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Raccomandazione sull’acquisizione del consenso ai trattamenti in Psichiatria ASL Provincia di Mantova - Via dei Toscani, 1- 46100 Mantova 1

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Raccomandazione sull’acquisizione del consenso ai trattamenti in

Psichiatria

ASL Provincia di Mantova - Via dei Toscani, 1- 46100 Mantova

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Raccomandazione sull’acquisizione del consenso ai trattamenti in Psichiatria

Indice Parte I: Premessa e definizione degli obiettivi 1. Obiettivi e metodologia di lavoro 2. Verifica della normativa nazionale/regionale e della normativa di accreditamento istituzionale 3. Verifica della documentazione tecnico scientifica PARTE II: Raccomandazione risultati del gruppo di lavoro 1. Premessa e razionale per criteri condivisi 1.1 Definizione di consenso informato: aspetti giuridici e deontologici in psichiatria 1.2 La psicopatologia 1.3 La dipendenza terapeutica 1.4 Criteri Condivisi 2. Obiettivo 3. Ambiti di applicazione 4. Azioni 4.1 La valutazione dei percorsi di cura 4.2 Approccio alla gestione del consenso 5. I processi organizzativi a supporto del consenso informato in psichiatri 5.1 Implementazione locale della raccomandazione 6. La Formazione 7. Aggiornamento della Raccomandazione 8. Attivazione del protocollo di monitoraggio 9. Riferimenti bibliografici 10. Nota Percorsi di cura: 10.1 Presa in Carico (Trattamento integrato),Consultazione,Osservazione, Fase operativa 10.2 Assunzione in cura (Trattamento specialistico) 10.3 Consulenza 11. Esperienze esaminate: Allegato 1: Politica del consenso Azienda Ospedaliera Carlo Poma Allegato 2: Procedura di contenzione del paziente in SPDC. Bozza DSM.

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Allegato 3: La Contenzione Fisica: documento del Servizio Diagnosi e Cura UOP 28.

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PARTE I: Premessa e definizione degli obiettivi 1. OBIETTIVI E METODOLOGIA DI LAVORO Gli obiettivi principali del documento sono così riassunti: 1) diffondere a livello di tutti i professionisti la cultura attuale del consenso informato che pone il paziente psichiatrico in una posizione centrale rispetto alla cultura paternalistica del passato; nello specifico, questa raccomandazione ha l’obiettivo di definire una modalità efficace e riconosciuta di acquisizione del consenso ai trattamenti in Psichiatria intesi non come singoli atti medici ma come percorsi terapeutici; 2) informare tutti i professionisti delle modalità più opportune per l’attuazione dell’informazione, al fine di ottenere il consenso e per fornire la prova del loro adempimento professionale anche ai fini di evitare contestazioni ed eventuali sequele giudiziarie. Inoltre nei pazienti psichiatrici non riguarda solo la cura (come atto terapeutico), ma la loro presa in carico (come percorso terapeutico). La costituzione di un gruppo di lavoro multiprofessionale e interaziendale (AO Carlo Poma – ASL Mantova) ha consentito la produzione di un documento finale, risultato di un lavoro sinergico e collaborativo. Il gruppo è costituito, per quanto riguarda l’ASL, dal Responsabile del Servizio Autorizzazione ed Accreditamento del Dipartimento PAC, dal Responsabile del Servizio Prevenzione e Sicurezza Ambienti di Lavoro, dal Responsabile Ufficio Qualità Totale, dal Responsabile della U.O. Psichiatria e Neuro Psichiatria del Dipartimento PAC; per quanto riguarda l’A.O. Carlo Poma, dal Direttore del DSM, da un Direttore di Struttura Complessa, da referenti di infermieri di CPS e SPDC, di educatori, di assistenti sociali, di OSS, dal Risk Manager Aziendale, dal Responsabile valutazione personale. Il gruppo di lavoro al completo ha affrontato, nel corso di sette incontri, il tema della politica per la qualità e, successivamente, gli aspetti giuridici e deontologici del consenso informato. La complessa dottrina del consenso informato in medicina è stata analizzata nella duplice prospettiva giuridica e deontologica focalizzando, l’attenzione sui vincoli di applicabilità in ambito psichiatrico. La contestualizzazione della gestione del “consenso informato” nel concreto dell’attività psichiatrica nei DSM è stata impegnativa perché ha richiesto il confronto e una sintesi tra la visione giuridica e la visione clinico assistenziale. I clinici in particolare hanno sottolineato che le patologie psichiatriche rendono difficile una completa informazione e un consapevole consenso da parte del paziente soprattutto le patologie che presentano alterazioni dello stato di coscienza, compromissione dell’insight, gravi disturbi cognitivi e forme depressive. Nel corso degli incontri si è sviluppata l’idea che nell’attività di cura della psichiatria la qualità del consenso informato è strettamente collegata alla qualità dell’“alleanza terapeutica”, termine che meglio si adatta ad un ambito di cura caratterizzato da:

• presa in carico “Allargata”, il lavoro d’équipe e la dimensione “gruppale” del setting

• presa in carico “Protratta”, che introduce la dimensione del “tempo” e la continua ridefinizione del consenso

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• continuo confronto con l’altro

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• trattamenti che possono essere urgenti, acuti e cronici Il documento prodotto rappresenta la prima fase del percorso: sono stati individuati principi e criteri qualitativi condivisi in tema di consenso informato/alleanza terapeutica. Il gruppo è disponibile a proseguire i lavori per l’individuazione degli standard di qualità e la definizione degli indicatori di qualità. Per consentire la stesura del documento è stato analizzato materiale bibliografico che viene riportato negli allegati . 1.2 VERIFICA DELLA NORMATIVA NAZIONALE/REGIONALE E DELLA NORMATIVA DI ACCREDITAMENTO ISTITUZIONALE Ha ricompreso: Codice Penale Codice Civile Piano Regionale per la Salute Mentale di cui a DGR 7/17513 del 17 Maggio 2004 DPR gennaio 1997 – "Atto di indirizzo e coordinamento in materia di requisiti strutturali, tecnologici ed organizzativi minimi per l’esercizio delle attività sanitarie da parte delle strutture pubbliche e private" Documento della Conferenza Stato Regioni e delle Province autonome in materia di “Contenzione fisica in psichiatria: una strategia possibile di prevenzione “ - Roma, 30 luglio 2010. 1.3 VERIFICA DELLA DOCUMENTAZIONE TECNICO SCIENTIFICA Ha ricompreso: Trattato di Psichiatria Forense U. Fornari (terza edizione, 2004) Consenso Informato e Attività Medica - Quaderni di Gestione del Rischio in Medicina - Riccardo Freza, 2009. Introduzione al Modello dell'Integrazione Funzionale nella patologia grave - G.C. Zapparoli, 2009. Psicopatologia grave: Una guida alla comprensione e al trattamento - G.C. Zapparoli, 2008 Linee Guida di una unità operativa di psichiatria - UOP 26 Az. Osp. "C. Poma" Mantova, 2000 Manuale standard JCI, 2011 Consensus conference SOPSI - Il consenso al trattamento in psichiatria – Roma 8-9 maggio, 1998.

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PARTE II: risultati del gruppo di lavoro 1 Premessa e razionale per criteri condivisi

Parlare degli aspetti deontologici riferiti all’intervento psicologico e/o psichiatrico significa affrontare un capitolo ricco di molteplici e complessi risvolti, essendo profondamente cambiati i modi di intendere la malattia mentale, di prendere in carico il paziente e di articolare l’intervento. Ne è conseguito che il trattamento del portatore di disturbi mentali è compito che coinvolge operatori che non sono solo medici psichiatri bensì anche psicologi, infermieri, assistenti sociali, educatori, OSS. Inoltre, esso tende ad assumere sempre più caratteristiche di lavoro sistemico. L’approccio integrato di intervento multiprofessionale è basato sull’alleanza terapeutica e sulla continuità terapeutica, principi fondanti della presa in carico del paziente, che si raggiungono attraverso l’acquisizione di un consenso da parte del paziente portatore di gravi disturbi psichici. Il concetto di base è quello di non lavorare per il paziente ma di lavorare con il paziente. 1.1 Definizione di consenso informato: aspetti giuridici e deontologici in psichiatria Per consenso si intende un atto giuridico un permesso con cui qualcuno conferisce a qualcun altro un potere di agire. Il consenso è giuridicamente rilevante soltanto se valido e dato da persona che è informata e consapevole del significato e delle conseguenze di quello specifico atto che su di lei verrà compiuto (accertamenti di laboratorio strumentali, terapie mediche e chirurgiche, ecc...), di conseguenza, ha manifestato validamente il suo consenso (o non ha manifestato il suo dissenso), non lo ha revocato e non è stata condizionata nel consentire. La dottrina medico legale ha più volte ribadito che il consenso deve essere:

1. personale (non delegabile e non disponibile) 2. consapevole ed informato 3. attuale (quindi anche revocabile) 4. manifesto, chiaro ed inequivocabile 5. libero 6. non imposto ed esente da errore, violenza e dolo 7. completo 8. gratutito (non prestato a titolo oneroso o quale controprestazione di favore o

vantaggio) 9. recettizio (ha effetto dal momento in cui il destinatario – terapeuta ne viene a

conoscenza) 10. richiesto (è dovere del professionista richiedere il consenso)

Il consenso deve essere tenuto distinto dall’assenso, inteso come benestare a procedere. Il consenso va inteso, invece, come incontro di volontà, partecipazione, comunicazione di intenti, il cui obiettivo è il raggiungimento del bene del paziente, la tutela del suo diritto alla salute.

