Il Ducato n.1 - 8 febbraio 2013

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il Ducato Periodico dell’Istituto per la formazione al giornalismo di Urbino Mensile - 8 febbraio 2013 - Anno 23 - Numero 1 Ducato on line: ifg.uniurb.it Distribuzione gratuita Poste Italiane Spa-Spedizione in a.p. - 70% - DCB Pesaro L’EDITORIALE R ieccoci. Siamo tornati. Il Ducato è di nuovo in edicola. I trenta praticanti che lo hanno realizzato negli ultimi due anni sono diventati professionisti e sono sul merca- to, come i loro predecessori. Nonostante la crisi (una delle più pesanti e devastanti degli ultimi decenni) alcuni hanno già avuto qual- che contratto o avviato collaborazioni. Gli oltre trecento giornalisti formati in questa Scuola dal 1990 a oggi sono inseriti nelle più impor- tanti redazioni italiane e anche con incarichi di responsabilità. Il nuovo Ducato sarà ideato, scritto e realizzato da un nuovo gruppo che vi racconterà ciò che accade in questo territorio secondo i principi che guidano da sempre questa Scuola: autonomia, indipendenza, cor- rettezza, rigore etico, rispetto della verità e di tutte le opinioni. Abbiamo parlato di “nuovo” Ducato perché se nella forma è rimasto pressoché lo stesso, nella sostanza è profondamente cambiato. Il gior- nale cartaceo uscirà ogni tre settimane e cure- rà l’approfondimento delle notizie e dei temi che svilupperemo invece attraverso il quoti- diano su internet, il Ducato online (http://ifg.uniurb.it). Cambia l’organizzazione che sarà orientata verso le nuove tendenze del- l’informazione. Le Scuole di giornalismo non sono state concepite per “clonare” i giornalisti esistenti, ma per creare professionisti diversi. I giornalisti di ieri e di oggi hanno i loro meriti, hanno aiutato e favorito lo sviluppo delle liber- tà e della democrazia nel nostro paese, ma sono figli del loro tempo. In questi ultimi anni sono arrivati nuovi media, nuovi linguaggi, nuovi modi di esprimersi; sono cambiati tempi e ritmi; siamo entrati nell’era della mul- timedialità e del digitale. I nuovi strumenti da un lato agevolano il lavoro del cronista, ma dall’altro lo complicano enormemente. Le Scuole devono intuire, capire e anticipare i processi che stanno investendo il mondo edi- toriale. Con il nuovo corso, cominciato il 12 novembre scorso, questa Scuola ha accelerato il processo di integrazione fra i media e lo sviluppo della multimedialità che la caratterizza e distingue ormai da anni. Continueremo a seguire con scrupolo e attenzione tutto ciò che avviene in questo territorio e cercheremo di raccontarlo con equilibrio e spirito critico, senza precon- cetti o posizioni precostituite. La ricerca della verità è la stella polare che guida l’operato della redazione e pur avendo coscienza di quando sia difficile raggiungerla – se non addi- rittura impossibile – cercheremo di avvicinarci all’obiettivo che ci impone la legge istitutiva dell’Ordine: “La verità sostanziale dei fatti”. Il Ducato online diventerà il perno e il punto di riferimento della nostra informazione e spe- riamo anche dei nostri lettori. Nella testata sul web racconteremo, quasi in tempo reale, ciò che avviene nel territorio. Lo faremo coinvol- gendo i lettori con una sempre più stretta inte- razione e integrazione con i social network. Nel Ducato online troverete anche video, audio, fotogallery e tutto ciò che serve per raccontare fatti e avvenimenti. Il Ducato cartaceo diventa il giornale di appro- fondimento. Ogni numero avrà un tema preva- lente che cercheremo di sviluppare in tutti i suoi aspetti. Questo primo numero del 2013 è dedi- cato all’economia, agli effetti della crisi e alle prospettive e ai problemi che ci attendono. Vi proponiamo un’analisi che abbiamo fatto inter- pellando imprenditori, rappresentanti di cate- gorie, gente comune, personaggi autorevoli e analisti, come il prof. Ilvo Diamanti e il suo Gruppo di ricercatori, che ringraziamo per la disponibilità e la collaborazione. Cerchiamo di capire e far capire ciò che avviene attorno a noi. Lo facciamo con onestà e la volontà di darvi una corretta informazione, sperando di sbagliare il meno possibile. alle pagine 2 e 3 alle pagine 4 e 5 alle pagine 12 e 13 2013, il lavoro avrà ancora un futuro? Industria Un nuovo Ducato per un nuovo biennio Consumi in calo, ma c’è chi resiste Commercio a pagina 6 In cinque anni chiuse quasi mille aziende Artigianato Dopo l’Imu, arriva anche la tegola Tares Tasse La crisi che verrà

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Ecco il primo numero del Ducato, il periodico della scuola di Giornalismo di Urbino. In questo numero ampio spazio all'inchiesta sulla situazione economica della città ducale.

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il DucatoP e r i o d i c o d e l l ’ I s t i t u t o p e r l a f o r m a z i o n e a l g i o r n a l i s m o d i U r b i n o

Mensile - 8 febbraio 2013 - Anno 23 - Numero 1 Ducato on line: ifg.uniurb.it

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L’EDITORIALE

Rieccoci. Siamo tornati. Il Ducato è dinuovo in edicola. I trenta praticanti chelo hanno realizzato negli ultimi due anni

sono diventati professionisti e sono sul merca-to, come i loro predecessori. Nonostante lacrisi (una delle più pesanti e devastanti degliultimi decenni) alcuni hanno già avuto qual-che contratto o avviato collaborazioni. Gli oltretrecento giornalisti formati in questa Scuoladal 1990 a oggi sono inseriti nelle più impor-tanti redazioni italiane e anche con incarichi diresponsabilità. Il nuovo Ducato sarà ideato,scritto e realizzato da un nuovo gruppo che viracconterà ciò che accade in questo territoriosecondo i principi che guidano da semprequesta Scuola: autonomia, indipendenza, cor-rettezza, rigore etico, rispetto della verità e ditutte le opinioni.Abbiamo parlato di “nuovo” Ducato perché senella forma è rimasto pressoché lo stesso, nellasostanza è profondamente cambiato. Il gior-nale cartaceo uscirà ogni tre settimane e cure-rà l’approfondimento delle notizie e dei temi

che svilupperemo invece attraverso il quoti-diano su internet, il Ducato online(http://ifg.uniurb.it). Cambia l’organizzazioneche sarà orientata verso le nuove tendenze del-l’informazione. Le Scuole di giornalismo nonsono state concepite per “clonare” i giornalistiesistenti, ma per creare professionisti diversi. Igiornalisti di ieri e di oggi hanno i loro meriti,hanno aiutato e favorito lo sviluppo delle liber-tà e della democrazia nel nostro paese, masono figli del loro tempo. In questi ultimi annisono arrivati nuovi media, nuovi linguaggi,nuovi modi di esprimersi; sono cambiatitempi e ritmi; siamo entrati nell’era della mul-timedialità e del digitale. I nuovi strumenti daun lato agevolano il lavoro del cronista, madall’altro lo complicano enormemente. LeScuole devono intuire, capire e anticipare iprocessi che stanno investendo il mondo edi-

toriale.Con il nuovo corso, cominciato il 12 novembrescorso, questa Scuola ha accelerato il processodi integrazione fra i media e lo sviluppo dellamultimedialità che la caratterizza e distingueormai da anni. Continueremo a seguire conscrupolo e attenzione tutto ciò che avviene inquesto territorio e cercheremo di raccontarlocon equilibrio e spirito critico, senza precon-cetti o posizioni precostituite. La ricerca dellaverità è la stella polare che guida l’operatodella redazione e pur avendo coscienza diquando sia difficile raggiungerla – se non addi-rittura impossibile – cercheremo di avvicinarciall’obiettivo che ci impone la legge istitutivadell’Ordine: “La verità sostanziale dei fatti”.Il Ducato online diventerà il perno e il punto diriferimento della nostra informazione e spe-riamo anche dei nostri lettori. Nella testata sul

web racconteremo, quasi in tempo reale, ciòche avviene nel territorio. Lo faremo coinvol-gendo i lettori con una sempre più stretta inte-razione e integrazione con i social network. NelDucato online troverete anche video, audio,fotogallery e tutto ciò che serve per raccontarefatti e avvenimenti.Il Ducato cartaceo diventa il giornale di appro-fondimento. Ogni numero avrà un tema preva-lente che cercheremo di sviluppare in tutti i suoiaspetti. Questo primo numero del 2013 è dedi-cato all’economia, agli effetti della crisi e alleprospettive e ai problemi che ci attendono. Viproponiamo un’analisi che abbiamo fatto inter-pellando imprenditori, rappresentanti di cate-gorie, gente comune, personaggi autorevoli eanalisti, come il prof. Ilvo Diamanti e il suoGruppo di ricercatori, che ringraziamo per ladisponibilità e la collaborazione. Cerchiamo dicapire e far capire ciò che avviene attorno a noi.Lo facciamo con onestà e la volontà di darvi unacorretta informazione, sperando di sbagliare ilmeno possibile.

alle pagine 2 e 3

alle pagine 4 e 5

alle pagine 12 e 13

2013, il lavoroavrà ancoraun futuro?

Industria

Un nuovo Ducato per un nuovo biennio

Consumi in calo, ma c’èchi resiste

Commercio

a pagina 6

In cinque annichiuse quasimille aziende

Artigianato

Dopo l’Imu,arriva anchela tegola Tares

Tasse

La crisiche verrà

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il Ducato

Siamo un paese in decli-no. Gli italiani vivonol’angoscia di una crisiche sembra senzasbocchi e senza fine.Per consumi, benesse-

re e tenore di vita abbiamo fattoun balzo indietro di qualche de-cennio. Molti hanno perso il la-voro; i giovani che lo cercano loconsiderano quasi un miraggio ouna chimera. Le famiglie hannodrasticamente tagliato le spese.Dominano l’incertezza e la pau-ra. Per tirare avanti si intaccano irisparmi o si fanno debiti. I piùdisperati vendono i gioielli di fa-miglia nei compro oro che proli-ferano come funghi. In questoprimo numero del 2013 il Duca-to ha voluto analizzare gli effettidella crisi sul nostro territorio:abbiamo raccolto dati, ascoltatola gente, intervistato gli impren-ditori, siamo andati alla ricerca dichi ha trovato la strada giusta percapire se e come possiamo avereuna speranza, abbiamo intervi-stato studiosi e analisti dei feno-meni economici e sociali.Per avere un orientamento su co-me e dove indirizzare la nostra in-dagine abbiamo sentito prima ditutto un esperto che conosce ilnostro territorio e da anni studiaqueste dinamiche assieme a ungruppo di eccellenti ricercatori, ilprof. Ilvo Diamanti, professoreordinario di Scienze Politiche al-l’Università di Urbino ed edito-rialista di Repubblica. Il profes-sor Diamanti proprio in questigiorni ha presentato a Torino allainiziativa “La Repubblica delleidee” la 37a indagine dell’Osser-vatorio Demos-Coop sul Capita-le sociale degli italiani che ha untitolo molto emblematico: “Ma illavoro ha un futuro?” Diamanti comincia il suo inter-vento citando un economistastatunitense, Jeremy Rifkin chegià nel 1995, in un saggio diven-tato un best seller internaziona-le, preconizzava il trionfo dellemacchine sul lavoro umano e in-dicava possibili soluzioni per ri-durre l’impatto sociale e addirit-tura come trarre vantaggio daquesta trasformazione.“Il lavoro – sostiene Diamanti -non è finito, ma è cambiato pro-fondamente sulla spinta dellacrisi, oltre che delle trasforma-zioni economiche e tecnologi-che. Anche gli orientamenti ver-so il lavoro, in Italia, sono cam-biati, negli ultimi anni. In modorapido e non lineare”. In che modo la crisi ha cambiatola concezione del lavoro?“Il “lavoro in proprio” e la “liberaprofessione” non costituisconopiù un mito condiviso, come ne-gli ultimi vent’anni. Nel 2004 -considerati insieme - costituiva-no il primo riferimento per oltremetà degli italiani (53%). Oggi

per meno del 40%. Per contro, haripreso a farsi sentire il richiamodel lavoro dipendente nella pic-cola e, ancor più, della grande im-presa. Ma, soprattutto, il “pubbli-co impiego” oggi è (ri)diventato illavoro preferito dalla maggio-ranza degli italiani: il 31%, 5 pun-ti più del 2004”.Quali sono le ragioni di questocambiamento? “Le spiegazioni sono diverse. Lapiù importante, forse, è l’insicu-rezza. Tra coloro che, nell’ultimoanno, affermano di aver lavorato,la quota di quanti dichiarano unimpiego “sicuro” è il 42%. La stes-sa misura di coloro che lo defini-scono “temporaneo” o “preca-rio”. Tutti gli altri - il 16% - lo con-siderano, invece, “flessibile”. Laflessibilità, nella percezione so-ciale, non richiama debolezza.Indica, piuttosto, un’attività, me-no strutturata e regolata. La “pre-carietà”, invece, è “stabile tempo-raneità”. Del lavoro e del reddito.La crescita della precarietà ha,dunque, rafforzato l’importanzadel “posto fisso”. Pubblico o pri-vato, non importa. Il 41% degli in-tervistati ambisce a un “posto si-curo” che garantisca un reddito“sicuro”, prima ancora che eleva-to. Anche la ricerca di un lavorogratificante, che dia “soddisfa-zione” perde relativamente dipeso”. Qual è stato l’impatto della crisisulle famiglie?“Il 20% degli intervistati sostieneche nell’ultimo anno, in famigliaqualcuno ha perso il lavoro; il18% che qualcuno è stato messoin mobilità o in Cassa integrazio-ne; il 35% che qualcuno ha cerca-to un’occupazione – ma senzaesito. Il 10%, infine, dichiara diavere un contratto di lavoro inscadenza. La paura di rimaneredisoccupati appare, dunque, ingrande aumento. Coinvolge il56% degli italiani. È cresciuta di26 punti percentuali in circa cin-que anni. Nello stesso periodo, lapaura di perdere la pensione è sa-lita di quasi 20 punti: dal 36 al54%. Così, sembra essersi bloc-cato il mito dell’ascensore socia-le che aveva mobilitato gran par-te della società, facendola sentire“ceto medio”. Nel 2006 era il 60%.Oggi il 43%. Mentre la compo-nente di chi si sente ceto “medio-basso” oppure “basso” è divenu-ta maggioranza: dal 28% al 51%”.Chi è che si sente più minaccia-to?“Le componenti sociali mag-giormente investite dalle paureper il lavoro sono, ovviamente, lepiù vulnerabili. Gli anziani, conminore livello di istruzione. Ledonne, considerate ancora dis-criminate, circa le possibilità dicarriera, dal 58% degli intervista-ti. Tuttavia, secondo il sondaggiodi Demos-Coop, le preoccupa-zioni maggiori riguardano il fu-turo dei giovani e dei figli (62%;16 punti in più in circa 5 anni). Il

