Il Disimpegno Morale Nella Teoria Social-cognitiva

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Il disimpegno morale nella teoria social-cognitiva Il comportamentismo Nell’ambito del comportamentismo lo sviluppo morale è stato studiato come un aspetto dell’apprendimento. L’individuo impara le norme di comportamento morale attraverso una serie di esperienze nelle quali alcuni atti sono soggetti a rinforzi positivi, come l’affetto, mentre altri a punizioni, ad esempio fisiche. All’interno di questo campo di ricerca non sono stati utilizzati solamente i paradigmi classici del condizionamento operante: negli ultimi decenni infatti i quadri comportamentisti si sono fusi con altre componenti, come ad esempio quelle a carattere sociale e cognitivo di Bandura. L’orientamento comportamentista che si è occupato con maggior successo dello sviluppo morale è rappresentato dalla concezione del social learning. In questa corrente di pensiero si ritiene improbabile che i vari comportamenti moralmente rilevanti siano acquisiti inizialmente tramite rinforzo, sostenendo invece che un comportamento, per essere rinforzato, deve prima prodursi spontaneamente. Questo dimostra come il rapido progresso di tali comportamenti nell’infanzia non si possa spiegare solo sulla base del rinforzo successivo. Si ritiene quindi che i bambini apprendano questi 1

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Il disimpegno morale nella teoria social-cognitiva

Il comportamentismo

Nell’ambito del comportamentismo lo sviluppo morale è stato studiato come un

aspetto dell’apprendimento. L’individuo impara le norme di comportamento

morale attraverso una serie di esperienze nelle quali alcuni atti sono soggetti a

rinforzi positivi, come l’affetto, mentre altri a punizioni, ad esempio fisiche.

All’interno di questo campo di ricerca non sono stati utilizzati solamente i

paradigmi classici del condizionamento operante: negli ultimi decenni infatti i

quadri comportamentisti si sono fusi con altre componenti, come ad esempio

quelle a carattere sociale e cognitivo di Bandura.

L’orientamento comportamentista che si è occupato con maggior successo dello

sviluppo morale è rappresentato dalla concezione del social learning. In questa

corrente di pensiero si ritiene improbabile che i vari comportamenti moralmente

rilevanti siano acquisiti inizialmente tramite rinforzo, sostenendo invece che un

comportamento, per essere rinforzato, deve prima prodursi spontaneamente.

Questo dimostra come il rapido progresso di tali comportamenti nell’infanzia non

si possa spiegare solo sulla base del rinforzo successivo. Si ritiene quindi che i

bambini apprendano questi comportamenti tramite l’osservazione e l’imitazione di

modelli appropriati.

Una forte messa in discussione dell’approccio delle teorie cognitivo-evolutive è

stata condotta da Bandura, il quale in una riformulazione delle tesi del social

learning, assumendo una prospettiva cognitivo-sociale ha contestato a Kohlberg la

concezione di una gerarchia precostituita di forme di moralità.

La teoria social-cognitiva di Bandura

Il principio esplicativo alla base di suddetta teoria è il determinismo triadico

reciproco (Bandura, 1976, 1986). In questa teoria Bandura sostiene che il

funzionamento di una persona derivi dall’interazione tra tre fattori: l’ambiente

fisico e sociale, i sistemi cognitivi e affettivi ed il comportamento individuale. I

tre fattori si determinano reciprocamente tramite l’azione causale di ciascuno sugli

altri due assumendo così forme differenti nei vari contesti. La persona agisce

nell’ambiente tramite le strutture conoscitivo-motivazionali che possiede

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comprendendo così i vincoli e le opportunità della relazione con l’ambiente

tramite la conoscenza delle conseguenze.

Il secondo fattore fondamentale della teoria social-cognitiva è l’insieme delle

caratteristiche utilizzate per concettualizzare la persona, ovvero i meccanismi

cognitivi che la rendono capace di conoscere il mondo e se stessa e di usare tale

conoscenza per regolare il proprio comportamento.