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Diversi interventi nel campo psichiatrico vengono avviati partendo da un semplice assenso, che in seguito nel costruirsi di un contesto clinico favorevole, nel divenire l’alleanza terapeutica e nello stabilirsi di un clima di reciproca fiducia, si può trasformare in vero e proprio consenso; con ciò è possibile affermare che in campo psichiatrico sarebbe fuorviante pensare di porre come pre-condizione assoluta all’intervento sanitario

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un“ contratto di cura” perfetto sul piano giuridico: il paziente informato in maniera ineccepibile di ogni dettaglio del quadro patologico e delle terapie prospettabili, arriva a decidere ”liberamente” sul da farsi, assumendosi al contempo ogni responsabilità delle decisioni prese. Può darsi che, in alcuni casi, una situazione ideale di questo genere si verifichi, ma certamente nella maggior parte dei servizi psichiatrici la realtà è quella di pazienti in condizioni di disagio soggettivo, con scarsa autonomia decisionale e carente consapevolezza di malattia, più o meno insistentemente sollecitati a curarsi da familiari e dal contesto in cui vivono, con difficoltà più o meno gravi a comprendere l’esatta natura dei propri disturbi, le necessità terapeutiche ed il percorso da intraprendere per avviare un processo di presa in carico. Questo dato non autorizza l’assunzione di atteggiamenti paternalistici o vicariati rispetto alle decisioni che il paziente deve prendere con il suo terapeuta, ma non deve fare ritenere indispensabile l’ottenimento di un consenso che sia perfetto sotto il profilo sia formale sia contenutistico. La prescrizione deontologica è volta ad ottenere un consenso libero, attuale, esplicito,consapevole e partecipe, attraverso il quale stendere il contratto terapeutico e man mano costruire quell’alleanza che si fonda sulla fiducia reciproca e sulla compartecipazione. In ambito psichiatrico, quindi, il consenso non è un atto solo formale, che si possa chiedere ed ottenere “ una tantum”, ma è un processo continuo fatto di ben precisi contenuti (la verifica periodica): è possibile ottenere un consenso concordato da sottoporre a verifiche periodiche. La sua validità è il frutto della chiarezza e completezza della comunicazione del curante da un lato, del tipo e della qualità della risposta del paziente dall’altro. Per meglio comprendere il significato del termine ”informato”, occorre distinguere l’informazione dalla comunicazione. INFORMARE Informare significa rendere consapevole qualcuno di un fatto, di un processo, di un intervento, elencare notizie, ragguagliare. Ad esempio, l’operatore informa quando si presenta e si identifica; quando chiarisce la sua funzione, i contenuti e gli obiettivi che sono propri del suo lavoro diagnostico e terapeutico; quando spiega che il suo intervento è un’offerta di aiuto, una possibilità di lavorare insieme e non la panacea per tutti i mali. A tal fine non deve parlare di futuri grandiosi o falsi obiettivi, ma semplicemente presentarsi come una persona che possiede una competenza specifica. Informerà, inoltre, che non è compito suo affrontare problemi medici, generici o specialistici che esulino dalle sue competenze. Stenderà, infine, il “contratto terapeutico” (tempi, modi, contenuti e costi dell’intervento). Ogni informazione, prendendo le mosse da una certa realtà clinica, dovrebbe andarsi a collocare negli spazi di autonomia, di libertà e di capacità che il malato ancora possiede, in quei settori di “ libero movimento di responsabilità”, cioè, che si presumono ancora in lui presenti, salvo prova contraria. Ovviamente, questi spazi sono più o meno ampi o compressi,a seconda delle condizioni psichiche che il soggetto presenta in quel momento (diverso è il significato della risposta che egli può dare in situazioni di scompenso acuto, di remissione della patologia psichiatrica, di stabilizzazione, di cronicizzazione, di deterioramento della personalità, di presenza di disturbi propri di una struttura nevrotica o prepsicotica o psicotica e così via). Il funzionamento delle sue strutture psichiche, infatti, varia con il variare del quadro sindromico e della serietà della compromissione in atto.

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Ciò non basta: la sua risposta varia con il variare del livello nozionistico e culturale di base (soggetti carenti a vari livelli, immigrati, extracomunitari, ecc.); del tipo di intervento proposto (psicoterapeutico o psicofarmacologico), di ricovero o di invio in una struttura

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intermedia, di terapia domiciliare o ambulatoriale; dell’essere stato o meno intrapreso un percorso di cura e di assistenza (in corso di somministrazione di psicofarmaci o di psicoterapia o di terapie combinate); infine, delle caratteristiche del contesto in cui avviene l’incontro con l’operatore sanitario (ambulatorio, reparto ospedaliero, abitazione o studio privato, obbligatorietà, urgenza). COMUNICARE Comunicare significa, invece, informare con partecipazione, empatia. Oltre che a parole si comunica anche con il comportamento e con le emozioni, pertanto si distinguono una comunicazione verbale ed una extraverbale. Inoltre, la comunicazione varia di forma e di contenuto, a seconda delle risposte ricevute, per cui essa è condizionata, in molte parti, dalla relazione che si stabilisce o meno tra i comunicanti. E’ impossibile – in un contesto come quello delle cosiddette “scienze umane”( i cui strumenti sono: l’osservazione partecipante, la comprensione, la centralità del cliente/paziente, l’utilizzazione delle esperienze, dei problemi e dei bisogni di questi per creare una relazione interpersonale significativa) informare senza comunicare . Solo nel caso in cui l’informazione e la comunicazione si siano svolte in maniera corretta, il paziente può esercitare il suo diritto di consentire, di non aderire alle proposte e alle richieste del terapeuta, di discuterle con lui. Si deve rispettare questo suo diritto che può essere “ compresso” solo nel caso di minori o interdetti o nello stato di necessità, sia con sfumature assai diversificate (artt. 31, 32, 33 e 34 Codice deontologia medica). RESTITUZIONE DEL CONSENSO La comunicazione non può prescindere dall’esame della restituzione del consenso, non è sufficiente la certezza di aver parlato in modo chiaro, semplice ed intelleggibile, è indispensabile verificare quanto e quello che il paziente comprende. Inoltre nei pazienti psichiatrici non riguarda solo la cura (come atto terapeutico), ma la loro presa in carico (come percorso terapeutico). La possibilità di stendere un contratto terapeutico riconosce le sue premesse nella costruzione di un clima di fiducia reciproca e di compartecipazione; le difficoltà che si incontrano quando si debba comunicare con un paziente sono chiaramente compromesse, non obbliga ad ottenere «tutto e subito», ma neppure esime dal dovere di informare, programmando contenuti (cosa dire), tempi (quando dire) e modalità comunicative (come dire). Quando si è costretti a raccogliere solo una sorta di «assenso» da parte del malato, e cioè di una accettazione delle terapie in modo più o meno passivo, a differenza della attiva partecipazione che caratterizza invece il consenso vero e proprio, è fondamentale la forte presa in carico del paziente da parte del curante. Questi, però, nel vicariare temporaneamente la deficitaria partecipazione iniziale, deve impegnarsi per costruire un contesto di rapporti significativi che agevolino il formarsi del consenso. Nessuna validità hanno quindi il consenso presunto o il consenso tacito o il consenso dato dai parenti, in assenza o in carenza di una valida informazione o di una significativa manifestazione mimica, gestuale, motoria che depongano per un atteggiamento del paziente incompatibile con il rifiuto alle cure o agli interventi proposti. Così è priva di senso ogni operazione che miri ad estorcere un consenso viziato alla radice da una informazione faziosa o intimidatoria o seduttiva o ricattatoria.

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Raccomandazioni deontologiche che debbono essere tenute presenti ad operare correttamente nel campo psichiatrico (ma la regola è generalizzabile a tutto l'agire medico, generico o specialistico) si possono ancora ricavare dalla lettura di altri articoli del Codice deontologico medico. Gli artt. 3, 4, 5 e 17, ad esempio, ricordano a tutti – sia pur indirettamente – un atteggiamento basilare per il processo di conoscenza e di intervento: la neutralità e il rispetto dei diritti fondamentali della persona. Raccomandazioni che noi possiamo tradurre nei seguenti obblighi: mantenimento della distanza emotiva, astensione da tecniche manipolatorie e da pratiche intrusive, accurato

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evitamento di ogni passaggio all'atto. L'art.18 raccomanda competenza, massimo scrupolo e impegno. Lo stile professionale, in altre parole, deve essere fatto di peripezie, diligenza, eticità, aderenza a precisi referenti teorici e metodologici. Gli artt. 15 e 50, infine, vietano al medico di partecipare o collaborare o mettere in atto trattamenti che «incidono sulla resistenza fisica o psichica del malato» o che siano «crudeli, disumani o degradanti». Si tratta di norme deontologiche ricche di significato e rivolte a quei «tecnici della salute mentale» eventualmente invitati a collaborare con i sistemi di controllo e di repressione per individuare ed applicare tecniche finalizzate ad ottenere confessioni, delazioni, consensi, pentimenti o a mantenere «l'ordine e la disciplina». Il Titolo IV sottolinea l'importanza della collaborazione con altri consulenti e regola i rapporti con i colleghi. Specie quando ci si trovi di fronte ad un dubbio diagnostico, ad una situazione di crisi, ad un peggioramento sintomatologico, non si deve esitare ad interpellare altri specialisti (artt. 18, 20 e titolo IV, capi I, II, III). La tutela della salute del paziente può richiedere, infatti, la messa in atto di un intervento a più livelli e in cui le competenze devono integrarsi e non entrare in conflitto. 1.2 La psicopatologia La validità del consenso può essere condizionata dallo stato psicopatologico attuale. Ciò che stabilisce la validità del consenso alle cure da parte del paziente non è tanto l’inquadramento diagnostico in se stesso quanto le condizioni attuali dipendenti dallo stato psicopatologico, dallo stadio evolutivo del disturbo, dalle modalità di risposta al contesto terapeutico, dalle capacità di critica e di giudizio. In altri termini una corretta metodologia nel conseguimento del consenso informato non può prescindere dalla valutazione delle caratteristiche peculiari e complesse del singolo caso clinico. Esistono tuttavia alcuni disturbi, diagnosticati secondo criteri categoriali, dove è più probabile che si manifestino condizioni che compromettano la libertà decisionale in merito al trattamento. Il primo gruppo di disturbi è rappresentato dalle alterazioni della coscienza (Delirium, Disturbi Dissociativi, Disturbo acuto da Stress). Il secondo gruppo è quello della Schizofrenia e degli altri Disturbi Psicotici. Il terzo è quello dei disturbi organici con particolare riferimento alle Demenze. È bene chiarire comunque che la diagnosi clinica è sempre soltanto un indicatore generico di probabilità di una non validità del consenso e non un fattore determinante. Maggiori indicazioni possono dare le condizioni psicopatologiche attuali basate su di un’analisi dimensionale del quadro clinico. In quest’ambito vi sono alcune dimensioni di maggiore rilevanza che vanno più attentamente esplorate per la validità del consenso al trattamento. La prima area critica è quella dello stato di coscienza. In linea generale qualunque alterazione della coscienza altera la validità del consenso. Rientrano in quest’area il delirium, gli stati oniroidi, gli stati crepuscolari, alcune condizioni "dissociative", alcuni disturbi acuti da stress. Va rilevato che alterazioni transitorie dello stato di coscienza possono essere presenti in gran parte dei disturbi psichiatrici. Le condizioni di "ottundimento" o di "obnubilazione" che non rientrano nelle condizioni precedenti devono essere valutate in rapporto alla loro gravità.

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La seconda area critica è rappresentata dalla dimensione identificata dalla mancanza o compromissione di insight (trasformazione della realtà, sintomi "positivi" della schizofrenia,condizioni deliranti o allucinatorie, condizioni di eccitamento maniacale e ipomania, dipendenza e abuso da sostanze).

