Il Caffé - Numero 5

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Il Caffé Milano Anno: I Numero: V Direttore: Alessio Mazzucco I SOCIAL NETWORK E LO SPAMMING ISTITUZIONALE Simone Signore Che li amiate o bistrattiate, i social network hanno modifi- cato in modo permanente il nostro modo di interagire, hanno allargato esponenzial- mente le nostre possibilità relazionali, permettendoci di creare una rete di conoscen- ze: rete che secondo molti finisce per definire le nostre personalità, una tesi che dà grande soddisfazione agli psicologi sociali, i quali so- stengono che sono le intera- zioni che abbiamo con il mondo, e dunque con la civil- tà, a definire la nostra indole, la quale rimarrebbe altrimenti un mero insieme di primor- diali istinti di sopravvivenza. Sebbene questa visione possa sembrare filosoficamente riduttiva e talvolta inaccetta- bile (è però interessante a livello empirico che alcuni studi come per esempio il “Project Gaydar” del MIT riescano a prevedere l’orientamento sessuale degli utenti di facebook semplice- mente dalla loro rete di ami- cizie, con risultati in maggio- ranza corretti), rimando una discussione di così ampio respiro a futuri approfondi- menti, volgendo per ora lo sguardo al cortile di casa nostra. (Continua a pag.3) DIABLE DIABLE D’HOMME Tommaso Giommoni Un palazzo aspro, spigoloso ma dolce al contempo è sede di una mostra molto particolare, siamo a Ferrara e va in scena Giovanni Bol- dini. Il Boldini è un pittore biz- zarro , mondano di una mondanità evanescente, acuto di una profondità esemplare. Un lezioso can- tore di virtù tutte borghesi che riesce a ritrarre con levità mai disattenta l’indole dei commedianti di quel mondo. Giovanni Boldini (1842-1931) nasce in una Ferrara scossa dalle turbo- lenze della storia, tornata dopo la parentesi napoleoni- ca sotto il dominio dei car- dinali, e ormai in vista di entrare nel regno che di lì a poco sorgerà in Italia. (A pag. 9) PARTECIPA A “IL CAFFE’” VISITA IL SITO WWW. GIORNALEILCAFFE. IT Alessio Mazzucco A llarmi! Allarmi! Siamo in una dittatura! Siamo tutti imbavagliati! Le libertà democratiche muoiono! Davvero? Se così fosse come potrei starmene qui tranquillo a scrivere? E come me migliaia (forse meno) di altri blogger? C’è la libertà di stampa in Italia? Non c’è? Domande difficili. La cui risposta io non l’affiderei certo ai politici (soprattutto dei giorni nostri) né ad una piazza gremita di manifestanti urlanti. Del resto la stessa manife- stazione può essere vista come libertà d’espressione, giusto? Alt: non cadiamo nel banale. Pluralismo c’è? Sì, si può dire di sì. Si possono esprimere le proprie opinioni? Sì, credo di sì. Dunque perché lamen- tarsi? E qui, come si suol dire, casca l’asino. Dire che c’è libertà di stampa perché c’è pluralismo è una semplificazione di un problema che in Italia getta le radici in un sottobosco intricato. Ridefiniamo libertà di stampa: essere liberi di esprimere le proprie opinioni attra- verso qualunque mezzo di scrittura. Be.. che dire? Formalmente in Italia è possibile. Ma c’è quella frase tanto celebre che mi ronza in testa (non cito a memoria): se un italiano non vede scarponi, camicie nere e manganelli, crede di vivere in un Paese libero. Fa sorridere; più che altro perché è verissima! Perché VIETARE la libertà di stampa? Ci sono altri mezzi. Esempio: il controllo, le querele, i disincentivi al buon lavoro d’inchiesta, l’insulto. Storie inventate? Ma neanche per idea. Il servizio pubblico lottizzato e i conflitti d’interesse grandi co- me case rientrano nel controllo. Se i partiti possono decidere i consigli d’amministrazione RAI il gioco è fatto: contratti non firmati, ritardi, rimandi, richiami, ritiro delle coperture finanziarie per sostenere le cause civili in cui i giornalisti troppo spesso incappano. Invenzioni? No: pura verità. Chiara come la luce del sole. Non porto ad esempio l’argomento rovente “Santoro”, ma la nota e coraggiosa Gabanelli (a cui va tutta la mia stima). Corriere della Sera, 29 ottobre: la RAI non dà copertura legale al programma d’inchiesta REPORT. Il Sole 24 ore, per fortuna, riporta qualche giorno dopo (3 ottobre): la copertura lega- le per la Gabanelli c’è (anche se la stessa giornalista, in una nota, e- sprime l’aria pesante in cui si ritrova a lavorare). (Continua a pag. 2) VIVA LA LIBERTA’ DI STAMPA! (E QUALCHE RIFLESSIONE) UNA ROSA BIANCA Cristina Saluta Il 9/09/09 in tv passavano le immagini di una rosa che da nera cambia colore, si schia- risce e diventa bianca. Que- sto è il simbolo che i mass- media avevano scelto per la giornata della “Violenza alla donna”, lanciando l’invito rivolto a tutte le donne di indossare qualcosa di bian- co. Io credo che una giorna- ta dedicata a questo tema abbia ancora oggi un signifi- cato tristemente profondo e sia un’occasione importante per mettere in guardia le donne, per ricordare a tutti, quanta strada debba ancora farsi per raggiungere la pie- na parità dei sessi. (Continua a pag. 6)

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Quinto numero de "Il Caffé"

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Page 1: Il Caffé - Numero 5

Il Caffé Milano

Anno: I

Numero: V

Direttore: Alessio Mazzucco

I SOCIAL NETWORK E LO SPAMMING ISTITUZIONALE

Simone Signore

Che li amiate o bistrattiate, i social network hanno modifi-cato in modo permanente il nostro modo di interagire, hanno allargato esponenzial-mente le nostre possibilità relazionali, permettendoci di creare una rete di conoscen-ze: rete che secondo molti finisce per definire le nostre personalità, una tesi che dà grande soddisfazione agli psicologi sociali, i quali so-stengono che sono le intera-zioni che abbiamo con il mondo, e dunque con la civil-tà, a definire la nostra indole, la quale rimarrebbe altrimenti un mero insieme di primor-diali istinti di sopravvivenza. Sebbene questa visione possa sembrare filosoficamente riduttiva e talvolta inaccetta-bile (è però interessante a livello empirico che alcuni studi come per esempio il “Project Gaydar” del MIT r iescano a prevedere l’orientamento sessuale degli utenti di facebook semplice-mente dalla loro rete di ami-cizie, con risultati in maggio-ranza corretti), rimando una discussione di così ampio respiro a futuri approfondi-menti, volgendo per ora lo sguardo al cortile di casa nostra.

(Continua a pag.3)

DIABLE DIABLE D’HOMME Tommaso Giommoni

Un palazzo aspro, spigoloso ma dolce al contempo è sede di una mostra molto particolare, siamo a Ferrara e va in scena Giovanni Bol-dini. Il Boldini è un pittore biz-zarro , mondano di una mondanità evanescente, acuto di una profondità esemplare. Un lezioso can-tore di virtù tutte borghesi che riesce a ritrarre con levità mai disattenta l’indole dei commedianti di quel mondo. Giovanni Boldini (1842-1931) nasce in una Ferrara scossa dalle turbo-lenze della storia, tornata dopo la parentesi napoleoni-ca sotto il dominio dei car-dinali, e ormai in vista di entrare nel regno che di lì a poco sorgerà in Italia.