64% degli italiani li invita ad an-darsene all’estero. Perché que-sto non è un Paese per giovani”. Ciò ha cambiato anche l’atteg-giamento dei cittadini nei con-fronti delle istituzioni?“La crisi del lavoro, come fonte diorganizzazione e di riconosci-mento sociale, sta erodendo lafiducia nel futuro. Ma anche nel-le istituzioni e nei soggetti dirappresentanza. Non solo neipartiti e nello Stato. Anche le as-sociazioni economiche. Così,non resta che la famiglia a difen-dere i lavoratori. L’ultima citta-della assediata. Dal 2004 ad oggiil dato relativo al suo peso, nellapercezione degli italiani, è tripli-cato: dal 10% al 30%”.La crisi ha creato fratture socia-li?“Nel tessuto sociale e fra gli stes-si lavoratori, si aprono significa-tive divisioni. Una fra tutte: versol’impiego pubblico. Il 60% degliitaliani ritiene che i “dipendentipubblici godano di privilegi in-sostenibili”. In altri termini,mentre cresce l’interesse per ilposto pubblico, il pubblico im-piego è visto con diffidenza. Nonè l’unica contraddizione “cogni-tiva”. Fra gli italiani è calato l’in-teresse a intraprendere un lavo-ro autonomo e professionale edè in aumento la domanda di oc-cupazione nelle grandi imprese.Eppure, la fiducia nelle piccoleaziende appare molto più eleva-ta che verso le grandi imprese.Anche l’appeal della Fiat, oggi, èlimitato”. Gli italiani come vedono il futu-ro?“Gli italiani che denunciano in-certezza verso il futuro sono cir-ca il 60%: 15 punti in più rispettoal 2006. Prima della crisi. L’insi-curezza tocca, ovviamente, gliindici più elevati fra le compo-nenti più “precarie” della socie-tà. Insicure per definizione. Per-ché la “precarietà” nasconde ilfuturo. Così si spiega il senso didisorientamento diffuso. Riflet-te perdita di senso e di orizzonte.E di “posizione”. Perché il lavorocontinua ad essere il riferimen-to più importante della società.Non a caso, se si guarda la classi-fica delle professioni in base alprestigio sociale, si osserva co-me, al di là del punteggio, “tutte”le professioni godano di consi-derazione. Ad eccezione dei“politici”, molto al di sotto dellasufficienza, gran parte dei “lavo-ri” - dagli imprenditori agli ope-rai, dai medici agli insegnanti -superano il 7,5. E negli ultimi an-ni, “guadagnano”, ulteriormen-te, stima sociale. Un altro segnodell’importanza del lavoro, tan-to più in tempi di crisi. Quandoincombe la disoccupazione e laprecarietà diventa “normale”.Perché lavorare non dà solo red-dito. Dà dignità. Riconoscimen-to. Identità. Lavorare stanca.Non lavorare: umilia”.

Ma il lavoroavrà un futuro?

2013, parla il professor Ilvo Diamanti

Nonostante tutto, il posto sicuro rimane il sogno italiano

ILARIA BETTI

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INDUSTRIA

Il2012 è stato un anno difficile per l’Italia, ma per le Marche èstato disastroso. I giovani sono i più penalizzati: non trovanospazio e smettono di studiare. I disoccupati crescono e chi hala fortuna di lavorare lo fa in condizioni sempre più precarie. Leaziende che hanno attutito meglio il colpo sono quelle chehanno avuto il coraggio di investire in nuove tecnologie. Simo-

na Ricci, segretario generale della Cgil della provincia di Pesaro eUrbino, sintetizza il momento con una parola: “drammatico” Qual è la situazione dell’occupazione nella provincia di Pesaro eUrbino?“Il Censis ha rilevato che la provincia di Pesaro e Urbino è stata la piùcolpita dalla crisi nel 2011 e la situazione quest’anno non è certomigliorata. Il dato più preoccupante è il tasso di occupazione giova-nile: negli ultimi 4 anni la disoccupazione tra i giovani della nostraprovincia è cresciuta del 13%, contro una media nazionale del 9%.Questo dato la dice lunga sul nostro sistema industriale, incapace diaccogliere giovani diplomati e laureati. In questo senso abbiamonotato che è aumentato anche il tasso di abbandono dell’attività sco-lastica. Non c’è spazio per i giovani qualificati e questo è un grossodisincentivo allo studio. Il lavoro precario è esploso, così come il nero.I lavoratori sono costretti a sottostare a condizioni di lavoro netta-mente peggiori rispetto agli anni pre crisi”.Quali sono i settori più in difficoltà?“Non c’è un settore in salute, tutti hanno sofferto per la crisi econo-mica. I settori più colpiti sono sicuramente quelli del mobile e dell’e-dilizia. La Merloni è un caso emblematico, si sta facendo di tutto persalvarla”.Però nel mobile ci sono anche esempi positivi: Imab e Scavolini nonhanno disposto neanche un’ora di cassa integrazione quest’anno“È vero, ma le aziende che stanno attraversando meglio la crisi sonoquelle che hanno investito in nuove tecnologie e manodopera spe-cializzata. La crisi è lunga e sono poche le aziende che resistono bene.Non possiamo copiare produzioni come Ikea, dobbiamo produrrequalcosa di nuovo e originale che sia riconoscibile in tutto il mondo”.Cosa proponete per incentivare la ripresa?“Noi pensiamo sia necessario stimolare il processo di aggregazionedelle imprese, perché le piccole aziende non sono in grado di affron-tare le sfide del futuro. Bisogna investire su nuovi mercati e in nuovimateriali, oltre che puntare su fonti energetiche rinnovabili. Stiamoandando in contro a un vero problema ambientale e occorrono scel-te che rispettino il territorio. La politica ha un ruolo centrale in tuttoquesto: la mano pubblica deve orientare le scelte industriali attraver-so incentivi. Naturalmente servono i capitali del privato, ma nei gran-di Paesi come la Germania, si è aiutato il sistema industriale a riorien-tare le scelte d’investimento. Lo Stato dovrebbe avere sempre il pote-re di indirizzo”.

Non c’è odore di le-gno lavorato, maammirando gli at-trezzi degli antichiartigiani ancoraesposti all’entrata

del mobilificio Imab, si respira l’a-ria di un tempo. Tutto intorno lemoderne pareti di vetro circonda-no un ambiente in cui tradizione einnovazione si mescolano.Nessuna cassa integrazione, nes-suna messa in mobilità, nessun li-cenziamento. “Siamo un po’ calatirispetto al 2011, ma per il momen-to teniamo botta” afferma SerenaMingioni, responsabile risorse

umane della l’Industria Mobili An-tonio Bruscoli di Fermignano.Fondata nel 1968 da Antonio Bru-scoli, l’Imab non vuole arrendersialla crisi. E l’affronta, investendo.Con una superficie di 12000 mq ri-coperta da pannelli fotovoltaiciper il risparmio energetico, e con500 dipendenti, tutti tutelati daspecifiche politiche di pari oppor-tunità, l’azienda è una di quelle piùall’avanguardia sul territorio. “L’in-dustria è come una famiglia: quan-do si sta economicamente benenon ci si accorge degli sprechi. Poiarriva la crisi - continua la signoraMingioni - e si cominciano a met-

tere da parte le cose di cui possia-mo fare a meno, le cose in più. Manon si rinuncia a ciò che possa ga-rantire un futuro”. E il futuro è l’ex-port. Australia, Cina, Nord Africa,Turchia: se l’Italia non offre grandipossibilità di crescita, allora megliorivolgersi all’estero, potenziandol’esportazione verso i mercati cherisentono meno della crisi mon-diale. Il futuro sono anche i giovani, per iquali l’azienda organizza stage for-mativi fino a sei mesi solo se preve-de reali possibilità di inserimento.L’obiettivo è cercare di potenziarele idee e le novità che portano sulluogo di lavoro. “In questo modo,c’è un ritorno per entrambi: per illavoratore che cresce, impara epuò esprimere il suo talento. E perl’azienda che, investendo sulle ri-sorse giuste, guadagna riducendogli sprechi”, conclude Serena Min-gioni. L’Imab è poi particolarmen-te impegnata nel campo delle poli-tiche sociali interne. Donne, uomi-ni, diversamente abili, stranieri: lochiamano ‘’nuovo Rinascimento’’e consiste nel rimettere l’uomo alcentro dell’attenzione, o meglio illavoratore, con regolamenti e pro-getti che garantiscano ad ognunole pari opportunità. E’ il caso del “part time reversibile”che dà una grande mano allemamme e ai papà: dopo la nascitadel figlio e fino ai tre anni di età, ineo-genitori hanno la possibilitàdi lavorare dalle 4 alle 6 ore al gior-no. Per le donne, in particolare, siprevede, al ritorno dalla maternità,anche un periodo di affiancamen-to con formazione perché ripren-dano al più presto il ritmo e si riap-proprino del loro ruolo. Ruolo che,durante la loro assenza, viene rico-perto temporaneamente da “nuo-ve leve”: lavoratori in sostituzionema che hanno la possibilità di met-tersi in luce, di farsi notare dall’a-zienda. Una politica interna che l’I-mab attua da tempo, anche dopo laconclusione del progetto “TempoPermettendo” che ha permesso a 9donne dell’azienda di accedere alpart time reversibile per un perio-do dai 6 ai 18 mesi al rientro dellamaternità e di assumere, in sostitu-zione, cinque risorse. Un’altra intuizione di Imab è l’in-novazione tecnologica ecososte-nibile: 3800 pannelli fotovoltaicihanno sostituito la distesa di Eter-nit che costituiva la copertura del-lo stabilimento di Fermignano.Adesso il blu dei pannelli si stagliasu una superficie di 12 mila metriquadri e consente il blocco di emis-sioni per un milione di chili di ani-dride carbonica al giorno. La ridu-zione dell’inquinamento non hasolo un miglior impatto sull’am-biente, ma ha anche un ritornoeconomico: il fotovoltaico per-mette all’azienda avere un rispar-mio del 20% sulla bolletta. Tutti idati sull’impianto vengono regi-strati attraverso un leaf meter, uncomputer realizzato dal designerGiorgio Di Tullio. (I.B)

“Nella provinciauna crisi spietata”

Parla Simona Ricci della Cgil

Imab, la fabbricadel “Rinascimento”

Come rinnovarsi per battere la recessione

Rivoluzionati i rapporti di lavoro e tagliati i consumi energetici

STEFANO CIARDI

Il progetto delle borse Brandina si basa su un’idea tantosemplice quanto geniale: disegnare un prodotto unico e fa-cilmente riconoscibile. Marco Morosini, diplomato all’Isiadi Urbino e ideatore di questo brand, ha deciso di creareuna linea di borse fatte con il tessuto dei lettini da spiaggia. Il tutto è nato quasi per caso, dopo un book fotografico conalcuni bagnini commissionato dalla provincia di Rimini. Inquell’occasione decise di realizzare la copertina del bookutilizzando lo stesso tessuto delle brandine presenti sulset. A quel punto l’idea gli è “esplosa in mano”. Secondo ilsuo ideatore “Brandina è un prodotto che ha un identitàmolto forte. Puntiamo sulla sua unicità”. La produzione av-viene esclusivamente in Italia, tra Pesaro e Rimini. Brandi-na, quest’anno, ha assunto a tempo indeterminato 3 giova-ni, ha appena aperto un nuovo negozio a Cesenatico ed èprevista l’apertura di un punto vendita a Mykonos. L’ambi-zione, secondo Morosini, è “essere nei luoghi di mare piùbelli, da Saint Tropez a Miami”.

BRANDINA, IL BRAND CHE SFIDA MIAMI

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AUrbino il commer-cio resiste allacrisi, ma si trasfor-ma. In centro chi-udono le attivitàartigianali, tra-

dizionali e storiche per esseresubito sostituite da pizzerie,bar e kebab: è il risultato diun’economia che gira attornoagli studenti e che racconta diuna città in rapido cambia-mento, una Urbino senzaurbinati.I numeri dipingono un quadroambivalente della città ducale:il rapporto tra le attività chiusee quelle aperte nell’ultimoanno è in so-stanziale pareg-gio (23 eserciziaperti nel 2012contro 18 chiusi)ma cambia lanatura delle im-prese.Amerigo Varotti,direttore dellaConfcommercioprovinciale, con-ferma che que-sto trend èapplicabile a tut-to il territoriodella provincia proprio a causadella crisi economica: “I lavora-tori espulsi dal settore produt-tivo – ha detto al Ducato – nonriescono a trovare un altroimpiego e si inventano impren-ditori”.E il settore che scelgono per lapropria attività è proprio quel-lo della piccola ristorazione.Basti pensare che nella solaUrbino le imprese di questotipo sono circa un terzo diquelle totali: ben 160 su 512. È la conseguenza della reces-sione: i consumi sono minimie, perlopiù, si fermano ai benidi prima necessità. E se gli stu-denti della “Carlo Bo”diminuiscono, restano in cittàmeno a lungo e, soprattutto,hanno meno soldi in tasca, iprimi a risentirne sono i com-mercianti. Una contrazione che noninteressa solo gli studentidella città ducale ma tutti gliabitanti della provincia: negliultimi cinque anni i consumisono sempre diminuiti e,rispetto al 2011, il caloquest’anno è del 3,9%. A livel-lo regionale, invece, l’indicedei consumi pro capite fascattare l’allarme: il livello èquello di 14 anni fa. NelleMarche si consuma come nel1999 ma il costo della vita èaumentato parecchio, mentreè diminuito il potere d’ac-

quisto dei cittadini.“Ciononostante - spiega il seg-retario della Confesercenti diUrbino Domenico Passeri – ilturnover è molto veloce: perogni negozio che chiude sene apre subito un altro maquesto, specie per ciò cheriguarda il centro storico diUrbino, spesso influisce sullaqualità delle attività presentidentro le mura”. Un’affermazione conferma-ta, almeno nella prima parte,dai numeri: nel biennio2011-2012 sono stati ben 29 icambi di gestione negli eser-cizi di Urbino.Il turnover tra attività com-merciali sembra essere,insomma, l’impronta digitale

che la crisi eco-nomica lasciasul commerciourbinate: nel2009, anno diinizio della crisi,sono stati apertio hanno rinno-vato la gestione26 negozi e 11attività di ris-torazione, nu-meri quasi iden-tici al 2012 che siè chiuso con 31nuovi negozi e

13 esercizi ristorativi chehanno aperto i battenti.A Urbino la vera crisi, dunque,è quella dei consumi. Menodel 10% delle imprese com-merciali e artigiane dellaprovincia effettua espor-tazioni: il restante 90% di-pende interamente da un mer-cato interno nel quale i con-sumatori hanno gravissimiproblemi di liquidità.E per il 2013 le previsioni nonsono poi troppo rosee: a luglioscatterà un nuovo rincaro del-l’Iva che, secondo le associ-azioni di categoria, influirànegativamente su consumi giàparalizzati.“Se i consumatori non avran-no soldi in tasca e dovrannosostenere l’Iva al 21% - hadichiarato Varotti – i com-mercianti della provincia diPesaro e Urbino vivranno unaltro anno di crisi. La prioritàdella politica dovrebbe es-sere proprio quella di incre-mentare i consumi interni,magari abbassando la pres-sione fiscale e abrogando lanorma sulla tracciabilità deipagamenti sopra i milleeuro”. Più soldi ai cittadini (e quin-di ai consumatori) e più soldiai commercianti, insomma.Prima che finiscano anche glispiccioli per un trancio dipizza.