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Non vi è dubbio che una condizione psicotica o una condizione caratterizzata da ridotto insight possano in una prospettiva generale alterare potenzialmente le capacità decisionali in merito al trattamento, ma la valutazione va sempre rapportata alle condizioni cliniche specifiche. I fattori da considerare caso per caso sono l’intensità e l’invasività dei sintomi psicotici, le modalità di coinvolgimento della proposta di trattamento nel vissuto delirante, la presenza e l’entità della disorganizzazione ideativa concomitante, il livello delle capacità di critica e di giudizio al di fuori dei vissuti psicotici specifici. Inoltre, anche se la presenza di una condizione psicotica attiva può condizionare la libertà decisionale in aree attinenti il vissuto psicotico, essa può essere relativamente non influente in merito al consenso al trattamento. Nel caso della dimensione psicotica attualmente attiva il consenso al trattamento può essere circoscritto. Per ottenere il consenso del paziente psicotico l’informazione può essere data ponendo l’accento sui disturbi riconosciuti dal paziente tenendo conto delle indicazioni del 3° comma dell’art. 29 del Codice di Deontologia Medica. Tale comma è il seguente: "Le informazioni relative al programma diagnostico e terapeutico possono essere circoscritte a quegli elementi che cultura e condizione psicologica del paziente sono in grado di recepire ed accettare, evitando superflue precisazioni di dati inerenti aspetti scientifici". Per condizione "psicologica" è da ritenere si debba intendere anche psicopatologica. Per quanto riguarda i disturbi riconosciuti dal paziente come tali si può fare l’esempio di ansia, insonnia, depressione, ed altri. È evidentemente auspicabile che il consenso al trattamento sia sempre e comunque totale, ma nel caso della dimensione psicotica anche un consenso circoscritto può essere considerato eticamente e deontologicamente valido purché sia ottenuto dopo un’informazione completa ed adeguata. Per informazione completa ed adeguata si intende la comunicazione al paziente a) della diagnosi, b) delle aree valutate come patologiche, c) della finalità del trattamento, ed, in particolare, dello scopo primario di ridurre la sua sofferenza soggettiva, d) delle modalità con cui questo scopo può essere raggiunto. La terza area critica è quella dei disturbi cognitivi (attenzione, memoria, comprensione, ragionamento, capacità verbali), stabili come nel caso di un ritardo mentale, o evolutivi, come ad esempio, nel caso di processi organici cerebrali. Le alterazioni delle funzioni cognitive possono compromettere le capacità di dare un libero consenso al trattamento in rapporto proporzionale alla sua gravità ed estensione. Quando le alterazioni cognitive hanno un andamento progressivo ed evolutivo, legate a processi organici cerebrali (demenze), la validità del consenso è in rapporto allo stadio evolutivo del disturbo. Di conseguenza, un valido consenso in uno stadio iniziale può perdere la sua validità anche a breve intervallo di tempo se non sono più presenti le condizioni iniziali. Il consenso al trattamento va, di conseguenza confermato periodicamente nel corso di trattamenti prolungati, che sono comuni nella terapia dei disturbi cognitivi su base demenziale. La quarta area critica è quella della depressione. Viene dato abitualmente per scontato che il paziente depresso sia in grado di dare un consenso libero al trattamento, in quanto consapevole del suo stato di malattia, in assenza di sintomi psicotici, di disturbi della coscienza e di gravi alterazioni cognitive.

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La condizione depressiva, tuttavia, cambia la visione del mondo, altera i sistemi di valori, induce passività, indifferenza, rinuncia e desiderio di morte. L’accettazione di un trattamento può, di conseguenza, essere piuttosto una espressione di rinuncia passiva piuttosto che di una consapevole scelta per curare un disturbo. La validità del consenso,

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perciò, va valutata in rapporto alle caratteristiche qualitative e quantitative dello stato psicopatologico. Anche nel caso dei disturbi depressivi valgono le considerazioni in merito all’evolutività del disturbo. Un valido consenso in una fase iniziale può non essere più accettabile come tale in una fase successiva, quando viene perduta la consapevolezza di malattia. Va segnalato infine che in alcune patologie (ad es. disturbo di panico, ipocondria), per motivi diversi rispetto a quelli dei disturbi precedenti riguardanti le caratteristiche specifiche di tali patologie, si possono trovare notevoli difficoltà nell’ottenere un consenso al trattamento. Ad esempio può manifestarsi una "farmacofobia". In tali casi si può interrompere il rapporto medico-paziente in quanto il consenso è ritenuto una fase pre-contrattuale di tale rapporto. 1.3 La dipendenza terapeutica La libertà decisionale in merito al consenso al trattamento può essere condizionata dal livello di dipendenza terapeutica. Teoricamente la completa libertà decisionale dovrebbe prevedere una completa assenza di dipendenza terapeutica. D’altra parte quest’ultima è una componente importante del processo terapeutico ed è strettamente correlata alla gravità della malattia e al livello di sofferenza che essa comporta. Il rapporto di dipendenza terapeutica ha in genere la durata dello stato di malattia. Esso influisce sul successo della terapia, ma può condizionare in alcuni casi il consenso al trattamento. Il paziente psichiatrico tende a sviluppare una dipendenza terapeutica in misura più accentuata rispetto ad altri tipi di pazienti. Il suo livello di libertà decisionale tende, di conseguenza, ad essere più ristretto. Ciò aumenta la responsabilità dello psichiatra per quanto riguarda l’accettazione del consenso al trattamento espresso dal paziente. Il problema della dipendenza terapeutica come fattore limitante la libertà decisionale assume una particolare importanza in alcuni trattamenti psicoterapeutici a lungo termine dove essa può essere continuamente rinforzata dalle caratteristiche specifiche della tecnica utilizzata. 1.4 Criteri condivisi La correttezza dell'intervento in ambito psichiatrico discende dal rispetto prioritario dei seguenti principi: - presentarsi come rigorosi e gelosi custodi e garanti della relazione con il paziente; - comunicargli gli obiettivi che è possibile di volta in volta perseguire, contestualizzando

sempre l'agire psicologico e/o psichiatrico; - ammettere, infine, la parzialità di ogni strategia terapeutica e di accettare i limiti della

propria operatività.

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1. Il consenso informato si basa sul diritto del paziente di essere dapprima informato adeguatamente sulle procedure per formulare la diagnosi ovvero sulla diagnosi già realizzata, sulle proposte terapeutiche, le loro possibili alternative, sulla prevedibile durata della cura, sui rischi e benefici e sulla prognosi. Lo psichiatra ha il dovere professionale di informare il paziente in merito alla propria competenza clinica e terapeutica relativamente alla specifica malattia da cui è affetto il paziente.

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2. La libertà decisionale del paziente e quindi la validità del consenso sono condizionate da fattori complessi: tipo e gravità della patologia, livello di compromissione cognitiva ed emozionale, capacità di insight, intensità del rapporto di dipendenza terapeutica.

3. La completa ed esauriente compilazione delle cartelle cliniche e delle schede cliniche ambulatoriali, che devono comprendere, quando necessario ed utile, i moduli di consenso scritto, rappresenta una delle principali garanzie dell’adeguatezza professionale dello psichiatra sia sotto il profilo deontologico che giuridico.

4. Il percorso che consente di raggiungere l'obiettivo del consenso non è unico o rigidamente tracciabile, se non nelle linee di massima.

5. In campo psichiatrico il procedimento non consiste semplicemente nella soluzione di problemi di tecnica informativa, bensì in una modalità comunicativa che deve sostanziare il rapporto medico-paziente e che deve essere sottoposta a verifiche periodiche.

6. Non basta che l'informazione sia tecnicamente corretta, completa, comprensibile, chiara e che soddisfi tutti i requisiti che l'informatore deve rispettare; ma è importante che venga offerta in un contesto relazionale significativo e che il ricevente sia in grado di decodificare correttamente, almeno nelle sue linee di massima, il messaggio fornitogli.

7. Il consenso informato in psichiatria è un processo che coincide da un lato con la consapevolezza del come, quando, perché, a quale fine, che cosa e a chi si comunica o non si comunica, dall'altro con l'analisi del tipo e della qualità della restituzione dell'informazione ricevuta.

8. Le procedure finalizzate ad ottenere il consenso informato diretto del paziente, entro i limiti del possibile, devono essere considerate non solo un dovere inderogabile di natura giuridica e deontologica ma anche un importante strumento terapeutico specifico del malato mentale; soprattutto è indispensabile, qualora il rapporto medico-paziente sia protratto, che il consenso venga riottenuto là dove intervenga una modifica del trattamento in relazione all’evolvere del quadro clinico.

9. Il Codice di Deontologia Medica, prevede in casi particolari la possibilità che le informazioni relative al programma diagnostico e terapeutico siano circoscritte a quegli elementi che la cultura e le condizioni psichiche del paziente sono in grado di recepire ed accettare.

2. Obiettivo Questa raccomandazione ha l’obiettivo di definire una modalità efficace e riconosciuta di acquisizione del consenso ai trattamenti in Psichiatria. 3. Ambiti di applicazione La presente Raccomandazione si rivolge a tutti gli operatori che operano presso le Strutture del DSM.

4. Azioni

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4.1 La valutazione dei percorsi di cura Le procedure finalizzate ad ottenere il consenso informato diretto del paziente, entro i limiti del possibile, devono essere considerate non solo un dovere inderogabile di natura giuridica e deontologica ma anche un importante strumento terapeutico specifico del malato mentale. Partendo da questa visione si è analizzata la gestione del consenso all’interno dei percorsi di cura definiti dal PRSM 2002-2004. Il Piano Regionale per la Salute Mentale DGR 7/17513 del 17 Maggio 2004 propone la riorganizzazione dell’assistenza territoriale identificando tre diversi percorsi di cura differenziati sulla base di una accurata osservazione diagnostica e della valutazione dei bisogni clinico-sociali in cui sono determinanti non tanto l’inquadramento diagnostico in se stesso quanto le condizioni attuali dipendenti dallo stato psicopatologico, dallo stadio evolutivo del disturbo, dalle modalità di risposta al contesto terapeutico, dalle capacità di critica e di giudizio. In altri termini deve essere effettuata una valutazione delle caratteristiche peculiari e complesse del singolo caso clinico:

1) la consulenza: una modalità di lavoro strutturata tra DSM e medicina generale per gli utenti che non necessitano di cure specialistiche;

2) l’assunzione in cura: percorso di trattamento per gli utenti che necessitano di

trattamento specialistico ma non necessitano di interventi complessi e multiprofessionali;

3) la presa in carico: percorso di trattamento integrato per gli utenti che presentano

bisogni “complessi”. Il soggetto con disturbi psichici gravi richiede programmi articolati nel tempo. Per il percorso della presa in carico vengono richiesti piani terapeutico-riabilitativi personalizzati con il coinvolgimento della rete territoriale e delle famiglie. Il criterio di prossimità dei servizi deve tuttavia essere funzionale all’instaurarsi di relazioni di collaborazione con il paziente e la sua famiglia e la competenza territoriale non può contraddire la competenza (capacità di scelta) del paziente, anche grave, la cui fiducia va sempre conquistata. Il “naturale” riferimento del cittadino che necessita della proposta di un percorso di presa in carico resta il CPS locale.

Per un approfondimento dei percorsi di cura si rimanda alla nota allegata al documento.

