoivalori una parte non trascurabile della giovent, per formare una classedirigente capace, all'occorrenza, di prendere il posto di quella fascista: cosache di fatto si verific nel secondo dopoguerra.La Chiesa non costitu l'unico ostacolo per le aspirazioni totalitarie delfascismo. Un altro limite insuperabile stava all'interno, anzi al vertice delleistituzioni statali ed era rappresentato dalla monarchia. Diversamente daHitler, che dopo il '34 pot riunire nella sua persona le figure di capo delpartito, del governo e dello Stato, Mussolini dovette fare i conti con unaautorit - quella appunto del re - che non gli era in alcun modo subordinatae che non derivava dal fascismo i suoi titoli di legittimit. Per quanto fosseregolarmente esautorato, fino ad apparire come un ostaggio nelle mani di Mussolini, il re restava pur sempre la pi alta autorit dello Stato. A luispettavano il comando supremo delle forze armate, la scelta dei senatori eaddirittura il diritto di nomina e revoca del capo del governo. Si trattava dipoteri del tutto teorici, destinati a restare tali finch il regime fosse rimastoforte e compatto attorno al suo capo. Ma, in caso di crisi o di spaccaturainterna, le carte migliori sarebbero fatalmente tornate in mano al re, punto diriferimento insostituibile per i militari e la borghesia conservatrice. Il cherappresentava per il fascismo unmotivo di sotterranea debolezza.

19.2. Il regime e ilpaese.

L'immagine dell'Italia fascista, Realt e propaganda, Sviluppodemografico e urbanizzazione, L'arretratezza della societ italiana, Iltradizionalismo fascista, La politica demografica, Le organizzazionifemminili, L'utopia dell""uomo nuovo", La Carta del lavoro, Il calo deisalari, Il consenso della piccola e media borghesia, I limiti dellafascistizzazione.Se osserviamo l'Italia del ventennio fascista quale ci appare attraversol'abbondante materiale propagandistico prodotto durante il regime(cinegiornali d'attualit, foto ufficiali, stampa illustrata, ecc.), vediamoemergere con prepotente evidenza l'immagine di un paese largamentefascistizzato. I ritratti di Mussolini esposti nelle scuole e negli uffici oinnalzati per le strade in giganteschi cartelli. Gli edifici pubblici e imonumenti, le copertine dei libri e le cartoline ornati dall'emblema delfascio littorio, insegna del potere dei magistrati di Roma antica, eletto asimbolo del regime. I muri istoriati da scritte guerriere (quelle di cui ancoroggi ci pu capitare di scorgere le tracce scolorite). Le grandi follemobilitate in occasione delle ricorrenze fasciste (come l'anniversario dellamarcia su Roma) o dei discorsi del duce trasmessi dalla radio in tutti gliangoli del paese. Gli scolari che sfilavano in formazione militare, vestiti incamicia nera e armati di fucili di legno. I loro padri, anch'essi in divisafascista, che si riunivano nei giorni festivi agli ordini dei Fasci locali percelebrare i riti del regime. Gli attempati gerarchi che si esibivano negli stadiin pericolosi esercizi ginnici.Queste e altre immagini ci sono state tante volte riproposte, attraversofilm, documentari e rievocazioni d'ogni genere, da diventare quasiconvenzionali. Il problema vedere se esse rispecchiavano la realtdell'Italia di allora. Il paese era davvero cambiato rispetto al periodoprecedente, cos com'era cambiata la sua immagine "ufficiale"? Per

affrontare questo problema necessario dare uno sguardo alle condizionidel (paese reale", quali risultano dai dati statistici.Questi dati ci dicono in primo luogo che, anche durante il periodofascista, l'Italia continu a muoversi e a svilupparsi secondo le linee etendenza comuni a tutti i paesi dell'Europa occidentale, bench con un ritmopi lento di quello tenuto nel ventennio precedente. La popolazione, che eradi 38 milioni nel 1921, pass a 44 nel '39. Nello stesso periodo si accentul'urbanizzazione e la percentuale dei residenti in comuni con pi di 100.000abitanti sal dal 13 al 18%; la quota degli addetti all'agricoltura sul totaledella popolazione attiva cal dal 58 al 51 %, mentre quella degli occupatinell'industria pass dal 23 al 26,5% e quella degli addetti al terziario dal 18al 22%. Tradotto in cifre assolute ci significa che il numero dei lavoratoridell'industria era aumentato di circa un milione di unit e diquasi altrettantoera cresciuto quello degli occupati nel commercio, nei servizi e nellapubblica amministrazione (dove vi fu l'incremento pialto).Nonostante questi segni di sviluppo, alla vigilia della seconda guerramondiale l'Italia era ancora un paese fortemente arretrato e il suo distaccodalle grandi potenze europee non si era ridotto. Alla fine degli anni '30, ilreddito medio di un italiano erapoco pi della met di quellodi un francese,un terzo di quello di un inglese (e un quarto di quello di uno statunitense).Nonostante spendesse pi della met del suo reddito in consumi alimentari,l'italiano medio si nutriva essenzialmente di farinacei, mangiava carne ebeveva latte in quantit tre volte inferiore a quella di un inglese o di unamericano, considerava generi di lusso il caff, il t e lo zucchero. La spesaper il vestiario era circa la met di quella di un rancese o di un inglese. Ildivario era ancora pi consistente nel campo dei beni di consumo durevoli.Nel '38 c'era in Italia un'automobile ogni 100 abitanti (mentre il rapportoeradi 1 a 20 in Inghilterra e in Francia), un telefono ogni 70 abitanti (1 a 13 inInghilterra, 1 a 27 in Francia), un apparecchio radio ogni 40 (1 a 6 inInghilterra, 1 a 8 in Francia).L'arretratezza economica e civile della societ italiana fu per certi aspettifunzionale al regime e all'ideologia fascista, o quanto meno ne favor letendenze conservatrici e tradizionaliste. Il fascismo, come il nazismo,predic il "ritorno alla campagna", esalt la bellezza e la sanit della vitacampestre, lanci a pi riprese la parola d'ordine della ruralizzazione: tentdi scoraggiare, senza peraltro riuscirvi, l'afflusso dei lavoratori verso i centriurbani. Il fascismo inoltre, d'accordo in questo con la Chiesa, difese edesalt la funzione del matrimonio e della famiglia, come garanzia distabilit e come base per lo sviluppo demografico. Ispirandosi

all'anacronistica dottrina che identificava la potenza con la forza delnumero, il regime cerc di incoraggiare con ogni mezzo l'incremento dellapopolazione: furono aumentati gli assegni familiari dei lavoratori, furonofavorite le assunzioni dei padri di famiglia, furono istituiti premi per lecoppie pi prolifiche, fu addirittura imposta, nel '27, una tassa sui celibi. Incoerenza con questa linea, il regime ostacol il lavoro delle donne (anche inquesto caso con scarso successo) e, pi in generale, si oppose al processo diemancipazione femminile. Anche le donne ebbero, durante il fascismo, leloro proprie strutture organizzative: quella dei Fasci femminili, quella dellepiccole italiane e delle giovani italiane (dipendenti dall'Opera nazionaleBalilla) e, pi importante di tutte, quella delle massaie rurali. Ma si trattavadi organismi poco vitali (pur nella loro indubbia novit), la cui funzioneprincipale stava nel valorizzare le virt domestiche della donna, nelribadirne l'immagine tradizionale di "angelo del focolare" diffusa attraversola stampa, la letteratura fascista e i testi perla scuola.Il fascismo non era per solo un regime conservatore e immobilista Se daun lato voleva mantenere in vita strutture sociali e tradizioni del passato,dall'altro era in qualche modo proiettato verso il futuro, verso la creazionedell""uomo nuovo", verso un sistema totalitario moderno, il cui l'interapopolazione fosse inquadrata nelle strutture del regime, sensibile agliappelli del capo e pronta a combattere per la grandezza nazionale. Per larealizzazione di questo progetto il ritardo economico e culturale del paeserappresentava un ostacolo insormontabile. Non era facile far giungere ilmessaggio fascista nei piccoli paesi sperduti dove non arrivavano le stradecarrozzabili, non c'erano scuole e non si sapeva cosa fossero la radio e ilcinema.Ma era soprattutto la scarsezza delle risorse a disposizione dellacollettivit che impediva al fascismo di praticare una politica economica esalariale tale da permettergli di far breccia fra le classi lavoratrici. Legeneriche enunciazioni contenute nella Carta del lavoro (un documentovarato con grande solennit nel 1927, in cui si parlava fra l'altro di"uguaglianza giuridica" fra imprenditori e prestatori d'opera e di "solidarietfra i vari settori della produzione") non erano certo sufficienti a ripagare ilavoratori della perdita di qualsiasi autonomia organizzativa e capacitcontrattuale. I vantaggi dell'organizzazione dopolavoristica e imiglioramenti nel campo previdenziale non bastavano a compensare il caloquasi costante dei salari reali -quelli dell'industria erano, nel '39, inferiori dicirca il 20% rispetto ai livelli del '21 - e la conseguente compressione dei

