Il Dragone Si Mangia Tutti

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96 QUATTRORUOTE Dicembre 2009 Autonotizie Pechino caput mundi IL DRAGONE SI MANGIA TUTTI La Cina è il primo mercato del mondo e ora si compra i marchi prestigiosi: Volvo Hummer, Saab. La sua ascesa è ormai incontenibile. Vi spieghiamo perché di daniele sparisci I l dato è impressionante: 923.154. È il numero di vetture vendute in Cina nel solo mese di ottobre, che è quanto s’im- matricola in Italia in cinque mesi. Grazie a questi enormi volumi la Cina è diventata il primo mercato mondiale, scalzando dalla testa della clas- sifica gli Stati Uniti, dove sono state vendute nello stesso mese 834.517 vetture. Un sorpasso che ha l’effetto di un terremoto sugli equilibri globali. Da quando è stato inventato il motore a scoppio, infat- ti, l’Occidente è sempre stato l’ombelico del mondo, ma adesso sono arrivati i cinesi a farci mangiare la polvere. Dovremo abituarci a un nuovo ordine dettato da Pechino? A quanto pare sì. La strada ap- pare senza ritorno, perché i cinesi una volta saliti in cielo non scenderanno più. Anzi, la loro fame di potere è tale che adesso vengono da noi a pren- dersi pezzi pregiati, come Volvo, Saab e Hummer. A prezzi da hard-discount. Dalle parti di Göteborg ne sanno qualcosa. La Geely, primo produttore pri- vato della Repubblica popolare, quotato alla Borsa di Hong Kong, è a un passo dall’accordo finale per comprare Volvo dalla Ford. Un salvataggio che per- metterà alla Casa svedese di continuare a esistere La Geely, primo produttore privato cinese, sta per acquistare Volvo dalla Ford 96 QUATTRORUOTE Dicembre 2009

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Article from December 2009 edition of Quattroroute (Italian language). Focus is on China's growing interest in acquisition of international car brands.

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Autonotizie Pechino caput mundi

IL DRAGONE

SI MANGIA TUTTI

La Cina è il primo mercato del mondo e ora si compra i marchi prestigiosi: Volvo Hummer, Saab. La sua ascesa è ormai incontenibile.Vi spieghiamo perché

La Geely, primo produttore privato cinese, sta per acquistare Volvo dalla Ford

di daniele sparisci

I l dato è impressionante: 923.154. È il numero di vetture vendute in Cina nel solo mese di ottobre, che è quanto s’im-matricola in Italia in cinque mesi. Grazie

a questi enormi volumi la Cina è diventata il primo mercato mondiale, scalzando dalla testa della clas-sifi ca gli Stati Uniti, dove sono state vendute nello stesso mese 834.517 vetture. Un sorpasso che ha l’effetto di un terremoto sugli equilibri globali. Da quando è stato inventato il motore a scoppio, infat-ti, l’Occidente è sempre stato l’ombelico del mondo, ma adesso sono arrivati i cinesi a farci mangiare

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la polvere. Dovremo abituarci a un nuovo ordine dettato da Pechino? A quanto pare sì. La strada ap-pare senza ritorno, perché i cinesi una volta saliti in cielo non scenderanno più. Anzi, la loro fame di potere è tale che adesso vengono da noi a pren-dersi pezzi pregiati, come Volvo, Saab e Hummer. A prezzi da hard-discount. Dalle parti di Göteborg ne sanno qualcosa. La Geely, primo produttore pri-vato della Repubblica popolare, quotato alla Borsa di Hong Kong, è a un passo dall’accordo fi nale per comprare Volvo dalla Ford. Un salvataggio che per-metterà alla Casa svedese di continuare a esistere

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Acquistando la Volvo, i cinesi si porteranno a casa le massime competenze nella sicurezza