Bandura individua cinque capacità di base:

- Capacità di simbolizzazione: è fondamentale per lo sviluppo di tutte le altre e

consiste nella capacità di rappresentare simbolicamente la coscienza. Il linguaggio

è l’esempio più evidente della capacità del soggetto di utilizzare simboli.

- Capacita vicaria: corrisponde alla capacità di acquisire conoscenze, abilità e

tendenze affettive attraverso l’osservazione ed il modellamento. L’analisi di tale

capacità è uno degli aspetti che contribuisce a rendere la teoria di Bandura così

completa.

- Capacità di previsione: consiste nella capacità di anticipare gli eventi futuri ed

è estremamente rilevante a livello emotivo e motivazionale.

- Capacità di autoragolazione: si fonda sulla capacità di porsi degli obiettivi e

valutare il proprio comportamento riferendosi a standard interni di prestazione.

- Capacità di autoriflessione: si tratta della capacità, esclusivamente umana di

riflettere in modo cosciente su se stessi. Le persone, osservandosi mentre

agiscono, valutano il significato e le conseguenze degli eventi in relazione al

proprio benessere.

Un altro aspetto cruciale della teoria social-conitiva riguarda il senso di efficacia

personale che si sviluppa grazie alla capacità delle persone di valutare e riflettere

sul proprio operato: Bandura la chiama “autoefficacia percepita”, definendola

come la valutazione che le persone danno delle proprie capacità di mettere in atto

determinati piani d’azione e quindi raggiungere determinati livelli di prestazione

(Bandura, 1977, 1997).

Il disimpegno morale

La teoria social-cognitiva si fonda inizialmente sui processi di rinforzo e

modellamento vicario per poi spostarsi verso i meccanismi di autoregolazione che

sono alla base degli standard interni. Questi permettono alla persona di

comportarsi in funzione delle conseguenze previste, consentendole di arrivare alla

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soddisfazione personale e al senso di autostima, evitando così auto-sanzioni

dovute alla trasgressione dei valori morali. Maggiore è il disimpegno morale e

minore è il senso di colpa e il bisogno di riparare al male causato dalla condotta

lesiva (Bandura, Barbaranelli, Caprara, Pastorelli, 1996 b).

Di norma gli individui non adottano una condotta riprovevole finché non hanno

giustificato davanti a se stessi la correttezza delle loro azioni.

Bandura ha approfondito i meccanismi e le condizioni che, nel corso della

socializzazione, determinano l’attivazione o meno dei controlli morali interni,

agendo così come cause del comportamento immorale di persone pur capaci delle

più elevate forme di ragionamento morale.

Bandura ha individuato otto diversi meccanismi di disimpegno morale:

Una parte di questi operano sul comportamento lesivo stesso.

- Giustificazione morale: si tratta di un meccanismo attraverso il quale i

comportamenti socialmente deleteri vengono resi accettabili sia personalmente

che socialmente attraverso la ricostruzione cognitiva o forme di ideologizzazione.

Gli individui, quindi, agiscono per impulso di un imperativo sociale o morale.

Nelle vicende della vita quotidiana, numerosi comportamenti aggressivi vengono

giustificati col pretesto di voler proteggere l’onore e la reputazione (Cohen &

Nisbett, 1994).

Questo processo può essere inoltre paragonato al meccanismo psicodinamico di

razionalizzazione.

- Etichettamento eufemistico: è un meccanismo che si fonda sul potere del

linguaggio: questo se elaborato, permette di mascherare un’azione riprovevole

conferendole un carattere di rispettabilità proprio grazie all’attribuzione di

caratteristiche positive alla condotta deviata, in modo tale che il soggetto si senta

libero da ogni responsabilità.

- Confronto vantaggioso: consiste nel mettere a confronto la propria azione

deplorevole con una peggiore, in modo da alterarne la percezione ed il giudizio.

Più flagranti sono le attività utilizzate nel confronto, più è probabile che la propria

condotta lesiva appaia trascurabile o addirittura benevola (Bandura, 1991). I

deterrenti interni vengono eliminati dalla ristrutturazione morale che mette così

l’autoapprovazione a servizio di imprese distruttive, trasformando ciò che prima

era condannabile in fonte di autostima.