consumi alimentari che, gi bassi in partenza, andarono lentamentecontraendosi negli anni '30.I maggiori successi, in termini di partecipazione e di consenso, il regimeli ottenne non a caso presso la media e piccola borghesia. I ceti medi infatti,non solo furono complessivamente favoriti dalle scelte economiche delregime; non solo si videro aprire nuovi canali di ascesa sociale dallamoltiplicazione degli apparati burocratici (nello Stato, nel partito, negli entidi nuova istituzione); ma erano anche i pi sensibili ai valori esaltati dalfascismo (la nazione, la gerarchia, l'ordine sociale), i pi disposti a recepirnei messaggi e a farne proprie le paroled'ordine.Per dare una risposta sintetica agli interrogativi circa il reale grado difascistizzazione del paese, si pu quindi concludere che questo fenomeno fuampio, ma riguard essenzialmente gli strati intermedi della societ,toccando solo superficialmente le classi popolari e l'alta borghesia; che ilregime riusc a cambiare, in maniera anche vistosa, i comportamentipubblici e le forme di partecipazione collettiva, ma non a trasformare nelprofondo schemi mentali e strutture sociali.

Parola chiave Consenso

Nel linguaggio politico moderno, il termine "consenso" indica l'accordofra i membri di una comunit su alcuni valori e princpi fondamentali o sualcuni obiettivi specifici che la comunit stessa si pone attraverso l'azionedei suoi gruppi dirigenti. Nei sistemi democratici e pluralistici, un certogrado di consenso sui princpi e sulle istituzioni considerato indispensabilealla vita dello Stato; ma sulle scelte dei governanti il dissenso ammesso ein qualche misura istituzionalizzato attraverso meccanismi che permettonoil ricambio della classe dirigente. Invece nei sistemi autoritari - esoprattuttoin quelli totalitari [parola chiave: Totalitarismo] - il dissenso represso onascosto, mentre il consenso dato per scontato, sulla base di una arbitrariaattribuzione al capo, o al partito dominante, della capacit di rappresentareil popolo e di interpretarne i bisogni. Questo non significa che anche iregimi autoritari non possano godere di autentico consenso popolare. Ilproblema, per gli storici, di verificare e misurare questo consenso, inassenza di indicatori attendibili (poich tali non sono i risultati delleconsultazioni elettorali "plebiscitarie" e le manifestazioni di massaorganizzate dai regimi stessi). Nel caso del fascismo italiano, ad esempio, si discusso e si continua a discutere sulla natura e sulle dimensioni delconsenso di cui il regime godette. Neglianni '70 il piautorevole storico delfascismo, Renzo De Felice, autore di una grande biografia di Mussolini, ha

sostenuto che, per la maggioranza della popolazione, questo consenso fuampio e stabile, soprattutto nella prima met degli anni '30 (prima checominciasse la fase delle guerre e dell'avvicinamento alla Germanianazista). Altri studiosi hanno contestato sia le conclusioni di De Felice, sial'attendibilit delle fonti da lui prevalentemente utilizzate (la stampa, lecarte di Mussolini, i rapporti di polizia); e hanno affermato che il grossodella popolazione diede al regime niente pi che un consenso "passivo",un'accettazione rassegnata (salvo che in alcuni momenti particolari, come laconquista dell'Etiopia o la conferenza di Monaco). Oggi la maggior partedegli storici tende a riconoscere al fascismo una certa base di consenso,soprattutto fra i ceti medi. Anche se ci si rende conto della difficolt divalutarne la natura (come si pu distinguere il consenso "attivo" da quello"passivo"?) e di misurarne conprecisione l'entit.

19.3. Cultura, scuola, comunicazioni di massa.

La riforma Gentile, Il fascismo e la scuola, L'universit, L'adesionedell'alta cultura, Il controllo sulla stampa, Il Minculpop, La radio: cultura dimassa e propaganda, Il cinema: film d'evasione e cinegiornali.Consapevole di quanto le motivazioni ideologiche e culturali fosseroimportanti ai fini del consenso, il fascismo dedic un'attenzione tuttaparticolare al mondo della cultura e della scuola. La scuola italiana era stataprofondamente ristrutturata, gi nel 1923, con la riforma Gentile [16.9]:una riforma, ispirata ai princpi della pedagogia idealistica, che cercava diaccentuare la severit degli studi e sanciva il primato delle disciplineumanistiche (considerate come il principale strumento di educazione dellelites dirigenti) su quelle tecniche, relegate a una funzione nettamentesubalterna. Una volta consolidatosi, il regime si preoccup di fascistizzarel'istruzione sia attraverso una pi stretta sorveglianza sugli insegnanti, siaattraverso il controllo dei libri scolastici e l'imposizione, dal 1930, di "testiunici" per le elementari. Nel complesso il corpo docente si adatt senzagrosse resistenze alle direttive del regime: anche se la fascistizzazione fuspesso superficiale, dal momento che molti insenanti, formatisi nel climaculturale di prima della guerra, continuarono a svolgere il loro lavoro comeavevano sempre fatto, senza concedere al fascismo nulla pi cheun'adesione generica.Rispetto alla scuola elementare e media, l'universit godette diun'autonomia molto maggiore. Ma non la us per contestare le scelteculturali del fascismo. Quando, nel 1931, fu imposto a tutti i docenti il

giuramento di fedelt al regime, su 1200 professori titolari, solo unadozzina, per lo pi anziani e prossimi alla pensione, rifiutarono di giurareperdendo cos le loro cattedre. Vi furono insegnanti non fascisti (oaddirittura antifascisti) che si piegarono all'imposizione solo per potercontinuare la loro attivit. Ma, nella maggior parte dei casi, il giuramentonon suscit particolari problemi di coscienza.In generale, gli ambienti dell'alta cultura - universitaria e non - siallinearono su una posizione di sostanziale adesione al regime. Alcuni fra inomi pi illustri della cultura italiana - scrittori come Luigi Pirandello,scienziati come Guglielmo Marconi, musicisti come Pietro Mascagni,architetti come Marcello Piacentini, storici come Gioacchino Volpe, filosoficome il gi citato Gentile - fecero esplicita professione di fede fascista, maquasi tutti gli intellettuali accettarono di inserirsi nelle istituzioni culturalipubbliche, godendo delle gratificazioni materiali e dei riconoscimenti di cuiil fascismo fu prodigo nei loro confronti. Comunque, sulle attivit culturaliche si rivolgevano a un pubblico specialistico, o in ogni caso ristretto, ilcontrollo del fascismo si esercit in forme relativamente blande. Ben pidiretto e capillare fu, invece, il controllo nel campo della cultura e dei mezzidi comunicazione di massa.Tutto il settore della stampa politica - gi fascistizzata fra il '22 e il 26 - fusottoposto a un controllo sempre pi stretto e soffocante da parte del poterecentrale, che non si limitava alla semplice censura, ma interveniva conprecise direttive sul merito degli articoli. Affidata istituzionalmente a unapposito ufficio dipendente dalla presidenza del Consiglio - poi trasformatoin sottosegretariato e infine assorbito dal nuovo ministero per la Culturapopolare (Minculpop), creato nel '37 a imitazione di quello nazista per lapropaganda - la sorveglianza sulla stampa era in realt esercitatapersonalmente da Mussolini: il quale, non dimentico del suo passato digiornalista, dedicava una parte notevole del suo tempo alla lettura deiquotidiani, intervenendo spesso anche su questioni di secondariaimportanza.Al controllo sulla carta stampata il regime univa quello sulle trasmissioniradiofoniche, affidate, dal 1927, a un ente di Stato denominato Eiar(progenitore dell'attuale Rai). Come mezzo d'ascolto privato la radio ebbeper - gi lo si visto - una diffusione abbastanza limitata, in confronto aquella dei paesi pi sviluppati. Solo dopo il '35 essa si afferm comeessenziale canale di propaganda, grazie anche alla decisione del governo diinstallare apparecchi nelle scuole, negli uffici pubblici, nelle sedi delleorganizzazioni di partito. E solo negli ultimi anni '30 entr stabilmente nellecase della classe media, influenzandone non poco i gusti e le abitudini.