4.2 L’ approccio alla gestione del consenso La dottrina sottolinea che il percorso della patologia psichiatrica non è determinabile con certezza, a priori, e che gli interventi attuabili sono tali e tanti che non è prevedibile o programmabile l’incidenza positiva o negativa degli stessi interventi.

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Nell’ambito del rapporto che si viene ad instaurare tra il medico ed il paziente, di fondamentale importanza diventano i diritti di quest’ultimo, figura centrale dell’attività medica e depositario del diritto alla salute costituzionalmente garantito.

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Tale indirizzo personalistico, incentrato sul rispetto della persona e della dignità umana, trova conferma in tutta la dottrina giuridica e medico-legale, nonché nella giurisprudenza, che, proprio in base a questo principio, legge il dettato costituzionale ponendo l’accento sull’inviolabilità della libertà personale e sulla salute, vista quale diritto del soggetto ed interesse della collettività. Applicando tali concetti all’ambito psichiatrico, è necessario adottare una corretta metodologia nel conseguimento del consenso informato che non può prescindere dalla valutazione delle carattestiche peculiari e complesse di ogni singolo caso clinico, valutando il grado di competenza mentale, ovvero:

- capacità di comprendere le informazioni essenziali, - capacità di elaborare razionalmente le informazioni, - capacità di valutare la situazione e le probabili conseguenze di una scelta, - capacità di comunicare una scelta consapevole.

Alla luce di quanto già enunciato in premessa relativamente ai percorsi di cura previsti dal PSSR si ritiene opportuno differenziare le seguenti modalità di ottenimento del consenso: Assunzione in cura: si ritiene che per tale percorso il paziente aderisca al trattamento in quanto consapevole dei disagi che vive, essendo aderente al piano di realtà. I punti qualificanti della gestione del consenso informato nel percorso di assunzione in cura sono: 1 negoziazione e consenso informato fra medico e paziente sulla base della conoscenza del percorso terapeutico e degli obiettivi della terapia proposta e sulla necessità di collaborazione attiva. Si può connotare questo come un “contratto” di cura che sarà contenuto nella cartella clinica e, previo accordo dell’utente, sarà comunicato al MMG; 2 informazione da dare all’utente e, previo consenso, ai suoi familiari circa la natura del disturbo di cui l’utente soffre, utilizzando strategie di tipo psicoeducativo. Consulenza: si ritiene che, per tale percorso vadano privilegiate modalità che tengano conto della competenza mentale del paziente al momento dell’effettuazione della consulenza. La presenza di stati confusionali o di stato di coscienza gravemente alterato (la cui origine può essere più o meno nota o verificabile clinicamente o con esami di laboratorio) può determinare, da parte del paziente, l’incapacità di esprimersi nei confronti di qualsiasi proposta di intervento sanitario. Si assiste in questo caso, piuttosto che alla mancanza di un consenso, alla impossibilità di esprimere un valido dissenso. Il Medico è tenuto pertanto a mettere in atto tutti gli interventi ritenuti necessari volti ad ottenere un assenso, il più valido possibile, a meno che non sussistano le condizioni per l’effettuazione di TSO. Presa in carico: data la condizione psicopatologica/funzionale di coloro che accedono a tale percorso percorso molte volte non sono in grado di cogliere il senso del trattamento, in quanto i pazienti stessi non sono aderenti al piano di realtà.

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Molto spesso, quando si instaurano i primi contatti con un paziente psicotico, nell’iniziale clima di incertezza e diffidenza, si viene a creare una sorta di contrapposizione, in cui si scontrano i principi fondamentali per entrambi i partecipanti alla relazione terapeutica e fondanti l’individuale sicurezza di base: per il paziente il diritto a mantenere, attraverso le proprie resistenze al cambiamento, le difese acquisite come le migliori possibili contro le angosce di frammentazione, per il terapeuta o i terapeuti, membri dell’équipe, il diritto a curare ovvero a sostenere l’immagine di terapeuta buono, fondante la sicurezza professionale.

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In questo clima di diffidenza e paura, è dunque spesso difficile instaurare l’alleanza terapeutica, quel procedere insieme nel rispetto di tempi e modi del paziente, che si basa sulla comprensione dei bisogni. Perché questo avvenga deve necessariamente prima stabilirsi la “ credenza”, ovvero il senso di fiducia, per cui l’obbiettivo di vita e terapeutico è comune e condiviso tra terapeuta e paziente, con la certezza che ci si possa fermare se la paura diventa troppo grande, ma che si debba procedere se la soddisfazione del bisogno diventa impellente. In questa situazione, l’ottenimento del consenso non può prescindere da una adeguata fase di osservazione del paziente con l’obiettivo di:

• instaurare una relazione tra il professionista ed il portatore di un bisogno; • indurre o rafforzare il desiderio del paziente a intraprendere, se indicato, un

trattamento idoneo; • giungere ad una valutazione della condizione psicosociale del paziente, che

comprende oltre alla diagnosi nosografica, anche quella funzionale; • Il rispetto del paziente, tenendo conto dei suoi vissuti, dei tempi e modalità di

comunicazione; • valutazione del grado di aderenza del paziente e della sua famiglia.

Soltanto l'alleanza terapeutica può consentire quell'interazione terapeutica che conduce alla diagnosi ("gnosis" come conoscenza). Del resto, la "dìa-gnosis" (=attraverso la conoscenza) assume particolare significato in questo contesto: la relazione terapeutica è progressivamente costruita in un difficile, precario equilibrio, che soltanto in fase successiva può condurre alla conoscenza della condizione psichica e dunque alla "proposta" terapeutica.

5. I processi organizzativi a supporto del consenso informato in psichiatria Le raccomandazioni sono un documento in cui tutti gli interessati (operatori, pazienti, famigliari, associazioni) si riconoscono. Nello specifico dello sviluppo organizzativo a sostegno del consenso in psichiatria ogni organizzazione deve partire dai seguenti principi: Principio 1 – Riconoscere alle norme regionali e nazionali il valore di sistema comune di regole. Principio 2 – Riconoscere come valore fondante la dimensione dipartimentale, in quanto livello organizzativo capace di attivare la “Continuità assistenziale” Principio 3 – Riconoscere al Sistema qualità adottato il valore di strumento di trasparenza e non di compliance documentale. Principio 4 – Monitorare semestralmente la produzione bibliografica inerente l’ “Acquisizione del consenso ai trattamenti” in psichiatria. Principio 5 – Valutare sulla base delle evidenze normative e clinico-assistenziali i bisogni formativi del personale. Principio 6 – Riconoscere che in psichiatria l’”Acquisizione del consenso ai trattamenti” può essere un percorso, una relazione con il paziente e quindi non una sottrazione alla firma di un documento formale, ma un processo di vera e propria “presa in carico”.

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5.1 Implementazione locale della raccomandazione Nell’ambito della implementazione locale si deve tener conto soprattutto di definire un documento scritto di “politica” che esplicita gli impegni dell’Azienda e del Dipartimento rispetto a specifici ambiti e che rappresentano “comportamenti eccellenti”. Nella politica dovranno essere esplicitati i seguenti elementi: dichiarazioni di intenti, scopo, campo di applicazione, siglario, comportamenti attesi e riferimenti. La politica dovrà essere seguita da una procedura scritta che rappresenta l’esplicitazione di chi fa che cosa e quindi identifica sia le varie attività di cui è composto un processo, sia i singoli passaggi di responsabilità, la definizione nel dettaglio delle modalità e i metodi per l’esecuzione, il controllo e la registrazione del processo correlato alla politica. Le Direzioni Generali, le Direzioni Sanitarie, e la Direzione del DSM sono responsabili della implementazione della Raccomandazione. Le Direzioni Aziendali devono predisporre e rendere disponibile a tutti gli operatori una politica del consenso in psichiatria con protocolli specifici od istruzioni operative per ambiti specifici e di particolare criticità (contenzione, TSO/ASO, paziente senza competenza mentale). 6. La Formazione Per aumentare la capacità degli operatori nel gestire in modo efficace ed appropriato il consenso in psichiatria è necessario definire un percorso formativo che includa anche i casi di particolare rilevanza e criticità. Va previsto, inoltre, un aggiornamento specifico periodico del personale operante in unità operative considerate critiche. 7.Aggiornamento della Raccomandazione La presente Raccomandazione sarà oggetto di revisione periodica e sarà aggiornata in base alle evidenze emerse ed ai risultati della sua applicazione nella pratica clinica. 8.Attivazione del protocollo di monitoraggio L’Azienda deve favorire la segnalazione degli eventi sentinella e delle non conformità tramite specifiche procedure aziendali. Gli eventi avversi e sentinella inerenti il processo di gestione del consenso del paziente psichiatrico devono essere segnalati secondo il protocollo di monitoraggio degli eventi sentinella del Ministero della Salute e le procedure di risk management adottate dalle singole aziende. A seguito di analisi degli eventi avversi e delle non conformità si devono produrre azioni di miglioramento conseguenti, che siano condivise e documentate.

9.Riferimenti bibliografici 1 - Trattato di Psichiatria Forense U. Fornari (terza edizione 2004) 2 - Consenso Informato e Attività Medica - Quaderni di Gestione del Rischio in Medicina - Riccardo Freza, 2009. 3 - Introduzione al Modello dell'Integrazione Funzionale nella patologia grave - G.C. Zapparoli, 2009. 4 - Psicopatologia grave: una guida alla comprensione e al trattamento - G.C. Zapparoli, 2008

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5 - Linee Guida di una unità operativa di psichiatria - UOP 26 Az. Osp. "C. Poma", Mantova, 2000