(A pag. 9)

PARTECIPA A

“IL CAFFE’” VISITA IL SITO

WWW.GIORNALEILCAFFE.IT

Alessio Mazzucco

A l l a r m i ! A l l a r m i ! Siamo in

una dittatura! Siamo tutti imbavagliati! Le libertà democratiche muoiono! Davvero? Se così fosse come potrei starmene qui tranquillo a scrivere? E come me migliaia (forse meno) di altri blogger? C’è la libertà di stampa in Italia? Non c’è? Domande difficili. La cui risposta io non l’affiderei certo ai politici (soprattutto dei giorni nostri) né ad una piazza gremita di manifestanti urlanti. Del resto la stessa manife-stazione può essere vista come libertà d’espressione, giusto? Alt: non cadiamo nel banale. Pluralismo c’è? Sì, si può dire di sì. Si possono esprimere le proprie opinioni? Sì, credo di sì. Dunque perché lamen-tarsi? E qui, come si suol dire, casca l’asino. Dire che c’è libertà di stampa perché c’è pluralismo è una semplificazione di un problema che in Italia getta le radici in un sottobosco intricato. Ridefiniamo libertà di stampa: essere liberi di esprimere le proprie opinioni attra-verso qualunque mezzo di scrittura. Be.. che dire? Formalmente in Italia è possibile. Ma c’è quella frase tanto celebre che mi ronza in testa (non cito a memoria): se un italiano non vede scarponi, camicie nere e manganelli, crede di vivere in un Paese libero. Fa sorridere; più che altro perché è verissima! Perché VIETARE la libertà di stampa? Ci sono altri mezzi. Esempio: il controllo, le querele, i disincentivi al buon lavoro d’inchiesta, l’insulto. Storie inventate? Ma neanche per idea. Il servizio pubblico lottizzato e i conflitti d’interesse grandi co-me case rientrano nel controllo. Se i partiti possono decidere i consigli d’amministrazione RAI il gioco è fatto: contratti non firmati, ritardi, rimandi, richiami, ritiro delle coperture finanziarie per sostenere le cause civili in cui i giornalisti troppo spesso incappano. Invenzioni? No: pura verità. Chiara come la luce del sole. Non porto ad esempio l’argomento rovente “Santoro”, ma la nota e coraggiosa Gabanelli (a cui va tutta la mia stima). Corriere della Sera, 29 ottobre: la RAI non dà copertura legale al programma d’inchiesta REPORT. Il Sole 24 ore, per fortuna, riporta qualche giorno dopo (3 ottobre): la copertura lega-le per la Gabanelli c’è (anche se la stessa giornalista, in una nota, e-sprime l’aria pesante in cui si ritrova a lavorare).

(Continua a pag. 2)

VIVA LA LIBERTA’ DI STAMPA! (E QUALCHE RIFLESSIONE)

UNA ROSA BIANCA

Cristina Saluta

Il 9/09/09 in tv passavano le immagini di una rosa che da nera cambia colore, si schia-risce e diventa bianca. Que-sto è il simbolo che i mass-media avevano scelto per la giornata della “Violenza alla donna”, lanciando l’invito rivolto a tutte le donne di indossare qualcosa di bian-co. Io credo che una giorna-ta dedicata a questo tema abbia ancora oggi un signifi-cato tristemente profondo e sia un’occasione importante per mettere in guardia le donne, per ricordare a tutti, quanta strada debba ancora farsi per raggiungere la pie-na parità dei sessi.

(Continua a pag. 6)

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Il Caffé

(Segue dalla prima)

Ovvio: perché aggiungere legna ad un

fuoco già difficile da spegnere? Basta

attendere: della Gabanelli ci si può

occupare più tardi, con più calma.

Il conflitto d’interessi è un’inven-

zione? Ma non diciamo bestialità! Al

nostro Primo Ministro e alla sua fami-

glia fan capo giornali, quotidiani vari

e periodici (senza contare la casa edi-

trice la cui causa persa di natura im-

prenditoriale viene portata sul piano

polit ico come una questione

d’eccezionale rilevanza per il nostro

Paese). Mi si vuol dire che non c’è

conflitto d’interessi? Stessa storia per

la parte opposta: lasciamo perdere le

critiche alle mancate leggi sul conflit-

to, che si dice di Repubblica? Oramai

da mesi ha smesso i panni del giorna-

lismo per trasformarsi in una macchi-

na politica alquanto aggressiva.

Ma sapete cosa più mi turba? La ca-

pacità di soffocare l’unico vero utiliz-

zo della libertà di stampa per sinceri

scopi giornalistici con i metodi più

sottili. Come dicevo non servono

manganelli e olio di ricino: basta un

sistema democratico poco democrati-

craticamente eletto e pochissimo de-

mocraticamente funzionante per cal-

pestare la libertà di un popolo e soffo-

care le fiamme

dell’indignazione e

dell’informazione

libera.

Immaginiamo di

essere giornalisti o

redattori di giornali

e, sempre con fer-

vida fantasia, di

ricevere querele e

denunce perché i

nostri articoli piac-

ciono poco. Ponia-

mo una denuncia

per qualche milio-

ne di euro (anche

se bastano poche

centinaia di mi-

gliaia per lo sco-

po). Ora poniamo

di vincere la causa

civile. Cosa ci si

guadagna? Nulla. Anzi, cosa si ottie-

ne? Perdite di tempo, soldi buttati in

avvocati e processi, discredito agli

occhi dei lettori e dell’opinione pub-

blica in generale. Risultati? Molti: se

IN PRIMA PAGINA

un politico è abbastanza ricco e potente

(e al giorno d’oggi troppi lo sono), o se

per lui lo è il partito, può piegare un

giornalista o un intero

giornale a forza di de-

nunce e tribunali.

Ecco come si piega la

libertà di stampa, ecco

come si imbavagliano i

giornalisti. E sapete qual

è l’ironia in tutto questo?

Nessuno sgarra dalla

leggi né dalla nostra tan-

to glorificata/vituperata

Costituzione!

Alessio Mazzucco

VIVA LA LIBERTA’ DI

STAMPA! “Non sono d’accordo con quello che dici, ma darei la vita affinché tu lo possa dire”

Voltaire

La classifica della libertà di stampa se-condo Reporters Sans Frontières

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Il Caffé

IN PRIMA PAGINA

I SOCIAL NETWORK

E LO

SPAMMING ISTITUZIONALE (Segue dalla prima)

Infatti lo straripante successo di Face-book (+135% di utenti Italiani nel 2008, con una crescita giornaliera agli inizi del 2009 del 10% circa) ha proposto un modello di comunicazione che si è rive-lato sin da subito politicamente appeti-bile, finché l’elezione di Barack Obama alla Presidenza degli Stati Uniti d’America lo ha definitivamente consa-crato, per l’apporto forse decisivo che i social network (ed internet in generale) hanno dato alla campagna dell’attuale presidente USA. E se pure l’Italia è tra i paesi europei con il più basso tasso di alfabetizzazione informatica (solo il 47% della popolazione tra i 15 ed i 74 anni, i 2/3 delle imprese italiane e, nello specifico, il 57% delle microimprese hanno accesso ai servizi online, i cui effetti sono ben più acuti se si considera il danno aggiunto che il Digital Divide crea in termini di disparità nord-sud) sono in molti ad aver notato le potenzia-lità del nuovo sistema comunicativo. “Primus super pares”, è il caso di dirlo, risulta essere il social network ufficiale del premier FORZASILVIO.IT, attivo dal 9 maggio scorso, che vuole emulare il successo in salsa 2.0 ottenuto dal pre-s i d e n t e O b a m a , a t t r a v e r s o l’annullamento di ogni mediazione tra sé e gli elettori. Il sito, gestito dal re-sponsabile PDL per internet, l’on. Anto-nio Palmieri e realizzato da Marco Ca-misani Calzolari ed Edoardo Colombo per conto della società informatica Spe-akage S.r.l., non sembra aver smosso molte acque nei suoi primi cinque mesi di vita, nonostante il Network sia “in continuo sviluppo” e periodicamente vengano “introdotte nuove funzionalità ed aree”. Il Problema? Scrive la blogger Eleonora