Attraverso il nuovo mezzo giungevano alle famiglie della piccola e mediaborghesia non solo i messaggi propagandistici - diffusi attraverso i notiziaripolitici, le "cronache del regime", i programmi culturali - ma anche lecanzonette, i servizi sportivi, gli sceneggiati radiofonici, le trasmissioni divariet: tutti ingredienti essenziali di una nuova cultura di massa destinata asvilupparsi su pi larga scala nel secondo dopoguerra.Come la radio, anche il cinema fu oggetto privilegiato delle attenzioni delregime e ne ricevette generose sovvenzioni, che avevano lo scopo difavorire la produzione nazionale e di limitare la massiccia penetrazione deifilm americani. Sulla normale produzione cinematografica il regime esercitun controllo abbastanza elastico, volto pi abandire dalle pellicole qualsiasiargomento politicamente e socialmente scabroso che non a introdurvi temidi esplicita propaganda. Per questo bastavano i cinegiornali d'attualit,prodotti da un apposito ente statale (l'Istituto Luce) e proiettatiobbligatoriamente nelle sale cinematografiche all'inizio di ogni spettacolo. Icinegiornali furono uno dei pi importanti strumenti di propaganda di massadi cui disponesse il fascismo: sia perch raggiungevano un pubblicovalutabile in parecchi milioni di persone, sia perch fornivano delleimmagini capaci di attirare l'attenzione popolare e scelte accuratamente permeglio illustrare i trionfi del fascismo e del suo capo. Tutto ci si prestavabene agli scopi di un regime che inlarga misura affidava il suo successo allaforza dell'immagine e alla suacapacit di persuasione.

19.4. Il fascismo e l'economia.

La "battaglia del grano" e "quota novanta".Fascismo "terza via", Mito e realt del corporativismo, La fase liberista,La svolta del '25, La"battaglia del grano", "Quota novanta", Gli effetti dellarivalutazione.Tutti i movimenti fascisti si presentarono fin dai loro esordi comeportatori di soluzioni nuove e originali per i problemi dell'economia e dellavoro (la famosa "terza via" fra capitalismo e socialismo). Il fascismoitaliano credette di individuare la sua "terza via" nella formula delcorporativismo.L'idea corporativa affondava le sue radici addirittura nel Medioevo,nell'esperienza delle corporazioni di arti e mestieri, che aveva ispirato ginell'800 il pensiero sociale cattolico; ma si nutriva anche di suggestioniprovenienti dal nazionalismo e dallo stesso sindacalismo rivoluzionario. In

sostanza il corporativismo avrebbe dovuto significare gestione direttadell'economia da parte delle categorie produttive, organizzate appunto incorporazioni distinte per settori di attivit e comprendenti sia gliimprenditori sia i lavoratori dipendenti. Questo sistema non trov mai veraattuazione. Per molti anni le corporazioni restarono un puro progetto.Quando infine vennero istituite, nel 1934, tutto si risolse nella creazione diuna nuova burocrazia sovrapposta a quelle gi esistenti (statali, parastatali,partitiche, sindacali). Il fascismo riusc ugualmente a realizzare interventiimportanti nell'economia, a creare enti e istituzioni di nuova concezione chein gran parte sopravvissero alla sua caduta. Ma non invent un nuovosistema economico. E non mantenne nemmeno, nel corso delventennio, unalinea di politica economica coerente ericonoscibile.Nei suoi primi anni di governo (1922-25) il fascismo adott, come giabbiamo visto [16.9], una linea liberista e "produttivista", volta cio arilanciare la produzione incoraggiando l'iniziativa privata e allentando icontrolli statali. Questa linea provoc per, assieme a un consistenteincremento produttivo, un riaccendersi dell'inflazione, un crescente deficitnei conti con l'estero e un forte deterioramento del valore della lira, il cuirapporto di cambio con la sterlina scese a livelli mai toccati in passato (finoa 145 lire per una sterlina). Con l'estate 1925, la politica economica delgoverno sub una brusca svolta: il ministro delle Finanze De Stefani fusostituito da Giuseppe Volpi, industriale e finanziere veneziano, cheinaugur una politica fondata sul protezionismo, sulla deflazione, sullastabilizzazione monetaria e su un pi accentuato intervento statalenell'economia.Primo importante provvedimento in questo senso fu, nel '25,l'inasprimento del dazio sui cereali: una misura che si inseriva in unatendenza di lungo periodo (cominciata, come si ricorder, col 1887) volta afavorire il settore cerealicolo, ma che questa volta fu accompagnata da unarumorosa campagna propagandistica detta battaglia del grano, dove gliaccenti ruralisti si mescolavano ai toni guerrieri. Scopo della battaglia, chesi sarebbe protratta lungo tutto il corso del regime, era il raggiungimentodell'autosufficienza nel settore dei cereali, sia attraverso l'aumento dellasuperficie coltivata a grano, sia mediante l'impiego di tecniche pi avanzate(col che si intendeva anche favorire le industrie produttrici di concimi emacchine agricole). Lo scopo fu in buona parte raggiunto: alla fine deglianni '30 la produzione di grano era aumentata del 50% e le importazioni sierano ridotte a un terzo rispetto a quindici anni prima. Ma il prezzo fuancora una volta il sacrificio di altri settori, come l'allevamento

(danneggiato dalla riduzione dei pascoli) e le colture "specializzate" (inparticolare quelle ortofrutticole) rivolte all'esportazione.La seconda "battaglia" impostata dal binomio MussoliniVolpi fu quellaper la rivalutazione della lira. Nell'agosto '26 il duce annunci di volerriportare in alto il corso internazionale della moneta e fiss l'obiettivo, damolti ritenuto irrealistico, di quota novanta (ossia 90 lire per una sterlina).Alla base di questa scelta c'era soprattutto il desiderio di dare al paeseun'immagine di stabilit monetaria oltre che politica, rassicurando i cetimedi risparmiatori. L'obiettivo di "quota novanta" fu raggiunto in poco pidi un anno, in virt di una serie di provvedimenti che limitavanodrasticamente il credito, e con l'aiuto di un cospicuo prestito concesso alloStato italiano da grandi banche statunitensi. I prezzi interni diminuirono pereffetto della politica deflazionistica e del minor costo delle importazioni(conseguenza della rivalutazione della moneta) e la lira recuper il potered'acquisto perduto. Ma a goderne non furono i lavoratori dipendenti, che sividero tagliare stipendi e salari in misura pi che proporzionale. Laproduzione agricola e industriale sub una certa flessione. Furono colpitesoprattutto le industrie che lavoravano per l'esportazione (danneggiate dallasopravalutazione della lira che rendeva poco competitivi i loro prodotti),mentre quelle che operavano sul mercato interno poterono giovarsi dellacontrazione del costo del lavoro, degli sgravi fiscali concessi dal governo edi un forte aumento delle commesse pubbliche. Tutto questo avvantaggisoprattutto le grandi imprese e favor iprocessi di concentrazione aziendale.Qualcosa di analogo si verificin agricoltura, dove la politicamonetaria delregime - che pure dichiarava di voler incoraggiare la piccola propriet - fincol mettere in crisi molte piccole e medie aziende che si erano formate neiprimi anni '20 e che furono strozzate dalla restrizione del credito, oltre chedal calo generalizzato dei prezzi agricoli.