“Sviluppo e non rivoluzione”Parla Gea Ducci, la “mamma” del Consorzio

Se il consorzio ha una “mamma”, questa è lasociologa dell’università di Urbino, GeaDucci, che nel 2009 stese un rapporto sulla

fattibilità del centro.Di che tipo di studio si tratta? Chi ve l’ha affida-to?“Nel 2009 la società Torelli-Dottori ha affidato aldipartimento di Comunicazione un lavoro sulleaspettative e le esigenze dei cittadini in relazioneall’apertura di nuove attività commerciali”. Per quanto riguarda le aspettattive dei cittadinil’impressione è che queste siano state soddisfat-te, ci può confermare l’idea che ci siamo fattichiacchierando coi clienti?“La conferma esiste sia sul piano economico chesu quello sociale. Il Consorzio è la nuova piazza eil nuovo punto di aggregazione della città: daquest’autunno quasi ogni fine settimana c’èstata qualche iniziativa, a cui i cittadini hannorisposto positivamente. Oltre alla possibilità ditrovare prodotti diversi in uno stesso contesto ealla comodità di un grande parcheggio al coper-to e gratuito,non sono mancate le occasioni incui gli urbinati hanno avuto modo di riunirsi. Lacostruzione della pista di pattinaggio dà persinoun’idea fisica di piazza”.Ma questo non ha significato un ulteriore svuo-tamento del centro storico, su cui ricade la per-

dita di iscritti all’università e la crisi del com-mercio tradizionale?“A mio parere non si può dire che un fatto siacausa dell’altro: la mancanza di iniziative chepossano richiamare turisti e residenti dentro lemura, incide sulla desertificazione del centrostorico, almeno quanto l’apertura del nuovopolo commerciale”.Ma i dati dimostrano che nel tanto bistrattatocentro storico alcune attività continuano adaprire.“Sono attività che io definirei frutto della dispe-razione e della precarietà che contraddistinguequesto periodo. Urbino avrebbe bisogno di atti-vità e commerci di alta qualità, a maggior ragio-ne in un centro storico così unico, che dovrebbeancora rappresentare una ricchezza primariaper il nostro territorio”.Quale potrebbe essere una soluzione a questiproblemi?“Superare la contrapposizione fra centro storicoe centro commerciale significherebbe accettarela realtà e la trasformazione cui stiamo assisten-do. Un’idea potrebbe essere quella di scommet-tere sul progetto di città-campus, visto che glistudenti, nonostante il calo, sono la prima ric-chezza di Urbino”.

(s.c.)

FRANCESCO CREAZZO

Il commerciocambia pellema non molla

L’invasione dei piccoli ristoranti

Fra aperture e chiusure bilancio in pari

A Urbino e provincia i consumi scendono del 3,9%rispetto al 2011

Tutti i numeri del commercio

APERTE 15 23

ATTIVITA’ COMMERCIALI 2011 2012

CHIUSE 8 18CAMBI DI GESTIONE 4 9TOTALI 335 352

APERTE 7 5

ATTIVITA’ RISTORAZIONE 2011 2012

CHIUSE 1 5CAMBI DI GESTIONE 7 9TOTALI 159 160Fonte: Ufficio Commercio Comune di Urbino

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COMMERCIO

Centri commerciali avanti tuttaClientela in arrivo anche da Fermignano, Fossombrone e Urbania

I costruttori: “Nessuna concorrenza con la città antica, il ‘target’ è diverso”. Passi avanti per l’Ipercoop

Il centro commerciale “IlConsorzio”, inaugurato loscorso aprile, è il simbolopiù visibile del cambia-mento socio-economicoche Urbino sta affrontan-

do. Quali sono i fattori che stan-no delineando l’evoluzione dellacittà – palazzo e delle colline cir-costanti in questi anni?Il “Consorzio” è stato inauguratolo scorso 8 aprile: un edificio instile moderno, di notevoleimpatto ambientale, che ospitaal suo interno 19 attività com-merciali: dall’alimentari all’ab-bigliamento, dai giocattoli aiprofumi. Nel seminterrato si tro-vano un parcheggio e una pale-stra. Dai vetri trasparenti s’intra-vedono giovani e meno giovaniintenti a sudare a tutte le ore delgiorno. Si può anche pattinaresul ghiaccio: la pista è stata inau-gurata questo inverno. Sono 4 o5 i locali vuoti e all’ingressocampeggia un enorme cartellocon la scritta affittasi. I commer-cianti che si sono trasferiti quida paesi limitrofi (Fermignano,Fossombrone, Urbania) appaio-no soddisfatti della loro scelta.Le titolari del negozio di giocat-toli raccontano volentieri la lorostoria: sono due amiche, exdipendenti dell’ospedale diUrbino. Quando hanno perso illavoro, hanno deciso di aprirequest’attività. Era il 2010. Dueanni dopo il passaggio al Con-sorzio. “Da urbinate, non solo daimprenditrice, apprezzo l’aper-tura del centro commerciale: c’èun comodo parcheggio e tuttoquello che serve è concentratoin pochi metri. Si vede anchegente da Fano e da Pesaro”.Le commesse di una nota cate-na d’abbigliamento, che ha dapoco chiuso il suo esercizio nel

centro storico, dicono che nonesiste concorrenza con VialeMazzini o Corso Raffaello. “Ilcommercio sta cambiando:all’interno del Consorzio nonpotrebbero sorgere le stesse atti-vità che esistevano una volta nelcuore di Urbino, chi viene quivuole prodotti diversi , ma non èdetto che in una giornata disvago poi non scelga di farsi ungiro dentro le mura”.La scommessa dei costruttoriTorelli–Dottori è creare un polocommerciale avanzato, attraenteper i cittadini di tutta la provin-cia, che, nelle visioni di lungotermine degli amministratoricomunali e degli imprenditori,dovrebbero scegliere Urbinopiuttosto che Fano o Pesaro per-ché, oltre a trovare le ultimenovità in fatto di prodotti, poipotrebbero tranquillamentelasciare la macchina e recarsi inuna delle città patrimonio del-l’Unesco.In quest’ottica l’apertura dell’I-percoop Adriatica non sembraun azzardo. “Si va incontro allenecessità dei consumatori” con-ferma Gianluca Gresti, dellaTorelli Dottori Group, in primafila anche nella costruzione delnuovo polo in località SantaLucia, che nell’ipotesi dell’archi-tetto giapponese che ha firmatoil progetto, dovrebbe superare ilproblema dell’impatto ambien-tale, ricreando giardini e verdein tutto il nuovo edificio.Ma sulla costruzione degli altridue poli in località Fornace ePetriccio da molte voci giungo-no perplessità: Domenico Pas-seri di Confesercenti affermache il bacino urbinate appare giàsaturo. Ma suggerisce questacomplementarietà alla base delfuturo sviluppo del territorio:“Abbiamo sostenuto con forzal’apertura del primo centrocommerciale, che rappresenta

un’ulteriore attrattiva per tutto ilterritorio”. Il progetto di riquali-ficazione di Urbino partirebbeda questi due poli: il Consorzio eil centro commerciale naturaleall’interno del suggestivo Colle-gio di Raffaello. Il primo lasciaspazio all’acquisto veloce e aimarchi noti, mentre il secondopunterebbe sui prodotti tipici,l’artigianato e le manifatturelocali, i settori maggiormentecolpiti dalla crisi. Il centro com-

merciale naturale stenta a parti-re: in tempi di bassi consumisono davvero pochi gli impren-ditori disposti a partire da zeroper rivitalizzare un ex settore dipunta dell’economia italiana.Passeri conferma “In centrosono più i negozi che chiudonoche quelli che aprono. S’investein paninoteche, pizzerie e pani-nerie. Ma anche queste a lungotermine non appaiono davveroattività sostenibili.Accettare il

cambiamento del profilo socialeed economico del territorio esuperare la rivalità tra centrostorico e nuovi poli commercialiappare l’unica strada percorribi-le, tenendo in conto che, comeafferma la sociologa Gea Ducci,curatrice di uno studio che hapreceduto l’apertura del Con-sorzio, “Le ricchezze culturali eartistiche sono i beni comuni dacui partire per riqualificare larealtà urbinate”.

SILVIA COLANGELI

Nonostante la crisiTanti sono gli esercizicommerciali apertia partire dal 2009 e ancora attivi

65

Prima della crisiQueste le nuove aperturedi esercizi commerciali fissinell’anno 2009

26

La realtà oggiIl numero delle attività commerciali del comune di Urbino all’inizio del 2013

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L’orefice: “Menooro, più acciaio”“Il mese di gennaio è stato drammatico,già da febbraio andrà meglio perché glistudenti stanno tornando in città”. Persi-no la gioielleria, a Urbino, si muove alritmo dell’università.“Quando ci sono le lauree – ha spiegatoal Ducato la titolare di una gioielleria divia Veneto – ci sono più affari. E poi aluglio, nonostante tutto, arriva ancoraqualche turista”. Per incrementare levendite, in vetrina poco oro: si punta sumetalli minori come argento e acciaio.“I prodotti che richiedo ai fornitori sonoquasi sempre di fascia medio bassa”perchè nessuno, nè gli studenti nè i lorogenitori, ha i soldi per potersi permette-re una catenina o un orologio di marca.“La crisi non ci ha affamati, ma ci hacostretto a trasformarci per soddisfarele esigenze del mercato”. (f.c.)

LA STORIA/1

E l’elettricistataglia i fili“Aveva progettato l’impianto elettricodell’ospedale” racconta un ristoratoreche spesso gli prepara i pasti. Venerdì èstato l’ultimo giorno di apertura per GinoTallarini, elettricista per oltre sessantaanni, al numero 50 di una delle vie prin-cipali di Urbino.“La crisi ha ucciso inegozi del centro. Non mi dispiace tantoper me , ma per i giovani che hannogrosse difficoltà ad intraprendere un’atti-vità”, dichiara. Gino Tallarini ha iniziatonel 1963, vendendo fili, lampadine e for-nelli. “Portava le bombole del gas atutta la città, mi ricordo il suo furgoncinosempre in giro per questi vicoli” ricordauna signora titolare di un negozio pocopiù su. “Non credo che al mio posto arri-verà un altro elettricista: troppe tasse etroppa burocrazia rendono impossibileesercitare questa attività”. (s.c.)

LA STORIA/2

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il Ducato

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ARTIGIANATO

Mille artigiani si sono arresi Aumentano solo disoccupazione, cassa integrazione e botteghe chiuse

Per la Cna “siamo alla totale paralisi del settore”. Edilizia e manifatturiero in testa all’inarrestabile discesa

Circa mille impreseartigiane, dellaprovincia di Pesaroe Urbino, hannochiuso le attivitànell’arco degli ulti-

mi cinque anni e non sono staterimpiazzate. Vuol dire che cin-quemilacinquecento impresesono scomparse e ne sono natequattromilacinquecento, la-sciando poco meno di millespazi vuoti. Questo è successodal 2008 a adesso, ovvero dall’i-nizio di una crisieconomica cheha consumatoprima i salari, poii risparmi e cheora chiede il con-to, quello vero. Solo nel 2012 ilsaldo tra cessa-zioni e nuove re-gistrazioni, quel-le che nel settoresono definite leimprese “morte”,è stato di circaquat t rocento.L’ambito più colpito è quelloedile, con centosessanta impre-se in meno. L’aumento dei lavo-ratori iscritti alle liste di mobili-tà è stato del trenta per cento, leore di cassa integrazione quasidel centocinquanta per cento.Gli occupati, per andare nel det-taglio, sono passati da 57.591 a46.117, quindi ne sono andatipersi 11.474; le assunzioni sonodiminuite del venti per cento. Fausto Baldarelli, responsabileprovinciale della Confederea-zione Nazionale dell’Artigiana-to per le costruzioni, parla di uncontesto “completamenteparalizzato, che si limita ad an-dare avanti con i pochi lavori diriparazione. Anche la Provincia– continua - non appalta più senon per la manutenzione di

strade e poco altro”. Una situa-zione molto preoccupante, vi-sta la specificità del settore e ilpeso che occupa nell’econo-mia provinciale - quasi il ses-santa per cento del totale delleattività secondarie – senza con-tare il fatto che da quello dellecostruzioni dipendono moltialtri settori, come l’impiantisti-ca, gli arredi e la serramentisti-ca. Altro ambito fortemente colpi-to è il manufatturiero, che haperso centosei imprese, so-prattutto nel tessile e nella la-vorazione di legno e mobili. A

seguire trasportie autoriparazio-ni, rispettiva-mente con qua-rantatré e dodiciattività in meno.Se la cavano me-glio la ristorazio-ne e il settore ali-mentare in ge-nere, gli unicidue in contro-tendenza – sepure minima -con sei attività inpiù, nate nell’ul-

timo anno. Certo all’interno diquesto saldo positivo resta lachiusura di ottantacinque vec-chie attività. “Anni fa chiudeva-no per andare in pensione –commenta Luciana Nataloni,responsabile ConfederazioneNazionale dell’Artigianato peril settore alimentare – adessosono legate alla crisi. Ci sonocontinue aperture e chiusure,oltretutto i dati che ci stanno ar-rivando ultimamente testimo-niano un rallentamento anchein questo settore”.Dati, numeri, bilanci e rielabo-razioni che prendono vita per lestrade delle città e dei paesi,sotto forma di saracinesche ab-bassate, riduzioni degli orari dilavoro, dei dipendenti e negoziabbandonati. Ce lo hanno con-fermano gli artigiani di Urbino.Quelli che sono rimasti. Un im-prenditore edile della zona, da-vanti a un caffè in piazza dellaRepubblica, ci ha racconato dicome sia stato costretto a met-tere in cassa integrazione i di-pendenti che lavoravano perlui da trent’anni, e di come lasua attività stia lentamente sof-focando: “Non c’è lavoro, le ban-che non danno più finanziameti– ci dice - non posso fare investi-menti o continuare in questecondizioni.” Un laboratorio ora-fo del centro ci confessa di ri-uscire ad andare avanti soprat-tutto grazie alle riparazioni “si-curamente il fatto di non avereconcorrenza mi avvantaggia,prima eravamo sette qui a Urbi-no, ma io creo e vendo ‘quell’ inpiù’ che la gente in questo mo-mento non può permettersi.” C’è anche una tappezzeria arti-gianale che lavora ancora nelcentro storico. Ci riesce perchéper non perdere i clienti ha ab-bassato i prezzi: “è inutile pian-gersi addosso. Se faccio lo stes-so lavoro di una grande aziendae, oltretutto, lo faccio pagare dipiù non vado avanti”.

La nobile arte della BirraApecchio scopre l’Alogastronomia. Cioè...