AUTONOTIZIE Pechino caput mundi

70 anni di Volvo

come marchio e a mettere

sul mercato belle automo-

bili, oppure una resa a una

potenza economica che fa

paura a molti? Buona la

seconda perché, grazie a

un’occasione del genere,

i cinesi si ritroveranno a

gestire un patrimonio tec-

nologico immenso che gli

svedesi hanno costruito a

suon di miliardi nell’arco

di decenni. «La recessio-

ne ha cambiato le carte in

tavola», spiega Bill Russo,

ex top manager della divi-

sione asiatica di Chrysler

e fondatore di Synergisti-

1944Cellula di

sicurezza

1959Cinture di

sicurezza

a tre punti

1966Impianto

frenante a

doppio circuito

1968Poggiatesta

anteriori

1972Sicura delle

porte a prova

di bambino

1973Piantone

dello sterzo

collassabile

1987Cinture con

pretensionatore

1991Side Impact

Protection

System

1994Airbag a

protezione

degli impatti

laterali

1998Whips, sistema

contro il colpo

di frusta

2004

Blis, sistema

per rilevare

l’angolo cieco

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per la sicurezza

cs Limited, società di consulenza automotive

con sede a Pechino; «oggi si possono comprare

intere società, marchi che già dispongono di

una rete di vendita, che hanno piattaforme e

componenti tecnologiche avanzate, pagando

una frazione degli investimenti che sono neces-

sari per crearli». Una manna dal cielo, dunque,

per costruttori come la Geely, che «entrando

in possesso di tutto questo», continua Russo,

«può accelerare i suoi piani di espansione e di-

ventare globale».

SVEZIA-CINA, SOLO ANDATA

Ma torniamo a Göteborg, dove il mondo ap-

pare rovesciato. Non solo per l’idea di una Vol-

vo cinese, che alle orecchie degli svedesi può

apparire una bestemmia, ma anche perché gli

acquirenti, i cinesi, hanno chiesto agli acquisiti,

gli svedesi, di continuare loro a gestire Volvo,

cioè a mandare avanti una baracca che appare

troppo tecnologicamente complessa persino

per le ambizioni smisurate della Geely, che ha

da poco lanciato sette marchi per rafforzare la

propria posizione sul mercato interno. Sanno

un po’ di favola le promesse dei cinesi di non

spostare una pietra dalla Scandinavia, man-

tenendo intatti posti di lavoro e stabilimenti.

«Per Geely sarà diffi cile controllare una Casa

premium come Volvo», osserva John Zeng,

analista di IHS Global Insight, spiegando che

«il primo obiettivo dei nuovi padroni sarà quel-

lo di mettere sotto controllo le perdite di Vol-

vo, perché Geely non se le può permettere».

E adesso, dopo l’entusiasmo iniziale con cui

la notizia del «salvataggio» è stata accolta,

in Svezia sorgono le prime preoccupazioni.

Emerge, infatti, dai piani di Geely la volontà di

costruire una fabbrica, naturalmente nella ma-

drepatria, per sfornare 300.000 Volvo l’anno,

una quantità immensa, considerando che le

vendite mondiali del brand nordico si aggirano

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attorno alle 400.000 unità l’anno. Agli scettici

i cinesi rispondono che il loro obiettivo è quel-

lo di incrementarle fi no a un milione di vetture.

Bisogna credergli? C’è un precedente che lascia

poche speranze. Quello della Rover. Rilevato

qualche anno fa dalla Shanghai Automotive In-

dustry Corporation, dello storico marchio euro-

peo è stato «cinesizzato» persino il nome (oggi

si chiama Roewe). Insomma la «lunga marcia» di

Pechino è appena cominciata e non sarà affatto

lenta, come vorrebbero farci credere loro, abi-

tuati a muoversi dietro le quinte in una specie di

teatro delle ombre, dove ogni cosa è diversa da

come che appare.

LA POTENZA DEI NUMERI

Ad alimentare l’avanzata asiatica è un mercato

in crescita a ritmi vertiginosi, sotto l’occhio atten-

to della regia governativa, che ha persino varato

incentivi all’acquisto per sostenere la domanda.

A fi ne anno i veicoli venduti in Cina saranno 13,5

milioni, numero più alto di sempre; per gli anni

successivi si prevedono aumenti a doppia cifra,

capaci di cancellare i tempi d’oro degli Usa prima

della recessione, quando il mercato viaggiava sta-

bilmente sui 16 milioni d’immatricolazioni l’anno.