Bianchini di Blogosfere Politica e So-cietà: “lontano dal modello 2.0, trasla il prodotto televisivo sul web. Quindi, niente partecipazione attiva degli uten-ti: il dialogo è monodirezionale e la conversazione assente”. E poi: “L'utente è solo un mezzo per fare cam-pagna elettorale a costo zero; non si richiede la sua partecipazione attiva se non per spammare gli spot; non ha la possibilità di commentare e non si pro-pongono argomenti di discussione.[…]Che i dati della registrazione siano il principale scopo del gioco?”. Ora, siccome giudico cruciale la verifi-ca dei fatti (e a volte è un demerito, anche per i professionisti), ho provato io stesso ad iscrivermi al suddetto network sociale, sebbene applicando il sempre valido teorema del fidarsi è bene, non fidarsi è meglio: cosicché, fingendomi tale Ennio Marchesi resi-dente a Broni in provincia di Pavia (ogni riferimento a persone realmente esistite/esistenti è puramente casuale e frutto di un apposito servizio internet) sono entrato nel social network spinto da, non lo nascondo, una morbosa cu-riosità. Il primo impatto è tutto sommato positi-vo: una volta convalidato l’indirizzo e-mail si è re-diretti ad una pagina conte-nente un video di benvenuto del premier in persona, scaricabile e diffon-dibile in tre diversi formati (a seconda che lo si voglia portare, oltre che nel cuore, su cellulari, pc o ipod/iphone). È presente un profilo personale che risulta però essere ben poco personalizzabile oltre i dati già inseriti in fase di registra-zione: nessun “musica preferita, film preferiti, politico preferito (sarebbe lapalissiano), cibo preferito”, solo un generico “Aree di interesse” tra le quali risultano mancare però alcuni temi o-

biettivamente cruciali, uno su tutti la “Giustizia”. Personalmente ho glissato s u l l e s c e l t e c o n c e r n e n t i l a “Disponibilità a partecipare”, tra le qua-li le “Campagne Online”, i “Gazebo”, i “Difensori del Voto”. Devo però am-mettere che in caso di scelta forzata avrei c l ickato s icuramente su quest’ultimo poiché, anche iconografi-camente, risulta piuttosto suggestivo. Se è dunque vero che il profilo sembra fin troppo anagrafico, la vera delusione è che questo risulta essere la caratteri-stica più personalizzabile dell’intero sistema. Ma andiamo avanti: la sezione più corposa è la “Invita”, che contiene però una mera serie di link (sebbene sorprendentemente varia ed onnicom-prensiva) da inserire nelle diverse piat-taforme (mail, social networks alternati-vi, siti personali) e condividere con altri. La sezione “Rubrica” poi non si lascia perdere l’occasione di raggiunge-re anche i contatti custoditi dalle rubri-che dei propri indirizzi e-mail. Se poi non basta, una colonna a sinistra di ogni pagina è riservata a due pulsanti che consentono di segnalare sia alla rubrica che ai social network i contenuti visua-lizzati. Quali contenuti, direte voi. Le tematiche presenti sono esposte qua-si solamente nella categoria “Notizie”, nella quale si riporta principalmente l’agenda quotidiana del premier, e me-no frequentemente le azioni degli altri esponenti del governo, nonché articoli di critica all’opposizione ed alla stam-pa. Da metà settembre (solo?) è poi possibile commentare tali articoli, an-che se la selezione all’entrata dei parte-cipanti previa registrazione al network causa più tifo da stadio che vere e pro-prie discussioni (culminanti in un epico “Noi lo sappiamo bene, se ci fosse e-quilibrio in questo nostro mondo, il

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Il Caffé

IN PRIMA PAGINA

I SOCIAL NETWORK E LO SPAMMING ISTITUZIONALE

premio Nobel sarebbe senz'altro andato a Berlusconi[…] .Purtroppo da molti anni anche questo […] premio è condi-zionato dalle lobby di sinistra […]” scritto sotto un articolo che descriveva l’ordine del giorno e non citava neanche lontanamente la notizia del premio No-bel). La sezione più deludente è la “Focus Group”, spacciata da un articolo di Li-bero Online come “una zona in cui gli utenti registrati potranno dire la loro”, che risulta invece contenere perlopiù sondaggi da bar, come uno inerente alle dichiarazioni che Franceschini fece tempo fa, "fareste educare i vostri figli da quest'uomo?". Ebbene le risposte possibili erano: A tuo giudizio, questa campagna è: (A) Una vergognosa dege-nerazione del modo di fare campagna elettorale (B) La dimostrazione che il PD è privo di idee e di proposte (C) Il disperato tentativo del PD di rimotivare il loro elettorato deluso (D) Un'azione volta a tamponare l'avanzata di Di Pie-tro. Se sono queste le premesse, diffici-le aspettarsi uno spazio in cui proporre idee, dire la propria. Fare politica, in-somma. Quasi ironicamente, la sezione in cui ci si sente più liberi di esprimersi è la se-zione “Eventi”, nella quale si può se-gnalare un evento in programma che sia ovviamente in armonia con la linea po-litica del premier: non è dato sapere dove queste segnalazioni finiscano, di sicuro non nella nostra rete sociale poi-ché una volta inviate se ne perdono subito le tracce; si suppone quindi vada-no al vaglio di un mediatore, che ne valuterà poi la bontà. Fortunatamente però, possiamo farci qualche risata con la sezione “Cose Utili” (alla quale si poteva però dare un nome migliore) nella quale sono presen-ti tra le altre una cartolina che inneggia alle qualità profetiche di D’Alema (che invito tutti a vedere), nonché un video

che invita a c o m p r a r e Repubblica, a c c a r t o c -ciarla e but-tarla nel cestino al grido di “Forza Sil-vio” (non sarebbe for-se meglio evitare tout court di ac-quistarla?). I n s o m m a , voto decisa-mente basso per questo “Network Uffi-ciale” che si propone di seguire il per-corso tracciato da Obama per un contat-to diretto con gli elettori, nonché la pos-sibilità nel medio termine di diventare strumento di fundraising. Il network ufficiale del presidente Americano, infatti, stupisce per la capacità di attira-re commenti e commentatori con idee e spunti interessanti (oltre ad un fisiologi-co rumore di fondo, sia detto), condivi-dere punti di vista e proporre nuove prospettive attraverso un sistema molto più simile al modello di riferimento di Facebook: profilo personale altamente personalizzabile, blog personale e pos-sibilità di lettura dei blog personali de-gli altri utenti, le fireside chat, termine rivisitato in chiave informatica che indi-ca il sistema di comunicazione presi-dent-citizen che adottò per la prima volta Roosevelt, a cui Obama si è ispi-rato per una comunicazione online in tempo reale con i propri elettori.

In conclusione, se di qualcosa FORZA-SILVIO.IT si può fregiare, è quello di essere una perfetta macchina per “Catene di Sant’Antonio”, come testi-monia la lettera inviata a tutti gli iscritti l’8 ottobre scorso:

Caro Tizio Caio, La decisione con la quale la Corte Co-stituzionale ha contraddetto se stessa

pur di eliminare il Lodo Alfano è l’ultimo atto del forsennato attacco

contro Berlusconi in atto da quasi sei mesi […]

Se anche tu, con Berlusconi e con tutti

noi, vuoi impedire che costoro l’abbiano vinta, fai entrare oggi stesso almeno quattro amici in Forzasilvio.it. E’ un atto semplice ma molto utile. Co-me ha ricordato ieri sera il premier, i

nostri avversari sono organizzatissimi. Lo dobbiamo essere anche noi e questo nostro network è lo strumento migliore che abbiamo per organizzarci e mobili-tarci in breve tempo, per qualsiasi ini-

ziativa si renda necessaria. […]

On. Antonio Palmieri

responsabile internet PDL

Marketing Politico lo chiamano. Sia vero o no, di sicuro non si tratta di So-cial Network.