Le imprese artigianeDal 2008 al 2012 hannochiuso i battenti quasi milleaziende artigiane nella pro-vincia Pesaro-Urbino

-957Edilizia in crisi I numeri del settore nonlasciano dubbi: la mancanzadi lavori edili ha travoltotutti i settori dell’indotto

-160Manifatture Tessile, abbigliamento,legno: non si salvano le atti-vità tradizionali del cosiddet-to “modello” marchigiano

-106

“Alogastronomia”, ovvero l’arte che com-prende l’insieme delle regole che deter-minano la produzione e l’assunzione

della birra. È la nuova parola creata dall’associa-zione Apecchio Città della Birra, appunto nelpaese di Apecchio, tra le rocce del Monte Nerone,per definire cosa sta succedendo nelle Marchenell’ultimo anno: puntare alla cultura della birraartigianale per aprire nuove frontiere di sviluppoe promozione del territorio. A testimoniare laserietà e l’entusiasmodel progetto c’è ancheuna nuova figura isti-tuzionale, creata conun decreto provincialead agosto: l’assessoreprovinciale all’aloga-stronomia. A settem-bre, infine, si è svolta aApecchio la prima edi-zione del FestivalNazionale dellaAlogastronomia, unprogetto pensato, al momento, come triennale.“La sfida è superare le logiche individualistiche –ci dice Massimo Cardellini, presidente dell’asso-ciazione Apecchio Città della Birra – per oraabbiamo fatto una mappatura di tutte le attivitàdi produzione, per estendere il progetto all’inte-ro territorio, e siamo riusciti a creare l’alotecaregionale ‘Le Marche di Birra’, un’esposizionepermanente di settantadue diverse etichette, daportare in giro e fare conoscere”.

Ultima idea in cantiere, presentata lo scorso gen-naio alla Fiera internazionale del turismo diUtrecht è il percorso “le strade di birra marchi-giane”, strutturate sullo stile delle strade del vinotoscane. L’idea alla base di questo fermento bir-raio è nata qualche anno fa, da un gruppo localedi giovani, insieme ai due maggiori marchi dibirra presenti nel territorio apecchiese:Amarcord e Collesi. Per quest’ultima la produ-zione di birra è iniziata nel 2007 quasi per caso,

dal suggerimento dell’am-basciatore del Belgio inItalia, incontrato a unadegustazione di grappa, chesi propose di “prestargli” unmastro birraio. Adesso l’a-zienda esporta anche all’e-stero e ha in previsione unampliamento della produ-zione. “Il segreto di una birradi qualità – ci spiegaGiuseppe Collesi, proprieta-rio dell’omonima etichetta –

oltre all’orzo è l’acqua, e qui abbiamo quella delmonte Nerone”. Sono sedici i produttori attivi nella regione; quat-tro i birrifici in provincia di Pesaro e Urbino, trein quella di Ancona, due in quella di Fermo e trea Ascoli Piceno. Sono strutturate per lo più sottoforma di aziende agricole, utilizzando l’orzolocale, o di brewpub, cioè locali e ristoranti cheservono birra di produzione propria.

(m.c.)

MARTA CIONCOLONI

L’acronimo sta per:Costruiamo Relazioni eOpportunità Strutturandoe Supportando Insieme iNostri Giovani. In prati-ca, ci sono ancora 150euro mensili per 15“posti” per giovani cheabbiano dai 16 ai 35anni e che abbianovoglia di imparare unmestiere. L’iniziativa èdella Comunità Montanadell’Alto e MedioMetauro, in tandem conl’AmministrazioneProvinciale e il Centroper l’Impiego di Pesaroe Urbino. Tutte le infor-mazioni sul sito:www.cm-urbania.ps.it

CROSSING

Nel 2012hanno perso

il lavoro in 11.474

Assunzionidiminuitedel 20 %

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AGRICOLTURA

La mela chiavi in manoRivive “l’Orto dei frutti dimenticati” di Tonino Guerra

Nel “Sorbo” per assaggiare la pesca sanguinella, l’uva torbiano, giuggiole e prugnoli

VIRGINIA DELLA SALA

Maialini a tutto biogasCon 800 suini e 210 mucche, 100 Kw l’ora

Un’azienda di centocinquanta ettari e più dimille capi di bestiame può essere autosuffi-ciente ed ecocompatibile nel Montefeltro? La

risposta è sì e per scoprirlo basta arrivare aSant’Angelo in Vado, immergersi nelle campagne checircondano l’antico cimitero e salire fino all’aziendaagricola Luzi dove l’energia elettrica che alimenta lestrutture è fornita dall’impianto di biogas, installato loscorso anno, e dai sistemi di pannelli solari. L’aziendaha come settore principale quello dell’allevamentobovino e suino: gli animalisono nutriti con foraggi emangimi provenienti daicampi dell’impresa e le lorocarni sono lavorate e vendu-te da punti vendita associa-ti. Un ciclo completo e chiu-so, ma non solo. Torna utileil detto “del maiale non sibutta niente” ed in questocaso è proprio così poichègli scarti e i liquami degliottocento maiali e dei 210bovini diventano anchefonte di energia attraverso un procedimento moltosemplice: i liquami, le erbe spontanee e i residui dellalavorazione dei foraggi vengono raccolti in un com-pattatore che li lavora prima di spingerli in una vascadi quattordici metri di diametro e sei di profondità.L’azione meccanica di una pala rotante e la tempera-tura di cinquanta gradi favoriscono la produzione digas naturale che mette in funzione un motore addet-to a convertirlo in energia. L’energia è poi immessa in

rete, copre i consumi dell’azienda, le spese di installa-zione e, in caso di surplus, rientra sotto forma di con-tributo del gestore. Si tratta di una produzione dicento kilowatt all’ora e al termine del ciclo, un selezio-natore separa gli scarti solidi da quelli liquidi edentrambi vengono ridistribuiti nei campi sotto formadi concime. È un sistema che, con una manutenzionedi circa duemila euro mensili, assicura un’entrataenergetica pari a sedicimila euro al mese. La realtà degli impianti di biogas, tuttavia, è comples-

sa: nei mesi scorsi laColdiretti e altre associazio-ni di categoria hanno inizia-to una protesta contro lacostruzione di nuoviimpianti, autorizzati primadella legge regionale di rego-lamentazione (ottobre2012). Alla base della prote-sta, l’impatto ambientaleche il proliferare di questeaziende ha sull’agricolturadel territorio: nascendo uni-camente come produttrici

di energia, non userebbero solo sostanze di scarto, maricaverebbero la biomassa da “lavorare” direttamenteda coltivazioni mirate e, quindi, da terre sottratteall’agricoltura e alla produzione alimentare. Ultimo,in ordine di tempo, il progetto che l’impresa ConvertItalia sta realizzando ad Acqualagna per conto di un’a-zienda locale : due impianti di potenza pari a millekilowatt all’ora ognuno, dieci volte superiore a quellaricavata dall’azienda Luzi. (v.d.s.)

Le nuovefrontiere: i giovanii prodotti finitie il biologico

Coldiretti

L’impianto di biogas dell’azienda Luzi

L’agricoltura delMontefeltro è unavecchia signorache cammina apasso lento tratrentamila ettari di

campi, 1600 aziende agricole,330 allevamenti bovini, coltiva-zioni di cereali , foraggio e legu-mi. Eppure, questa donna anticache ha perso nel 2012 almeno320 aziende nella provincia diPesaro-Urbino, che ha affronta-to il nevone e la siccità, sta pianpiano cambiando il suo aspettoadeguandosi alle trasformazio-ni della natura e della società,come testimoniano i dati delPiano di Sviluppo Rurale perl’insediamento di giovani (193richieste in tutta la regione perun totale contributi pari a 11 mi-lioni di euro). Nel territorio provinciale, a fron-te della chiusura di circa due-cento aziende, sarebbe aumen-tata del 127% la richiesta da par-te degli under 30 per investi-menti destinati a fabbricati emateriali per la trasformazionee la vendita dei prodotti, comelaboratori e negozi aziendali. “Sitratta di un dato che sottolineacome i giovani si stiano avvici-nando all’agricoltura, cambian-done l’immagine- ha commen-tato il presidente della Coldiret-ti Marche– e le aziende che han-no chiuso appartenevano so-prattutto a pensionati che nonavevano investito sul futuro”. Il cambiamento riguarda la fun-zione dell’azienda, che è passa-ta dall’essere seminatrice e rac-coglitrice di prodotto al gestiretutto il processo produttivo, dal-la semina alla vendita dell’ali-mento finito: “In questi termini-conclude - si tratta di un sistemadinamico che invoglia i giovaniad avvicinarsi alla terra”.Un mutamento positivo, cometestimoniano i dati nazionali,con un aumento dell’occupa-zione del 10,6% nei primi sei me-si del 2012 (di cui un 4,6% costi-tuito da under 40).Diversa, invece, la lettura zoo-tecnica: la crisi che ha colpito gliallevamenti è stata puramenteeconomica. All’aumento del co-sto di foraggi (conseguenza del-la crisi dei cereali, dovuta allasiccità) e gasolio di circa il 30-40%, non è seguito l’aumentodel prezzo di carne e latte. Peramore del consumatore, in uncerto senso, ma anche per man-tenere i livelli di vendite. “Il Mon-tefeltro- aggiunge il presidentedella Coldiretti- è pieno di pic-coli allevamenti, soprattutto dirazze bovine marchigiane pre-giate, che andrebbero tutelatipoiché, al di là del loro aspettoeconomico, il terreno si ‘nutre’ esi rigenera proprio grazie allapresenza di questi animali”.Le previsioni per il 2013 - che do-vrebbe essere l’anno della ripre-sa - mostrano ancora la vecchiasignora in cammino: non saràandata lontano per i campi maavrà comunque fatto qualchepasso competitivo in avanti; isuoi allevamenti, invece, po-trebbero pian piano perdersi neimaxi costi che sono imposti dalmercato. (v.d.s)

Arrivare al punto incui l’innovazionecoincide con la ri-cerca del passato epiantare a Frontino(al confine tra Mar-

che ed Emilia Romagna) più dicento tipi di mele “storiche” e al-tre duecento specie di frutta colti-vata da nonni e bisnonni: così An-tonio Santini, 42 anni e titolare delvivaio “il Sorbo”, ha attraversato lacrisi senza scossoni, tutelato daun commercio di nicchia e dallasensibilizzazione dei consuma-tori per i prodotti biologici e in-consueti. A lui è stata anche affi-data la manutenzione dell’ “Ortodei frutti dimenticati” di Penna-billi, ideato da Tonino Guerra efondato nel 1990, e sta lavorandoa un libro sui frutti antichi delMontefeltro.Pera rossina, mela cocomerina,pesca sanguinella, uva torbiano,ulivo pendolino, mela zitella, pe-ranella, prugnoli, giuggiole e vi-sciole...insomma, in cosa consi-ste il suo commercio?“Da dieci anni coltivo e vendofrutti antichi, tutte quelle specieche si sono estinte con la mecca-nizzazione dell’agricoltura e conla produzione: oggi i consumato-ri vogliono trovare in tavola cibi“standard”, che rispondano aspecifici parametri. Io invece va-do alla ricerca di radici di pianteantiche, anche nei campi in cui ègià passato il trattore, nei poderiabbandonati negli anni ’60, negliorti dei monasteri, nelle zone chemi segnalano pastori, contadini eclienti che frequentano le fiere.Non sempre conosco il nome del-le piante che trovo perciò mi adat-to. La “peranella” , per esempio,l’ho chiamata così in onore di Nel-lo, il pastore che me l’ha segnala-ta”.Si può dire che la sua sia una pas-sione fondata sulla tradizione.“Ho sempre amato la terra, anchequando facevo altri lavori e du-rante il periodo di leva, arruolatotra i paracadutisti in Somalia. Hofrequentato la scuola agraria e nel2002 ho costruito, con il sudore ediversi mutui, due serre nei quat-tro ettari di terra di mio padre. Il

mio progetto è stato, da subito, ilrecupero di antichi alberi da frut-to: le persone anziane la mia prin-cipale fonte di informazione. Leilo sapeva che la “mela Sorbina”veniva mangiata dalle donne chefilavano la lana per aumentare lasalivazione?”.No, direi di no. Quali altre pro-prietà hanno questi “frutti anti-chi”?“Queste piante sono più resisten-ti delle altre poiché, in passato,erano selezionate proprio perchéla frutta si conservasse a lungodopo colta, nelle stalle, sotto lapaglia. Una volta ho portato aduna mostra una mela che era sta-

ta colta un anno prima ed era an-cora perfetta”.Non si occupa solo di vendita difrutta, quindi.«Decisamente no. La mia aziendaè principalmente un vivaio ed iovendo soprattutto “frutteti tuttocompreso”. Mi spiego meglio: ilcliente può scegliere tra tre “pac-chetti frutteto”, small, medium elarge, selezionando dal catalogo iltipo di frutti che preferisce. Poi va-do nel suo orto, pianto gli alberisecondo un procedimento di ma-turazione scalare: in ordine di fio-ritura in modo che il cliente possaavere una nuova maturazioneogni settimana. Faccio la prima

potatura e do loro le prime istru-zioni”.La sua azienda ha subìto gli effet-ti della crisi?”Il mio lavoro è legato al meteo eagli investimenti. Non ho risenti-to molto della crisi perché la miavendita è destinata ad una clien-tela che sceglie prodotti biologicie particolari. Inoltre, c’è stata unaforte sensibilizzazione in materiae il settore è in espansione. La pro-va? Da due anni i nostri corsi dipotatura sono frequentati ancheda giovani tra i 20 e i 30 anni che sistanno avvicinando alla terra,magari prospettando di renderlafonte di guadagno”.

Frutta prodottanel vivaiodi AntonioSantiniNella paginaaccantoun artigianoal lavoroe in bassoil logodi Apecchio,città dellabirra

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MONICA GENERALI

“Prossima fermata: città delRinascimento”. Con questoslogan Urbino lancia la suacandidatura a Capitaleeuropea della cultura del2019. L’assessore alla Cultu-

ra Lucia Pretelli è pronta ad affrontare questanuova sfida che vede opporsi ad Urbino altre 15città italiane, anche se la partita è ancora apertae le iscrizioni si chiuderanno a settembre 2013.“Puntiamo tutto sui primi mesi dell’anno con lamessa in scena di spettacoli teatrali - affermal’assessore Pretelli - Il Teatro Sanzio nel 2012 hacelebrato il trentennale della riapertura efesteggia questo ricorrenza con un ricco pro-gramma”. Danza, teatro, ragazzi e arte, sono gli assi nellamanica che Urbino è pronto a giocarsi per por-tare a casa il titolo. Tuttavia la città si trova a farei conti con i tagli al bilancio che non hannorisparmiato la Cultura. “Se si fanno dei tagli,come spesso succede, i primi sono quelli allaCultura. La cosa è triste se si pensa che Urbino èuna città che vive di arte ma che molto spessoviene considerata come un servizio superfluosoprattutto dalle istituzioni locali”. Le rinunce cisono, ma l’assessore assicura che la cultura nonviene sacrificata. I tagli che sono stati fattiriguardano la pubblicità e la sponsorizzazionedegli eventi. La partecipazione di Urbino al pro-getto di “Capitale Europea” è visto dall’ammini-strazione come un’ opportunità per la città dimettersi in mostra non solo nel panorama ita-liano ma anche europeo. “Capitale europeadella Cultura”, infatti, è un piano dell’ UnioneEuropea che permette ad una città di essere perun anno il simbolo della cultura in Europa. Per Urbino è un progetto ambizioso e per esse-re realizzato ha bisogno del sostegno delle isti-tuzioni regionali. Infatti, senza l’appoggio dellaregione Marche che sostiene economicamentela candidatura di Urbino, il sogno di diventareper un anno culla della cultura non sarebbepossibile. “Il progetto non potrebbe esseresostenuto soltanto dal comune di Urbino mafortunatamente la regione Marche ha credutomolto nelle potenzialità della cultura urbinate”.Il progetto vede destinarsi fondi e iniziative dal2013 perché nel 2012 gli eventi programmatinon sono stati organizzati in prospettiva del2019. “Gli stanziamenti del Comune del 2012 nonhanno sostenuto il progetto e per il 2013 non sisa ancora quanti fondi saranno destinati allacultura e al sostentamento di questa campa-gna” aggiunge l’assessore Pretelli. L’anno cultu-rale 2012 di Urbino si è caratterizzato per varieiniziative cui il pubblico urbinate ha rispostomolto bene. Dall’Orlando Furioso, alla danza,passando per il teatro dei ragazzi. Le poltronerosse del Sanzio hanno fatto registrare quasisempre il pienone. Gli urbinati non voglionorinunciare al teatro e sembrano essere coscien-ti del tesoro che hanno tra le mani. “Quest’annoabbiamo avuto moltissime riconferme di abbo-namenti teatrali. È una soddisfazione se sipensa che i giovani sono una larga fetta del pub-blico. A loro abbiamo dedicato il teatro deiragazzi che è molto seguito”. L’iniziativa piùsignificativa dello scorso anno - secondo l’as-sessore - è stata la sala di Lettura a misura dibambino “Lilliput- l’isola della lettura”, uno spa-zio pensato per una fascia d’età di giovani cheva da 0 a 14 anni. “È un progetto che stiamomandando avanti con tanti sacrifici, lo spaziosta crescendo molto anche nel mondo informa-tico per avvicinare i più piccoli alle nuove tecno-logie, abbiamo due I-pad con i quali i bambinipossono consultare applicazioni avvicinandosiai nuovi linguaggi trasversali della comunicazio-ne e delle tecnologie. “Il cinema invece, rappre-senta la faccia della medaglia meno sorridentedella città. Se i teatri si riempiono, i cinema sisvuotano e di questo le istituzioni sembranonon interessarsi, non destinando contributi alloro sostentamento e lasciando al loro destinopezzi storici che hanno fatto vivere la città.

