Igor Sibaldi Istruzioni Per Gli Angeli

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Igor Sibaldi Istruzioni per gli angeli

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Igor Sibaldi

Istruzioni per gli angeli

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ISTRUZIONI PER GLI ANGELI

Ecco qua alcune brevi «istruzioni per l’uso», a commento della sezione ANGELI (e colgo l'occasione per ringraziare la casa editrice Frassinelli, che ha concesso a nonsoloanima.tv di utilizzare alcuni brani di un mio recente libro sull'argomento). Con il link che trovate qui sotto, potete scoprire quali Energie angeliche agiscano in ciascun giorno dell'anno, e in che modo le Energie del giorno in cui siete nati determinino certi aspetti della vostra personalità, dei vostri naturali talenti, della vostra vocazione, a voi già nota o magari ancora segreta. La fonte di queste corrispondenze tra i giorni e il destino si trova nelle tradizioni della Qabbalah, antiche e densissime; e appunto in queste tradizioni vorrebbe spaziare il mio blog. Ciò che ne dirò qui sarà molto semplice, vi garantisco; ma, naturalmente, «molto semplice» non significa molto facile.

Come forse vi sarete già accorti nelle vostre personali ricerche spirituali, le cose semplici sono spesso, per la moderna mente razionale, le più complicate.

E a mio parere c’è un solo modo di scoprirle, di intenderle meglio: non aver paura di diventare anche noi più semplici, più intuitivi, più liberi dalle nostre complicatissime abitudini di pensiero. Non aver paura di allontanarsi da quel che a molti, oggi, sembra vero, necessario, logico, o magari intangibile; non aver paura, soprattutto, della nostra capacità di sentire, scoprire, esperire semplicemente l’invisibile attraverso i simboli che lo narrano.

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INTRODUZIONE 19/09/08 - 10:02 Cari amici,

Alcuni argomenti che tratteremo rientrano nella cosiddetta Qabbalah, cioè in quella «tradizione orale» le cui origini si perdono sui confini tra l’antico Egitto e l’antica Palestina: sapienza finissima, audace, che riunisce in sé elementi di molte culture e alimenta un’immensa bibliografia. Cominceremo raccontando qualcosa sul cosiddetto «alfabeto sacro», cioè l’alfabeto ebraico letto in chiave geroglifica: ottimo metodo di meditazione, catalogo di simboli e di temi mistici, strumento indispensabile – come vedrete, – per orientarsi negli antichi segreti (e nella sapienza in genere).

Proseguiremo poi con vicende sacre, storie di creazione e storie della fine, e poi chissà. Certo, chiunque se ne intenda un po’, arriccerebbe il naso all’idea di parlare di Qabbalah in un blog: «Chissà come sarà superficiale! Due paginette a puntata...» Ma quelli che se ne intendono un po’ di più sanno anche che una sorprendente caratteristica della Qabbalah consiste nell’impossibilità di insegnarla. Non si può esserne, cioè, né maestri né allievi. La si può solo conoscere; più precisamente ancora: puoi solo accorgerti di conoscerla. Chi ne parla, in ogni epoca, lo fa nella speranza che in quanti lo ascoltano si desti quella conoscenza, come se ci fosse sempre stata, latente, in attesa – come le belle addormentate delle fiabe – e per far ciò, due paginette a puntata bastano e avanzano.

Unica condizione perché avvenga questo strano fenomeno è, ripeto, che non siate timidi. Fidatevi di voi. Forse qualche secolo o millennio fa sapevate benissimo le cose di cui parleremo, e ora ve ne state soltanto ricordando.

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1. MEM

19/09/08 - 11:13

M. In ebraico: mem. È il geroglifico di ciò che avvolge, racchiude e si schiude, e che plasma o dissolve al suo interno. È la maternità, il mare, il mondo, il cielo; e anche il popolo, la massa di per sé inerte; e il ruolo, le abitudini, le mansioni quotidiane in cui a volte all’io capita di sentirsi imprigionato. È anche, naturalmente, il confine, il limite: e ogni confine esiste solo perché lo si superi.

Non è la prima lettera dell’alfabeto ebraico, ma è bene cominciare da qui, tanto più che l’Angelo di oggi ha la mem come iniziale del suo Nome. Il Nome, negli Angeli, è importantissimo: è come la formula chimica di un elemento, dice tutto ciò che un Angelo è e che può fare – appunto perché le lettere dell’ebraico antico sono geroglifici, hanno cioè ciascuna un ben preciso significato. In Manade’el, le lettere principali sono M, N, D. E ND, in ebraico geroglifico, vuol dire «allontanarsi», «fuggire». Manade’el è dunque l’Angelo di chi a lungo rimane prigioniero, e d’un tratto si accorge di esserlo e va libero, irresistibile. Secondo l’Angelologia, le persone nate tra il 19 e il 23 settembre dovrebbero diventare esperti, modelli di questa liberazione dal mem, o soffrire molto per non esserlo diventati; ma anche chi è nato in altri giorni farà bene a prendere spunto da Manade’el.

Questo Nome spiega un fondamentale segreto: tu puoi uscire (ND) da un tuo blocco o limite (M) solo quando lo vedi. E vederlo è già aver cominciato a superarlo. Non avviene sempre così? Per anni non arrivi ad ammettere un tuo difetto: e perciò esso ti rovina la vita. Poi trovi il coraggio di guardarlo: è doloroso, certo, è umiliante, ed è triste dover riconoscere d’aver perso tante opportunità a causa di quel tuo limite. Ma se finalmente l’hai visto, è perché stai cominciando a diventare più grande di esso, e hai già visto che la tua via continua più in là.

A quel punto, non chiuderti di nuovo nella mem: non fare come se non avessi capito. Va’ oltre. Sùperati, allontanati da te – da ciò che fino a quel momento avevi creduto di essere.