Simone Signore

« As a Usenet discussion grows longer, the probability of a comparison involving Nazis or Hitler approaches 1 » Mike Godwin

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Il Caffé

Sono sempre stato intellettualmente sedotto dall’idea che, nei grandi momenti di svolta, lo Spirito della Storia si incarni in un singo-lo individuo e che attraverso di lui strappi alle indistinte masse il compito di plasmare il divenire. Trovo in questa idea il senso dell’eroico che ci affascina senza scampo. Vedo nascosto in questa idea il segreto desi-derio che ognuno nutre di poter influire come singolo e non perdersi nelle pieghe senza volto della storia. Che poi la previsio-ne esatta dei risvolti che questa influenza potrà avere nell’immediato o lontano futuro ci sfugga, non ha importanza. Ho parlato di eroi, non di profeti. Stasera sono venuto a conoscenza di una vicenda singolare e suppongo ai più scono-sciuta, che istintivamente mi ha fatto pensa-re a tutto ciò. Era il 9 Novembre del 1989 e un giornalista qualunque si trova in una stanza qualunque. Tra le mani tiene un taccuino su cui ha preso qualche appunto, davanti a lui un uomo. Quest’uomo si chiama Gunter ed è un pezzo grosso nella Germania dell’Est. Dopo gli accadimenti che seguirono a quella serata, scelta dal destino tra migliaia di altre serate, ci fu’ chi disse: “È stato un Raines Sufal”. Un caso fortuito. Ma il giornalista, Riccardo, non crede pro-prio. Su quel foglio che teneva tra le mani non c’erano semplici domande di circostan-za. Lui l’aria che tirava l’era riuscito a fiuta-re. Il fiuto è l’unico strumento del suo me-stiere, quello e le conoscenze. Qualche sera prima aveva fatto delle telefonate, organiz-zato degli incontri. “Domani sera falla una domanda sulla libertà di transito”, gli avevano suggerito. Uno di quei consigli buttati lì, sotto voce. Uno di quei consigli che in realtà non si fanno mai per caso. “Ma si, fagliela… che vuoi che succeda?” Che vuoi che succeda, dicevano. Poche ore dopo l’incontro tra Riccardo e Gunter nelle redazioni dei giornali di tutta Europa scoppia letteralmente un casino. Una delle prime telefonate che arrivano al gior-nalista assomiglia più o meno a una cosa del

genere:

Driiin “Pronto?” “Riccardo? Ma che cazzo hai combinato?” Già, che cazzo aveva combinato Riccardo? Non lo sapeva, non poteva saperlo, non lucidamente. Riccardo non era un profeta, ma quella sera, quella sera … Al Corriere le voci che girano sono contrastanti. “Riccardo è impazzito” dicono alcuni. For-se erano proprio loro quelli più convinti del contrario, quelli che lo dicevano con un sorriso sbigottito. Quelli che nel proprio intimo speravano che fosse davvero finita. Uno che ci aveva creduto è Giancarlo Gra-maglia, che ha il coraggio di pubblicare la notizia. Poche ore prima che esca il Corriere Livio Caputo, l’allora direttore dei servizi esteri, chiede al suo inviato a Berlino se quello che si andava dicendo fosse vero, se sta davvero succedendo. Non è chiaro, gli rispondono, è tutto da confermare, tutto da vagliare con attenzione. Bhe ma allora che si deve fare? Si esce così? Impossibile. Allora si cambia il primo capoverso della prima pagina? Ma cosa dici! Non si può fare così, bisogna rifare tutto, tutto!

E aveva ragione Caputo. Bisognava rifare tutto, non solo la prima pagina del Corriere. Riccardo sta per concludere l’intervista. Gunter Schabowsky, il portavoce del Politik Bureau non è un uomo facile. Però è un uomo potente; le sue dichiarazioni nella Germania dell’Est sono la fonte assoluta della verità. Se l’ha detto Schabowsky le cose stanno così. E basta. Perché mentre parla in veste di portavoce quell’uomo non è più Gunter Schabowsky, ma il Politik Bureau stesso. Qualche settimana prima era stato varato un alleggerimento delle condizioni sulla libertà di transito. Bastava possedere un passaporto ed ottenere un visto per poter andare ovun-que si volesse. Ovunque, anche in Germania Ovest, l’altra Germania, la cui libertà era indicizzata dagli abitanti della DDR col numero di varietà diverse di salsicce negli

POLITICA E ATTUALITÀ

RICCARDO, MA CHE CA**O HAI COMBINATO?

alimentari. 82 per l’esattezza. Un sogno. Come era un sogno assolutamente vano quello di riuscire ad ottenere passaporto e visto, perché quelli a cui dovevi chiederlo erano negli uffici della Repubblica Demo-cratica Tedesca. “Dove deve andare con questo visto?” “Fuori dal paese”. “Si ma dove?” “In Ger-mania… Ovest”. “Aspetti qui che chiedo, intanto mi scriva il suo nome e quelli dei suoi famigliari”. “…” Battute conclusive. Riccardo pone la prima, fatidica domanda: “Non crede lei che sia stato commesso un grave errore nel promulgare la leggere che alleggerisce le condizioni di transito?” Schabowsky si innervosisce, la domanda è insinuante. “No nessun errore. Adesso solo possedendo un documento di identità è possibile passare la frontiera”. Riccardo incalza, intuisce il momento. “Anche per andare a Ovest?” “Si”. “Da quando”. “Anche da questo momento”. Il Politik bureau aveva parlato. La notizia si diffuse a macchia d’olio, c’era la testimo-nianza registrata, nessuno spazio per ritratta-re quelle dichiarazioni. In quegli attimi nes-suno aveva capito cosa stesse per succedere, neanche Riccardo immaginava che con tre semplici domande avesse appena dato la spallata definitiva a quel muro che attraver-sava l’anima di un intero popolo. Riccardo non poteva sapere cosa sarebbe successo nelle ore a seguire, quale sarebbe stata la rilevanza storica di quell’evento che traeva il suo soffio vitale dalla sua intervista. No, Riccardo Ehrman, giornalista italiano e inviato dell’Ansa, non è mai stato il profeta della caduta del muro, semplicemente vi inciampò e quella sera fu’ un goffo, inconsa-pevole e magnifico eroe.

Francesco Salonia

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Il Caffé

(Segue dalla prima)

So bene che la percezione generale è

che il problema sia ormai da tempo

superato e risolto, eppure è di poche

settimane fa la storia di Hussein, la

giornalista sudanese che ha rischiato

40 frustate per avere commesso il

grave reato di indossare un paio di

pantaloni in luogo pubblico.

Poco risalto è stato dato al suo corag-

gioso rifiuto di pagare l’ammenda

comminata, accettando di scontare un

mese di carcere, pur di non piegarsi

alla legge che l’aveva discriminata.

Ma a farmi preoccupare non sono

tanto le notizie che provengono dal

Medio-Oriente, dove è risaputo che la

battaglia per l’emancipazione della

donna è ancora tutta da giocare. Un

processo in via d’ evoluzione che o-

gni giorno si scontra contro

l’interpretazione letterale della reli-

gione e il potere consolidato. Segnali

allarmanti provengono dallo stesso

mondo occidentale, da “casa nostra”.

A volte sono palesi differenze salaria-

li, mobbing, stalking; altre volte sono

subliminali e noi nemmeno ce ne ac-

corgiamo.

Se si scattasse una foto al Parlamento

Italiano ci si renderebbe facilmente

conto della difficoltà per una donna di

fare il suo ingresso nella politica, di

quanto lo Stato pensi da “uomo”.

Un esempio viene dagli Stati Uniti, e

per precisione, dal cuore della parte

più democratica e tollerante degli U-

sa, il Partito Democratico. Nel corso

delle ultime primarie si sono fronteg-

giati, in una delle competizioni eletto-

rali più combattive e avvincenti , Ba-

rack Obama e Hillary Clinton. En-

trambi campioni di due fette di popo-

lazione che in modi diversi hanno

vissuto l’esperienza della discrimina-

zione nel passato, e che in misura cer-

tamente molto minore, la vivono an-

cora nel presente.

Durante la campagna elettorale, nes-

suno dei Repubblicani ha scelto di

tirare in gioco il razzismo come punto

di forza nella sua competizione contro

Barack Obhama, e la sfida si è svolta

sul piano politico, delle idee e dei

valori, anche se, come in ogni campa-

gna che si rispetti, gossip e colpi bassi

non sono mancati e il fair play è rima-

sto un miraggio.