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6- Manuale standard JCI - 2011 7- Consensus conference SOPSI-il consenso al trattamento in psichiatria – Roma 8-9 maggio, 1998 10. Nota I Percorsi di Cura definiti dalla deliberazione N. 7/17513 del 17 maggio 2004: Piano Regionale Triennale per la Salute Mentale in attuazione del Piano Socio Sanitario Regionale 2002-2004. 10.1 Presa in carico La realizzazione della presa in carico del paziente grave, in una prassi costantemente orientata allo sviluppo di una proficua alleanza di lavoro, rappresenta una mission specifica del DSM. Ciò comporta un forte investimento sul lavoro d’équipe, intesa come gruppo multiprofessionale in grado di integrare i dati di osservazione e di modulare una progettualità terapeutica coerentemente articolata. La continuità terapeutica si configura come “costanza” della presa in carico: il DSM se ne assume l'impegno, garantendo l’articolazione di interventi diversi, ma al tempo stesso salvaguardando l'unitarietà del progetto terapeutico necessaria per garantire al soggetto in trattamento un sostegno ed un punto di riferimento stabili, contrastando in tal modo, attraverso una coerenza di rapporto, la tendenza verso la disgregazione che può caratterizzare l’evoluzione del suo disturbo. Appare centrale in tal senso la funzione attribuita al servizio territoriale di titolare e garante della presa in carico e della continuità terapeutica, a cui devono attivamente concorrere tutte le strutture delle UOP e DSM coinvolte nel processo di cura. In questa prospettiva deve essere assicurata la funzione di un referente del percorso di cura per i pazienti gravi (case manager). E’ quindi necessaria l'assunzione da parte dell'équipe di alcune funzioni specifiche: 1 - funzione clinica e terapeutica, nella sua componente medica psicologica, costantemente centrata sul paziente e sui suoi bisogni, ed in stretta collaborazione con il MMG; tale funzione non può che essere orientata allo sviluppo di un contratto terapeutico, evitando inappropriate e incompatibili committenze finalizzate al mero controllo sociale; 2 - funzione assistenziale, intesa nel senso di relazione ad elevata e specifica professionalità, che consenta di realizzare a favore del paziente l’indispensabile sostegno agli aspetti deficitari rispetto al proprio contesto socio-ambientale; l’assistenza, in tale specifica accezione, è intesa come dimensione relazionale di accoglienza, condivisione e di aiuto, finalizzata a sostenere e incrementare il funzionamento psicosociale del paziente; 3 - funzione di integrazione dell'approccio multiprofessionale, da esplicarsi in un progetto terapeutico-assistenziale centrato sul contesto di vita del paziente attraverso la valorizzazione dell’apporto delle diverse professionalità, con particolare riferimento a quelle infermieristica, sociale ed educativa; 4 - funzione di intermediazione, per favorire la fruizione da parte del paziente di servizi e beni sociali (funzione di case management) e per contrastare gli effetti di deriva sociale connessi con la patologia e con lo stigma: promozione e utilizzo di opportunità fornite dalle agenzie territoriali, in un impegno verso il recupero del diritto di cittadinanza; individuazione di potenziali reti informali, valorizzando i cosiddetti facilitatori o aiutanti naturali; attivazione di idonei percorsi assistenziali, sia stimolando livelli più elevati di integrazione degli interventi erogati dalla stessa équipe psichiatrica, sia facilitando la fruizione dei percorsi socio-sanitari corrispondenti ai bisogni emergenti; sostegno/informazione alla famiglia. L’identificazione degli utenti che necessitano di interventi multiprofessionali avviene attraverso una valutazione multidimensionale che considera le diverse aree che concorrono a definire il “profilo di salute 1 diagnosi nosografica (diagnosi elettive: disturbi psicotici, gravi disturbi affettivi, gravi disturbi di personalità) 2 gravità clinica 3 funzionamento sociale 4 caratteristiche della rete familiare e psicosociale 5. precedenti trattamenti psichiatrici e psicologici

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Tra gli utenti dei DSM affetti da disturbi psichici gravi e portatori di bisogni complessi rientrano principalmente i soggetti affetti da disturbi psicotici. Le condizioni degli utenti affetti da disturbi psicotici richiedono alcune considerazioni specifiche:

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a) l’esperienza dei soggetti con gravi disturbi psicotici può essere caratterizzata dalla negazione del bisogno, la paura della relazione, la diffidenza angosciosa nei confronti di approcci vissuti come intrusivi e minacciosi; b) le caratteristiche della patologia psicotica impongono una specificità di indirizzo dell'offerta sanitaria, i cui principi informatori devono essere l'attribuzione di valore ad ogni individuo ed il riconoscimento del suo inalienabile diritto di cittadinanza; c) la condizione psicotica può compromettere una reale possibilità di scelta, intesa come esercizio di critica e pienezza di progettualità esistenziale; la "presa in carico" deve tendere verso il recupero di questa progettualità esistenziale, nei modi e nei tempi consentiti dal rispetto dell'individuo e delle sue difese; d) nel trattamento di un soggetto affetto da psicosi si adottano tutte le strategie per costruire un rapporto di collaborazione con l’utente inserito nel suo contesto familiare e sociale, in quanto lo stabilirsi di una relazione di fiducia (alleanza di lavoro) tra la persona malata e gli operatori costituisce la condizione di base della cura e il fondamento di un programma di trattamento efficace protratto nel tempo; e) la metodologia clinica della rilevazione dei bisogni specifici, dell’offerta di interventi differenziati e integrati e della garanzia della continuità terapeutica rappresenta il modello di lavoro appropriato per la psichiatria di comunità. L’attuazione del principio di continuità terapeutica e la necessità di integrazione sociosanitaria indispensabili per la cura dell’utente affetto da disturbi psichici gravi e portatore di bisogni complessi rende necessario il rispetto del principio della territorialità, intesa come prioritario investimento nell'organizzazione di congrue offerte di cura in stretta correlazione con il contesto socio-ambientale dell'individuo. Il percorso di presa in carico si configura come progetto caratterizzato da: elevata complessità organizzativa, rilevante specificità professionale, capacità di gestire l’integrazione sociosanitaria. La realizzazione di questo percorso comporta un forte investimento sul lavoro d’équipe, intesa come gruppo multiprofessionale in grado di sviluppare una accurata lettura della dimensione bio-psico-sociale del paziente, di integrare i dati di osservazione e di modulare una progettualità terapeutica coerentemente articolata.

• La presa in carico, ovvero l’assunzione di responsabilità da parte di un gruppo di lavoro verso un individuo e la sua sofferenza, deve essere modulata sulla base del “profilo di salute” (criteri) che comprende: DIAGNOSI psicosi processuali endogene e gravi disturbi di personalità

• GRAVITA’ CLINICA • FUNZIONAMENTO PSICO-SOCIALE

Per una efficace ed appropriata presa in carico del paziente orientata ad un efficace definizione del consenso ai trattamenti vanno previste almeno le seguenti attività:

• I Fase CONSULTAZIONE • II Fase OSSERVAZIONE • III Fase OPERATIVA • IV Fase DI VERIFICA E SUPERVISIONE

Fase di consultazione La consultazione deve essere effettuata dallo psichiatra e si avvale delle seguenti fasi:

• Analisi dell’invio • Analisi della domanda • Attivazione della microequipe ovvero costituzione di una equipe multidisciplinare specifica di

operatori con diverse competenze (relative ai bisogni del pz.) che seguirà il caso. Nell’ambito della microequipe viene in seguito individuato il case-manager.

Fase di osservazione L’osservazione deve essere effettuata dalla microequipe e si avvale delle seguenti fasi:

• Definizione diagnostica (nosografica e funzionale) • Analisi dei bisogni in èquipe : individuazione dei bisogni del pz. valutati tramite una discussione in

èquipe ed avvalendosi di strumenti standardizzati e della raccolta di documentazione ed informazioni sul pz.

• Definizione del tipo di collaborazione (del paziente e dei familiari) strumenti standardizzati e della raccolta di documentazione ed informazioni sul pz.

• Definizione del tipo di collaborazione (del paziente e dei familiari) • Profilo di salute • Osservazione preliminare delle condizioni e risorse socio-ambientali • Contatti con altri servizi

Fase operativa L’osservazione deve essere effettuata dalla microequipe e si avvale delle seguenti fasi:

• compilazione del PTI da parte della microequipe e del Case Manager • programma verifiche

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Nello specifico occorre provvedere a:

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- Individuazione medico referente : individuazione del medico referente sulla base di caratteristiche territoriali e organizzative della UOP di appartenenza.

- Costituzione micro-èquipe e definizione del case-manager: costituzione di una sub-èquipe specifica di operatori con diverse competenze (relative ai bisogni del pz.) che seguirà il caso. Nell’ambito della sub-èquipe viene individuato il case-manager.

- Verifica continua: attività di valutazione del singolo pz nel suo ambiente sociale che si avvale di strumenti standardizzati.

- Uscita dalla presa in carico: l’uscita dalla presa in carico può avvenire o per dimissione del paziente dal Servizio o per un passaggio all’assunzione in cura.

10.2. Assunzione in cura (Trattamento specialistico) Nel percorso dell’assunzione in cura rientrano i percorsi terapeutici previsti per gli utenti dei DSM portatori di bisogni prevalentemente di tipo specialistico e comunque che non necessitano del trattamento complesso e multiprofessionale tipico della presa in carico. Tale percorso terapeutico viene erogato principalmente nei Centri Psicosociali (CPS) e non si esaurisce necessariamente in un trattamento ambulatoriale. Per rispondere a bisogni specifici richiede l’erogazione di prestazioni da parte di tutti gli operatori del CPS. Il percorso dell’assunzione in cura è compatibile con il trattamento in day-hospital o con episodi di ricovero per il trattamento di riacutizzazioni sintomatologiche. 10.3 Consulenza

• La consulenza riguarda una modalità di rapporto organizzato fra i servizi psichiatrici, principalmente i Centri Psicosociali (CPS) e i servizi della medicina generale (o servizi medici di altre discipline) per quegli utenti che non necessitano di assunzione in cura specialistica. Per rendere efficace il percorso di consulenza, deve esistere una modalità strutturata di contatto e di risposta tra il DSM e il MMG (nell’ambito delle modalità descritte dalla convenzione con i MMG). Tale modalità deve essere esplicitata in una procedura definita congiuntamente dai MMG e dal servizio psichiatrico nell’ambito di specifici progetti di collegamento costruiti anche attraverso il coordinamento della ASL. Un percorso di consulenza efficace si basa su una relazione stabile tra MMG e DSM. Ciò configura una nuova funzione specifica del DSM che necessita di personale dedicato. Essa deve essere attuata attraverso azioni che implementino un modello organizzativo strutturato: esempi di tali azioni sono: incontri semestrali organizzati dal DSM per i MMG del territorio di competenza (es: aggiornamento di protocolli di trattamento, discussioni di casi clinici), organizzazione di una linea di comunicazione diretta per contattare lo specialista (telefono, posta elettronica) ed avere un parere in tempo reale, gruppi integrati di lavoro specialisti – MMG.

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11. Esperienze Esaminate ALLEGATO 1: Politica del consenso dell’Azienda Ospedaliera Carlo Poma Scopo L’obiettivo dell’Azienda Ospedaliera è quello di promuovere l’autodeterminazione ed il benessere del paziente attraverso il rispetto dei principi fondamentali del nostro ordinamento e dell’ordinamento comunitario:

1. Principio della volontarietà del trattamento sanitario: l’art. 32 della Costituzione della Repubblica stabilisce che nessuno può essere obbligato ad un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge; comunque la legge non può in alcun modo violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana.

2. “Diritto all’integrità della persona” –art. 3 della “Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea”.

Norme costituzionali La Corte di Cassazione (Cass. Civ. 25/09/1994) afferma che: “Il dovere di informare il paziente sulla natura dell’intervento medico e/o chirurgico, sulla sua portata, estensione e sui rischi, sui risultati ottenibili e sulle possibili conseguenze negative, gravante sul medico in generale, si desume e dalle norme costituzionali e dal comportamento secondo buona fede cui sono tenute le parti nello svolgimento delle trattative e nella formazione del contratto”. - Art. 32, co 1 e 2 della Costituzione che afferma il Diritto alla salute: “La Repubblica

tutela la salute come diritto fondamentale dell’individuo….Nessuno può essere obbligato ad un trattamento sanitario se non per disposizioni di legge”.