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2. UNA MEM MOLTO FAMOSA

22/09/08 - 16:36

Naturalmente, non solo i Nomi angelici ma tutti i nomi e le parole ebraiche sono composti da lettere che ne descrivono esattamente il significato. E riguardo alla M, vale proprio la pena di citare qui il più celebre dei nomi biblici, ADAM: il cosiddetto primo uomo, che solitamente ci si immagina nudo e perplesso nel Paradiso terrestre. In ebraico, invece, ADAM non indicava affatto un singolo uomo, e nemmeno un maschio: significava, nel linguaggio corrente, «tutta l’umanità». Ma il suo senso vero, geroglifico, è più profondo. Adam si scrive in ebraico ’DM (nella grafia antica non vengono indicate le vocali): l’apostrofo, ’, è la lettera aleph, che si pronuncia come l’h di «io ho», e che in geroglifico significa «il principio, l’energia, le potenzialità». DM, in

geroglifico, significava invece «ciò che si ramifica all’interno di una M» cioè all’interno di uno spazio limitato. ’DM è dunque «l’energia, la potenzialità che si dirama al di qua di un limite», ed è una splendida definizione della nostra MENTE COSCIENTE, del nostro io ordinario. Questo rappresenta appunto, nella Bibbia, l’ADAM. Non per nulla si dice che «chiuse gli occhi» quando da esso uscì Eva, che in ebraico è ’iSHAH, e significa «la potenzialità di chi conosce l’invisibile». Ne deriva dunque che Adamo non era affatto un uomo maschio ed Eva non era una donna? Esattamente. Sono due elementi della tua psiche: il tuo conscio e il super-conscio. O se preferite: la Mente e il tuo Elemento Spirituale. E tutte le volte che «chiudete gli occhi» e superate la vostra M per vedere al di là, è Eva che vede: è la vostra ’iSHAH.

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3. ALEPH 24/09/08 - 11:24

Aleph. Si traslittera con un apostrofo: ’ . È una lettera muta: indica soltanto l’aprirsi della bocca per pronunciare ben chiara una sillaba. È il geroglifico dell’unità, del principio, della potenzialità, di un’immensa energia ancora da utilizzare.

Abbiamo già parlato di come sono composti i Nomi angelici? Provvedo subito, tanto più che l’Angelo di questi giorni, ’ANiY’eL, capita proprio a proposito. Ciascuno di questi Nomi è composto di cinque consonanti, di cui le prime tre indicano le specifiche qualità o funzioni dell’Angelo. L’elenco completo dei triletteri angelici si trova cifrato nel libro dell’Esodo, cap.14, versetti 19,20,21, che descrivono il passaggio del Mar Rosso:

19. … E l’Angelo di Dio, che precedeva la carovana di Israele, cambiò di posto e dal davanti passò indietro. Anche la colonna di nube si mosse e dal davanti passò indietro.

20. Venne così a trovarsi tra le file degli Egizi e la carovana di Israele. La nube era buia per gli uni, mentre per gli altri illu- minava la notte; così gli uni non poterono avvicinarsi agli altri per tutta la notte.

21. Allora Mosè protese la mano sul mare. E il Signore, durante tutta la notte, risospinse il mare con un forte vento d’oriente, rendendolo asciutto. Le acque si divisero.

In ebraico ciascuno di questi versetti ha 72 consonanti, e il segreto consiste nel leggerli a zig zag, «dal davanti passando indietro», come appunto dice il testo. Così, il trilettere del primo dei 72 Angeli è costituito dalla prima lettera del primo versetto, dall’ultima del secondo e dalla prima del terzo; il nome del secondo Angelo è costituito dalla seconda lettera del primo versetto, dalla penultima del secondo e dalla seconda del terzo, ecc. Questo brano dell’Esodo risale almeno al VIII sec. a.C., dal che si deduce che l’Angelologia era ben nota già allora. Ai triletteri, per completare i Nomi, viene aggiunta poi la sillaba –’el (come appunto in ’Aniy-’el) o la sillaba –yah (come nel prossimo Angelo, Ha‘ami-yah), e queste due sillabe sono l’abbreviazione dei due fondamentali aspetti di Dio, chiamati in ebraico ’ELOHIYM e YAHWEH. Di questi due Nomi supremi parleremo ancora; per ora, basti sapere che ’Elohiym è, nella Bibbia, Dio creatore; e Yahweh è Dio custode e legislatore della creazione. ’Elohiym produce, genera, realizza; Yahweh plasma, rifinisce e, soprattutto, pone limiti (sempre nella segretissima speranza che l’uomo impari a superarli). E infatti gli Angeli in –’el hanno come loro doti generali la concretezza, la voglia di costruire, di portare nel mondo cose nuove; mentre gli Angeli in –yah hanno come loro dote generale la voglia di conoscere, esplorare, comprendere, raffigurare ciò che già esiste. Ne consegue che i protetti del nostro odierno ’Anyi’el saranno tipi fondamentalmente pratici e inventivi. Ma – dato che ’aniy in ebraico vuol dire «io» - ne consegue anche che tra i significati del nome ’Aniy’el vi è anche: «il mio io è il Dio creatore». Possibile? Non è esagerato? Francamente no. Rifletteteci un poco, e poi vi dirò quel che ne so.

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4. DIO E IO, IN EBRAICO

26/09/08 - 12:01 I geroglifici che formano la parola ’ANIY, «io» (in ebraico ’NY), significano: «la mia energia (aleph) diventa reale (N) quando si vede (Y)». Il che significa che il nostro io è quel che noi riusciamo a manifestare della nostra energia vitale. E il Nome di ’ANIY’EL ci ricorda che l’Energia fondamentale e l’origine di ogni Energia è in quell’aspetto di Dio che viene chiamato ’EL, ’Elohiym. È ciò che intendono quei numerosi mistici che, dopo tante ricerche ed esperienze, arrivano a sostenere che Dio è nell’uomo. Per esempio Gesù: «io sono nel Padre e il Padre è in me» (Giovanni 14,10), o Dante, che conosceva bene la Qabbalah, quando alla fine della Commedia dice della luce di Dio:

Dentro di sé, dal suo colore stesso,

mi parve pinta della nostra effigie;

per che ’l mio viso in lei tutto era messo.

Paradiso, XXXIII, 130-132

«Nostra effigie» vuol dire immagine dell’io (’ANIY), «viso» vuol dire «la mia capacità di vedere»; e notate anche quel «’l», proprio lì, non certo casuale! «Beh» potrebbe obiettare qualche vostro amico, «tanto io non ci credo, perché sono ateo e non credo che Dio esista». Ma questo, se permettete, è un modo un po’ ottuso di considerare la questione. Agli antichi non importava il verbo «credere» come lo intendiamo noi; agli antichi, e agli antichi ebrei soprattutto, importava conoscere e sapere di cosa si stesse parlando. Così, anche il Nome divino ’EL non è un qualcosa in cui credere, come tanti usano oggi, a scatola chiusa; ma è anch’esso una formula precisa.