Il razzismo non è più accettato negli

Usa e, di certo, una battuta sul colore

della pelle del candidato avrebbe sol-

levato scandalo, imbarazzo e, soprat-

tutto, fatto perdere molti punti percen-

tuali nei sondaggi. Nessuno si sarebbe

permesso, nessuno se lo sarebbe nep-

pure sognato, a meno che non fosse

stato determinato a commettere uno

dei più gravi errori strategicamente

possibili.

Altrettanto non si può dire della campa-

gna contro Hillary, basata, invece, su

attacchi sessisti e volgari, che la rappre-

sentavano come la casalinga della Casa

Bianca, fragile donna comandante in

capo dell’esercito. Concetto inaccettabi-

le per un popolo che fa delle armi la sua

bandiera della libertà.

Tutto ciò mi fa riflettere.

Forse sono stati fatti più progressi nella

lotta contro il razzismo che non per la

parità dei sessi.

Certamente c’è ancora molto da fare.

Ma le conquiste ottenute in altri campi

dei diritti umani, come la lotta al razzi-

smo, che il Presidente Obama incarna

alla perfezione, e la passione e la forza

con cui Hillary Clinton ha condotto la

sua battaglia mi fa pensare, sperare, che

molti passi avanti verrano compiuti nei

prossimi anni.

Cristina Saluta

IN PRIMA PAGINA

UNA ROSA

BIANCA

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Il Caffé

Nel Regno Unito è in corso un acceso dibattito del quale da noi, qui in provin-cia, giunge appena qualche mormorio stentato. Oggetto della diatriba è l’annuncio che la banca d’investimenti Goldman Sachs, che si fa pernacchie della crisi sfornando bilanci quadrimestrali in netto avanzo uno dietro l’altro – il terzo e ultimo a oggi redatto mostra profitti pari a 3 mld/$ (2,11 mld/€), attesi in crescita per l’ultimo quarto dell’anno in corso – offri-rà ai suoi 30.700 dipendenti, proiettando i dati al 31 dicembre, tra retribuzioni, bo-nus e benefit vari, la bellezza totale di 24 mld/$ (16 mld/€). Detto in altre parole, più di 520.000 € a testa, non così equa-mente distribuiti: ad alcuni top trader spetteranno premi da 27 milioni di €, ad altri 14, 7 e così via. Se così sarà, vorrà dire che nel 2009, con una crisi che fidu-ciosamente si ritiene già alle spalle ma dalla quale non si è propriamente usciti e, in verità, è difficile prevedere davvero quando, il gruppo americano oltrepasserà la soglia record registrata nel 2007 di 21 mld/$. La stessa Goldman Sachs che meno di un anno fa ricevette aiuti statali per 10 mi-liardi di $, prontamente restituiti a luglio 2009, con una solerzia che in molti hanno un poco ingenuamente letto come dimo-strazione di buona volontà, altri, più mali-gnamente, sotto l’annuncio della presi-denza Obama che i gruppi che hanno usu-fruito del piano di sostegno Tarp avrebbe-ro avuto tetti di compenso per manager e dirigenti fissati dallo stato. Insomma, come diceva Giulio Andreotti, “a pensar male si fa peccato, ma spesso ci si azzec-ca”. A mio vedere, cifre di queste dimensioni spingono un lettore interessato a porsi, a ritroso, una domanda fondamentale: cos’è Goldman Sachs? Ventiquattro miliardi di

dollari sono forse troppi per disinnescare la domanda con un semplice “banca”. GS è fondamentalmente una holding fi-nanziaria, vigilata ora dalla Federal Reser-ve, che trae per la maggior parte profitti da operazioni su ogni sorta di mercato finanziario, scommettendo sul valore fu-turo dei più disparati asset: materie prime, tassi d’interesse, titoli azionari, indici, valute, in un far west nel quale i cowboy tra più famosi sono belli che stecchiti (Bear Stearns, Merrill Lynch, Lehman Brothers), e dove l’ultimo gringo rimasto, Goldman Sachs appunto, è ora padrone (o quasi) dell’intera prateria. Orbene, se però il nostro pistolero è il solo capace di cen-trare il bersaglio, sarà che ha la mano più ferma del west oppure è il bersaglio a materializzarsi dove lui spara? Detto me-glio: se Goldman Sachs opera su mercati incerti e invisibili, scommettendo su valo-ri futuri illeggibili ex ante, dove quindi tutto si gioca sulla quantità, qualità e at-tendibilità dell’informazione e di chi crea tale informazione, oltre che dal comporta-mento degli altri operatori (i defunti e i malaticci), quanto pesano le analisi stesse dei partner della Goldman sui risultati? Si tratta di stabilire, in breve, se non ci si trovi di fronte alle classiche profezie auto-realizzanti, e quanto spazio sia quindi ancora concesso più che al rischio al vero e proprio azzardo. Certo resta che il banco vince sempre, se consideriamo il fatto che i vari compensi rappresentano quasi il 50% dei ricavi netti. Dato che la dice lun-ga sulla scala di valori e urgenze che gui-dano le scelte dei nostri bravi traders, senz’altro sempiterni innamorati della massimizzazione dei profitti, talebani neoclassici che si nascondono dietro il dogma mai dimostrato della perfetta ra-zionalità dei mercati e, perché no, dei mercanti. Il chiasso alzato da chi dal gio-co d’azzardo non è mai stato attratto, e

POLITICA E ATTUALITÀ

GOLD MEN AT GOLDMAN,

QUANDO IL NOME E' UNA PROFEZIA

perciò resta immune al fascino del tavolo verde della borsa, meno allo scandalo di premi milionari, è salito forse un po’ trop-po: si è cercato di correre ai ripari promet-tendo che la Goldman devolverà forse più di un miliardo di dollari in beneficenza, il classico piatto di lenticchie per godersi il grosso della torta senza occhiate velenose dalla finestra. Insomma, che etica e finanza non vadano a braccetto non mi pare una scoperta re-cente né poco condivisa, il vero nodo da sciogliere è quello di capire se ciò sia prima di tutto corretto e, ora come non mai, sicuro per i futuri sviluppi dell’economia globale, oppure se ci sia bisogna di regolamenti e controlli più rigidi e ricercati, senza per questo alzare lo spauracchio di un paventato spettro statalista. Qualsiasi marcato intervento di regolazione dovrà però essere adottato a livello mondiale, che sia l’imposizione di tetti massimi a commissioni e retribuzio-ni, oppure al rapporto d’indebitamento tra asset totale e capitale di rischio. Lo sforzo risulterebbe altrimenti non solo vano e controproducente, ma difficilmente realiz-zabile. Un argomento che sarebbe interes-sante portare al tavolo del G20, e verifica-re se sia troppo pretenzioso credere si possa cambiare qualcosa con la stessa rapidità con la quale si è saputo risponde-re alla crisi nell’autunno dell’anno passa-to. A chi invece contro ogni evidenza storica crede ancora, o torna a farlo, negli ingranaggi perfetti di un mercato a orolo-geria, mi sento solo d’augurare un’orchestra decente e un concerto indi-menticabile, mentre il Titanic corre verso il prossimo iceberg.