Inoltre nel 2010 quasi una vettura su sei del-

le oltre 61 milioni prodotte nel globo (stima di

Pricewatercooper) uscirà da fabbriche cinesi. Il

Gruppo Volkswagen ha venduto più automobili

qui che in Germania, roba da shock culturale per

i tedeschi, ma non per i manager di Wolfsburg,

che contano di superare quota 2 milioni di uni-

tà l’anno entro il 2018. Una cifra che è di poco

inferiore al bilancio dell’intero mercato italiano

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A sinistra, la Changan Chana E301, un prototipo che prefi gura una crossover con le porte ad ali di gabbiano

in un anno. Altre prove: la

Mercedes ha trasferito il

suo studio asiatico di de-

sign da Tokyo a Pechino

per capire le esigenze e

i gusti dei nuovi ricchi,

che non abitano più in

Giappone. Da lì studierà

le tendenze future del-

l’automobile nei prossimi

dieci-15 anni. La Porsche,

da parte sua, ha snob-

bato i Saloni dell’auto di

Francoforte o Ginevra

presentando la Paname-

ra a Shanghai, dove i co-

struttori occidentali era-

no presenti in massa.

Esame qualità

Sono indietro, ma in recupero

Produzione 2009 in Cina: 9,57 milioni di auto

2 milioni: gli obiettivi di vendita in Cina del Gruppo VW nel 2018

IL MASSIMO AL MINIMO

«In questo momento in Occidente servono

i soldi e loro li hanno», taglia corto Roberto

Piatti, numero uno di Torino Design; «in fondo

si potrebbe dire che i cinesi siano un male ne-

cessario». Senza i loro capitali freschi, indub-

biamente, il futuro di molte aziende del settore

sarebbe condannato al crac fi nanziario. Grazie

alle loro garanzie economiche i cinesi provano a

ottenere il massimo profi tto possibile. E sempre

più spesso ci riescono. Tra Göteborg e Trollhät-

tan ci sono cento km di distanza, ma le storie

di Volvo e Saab corrono su binari paralleli: que-

st’ultima sta per essere ceduta da General Mo-

tors all’imprenditore svedese Koenisgegg, uno

che produce dieci automobili l’anno. A tenere

in piedi un’operazione incredibile (sarebbe co-

me se Horacio Pagani, che produce le supercar

Zonda, comprasse Alfa Romeo) è intervenuta la

Bejiing Automotive Industry Corporation, che

già aveva tentato, invano, la scalata alla Opel. I

cinesi hanno stretto accordi con i futuri padroni

della Saab per assicurarsi con un investimento

minimo tecnologia, qualità, prestigio e una rete

di concessionarie dislocata in tutto il mondo.

Ma il caso più eclatante e, per certi versi, in-

quietante è quello della Hummer. La GM, col-

pita dalla bancarotta, l’ha svenduta alla scono-

sciuta Sichuan Tengzhong Automotive Heavy

Industries Machinery, che non possiede alcuna

esperienza nel settore automobilistico. Ma ha

l’occhio suffi cientemente lungo per capire che

dietro la Hummer ci sono anni di ricerche e in-

novazioni derivate dal campo militare. Pagan-

do una somma, che alcune fonti statunitensi

indicano in 150 milioni di dollari (più o meno

quanto il Real Madrid ha sborsato per Cristiano

Ronaldo), i cinesi si portano a casa una quantità

di segreti tecnologici, che avrebbero impiegato

anni per accumulare. Insieme ai marchi e ai bre-

• Senti Cina e subito pensi a prodotti di scarsa qualità. E a pensarla così, per quanto riguarda le auto, sono anche i consumatori cinesi, che in maggioranza (60%) preferiscono le auto d’importazione alle locali. Eppure le cose stanno cambiando. Le rilevazioni della società californiana J.D. Power, specializzata in indagini di mercato, evidenziano come le vetture prodotte in Cina nel 2009 durante i primi sei mesi di vita abbiano in media manifestato il 14% in meno di difetti rispetto a quelle sfornate nel 2008. In pratica sono scese da 207 difetti ogni 100 auto prodotte a 178. Non male, tenendo conto che la media per le vetture vendute negli Stati Uniti nel 2008

era di 118 difetti, calati nel 2009 a 108 (con migliore marca in classi⇒ ca negli Usa, Lexus, a quota 87). Tra l’altro, ad alcune Case cinesi che producono utilitarie e minivan i consumatori locali riconoscono già un valido rapporto prezzo/qualità. Diversa, tuttavia, sarebbe la situazione secondo i parametri occidentali. Il «Wall Street Journal» riferisce che dopo una prova su strada il tecnico di una Casa occidentale sia rimasto allibito di fronte al livello grezzo in cui si trova ancora la crossover elettrica BYD e6, già in vendita in Cina e che sarà commercializzata tra pochi mesi anche negli Stati Uniti a oltre 40.000 dollari, cifra decisamente alta per i canoni Usa. E.B.