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Il seconda gruppo di meccanismi opera nascondendo o distorcendo la relazione

agentiva fra le azioni e gli effetti da esse provocati.

- Dislocazione della responsabilità: è un meccanismo che permette alle persone

di compiere azioni che solitamente ripudiano poiché non si sentono direttamente

responsabili del loro operato. Questo è evidente quando si obbedisce ad una

autorità: considerando l’obbedienza come obbligatoria si individua l’autorità

stessa come responsabile. Milgram (1974), grazie a diversi esperimenti, ha

dimostrato che maggiore è l’autorità che assegna il comando e maggiore è

l’obbedienza, ma che questa diminuisce nel momento in cui gli effetti lesivi del

proprio operato sono evidenti.

- Diffusione della responsabilità: è un meccanismo che permette di distribuire

fra membri diversi la responsabilità derivante dall’attività rischiosa, della quale

vengono eseguiti aspetti parziali che sembrano quindi innocui in sé, ma che sono

pericolosi nella loro totalità. La diffusione della responsabilità permette agli

individui, altrimenti attenti alle esigenze altrui, di comportarsi in maniera crudele.

Gli individui si comportano in modo molto più crudele quando la responsabilità è

del gruppo rispetto a quando si ritengono personalmente responsabili delle loro

azioni (Zimbardo, 1969, 1995).

- Distorsione delle conseguenze: è un meccanismo in cui opera la

minimizzazione o la selezione strumentale nella rappresentazione delle

conseguenze positive o negative dell’atto. Ad esempio, i questi casi, i soggetti

ricordano con prontezza le informazioni sui potenziali vantaggi delle loro azioni,

ma sono meno capaci di ricordare quelli dannosi. Anche Milgram (1974) ha

dimostrato, tramite la diminuzione dell’ubbidienza al comando aggressivo, che è

più facile danneggiare quando la sofferenza delle vittime non è visibile e quando

le azioni causali sono temporalmente remote dagli effetti, rispetto a quando il

dolore della vittima è evidente e personalizzato.

L’ultimo gruppo di pratiche di disimpegno opera sui destinatari degli atti lesivi.

- Disumanizzazione della vittima: si fonda sulla capacità di attribuire alla

vittima caratteristiche spregevoli, non umane, in modo da evitare l’insorgenza di

angoscia alla visione della sofferenza causata. Infatti considerare le vittime come

soggetti subumani consente di mettere in atto azioni estremamente crudeli,

considerandole giustificabili così da alleviare il senso di angoscia. Questo è stato

confermato da uno studio sulle dinamiche di vittimizzazione svolto da Perry,

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Williard e Perry (1990) nel quale è stato riscontrato che i bambini aggressivi

mostrano scarso interesse empatico quando fanno male a coetanei sminuiti ai loro

occhi.

- Attribuzione di colpa: è un meccanismo che riduce il controllo interno tramite

la percezione dell’altro come colpevole. Infatti durante una disputa è facile

attribuire alla controparte delle colpe così da giustificare la propria condotta

violenta come difesa contro la provocazione aggressiva. Anche i bambini inclini

all’aggressività sono pronti ad ascrivere l’intenzione ostile ad altri, cosa che

fornisce una giustificazione ad atti preventivi di ritorsione (Crick & Dodge, 1994).

Pertanto se l’altro è ritenuto responsabile, non solo le proprie azioni sono

giustificabili, ma ci si può sentire addirittura più buoni ed onesti di altri.

Sebbene i meccanismi di disimpegno morale operano simultaneamente nel

processo di autoregolazione, differiscono per grado di influenza nelle diverse età.

Ad esempio, l’interpretazione della condotta lesiva come funzionale a scopi giusti,

il disconoscimento della responsabilità per gli effetti lesivi e la svalutazione di

coloro che vengono maltrattati sono le modalità maggiormente utilizzate per

autogiustificarsi durante l’infanzia e l’adolescenza. Mentre celare attività

riprovevoli dietro denominazioni eufemistiche oppure renderle innocue tramite il

confronto palliativo sono meccanismi che richiedono capacità cognitive avanzate

e sono pertanto utilizzate con minor frequenza (Bandura, Brabaranelli, Caprara,

Pastorelli, 1996).