19.5. Il fascismo e lagrande crisi: lo "Statoimprenditore".

La risposta del regime, La politica dei lavori pubblici, La bonifica dellePaludi Pontine, La crisi bancaria, L'Imi e l'Iri, Lo Stato- imprenditore, Ilruolo dei tecnici, Un'economia di guerra.L'economia italiana non si era ancora ripresa dalla cura deflazionistica,quando cominciarono a farsi sentire le conseguenze della grande crisimondiale. Queste conseguenze furono meno drammatiche che in altri paesieuropei, anche perch la politica economica adottata dopo il '25,

accentuando l'orientamento della produzione verso ilmercato interno, avevain qualche modo anticipato gli effetti negativi della depressione. Eppure larecessione fu pesante anche in Italia. Il commercio con l'estero si ridussedrasticamente (nel '33 il volume delle esportazioni era pi che dimezzatorispetto al '29). L'agricoltura sub un nuovo duro colpo intutti i suoi settori acausa del calo delle esportazioni e dell'ulteriore tracollo dei prezzi. Leimprese industriali, grandi e piccole, accusarono gravi difficolt inducendoil governo a decretare un nuovo taglio dei salari (compensato per dallacontemporanea caduta dei prezzi). La disoccupazione nell'industria e nelcommercio aument bruscamente, passando dalle 300.000 unit del '29 a1.300.000 nel '33.La risposta del regime alla crisi si attu su due direttrici fondamentali: losviluppo dei lavori pubblici come strumento per rilanciare la produzione eattutire le tensioni sociali (e qui si pu notare una certa analogia con lepolitiche messe in atto sia negli Stati Uniti di Roosevelt sia nella Germaniadi Hitler); l'intervento, diretto o indiretto, dello Stato a sostegno dei settoriin crisi.La politica dei lavori pubblici ebbe il suo maggiore sviluppo nella primamet degli anni '30. Furono realizzate nuove strade e nuovi tronchiferroviari, costruiti nuovi edifici pubblici dove il fascismo pot appagare ilsuo gusto per il monumentale. Fu varato il "risanamento" del centro storicodella capitale, che provoc la distruzione di interi quartieri della vecchiaRoma medioevale. Ma soprattutto fu avviato un gigantesco programma dibonifica integrale che avrebbe dovuto portare al recupero e allavalorizzazione delle terre incolte o mal coltivate. Il progetto di bonificaintegrale, ostacolato sia dalle difficolt della finanza pubblica sia dalleresistenze dei grandi proprietari, fu attuato solo parzialmente. Fu perportata a termine, nel giro di soli tre anni (dal '31 al '34), la sua parte piimpegnativa e pi spettacolare: la bonifica dell'Agro Pontino, un vastoterritorio paludoso e malarico a sud della capitale. In complesso furonorecuperati alle colture circa 60.000 ettari. Furono creati 3000 nuovi poderidove vennero insediati contadini provenienti dalle zone pi depresse delCentroNord (soprattutto dal Veneto); furono costruiti villaggi rurali e vere eproprie "citt nuove" come Sabaudia e Littoria (l'odierna Latina). Aprescindere dalla sua portata effettiva -che fu certamente notevole, anche selimitata nel tempo e nello spazio - la bonifica delle Paludi Pontinerappresent per il fascismo un grosso successo propagandistico. Lospettacolo delle grandi masse impegnate nei lavori disistemazione del suoloo nella costruzione delle citt nuove, adeguatamente amplificato dai mezzidi comunicazione, era indubbiamente lusinghiero per il regime (tanto pi se accostato alle immagini di disoccupazione e di fame che arrivavano dalresto del mondo) e ne appagava la vocazione populista e ruralista.Fu comunque nel settore dell'industria e del credito che l'intervento delloStato assunse le forme pi originali e incisive, sotto laspinta di una crisi cheminacciava, se non affrontata in tempo, di provocare un collasso senzaprecedenti dell'intero sistema bancario. Colpite dalla crisi erano inparticolare le grandi "banche miste" (Banca commerciale e Credito italiano)che, create alla fine dell'800 allo scopo di sostenere gli investimentinell'industria, si erano trovate a controllare quote azionarie sempre piconsistenti di importanti gruppi industriali. La caduta della borsa che siverific anche in Italia in coincidenza con la grande crisi mise in gravedifficolt le banche, le quali, per sostenere il corso dei titoli, effettuarononuovi massicci acquisti, aggravando cos laloro esposizione.Per far fronte alla crisi e salvare le banche dal fallimento, il governointervenne creando dapprima (1931) un istituto di credito pubblico (l'Imi,Istituto mobiliare italiano) col compito di sostituire le banche nel sostegnoalle industrie in crisi e dando vita due anni dopo (1933) all'Istituto per laricostruzione industriale (Iri), dotato dicompetenze eccezionalmente ampie.Valendosi di fondi forniti in gran parte dallo Stato, l'iri divenne azionista dimaggioranza delle banche in crisi e ne rilev le partecipazioni industriali,acquistando cos il controllo di alcune fra le maggiori imprese italiane (frale altre l'Ansaldo, l'Ilva e la Terni). Nei progetti originari, il compitodell'Istituto avrebbe dovuto essere transitorio, limitandosi al risanamentodelle imprese in crisi in vista di una loro "riprivatizzazione". Accaddeinvece che la riprivatizzazione risult impraticabile (date le dimensionidelle imprese e i rischi connessi alla lorogestione) e l'Iri divent, nel '37, unente permanente.In questo modo lo Stato italiano si trov a controllare, sia purindirettamente, una quota dell'apparato industriale e bancario superiore aquella di qualsiasi altro Stato (salvo naturalmente l'Urss): divent cioStatoimprenditore oltre che Statobanchiere. Ci non significa che l'Italia siavviasse verso un sistema di economia statizzata, n che l'autonomiadell'insieme delle imprese capitalistiche fosse seriamente scalfita. Alcontrario, i maggiori gruppi privati furono aiutati a rafforzarsi e aingrandirsi e accolsero con favore l'intervento statale, che finiva conl'accollare alla collettivit i costi della crisi industriale e bancaria. Ancormeno si pu parlare di una fascistizzazione dell'economia, visto che per gliinterventi pi importanti Mussolini non si serv di personale proveniente dalpartito o dalla nascente burocrazia "corporativa", ma si affid piuttosto a

tecnici "puri", come l'esperto di agraria Arrigo Serpieri, massimo ispiratoredella bonifica integrale, o come Alberto Beneduce, fondatore e primopresidente dell'Iri. Nei nuovi enti parastatali e nella stessa Banca d'Italia(che nel 1926 ottenne il monopolio dell'emissione di moneta e vide i suoipoteri ulteriormente rafforzati da una riforma bancaria nel 1936) si formcos una "burocrazia parallela" destinata a svolgere un ruolo di primo pianonell'Italia postfascista.Intorno alla met degli anni '30, l'Italia era uscita dalla fase pi acuta dellacrisi e - sia pure a prezzo di sacrifici non lievi a spese soprattutto delle classipopolari - ne era uscita prima e meglio rispetto alla maggior parte dellepotenze industriali. A questo punto per manc al regime la capacit e lavolont di profittare della ripresa per mettere in moto un processo disviluppo che si riflettesse sulle condizioni di vita della popolazione. Apartire dal '35, Mussolini si lanci in una politica di dispendiose impresemilitari che sottrasse risorse ai consumi e agli investimenti produttivi eaccentu l'isolamento economico del paese, senza nemmeno ottenere, tranneche per i settori interessati alle commesse belliche, quegli effetti positivi cheil riarmo produsse sulla ben pi forte struttura industriale della Germanianazista. Cominciava per l'Italia una lunga stagione di economia di guerradestinata a prolungarsi senza soluzione di continuit fino al secondoconflitto mondiale.