Filip Stefanovic

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Il Caffé

La crisi economico-finanziaria si è fatta spazio prepotentemente tra le righe dei giornali, conquistando le prime pagine e straripando dagli editoriali e dalle rubriche speciali entro cui stava confinata. Innegabile è il merito della crisi nel ripor-tare al centro del dibattito non solo politi-co, ma anche culturale i grandi temi dell’economia. L’economia ha suscitato improvvisamente grande interesse, riscuotendo successo sia tra i giovani sia tra gli intellettuali, e rile-vando il suo lato di “scienza umana”, sen-sibile alle problematiche sociali, dedita alla comprensione dei bisogni primari e delle preferenze del singolo uomo, senza trascurare, al contempo, l’aspetto aggrega-to delle sue azioni e le conseguenze delle sue scelte sulla popolazione nel suo com-plesso. Basti pensare che l’associazione “Il circo-lo dei lettori” di Torino da quest’anno ha dedicato un intero ciclo di conferenze all’economia, scegliendo di dare voce negli ambienti da “salotto letterario” ad un tema spesso considerato tecnico e sterile. Il ciclo si è aperto con un incontro dal titolo “Il Mercato”, a cui hanno partecipa-to da una parte il professor Bertola , do-cente di Economia pubblica all’Università di Torino e convinto sostenitore del libero mercato, e dall’altra il giornalista di Re-pubblica Roberto Petrini, autore del libro “Processo agli economisti”, che, come si intuisce, ha difeso una posizione più criti-ca nei confronti del mercato, sollevando questioni e sostenendo che siano necessari correttivi e interventi pubblici più consi-stenti per evitare che crisi gravi come quella che stiamo vivendo possano ripeter-si in futuro. Nel dibattito si sono intravisti, ancora una volta, i contorni della “Mano Invisibile” di

Smith, secondo cui gli individui sono gui-dati dall’egoismo e la massimizzazione del benessere collettivo può essere rag-giunta solo tramite il perseguimento del proprio interesse individuale, in contrasto con l’idea che il mercato in sé sia causa delle proprie inefficienze e che servano maggiori regole e, soprattutto controlli, per fare in modo che opportunismi, mono-poli e asimmetrie informative siano atte-nuati. Non a caso, Petrini fa notare che fu pro-prio un problema di asimmetria informati-va a scatenare la crisi finanziaria del 2007 in tutta la sua dirompenza. Gli effetti più gravi della crisi derivavano, infatti, dall’ignoranza degli acquirenti della natura dei titoli che possedevano. In questo modo si sparsero per tutto il mon-do, in ossequio al principio, questa volta nefasto, di diversificazione del rischio, “derivati” di cui era impossibile non solo constatare la bontà ma, soprattutto, risalire all’origine. Va aggiunto che la crisi finanziaria non ha messo in luce soltanto la fragilità del mer-cato ma anche quella delle istituzioni chia-mate a proteggerlo e che si sono rilevate del tutto inadeguate al loro compito, tanto da suscitare forti perplessità sulla loro efficacia. Ma allora a favore di chi propen-dere? Fu giusto lasciare ai mercati tutta questa libertà oppure si sarebbe dovuti intervenire con più rigore? È difficile giungere a una conclusione finale. Entrambe le parti sembrano avere buone ragioni ma certamente anche gravi responsabilità e di certo l’antidoto alla crisi non è ancora stato trovato. Potenziare il ruolo dello Stato oppure la-sciare al mercato il compito di sbrigarsela da solo? Semplice mancanza di buon sen-so o insufficienza di regole, rischi insiti nel mercato o coincidenze possibili ma

POLITICA E ATTUALITÀ

LA PAROLA ALL’ECONOMIA

sfortunate? Questi sono solo alcuni dei quesiti che restano aperti e nuove strade dell’eco-nomia sono ancora completamente da scoprire e da percorrere. Tuttavia, credo che un indizio per chi cer-ca delle risposte venga dalla scelta dei due premi nobel per l’economia di quest’ an-no, Elinor Ostrom e Oliver Williamson, la cui nomina è stata senz’altro molto signifi-cativa. Si tratta di due economisti dalla forte e-strazione sociale, che hanno dedicato i loro studi a dimostrare che non sempre i beni pubblici sono gestiti in modo ineffi-cace, ma che a volte forme di cooperazio-ne spontanea, ad esempio sorte con l’obiettivo di salvaguardare il patrimonio forestale piuttosto che la qualità dell’aria di un certo territorio, possono sostituirsi validamente alle burocrazie e persino al mercato stesso. A prova che non sempre l’egoismo è la guida all’agire umano, a dimostrazione che non sempre bisogna lasciar fare tutto al mercato. Credo che l’Accademia di Stoccolma ab-bia voluto lanciare un invito, anzi forse un appello, a fin che non ci si fermi agli or-mai consolidati schemi neo-classici, ma si continuino a cercare nuove strade, a cre-scere e a rinnovarsi con coraggio, pren-dendo atto dei propri limiti e vagliando tutte le alternative, anche le più inaspetta-te, senza presunzione ma con l’entusiasmo di chi superata la “paura” si presta a varca-re una nuova “frontiera”.

Cristina Saluta

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Il Caffé

Un palazzo aspro, spigo-loso ma dol-ce al con-tempo è sede di una mo-stra molto particolare, siamo a Fer-rara e va in scena Gio-vanni Boldi-ni. Il Boldini è un pittore bizzarro ,

mondano di una mondanità evane-scente, acuto di una profondità esem-plare. Un lezioso cantore di virtù tutte borghesi che riesce a ritrarre con levi-tà mai disattenta l’indole dei comme-dianti di quel mondo. Giovanni Boldini (1842-1931) nasce in una Ferrara scossa dalle turbolenze della storia, tornata dopo la parente-si napoleonica sotto il dominio dei cardinali, e ormai in vista di entrare nel regno che di lì a poco sorgerà in Italia. Trasferitosi appena ven-tenne a Firenze si iscri-ve all’accademia delle belle arti; qui inizia a frequentare quel croc-chio di “impressionisti” toscani noti come i macchiaioli. Il loro è un movimento intenso, di ribellione profonda verso l’equilibrio

neoclassico ma anche verso la tra-scendenza, lugubre talvol-ta, di stampo romantico. Il macchiaiolo vuole innova-re la pittura in senso an-tiaccademico, secondo quel gusto verista che di lì a poco si scorgerà nelle novelle del Verga. La fase fiorentina incide molto sul pittore, è facile scorgere nei suoi dipinti cieli fatti apposta per un quadro del Fattori, tuttavia la sua“patria artistica” è senza ombra di dubbio Parigi. Quando il Boldini vi si trasferisce (siamo nel 1871) la Fancia ha appena inaugurato la sua terza repubblica e la capitale è l’epicentro di una rivoluzio-

ne la cui colonna por-tante è la nascita dell’impressionismo. I suoi teatri, i suoi caf-fè , i suoi salotti sono i nuovi luoghi di culto di una religione laica e mondana; ed il ferra-rese, lui che è un vero e proprio animale da salotto, viene accolto con onore. Boldini diviene ben presto il testimone di quel luccicate mondo opulento, l’attore irri-nunciabile dal quale farsi ritrarre sarà consi-derato un obbligo

d’appartenenza. Amico di Proust e di Degas, che non esitò a definirlo “Diable ,diable

ARTE E CULTURA

DIABLE DIABLE D’HOMME

d’homme”, il Boldini diventa a pieno titolo pittore ufficiale del “bel mondo”. La consacrazione del pittore emiliano è do-vuta in primis al suo gusto squisito. Il tratto dell’artista si fa infatti sempre più raffinato fino a costituire una felice fusione di quelli che sono i sapori pro-pri dell’impressionismo

ed un delicato accenno di realismo. È una pittura “formale” ma sbarazzina, ammiccante a tratti, dalla quale non è difficile scorgere accenni di malizia. Il Boldini è un pittore moderno, squisitamen-te decaden-te; un osser-vatore acuto quanto schiavo di un mondo dominato dall’ap-parire. E’ nel natio borgo ferra-rese che si celebra, con questa mo-stra, Giovanni Boldini. Un pittore originale ma anche un inguaribile esteta, “L’artista della decadenza e-strema” come venne definito.

Tommaso Giommoni

Madame Charles Max (1896)

James McNeill Whistler (1897)

Gertrude Elizabeth, Lady Colin Campbell (1897)

Count Robert de Monte-squieu (1897)

Il conte Robert de Montesquieu (discendente dell’illuminista) amava definirsi “un levriero col cappotto”. Il suo bastone è poi stato acquistato a Salvador Dalì.