In geroglifico, ’EL significa: «Quell’Energia (aleph) che cresce ed è sempre più in là (L)». Quel che noi chiamiamo Dio creatore è dunque, in origine, il DIVENIRE, il GIUNGERE SEMPRE OLTRE, in ogni tua possibile direzione – e non certo un Vecchio dalla Barba Bianca.

Non «credere» in questa dimensione è come non «credere» nell’esistenza dell’aria; mentre «credere» in questa dimensione è del tutto superfluo, dato che palesemente ti accorgi che c’è, non appena ci fai caso. E, naturalmente, ti accorgi che c’è anche in te: è ciò che in te viene dopo. La tua via che aspetta che la scopra e la percorra. Le tue prossime opere e possibilità. Le scoperte che farai. Queste creano il tuo mondo, oggi come allora. E ’ANIY’EL è appunto lì a rammentartelo.

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5.KHETH E IL DIO SEVERO 29/09/08 - 12:50

Kheth. Un’aspirata dura, come il ch tedesco. È il geroglifico del lavoro, dello sforzo; dell’equilibrio di forze e dell’impegno che occorre per raggiungerlo; dell’esistenza elementare, e della ten- sione continua con la quale la si mantiene. Kheth è anche l’immagine della legge, della sapienza cioè che con lunga fatica i saggi sono arrivati a formulare, e la necessità che in essa si esprime.

Tremendo, l’Angelo di questi giorni!

È della categoria–yah: un esploratore, dunque; infatti i suoi protetti vogliono conoscere le ombre più oscure dell’animo umano, sia negli altri, sia anche in se stessi – e scoprire in quelle ombre il senso. «Perché il male? Perché l’orrore? Perché il caos?»: queste sono le loro domande principali. Non vi è Legge autentica, che non sia nata dal coraggio di questi «perché?». E non vi sono leggi, negli Stati o nelle religioni, che un buon Kha‘amiyah non possa cambiare, migliorare, rifondare, grazie appunto alle sue coraggiose scoperte. Non per nulla, in ebraico, KHQQ vuol dire «dare leggi» e KHQR vuol dire «esplorare»: radici quasi identiche, ed entrambe con quella KHETH all’inizio.

Per tale suo rapporto con la Legge, quest’Angelo è inoltre particolarmente vicino al Dio YAHWEH, a cui lo lega il suo Nome, e ne riflette l’aspetto forse più drammatico e contradditorio. YAHWEH, nella Bibbia, è appunto il Dio dei divieti, delle leggi, delle prove terribili. Potete verificarlo facilmente: nelle versioni ufficiali del Vecchio Testamento, il Dio ’ELOHIM viene sempre tradotto «Dio» e YAHWEH viene tradotto «il Signore Dio», o semplicemente «il Signore». Guardate un po’ cosa fa veramente YAHWEH, «il Signore» appunto: vieta all’uomo l’albero della conoscenza, provoca il Diluvio (ed è ’ELOHIM, «Dio», a salvare Noè), opprime Caino, abbatte la Torre di Babele, indurisce il cuore del Faraone e provoca immensi guai in Egitto, dà infinite prescrizioni e castighi... e fatalmente gli uomini gli disobbediscono. Difficile trovare in tutte le storie sacre un Dio più frustrato e, al tempo stesso, più perdutamente innamorato di quegli uomini che gli si ribellano! È come se davvero, in YAHWEH, legislazioni ed esplorazioni andassero di pari passo. La libertà umana lo affascina, come un problema impossibile può affascinare un filosofo: sembra addirittura che faccia apposta a dare divieti, per gustare la vertiginosa emozione del vederli violare. In realtà, YAHWEH ha un segreto che solo gli iniziati conoscono: è un Dio INIZIATORE. Pone regole e limiti, proprio perché l’uomo impari ad andare oltre; minaccia punizioni, proprio perché l’uomo impari ad essere coraggioso. Gesù lo spiega un paio di volte (agli iniziati appunto): «si fa più festa in cielo per un peccatore che si accorga, che non per novantanove giusti che non si accorgano di nulla» e «i peccati di questa donna le vengono perdonati, perché lei ha molto amato; chi invece ha poco da farsi perdonare, è perché ama poco». Ci avevate mai pensato?

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6.CUSPIDI ANGELICHE

01/10/08 - 16:39 Un’osservazione metodologica. Avrete notato che il 29 settembre è una «cuspide», un giorno cioè

in cui agiscono due diverse Energie angeliche. Poiché gli Angeli sono ripartiti non in base ai giorni del nostro calendario, ma in base ai gradi dello Zodiaco, avviene di frequente che a un giorno corrispondano due Angeli diversi. In questi casi, non si tratta di risalire all’esatto grado zodiacale della data di nascita: la faccenda è più complessa. Anche i giorni, infatti, hanno un loro valore, che incide non meno dei gradi: e ne risulta che chi è nato in un giorno «cuspide» tra due Angeli, dispone e

deve render conto delle energie di entrambi. Di solito, per quel che ho notato, nella prima parte della vita – fin verso i trentotto anni – prevalgono le energie del secondo tra i due Angeli uniti in una «cuspide», e negli anni seguenti quelle del primo: per esempio, per chi sia nato il 29 settembre, prevarrà dapprima l’influsso di Kha‘miyah, poi quello di ’Aniy’el. In alcuni casi il momento del passaggio può comportare novità anche brusche; particolarmente delicate sono le seguenti date di nascita: 15 aprile, 20, 25 e 30 gennaio, 14 febbraio e 11 marzo, appunto perché (come vedremo) in queste cuspidi si incontrano correnti di Energia angelica diametralmente opposte le une alle altre. Per il 29 settembre non vi è gran problema, tutto sommato: semplicemente, chi è nato in questo giorno potrebbe essere, nella prima parte della sua vita, più profondo, più introverso, meditativo (o, nei casi peggiori, più schivo, timoroso, inquieto), mentre verso i quarant’anni ci sono buone probabilità che diventi più aperto, assetato di vita, di vittorie, di gente a cui far apprezzare la profondità di pensiero che avrà raggiunto nel frattempo.

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7.RESH 04/10/08 - 09:42

In ebraico: Resh. È il geroglifico dell’aprire e del fluire, o viaggiare, o volare; e anche del pensiero umano, che scopre, progetta, procede.