Capitaleeuropeadella cultura

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Madame Verdurin, permette?Dal 26 febbraio “Un amore di Swann” al Sanzio

Atrent’anni dalla sua riapertura,il teatro Sanzio di Urbino èpronto ad accogliere Marcel

Proust. Il 26 febbraio andrà in scenalo spettacolo “Un amore di Swann”della compagnia fiorentina Lombar-di-Tiezzi, dedicato alla secondasezione del primo volume dell’opera“Alla ricerca del tempo perduto”. La traduzione dal francese ad operadi Giovanni Raboni ha reso possibilela costruzione di un’opera teatraleche il regista Federico Tiezzi ha volu-to dedicare in modo esclusivo al con-fronto incrociato di tre personaggiproustiani: Charles Swann (SandroLombardi), Odette (Elena Ghiaurov)e Madame Verdurin (Iaia Forte).“Portare Proust sulla scena è signifi-cato enucleare da un tessuto narrati-vo già di per sé molto teatrale questitre protagonisti- racconta Sandro

Lombardi, attore e drammaturgo-applicando delle minime accortezzecome lo spostamento dalla primaalla terza persona ed il cambiamentodi alcuni tempi verbali rispetto altesto scritto. Le descrizioni sonodiventate sulla scena dei veri e propridialoghi”. I tre protagonisti interpre-tano e commentano la vicenda senzamai uscire di scena, in un movimen-to vertiginoso tanto quanto l’amoreche travolge Swann dopo aver incon-trato Odette, un’ex prostituta, nelsalotto di Madame Verdurin. “Lagodibilità del racconto è garantita dauna dimensione di metateatralitàevidente, ma non particolarmenteaccentuata”, ha commentato Lom-bardi.Il lavoro alla base di “Un amore diSwann” è stato significativo soprat-tutto a livello linguistico, in modoche le parole di ogni personaggiopotessero rispecchiare le metafore di

cui Proust le aveva caricate. “Neltesto ripete più volte come MadameVerdurin sia simile ad un uccello, eFederico Tiezzi ha spinto Iaia Forte atrovare un linguaggio ornitologico,fatto di molti gorgheggi ed onomato-pee”, ha spiegato Lombardi.Il teatro Sanzio offrirà allo spettacololo spazio ideale per una scenografiacomplessa, nonostante “la semplici-tà e la semplificazione degli oggettiscenici siano una scelta stilistica chericorre nel nostro teatro”, come spe-cificato da Lombardi. Dalla prima del23 maggio 2012, nel cortile del Palaz-zo del Bargello a Firenze, dove peresigenze fisiche la messinscena erastata ridotta all’essenziale , questavolta “Un amore di Swann” potràspalmarsi su un vero palcoscenico. E di fronte ad un pubblico che Lom-bardi definisce “colto, arricchito dauna folta presenza giovanile e stu-dentesca”.

AGNESE FIORETTI

Sopra, il cortileinterno di PalazzoDucale Accanto, una scena tratta da “Un amoredi Swann”

Urbino si candida per il 2019

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Cinema, ucciso dal digitalePer le sale sono in arrivo le nuove tecnologie. Ma a costi proibitivi

MONICA GENERALI

Innovazione non è sem-pre sinonimo di migliora-mento. E l’ombra delladigitalizzazione che siimpone per i cinema diUrbino ne è la prova.

Il rischio chiusura è dietro l’an-golo a causa dei costi elevati delnuovo processo di trasmissionevoluto dall’Unione Europea edalle case cinematografiche. A seconda della grandezzadello schermo il costo per l’in-stallazione di un impianto digi-tale, può variare tra i settanta egli ottanta mila euro, a cui biso-gna aggiungere i costi di manu-tenzione annuali (di gran lungapiù alti di quelli attuali). Un risparmio notevole per lecase cinematografiche che nondovranno più stampare lecopie delle pellicole, ma unmacigno se si pensa alle speseche graveranno sui cinema dicittà, come lo storico Ducale diUrbino che da qualche annodeve fare i conti anche con lacrisi e i pochi spettatori. “Alternative non ce ne sono, senon passiamo al digitale chiu-diamo la serranda ma se instal-liamo il nuovo impianto ilrischio è sempre lo stesso per-ché i costi sono troppo elevati”è lo spiazzante annuncio diCostantina Di Tizio Tomassiniche, insieme al marito e allasua famiglia, gestisce il Ducaleda ben tre generazioni. “Questo cinema esiste dal 1950e chiuderlo sarebbe una scon-fitta anche per la città”. Cittàche non aiuta di certo il suocinema ad uscire da questacrisi. Né gli urbinati e gli stu-denti frequentano molto lesedie rosse di via Budassi, né leistituzioni si sono attivate pertrovare sovvenzioni. Uno spira-glio di luce viene dalla RegioneMarche che ha messo a dispo-sizione dei fondi per aiutare icinema ad ammortizzare lespese dell’impianto. Per otte-nerli occorre compilare unbando scaricabile dal sitointernet della Regione e inviarela richiesta entro l’11 marzo.“Questa possibilità non ci fatirare un sospiro di sollievo -dice Costantina Di Tizio - ladomanda deve essere approva-ta dalla Regione e non tutteverranno accettate perché ladisponibilità dei fondi è limita-ta e il risarcimento coprirebbesolo una parte delle spese chemi troverei ad affrontare, nonso se ne vale la pena” I distributori di film hanno sta-bilito una sovvenzione per l’ac-quisto del materiale di proie-zione dei cinema. Si chiamaVirtual Print Fee e si propone diridistribuire i risparmi realizza-ti dagli studi quando si utilizzala distribuzione digitale alposto della distribuzione difilm di stampa. Ma anche qui non è tutto orociò che luccica: “l’incentivo è dicirca 400 euro per ogni 15 gior-ni di proiezione quindi mo-mentaneamente vale soltantoper i cinema multisala. Noisiamo una piccola situazione e

quindi proiettiamo il film sol-tanto per una settimana”.Quello che manca al cinemaDucale è un buon carburante,cioè gli urbinati che mandanoavanti un motore che funzionabenissimo ma che non puòfarlo da solo. Gli studenti che

fino a qualche tempo fa eranogran parte dei clienti del Duca-le stanno piano piano scompa-rendo. “Il 2012 è stato un anno dis-astroso, ci sono stati soltantodue mesi di buona attività, ilresto è da buttare. Nemmeno

gli studenti vengono più alcinema forse perché i film liscaricano sul computer e se liguardano a casa. Ma il cinemaè un’altra cosa”. Il calo cinematografico a livellonazionale nell’ultimo anno èstato del 20 per cento ma nella

piccola realtà di Urbino si èarrivati addirittura al 60 percento e se si andrà avanti così ilprossimo passo sarà quello deititoli di coda. La dead line èprevista per la fine dell’annodopodiché Urbino sarà costret-ta a salutare un pezzo di storia.

200.000 euro per rinnovare tutti gli impianti. Senza interventi della Regione, addio alle proiezioni

CULTURA/SPETTACOLI

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I “Mostry” ritornanoma non fanno più paura

Teatro per ragazzi, quinta edizione

“Sappiate che ho paura di volare, di essere chiuso tra questagente adulta. Ho paura del vento che non sceglie”: il verso diPaolo Volponi che il Museo della Città di Urbino ha inciso

sulla cornice del cortile interno è come l’insegna della Stagione Tea-trale Ragazzi 2012-2013. Per la quinta volta il Teatro Sanzio della città ducale ospita una se-quenza di spettacoli gratuiti rivolti a ragazzi di ogni fascia d’età. Ladomenica pomeriggio bambini e giovani adulti sono tutti invitati, enon solo tra le mura del Teatro Sanzio. L’Assessorato alla Cultura delComune di Urbino, che ha patrocinato l’iniziativa assieme all’Amat(Associazione marchigiana attività teatrali), ha voluto far uscire ilteatro e trasportarlo con il suo pubblico nei luoghi più significatividella città. Il primo esperimento sarà il 5 maggio 2013 presso il Mu-seo della Città, con lo spettacolo “Ho paura del vento”, che chiuderàla stagione.L’intera iniziativa è espressione della volontà di stimolare un pub-blico eterogeneo ma spesso molto piccolo, di accompagnarlo versotematiche “difficili” travestite da marionette e trame fiabesche. L’e-sempio più significativo di questa scelta è dato dalla messa in scenail 27 gennaio di “Pinosso” della Compagnia Prese Fuoco, dedicato al-la Giornata della Memoria. Pinosso è un bambino di cui è rimasto so-lo un mucchio d’ossa, ma che comunque continua a lottare. Lottacontro il male peggiore che esista e che non è la morte, da cui ci si puòrisvegliare, ma piuttosto la perdita della memoria. La stagione domenicale per ragazzi è un viaggio lungo cinque po-meriggi attraverso i grandi temi della vita di ognuno di noi, che conl’arte della recitazione possono arrivare anche ai più piccini.“Cappuccetto Rosso” del 2 dicembre ha aperto la stagione utilizzan-do la danza nell’espressione del desiderio di avventura e di fuga dal-la sicurezza di una strada conosciuta. Lanciarsi in una sfida per af-frontare le proprie paure è anche il tema di “Mostry”, in programma-zione il 17 febbraio. Mostry è un mostro che ha paura di essere un mo-stro, un po’ come l’elefante protagonista del quarto spettacolo (“L’e-lefante smemorato e la papera ficcanaso”, 3 marzo), che soffia i brut-ti ricordi nei palloncini per farli volare via, e si ritrova senza memoria.“Ho paura del vento” regalerà una summa conclusiva, scoprendo inun mondo troppo impostato ed organizzato il mancato coraggio dilasciarsi spazzare via. (a.f.)

A sinistra, la platea del cinemaDucaleSotto, una scenatratta da “Pinosso-le avventuredello schele-trino ebreo”

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TURISMO

In cerca dei turisti perdutiDopo il 2009, l’anno di Raffaello, il settore ha registrato una battuta d’arresto

Itinerari per bikers e “spirituali”. Wi-fi per tutti. Promozioni in Nord Europa. Ecco le idee in cantiere

Prendiamo una gior-nata di sole aUrbino, magari difine marzo, quandola neve è ormai unricordo e i giorni di

freddo intenso sono alle spalle.Il periodo ideale per fare unagita nella città ducale, passeg-giare nei vicoli stretti e sugge-stivi, visitare il Duomo, entrarenel cortile della casa natale diRaffaello per vedere la pietra sucui il pittore impastava i colori.E poi restare con il naso all’insùad ammirare i quadri di Pierodella Francesca e di RaffaelloSanzio nel Palazzo Ducale, “lapiù bella casa di tutto ilRinascimento”, come l’ha defi-nita il critico inglese KennethClark. Gli ingredienti ci sonotutti: sole, bellezze artistiche,paesaggi da mozzafiato. Quelloche manca sono loro, i turisti.O meglio i visitatori ci sono. Ilproblema è che si fermano soloper poche ore. Il tempo di tim-brare il biglietto a PalazzoDucale e ripartire. Turismo dipassaggio, lo chiamano. Unarisorsa, certo, che però non sitrasforma in una reale oppor-tunità di crescita per l’econo-mia di Urbino. Saranno la crisi,le condizioni meteo che nonsempre invogliano a fare gitefuori porta, ma nei primi seimesi del 2012 i turisti chehanno soggiornato a Urbinosono stati solo 40.236, un risul-tato ben lontano da quello rag-giunto nel 2009, quando è stataorganizzata la grande mostrasu Raffaello. In quell’anno iviaggiatori che hanno visitatola città ducale nel periodo cheva da gennaio a giugno sonostati 67.236, di cui 58.642 italia-ni e 8.594 stranieri. Tra questi31.010 hanno alloggiato in unalbergo. Nel 2012 sono stati23.027. Un trend negativo chesi è ripetuto anche nel 2011,quando gli arrivi sono stati40.667e le presenze negli alber-ghi 24.108. Dal 2009, dunque,Urbino ha perso quasi 30.000

Fra luci e ombre la “settimana del baratto”

Tu mi dai una cosa a me...