Il processo di disimpegno morale, che trasforma individui benevoli in carnefici,

non avviene sicuramente repentinamente, bensì in maniera graduale. Il mutamento

avviene attraverso una progressiva rimozione del sentimento di autocensura.

Inizialmente, coloro che compiono azioni disumane si abbandonano a misfatti

abbastanza limitati, che essi mettono in atto non senza qualche difficoltà morale.

Una volta che la ripetitività degli atti di natura violenta ha smussato il loro

sentimento di colpevolezza, le azioni diventano via via più odiose, fino al punto

che azioni considerate all’inizio come ripugnanti, vengono perpetrate

quotidianamente senza suscitare angoscia né disgusto. Il comportamento

disumano diviene a questo punto una routine.

Uno studio condotto da Elliot e Rhinehart (1995) sulle aggressioni e sulle

trasgressioni di grave entità dei giovani americani conferma la generalizzabilità

della teoria del disimpegno morale.

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Gli studi empirici condotti in Italia sul disimpegno morale

Di seguito verranno riportati alcuni tra i principali contributi empirici sul costrutto

di “disimpegno morale”. La totalità di questi studi si è svolta nel contesto italiano

a partire dai primi anni novanta fino ad oggi.

La misura del disimpegno morale in età evolutiva

Un primo studio volto a valutare il disimpegno morale in età evolutiva e i nessi

con le varie caratteristiche di personalità associate all’aggressività è stato svolto

da Caprara, Pastorelli e Bandura (1995). In questa ricerca sono state create due

differenti scale di 24 e 14 item rispettivamente per giovani adolescenti (tra gli 11 e

i 14 anni) e bambini in età di transizione tra infanzia e adolescenza (tra i 9 e i 10

anni) partendo dai 56 item, contenuti in un antecedente questionario proposto da

Bandura ed Elliot (1990). La ricerca ha voluto verificare la validità interna e di

costrutto delle due scale.

Il primo studio è stato svolto a Roma su un campione di 446 preadolescenti a cui

sono state somministrate sei diverse scale di auto valutazione riguardanti il

disimpegno morale, il comportamento pro sociale, l’aggressione fisica e verbale,

l’irritabilità, la ruminazione/dissipazione e la tolleranza verso la violenza.

Riguardo alle eterovalutazioni sono invece state utilizzate le nomine dei pari

attraverso la richiesta ai soggetti di indicare i compagni che più frequentemente

mostravano i comportamenti indicati.

I risultati, oltre a confermare la validità interna e di costrutto della scala, hanno

evidenziato, una differenza di genere significativa: i maschi risultavano molto più

inclini al disimpegno morale rispetto alle femmine. Inoltre, dalla presa in esame

delle relazioni con la condotta aggressiva e prosociale, sono emersi nessi positivi

del disimpegno morale con gli indicatori associati alla condotta aggressiva e

correlazioni negative con il comportamento prosociale. Questi risultati sono stati

ulteriormente confermanti dai dati emersi dall’analisi delle eterovaltazioni.

Nel secondo studio, svolto su un campione di 263 bambini della Capitale, è stato

utilizzato lo stesso metodo relativamente all’autovalutazione (senza però indagare

il meccanismo di diffusione della responsabilità), mentre per l’eterovalutazione

sono state analizzate sia le nomine dei compagni che la valutazione degli

insegnanti.

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Come nello studio sui preadolescenti sono state evidenziate differenze

significative a carico del sesso: i maschi risultano maggiormente inclini al

disimpegno morale e vi è una correlazione positiva di questo con la condotta

aggressiva sia nella autovalutazione che nella eterovalutazione.

È inoltre emersa, nella eterovalutazione, soprattutto all’interno del campione

femminile, una maggiore associazione tra disinvestimento morale e condotta

aggressiva.