Dopo l’Angelo Kha‘amiya, che insegna a esplorare coraggiosamente i territori oscuri, ecco qua l’Angelo Raha‘e’el, che aiuta ad affrontare e a sciogliere la paura. Spesso, leggendo i 72 ritratti, avrete l’impressione di scoprire una dopo l’altra le

tessere di un mosaico, e di scorgere in quel mosaico un volto (un solo volto) che via via si forma. Ed è davvero così: quel volto formato dai tratti dei 72 Angeli è ciò che una psicologo chiamerebbe il tuo Sé, cioè la totalità della tua personalità. E dal modo in cui intendi i vari Angeli, puoi dedurre quali aspetti della tua personalità hai già cominciato a sviluppare e quali no: se la descrizione di un Angelo ti è immediatamente chiara, se vi riconosci qualcosa di te o di persone a te note, la facoltà a cui quell’Angelo presiede sono già attive in te; se invece, in uno di questi ritratti angelici, trovi qualcosa di oscuro, di troppo contradditorio, vuol dire semplicemente che le facoltà lì descritte sono ancora nascoste, dentro di te, e attendono che tu le scopra. Questa idea della totalità composita è comune a molte tradizioni: dal Tao all’atman degli Hindu – di cui si legge, in una Upanishad:

"Chi per esempio riconosca: «Io sono Brahma!» diventa questa Totalità, e neppure gli Dei potranno impedirgli di diventarlo, perché allora egli diventa anche l’atman (il Sé) degli stessi Dei. Ma chi adori una divinità diversa dal suo atman, pensando: «Quella è una cosa e io un’altra» è uno che non sa..." Vale pari pari anche per l’Angelologia. Così, mi raccomando, non fate l’errore di qualche vostro amico ingenuo, che si figura il proprio Angelo e gli Angeli in genere come esseri alati, diversi da lui. Tu li sei, scoprili e abituati a riconoscerti in loro, a esserli: per usare il geroglifico di questa puntata, abituati a diventare la resh degli Angeli, a farli fluire attraverso di te, nella tua vita quotidiana. La resh intesa in questo modo ha un posto importantissimo nella mistica ebraica: è il centro, la chiave del nome Israele, che solitamente viene riferito a un popolo storico, ma che in realtà è anche, o può diventare anche il tuo nome. In ebraico è scritto così:

ישראל

YS-R-’L. E ’ysh significa: «individuo», «io concreto», e ’l (’El), già lo sapete, «Dio creatore». La resh è il ponte, il punto di passaggio: è un Israele chi sa di poter lasciare fluire l’energia divina nel e attraverso il suo io. È lo stesso concetto che compare nel termine latino pontifex, «il costruttore di ponti»: solo che nella tradizione latina il pontifex era ed è una carica gerarchica. Per te, invece, se non hai paura della resh, può diventare una realtà quotidiana.

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8.L'ENERGIA TERAPEUTICA 06/10/08 - 15:11 Nel ritratto dell’Angelo Raha‘e’el compare questo termine, che richiede qualche spiegazione, perché è un concetto strano per noi, troppo audace: indica un’energia che permette al contempo di curare e di recitare. Era infatti convinzione degli antichi (ma, io credo, ancor oggi condivisibile appieno) che le doti del medico e quelle dell’attore fossero talmente simili tra loro da far supporre che avessero una medesima origine. Anche i greci erano dell’idea che il teatro curasse – attraverso una katharsis, una «purificazione» cioè dei sentimenti negativi, che avveniva negli spettatori e riequilibrava il loro spirito. Si riteneva che la catarsi agisse soprattutto durante la rappresentazione delle tragedie; ma, ancora oggi, a tutti sono noti anche i benefici effetti dei comici, specialmente di quelli più spietati, che mostrandoci le nostre nevrosi, ossessioni, errori esistenziali e aiutandoci a riderne, non fanno nulla di diverso da un medico o da un analista che ci aiuti a prendere le distanze dai nostri comportamenti sbagliati. E viceversa, ogni medico sa bene quanto contino nelle sue terapie la suggestione, il tono di voce, il camice – l’aspetto insomma spettacolare della sua professione. Nell’angelologia, in ogni caso, gli Angeli che «proteggono» (incoraggiano cioè nei loro protetti) la professione medica, sono puntualmente gli stessi che «proteggono» anche chi recita o parla in pubblico – e dunque anche i politici e i sacerdoti. E a proposito, faccia attenzione chi ne dispone! Ogni dote che possediamo per nascita e che trascuriamo si vendica, intralciandoci in vario modo, e l’Energia terapeutica è quanto a questo una delle più temibili: fa regolarmente ammalare sia chi non la adopera per curare altri, sia chi non la trasforma in carisma da attore, sia anche (capita pure questo, purtroppo) chi ne abbia troppa e non la usi abbastanza. Credo che provenga da qui il detto antichissimo: «Il medico cura se stesso».

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9.YOD 09/10/08 - 11:17

In ebraico: Yod. È una semiconsonante, come la i di «iato». È il geroglifico dell’attenzione estroversa, del dito che indica, della visibilità, del manifestarsi concreto e durevole.

Yod è anche il geroglifico del creare, nel senso più pratico e più letterale di questo termine: creo viene dal latino, e vuol dire «concreto una res», una cosa; trasformo, cioè, un’idea, un pensiero in una realtà visibile, durevole. Non per

nulla vi è una yod all’inizio del nome di Yahweh: nei primi due capitoli della Genesi si narra che ’Elohim («Dio») concepì le forme del mondo e dell’umanità, dopodiché Yahweh («il Signore»), «plasmò l’umanità con la polvere del suolo» (Genesi 2,7). E il Nome di Yahweh corrisponde a questo talento creativo: i geroglifici che lo compongono sono

YHWH. La H è, come vedremo, il geroglifico della vita e dell’invisibile: YAH vuol dire dunque «io creo, rendo visibile la vita ancora invisibile». La W è invece il geroglifico del nodo, del blocco: dunque il Nome intero di YHWH viene a significare: «Io rendo visibile la vita invisibile e la blocco nella forma che le ho dato». Proprio come fa un artista nell’ultimare un’opera, o uno scienziato nel fissare una formula, una legge. Nell’Angelo di questi giorni, Yeyaze’el, la yod è addirittura raddoppiata e seguita da una Z, il geroglifico del mirare dritto a un obiettivo: il Nome raffigura un insopprimibile desiderio di creare (o di crearsi), di far apparire (o di apparire), e una magnifica determinazione nel seguire il proprio talento. Vi piace? Pensate all’Energia di Yeyaze’el, tutte le volte che vorrete fare qualcosa di bello, che piaccia a moltissimi, e provate a chiedergli il coraggio, la Z, senza cui la creatività rischia di disperdersi, di ripiegarsi su se stessa.