19.6. L'imperialismo fascista e l'impresa etiopica.

Il nazionalismo fascista, La contestazione dei trattati di Versailles,L'accordo con le democrazie, I moventi dell'impresa etiopica, L'aggressioneall'Etiopia e le sanzioni, La mobilitazione popolare contro le sanzioni Laproclamazione dell'Impero, Il successo politico dell'impresa, L'AsseRomaBerlino, La subordinazione alla Germania e il"patto d'acciaio".Nel movimento fascista fu sempre presente, fin dalle origini, una fortecomponente nazionalistica. Tale componente era profondamenteconnaturata all'ideologia e alla prassi del fascismo, chedoveva parte del suosuccesso al fatto di presentarsi come il paladino della riscossa nazionale eche, una volta giunto al potere, continu a proporsi come il restauratoredelle glorie di Roma antica e a servirsi della propaganda nazionalpatriotticacome strumento essenziale di aggregazione del consenso. Diversamentedalla Germania, sconfitta in guerra e mutilata al tavolo della pace, l'Italiafascista non aveva per da avanzare rivendicazioni territoriali plausibili,capaci di mobilitare l'opinione pubblica. Nonostante le delusioni subite a Versailles, l'Italia era pur sempre una potenza vincitrice e aveva risolto inmodo soddisfacente l'intricata questione adriatica.Fino ai primi anni '30, le aspirazioni imperiali del fascismo rimaserovaghe e spesso contraddittorie e si tradussero, pi che in una coerentedirettiva di politica estera, in una generica contestazione dell'assetto uscitodai trattati di Versailles: dunque appoggio alle velleit revisioniste dei paesiinsoddisfatti (come Ungheria e Austria); polemica ricorrente contro ledemocrazie "plutocratiche", contrapposte, secondo una formula gi cara ainazionalisti, all'Italia "proletaria", ricca di popolazione ma povera di risorse;richiesta, mai precisata nei dettagli, di un nuovo equilibrio mediterraneo pifavorevole all'Italia. Tutto ci contribu a rendere pi tesi i rapporti con laFrancia (gi difficili anche a causa dell'ospitalit offerta dalla vicinaRepubblica agli esuli antifascisti); ma non imped all'Italia di mantenerebuoni rapporti con la Gran Bretagna - secondo una linea tradizionale dellapolitica estera italiana - e direstare, nel complesso, all'interno del sistema disicurezza collettiva fondato sull'accordo fra le potenze vincitrici dellaguerra. L'accordo di Stresa dell'aprile 1935 [18.9] fu la manifestazione pisignificativa di questa fase della politica estera fascista. Ma fu anchel'ultima. Mentre si accordava con le democrazie occidentali per contrastareil riarmo tedesco, Mussolini stava gi preparando l'aggressione all'Imperoetiopico, unico grosso Stato indipendente delcontinente africano.A spingere Mussolini verso un'impresa di cui pochi in Italia sentivano lanecessit, e che presentava costi economici e umani sproporzionati aipossibili vantaggi concreti, furono motivi di politica interna einternazionale. Con la guerra d'Etiopia Mussolini intendeva innanzituttodare uno sfogo alla vocazione imperiale del fascismo, vendicando lo scaccosubito dall'Italia nel 1896 con la sconfitta di Adua e mostrando che il suoregime poteva riuscire l dove la classe dirigente liberale aveva fallito. Mavoleva anche creare una nuova occasione di mobilitazione popolare chefacesse passare in secondo piano i problemi economicosociali del paese (inparticolare la disoccupazione, che si manteneva su livelli piuttosto alti).Mussolini pensava inoltre di poter sfruttare la favorevole congiunturadiplomatica creata dalla politica hitleriana, che rendeva l'amicizia dell'Italiapi preziosa che in passato per le potenze occidentali. In effetti i governifrancese e inglese - soprattutto il primo - erano disposti ad assecondare, almeno in parte, le mire italiane. Ma non potevano accettare che uno Statoindipendente, per giunta membro della Societ delle nazioni, fossecancellato dalla carta geografica da un atto di aggressione. N potevanoignorare il fatto che in Gran Bretagna e in Francia si era creata una fortecorrente di opinione pubblica indifesa dell'indipendenza etiopica.

Cos, quando ai primi dell'ottobre 1935 l'Italia diede inizio all'invasionedell'Etiopia senza nemmeno farla precedere da una dichiarazione di guerra,igoverni francese e inglese non poterono fare a meno di condannareufficialmente l'azione e di proporre al Consiglio della Societ delle nazionil'adozione di sanzioni consistenti nel divieto di esportare in Italia mercinecessarie all'industria di guerra. Approvate a schiacciante maggioranzapochi giorni dopo l'inizio dell'invasione, le sanzioni ebbero un'efficaciamolto limitata: sia perch il blocco non era esteso alle materie prime, siaperch non impegnava gli Stati che non facevano parte della Societ dellenazioni, come gli Stati Uniti e la Germania. Queste decisioni ebbero perl'effetto di approfondire il contrasto fra il regime fascista e le democrazieeuropee e consentirono a Mussolini di montare un'imponente campagnapropagandistica tesa a presentare l'Italia come vittima di una congiurainternazionale.L'immagine dell'Italia proletaria cui le nazioni plutocratiche, gi padronedi sterminati imperi coloniali, volevano impedire la conquista di un proprio"posto al sole" riusc in effetti a far breccia nell'opinione pubblica italiana,non escluse le classi popolari, alle quali fu fatto intravedere il miraggio dinuovi posti di lavoro e di nuove opportunit di ricchezza da conquistareoltremare. Le piazze si riempirono di folle inneggianti a Mussolini e allaguerra. Studenti e attivisti di partito diedero vita a rumorose manifestazioniantiinglesi. Milioni di coppie, a cominciare da quella reale, accolserol'invito del governo di donare alla patria l'oro delle loro fedi nuziali. Anchealcuni noti antifascisti, fra cui Benedetto Croce, si sentirono in dovere diesprimere solidariet alla nazione in guerra. Il paese fu percorso daun'ondata di imperialismo popolaresco, ben pi ampia di quella che avevaaccompagnato, un quarto di secolo prima, la spedizione in Libia. Gli organidi informazione fecero a gara nel denigrare la resistenza degli etiopici,riproponendo l'equazione fra popoli di colore e selvaggi e solleticando gliistinti inconsciamente razzisti del pubblico. Ma non manc neppure iltentativo di assegnare alla guerra scopi umanitari, presentandola come unacrociata per liberare la popolazione etiopica da un regime corrotto eschiavista.In realt gli etiopici si batterono con accanimento per pi di sette mesisotto la guida del negus Hail Selassi. Ma il loro esercito, male organizzatoe peggio equipaggiato (molti soldati non disponevano nemmeno di armi dafuoco), nulla poteva contro un corpo di spedizione che giunse a impegnarecirca 400.000 uomini e fece ampio ricorso ai mezzi corazzati e all'aviazione(usata in pi occasioni per bombardare le truppe nemiche con gasasfissianti). Il 5 maggio 1936, le truppe italiane, comandate dal maresciallo

Badoglio, entrarono in Addis Abeba. Quattro giorni dopo, Mussolini potevaannunciare alle folle plaudenti "la riapparizione dell'Impero sui colli fatalidi Roma" e offrire al sovrano lacorona di imperatore d'Etiopia.Da un punto di vistaeconomico, la conquista dell'Etiopia, paese povero dirisorse naturali e poco adatto agli insediamenti agricoli, rappresent perl'Italia un peso non indifferente, aggravato dai problemi suscitati dallesanzioni (poco efficaci militarmente, ma dannose per il commercio) e noncompensato dai temporanei benefici arrecati all'industria dalla produzionebellica. Ma sul piano politico il successo fu clamoroso e indiscutibile.Portando a termine una campagna coloniale vittoriosa, imponendo lapropria volont alle democrazie occidentali e costringendole poi adaccettare il fatto compiuto (le sanzioni furono ritirate nell'estate del '36 e,successivamente, Gran Bretagna e Francia riconobbero l'Impero italiano inAfrica orientale), Mussolini diede a molti la sensazione di aver conquistatoper l'Italia uno status di grande potenza. In realt, si trattava di unasensazione illusoria: l'Italia, infatti, non era in grado di affrontare unoscontro con una potenza di prima grandezza e aveva potuto "tirare diritto"(secondo l'espressione mussoliniana) nella questione abissina solo perchgli inglesi, pronti a mobilitarsi a parole per sostenere il buon dirittodell'Etiopia, non avevano alcuna intenzione di affrontare una guerra perdifenderla.Mussolini era consapevole di tutto questo. Ma, inebriato dal successoetiopico, credette ugualmente di poter condurre una politica adeguata a unagrande potenza, sfruttando ogni occasione (vedi il caso della Spagna) perallargare l'area di influenza italiana giocando sulla rivalit fra tedeschi efrancoinglesi. In questo gioco doveva rientrare, almeno in un primo tempo,anche il riavvicinamento dell'Italia alla Germania, cominciato subito dopo laguerra d'Etiopia e sancito, nell'ottobre 1936, dalla firma di un patto diamicizia cui fu dato il nome di Asse RomaBerlino. Rafforzata dal comuneimpegno nella guerra civile spagnola e, nell'autunno '37, dalla adesioneitaliana al cosiddetto Patto anticomintern (un accordo stipulato l'anno primada Germania e Giappone, che impegnava i due paesi a lottare contro ilcomunismo internazionale), l'Asse RomaBerlino non assunse tuttavia,nonostante le pressioni tedesche, la forma di una vera alleanza militare.Mussolini considerava infatti l'avvicinamento alla Germania non tanto comeuna scelta irreversibile, quanto come un mezzo di pressione sulle potenzeoccidentali, come uno strumento che, aumentando il peso contrattualedell'Italia, le consentisse di lucrare qualche ulteriore vantaggio in campocoloniale: il tutto in attesa che il paese fosse preparato ad affrontare unconflitto in posizione di forza. Ma il dinamismo aggressivo della Germania