- Art. 13 della Costituzione secondo il quale: “La libertà personale è inviolabile”. Codice penale - Art. 50: “Consenso dell’avente diritto”: “Non è punibile chi lede o pone in pericolo un

diritto col consenso della persona che può validamente disporne”. - Art. 54: “Non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla

necessità di salvare sé od altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona, pericolo da lui non volontariamente causato, né altrimenti evitabile, sempre che il fatto sia proporzionato al pericolo”.

Codice deontologico

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- Art. 30: “Informazione e consenso”: “Il medico deve fornire al paziente la più idonea informazione sulla diagnosi, sulla prognosi, sulle prospettive e le eventuali alternative diagnostico-terapeutiche e sulle prevedibili conseguenze delle scelte operate. Il medico nell’informare il paziente dovrà tenere conto delle sue capacità di comprensione, al fine di promuovere la massima adesione alle proposte effettuate. Ogni ulteriore richiesta di informazione da parte del paziente deve essere soddisfatta. Il medico deve altresì soddisfare le richieste di informazione del cittadino in tema di prevenzione. Le informazioni riguardanti le prognosi gravi o infauste o tali da poter procurare preoccupazioni e sofferenza alla persona devono essere fornite con prudenza, usando terminologie non traumatizzanti e senza escludere elementi di

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speranza. La documentata volontà della persona assistita di non essere informata o di delegare al altro soggetto l’informazione deve essere rispettata”.

- Art. 31 “Informazione a terzi”: “L’informazione a terzi è ammessa solo con il consenso esplicitamente espresso dal paziente, fatto salvo quanto previsto dall’art. 9 allorché sia in grave pericolo la salute o la vita di altri”.

- Art. 32 “Acquisizione del consenso”: “Il medico non deve intraprendere attività diagnostica e/o terapeutica senza l’acquisizione del consenso informato del paziente”.

ll consenso espresso in forma scritta nei casi previsti dalla legge e nei casi in cui, per la particolarità delle prestazioni diagnostiche e/o terapeutiche o per le possibili conseguenze delle stesse sull’integrità fisica, si renda opportuna una manifestazione inequivocabile della volontà della persona è integrativo e non sostitutivo del processo informativo di cui all’art. 30. Il procedimento diagnostico e/o il trattamento terapeutico, che possono comportare grave rischio per l’incolumità della persona, devono essere intrapresi solo in caso di estrema necessità e previa informazione sulle possibili conseguenze, cui deve far seguito un’opportuna documentazione del consenso. In ogni caso, in presenza di documentato rifiuto di persona capace di intendere e di volere, il medico deve desistere dai conseguenti atti diagnostici e/o curativi, non essendo consentito alcun trattamento medico contro la volontà della persona, ove non ricorrano le condizioni di cui al successivo art. 34. - Art. 33 “Consenso del legale rappresentante”: allorché si tratti di minore, di interdetto o

di inabilitato il consenso agli interventi diagnostici e terapeutici, nonché al trattamento dei dati sensibili, deve essere espresso dal rappresentante legale.

In caso di opposizione da parte del rappresentante legale al trattamento necessario e indifferibile a favore di minori o di incapaci, il medico è tenuto a informare l’autorità giudiziaria. - Art. 34 “Autonomia del cittadino”: Il medico deve attenersi, nel rispetto della dignità,

della libertà e dell’indipendenza professionale, alla volontà di curarsi, liberamente espressa dalla persona.

Il medico ha l’obbligo di dare informazioni al minore e di tenere conto della sua volontà, compatibilmente con l’età e con la capacità di comprensione, fermo restando il rispetto dei diritti del legale rappresentante; analogamente deve comportarsi di fronte a un maggiorenne infermo di mente. - Art. 35 “Assistenza d’urgenza”: Allorché sussistano condizioni di urgenza ed in caso di

pericolo di vita per una persona che non possa esprimere, al momento, volontà contraria, il medico deve prestare l’assistenza e le cure indispensabili.

- L 23 dicembre 1978, n. 833, istitutiva del SSN, che all’art. 33, co 1 e 5, riafferma il principio della volontarietà dei trattamenti sanitari secondo l’art. 32 della Costituzione: “Nel rispetto della dignità della persona e dei diritti civili e politici, compreso per quanto possibile, il diritto alla libera scelta del medico e del luogo di cura”.

Norme che prevedono l’acquisizione di consenso scritto in casi particolari - L 25 luglio 1956, n. 837, art. 4 che disciplina la Profilassi della malattie veneree. - L. 26 giugno 1967, n. 458, art. 2 che disciplina la Donazione di rene da vivente - L 14 aprile 1982, in tema di rettificazione dell’attribuzione del sesso. - L 22 maggio 1978, n. 194, recante norme per l’interruzione volontaria di gravidanza.

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- L. 21 ottobre 2005 n. 219 art. 17 “Disciplina per le attività trasfusionali relative al sangue umano ed ai suoi componenti”: “Per donazioni di sangue e di componenti si intende l’offerta di sangue intero, plasma, piastrine e leucociti, previo il consenso informato e

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la verifica dell’idoneità del donatore”; “Tutti i pazienti da sottoporre ad intervento chirurgico non urgente devono essere informati dal chirurgo sulla possibilità di effettuare l’autotrasfusione”.

- D.M. 3 marzo 2005 art. 11: “La trasfusione di sangue, di emocomponenti e di emoderivati costituisce una pratica terapeutica non esente da rischi, necessita pertanto del consenso informato del ricevente”.

- L 5/6/1990, n. 135 “Lotta contro l’AIDS”, art. 5, co 3: “Nessuno può essere sottoposto, senza il suo consenso, ad analisi tendenti ad accertare l’infezione da HIV; nell’ambito di programmi epidemiologivci, soltanto quando i campioni da analizzare siano stati resi anonimi con assoluta impossibilità di pervenire all’identificazione delle persone interessate”; co 5: “L’accertata infezione da HIV non può costituire motivo di discriminazione, in particolare per l’iscrizione alla scuola, per lo svolgimento di attività sportive, per l’accesso o il mantenimento dei posti di lavoro”.

- D.M. 27 aprile 1992: Recepimento in Italia delle Good Clinical Practice, che disciplina le Sperimentazioni clinico-farmacologiche.

- D.L. 17 marzo 1995, n. 230, art. 111: impone allo specialista in radiologia di acquisire il consenso informato per esami radiologici individuali o collettivi effettuati a titolo preventivo o a fini medico-legali o di assicurazione.

Informazione e consenso nella pratica clinica Informazione Quando deve essere fornita - Prima delle procedure diagnostiche. - Prima dell’intervento terapeutico. - In elezione: al momento della scelta diagnostico-terapeutica. - In urgenza: prima della procedura. Chi deve informare - Il medico curante. - Il medico che propone ed esegue l’intervento. - Il medico delegato dal responsabile del reparto. Chi deve essere informato - Il paziente. - Il rappresentante legale dell’incapace (minore o infermo di mente). - Eventuali terze persone specificamente indicate dal paziente. Il contenuto dell’informazione - Diagnosi (procedure diagnostiche). - Prognosi (espressa con cautela) - Trattamento terapeutico (medico o chirurgico): tipo di trattamento, tecniche di

esecuzione, innovatività della procedura, indicazioni e controindicazioni. - Indicazione dei rischi (natura e grado di probabilità) e dei benefici del trattamento. - Eventuali alternative terapeutiche e loro vantaggi e rischi. - Decorso post-operatorio e tempi di degenza. - Possibili complicanze ed effetti collaterali. - Possibilità di insuccesso. - Necessità di terapie e controlli da effettuare nel follow-up.

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- Incidenza del trattamento sulla qualità della vita.

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- Rischi in caso di rifiuto della cura. Come deve essere fornita l’informazione L’informazione non è finalizzata a colmare l’inevitabile differenza di conoscenze tecniche tra medico e paziente. Essa deve porre un soggetto (il paziente) nella condizione di esercitare correttamente i suoi diritti e quindi di formarsi una volontà che sia effettivamente tale, in altri termini in condizione di scegliere. Deve essere fornita con: - chiarezza e comprensibilità di linguaggio (le informazioni relative al programma

diagnostico e terapeutico dovranno essere complete e veritiere, ma limitate a quegli elementi ”…che cultura e condizione psicologica del paziente sono in grado di recepire ed accettare, evitando esasperate precisazioni di dati – percentuali esatte di complicanze, di mortalità, insuccessi funzionali – che interessano gli aspetti scientifici del trattamenti …” (CNB 20 giugno 1992, “Informazione e consenso all’atto medico”)

- essenzialità dei contenuti – modulata da parte del Medico sulla capacità del paziente di recepire l’informazione e sulla sua disponibilità a voler sapere.

L’informazione deve essere data in un contesto idoneo (luogo e momento) per favorire la massima comprensione del paziente. Consenso Chi deve prestare il consenso? - Il paziente. Si considerano sotto questo profilo competenti all’espressione del consenso

i soggetti che siano in grado di disporre di sé, e cioè che siano in condizioni psichiche tali da poter comprendere la situazione in cui si trovano e le informazioni che vengono loro fornite e che, inoltre, siano in grado di formarsi una volontà e di esprimerla: in altre parole, si considera competente chi è in grado di intendere e di volere.

- Il rappresentante legale dell’incapace (minore o infermo di mente) che deve essere,

comunque, coinvolto nei limiti dell’opportunità e della sua capacità di partecipare alla decisione. Pertanto, nel caso di minori o di incapaci di intendere e di volere, il medico, pur dovendo rimettere la decisione al rappresentante legale, deve sentire nei limiti del possibile l’opinione del minore o dell’interdetto, cercando di acquisire il loro consenso, ma, soprattutto, cercando di non fare atti contro la loro volontà; in particolare, il consenso è espresso dal genitore (art. 316, 317, 317 bis C.C.) o dal tutore (art. 343 C.C.) per il minore e dal tutore (art. 414 C.C.) per l’interdetto.

In caso di incapacità del paziente Se ricorrono i presupposti dello stato di necessità e dell’urgenza, il medico può prescindere dal consenso di alcuno.

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Pertanto, qualora il paziente si trovi privo di conoscenza e non siano note le sue volontà, e, soprattutto, versi in uno stato di urgente pericolo di vita o corra il rischio di gravi danni, il medico deve compiere tutti gli atti possibili e non procrastinabili. Nel far ciò il medico

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risponde al suo specifico dovere di prestare soccorso e tale prescrizione trova giustificazione giuridica: 1. nell’art. 54 del Codice Penale (“Stato di necessità”): “Non è punibile chi ha commesso

il fatto per esservi costretto dalla necessità di salvare sé od altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona, pericolo da lui non volontariamente causato, né altrimenti evitabile, sempre che il fatto sia proporzionato al pericolo”.