In ebraico: Zain. Ha il suono della s di rosa. È il geroglifico della freccia che vola verso il bersaglio; del raggio di sole che percorre milioni di miglia per scintillare su uno specchio; dello sguardo che coglie un dettaglio. Zain è tutto ciò che tende a uno scopo: vuole, conosce, e conquista cose o persone, op-pure sfugge e libera da una costrizione.

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10.’YSH 11/10/08 - 01:40 Qualche puntata fa, parlando di Israele, ho accennato al fatto che ’ysh in ebraico significa «individuo», «io concreto»; e in un’altra puntata dicevo che Eva, nel testo originale, viene chiamata ’ishah. Penso sia interessante sapere il perché di questi nomi. In tante altre lingue, per scoprire perché una parola sia scritta in un certo modo occorre risalire alla sua storia, alle lingue più antiche da cui quella parola deriva; in ebraico non occorre: le parole si spiegano da sé, le loro lettere rivelano il loro senso – e immancabilmente se ne ottiene una piccola lezione di filosofia e di psicologia. Così, i geroglifici della parola ’ysh ci mostrano che il suo autentico significato è: «colui che ha l’energia (’ , aleph) di conoscere (SH) le cose visibili (Y)» o anche: «colui che sa ricondurre alle cose visibili ciò che conosce».

’Ysh è insomma la nostra parte più razionale, che crede in ciò che vede (e che vede soltanto ciò in cui crede). Mentre ’ishah (che in ebraico corrente significa «la compagna») ha altre doti. Si scrive:

Come vedete, manca la consonante Y e c’è la H, il geroglifico dell’invisibile; il significato è «colei che ha l’energia di conoscere le cose invisibili». L’Eva di cui parla la Bibbia, la compagna dell’adam, cioè di chiunque di noi, è dunque il nostro intelletto spirituale, la nostra facoltà conoscitiva superiore, che sa vedere oltre il visibile. Ciò getta una luce tutta speciale sul celebre episodio della «tentazione» di Eva: è lei, ’ishah, lei sola, a percepire il cosiddetto Serpente, e non certo (come si ritiene di solito) perché la natura femminile è più fragile, plagiabile e provoca guai, ma perché il cosiddetto Serpente è una realtà spirituale, e soltanto una ’ishah può scorgerlo. Poi, si legge nella Genesi, la ’ishah assaggiò il frutto della conoscenza e lo dette allo ’ysh: e non avviene sempre così, ai confini della nostra razionalità? Il nostro intelletto spirituale coglie realtà ancora invisibili, conoscenze superiori, e le comunica alla nostra mente razionale. Infine, ricordate quel passo famoso, in cui si dice che Eva porrà il piede sulla testa del Serpente? (Genesi 3,15). Quante spiegazioni ne sono state tentate! Eppure il senso era talmente semplice. Il Serpente rappresenta, in quella pagina, la via verso la conoscenza, e la parola «testa», nell’originale, è r’sh, letteralmente «l’inizio». Dunque la tua ’ishah, la tua parte spirituale, pone SEMPRE il piede sull’inizio di una via di conoscenza. Questo era il senso. Impara a conoscerla, a congiungerti con lei, a generare scoperte.

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11.HE 14/10/08 - 16:39

In ebraico: He. Un suono lievemente aspirato, di h inglese, se si trova all’inizio o all’interno di una parola, e muto se invece si trova alla fine (dove spesso indica il genere femminile). È il geroglifico della vita, dell’invisibile, della spiritualità, dell’anima, della verità e della femminilità: anche in greco e in latino, d’altronde, l’anima era immaginata come femminile; e in ebraico è

femminile anche lo spirito (ruakh). Eccola qua, la bellissima H – nei giorni dell’Angelo Hahahe’el, che di H ne ha addirittura in eccesso. Sapevate già cosa significa questo geroglifico, l’abbiamo visto nel nome di Yahweh e in quello di Eva. Ora (dato che i geroglifici sono fatti apposta per riflettere, e anche per meditare) vorrei richiamare la vostra attenzione sul particolare legame che la H ebraica stabilisce tra la Spirito e la femminilità. È una cosa nuova, per chi è cresciuto nel cristianesimo: la Trinità risulta infatti compattamente maschile, grazie all’influsso della lingua latina – Pater, Filius et Spiritus sanctus. La vetta dei cieli, a Roma, era stata preclusa alla Donna per vari motivi: da un lato influì in tal senso la setta di Mithra, assai maschilista, diremmo oggi, con la quale i cristiani dovettero venire a patti, quando il loro più illustre rappresentante, l’imperatore Costantino, decise di cristianizzare l’Impero (313 d.C.). D’altro lato, la Chiesa di Roma era a quell’epoca in fortissima tensione con le correnti cristiane gnostiche, che non solo ammettevano il sacerdozio femminile, ma ritenevano che proprio una donna, la Maddalena, fosse stata la più fedele continuatrice dell’insegnamento di Gesù; a ciò si aggiunse la misoginia di buona parte dei giudeo-cristiani, san Paolo soprattutto. Il risultato fu che per diversi secoli, nella Chiesa, si ebbe qualche difficoltà ad ammettere che le donne avessero un’anima (e tuttora la loro anima non sembra essere sufficiente ad aprire loro la carriera sacerdotale). Che differenza rispetto alle origini! Giovanni Battista vide lo Spirito discendere su Gesù sottoforma di colomba (Giovanni 1,32), e in ebraico «colomba», yonah, vuol dire anche «la sposa». Nei Vangeli le donne appaiono coraggiose, intelligenti, illuminate: da colei che per prima, a Cana, spinse Gesù a fare miracoli, alla Samaritana, che rischiò la vita per fargli propaganda, a Marta, Maria, Maddalena... mentre gli uomini si rivelano, specialmente in Giovanni, quasi tutti vili, deboli, ipocriti, o semplicemente stupidi. «Perché ami lei più di noi?» domanda Pietro a Gesù, nel Vangelo di Filippo (gnostico), intendendo ancora sempre Maddalena; e Gesù risponde soltanto: «Già, Pietro: perché amo voi meno di lei?» D’altra parte, i Vangeli avvertono chiaramente: Gesù venne portato dai genitori in Egitto, e lì crebbe, in una sapienza che da millenni collocava l’elemento femminile ai vertici della Divinità. E voi? Riuscite, oggi, a immaginare un aspetto femminile, una H dello Spirito divino? Nella Bibbia se ne parla molto, nel libro della Sapienza, nei Proverbi, nel Cantico dei Cantici. Provate a PENSARLO. È molto emozionante.