MARIA GABRIELLA LANZA

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Siete dei fotografi o dei videomaker? Vi dilet-tate a dipingere quadri? Oppure semplice-mente siete degli esperti aggiustatutto? Ora

potete “vendere” le vostre competenze e capaci-tà in cambio di vitto e alloggio nei migliori bedand breakfast di Urbino. Un’opportunità allet-tante per migliaia di viaggiatori e resa possibilegrazie alla “Settimana del baratto”. Basta andaresul sito internet www.settimanadelbaratto.it ecompilare una lista di proposte. Gli albergatoriscriveranno la loro “lista dei desideri”.L’iniziativa è partita a fine novembre, ma dureràtutto l’anno. I viaggiatori che visiteranno la cittàducale ora potranno barattare il loro soggiornoin cambio di piccoli lavoretti. Un vero e proprioscambio di beni e servizi che privilegia il latoumano dell’ospitalità e che non lascia scontenti.I turisti risparmiano il costo dell’alloggio e glialbergatori hanno l’occasione di mettere a postoquel rubinetto che perdeva da troppo tempo o di

fare scorta di vini e oli. “Questa iniziativa rappre-senta la nuova frontiera del turismo” dice AliceAudi, responsabile della locanda Montelippo,che a fine novembre ha partecipato alla settima-na del baratto. “Abbiamo ospitato un fotografocon la sua compagna in cambio di un serviziofotografico. E’ stata un’esperienza positiva. Ognigiorno riceviamo telefonate di persone cheoffrono di tutto: da formaggi a servizi manualicome le pulizie delle stanze”, afferma Alice. Manon tutti i baratti funzionano. Roberto Magi,direttore del bed and breakfast Aquilone raccon-ta la sua esperienza: “Non sono riuscito a con-cludere nessun baratto, perché è difficile dare unvalore oggettivo al bene che ti offrono. Una voltami ha contattato un pittore che voleva barattareun alloggio completo con un suo quadro senzache nemmeno potessi vederlo”. Dunque, tuttosta nel trovare il giusto accordo. Una volta rag-giunto, il baratto è fatto. (m.g.l.)

turisti. I primi a soffrire di que-sta drastico calo, sono loro, glialbergatori di Urbino. “Negliultimi mesi ho avuto il 50% diclienti in meno” - dice EnzoCeccani dell’Hotel San Gio-vanni - dal 2008 teniamo bassi iprezzi, ma così facendo nonsempre rientriamo nelle spese”.E non è un caso isolato. “Il 2012non è stato un buon anno pergli affari. Nel mio albergo horegistrato il 25% di incassi inmeno”, racconta Andrea Mini,direttore dell’Hotel Mamiani.“Nei mesi di dicembre, gennaioe febbraio siamo costretti achiudere l’albergo perché nonabbiamo abbastanza clienti”.Stessa cosa nel centrale HotelItalia, che ha avuto una dimi-nuzione del 20%: “la colpa unpo’ è della crisi e un po’ dellamancanza di comunicazione”,dice l’albergatore IgnazioSantangelo. Allora apriamo ilcapitolo “comunicazione e pro-mozione”. A Urbino basta unevento ben organizzato perportare nella città il doppio deivisitatori. Come è successo nel2009. Ed è proprio quello chesta cercando di fare l’ assessoreal turismo, Maria FrancescaCrespini: “Il nostro obiettivo èquello di far restare i turistinella nostra città. Abbiamopreso accordi con i maggiortour operator”, affermaCrespini. “I nostri turisti pro-vengono soprattutto dal nordEuropa. Per questo promuove-remo la città nelle maggiorifiere estere, da quella di Berlinoa quella di Helsinki, fino adarrivare in Russia”. Ma nonsolo. Ci sono anche la nuovasegnaletica turistica, il wifi inprossimità dei palazzi storicidella città che permette divederli in 3D, i percorsi inmountain bike e gli itinerari sulRinascimento. A Urbino lepotenzialità ci sono tutte, quel-lo che manca è una rete dicomunicazione più capillareche spinga la gente a venire e arestare soprattutto. Il cosiddet-to passaparola. Perché difficil-mente, poi, chi visita Urbinoresta deluso. Passaparola.

A sinistraturisti in filadavanti a PalazzoDucaleA destra, ladiscesaversoTrasanni, la franatransennatasu BoccaTrabariaSud, la curva non segna-lata delSasso

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CITTÀ

MARTA MANZO

Segnaletica orizzontalecancellata, catarifran-genti sui guardrail checi sono e non ci sono,alcuni non riflettono,altri sono sporchi. Di

notte l’asfalto si confonde con ilbuio.“Lanciamo un grido d’allarme –dice Massimo Galuzzi, assessoreprovinciale alla viabilità – lo Statoci ha tagliato tutti i fondi per lamanutenzione. Niente interventistrutturali, niente taglio dell’erba.I pochi soldi che abbiamo liteniamo per lo sgombero neve eper interventi su piccole frane”. Gli urbinati lo sanno e ci fanno iconti tutti i giorni, ma è sufficien-te fare un giro per renderseneconto. Strada provinciale 423. Dal cen-tro commerciale Consorzio, sullavia di Trasanni, sulle curve dallarotatoria fino al maxi Conad isegnali danno la direzione delmovimento, ma soltanto dametà in poi. Prima c’è il muro dicontenimento del terreno sovra-stante, impossibile da vedere albuio, se non con gli abbagliantiaccesi. I limiti di velocità noncondizionano i conducenti, cheappena possono ne approfittanoper superare i veicoli più lenti,invadendo la corsia opposta. Maquale corsia? Le linee non ci

sono praticamente più, fino allarotonda del Conad. Poi, versoTrasanni, la segnaletica orizzon-tale ricompare, ma le curve con-tinuano a essere mal segnalate.Colpa della morfologia del terre-no, colpa dell’assenza di cartelliben visibili, si deve correggerespesso la guida per seguire l’an-damento sinuoso del mantostradale. Bocca Trabaria Sud. Dal Con-sorzio alla stazione. La segnaleti-ca orizzontale è buona, perfetta-mente disegnata a terra. Anchele barriere di protezione ci sono,i paletti che segnalano la direzio-ne di marcia sono ben visibili,ma molti dei catarifrangentiobbligatori sono rovinati oassenti. I segnali di curva sonosparsi qui e là, avvertono delcambiamento solo verso unadirezione e sono posizionati adeviazione già iniziata. Alcuni,sporchi o lesionati, non rifletto-no la luce dei fanali, costringen-do ad alzare gli abbaglianti piùvolte. Almeno finché la stradanon l’hai imparata a memoria.Niente illuminazione: la lucetorna soltanto in prossimitàdella rotatoria per le Conce. Via della stazione. La stradascende dall’ex locale “Mackia”: lasegnaletica orizzontale delimita iparcheggi bianchi e nulla più.Una strada tutta curve, anchequeste non segnalate. Quelli che

Fast food in centro? Una bufala (per ora)

Alle prese col finto McDonald’sQuesto Mc Donald’s non s’ha da fare: nien-

te fast food in centro. Palazzo Liera - ilocali di via Veneto che fino a pochi mesifa ospitavano la sede della Bnl - rimaneper il momento sfitto, con l’insegna della

banca ancora in bella vista e i cartelli che comu-nicano lo spostamento della filiale al centrocommerciale Consorzio. La polemica sulla presenza di un Mc Donald’s aUrbino - città patrimonio dell’Unesco e candi-data a capitale europea della cultura 2019 – apochi metri dal duomo e da Palazzo ducale,tiene banco in città da almeno un mese. Il primo a confermare che l’accordo per la ces-sione di Palazzo Liera non c’è stato èl’Arcivescovo mons. Giovanni Tani. “Di questastoria non so nulla”, dice raggiunto telefonica-mente. E alla domanda se sapesse chi ha messoin giro questa voce risponde: “Proprio non so”. Gli fa eco don Sandro De Angeli, ex vicario rap-

presentante dell’Arcidiocesi di Urbino. “Questanotizia l’ho appresa dai giornali”. E Mc Donald’s Italia? “Per il momento nessuno ciha interpellato in merito. Non sappiamo altro”. Domenico Passeri, direttore di Confesercenti,spiega che questa del McDonald’s è solo unavoce, un “boatos” e che gli esercenti del centrosarebbero stati contrari all’apertura che farebbechiudere una decina tra paninoteche e pizzerie.“Siccome stiamo facendo uno sforzo per riquali-ficare il centro, un Mc Donald’s sarebbe un con-trosenso e contro la filosofia che stiamo cercandodi adottare. Non possiamo opporci all’aperturadell’attività. Non diciamo che non debba aprire aUrbino, ma che non sia nel centro”. E dal comunel’assessore al turismo Maria Francesca Crespiniconferma che a loro la notizia non è mai perve-nuta. Bufala dunque? È lecito pensare di sì.Insomma, niente happy meal in centro. Almenoper ora. (m.m.)

Viaggio nella giungla d’asfaltoSulla strada verso Trasanni e su lunghi tratti della Bocca Trabaria Sud

Scomparsa o invisibile la segnaletica orizzontale. Galuzzi, assessore alla mobilità: “Non abbiamo più un euro”prima erano marciapiedi sonoormai ricoveri per erbacce escendere a piedi diventa unterno a lotto, bisogna rendersivisibili per evitare di essere inve-stiti dalle auto. Strada statale 73. Poco più su delcentro commerciale Consorzio,

la frana che l’anno scorso haeroso parte del terreno laterale èancora lì. Ben segnalato dai divisori dicemento e da cartelli di prece-denza alternata, il guardrail dilegno rimane piegato alla volon-tà della natura. Qui la competen-

za è dell’Anas. Maria Francesca Crespini, asses-sore ai lavori pubblici e alla pro-tezione civile, spiega che la com-petenza è dell’Anas e che non si èancora intervenuti perché “fin-ché non asciuga il terreno non sipotrà fare”.

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7 Pensare che l’Imu siauna croce per i citta-dini e una delizia peri Comuni può rivelar-si un’idea completa-mente sbagliata. Per

quanto riguarda Urbino, a diffe-renza di quanto ci si potrebbeaspettare, l’Imu non ha rappre-sentato un’entrata in più rispet-to al bilancio degli anni scorsi.Anzi. “Sostanzialmente l’Imuandava di pari passo con ilfondo sperimentale di equilibriodestinato dallo Stato ai Comuni- afferma l’assessore al bilancioMaria Clara Muci - ovvero unfondo triennale istituito al finedi realizzare una devoluzione informa progressiva ed equilibratadella fiscalità immobiliare”.Traducendo, l’Imu ha sostituitoda una parte la vecchia Ici e dal-l’altra questo fondo sperimenta-le, mantenendo di fatto invaria-to il gettito totale del Comune. L’assessore spiega che “perriavere gli stessi soldi degli anniscorsi quasi tutti i comunihanno dovuto alzare le aliquotedi base, quello di Urbino è unodei pochi ad aver operato unaumento di scarsa consistenza,lasciando l’abitazione principa-le con l’aliquota minima del4x1000”.A oggi è difficile stabilire se l’Imusia stata riscossa completamen-te poiché devono ancora arriva-re alcuni versamenti previsti, mastando alle stime del gettito Imupreviste dallo Stato, al Comunedi Urbino sembrerebbero man-care ancora 150.000 euro. Maperché mancherebbero tuttiquesti soldi? “In realtà, la cifra èancora provvisoria - proseguel’assessore – poiché siamo inattesa dei dati definitivi. Il veroproblema è che il ministerodelle Finanze, in base ai dati insuo possesso, ha fatto alcuneprevisioni, secondo cui ilComune di Urbino risulterebbeproprietario di un certo numerodi strutture, compresi capanno-ni e altri fabbricati che in realtànon sono stati considerati

immobili dal catasto, e quindinon fanno parte del gettito delComune”. Il bilancio comunalerelativo al 2012 è ormai chiuso,perciò questi 150.000 eurodovranno essere tenuti in contoper il bilancio dell’anno incorso. Da questi dati, emergecome l’imposta creata dalgoverno Monti non abbia por-tato alcun beneficio alla città diUrbino. Addirittura, a contifatti, il Comune registrerebbeun passivo per il 2013. Inoltre,per ogni immobile di proprietàche non abbia fini istituzionali,il Comune deve pagare il 50%allo Stato sull’aliquota di base.“In pratica è come pagare séstessi. Visto che lo Stato hatagliato il fondo sperimentale diequilibrio – afferma OrnellaValentini, responsabile del ser-vizio finanziario - il Comune,rispetto al 2011 in cui c’era solol’Ici sulla seconda casa, hameno introiti e quindi si è vistocostretto ad alzare l’aliquota dibase sulla seconda casa da 7,6 a9,5”. L’Imu non è stata di grandeaiuto per le casse del Comune, ese è per questo non lo sarànemmeno la Tares, la nuovatassa sui rifiuti che prenderà ilposto della vecchia Tia. A diffe-renza della Tarsu, la Tia potevaessere riscossa da un gestoreesterno, così il Comune diUrbino l’aveva completamenteesternalizzata alla MarcheMultiservizi, la multiutility ope-rante nei servizi di pubblica uti-lità. “Sostanzialmente per chi,come noi, aveva la Tia cambiapoco con questa nuova tassa –afferma l’assessore Muci- per-ché anche la Tares terrà contodella cosiddetta superficie cal-pestabile e dei componenti delnucleo familiare. L’unica diffe-renza è che ci sarà un ulterioreaumento per il cittadino dello0,30% in più per ogni metroquadro”. “Ma i soldi, anche inquesto caso, andranno tutti alloStato - assicura l’assessore -perché il Comune dovrà coprireintegralmente il costo del servi-zio, senza quindi guadagnarcigranché”.

FRANCESCO MORRONE

Un’ imposta a zero entrateLa “nuova Ici” non ha dato vantaggi alle casse comunali. Anzi, i conti non tornano

Parla Clara Muci, assessore al Bilancio: “Sono dati provvisori, ma mancherebbero all’appello 150.000 euro”

Lo schiacciasassi di nome TaresNeanche il tempo di pagare l’Imu ed ecco che arriva la prossima tassa per i comuni ita-liani: la Tares (Tassa sui rifiuti e sui Servizi). La nuova tassa, che sostituirà le vecchie Tia(Tariffa di igiene ambientale) e Tarsu (Tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani) eingloba quella sui servizi, è stata istituita con il decreto SalvaItalia ma a farla entrareconcretamente in vigore è stato il ddl Stabilità. Le stime concordano tutte sullo stessopunto: la nuova tassa sarà più cara delle vecchie Tarsu e Tia perchè dovrà finanziareinteramente il servizio di igiene ambientale e dovrà occuparsi anche di illuminazione pub-blica, polizia locale e manutenzione delle strade. Non è necessario essere proprietari diuna casa per essere annoverati tra i soggetti obbligati al versamento del nuovo tributo.La nuova Tares, infatti, colpirà tutti i soggetti che, a qualsiasi titolo, utilizzeranno un beneimmobile. Prevista da oltre un anno, la Tares è entrata nel vortice pre-elettorale alla vigi-lia della sua entrata in vigore, e ha visto slittare la prima rata prima ad aprile e poi alprimo luglio 2013. Secondo la Uil nel 2013 “la Tares peserà mediamente sui bilancidelle famiglie 305 euro, più della media dell’Imu sulla prima casa; in valori assoluti,infatti, la Tares vale circa 1,9 miliardi di euro in più che si aggiungono ai 7,6 miliardi dieuro pagati nel 2012 con le bollette sui rifiuti”.

