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II = "LA FESTA DELLA MONTAGNA"
Ti ritrovai su di un palco(1), ma tu eri …
“tua figlia” ed io, già vecchio a vent'anni,
cantavo alla gente la genesi dei padri e
l'essere "soli" degli uomini.
L'amplesso fu totale mentre falliva.
Amavo quegli occhi ed il sorriso di allora.
Quel sorriso che cerco e non trovo sulla tua
bocca, che mi appare come ferita insanguinata in
un viso scolpito nel ghiaccio, che dice in un
sussurro -: Fu sempre così !
Ma le mura di pietre poste sullo sperone
al di qua di Màrmurèri sono ancora là, cementate
dall'amore del figlio che ve le pose, e sono là da
trent'anni, e ci passò il “pastore” a cui corsero
incontro a centinaia le "greggi" sparse per l'alto
Mela dà Jinèstra è Palìtti, dà Jiàmmuni à Pùlarìu,
dà Ficaràzza à Santa Nicòla, ò Fanùsu (2) e più in là
e fu festa à Pùffinìa(2).
Fu la festa della "MONTAGNA".
Proprio quando giunse (3) su quelle pietre
sparammo i botti .
Note : 1>= Palco teatrale su cui si recita. 2> = sono località
dei monti (Peloritani) del Mela. 3>= Vescovo mons. Tonetti.
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Arrivammo fin lassù, senza che alcun
borghesuccio fosse presidente della commissione per
i festeggiamenti, perché tutto quel popolo,
raccolto all'Acino per una misera paga (*) fece
tutto da sé con la spontaneità generosa dei
montanari. - Avevo formulato l'invito, avevo
innescato l'orgoglio di essere figli dei monti del
Mela e la miccia bruciò. - Composi la carovana.
Qualcuno mise a disposizione la mula,
qualcun’altro altre cose, ma fummo tutti là perché,
sbocciata la festa della "montagna", era la festa
di tutti e nessuno volle mancare.
/ <Foto Nicola.Amico : vallone “ACINO”> // Venne il“Pastore”
e trovò intorno a sé il
suo "gregge", non pecore
ma gente orgogliosa,
pulita, sincera, che
quando prega e quando
bestemmia é sempre
devota al suo Dio.
Fu la festa di tutti
e andammo là, sino al
cantiere, sino ad
affacciarci a
Màrmurèri(2), fin dove
l'acqua zampilla dalla
pietra come vi fosse
spillata.
Ci radunammo a
Calderàro(2), ove l'aia
fu chiesa e balera, ove, oh "pastore", spezzasti le
ostie perché erano poche per il numero di figli che
si accostarono alla mensa e sbalordito fosti
"Maometto" che va alla “montagna” e ci trova i suoi
Note.:*>= 1954 - un operaio £.500 + 100 per ogni persona a carico,
un capo squadra £.1400 al giorno. Era però guadagnare realmente del
denaro sonante anziché barattare lavoro con cibo o altro lavoro .
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figli in preghiera, imploranti giustizia e
perdono per colpe non loro
Non assistetti alla messa poiché badavo a ché
il pranzo e tutto il resto fossero in ordine .
Un pranzo da cui mi esclusi andando "invasato"
di qua e di là fra la gente, a vedere se, e come,
era stato provveduto a ciascuna cosa .
Intanto mi rendevo conto che, l'occasione
avrebbe preteso un lauto pasto per tutti e che io
non l'avevo preventivato, non avevo provveduto, non
avevo ben valutato e previsto / <La Sfinge? Jìssàla> (N.Am.)
Qualche convenuto
reclamava un posto a
tavola, che non c'era,
che io non avevo per
poterlo cedere e non
sapevo più che dire,
cosa inventare.
La mia gente, come
per incanto, si
organizzò e fece il "miracolo della montagna",
rinnovandolo. - Non moltiplicò il pane, ma spartì
con l'altro il poco che aveva.
Non c'erano bancarelle, venditori, questuanti,
scarpe nuove, banda musicale.
C’erano occhi brillanti di gioia, sorrisi sinceri
e quella composta fisicità di chi è perfettamente a
suo agio nella “festa”.
Benedetta dal "padre", la gente spartiva ciò
che aveva portato nella borsa di “frùsche”(4) con
l'altro e ce ne fu per tutti.
Intanto il vescovo, rinnovato il sacrificio
di Cristo su di un'ara inventata là per là e posta
sull'aia, arena naturale di quell'anfiteatro
Note : 4>= Frùsche = cartocci/foglie/brattee che avvolgono
la pannocchia del granturco .
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naturale , partecipava al pranzo servito da
"barbitta"(soprannome)), meravigliato lui stesso di
quell’incontro col suo “gregge”, tanto numeroso
e franco, e si diceva fra un boccone saporito e
l'altro -: È vero, le vie del Signore sono
infinite !
Giravo fra la gente seduta sull'erba, su di un
muricciolo caduto, sotto un ciuffo di
ginestra, in mezzo al biancospino fiorito,
preoccupato della mia pochezza, di non aver saputo
provvedere a questo e a quello, e
correvo ai ripari di qua e di là come chi é
stato morsicato dalla tarantola.