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12.ADAMAH 16/10/08 - 11:53 Per tornare alla lettera H, vi segnalo un punto importante della Bibbia, che nelle traduzioni va inesorabilmente perduto e anzi produce spesso equivoci: la parola «suolo». Yahweh, dice la Genesi,

«plasmò l’umanità con la polvere del suolo»; poi decretò che l’umanità dovesse «lavorare il suolo con il sudore della fronte». Vi leggiamo anche che Caino era «un servo del suolo» (e ciò fa ritenere a molti che fosse un contadino); e anche Noè, dopo il Diluvio, fu «lavoratore del suolo». E uno splendido profeta scriveva: «Non sono un profeta: sono un lavoratore del suolo, ad esso mi sono dedicato fin dalla mia giovinezza» (Zaccaria 13,5). Di certo avrete intuito che non può trattarsi, qui, di semplice agricoltura. La

parola che viene tradotta «suolo» è infatti in ebraico ’adamah, e indica un concetto vertiginoso. Il significato di ’adam lo conoscete già: è la conoscenza, o la mente, così come essa può agire al di qua dei propri limiti. La ’adamah è appunto ciò che vi è al di là di quei limiti: sono i territori che alla nostra mente (’adam) sono ancora invisibili (H). È il tuo, il nostro Aldilà, di cui la Tavola Ermetica dice: «Il caso non esiste: è solo il nome che si dà alle leggi che ancora non si conoscono». Da questo Aldilà, da una H, dunque, vengono plasmate l’umanità e la nostra mente cosciente. E Adamo, Caino, Noè, Zaccaria lavoravano per conquistare lembi di questa ’adamah. Soltanto lì noi possiamo continuare a crescere. Lì conduce ogni passo in avanti della nostra evoluzione: a una H che ti si rivela, e di là della quale la ’adamah continua poi ad estendersi sempre nuova, sempre in attesa.

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13. KAPH 20/10/08 - 16:24

In ebraico: Kaph. È il geroglifico del potere, del possesso, dell’afferrare, del comprendere.

Forse avrete letto da qualche parte che il Nome di Michele, il principe degli Arcangeli, viene solitamente tradotto «Chi è come Dio?», perché miy? in ebraico significa «chi?» e kiy è «come». Ma forse questa interpretazione non vi ha mai convinti, e vi è sembrato strano che un Arcangelo avesse come Nome una domanda, retorica per di più. Se così vi è parso, mi complimento con voi: vuol dire che la vostra sensibilità è desta e sottile. Il senso di Michele è infatti assai più profondo. Le lettere M e Y compongono, in ebraico, la radice della parola «acqua», che in questa antichissima lingua ha soltanto il plurale – MYM (pronuncia: maiym), «le acque». Era un plurale perché si riteneva che le acque nell’universo fossero almeno di due tipi, come è spiegato anche nella Genesi: Dio (’El) fece un gran vuoto che si estendeva e separò le acque le une dalle altre: quelle che sono sotto quel vuoto, e quelle che sono sopra quel vuoto. Genesi 1,7 Quel «vuoto» è il luogo dell’aria, della terra, del cielo, e le «acque» sono tutt’intorno: «acque» simboliche, si intende. Le «acque», nella Bibbia, sono il simbolo di ciò che è informe, e che disgrega, dissolve. Prima della creazione dell’universo vi erano soprattutto tenebre e ACQUE: la terra era informe... e le tenebre ricoprivano l’abisso e lo Spirito di Dio aleggiava sopra le acque. Genesi 1,2 Nelle innumerevoli correnti di quelle acque (la tradizione ebraica non ama il mare) agiva il caos, tutto era forse-chissà, tutto diventava niente, nell’insondabile profondità dei Mari, nell’insondabile profondità dello spazio buio. Naturalmente, anche qui, l’immagine è decisamente simbolica: prima di QUALSIASI creazione tutto è così acqueo, così dissolto e dissolvibile, così caotico. Dio-’El, il creatore, preparò quella volta il vuoto, il luogo per creare: separò le «acque», fece in modo che venissero CONTENUTE altrove. Usò insomma il potere della lettera K. Ed ecco, questa è la specialità dell’Arcangelo Michele. Anche lui è un separatore di «acque», uno che prepara il luogo in cui esistere, creare e intendere e capire l’universo intorno. Questo è il Nome M-Y-K: le «acque» caotiche finalmente dominate. E l’iconografia cristiana lo mostra bene: Michele è raffigurato solitamente nell’atto di imporre il suo controllo (K) sul diavolo, sulle forze dissolutrici e caotiche. E nell’Angelo di questi giorni questa facoltà micheliana assume la forma d’un meraviglioso potere di non lasciarsi atterrire dalla distanza, di comprendere e dominare estensioni che per tante persone rappresentano ostacoli insuperabili – un po’ come potevano apparire i mari, a

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chi, come gli Ebrei e gli Egizi, erano abituati alla terraferma. Forse a qualcuno di voi sarà tornato in mente il famosissimo Passaggio del Mare? Complimenti di nuovo: anche quella volta, di certo, Michele ci mise del suo.