NUOVE TASSE

Quanto si è pagato a Urbino nel 2012QUOTA DEL COMUNE QUOTA DELLO STATO

Prima casa 714.293,81 -

Terreni agricoli 3.539,54 3.321,50

Altri fabbricati e seconde case Aree fabbricabili,terreni

2.417.317,53 1.656.080,66

188.698,49 128.135,56

Fabbricati rurali 1.493,00 -

Totale Comune 3.325.342,37 -

Totale Stato - 1.787.537,72

Importo totale 5.112.880,09Fonte: Ufficio Tributi del Comune di Urbino

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L’Imu, la supertassasugli immobili cheha diviso in duel’Italia intera, aUrbino sembra nonessere poi così

odiata. Molti urbinati sembranofavorevoli al pagamento, purchéequo, della tanto contestataimposta per aiutare il paese e ilComune a uscire dalla crisi.Pensionati e famiglie sono statiagevolati dalla possibilità didetrarre parte della spesa, comeGiulia, una giovane mammacostretta a lasciare il suo lavorodi architetto libero professioni-sta per stare con il figlio: “Sullaprima casa abbiamo pagatopoco perché è piccola e abbia-mo avuto la possibilità di detrar-re 100 euro per il neonato men-tre il secondo immobile è statoabbastanza caro e ha pesatomolto sul bilancio familiare”. Quasi tutti sono contrari a tassa-re la prima casa, il “bene sacro”costruito da molti con fatica euna delle poche certezze in unperiodo di instabilità. Per Giulial’Imu andrebbe abolita sullaprima abitazione perché “moltiitaliani l’hanno ereditata daigenitori e non possono permet-tersi di pagare altre tasse, peròsulle seconde e terze case sareb-be giusto pagare. Anche io houna seconda casa e ho pagato”.Pagare per aiutare il Comune asuperare l’emergenza, a investi-re sul sociale e sul patrimoniostorico – culturale. Pochi cittadi-ni hanno fiducia nell’attualegoverno e ritengono che, supe-rato questo momento, la situa-zione migliorerà. Una di questi èla signora Annamaria Berto-lucci, commerciante di Urbino:“Credo che sia giusto pagarel’Imu anche sulla prima casaperché questo è un momento diemergenza e ce lo stanno dicen-do”. Annamaria ha pagato l’Imusu un secondo stabile, ma nonsulla prima casa perché intesta-ta alla madre pensionata. “Sedovessi pagarla la pagherei tran-quillamente – sostiene – anzicredo che la polemica intornoall’Imu sia esagerata”. Per lei e per molti altri però il cal-colo del valore dell’immobileandrebbe rivisto. Antonio Bo-schini, insegnante di educazio-ne tecnica in pensione, afferma:“Sono per una via di mezzo, nelsenso che va bene sulla primacasa ma andrebbe un pochinoaggiustato il calcolo del valore. Icittadini dovrebbero contribuiretutti in base al proprio reddito”.Un parere più estremo quello diRiccardo, giovane bancario:“L’Imu è una tassa iniqua alcento per cento perché non èrapportata alla rendita catasta-le”. Secondo Riccardo tassareuna casa in centro a Urbinocome una in centro a Roma nonè corretto perché “hanno unvalore e una rendita completa-mente diversi”. Situazione più difficile per iristoratori e gli operatori turisti-ci. “Fra Imu e Irpef è stata unabella mazzata – affermano le

titolari di una pizzeria del cen-tro – e in più abbiamo un risto-rante ma la crisi ha falciato laclientela”. Il malcontento delleristoratrici è di carattere piùgenerale: “l’Europa gravasull’Italia perché impone delleregole quando noi abbiamomolti problemi, come nellescuole e nella sanità. Se non haiqualche soldo da parte non tipuoi permettere neanche diandare a fare una visita.”Anche per Mauro Marchionni,proprietario di un’agenzia diviaggi “il problema non è nellasingola tassa ma nell’organizza-zione politica e in noi italianiche subiamo passivamente lescelte dei governi”. Maurosostiene che la tassa non èequa, anche considerando chein molti casi l’immobile appar-tiene alla banca e non al realeproprietario.Tra gli urbinati è diffusa una sfi-ducia nella politica e nellagestione del denaro pubblico,soprattutto a livello nazionale.“Bisogna incidere più sullaspesa che è elevatissima” pensaClaudio Boni, titolare di unatabaccheria. “Per rilanciare l’e-conomia, che è ferma, bisogne-rebbe tagliare sugli stipendi altie sulle pensioni d’oro da 10.000o 15.000 euro al mese”. PerClaudio non ha significato diredi restituire i soldi dell’Imu:“Non è giusto mettere una tassasulla prima casa, ma su una ric-chezza reale ci può stare”. Il più polemico fra tutti è unfruttivendolo alle porte dellacittà, che definisce “vergogno-sa” l’Imu perché è una tassa chegià si paga al momento delladenuncia dei redditi, con ilmodello 740: “Andrebbe abolitasu tutte le proprietà. Qui nonparliamo di megaville, ma dicase, se erediti da tuo nonnouna casa mezza pericolante titocca pagare un casino di tasse”. Al di là delle polemiche e dellacapienza del proprio portafo-glio, qualcuno si dice contentis-simo di pagare l’Imu. Un pen-sionato si avvicina, strizza l’oc-chio e – molto italianamente –dice: “Tanto ce li ridanno”.

Imu, quanto ti odio. Ma ti pagoGli urbinati si fidano dello Stato: “Se l’imposta serve davvero, va bene il sacrificio”

Non mancano le critiche: sballate le rendite catastali, troppi pesi sulla prima casa. E la domanda: sarà per sempre?

Edificio per edificio, ecco la spesa dell’Ateneo

La stangata universitariaNeanche l’università si salva dalla stangata

Imu, ma possono stare tranquilli gli stu-denti della città ducale: l’odiatissima

imposta non riguarda facoltà o aule, ma solo 12edifici a uso non istituzionale. Compresi i collegi, l’ateneo ha dovuto pagarecirca 86.000 euro nel 2012 con un aliquota del9,5%, quella delle “seconde case”. La Responsabile dell’Ufficio Tributi di UrbinoDaniela Feduzzi ha spiegato che il calcolo èstato fatto in base alla classificazione degliimmobili al catasto. Molti degli edifici soggetti a Imu non sono cata-logati come prima abitazione, per cui dovreb-bero versare il quattro per mille,ma come uffici, magazzini o fab-bricati messi in affitto e dove nes-suno ha la residenza. L’ateneo ha dovuto versare rispet-tivamente 82.700 euro al comunedi Urbino dove possiede sette edi-fici, 2.500 a Fermignano per i suoiquattro edifici e 298 euro adAcqualagna per uno stabile. “Qui c’e un’assurdità che riguardala situazione di Urbino - spiegaLuigi Botteghi, direttore amminis-trativo dell’università ‘Carlo Bo’ -cioè il fatto che l’IMU ai collegi lapaghiamo noi per le quote di pro-prietà che abbiamo, però sul collegio Tridente,per esempio, dove c’è la mensa, l’IMU non lapaga nessuno perché è considerato di proprietàdella regione, a me questo non fa piacere mapurtroppo funziona così”.Inoltre l’università paga anche per edifici di suaproprietà che vengono usati dalla provinciastessa, come ‘ l’Oasi faunistica La Badia ’ inlocalità Ca’ Girone di Pallino, un centro rifugioanimali selvatici. “Con l’Ici pagavamo di meno – aggiunge il Dott.Botteghi – per esempio solo per i collegi orapaghiamo 61.000 euro mentre prima la cifra siaggirava intorno ai 45.000 – 48.000 euro”. Non essendo una persona fisica, non sono pre-viste agevolazioni né detrazioni per l’ateneo,che paga l’intero importo della tassa. Questo non avviene, per esempio, nel casodell’Ires, l’imposta sul reddito delle società.Questa tassa, per la quale è prevista un’aliquotadel 27,50%, si applica sul reddito dichiarato da

una società e per gli atenei c’è un’agevolazionein quanto istituzione universitaria. Per pagare l’importo l’Università ha utilizzato ifondi dello stato che dovrebbe dare (ma nell’ul-timo anno non ha dato tutto il dovuto) i soldinecessari per coprire gli stipendi e le tasse. Sono quattro anni che l’FFO, il fondo di finan-ziamento ordinario, sostiene l’università diUrbino, ma solo parzialmente. Questo fondo è la principale fonte di entrata perle Università italiane e dovrebbe dare i soldi percoprire le spese. Per questo si sono dovute ridurre le spese cor-renti, come gli affitti e i consumi.

In alcuni casi ha dovuto pro-cedere anche alla cosiddettaesternalizzazione dei bidelli,assunti tramite cooperative spe-cializzate che provvedono al lorostipendio. Il direttore Botteghiafferma che non sono ancora statinecessari tagli al personale anchese “i dipendenti che vanno inpensione non vengono sostituiti”. Ad esempio nell’ultimo anno nonsono state coperte due maternità,ma il lavoro resta lo stesso:“adesso non so se riusciremo areggere”, sostiene Botteghi, -riferendosi alla crisi che ha colpi-

to uno dei principali atenei della regioneMarche. Gli studenti possono tirare un respiro di sollie-vo: la spesa non graverà sui loro portafogli, giàsvuotati dall’aumento di alcune tasse diiscrizione, tra le quali quella per il diritto allostudio che è passata da 90 a 140 euro. Non ci saranno, per il momento, neanche graviconseguenze sui servizi offerti ma il 2013rimane un punto interrogativo nel bilancio. Una nota positiva resta la statalizzazione dell’u-niversità “Carlo Bo”, avvenuta lo scorso novem-bre, che ha permesso il risanamento dei conti,l’arresto del calo degli iscritti e una modifica deiparametri dell’indebitamento. La ripartenza dell’ateneo è lenta, ma la situ-azione, anche con la nuova tassa, sembra sottocontrollo. Il rettore Pivato è soddisfatto del bilancio 2012che risulta in attivo di 600.000 euro, contro i 50milioni di deficit di due anni fa. (l.m, g.o)

LAURA MORELLIGIOVANNA OLITA

La Carlo Boha speso

86.000 europer l’Imu.Botteghi:“Non so seresisteremo”

Due cittadiniintervistatiin PiazzadellaRepubblica,per lorol’Imu ènecessariama andrebberivista.

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UNIVERSITÀ

SILVIA PASQUALOTTO

“Noi ci la-mentia-mo spes-so, ma aUrbino sista bene,

il diritto allo studio è garantito atutti e lo standard è molto altorispetto alle altre università” cosìha raccontato uno studente discienze politiche. Una città eun’università che “ti fanno viverecome in una bolla fatta di colle-gi, mense e giovedì sera. Vedigente giovane, parli con gentegiovane e le notizie che arrivanoda fuori ti sfiorano appena”.Ma che succede se le notizie chearrivano dal “mondo vero”rischiano di far scricchiolare ilmondo artificiale degli studentidi Urbino?E’ questo il caso delle parole delministro Profumo: “Stiamo lavo-rando per garantire il diritto allostudio. Fra pochi giorni ci saràun decreto che premierà chivale”. Il decreto in questione è il decre-to attuativo sul diritto allo studio- contenuto nella riforma Gelmi-ni - che verrà discusso il 7 feb-braio nella conferenza stato-regioni e che prevede una revi-sione sulla base del merito e delreddito nella distribuzione delleborse di studio. Il ministro hagarantito che si cercherà di favo-rire gli studenti svantaggiati efuorisede e che non sarà l’enne-simo taglio alle borse di studio.Non la pensano così i rappresen-tanti delle associazioni universi-tarie italiane che si sono riunitilo scorso 4 febbraio per discute-re del decreto. “Toccare il dirittoallo studio significa toccare lavita degli studenti” ha spiegatoAntonio Astolfi, rappresentantedegli studenti ad Urbino per l’as-sociazione universitaria Agorà.“Il rischio è quello della rinascitadi un’università per censo” hadichiarato, denunciando i nuovie più rigidi vincoli di accesso alleborse che farebbero diminuire ibeneficiari del 45%.Il decreto agisce su due lati: ilmerito, con l’aumento dei credi-

La Gelmini colpisce ancoraIn arrivo i decreti attuativi della “riforma”. Gli studenti sul piede di guerra

Il ministro Profumo però si sbilancia e assicura: “Niente paura, il diritto allo studio sarà garantito a tutti”

ti minimi per mantenere laborsa di studio; e la condizioneeconomica (Isee) cioè i limitimassimi per poter ottenere laborsa. Il limite attualmente pre-visto sarebbe di 20.124,71 euroma il limite fissato è sempreinferiore e varia da regione aregione:-20.000 euro Liguria, Piemonte,Valle d’Aosta, Lombardia, Trenti-no Alto Adige, Friuli Venezia Giu-lia, Veneto, Emilia Romagna;-17.150 euro Toscana, Umbria,Marche, Lazio;-14.300 euro Abruzzo, Molise,Campania, Puglia, Basilicata,Calabria, Sicilia, Sardegna.Il decreto prevede inoltre l’intro-duzione di limiti di età per acce-dere alle borse: 25 anni per latriennale o magistrale a ciclounico e 32 per la laurea magi-strale. Non è prevista alcunadistinzione per chi abbia decisodi interrompere gli studi o perchi voglia riprendere l’universitàalcuni anni dopo.Questo comporterà una riduzio-ne del numero degli studenti cherispetteranno i requisiti necessa-ri, tanto che i rappresentantidegli studenti prevedono unadiminuzione da 130 mila idoneia 89 mila.A ciò si aggiunge la diminuzionedell’importo delle singole borseche è stata stimata del 18,3%,pari a 600 euro.Ultima clausola: per il primoanno non sono previste due rate(come avveniva fin ora) per l’e-rogazione delle borsa, ma duecasi differenti:-se le regioni garantiscono servi-zi abitativi e ristorativi, l’eroga-zione della quota monetariapotrà avvenire in un’unica rata,senza anticipi, solo quando ver-ranno raggiunti i 35 crediti, seconseguiti entro il 10 agosto;-in caso contrario le quote dellaborsa saranno erogate in 3 rate:il 20% entro il 10 novembre; il30% al raggiungimento di 10 cre-diti (purché ottenuti entro il 15marzo); il 50% al raggiungimen-to di 35 crediti (purché ottenutientro il 10 agosto).Il primo caso è quello che inte-ressa maggiormente l’universitàdi Urbino, dove l’Ersu si occupa

dei servizi abitativi e ristorativi.Gli studenti del primo anno -denunciano i rappresentantidegli studenti - rischiano dirimanere senza un euro fino allafine dell’anno o di dover antici-pare gran parte dei costi del

mantenimento agli studi.Il decreto si inserisce nel pianodi tagli, previsto dalla “Spendigreview” del governo Monti, checon l’introduzione della riformasulla tassazione, consente agliatenei di innalzare le tasse per

COSI’ CAMBIANO LE BORSE DI STUDIO

Importo lordoImporto nettocon riduzioni permensa e alloggio

1.848,951.248,95

Previsionedel decreto

Situazioneattuale

In sede Pendolare Fuori sede

2.704,272.104,27

4.905,402.205,40

Importo lordo

Importo nettocon riduzioni permensa e alloggio

1.800,001.100,00

2.650,001.950,00

5.250,001.210,00

tutti gli studenti non borsistisenza alcun limite. La manovra colpirà soprattuttogli studenti extracomunitari e ifuori corso che sono circa il 40%.Previsti per loro aumenti mediintorno a 600 euro.