era tale da non consentire a Mussolini i tempi e gli spazi di manovranecessari per realizzare il suo programma. Credendo di potersi serviredell'amicizia tedesca, il duce ne fu in realt sempre pi condizionato, alpunto da dover accettare passivamente tutte le iniziative di Hitler (compresequelle pi sgradite come l'annessione dell'Austria). Finch, nel maggio1939, privato di ogni margine d'azione, si decise alla scelta che sarebberisultata fatale al regime e al paese: la firma di un formale patto di alleanzacon la Germania (il patto d'acciaio) che legava definitivamente le sortidell'Italia a quelle dello Statonazista.

19.7. L'Italia antifascista.

L'opposizione silenziosa, Cattolici e liberali, I comunisti e l'agitazioneclandestina, L'antifascismo all'estero, La Concentrazione antifascista,"Giustizia e Libert", Togliatti e l'organizzazione comunista all'estero,Gramsci e i "Quaderni del carcere", La stagione dei fronti popolari, Unbilancio dell'antifascismo.A partire soprattutto dagli anni 1925-26 - quando il dissenso politico fuproibito non solo in via di fatto, ma anche a termini di legge - un numerocrescente di italiani dovette affrontare il carcere o il confino politico, l'esilioo la clandestinit. Non tutti coloro che nutrivano sentimenti antifascisti, oche avevano svolto attivit di opposizione nel periodo in cui si costruiva ladittatura, sperimentarono i rigori della repressione. Molti, anzi i pi, siappartarono in volontario silenzio o cercarono di sfruttare i ridotti spazi diautonomia culturale che il regime lasciava sussistere purch non sitrasformassero in centri di opposizione politica.Fu questa la strada scelta da quasi tutti gli ex popolari, dalla maggioranzadei liberali non fascistizzati e anche da molti socialisti. Se i cattolicipotevano contare su qualche forma di tacito e prudente appoggio da parte diuna Chiesa alleata s del fascismo, ma non al punto da interrompere ognicontatto con i vecchi militanti del Ppi, i liberali trovarono un importantepunto di riferimento in Benedetto Croce. Protetto dalla sua notorietinternazionale, ma anche da una precisa scelta del regime (preoccupato deidanni che sarebbero derivati alla sua immagine da un intervento repressivo),l'anziano filosofo pot proseguire senza eccessivi fastidi la sua attivitculturale e pubblicistica. Grazie ai suoi libri e alla sua rivista "La Critica",che continu a stamparsi per tutto il ventennio, molti intellettuali ebbero lapossibilit di conoscere e mantenere in vita la tradizione dell'idealismoliberale (contrapposta a quella idealisticototalitaria impersonata da Gentile) anche se questa attivit in tanto fu possibile in quanto rinunciava ad ogniaperto sconfinamento nel campo dellapolitica.Per coloro che intendevano opporsi attivamente al fascismo, restavanoaperte solo due strade: l'esilio all'estero e l'agitazione clandestina in patria.A praticare fin dall'inizio quest'ultima forma di lotta furono soprattutto,anche se non esclusivamente, i comunisti: gli unici preparati all'attivitcospiratoria, sia per le caratteristiche della loro struttura organizzativa, siaperch erano stati oggetto per primi di una repressione sistematica da partedelle autorit. Durante tutto il ventennio, il Pci riusc a tenere in piedi e adalimentare dall'interno e dall'estero una propria rete clandestina, adiffondere opuscoli, giornali e volantini di propaganda, a infiltrare suoiuomini nei sindacati e nelleorganizzazioni giovanili fasciste.Tutto questo nonostante i modesti risultati immediati e gli altissimi rischicui andavano soggetti i militanti: pi di tre quarti dei 4500 condannati dalTribunale speciale e degli oltre 10.000 confinati fra il '26 e il '43 furonoinfatti comunisti.Anche gli altri gruppi antifascisti (socialisti riformisti e massimalisti,repubblicani, liberaldemocratici che avevano raccolto l'eredit di Amendolae Gobetti) cercarono di tenere in vita qualche isolato nucleo clandestino inItalia. Ma la loro attivitprincipale si svolse quasi esclusivamente all'estero,soprattutto in Francia, gi sede di una numerosa comunit italiana, dovemolti esponenti antifascisti (fra cui i vecchi capi del socialismo italianocome Turati e Treves e ileader della generazione pi giovane come Nenni eSaragat) si erano rifugiati fra il '25 e il '27 e dove i due partiti socialisti,quello repubblicano e la Confederazione del lavoro ricostituirono i loroorgani dirigenti. Nel 1927 questi gruppi si federarono in un'organizzazioneunitaria, la Concentrazione antifascista, che si ricollegava all'esperienzadell'Aventino, ereditandone, con il contenuto ideale, anche i limiti pratici ele divisioni interne. Nonostante questi limiti, i partiti della Concentrazionesvolsero un'attivit importante a livello di testimonianza e di propaganda,mantennero i contatti con l'emigrazione di lavoro in Francia, fecero sentirela voce dell'Italia antifascista nelle organizzazioni internazionali,stamparono i loro giornali, proseguirono in esilio le elaborazioniideologiche e i dibattiti politici iniziati in patria sulle ragioni della lorosconfitta e sui possibili fattori di una riscossa democratica. Di particolareinteresse fu il dibattito autocritico che vide impegnati i socialisti e cheport, nel 1930, in un congresso tenuto a Parigi, alla riunificazione dei duetronconi in cui il Psi si era diviso nel '22.

Un nuovo impulso all'azione concreta contro il fascismo e un'apertacritica alla tattica "attesista" della Concentrazione vennero dal movimentodi Giustizia e Libert (in sigla GL), fondato nell'estate del '29 da dueantifascisti della giovane generazione: Emilio Lussu e Carlo Rosselli (chenel '37 sarebbe stato assassinato da sicari fascisti assieme al fratello Nello).GL voleva essere innanzitutto un organismo di lotta sul tipo del Partitod'azione mazziniano, capace di far concorrenza ai comunisti sul pianodell'attivit clandestina (infatti riusc a costituire piccoli nuclei organizzatiin varie citt); ma si proponeva anche come punto di raccordo fra socialisti,repubblicani e liberali, come nucleo di una nuova formazione che sapesseconiugare gli ideali di libertpolitica e di giustizia sociale,ricomponendo lafrattura fra liberalismo e marxismo, secondo le linee indicate da Rosselli inun libro del 1930 intitolato Socialismo liberale.Fortemente polemici verso i partiti della Concentrazione, ma altrettantoostili ai tentativi di GL, erano i comunisti, presenti anche loronell'emigrazione ma attestati, fino al '34-35, su una posizione di orgogliosoisolamento. Anche i comunisti avevano un "centro estero" con sede aParigi:ma esso dipendeva strettamente dai dirigenti che risiedevano a Mosca, acontatto con i vertici dell'Internazionale comunista. Palmiro Togliatti, illeader che aveva preso il posto di Gramsci (arrestato nel '26) e che guidcon notevole abilit il partito negli anni dell'esilio e della clandestinit, eraanche un dirigente di primo piano nel Comintern. Era dunque inevitabileche il Pci si allineasse senza riserve alla strategia dettata da Mosca, che neseguisse fedelmente anche le formulazioni pi settarie (come quelle relativeal "socialfascismo"), che si adeguasse all'imperante culto di Stalin. Idirigenti che assunsero posizioni eterodosse furono espulsi dal partito. Lecritiche alla linea ufficiale formulate in carcere da leader come Terracini eGramsci rimasero sconosciute aimilitanti. Egualmente sconosciute rimaserole originali riflessioni sulla sto ria d'Italia, sul ruolo degli intellettuali e sullastrategia del partito formulate, sempre in carcere, da Gramsci e affidate aiquaderni di appunti che sarebbero stati pubblicati nel secondo dopoguerra,molti anni dopo che il loro autore si era spento, nel 1937, stroncato dalladura esperienza carceraria.A met degli anni '30, la svolta dei fronti popolari inaugur anche perl'antifascismo italiano una fase nuova, che vide il Pci riannodare i contatticon le altre forze d'opposizione, partecipare alle manifestazioni unitariecontro il fascismo, stringere nel '34 un patto di unit d'azione con isocialisti. Ma questa stagione, che conobbe il suo momento pi alto conl'esperienza della guerra di Spagna, dur solo pochi anni. Il fallimento delFronte popolare in Francia, le lotte interne allo schieramento repubblicano