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14.UN DONO ARCANGELICO 21/10/08 - 13:50 A proposito di Miyka’el e della lettera K, è importantissimo che sappiate e teniate ben presente una cosa. Non solo Michele, ma tutti gli Arcangeli hanno un forte elemento K, nella loro indole. Il loro compito infatti, tra le Gerarchie celesti, è proprio quello di capire, comprendere (accerchiare, cioè, dal latino comprehendere) e infine ELIMINARE –sgombrare, eliminare, annientare – togliere di mezzo, così come inevitabilmente anche voi superate e togliete di mezzo tutto ciò che che avete

davvero compreso, per poter poi andare oltre. Vi sarete accorti, infatti, nei vostri anni passati, che nulla di ciò che avete capito vi è poi bastato: una volta chiarita una cosa, un qualche misterioso impulso (la forza vitale, l’evoluzione) ha cominciato a spingervi oltre... Ecco, appunto: l’energia arcangelica è di questo tipo, e si rivela, nelle Scritture e nella tradizione, come uno dei più potenti motori dello sviluppo dell’individuo e dell’universo. Lo si vede assai bene dai tre Arcangeli che condividono, con Michele, la maggior popolarità nelle grandi religioni mediterranee: Raffaele, Gabriele, Uriele (gli Arcangeli sono in tutto otto, ma sugli altri quattro ogni epoca ha idee diverse, i nomi variano, non c’è consenso preciso). Raffaele, dal verbo ebraico rapha, «guarire»: è notoriamente l’Arcangelo della guarigione; perché? Perché il suo dono, il suo talento è quello di far comprendere a chi è malato gli errori che hanno determinato le sue malattie. Con l’energia di Raffaele, il malato vede, capisce e SUPERA quelle abitudini, quei

vizi, quelle inerzie e debolezze che l’hanno danneggiato, e ne esce, e guarisce. Gabriele – dalla radice GBR, che esprime in ebraico le idee di forza, virilità, coraggio – è l’Arcangelo che sa farti capire e annientare addirittura tutto quanto il tuo passato: ti dà la forza di comprendere e superare te stesso, radicalmente. Non per nulla, secondo la tradizione, è colui che porta l’annuncio di una grande novità a una VERGINE: in realtà, l’energia di Gabriele è proprio quella che ti permette di ridiventare vergine (cioè privo di passato) in qualsiasi istante della tua vita. «Impossibile!» dirà magari qualcuno. No, possibilissimo. È sufficiente che tu CAPISCA il tuo passato, qualunque esso sia, e immediatamente ne sei già fuori, ne sei libero, sei nuovo, se la terribile forza di Gabriele ti aiuta. E Uriele – dalla parola ’WR (pronunciata or o ur), che significa «la luce» - è l’Arcangelo delle Sacre Scritture: per scrivere qualcosa di degno non occorre forse che il foglio sia bianco, e che la mente sia sgombra, e l’anima aperta e spaziosa? Ed ecco l’energia di Uriele, che sa d’un tratto superare e cancellare ciò che vi era prima, e vergare ciò che è nuovo, una buona novella... E perché, precisamente, è così importante sapere ciò, come dicevo all’inizio? Semplice: perché se lo sai, comincia a esistere e a essere vero per te. È un annuncio, un seme: ti giunge e comincia a dar frutto, se il terreno è buono e pronto. Vi è qui uno di quei segreti che rendono così appassionante la scoperta di certe vie mistiche e religiose: insegnandoti, creano in te le condizioni perché ciò che ti insegnano avvenga. Guarire, superare il passato, aprirti al nuovo e alla creatività: ora sai che si può e che certi esseri (Arcangeli addirittura) son pronti ad aiutarti in tal senso. Immaginali, percepiscili, e agiranno. Prova.

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15.WAW 23/10/08 - 14:34

w,u,o. In ebraico: Waw. Anticamente doveva essere una semivocale, come una w anglosassone, talmente breve e malleabile da scomparire a volte in un suono di u (wu), a volte in un suono di o (wo). In seguito si irrigidì anche in un suono di v, come la v italiana, che era u in latino. È il geroglifico dell’ostacolo, del limite, del nodo che si è stretto e che deve essere sciolto.

Tra le ventidue lettere dell’alfabeto sacro, la waw è indubbiamente la più sgradevole. L’avete letto nel ritratto dell’Angelo di questi giorni: è il nodo, la rete che accalappia, il blocco, la paralisi. È il modo in cui gli antichi ebrei scrivevano il numero 6, e i tre 6, il famigerato numero della bestia di cui parla l’Apocalissi, non era costituito da quelle tre cifre, ma da tre waw: e significava, come geroglifico, «io ti blocco, io ti blocco, ti blocco!» Un potente incantesimo. Eppure, vedete, c’è un Angelo che ha ben due waw nel suo Nome – e non è l’unico, come vedremo. Non solo: nel Nome stesso del Dio Signore, YHWH, c’è una waw! Vi è qui un tratto assai interessante, e non adeguatamente divulgato, della religione sia ebraica che cristiana: il riconoscimento di una cittadinanza al Nemico, al Male. In una memorabile pagina di Robinson Crusoe, il leale e ingenuo Venerdì domanda a Robinson, suo padrone: «Ma perché il tuo Dio non ha ucciso il diavolo, se era nemico suo e degli uomini?» Voi ve lo siete mai chiesti? È una storia lunga e bellissima, risale ai tempi degli Egizi, nella cui religione il Dio ostile, Seth, non veniva distrutto da Horo, che pure l’aveva sconfitto. Perché? Perché occorre che l’anima (e possibilmente anche la mente) umana sappia e comprenda bene che il Male esiste. Non serve a nulla ed è anzi dannoso negarlo, o volerlo eliminare. Non porta niente di buono pensare, come molti teologi illustri, che il Male sia soltanto l’assenza o l’ignoranza del Bene – e che dunque non abbia un’esistenza sua propria. No: ben più proficuo è rendersi conto che c’è, in ognuno, un aspetto malvagio, dannoso, frenante, una waw che ti blocca e vuol produrre guai. Solo se hai il CORAGGIO di saperlo – e di guardare bene i tuoi errori, e limiti, e difetti ed elementi oscuri – puoi sperare di superarli; solo se non ti permetti mai di pensare di essere tutto nella luce, puoi trovare in te una dialettica, una possibilità di futuro. Non si dice forse che il medico che si ritiene infallibile uccide il paziente? E Gesù, quando un giovanotto gli si rivolse chiamandolo «buon maestro», rispose: «Perché mi chiami buono? Nessuno è buono eccetto Dio» (da cui il celebre modo di dire. «nessuno è perfetto»). L’Angelo di questi giorni lo mostra bene, ponendo nel suo Nome le due waw come ostacolo indispensabile alla vera crescita, al trionfo, simboleggiato dal geroglifico L.

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16. LAMED 29/10/08 - 12:23

In ebraico: Lamed. È una delle tracce più evidenti dell’influsso egizio sulla lingua ebraica. Come l’ureo che ornava il copricapo dei faraoni, la lamed è il geroglifico dell’ampliarsi, dell’estendersi intorno e verso l’alto: come il sole o la notte che salgono dall’orizzonte. È il divenire, il rivelarsi, e anche il guardare oltre, e il trasmettere ad altri ciò che si è visto al di là.