In generale è stata riscontrata una maggiore correlazione tra disimpegno morale e

condotta aggressiva nei soggetti adolescenti rispetto ai bambini di 9-10 anni.

Questo avvalora l’ipotesi di Bandura (1991) secondo la quale i meccanismi di

controllo, antagonisti della trasgressività, si evolvono parallelamente alla

competenza cognitiva e all’esperienza.

Il disimpegno morale nell’esercizio dell’agentività morale

Questo studio, condotto da Bandura, Barbanelli, Caprara e Pastorelli (1996) ha

preso in esame la struttura e l’impatto del disimpegno morale sulla condotta

aggressiva e sui processi psicologici attraverso i quali esercita la sua influenza. La

ricerca è stata condotta su un campione di 799 soggetti di età compresa tra i 10 ed

i 15 anni, tramite la somministrazione di diverse scale riguardanti: il disimpegno

morale, il comportamento aggressivo (fisico e verbale) e prosociale, la popolarità

ed il rifiuto tra i coetanei, la ruminazione delle offese e l’irascibilità, il senso di

colpa e riparazione ed il comportamento delinquenziale. Lo studio si fonda sulla

concezione dell’influenza in forma diretta e indiretta, da parte del disimpegno

morale, sulla condotta lesiva. Il modello concettuale di ciò è presentato in figura

1. (vedi fig. 1)

Sulla base di ciò gli autori hanno previsto quanto segue:

- Ad un elevato livello di disimpegno morale corrisponde uno scarso senso di

colpa.

- L’autogiustificazione per la condotta lesiva e la disumanizzazione protettiva

degli altri attribuendo loro la colpa produce uno scarso orientamento sociale.

- Una bassa prosocialità influenza la condotta lesiva sia grazie alla scarsa

immedesimazione negli altri sia attivando un basso senso di colpa anticipatorio.

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Ruminazione Irritabilità

Fig.1 Struttura causale delle linee di influenza attraverso al quale opera il disimpegno

morale: modello concettuale (Bandura, Barbaranelli, Caprara, Pastorelli, 1996).

I risultati confermano pienamente le previsioni effettuate dagli autori: infatti, in

accordo con il modello supposto, il disimpegno morale ha influenzato il

comportamento delinquenziale sia direttamente sia riducendo la prosocialità e il

senso di colpa anticipatorio per le trasgressioni, favorendo quindi la propensione

all’aggressività (vedi fig.2).

.22

-.28 -.18 -.11

..51 .31

-.10 -.31 .30 .71 .72 -.22

Ruminazione Irritabilità

Fig.2 L’influenza del disimpegno morale sul comportamento delinquenziale: modello

empirico (Bandura, Barbaranelli, Caprara, Pastorelli, 1996).

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Comportamento morale

Comportamento prosociale

Riparazione

Propensione all’aggressione

Comportamento dannoso

Comportamento morale

Comportamento prosociale

Riparazione

Propensione all’aggressione

Comportamento dannoso

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L’influenza del disimpegno morale sulla condotta aggressiva è stata mediata dalla

prosocialità, dal senso di colpa e dalla propensione all’aggressività (vedi fig.3). Un

elevato disimpegno morale ha ridotto la prosocialità ed i sensi di colpa, favorendo

reazioni affettive e cognitive tendenti all’aggressività.

.

-.28 -.17 -.08

..51 .53

-.09 .31 .30 .67 ..76 -.21

Ruminazione Irritabilità

Fig.3 L’influenza del disimpegno morale sul comportamento aggressivo (Bandura,

Barbaranelli, Caprara, Pastorelli, 1996).

Concludendo, si può affermare che questo studio ha evidenziato come i soggetti

con elevato disimpegno morale risultano maggiormente collerici ed adottano

comportamenti maggiormente aggressivi rispetto ad individui che, al contrario,

censurano, attraverso le autopunizioni morali, la condotta lesiva.

Meccanismi di disimpegno morale e propensione all’aggressione in contesti

sociali a rischio

Questa ricerca è stata svolta da Pastorelli, Incatasciato, Rabasca e Romano (1996)

ed è volta a indagare le relazioni presenti tra i meccanismi di disimpegno morale e

la propensione all’aggressione ed alla violenza in contesti sociali a rischio.