Fonte: Unione degli universitari sindacato studentesco

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SPORT

Quando non si puòpiù vincere, l’im-portante è parte-cipare. Se non haisoldi, sei costret-to a retrocedere.Se mancano ifondi, ti puoi alle-

nare solo mezza giornata. Se i finanziamenti sono scarsi,devi vendere le tue giocatricimigliori. Se il problema è eco-nomico, l’agonismo finisce e tiporta avanti solo la passione.Partiamo dalla pallacanestro. IlBasket Ducale aveva raggiuntoi play off di serie C. Adessomilita in serie D: retrocessa?Squalificata? Un presidentefuori di senno? Niente di tuttoquesto, le ragioni non sono nédisciplinari, né tecniche enemmeno psichiatriche. È solo una questione economi-ca, volgarmente si tratta di por-tafoglio vuoto, gli sponsor stra-pazzati dalla crisi hanno laborsa leggera e la disillusionein tasca. Due conti: per ogni giocatore,in serie C2, servono 1250 euro.Per la serie D, 300 euro a testa.Emilio Briganti, presidente delBasket Ducale, dice che il pro-blema deriva dalla Federazio-ne, che decide il costo delleiscrizioni, e così la squadra èstata costretta a iscriversi nellaserie minore. “Per sopravvivere– continua Briganti – si devericorrere all’autofinanziamen-to”. Non va meglio in altri sporte ad altri livelli. Prendiamo ilcaso della Chateau d’Ax Urbi-no, settima in classifica nelcampionato di serie A1 femmi-nile di pallavolo. Il terzo posto,la vittoria della Coppa Cev e lapartecipazione alla ChampionsLeague degli scorsi anni sem-brano un lontano ricordo. La crisi ha stroncato anche lesperanza delle ducali. A iniziostagione sono state cedutealcune delle migliori giocatrici,come il libero Giulia Leonardi. “Gli sponsor sono calati sia innumeri assoluti sia in elargizio-ni: circa il 10% - ha detto il pre-sidente Giancarlo Sacchi – e siriesce a sopravvivere solo gra-zie a un turn-over degli investi-tori”. La fortuna è quella di averpuntato su piccoli sponsor,facilmente sostituibili non-ostante la crisi. Così è statopossibile rimanere in serie A, alcontrario di altre compaginicome quelle di Crema e Mode-na, costrette al ritiro a campio-nato in corso.I soldi vengono investiti perl’80% negli ingaggi di giocatricie tecnici, ha detto Sacchi. Cosìdiventa impossibile poter rin-forzare la squadra. Fa eccezione l’ingaggio, notizia

di pochi giorni fa, di PaolaCroce, libero della nazionaleitaliana, che sostituisce Anto-nietta Vallesi, costretta al ritiroper motivi di salute. Ma comesi fa a sostenere l’ingaggio dellaCroce? La risposta sta nellecifre, che sono molto simili aquelle che venivano spesi perla Vallesi: questo è il responsodel presidente Sacchi. Il Pala-Mondolce continua così a esse-re gremito di gente e la pallavo-lo resta il miglior diversivo perle famiglie e i giovani urbinati. Non c’è, però, solo il professio-nismo nello sport. Così sembra

interessante capire come isemplici utenti possano sfrut-tare le strutture di Urbino.Prendiamo il Cus urbinate,centro della vita sportiva dellacittà e degli studenti universi-tari. Qui gli sponsor - che nonci sono mai stati - non c’entra-no. Qui il problema è di purifinanziamenti pubblici. Fino a quanlche mese fa, lastruttura era agibile dalla mat-tina alla sera. Ora non più: ilcustode che teneva in funzionel’impianto di atletica è statospostato dal comune (che sioccupa della gestione) ad altre

attività, e così la mattina il Cusnon può mettere il campo adisposizione degli utenti e nep-pure agli “amatori della dome-nica”. I cancelli sono chiusi etutto attorno c’è un’aria didesolazione e di abbandono. Gabriella Trisolino, presidentedel Cus di Urbino, aggiungesconsolata che i problemi nonsono solo quelli del Cus: gliaffitti delle palestre sonoaumentati, così come i suppor-ti medici e tutti i servizi obbli-gatori durante le manifestazio-ni agonistiche. Per il resto, sivivacchia fra mille ristrettezze.

E, nonostante si abbia l’im-pressione che tutto congiuriper strangolare lo sport, questosopravvive. Gabriella Trisolino ha una suaricetta: aumentare le manife-stazioni, incrementare i corsirispetto al passato, incentivaretutti gli sport perché solo mol-tiplicando le occasioni e gliiscritti, si potrebbero pareggia-re i conti. Si arriva così al para-dosso che più corsi si attivanoe meno si sentono le spese. Inuna parola, la soluzione è: rim-boccarsi le maniche e guardareavanti.

STEFANO RIZZUTI

La fuga degli sponsorcolpisce lo sport localeche resiste come può

Dal basket alla pallavolo, la mappa della crisi

Il calcio annega negli scandali, la palla del futuro è ovale

Stadio Olimpico di Roma, 3 febbraio2013: Italia batte Francia 23 a 18. Ilterzo tempo dei tifosi italiani può

iniziare. Ma stavolta potrebbe trattarsi diun terzo tempo ben più lungo del solito. Il rugby riscuote sempre più successo a liv-ello mediatico. Le prime pagine dei giornalidel 4 febbraio, non solo sportivi, apronocon le foto dei festeggiamenti italiani incopertina. Quello rugbystico è un movi-mento in salute e lo dimostrano anche isuccessi che questo sport suscita a livellolocale. Campo sportivo “Toti Patrignani”, domeni-ca 20 gennaio 2013: Pesaro Rubgy batte ilFirenze Rugby Club 38 a 5. Squadra e tifosifesteggiano il primato nel campionato diserie B.Hotel Flaminio, Pesaro, 15 gennaio 2013: alGalà dello Sport 2012 il Pesaro Rugby vienepremiato come miglior squadra dell’annodella provincia di Pesaro-Urbino. La deci-sione è stata presa dagli utenti di internetche hanno votato online il miglior teamsportivo dell’anno.Stagione 2011/2012: nasce ValmetauroTitans, la squadra di rubgy di Urbino.

La conclusione può essere solamente una:quello del rugby è un modello che funzionain Italia, sia a livello nazionale che locale. Il caso più evidente è proprio quello delPesaro Rugby. Mai la squadra di misterDaniel Insaurralde aveva raggiunto risul-tati come quelli di questa stagione. Primoposto in classifica in serie B e concreta pos-sibilità di disputare i play-off per la pro-mozione. L’entusiasmo nazionale coin-volge anche le piccole società locali e ilritorno mediatico si fa sentire a tutti i livel-li. “La suggestione che provoca il rugby –afferma Simone Mattioli, presidente delPesaro Rugby – a livello mediatico è altissi-ma”. Certo, non va mai dimenticato che il rubgya livello nazionale e locale viaggiano su duebinari diversi. La nazionale ha un riscontroesclusivamente mediatico. “A livello locale,il canale di attrazione è diverso: l’avvicina-mento non è automatico, non c’è un’infor-mazione chiara, ma si basa più sul pass-aparola”, secondo Mattioli. Ma è innegabileil ritorno d’immagine che un torneo comeil “sei nazioni” ha anche a livello locale.“Non è importante che l’Italia vinca contro

la Francia. Anche una sconfitta in un tor-neo così aiuta”. L’importante è partecipare,sintetizzando le parole del presidente. Vincere è comunque un incentivo impor-tante. Continua Mattioli: “Gli italianiamano salire sul carro dei vincitori”.L’entusiasmo della partita contro la Franciasi fa sentire sicuramente più sui tesseratiche sul pubblico. Questa è l’opinione diDario Surano, allenatore del ValmetauroTitans di Urbino. C’è sempre la speranzache le vittorie degli azzurri “portino unritorno d’immagine come avvenuto loscorso anno con l’unico successo italianonel sei nazioni”. È ancora il presidente Mattioli a dire cosava migliorato: “ciò che fa la differenza è laqualità degli impianti, e in Italia sono anco-ra arretrati”. Una vittoria così importantepuò aiutare a investire più nelle strutture?La risposta di Mattioli è un semplice “sì”.La scia dei successi italiani può allora fareda traino per un movimento che mai comein questi ultimi anni sta avendo un ottimoriscontro, a livello nazionale e locale, dipubblico e di tesserati.

(s.r.)

Rugby, gioco fuori dalla mischia

Una parti-ta delPesaroRugby In alto, gli allena-mentidella Cha-teau d’AxUrbinoNellapaginaaccanto:protesteal collegioTridente

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INTERNET

ASSOCIAZIONE PER LA FORMAZIONE AL GIORNALISMO, fondata da Carlo Bo. Presidente: STEFANO PIVATO, Rettore dell'Università di Urbino "Carlo Bo". Vice:NICOLA DI FRANCESCO, Presidente dell’Ordine dei Giornalisti delle Marche. Consiglieri: per l'Università: BRUNO BRUSCIOTTI, LELLA MAZZOLI, GIUSEPPE PAIONI;per l'Ordine: STEFANO FABRIZI, SIMONETTA MARFOGLIA; per la Regione Marche: JACOPO FRATTINI, AVV. PIETRO TABANELLI; per la Fnsi: GIOVANNI ROSSI, GIAN-CARLO TARTAGLIA. ISTITUTO PER LA FORMAZIONE AL GIORNALISMO: Direttore: LELLA MAZZOLI, Direttore emerito: ENRICO MASCILLI MIGLIORINI. SCUOLA DIGIORNALISMO: Direttore GIANNETTO SABBATINI ROSSETTI

IL DUCATO Periodico dell'Ifg di Urbino Via della Stazione, 61029 - Urbino - 0722350581 - fax 0722328336 http://ifg.uniurb.it/giornalismo; e-mail:[email protected] Direttore responsabile: GIANNETTO SABBATINI ROSSETTI Stampa: Arti Grafiche Editoriali Srl - Urbino - 0722328733 Regi-strazione Tribunale Urbino n. 154 del 31 gennaio 1991

Emergenza internet: cittadini costretti a ‘emigrare’ per mandare una mail

Banda larga ma solo per pochi

Verso le elezioniAlla scoperta dei candidati delMontefeltro, gli appuntamenti ele proposte dei partiti per il ter-ritorio urbinate

Verso le elezioni / 2Il paradosso 2013 del divietodi pubblicazione dei sondaggi,un bavaglio che, con app esocial, potrebbe non bastare

I cavalli abbandonatiA Pietralata c’è una mandria dicavalli senza padrone. Salvatidopo il nevone, adesso rischia-no di morire di fame

La crisi a UrbinoCom'è cambiata la vostra vita,le difficoltà economiche, acosa avete dovuto rinunciare?Raccontateci le vostre storie

QUESTA SETTIMANA SUL DUCATO ONLINE

La cronaca di Urbino in tempo reale sul sito web ifg.uniurb.itsulla pagina Facebook Il Ducato o su Twitter (@IlDucato)

ELISA TOMASSO

Abiti a Castelcaval-lino, Montesoffio,Pallino, Pieve diCagna, Trasanni,Gadana, Torre SanTommaso, Mazza-

ferro? Sei ‘fuori’. Non sei ‘coper-to’. Lo sa Mario Pellegrini – lo-calità Fornace – che ogni voltache deve connettersi a inter-net, anche solo per inviarequalche mail, va in città, si sie-de su una panchina e mette inmoto il suo computer portatile.Lo sa Graziella Matteucci, cheaddirittura ha problemi con lalinea telefonica. Ultimamentenon può più telefonare o man-dare fax. Stava con la Okcomche ora sta fallendo per un con-tenzioso con il gigante Tele-com. Ed è moglie del titolare diun’azienda di lavorazione delferro a gestione familiare. For-tunatamente non risentonodella crisi. Ma la mancanza di‘copertura’ – “quella famosacopertura!”, esclama – potreb-be essere fatale. Attraverso larete Angela manda i preventivi(dato che il ‘servizio’ fax è indisuso), tiene i contatti con iclienti. In una parola: lavora.Per il momento ovvia con lapennetta usb della Vodafone,ma la connessione è davverolenta e incerta. Stiamo parlando di circa 5.000persone senza ‘rete’, fuori da Ur-bino centro, fuori dal mondo.“Facciamo come una volta cheandavano tutti a Torino per laFiat?”, si chiede Federico Scara-mucci, consigliere comunale diUrbino che si è occupato a piùriprese, ma senza esito, del pro-blema. Quello della mancanzadi infrastrutture per la diffusio-ne della banda larga su tutto ilterritorio urbinate è un proble-ma vecchio, liquidato dalla Te-lecom con una lettera del 30 ot-tobre scorso al sindaco Corbuc-ci.“I piani di copertura del ser-vizio Adsl sono stati definitidando priorità alle situazioniche permettono di raccogliere ilmaggior numero di clienti e chenel contempo presentino mi-nori complessità realizzative”.Detta in breve: non ci convienespendere soldi con voi. Sietetroppo pochi. Siete troppo co-stosi. Nessuna garanzia. Però, ci sono due paroline ma-giche che potrebbero venire insoccorso agli urbinati: Serviziouniversale. C’è una DirettivaCe di undici anni fa. E c’è il Co-dice delle Comunicazioni Elet-troniche del 2003. La prima de-finisce il servizio universale co-me “l’insieme minimo di servi-zi di qualità specifica cui tuttigli utenti finali hanno accesso aprezzo abbordabile”. Il Codice

prevede tra gli obiettivi quellodella “libertà di comunicazio-ne”. In Italia c’è inoltre il Dpr318/1997 che comporta un se-rie di obblighi a carico dell’o-peratore con la maggior quotadi mercato (Telecom Italia),che vengono annualmenterimborsati dallo Stato se nederivano oneri iniqui per l’a-zienda. Tra questi c’è la forni-tura di un collegamento inter-net con velocità di trasmissio-ne minima di 2,4 Mb al secon-do. Nelle frazioni di Urbino,siamo a 640 Kb al secondo, cir-ca un quarto. “Viviamo unarealtà molto triste” ci dice Gio-vanni Torrisi, insegnante disociologia residente a Castel-cavallino. “L’Adsl qui è satura;se un’altra persona volesse ag-giungersi non potrebbe farlo”.Non solo segnale debole o as-sente, ma anche l’impossibili-tà di poter solo pensare di usu-fruire del servizio pagando. In ballo c’è una questione amonte. Una questione di paro-le. Di significato. E di scelte.Adsl, banda larga, garanzia diun buon livello di connessio-ne, sono solo sinonimo di pro-fitto o possono configurarsicome diritto? Ormai senza in-ternet non si fa più nulla. Si èper l’appunto ‘fuori’dal mon-do. Devono trasferirsi tutti incittà? A Urbino centro? Forse ilparagone con l’esodo ruraleverso l’urbe torinese non è az-zardato. E forse qualche rispo-sta possiamo trovarla dalleistituzioni: la Regione, la Pro-vincia. Dalla prima ci fanno sa-pere che nel 2008 è stato ap-provato il Piano telematicoche prevede l’installazione difibre ottiche nelle centrali Te-lecom già esistenti, il poten-ziamento delle stesse, l’am-pliamento del servizio wire-less su tutto il territorio regio-nale. Hanno avuto un finan-ziamento dalla Comunità eu-ropea di 145 milioni di euro. Acui sono seguiti due bandi peraffidare i lavori agli operatoriprivati e dove si prevede che laRegione si occupi di far mette-re le fibre ottiche nelle centraliTelecom e la Provincia di prov-vedere alla copertura wirelessdi zone ancora prive di connet-tività Adsl. Sin’ora la cosa certaè che sono passati cinque annida quando qualcuno annun-ciava che “entro la fine del 2009la banda larga attraverserà tut-to il territorio della provinciadi Pesaro-Urbino”. Intanto ilsignor Pellegrini, la signoraMatteucci e i 5.000 residentinei dintorni di Urbino ancoraaspettano. E nel frattempo,quando ne hanno necessità equando possono, vanno in cit-tà per ‘connettersi’ con il mon-do.

Mario Pellegrini, internauta pendolare: abita a Mazzaferro e per connettersi va in centro

Nella Ue, tutti avrebbero diritto ad accedere alla Rete,

con una connessione garantitae con prezzi alla portata di tutti

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Cinquemila persone nelle frazioni sono senza connessione Adsl e Telecom non ha progetti di investimento