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la nostra esperienza in saldo

Chiave tecnica 150: sono i produttori di veicoli che operano in Cina. Troppi per il Governo di Pechino

AUTONOTIZIE Pechino caput mundi

Da sinistra,

la Brilliance

BS 6, la Great

Wall Florid e la

Brilliance BC 3

vetti Pechino ha iniziato da un po’ a importare

cervelli. Si racconta di ex top manager di Ford,

Gm e Volkswagen arruolati con assegni a tanti

zeri. E lo stesso vale per designer, tecnici e inge-

gneri. «Nelle aziende cinesi mancano completa-

mente dirigenti con esperienze internazionali»,

spiega Bill Russo, «e allora si cerca di rimediare al

più presto. Senza le giuste capacità professionali,

infatti, le acquisizioni che stanno portando a ter-

mine rischiano di non funzionare. La presenza di

lavoratori altamente qualifi cati è indispensabile

per trasferire le tecnologie».

EUROPA E USA NEL MIRINO

«Le auto cinesi non arriveranno presto sui

mercati europei e americani», avverte John

Zeng, «l’export ora si concentra in Asia e Africa,

dove i clienti sono meno esigenti».

Se sono così forti, come abbiamo visto, perché

non c’invadono di modelli low cost? A Pechino

ragionano in termini di anni e non di trimestrali:

l’obiettivo è consolidare il mercato interno, dove

operano circa 150 costruttori e 7 mila fornitori e

dove i tassi di crescita sono formidabili. Prima di

puntare verso l’estero dovranno, quindi, crescere

di taglia e ridursi di numero. «I marchi stranieri

controllano più del 60% del mercato casalingo»,

aggiunge ancora Russo, «e i cinesi sanno bene

che dovranno riuscire a cambiare lo scarso ap-

peal di cui godono i loro modelli presso gli stes-

si consumatori cinesi». Il tempo e i numeri sono

dalla loro parte. ••••

• I cinesi hanno montagne di denaro da spendere: limitandoci all’import-export con gli Usa, la Cina ha esportato merci per 338 miliardi di dollari a fronte d’ importazioni per 72 miliardi di dollari. E con questo mare di soldi si possono permettere di tutto: intere aziende, i migliori tecnici e manager occidentali, nel frattempo lasciati a spasso dalle nostre Case. Proprio quello che serve per una crescita rapida e a buon mercato dell’industria automobilistica. Così, per esempio, la Geely si può comperare in saldo tutto il know how in materia di protezione del consumatore, sicurezza e riduzione delle emissioni inquinanti che la Volvo ha maturato in decenni di costose ricerche (vedere a pag. 98). Quel che ci vuole per recuperare il ritardo tecnologico che i cinesi soffrono proprio in tali settori, in particolare per quanto riguarda il rispetto delle severe norme antinquinamento e sicurezza americane ed europee. Realisticamente, infatti, il made in China a quattro ruote è indietro di almeno sei-12 anni rispetto ai nostri standard. Grazie all’innesto di tecnologie e di uomini d’importazione, le industrie cinesi potranno colmare il loro ritardo in termini

di prestazioni, consumi, qualità, sicurezza e ambiente in un arco di tempo molto inferiore rispetto a quello impiegato in passato dai giapponesi e dai coreani. Che all’inizio non brillavano certo per qualità, tanto che nel 1956 le prime Toyota esportate in California, le antenate delle odierne Lexus (che negli Usa guidano le classi⇒ che di qualità) venivano, a ragione, pubblicamente derise. Idem a metà anni 80 avveniva per le prime Hyundai esportate in America. Proprio come avviene adesso per le cinesi, un tempo le giapponesi e le coreane venivano acquistate esclusivamente perché costavano poco. Le due tigri orientali di un tempo ebbero anche fortuna: non ci fossestata la crisi petrolifera del 1973 gli americani avrebbero continuato a snobbarle a favore dei loro macchinoni con voraci V8. Ora il colpo di fortuna per la Cina potrebbe chiamarsi CO

2.

Se le elettriche diventeranno davvero popolari, i cinesi potrebbero battere le industrie occidentali: tutte le Case partono alla pari, quasi da zero. Ma la Cina ha il vantaggio di essere un forte produttore di batterie al litio per l’elettronica e si è accaparrata le materie prime indispensabili per la produzione di motori elettrici e per le batterie. Emilio Brambilla