2. Nell’art. 35 del Codice Deontologico (“Assistenza di urgenza”): “Allorché sussistano condizioni di urgenza e in caso di pericolo per la vita di una persona, che non possa esprimere, al momento, volontà contraria, il medico deve prestare l’assistenza e le cure indispensabili”.

In proposito deve chiarirsi che: 1. Il consenso non è presumibile neppure in condizioni di necessità se il paziente è

cosciente. 2. E’ da molti ritenuta dubbia la validità della scriminante dello stato di necessità qualora

il paziente abbia espresso in vita manifestazioni di volontà allo specifico proposito. Al contrario, i fautori della piena potestà medica negano la legittimità alle determinazioni della volontà espresse anticipatamente poiché ritengono che il consenso, così come il dissenso, per avere valore debba essere attuale.

La validità di un consenso o di un dissenso fornito in assenza di pericolo di vita, in considerazione del fatto che l’istinto di conservazione potrebbe modificare, al momento del verificarsi del rischio, il precedente intendimento ossia un eventuale rifiuto di qualsiasi atto terapeutico, risulterebbe, quindi, nulla in quanto non attuale. La validità di tale rifiuto è, comunque, da considerarsi diversa a seconda che la perdita di coscienza sia prevista o programmata, o avvenga in circostanze impreviste e accidentali, ed ancora se il rifiuto dipenda da personale convinzione, ad esempio, derivante da fede religiosa e sia specificamente preceduto da un’adeguata informazione o se, al contrario, sia basato su convinzioni non così strutturate. Emergenza intraoperatoria La differenza tra situazione imprevista o grave e reali casi di urgenza in atto provoca notevoli disagi soprattutto se si viene a verificare nel corso di un intervento. Il documento del CNB ha ribadito il dovere del chirurgo – in caso di urgenza in atto – di intervenire secondo l’interesse del paziente ed escludendo la possibilità di rimandare l’intervento “….se la qual cosa costituisse un danno grave per il paziente e se questi non avesse esplicitamente rifiutato l’intervento”. Ciò non vale per le situazioni impreviste prive delle caratteristiche dell’urgenza in atto: la responsabilità per il diverso intervento eseguito senza il consenso potrà essere esclusa solo se la sua realizzabilità in un secondo momento sarebbe particolarmente gravosa (si consideri che anche il maggiorare l’intervento ha i suoi propri rischi che devono essere adeguatamente considerati). Requisiti del consenso Per essere valido il consenso deve essere: - Personale: prestato dal malato, non essendo ammessa la rappresentanza se non in

caso di incapacità legale del paziente;

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- Libero: espressione di una scelta volontaria (questo vale soprattutto per i pazienti che si trovano a vivere in particolari condizioni di dipendenza, come i detenuti o i pazienti ricoverati in istituti a lunga degenza: è, comunque, compito generale dei medici accertarsi che le scelte dei loro pazienti non abbiano subito influenze esterne o non siano state indotte da coercizioni esterne);

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- Esplicito: manifestato in modo chiaro e univoco; - Informato: preceduto da adeguata informazione; - Attuale: prestato al momento dell’atto sanitario; - Revocabile in qualsiasi momento. Forma del consenso Nessuna norma stabilisce in quale forma (scritta od orale) deve essere fornito il consenso, fatta eccezione per i casi particolari. Peraltro, il supporto “documentale scritto”, soprattutto nella formula standardizzata e burocratica dei modelli di consenso, non garantisce di per sé che il rapporto di comunicazione tra medico e paziente sia stato effettivamente corretto. In ogni caso appare consigliabile acquisirlo sempre: - In forma scritta: in caso di trattamenti che superino la routine; - In forma orale: nei trattamenti considerati di routine (prelievo di sangue, misurazione

della pressione ecc.). Il rifiuto delle cure Il rifiuto delle cure rappresenta il nodo centrale di tutta la questione sul consenso informato. Il punto che deve essere chiarito è se il diritto alla salute non sia per ciascun individuo descrivibile anche in termini di obbligo, nel senso che ogni persona ha verso se stessa un dovere di tutela della propria integrità fisica, in considerazione di una supposta “naturalità” dei beni della vita e della salute che sarebbero, quindi, indisponibili. Esistono tre livelli di interpretazione di questa posizione: Giuridica Il solo fatto che generalmente si consideri la morte un evento negativo non può ostacolare o rendere nullo il legittimo esercizio del diritto alla salute nella sua formulazione negativa, secondo la quale nessuno può essere sottoposto a trattamenti sanitari contro la sua volontà se non nei limiti previsti per legge. Deontologica Il medico ha un dovere giuridico e deontologico particolarmente penetrante di assistere il paziente. Questo vincolo è talmente forte da imporgli di assisterlo anche contro la sua volontà? Certamente no, come ribadisce anche l’art. 32 del Codice Deontologico, secondo il quale il dovere di assistere deve essere affiancato dal rispetto per la volontà del paziente. Nell’ospedale pubblico, che, invece, ha verso l’assistito obblighi di tutela della salute, i medici, a fronte di un rifiuto legittimo del paziente, hanno il dovere di assisterlo, comunque, e devono, perciò, proporre quei trattamenti che, pur non essendo ottimali secondo il curante, sono i migliori immediatamente dopo. Il trattamento rifiutato è come se non esistesse oggettivamente, come se non fosse mai stato disponibile, con la conseguenza che il medico dovrà assistere allo stato dei mezzi terapeutici disponibili senza quello rifiutato. Ciò sempre che non contrasti con le sue convinzioni etiche (art. 19 del Codice Deontologico), nel qual caso avrà diritto a essere esonerato e l’assistenza si sposterà in capo a un altro medico di quel servizio. Etica

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E’ importante sottolineare l’illegittimità di qualunque posizione che voglia imporre i suoi particolari convincimenti morali sotto forma di cure mediche, violando così diritti fondamentali degli individui costituzionalmente fondati.

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Se, infatti, è difficile non pensare alla vita come a un bene fondamentale, senza il quale tutti gli altri perdono di sensatezza, non è tuttavia impossibile immaginare che, per alcuni, possano esistere, contestualmente a particolari situazioni, valori che assumono significato prioritario anche rispetto alla stessa vita. Allegato 2: La procedura sulla contenzione del paziente in SPDC

Definizione: La contenzione fisica è un atto medico, destinato come tale alla tutela globale della salute della persona per la quale viene disposta.

Come ogni altro atto medico, essa presenta un preciso ambito di rapporto tra indicazioni, controindicazioni e limiti, che deve essere valutato, caso per caso e nelle contingenze concrete, dal sanitario che la dispone.

Premessa:

Il contenimento dei comportamenti abnormi, che siano espressione di sofferenza psichica, deve trovare la propria collocazione nel contesto del progetto terapeutico individuale ed essere demandato ad interventi psicologici, relazionali, farmacologici. In questo senso, la contenzione fisica si configura come provvedimento temporaneo, ed acquista il suo pieno significato terapeutico solo se contestualizzata in un ben più ampio ambito di intervento.

Applicabilità: La contenzione fisica può essere disposta per pazienti in TSO,

quando necessario; per pazienti in TSV, quando ricorra uno stato di necessità. Lo stato di necessità può essere percepito e comunicato dal soggetto stesso e dovrà essere preso in attenta considerazione in relazione alla situazione clinica del paziente. In questi casi, può accadere che la contenzione sia disposta con il consenso del paziente.

Indicazioni: Il contenimento fisico, misura “di garanzia” dell’integrità

psicofisica del paziente, potrà essere attuato quando siano falliti o non siano attuabili altri tentativi terapeutici e per il tempo strettamente necessario.

Le condizioni necessarie per disporre tale provvedimento dovranno rispettare tutti i seguenti parametri: 1) una grave compromissione psichica; 2) una situazione di importante conseguente discontrollo

comportamentale attuale o potenziale;

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3) l’impossibilità di attuare interventi alternativi adeguati, ma anche tempestivi;

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4) l’eventualità che gli interventi alternativi siano gravati da un più alto rischio per la salute. In particolare, solo per esempio, in situazioni di intossicazione esogena, di confusione su base tossica o metabolica, in pazienti non noti, ed in ogni altra circostanza in cui l’intervento farmacoterapeutico richieda particolare prudenza, nonché nell’intervallo di tempo necessario perché esso si riveli efficace.

Procedure: Il provvedimento di contenimento è un atto medico di cui lo

specialista si assume piena responsabilità nell’ambito delle proprie competenze professionali e nel contesto specifico della misura adottata. Deve pertanto articolarsi come segue. 1) Il sanitario dovrà verificare di persona l’esistenza delle

condizioni e la rispondenza ai criteri sopraesposti; 2) relazionerà in cartella specificando i motivi della misura

adottata; 3) specificherà le modalità di contenzione (mezzi, tempi, modi di

controllo); 4) controllerà che le disposizioni impartite siano state

correttamente attuate dal personale preposto; 5) il medico “pro tempore” in servizio valuterà il venir meno delle

condizioni che hanno reso necessario il provvedimento e ne disporrà la cessazione, con le stesse modalità;

6) di tutte le contenzioni viene tenuta annotazione su un apposito registro, in cui sono riportati ora di inizio, modalità ora di cessazione con le firme del/dei medico/i che hanno disposto sia la contenzione sia il suo termine

Allegato 3: La Contenzione Fisica :documento del Servizio Diagnosi e Cura UOP 28 SCOPO

Fornire a tutto il personale le indicazioni sulle misure di contenzione fisica dei pazienti.

CAMPO DI APPLICAZIONE

Il ricorso alla contenzione fisica deve essere limitato a circostanze eccezionali: 1. situazioni di emergenza: quando il comportamento del paziente rappresenti un

immediato pericolo per se e/o per altri e l’uso della contenzione si dimostri la scelta migliore.

2. auto ed eterolesionismo: quando è in pericolo la sicurezza del paziente in quanto soggetto a caduta, conseguente ad ogni tentativo di alzarsi e camminare:

stato di incoscienza e/o ebrezza; periodo pre e post sedazione; trasporto con barella; per mantenere il corretto allineamento posturale in pazienti con deficit

psicomotorio che necessitano di ancoraggio e supporto ortesico.

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MODALITA’

La contenzione è da considerarsi un intervento assistenziale “eccezionale” e non “normale” in quanto evento fortemente restrittivo della libertà individuale, drammatico, con implicazioni determinanti nel processo di cura ed al quale ricorrere quando altri presidi terapeutici ed assistenziali risultino inefficaci.

La contenzione è decisa in equipe; la responsabilità clinica viene assunta dal medico che la propone o l’autorizza; la responsabilità delle condizioni assistenziali del suo mantenimento è assunta dal personale infermieristico.

La contenzione ha lo scopo di proteggere il paziente, il personale e le altre persone circostanti prevenendo danni a breve scadenza, sulla base di elementi concreti e documentabili; non viene utilizzata sulla base di un isolato gesto aggressivo di natura prevalentemente impulsiva e non ha valenza pedagogica e/o punitiva.