in Spagna, gli echi delle grandi purghe staliniane, la rottura fra l'Urss e ledemocrazie occidentali culminata, come vedremo pi avanti, nel pattotedescosovietico del '39: tutti questi fatti si ripercossero negativamentesull'unit del movimento antifascista italiano, che fu colto disorientato ediviso dallo scoppio delsecondo conflitto mondiale.Se si volesse tracciare un bilancio del movimento antifascista in base aisuoi scarsi successi immediati, si dovrebbe concludere che la sua incidenzasulla situazione italiana di quegli anni fu poco pi che nulla. Per moltotempo gli antifascisti attesero invano un grande sommovimento popolareche abbattesse il regime. Si illusero che lo scossone potesse venire dallagrande crisi e dall'avventura etiopica, dovendo poi constatare che ilfascismo era uscito rafforzato dall'una e dall'altra. Quando infine scoppi laguerra, si trovarono nella difficile posizione di chi costretto ad augurarsi lasconfitta del proprio paese; e solo nell'ultima fase del conflitto, a disfattaormai avvenuta, ebbero l'occasione di combattere il fascismo con le armi esul suolo italiano. Eppure il movimento antifascista svolse, fra il '26 e il '43,un ruolo di grande importanza politica oltre che morale. Testimoni con lasua sola presenza l'esistenza di un'Italia che non si piegava al fascismo e adessa diede voce e rappresentanza politica; rese possibile il sorgere, dopo il'43, di un movimento di resistenza armata al nazifascismo (movimento cheinvece manc del tutto in Germania); anticip con le sue riflessioni teorichee i suoi dibattiti molti tratti della futura Italia democratica: un'Italia che gliantifascisti non sempre seppero immaginare quale poi sarebbe stata inrealt, ma che certo contribuirono pi d'ogni altro a rifondare.

19.8. Apogeo e declino del regime fascista.

Le incrinature del consenso, L'autarchia, L'impopolarit dell'amicizia conla Germania, I programmi guerrieri di Mussolini, La polemica contro laborghesia, La "totalitarizzazione", Le leggi razziali, L'impopolarit dellacampagna antiebraica, I giovani e il fascismo, La guerra e il fallimento delregime.La vittoriosa campagna contro l'Etiopia segn, per il regime fascista,l'apogeo del successo e della popolarit. Ma, svaniti gli entusiasmi cheavevano accompagnato l'impresa coloniale, il fronte apparentementecompatto dei consensi conobbe alcune significative incrinature e il distaccofra regime e paese si and lentamente ma inesorabilmente allargando.A suscitare disagio e perplessit era innanzitutto la politica economicafascista, sempre pi ispirata a motivi di prestigio nazionale e condizionata

dal peso delle spese militari, che oltretutto servivano, pi che a realizzare unvero riarmo, a domare i residui focolai di guerriglia in Etiopia e a sostenerei costi dell'intervento in Spagna. Alla fine del '35, traendo spuntodall'episodio delle sanzioni, Mussolini decise di intensificare e di rilanciarela politica dell'autarchia, gi abbozzata negli anni '20 (si pensi alla battagliadel grano) e consistente nella ricerca di una sempre maggioreautosufficienza economica, soprattutto nel campo dei prodotti e dellematerie prime indispensabili in caso di guerra. In pratica l'autarchia sitradusse in una ulteriore stretta protezionistica, in un pi intensosfruttamento del sottosuolo e in un incoraggiamento alla ricerca applicata,soprattutto nel campo delle fibre edei combustibili sintetici. Molte industrie- chimiche, metallurgiche, meccaniche, minerarie - trassero dall'autarchiacospicui vantaggi. Ma non mancarono nelle alte sfere economiche leperplessit nei confronti di una politica che implicava fra l'altro uno strettocontrollo governativo sulla produzione, il commercio e gliscambi valutari. Irisultati finali dell'autarchia non furono brillanti. L'autosufficienza rimaseun traguardo irraggiungibile, nonostante i progressi in alcuni settori.L'indice della produzione industriale crebbe, ma piuttosto lentamente.Crebbero anche i prezzi e ci comport (nonostante la concessione dimodesti aumenti salariali) un peggioramento nei livelli di vita delle classipopolari.A questi concreti motivi di disagio si aggiungevano le diffusepreoccupazioni per il nuovo indirizzo di politica estera attuato da Mussolinie dal suo principale collaboratore di questi anni: suo genero GaleazzoCiano, assurto poco pi che trentenne - conuna decisione che non manc disuscitare scalpore - alla carica di ministro degli Esteri. L'aspetto che piinquietava l'opinione pubblica era senza dubbio l'amicizia con la Germania:un'amicizia che urtava contro le tradizioni del Risorgimento e della grandeguerra, e soprattutto contro la diffusa antipatia (anche setalvolta mista a unacerta dose di ammirazione) di cui era oggetto lo Stato nazista. La nuovapolitica mussoliniana si mostrava inoltre priva di risultati immediati (alcontrario, non mancavano gli scacchi clamorosi come quellodell'Anschluss) e faceva sembrare pi vicina l'eventualit di una nuovaguerra europea. Non fu un caso se le uniche manifestazioni di spontaneoentusiasmo popolare di questo periodo si ebbero in coincidenza col ritornodi Mussolini dalla conferenza di Monaco [18.11] e furono rivolte al ducein quanto presunto salvatore della pace.Ma le aspirazioni alla pace contrastavano profondamente con leconvinzioni e i programmi di Mussolini, nelle cui mani stava l'assoluto

controllo delle scelte politiche del paese. Il duce auspicava per l'Italia unavvenire di conquiste e di confronti militari. Persuaso che un nuovoconflitto generale sarebbe scoppiato in un futuro non lontano (anche se neprevedeva l'inizio in tempi pi lunghi di quelli che poi si sarebbero dati),Mussolini pensava che gli italiani avrebbero dovuto non solo armarsiadeguatamente, ma anche rinnovarsi nel profondo, trasformandosi in quelloche non erano mai stati: un popolo di attitudini e di tradizioni guerriere. Ciimplicava da parte del duce un atteggiamento duro e quasi punitivo neiconfronti della popolazione, in particolare della borghesia, intesa non tantocome classe sociale quanto come atteggiamento mentale (tendenza agli agi ealla vita comoda, ricerca del profitto anteposta al perseguimento di idealisuperiori) che doveva essere definitivamente estirpato dal costumenazionale.Per avvicinarsi a questo obiettivo il regime sarebbe dovuto diventare pitotalitario di quanto non fosse stato fin allora. Di qui scaturironouna serie dimodifiche istituzionali, che andavano dalla creazione del ministero per laCultura popolare all'accorpamento delle organizzazioni giovanili nellaGiovent italiana del littorio, dall'ampliamento delle funzioni del Pnf allasostituzione, nel 1939, della Camera dei deputati con una nuova Cameradeifasci e delle corporazioni dove, abolita ogni finzione elettorale, si entravasemplicemente in virt delle cariche ricoperte negli organi di regime. A unamedesima logica rispondevano alcune iniziative di carattere pi che altroformale, e quasi folkloristico, che tuttavia possono dare un'idea del clima diquegli anni: la campagna contro l'uso del "lei" (considerato "servile" e pocoitaliano e da sostituirsi quindi col "voi") e contro tutti i termini stranieri;l'imposizione della divisa ai funzionari pubblici; l'adozione del "passoromano" (una variante del "passo dell'oca" in uso nell'esercito tedesco) perconferire un aspetto pi marziale alle sfilate militari.Ma la manifestazione pi seria e pi aberrante della stretta totalitariavoluta da Mussolini fu l'introduzione, nell'autunno del 1938, di una serie dileggi discriminatorie nei confronti degli ebrei: leggi che ricalcavano nellegrandi linee quelle naziste del '35 [18.4], escludendo gli israeliti daqualsiasi ufficio pubblico, limitandone l'attivit professionale e vietando imatrimoni misti. Preannunciata da un manifesto di sedicenti scienziati (chesosteneva l'esistenza di una "pura razza italiana" di indiscutibile origineariana) e preparata da un'intensa campagna di stampa, la legislazionerazziale giunse tuttavia del tutto inattesa in un paese che non aveva maiconosciuto - al contrario della Germania, della Russia e della stessa Francia- forme di antisemitismo diffuso: anche perch lacomunit ebraica era assaipoco numerosa (circa 50.000 persone concentrate per lo pi a Roma e nelle