La ricerca si è svolta creando due gruppi di adolescenti definiti a rischio (per la

presenza, nel loro contesto sociale, di un’elevata percentuale di gruppi

camorristci) e non a rischio (per l’assenza, nel loro contesto sociale, di tali

gruppi). A questi due gruppi, entrambi del capoluogo campano, sono state

somministrate sei diverse scale di autovalutazione atte ad indagare: irritabilità,

suscettibilità emotiva, ruminazione/dissipazione, paura della punizione, tolleranza

verso la violenza e disimpegno morale.

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Comportamento morale

Comportamento prosociale

Riparazione

Propensione all’aggressione

Comportamento dannoso

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I risultati hanno mostrano che i giovani dell’area a rischio presentano non solo

una maggiore propensione al disinvestimento morale, ma anche una spiccata

propensione all’aggressione di tipo offensivo e cognitivo-strumentale rispetto al

gruppo non a rischio. Questa maggiore inclinazione al disinvestimento morale ed

alle disposizioni di personalità connesse alla condotta aggressiva avvalorano la

definizione di rischio proposta dagli sperimentatori.

Dai risultati emerge anche che i soggetti del gruppo a rischio mostrano una

maggiore capacità di differenziare manifestazioni aggressive di natura impulsiva

da quelle di natura socio-cognitiva.

La misura del disimpegno morale nel contesto delle trasgressioni dell’agire

quotidiano

Tale studio è stato effettuato da Caprara, Barbaranelli, Beretta, Iafrate, Pastorelli,

Steca e Bandura (2006).

L’indagine, a differenza di quelle precedenti impegnate nell’analisi delle condotte

aggressive e violente, si è concentrata sulla misura del disimpegno morale

quotidiano all’interno del contesto civile (verso una operalizzazione dei

meccanismi di disimpegno morale in connessione a trasgressioni che si estendono

oltre la violazione dell’incolumità) e sulla verifica della validità di costrutto della

nuova scala utilizzata.

Il contributo è costituito da due studi separati, il primo condotto su adolescenti

mentre il secondo su soggetti adulti.

Al primo studio hanno partecipato 1.179 soggetti di età compresa tra i 15 e i 20

anni, a cui sono state somministrate le seguenti scale: disimpegno morale,

disimpegno morale-civile, comportamento prosociale, autoefficacia percepita

regolatoria, propensione all’aggressione fisica e verbale, tendenze delinquenziali.

I risultati ottenuti in questo primo studio attestano la validità della nuova scala per

la misura del disimpegno morale e civile, che è risultato maggiormente correlato

al comportamento prosociale rispetto al disimpegno morale misurato con la scala

originaria. Per quanto riguarda le differenze di genere, è stata notata nei maschi

una maggiore inclinazione all’uso di meccanismi cognitivi di disimpegno morale

nel contesto delle condotte aggressive ed una più marcata propensione

all’aggressione ed alla delinquenza, infine una maggiore tendenza al disimpegno

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morale e civile. Le ragazze mostrano invece maggiori capacità autoregolatorie nei

confronti delle trasgressioni e maggiori tendenze prosociali.

Nel secondo studio, condotto su 779 soggetti compresi tra i 21 e gli 85 anni è stata

analizzata la validità della nuova scala e le sue relazioni con il rischio etico e

l’amicalità. Ai soggetti è stata somministrata una batteria comprensiva delle

seguenti scale: disimpegno morale-civile, rischio etico, amicalità.

I risultati evidenziano che la scala di disimpegno morale-civile ha una

correlazione elevata con il rischio etico (r=.44,p<.001) ed una correlazione

negativa con la scala di amicalità (r=-.31,p<.001).

Anche negli adulti, come per gli adolescenti, è stata riscontrata una maggiore

tendenza dei maschi verso il disimpegno morale-civile rispetto alle femmine.

I risultati di questo studio avvalorano, come prima per gli adolescenti, la validità e

generalizzabilità della nuova scala anche per gli adulti.

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