La contenzione può essere eseguita anche se il paziente è in ricovero volontario, per stato di necessità, in emergenza.

Il paziente contenuto è a rischio, sia per le ragioni che hanno reso necessaria la contenzione, sia perché la contenzione lo espone a potenziali pericoli (per esempio eccesso di attrito delle fascette, tumefazioni, cianosi degli arti, forzature del paziente nel tentativo di decontenersi con rischi di lesioni, cattive posture, compressione…); può inoltre essere oggetto di aggressioni da parte di altri pazienti dai quali non può difendersi. Il paziente va quindi protetto e controllato ad intervalli frequenti (vedi procedura). MEZZI DI CONTENZIONE

Si definiscono mezzi di contenzione fisici o meccanici i dispositivi applicati al corpo o nello spazio circostante la persona per limitare la libertà dei movimenti volontari. Una classificazione per quanto riguarda i mezzi di contenzione fisica è la seguente:

1. Mezzi applicati all’ospite a letto (fasce, cinture); 2. Spondine di protezione a letto; 3. Mezzi applicati all’ospite in carrozzina (corpetto); 4. Mezzi di contenzione per segmenti corporei (cavigliere, polsiere); 5. Mezzi di contenzione con postura obbligata (cuscini anatomici); 6. Altri sistemi utilizzabili (cintura pelvica, divaricatore inguinale, tavolino,

carrozzine basculanti, poltrone basse). PROCEDURA

La contenzione non può essere imposta per più di 12 (dodici) ore consecutive, salvo che non lo richiedano le condizioni del soggetto.

N.B.: oltre le 24 ore di immobilizzazione è necessario provvedere all’applicazione delle linee guida sulla prevenzione della trombosi venosa profonda. Il medico psichiatra valuterà l’opportunità di predisporre un idoneo trattamento anticoagulante preventivo, anche avvalendosi di specifica consulenza internistica.

Durante il periodo di contenzione il paziente deve essere controllato ogni 15 minuti dal personale infermieristico (per i bisogni di assistenza infermieristica) e almeno ogni otto ore dal personale medico (e comunque ogni qualvolta l’infermiere responsabile lo ritenga necessario). La decisione del ricorso alla contenzione deve essere rivista qualora non sussista più la condizione che l’ha determinata.

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Durante il periodo di contenzione garantire al paziente la possibilità di movimento ed esercizio per non meno di 10 (dieci) minuti ogni 2 (due) ore.

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Ogni 30 minuti: rilevazione respiro, sudorazione, colorito, comfort, fascette;

Ogni 60 minuti (se il paziente è sveglio): idratazione, diuresi, alvo; Ogni 2 ore: rilevazione PA, F.C., T.C. Valutare ogni 3-4 ore l’eventuale insorgenza di effetti dannosi

direttamente attribuibili alla contenzione, quali abrasioni, ulcere da decubito, edemi agli arti inferiori, ematomi…

Garantire comfort e sicurezza del paziente durante il periodo di contenzione.

Riposo e sonno: garantire un ambiente calmo, confortevole, con luci soffuse, eliminare rumori di sottofondo; collocare il paziente in camera singola vicino alla guardiola infermieristica.

E’ indicata l’uso di una scheda dove annotare eventuali osservazioni rilevabili durante il controllo ed i conseguenti interventi adottati.

COMPLICANZE LEGATE ALL’USO DEI MEZZI CONTENITIVI Le complicanze principali si dividono in:

1. lesioni legate alla pressione esterna del dispositivo contenitivo, quali abrasioni, lacerazioni, strangolamento;

2. lesioni legate ad effetti indiretti della contenzione fisica, provocate cioè dall’immobilità forzata a cui è costretto il paziente.

- Asfissia e strangolamento: alcuni articoli di letteratura identifica un collegamento tra l’uso dei dispositivi di contenzione e l’asfissia: la persona è rimasta intrappolata nel dispositivo o è stata trovata appesa al dispositivo, probabilmente mentre tentava di arrampicarsi.

- Tromboembolia: la letteratura segnala il rischio di trombosi venosa ed embolia polmonare nei pazienti contenuti a lungo, anche in assenza di fattori di rischio preesistenti e, sebbene non esistano studi specifici sull’efficacia, viene consigliata la valutazione di trattamento preventivo.

- Lesioni ischemiche: dovute a contrattura ischemica dei muscoli intrinseci di entrambe le mani, a seguito di 48 ore di contenzione delle stesse contro il bacino con una cinghia di cuoio.

- Lesioni nervose: causate dall’utilizzo combinato di corpetti applicati al tronco e polsini ai pazienti con la testata del letto elevata: la forza di scivolamento verso il basso, causata dai polsini, determina la risalita, con arrotolamento, del corpetto fino alle ascelle che esercita una pressione sul plesso brachiale distale.

- Lesioni dei tessuti molli superficiali: per sfregamento e/o strattonamento. - Incontinenza. - Lesioni da decubito. - Diminuzione della massa, del tono e della forza muscolare. - Stress, umiliazione. - Depressione, paura e sconforto.

PROCEDURE OPERATIVE ESSENZIALI

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1. Compilazione immediata del Registro delle Contenzioni che riporti: numero progressivo della contenzione, dati del paziente, data di ricovero, ora e data di inizio contenzione e ora e data di fine contenzione, motivazione della contenzione e firma del medico. (Se la contenzione supera le 24 ore,

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controfirma del Direttore di Struttura Complessa o del Responsabile del Servizio)

2. Compilare la scheda di controllo del paziente con dispositivi di contenzione fisica, firmato dall’Infermiere e dal Medico come spiegato nella procedura.

3. Presenza del medico all’atto della contenzione con decisione e motivazione scritte sul Registro delle Contenzioni ed in cartella, dove sarà riportata anche tipo di contenzione decisa ed applicata. Modalità particolari di sorveglianza, assistenza e difesa del paziente (per es.: isolamento, stanza singola…) dovranno anch’esse essere scritte e dettagliate dal medico nella cartella clinica, considerando che è obbligo del medico tutelare l’assistito e rispettarne i diritti. Appena possibile è necessario fornire al paziente spiegazioni chiare relative alla decisione presa.

4. Evitare prese al collo, torace ed addome. E’ preferibile tentare una presa per gli arti superiori ed inferiori, possibilmente cercando di evitare lesioni, distorsioni e slogature.

5. Terminato l’intervento occorre un controllo attento sull’applicazione dei mezzi di contenzione. Nel caso sorgano dubbi è necessario far valutare al medico la condizione del paziente ed eventuali rischi legati alla contenzione meccanica.

6. Verifica dei parametri almeno ogni 15 minuti da parte dell’èquipe infermieristica per la valutazione dei bisogni di assistenza infermieristica. Valutazione iniziale e continua dell’eventuale insorgenza di reazioni avverse legate all’applicazione dei mezzi contenitivi.

ASPETTI GIURIDICI DELLA CONTENZIONE Codice Deontologico dell’Infermiere (maggio 1999 – art. 4-11): “…L’infermiere si adopera perché il ricorso alla contenzione fisica e farmacologia sia evento straordinario motivato e non metodica abituale di accadimento. Considera la contenzione una scelta condivisibile quando vi si configuri l’interesse della persona e inaccettabile quando sia una implicita risposta alle necessità istituzionali”. Articolo 32 della Costituzione: “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”. La contenzione fisica della persona assistita, che si configura come atto coercitivo e quindi in contrasto con la libertà della persona, è ammessa solo nei casi nei quali essa possa configurarsi come provvedimento di vigilanza, di custodia, di prevenzione o di cura, quindi solamente allo scopo di tutelare la vita o la salute della persona a fronte di una condizione di incapacità di intendere e di volere che renda di fatto inattendibile ogni scelta o manifestazione di volontà del soggetto. Il Codice Penale, infatti, prevede situazioni nelle quali la contenzione è giustificata (art. 51 c.p., “Esercizio di un diritto o adempimento di un dovere”; art. 54 c.p. “Stato di necessità”) o è dovuta (art. 589 c.p. “omicidio colposo”; art.590 c.p. “Lesioni personali colpose”; art. 591 c.p. “Abbandono di persone minori o incapaci”).

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Qualora la contenzione fosse ingiustificata perché sostenuta da motivazioni di carattere disciplinare o per sopperire a carenze organizzative o, ancora, per convenienza del personale sanitario, si possono configurare i reati di:

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- Sequestro di persona (art. 605 c.p.) - Violenza privata (art. 610 c.p.) - Maltrattamenti (art. 572 c.p.).

Qualora, per l’uso dei mezzi di contenzione, si verificassero danni alla persona (es.:

lesioni traumatiche, asfissia, patologie funzionali ed organiche…), si potrebbero configurare altre ipotesi di reato per:

- Omicidio colposo (art. 589 c.p.) - Violazione dell’art. 586 c.p. (Morte o lesioni come conseguenza di altro

delitto). Articolo 13 della Costituzione: “La libertà personale è inviolabile. Non è ammessa alcuna forma di detenzione, di ispezione o perquisizione personale, né qualsiasi altra restrizione della libertà personale, se non per atto motivato delle autorità giudiziarie nei soli casi e modi previsti dalla legge”. Articolo 54 del Codice Penale: “L’applicazione del contenimento fisico deve essere riservata alle situazioni d’eccezionale gravità non altrimenti gestibili che, mettendo a repentaglio l’incolumità del paziente e/o della comunità si configurano come stati di necessità”. Articolo 605 del Codice Penale: Sequestro di persona: “chiunque priva taluno della libertà personale è punito con la reclusione da sei mesi a otto anni”. BIBLIOGRAFIA • Codice Deontologico dell’Infermiere • Costituzione Italiana • Codice Penale Italiano • Delibera Giunta Regione Lombardia, Prot. H1.2011.0005381 del 18.02.2011 SITOGRAFIA • www.ospedaleniguarda.it (16/03/2011) • www.santachiara.it (16.03.2011)

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Il presente documento è stato elaborato dal Gruppo di Lavoro costituito presso l’ASL della Provincia di Mantova che ha partecipato all’attività formativa relativa alla realizzazione della fase locale dell’ ”Area qualità e accreditamento professionale” : Azienda Ospedaliera “Carlo Poma” Pedrazzoli Enrica Antonio Vicari Maria Rebecchi Enrico Burato Dott. Andrea Pinotti Dott. Antonio Magnani Dott. Enrico Baraldi Mariangela Calabretta Sonia Corso Dott.ssa Graziella Borsatti Dott.ssa Giovanna Mezzadrelli Azienda Sanitaria Locale Provincia di Mantova Ing. Renato Azzoni Dott.ssa Marina Bentivoglio Dott.ssa Maria Gloria Gandellini Il Gruppo di lavoro è stato affiancato da due Tutor: Tutor Scientifico - Area accreditamento professionale: Dott Pasquale De Luca

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Tutor Scientifico - Area Join Commission :Dott. Marco Danesi