citt del CentroNord) e complessivamente ben integrata nella societ.Adottando queste misure, tanto gratuite quanto moralmente ripugnanti,Mussolini si proponeva di inoculare nel popolo italiano il germedell'orgoglio razziale e di fornirgli cos un nuovo motivo di aggressivit ecompattezza nazionale. Ma, anzich suscitare consenso e mobilitazione(non vi furono in Italia, n allora n in seguito, episodi di violenza popolarecontro gli ebrei), le leggi razziali suscitarono sconcerto o quanto menoperplessit nell'opinione pubblica e aprirono per giunta un serio contrastocon la Chiesa, contraria non tanto alla discriminazione in s quanto alle suemotivazioni biologicorazziali.In generale, lo sforzo compiuto da Mussolini sul finire degli anni '30 perfare del regime fascista un totalitarismo "perfetto" e per trasformare gliitaliani in un popolo guerriero ottenne risultati decisamente mediocri.L'unico settore in cui le aspirazioni "totalitarizzanti" ottennero qualchesuccesso di rilievo fu quello giovanile. I ragazzi cresciuti nelleorganizzazioni di regime, gli studenti inquadrati nei Gruppi universitarifascisti, i giovani pi impegnati intellettualmente che ogni annopartecipavano a migliaia ai littoriali della cultura (concorsi nazionaliriservati ai migliori studenti medi e universitari) si abituarono a "pensarefascista", a considerare il regime come una realt immutabile, come unquadro di riferimento obbligato nelle sue linee di fondo. Anche coloro che -magari prendendo troppo sul serio certe proclamazioni rivoluzionarie delduce - svilupparono attivit di fronda pi o meno aperta, lo fecero per lo piin nome del "vero" fascismo delle origini o di un nuovo fascismo ancoratutto da inventare.Fu solo con lo scoppio del conflitto e con i primi rovesci bellici che ilfascismo cominci a perdere progressivamente il sostegno sul quale picontava: quello appunto dei giovani. I quali, diventati nel frattempo soldatie ufficiali, vissero in prima persona il drammatico fallimento di un regimeche, avendo puntato tutto sulla politica di potenza e sull'esaltazione bellica,si dimostr poi incapace di preparare sul serio la guerra, la perserovinosamente e fin per questo col crollare come un castello di carte.

Sommario

Nel regime fascista l'organizzazione dello Stato e quella del partitovenivano a sovrapporsi. Fu la prima per - per volere di Mussolini - adavere sempre la prevalenza, mentre la funzione del Pnf, sempre piburocratizzato, fu quella di "occupare" la societ civile, soprattuttoattraverso le sue organizzazioni collaterali. Un primo limite ai propositi

totalitari del regime era rappresentato dal peso della Chiesa, la cui influenzavenne espressamente riconosciuta coi Patti lateranensi (1929). I Pattirappresentarono anche un successo politico per il fascismo, sancito dalplebiscito di quello stesso anno. Altro limite ai propositi totalitari eracostituito dalla presenza del re quale massima autorit dello Stato.Negli anni del fascismo, nonostante l'aumento dell'urbanizzazione e degliaddetti all'industria e ai servizi, la societ italiana restava notevolmentearretrata. La "fascistizzazione" perseguita dal regime - portatore diun'ideologia tradizionalistica, ma aspirante anche alla creazione di un"uomo nuovo" - pot realizzarsi solo in parte: il fascismo riusc ad ottenereil consenso della piccola e media borghesia, ma solo in misura limitata esuperficialmente quello dell'alta borghesia e delle classi popolari (questeultime videro diminuire i loro salari e iloro consumi).Il regime cerc in modo particolare di esercitare uno stretto controllonell'ambito della scuola e della cultura. Soprattutto si impegn nel campodei mezzi di comunicazione di massa, essendo consapevole della loroimportanza ai fini del consenso. La radio e il cinema furono, cos, siastrumenti di propaganda siamezzi di semplice intrattenimento.Il fascismo non costru un nuovo sistema economico: il modellocorporativo rimase infatti sulla carta. Sul piano della politica economica, sipass nel '25 da una linea liberista ad una protezionistica e di maggiorintervento statale. La "battaglia del grano" doveva servire alraggiungimentodell'autosufficienza cerealicola; la rivalutazione della lira ("quota novanta")aveva il compito di dare al paese un'immagine di stabilit monetaria. Difronte alla crisi del '29, il regime reag attraverso una politica di lavoripubblici ("risanamento" di Roma, bonifica delle Paludi Pontine) e diintervento diretto dello Stato in campo industriale e bancario. Con l'iri loStato divent il proprietario di alcune fra le maggiori imprese italiane.Superata la crisi, il fascismo indirizz l'economia verso la produzionebellica.Fino ai primi anni '30 le aspirazioni imperiali, connaturate all'ideologiadel fascismo, rimasero vaghe. L'aggressione all'Etiopia (1935) mutbruscamente la posizione internazionale del regime. Se l'impresaindubbiamente costitu per Mussolini un grosso successo politico, vista l'adesione della maggioranza dell'opinione pubblica, rappresent anche unarottura con le potenze democratiche. Questa rottura fu accentuatadall'intervento nella guerra civile spagnola e dal riavvicinamento allaGermania (sancito, nel '36, dall""Asse RomaBerlino"). Taleriavvicinamento era concepito da Mussolini come un mezzo di pressione su Francia e Inghilterra: si risolse invece - con la firma del "patto d'acciaio"(1939) - in una subordinazione alle scelte di Hitler.In Italia la maggioranza degli antifascisti - soprattutto ex popolari eliberali - rimasero in una posizione di silenziosa opposizione. I comunistiinvece si impegnarono, bench con scarsi risultati, nell'agitazioneclandestina; sulla stessa linea si mosse il gruppo di "Giustizia e Libert", diindirizzo liberalsocialista. Gli altri gruppi in esilio all'estero (socialisti,repubblicani, democratici, federati nel '27 nellaConcentrazione antifascista)svolsero soprattutto un'opera di elaborazione politica in vista di unasconfitta del regime che l'antifascismo non era in grado di provocare.Nonostante questa debolezza, l'importanza dell'antifascismo risiedette nellafunzione di testimonianza e di preparazione dei quadri e delle piattaformepolitiche della futura Italia democratica.Il consenso ottenuto dal regime cominci a incrinarsi dopo l'impresaetiopica. La politica dell""autarchia" - finalizzata all'obiettivodell'autosufficienza economica in caso di guerra - ottenne solo parzialisuccessi e suscit un diffuso malcontento. Soprattutto l'avvicinamento allaGermania e la politica discriminatoria nei confronti degli ebrei suscitaronotimori e dissensi nella maggioranza della popolazione. Soltanto fra le nuovegenerazioni il disegno mussoliniano di trasformare in senso fascista lavita ela mentalit degli italiani ottennequalche successo.