Poi l'assenso della regina “dà Jìnèstra”(2), la
madre di Lorenzo, che mi trattava come un
figlio, e le piaceva chiamarmi Mimmo perché
Mimmo è il nome del suo figliolo lontano, mi
acquietò col suo dire -: “Bràvu à mè fìgghiu
Ci vòsi Mìmmu ‘pi fàri stì cosi”(5)! - Essa mi
curò quando la febbre mi colse, furiosa, sotto la
“Ròcc’à timògna”(2) e non potrò mai scordare che mi
carezzò sulle fronte quando vegliavo, attonito,
<Foto Nicola Amico : ROCCA TIMOGNA >
Note : 5> = “Bravo al mio figliolo – c’è voluto Mimmo per
fare queste cose!”
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mio padre morto con viso sereno .
Mi ritirai in disparte, non a fumare, ma
certo con l'animo di chi inspira voluttuosamente
il fumo della sigaretta o succhia la pipa, ed ero
felice perché tu, popolo dei colli del Mela, non
avevi bisogno di un "capo" cui ubbidire supino, ma
di ritrovare la coscienza della tua identità e,
padrone del tuo essere libero, intonare l'inno della
vita, e spartire il pane sorridendo al fratello, e
cantare, e ballare sull'aia, e fare il "miracolo
della montagna".
Ricordo che ad un certo punto mi ero rifugiato
fra le candite pietre e gli “àlàstri”(6) che
guardano da “Pùffinìa ô Còrvu(“2) portandomi dietro
la cesta, coperta con un “criveddu”(7), in cui
custodivo e pascevo tre “pèrniganòtti”(8) raccolti
spauriti tra le strisce dell’Acino.
<Foto Nicola Amico : Vallone Mandrazza>
Note :6> = Alàstri = Cytisus infestus = cespugli spinosi dai
fiori gialli. 7>= Crivèddu /crivello :serve per vagliare
granaglie ed altro. 8> = Pèrniganotti (vezzeggiativo) =
Pernici molto giovani appena fuori dal nido /di primo volo.
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Ero, rilassato ed assente, li carezzavo
come in “trance” con le mani aperte ed essi
fuggirono verso la libertà ed il destino d’essere
preda e di cadere uccisi.
In pace con me stesso mi rivedevo una sera,
arrivato sul tardi, levitare disteso e galleggiare
nella luce lunare cinerina, come nebbia
luminescente sui colli attorno, e mangiare con le
ulive il pane senza l'offesa del coltello, e
baciare la “barilòtta”(9) col vino paterno.
Ricordo di aver ascoltato i tuoi canti, lo
zufolo brillante “dù mìricànu dà Pùrtèdda ò
trònu”(10) tornato a lasciare qui le sue ossa, e
fino a tardi la fisarmonica di Altùni.
Quando la comitiva delle persone che
contavano in paese era già sparita “dà pùrtèdda
‘ì Mùliciànu”(2) io, insalutato ospite, me ne
stavo ancora disteso fra i cespugli di“àlàstri”(6)
guardando nel vuoto.
Due tortore si erano posate lì presso, ma non
ero cacciatore in quel momento e le guardavo
tubare.
Seppi poi che un grasso “curiale” mi faceva
tenere d’occhio perché, diceva -: Essere comunismo
il mio stare alla pari in cantiere; ed anche -:
Essere apostasia il rappresentare in piazza "La
Giara" di Luigi Pirandello parlando di barriere
costrittive da eliminare e dell'uomo all'uomo, di
sogni, di diritto e di libertà .
Io mangiavo con te il mio pane e accettavo solo
un uovo, cotto ai fuochi del mattino nel cantiere,
prima di mettere mano “àll'ànta”(11) sull'Acino.
Note : 9> = Bariletto contenitore in legno di gelso per
qualche litro di vino. 10>= dell’americano (emigrato)
originario di Portella del tuono. 11>= “Mettere mano al
lavoro” – Iniziare il lavoro nel luogo in cui esso
(lavoro /ànta) c’è .
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Venivo a caccia con te e dormivo nel tuo
fienile, parlavo di Libertà, di Giuseppe
Mazzini, di partecipazione agli utili, della
“Città del Sole”, di don Sturzo (prima maniera)
e dei diritti dell'uomo, non di iscrizione ai
partiti. - Io ti amavo e ti rispettavo come
ancora e sempre farò. / <Rocca Timògna> F. N. Amico.
Così il nostro
essere insieme fu un
canto, un volo
d'aquila, un donare
ed avere in semplicità
ed io, è vero, ho
avuto più di quanto
dato non abbia.
Altri strumen-
talizza la tua lotta
per la vita, il tuo
soffrire, e non so
dirti sino a che punto avrebbe ragione costui se
facesse leva sul tuo dolore per muoverti al
riscatto trascinandoti suo malgrado nel villaggio
globale, ma la mia è fantasia, poesia, forse
speranza, la realtà è ben altro.
Conobbi la solidarietà di uomini, a volte
nemici fra loro, che vanno a spegnere il fuoco,
ovunque si sviluppi e accorrendo da contrade
lontane battono spalla a spalla, con frasche le
frasche in epica lotta, in ossequio ad una
civiltà montanara oggi perduta se intere
contrade bruciano e ci si limita a guardare da
lontano scuotendo la testa o al più, quelli
civili, a telefonare al “1515”.
Ho visto gente aiutarsi, senza magari
rivolgersi la parola, di fronte ad un evento
disgraziato, alla malattia o alla morte.