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Il Caffé

Capita talvolta di voler interrompere certe consuetudini, perché alla lunga danno noia. La lettura non può certa-mente essere classificata come una di queste, ma mi sono trovato a pensare che leggere sempre romanzi attuali, di fresca pubblicazione, fosse un passo falso nella mia crescita culturale. Fin-ché sono stato immerso nel ciclo scola-stico, sono stato “ obbligato” a leggere alcuni grandi classici della letteratura ogni anno; perché non continuare? – mi son detto. Così ho riaperto le ante della libreria in cui tengo alcuni di questi libri, e mi sono imbattuto in un nome non da poco: Lev Tolstoij. La Russia ha sempre eser-citato sulla mia fantasia un’influenza notevole, sia perché la vedo come paese lontano e fuori dalla mia normale con-cezione di Stato (e per le dimensioni, e per la morfologia del territorio), sia perché la lontananza si ammanta di ele-menti leggendari che ne fanno nel mio immaginario un colosso quasi mitico. Dirò la verità: mi sono costretto a leg-gere i grandi classici senza aspettarmi molto. Ritengo tuttora che spesso e vo-lentieri alcune opere che hanno goduto di enorme successo debbano la loro importanza a due fattori: il numero ri-dotto di autori degni di nota nell’epoca in cui sono state scritte, e l’influenza che l’autore aveva in società. Sotto que-sto punto di vista, non mi sbagliavo: ho scoperto che Tolstoij, individuo di cui non conoscevo assolutamente nulla (la scuola italiana di certo non ne pubbli-cizza le opere), era effettivamente un proprietario terriero di non irrisoria importanza. Bingo! – ho esultato - Lo sapevo! Ed è venuto il momento di intraprende-

re la lettura. A poco a poco, i miei pre-concetti sono crollati indistintamente, di fronte ad uno dei capolavori più grandi che mi sia capitato di leggere. Lo am-metto, non possiedo una cultura strato-sferica al riguardo, ma so anche di non essere l’ultimo arrivato. La lettura di “Anna Karenina” mi ha spalancato oriz-zonti pressoché infiniti davanti agli occhi. Ho impiegato molto tempo per esaurirla – in primis, stiamo parlando di un tomo diviso per necessità editoriale in due libri nell’edizione in mio posses-so; in secundo, gli spazi in cui posso dedicarmi alla lettura non sono poi così tanti nell’arco della giornata – ma ne è valsa davvero la pena. Innanzitutto, ho dovuto cedere di fronte all’inequivocabile bellezza puramente stilistica del testo. È un susseguirsi di parole e immagini che non lasciano tregua, scorrono semplicemente le une dopo le altre come un fiume; e mi ver-rebbe da dire un fiume placido e mae-stoso, più che uno in piena, mai irruento e roboante, ma sempre grandemente pacato. Mi ha ricordato il lento e ineso-rabile scorrere del Danubio quando l’ho visto a Bratislava; e sebbene sia consa-pevole che molto fa l’opera del tradut-tore, e che ci siano casi di traduzioni italiane migliori delle originali (vedansi le poesie tradotte da Quasimodo), sono altrettanto convinto che questi casi sia-no quanto mai rari. Uno dei pregiudizi che sono stato co-stretto a smantellare rapidamente è poi stato quello relativo all’interesse che avrebbe destato in me la lettura: consa-pevole di andare a leggere una storia di amori e tradimenti, la sentivo lontana dai miei gusti, noiosa e, in fin dei conti, frivola.

ARTE E CULTURA

Mi sono trovato per contro immerso in una girandola pazzesca (di rado ne ho conosciute di così complicate) di perso-naggi ed eventi, dove il legame senti-mentale tra Anna Karenina, il marito e l’amante di lei è sì parte fondamentale, ma non unico motore del testo. Innume-revoli i personaggi tratteggiati da Tol-stoij, dai nobili ai ricchi borghesi, dagli artisti ai preti ortodossi, dai contadini alle donne di strada, dai comunisti ai conservatori, dai pensatori e filosofi ai servitori: nelle righe vergate dalla sua mano prende forma la Russia del suo tempo, una Russia zarista al crepuscolo della sua grandezza, dove già emergono distintamente problemi (distribuzione delle terre, ascesa del socialismo e delle sue correnti estremiste) che avrebbero messo in ginocchio la nazione, per rin-novarla completamente. Leggendo “Anna Karenina”, la Russia mi è sem-brata la nostra Europa, non fosse che per il contesto e le situazioni economico-sociali, del tutto differenti, come affer-ma lo stesso Tolstoij, da quelle europee. A questo proposito, l’autore afferma, per bocca di uno dei personaggi di gran lunga più importanti del libro, Konstan-tìn Dmìtric Lèvin, che l’errore che si fa in Russia è di voler ragionare secondo i criteri europei, obbligando il popolo e la cultura a seguire modalità di sviluppo improponibili per il Paese; occorre tro-vare una soluzione russa ai problemi, non europea. Forse, in questa breve frase, ingenua se volete, stava la solu-zione di molti problemi che avrebbero dilaniato la Russia da lì a non molto. “Anna Karenina” è scritto tra il 1875 e il 1876, e ciò che ne emana è la speran-za di riforme sensate e illuminate che portino il Paese a livello europeo, ma non nel modo europeo. Da questo punto di vista, fa effetto un lungo dialogo tra Lèvin e un proprietario terriero conser-

ANNA KARÈNINA IL LIBRO DELLE SPERANZE INFRANTE

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vatore. Lèvin è a mio avviso personag-gio fortemente autobiografico, e sono convinto che ciò che afferma sia quasi sempre ciò che pensa l’autore; ma seb-bene Lèvin sia un proprietario terriero progressista, a suo modo, e il suo inter-locutore un ultraconservatore, emerge la visione comune che, in base alle leggi che abolirono la servitù della gleba sen-za però tener conto delle enormi conse-guenze che ciò avrebbe comportato, tutte le aziende agricole russe siano in perdita, senza conoscere alcun modo per tirarsi fuori dal pantano. Esiste un’unica situazione che presenta conti in attivo, nel libro, ed è quella di un’azienda a conduzione familiare. In-somma, emerge con chiarezza una si-tuazione che sta precipitando, e Tolstoij auspica sia per sé, sia per chi lavora le sue terre, leggi nuove e prettamente russe, che rilancino il Paese. Noi tutti sappiamo come andò in realtà; e quasi provavo pena per quelle speranze, così vive in “Anna Karenina”, e così defini-tivamente infrante di lì a poco più di quarant’anni. Non mi soffermerò a lungo sulla vicen-da di per sé, perché è mia opinione che la grandezza di un testo non derivi dalla trama, che magari molti dei lettori già conoscono attraverso la lettura diretta dell’opera o la visione della pièce tea-trale o della versione cinematografica ad essa relative. Credo che la grandezza di un libro derivi dalle sensazioni che suscita in chi legge; e in questo Tolstoij è maestro. Sebbene la trama non sia “avvincente” in senso stretto (ho letto molti romanzi attuali ben più avvincen-ti, dalla cui lettura non riuscivo a schio-darmi), non si può non riconoscere che è vasta e perfettamente delineata. Nell’insieme, risulta molto gradevole e tocca una quantità di argomenti ancora attuali, che fanno riflettere il lettore. Tolstoij doveva essere un uomo incredi-bilmente colto, a giudicare dalle innu-merevoli questioni che si dimostra in grado di analizzare nel corso della vi-cenda: questioni filosofiche, artistiche, economiche e religiose, ma anche realtà

quotidiane, dominate dal buon senso, dall’amore per chi ci sta attorno e dalle contraddizioni della società in cui tutti noi ci muoviamo. Doveva essere un osservatore ecce-zionale: mi ha col-pito in maniera fortissima il modo in cui riesce a de-scrivere scene di vita femminile e a gestire lunghi dialo-ghi tra donne, come se fosse una donna egli stesso, provas-se gli stessi senti-menti, e vedesse il mondo nello stesso modo. E, si sa, il modo di percepire le cose e vivere proprio delle donne non è quello degli uomini. Eppure, altrettanto perfetti erano i dialoghi tra uomini, le incomprensioni nei rapporti, dovute a qualche parola di troppo o a qualcuna non detta nel momento giusto. Vedere come l’autore si facesse entità esterna sia agli uomini che alle donne, per poter osservare entrambi col giusto distacco, e al contempo si insinuasse con forza nella loro vita, per poterli cogliere nella loro realtà più intima, mi ha fatto pensa-re che Tolstoij è davvero uno Scrittore, con l’iniziale maiuscola. Perché non c’è grandezza maggiore, per chi scrive, di riuscire ad abbandonare i propri giudizi e il proprio modo di vedere le cose, per incarnarne altri, magari diversi e com-pletamente in conflitto con i primi, e sostenerli con il medesimo fervore. Non si può poi parlare di “Anna Kareni-na” senza toccare l’ambito amoroso. Direi che dal libro emergono diversi modi di amare le altre persone, e soprat-tutto nella coppia. Quello di Anna e quello di Lèvin sono messi quasi a con-fronto, ed evolvono in parallelo, l’uno perdente e insensato, l’altro semplice e mite, e per questo vincente. I due perso-naggi non incrociano le proprie vie se non in rare occasioni, perciò si può dire che la trama ha in loro i due fuochi

ARTE E CULTURA

dell’ellisse, con loro evolve e intorno a loro si snoda. Ma per comprendere me-glio le innumerevoli sfaccettature

dell’amore descritto da Tolstoij si può soltanto ricorrere alla lettura diret-ta dell’opera. Concludo evidenziando un aspetto a mio avviso molto importante per l’autore, e cioè quello religioso. Se già conosce-vo la vicenda come una serie di situazioni amoro-se, non ero assolutamente preparato a trovarvi una lunga, dettagliata e umile analisi dell’aspetto reli-gioso. Basti pensare che, paradossalmente e in bar-

ba al titolo, la vicenda di Anna Kareni-na e del suo amore dilaniato si conclude con la parte settima dell’opera; l’ottava ed ultima parte è interamente dedicata a Konstantìn Lèvin e al suo cammino spirituale, che lo porterà infine ad ap-prodare alla serenità d’animo a seguito di un lungo periodo di turbamento inte-riore. Il protagonista troverà la risposta ai propri quesiti smettendo di guardare alle cose in maniera complicata, senza più seguire il corso di elucubrazioni filosofiche che si rincorrono la coda e non lo soddisfano mai del tutto; solo facendo spazio all’umiltà e guardando alla semplicità della vita contadina giungerà a placare il proprio spirito a s s e t a t o . S e g n o c h e , f o r s e , nell’affrontare molti problemi lo sguar-do è così offuscato dalle strutture del nostro modo di pensare che ci rende impossibile discernere ciò che si delinea all’orizzonte, impedendoci di interpre-tarlo nel modo corretto; e mi sembra che tutti gli uomini, di ogni luogo e di ogni tempo, non possano sentirsi del tutto immuni alla critica che Tolstoij vuole muovere a tutti noi, e al richiamo all’umiltà che, di fronte a tante speranze infrante nel corso della trama, costitui-sce il grido finale di vittoria di Konstan-tìn Dmìtric Lèvin.

Gianpaolo Repici

ANNA KARÈNINA IL LIBRO DELLE SPERANZE INFRANTE

(CONTINUA)

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Come tutti sapranno o avranno almeno letto o sentito, il regista 76 enne Roman Polanski è stato arrestato lo scorso 26 Settembre all’aeroporto di Zurigo, dove era atterrato per ritirare un premio d’onore alla carriera, con un mandato di cattura internazionale proveniente dagli Stati Uniti. Ordine d’arresto: “ricercato per atti di natura sessuale con minori”. Il giorno successivo su molti giornali compariva il titolo “Polanski arrestato per stupro”: per qualsiasi lettore (o alme-no per i lettori poco informati come il sottoscritto), un titolo simile potrebbe esser interpretato come un fatto accaduto nell’arco di qualche mese o al massimo qualche anno. E invece no. Ricostruiamo i fatti. Los Angeles, 1977. Nella villa dell’attore Jack Nicolson c’è una festa. Qui il regi-sta (già famoso per il film “Rosemary’s Baby”, “Chinatown” e per il macabro massacro della moglie Sharon Tate per mano della “famiglia” di Manson) si apparta vicino alla piscina con una ragaz-za all’epoca poco più che tredicenne, Samantha Geiger. Prima il regista scatta delle foto a seno nudo della ragazza e poi ha con lei un rapporto sessuale. Successivamente scoppia lo scandalo, i genitori della bambina denunciano il regista, che viene da subito ricercato. Al processo patteggia per l’accusa di stupro, ma l’anno successivo viene condannato per sesso con una minorenne. Il regista sostiene la tesi secondo cui la madre della bambina abbia architettato un piano contro di lui per poi ricattarlo. Nel Gennaio del ’78, Polanski fugge

dagli Stati Uniti (dove non metterà più piede) in Francia, dove ottiene la doppia nazionalità (assieme a quella polacca). Da allora vivrà in Francia o Polonia e non rientrerà mai più negli Stati Uniti o in paesi che abbiano accordi di estradi-zione. Non parteciperà, infatti, alla notte degli Oscar® 2003 dove vincerà con il film “Il pianista”. Fino al 26 Settembre 2009. Il regista forse ha scordato che anche la Svizzera assieme ad altri paesi europei è legata agli Stati Uniti con questo tipo di accordi. E scatta l’arresto. Subito dopo, giungono una marea di critiche e di appelli in favore della sua scarcerazione da parte di intellettuali o artisti quali Irina Bokova (Direttrice dell’Unesco), Frédéric Mitterand (Ministro alla Cultura Francese). Il mini-stro degli Esteri polacco, Radoslaw Si-korski, ha detto di essere d'accordo su un approccio comune nei confronti delle autorità americane e non esclude di chie-dere la concessione della grazia al presi-dente Barack Obama.

Molti attori e registi tra cui Costa Ga-vras, Wong Kar Wai, Monica Bellucci e Fanny Ardant hanno firmato una petizio-ne dove accusano la Svizzera di essersi servita del Festival, dove Polanski avreb-be ritirato il premio, per arrestarlo.

Diversa è risultata invece l’opinione del governatore della California Arnold Schwarzenegger che ha dichiarato in un’intervista alla CNN: "Sono un grande ammiratore del suo lavoro, ma se doves-se tornare in California sarebbe trattato come una persona qualsiasi".

In questo breve tempo di detenzione il regista è rimasto in carcere, dove ha con-tinuato ad opporsi per la sua estradizione

TEATRO, CINEMA E MUSICA

...È GIUSTIZIA PER TUTTI...O NO? e a lavorare al suo nuovo film “The Ghost”. Proprio ieri il regista è stato trasferito dal carcere Winterthur in un ospedale del canton Zurigo per problemi di salute (per cui soffriva già da prima dell’arresto), ma dovrebbe tornar in cella entro Lunedì.

È giusto quindi che Polanski venga estra-dato e sconti la sua pena per una condan-na risalente a 33 anni fa? Il reato com-messo è grave, certo e la legge è uguale per tutti. Ma ha senso dopo tutto questo tempo? Molti inneggiano alla grazia, ma se il reato non fosse stato commesso da un personaggio famoso?

La vittima (che vive oggi alle Hawaii) ha chiesto, nel Gennaio scorso, che il caso venisse archiviato e in un’intervista dice di averlo perdonato, in quanto il regista avrebbe già pagato abbastanza le sue colpe. Nel corso degli anni poi numerosi amici, fan, registi e attori di Hollywood hanno ribadito la necessità di dimenticare quella triste e vecchia storia.

Non si sarebbe dovuta eseguire la con-danna all’epoca dei fatti? Perché aspetta-re l’occasione giusta o peggio tender addirittura una trappola? Perché la Fran-cia ha ignorato per trent’anni i mandati di cattura e le richieste di estradizione ame-ricane? Parigi si schiera in favore di qualsiasi cittadino francese, senza tener conto della natura dei reati penali com-messi.

È logico adesso questo accanimento giu-diziario su un regista 76 enne? Ci aggiorneremo.

Maurizio Fo