È proprio il contrario della cupa Waw. La lettera Lamed esprime la certezza (o, se preferite, la forza di credere) che vi sia un oltre, e nuove possibilità, nuovi mondi da scoprire: nel tuo domani, e dentro di te, e anche negli altri. Nell’Angelo di questi giorni questa certezza o fede è tutta quanta estroversa: il verbo yel, in ebraico, significa «farsi udire», cioè confidare che nel cuore degli altri si desti qualcosa, quando ci si rivolge loro, e che grazie a quel destarsi, nel comunicare con loro il tuo cuore si ampli, la tua vita risplenda più intensa. Non per nulla è l’Angelo di chi ha bisogno di un pubblico. C’è poi, nel Nome di Yelahiyah, la bella H, il geroglifico di ciò che è ancora invisibile: non per nulla in questi giorni nacque anche Colombo, che riuscì a convincere una reggia e una ciurma sgomenta a varcare l’oceano e a scoprire un nuovo continente. La L, in ebraico, è la lettera del cuore (lev); della fiamma (lehava); dell’andare verso qualcosa (le): Lekh-lekha! Sono le parole che il Dio Signore disse ad Abramo, in quel passo straordinario della Genesi: Va’ verso te stesso! Via dal tuo paese, via dal tuo parentado, via dalla casa di tuo padre, verso il paese che io ti indicherò. E io ti farò diventare come una grande nazione! (Genesi 12,1) Andare «verso se stessi» vuol dire dunque andare via, oltre tutto ciò che finora ti ha limitato: smettere di identificarsi attraverso una patria, i parenti, i genitori, e scoprire la propria identità ben sapendo che sarà sorprendente. Da questo passo della Genesi la tradizione ebraica trae, come è noto, la convinzione che il popolo eletto sia nato da Abramo per volere del Dio Signore. Ma voi sapete già quello speciale segreto: che il «popolo eletto» è chiunque impari a essere se stesso, nel proprio io e nell’infinita scoperta della propria anima. Usate la Lamed! Occorre davvero imparare a non averne paura.

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17.SAMEKH 03/11/08 - 11:23

In ebraico: samek. È la s sorda, come in «asse». È il geroglifico dell’arco pronto a scagliare, ma anche del perimetro e d’una linea di confine che ti protegge; e anche dei sandali, della cintura, del velo, dell’ombra, della soglia, dell’estremità, e del vortice della tempesta. Quanti significati in questo geroglifico! Ma è ben comprensibile: la forza

creatrice che esso indica è, essenzialmente, quella che nel nostro linguaggio scientifico si chiama COESIONE – ovverosia ciò che tiene unite le molecole di un corpo. È chiaro che nella creazione del mondo i doni della samekh furono utilissimi; utilissimi lo sono anche nella vita sociale: in ogni nazione, religione, gruppo, famiglia ecc. la coesione è elemento fondamentale – e infatti l’Angelo di questi giorni ha magnifiche capacità coesive, aiuta ad essere splendidi genitori e dirigenti. Al tempo stesso, si esprime nella samek la capacità di individuare i limiti di una questione, di un problema: e, dunque, di non lasciarsene travolgere o preoccupare più del necessario. È samek anche la capacità di individuare e custodire un segreto (seter, in ebraico); e di organizzare un discorso in modo coerente (sefer, in ebraico, è «libro»). È samek anche una fortezza, un luogo protetto; e così pure una prigione. È samek la fine, il punto estremo (soph, in ebraico: molto vicino, incidentalmente, alla nostra parola «soffitta») e il sapere che qualcosa dovrà comunque finire prima o poi. Insomma, è un geroglifico quantomai pratico, realistico, razionale. E appunto perciò entra nel principale Nome di Dio: ’Ayn-Soph, ovvero il «senza-fine» – senza contorni, senza tratti, senza un fuori, senza il senza. ’Ayn-Soph è quel volto (senza volto) di Dio che è al di là di tutti i suoi aspetti, al di là di tutti i Nomi che l’idea della Divinità assume in tutte quante le religioni del mondo, tutte bellissime, tutte limitate. È quel Dio che hanno in mente la maggior parte di coloro che si definiscono atei, appunto perché non si accotentano di ciò che le tradizioni dicono del divino. Ed è, altresì, quel Dio per il quale ti sembra a volte che credere in tutte le religioni del mondo sia la cosa più giusta da fare, proprio perché sono tutte quante modi di avvicinarsi all’’Ayn-Soph. Pochi mi capiscono (e alcuni si risentono, anche) quando in tutta sincerità mi capita di dirlo: «Io credo in tutti gli Dei». Tanta gente tiene infatti alla propria samek religiosa più che ai propri sentimenti. Voi, che ne pensate?

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18.AYIN 07/11/08 - 16:27

Si trascrive come uno spirito aspro:‘. Ayin. Un tempo doveva essere un netto suono gutturale, come la h di «Manhattan»; oggi la sua pronuncia tende ad assomigliare sempre più a quella dell’aleph. È il geroglifico dell’apparenza esteriore e ingannevole, del sentito dire, dei rumori confusi, e anche del nulla, del vuoto e di tutto ciò che è perverso e malvagio. ‘Agmah, la tristezza; ‘aieph, essere stanco; ‘azuv, essere abbandonato; ‘ergah,

la nostalgia; ‘itonim, i giornali; ‘atar, il fumo scuro; ‘aniuth, la povertà... Quante parole pesanti, deprimenti cominciano con questa lettera. Nell’Angelo di questi giorni, come anche in quello che lo segue, la funzione dell’ayin è ben comprensibile: i loro «protetti» sono persone dotate di straordinarie qualità di intuizione, di veggenza spesso, di telepatia quasi sempre, e inoltre inventive, creative, sapienti e irresistibilmente versatili; è dunque fatale che debbano scontrarsi contro tutta la serie di resistenze esteriori e (soprattutto) interiori, contro ombre di incertezza ben più grandi di quelle con cui ha a che fare chi è meno dotato di loro. Un po’ più strano appare invece il fatto che una delle parole ritenute più belle e desiderabili della Bibbia, ‘Eden, l’Eden, il paradiso terreste, cominci anch’essa con questa lettera tanto ostica. Ma a questo riguardo gira da millenni un equivoco che è bene chiarire. Il celeberrimo «Giardino dell’Eden» non era affatto, nel testo sacro, un luogo radioso che l’umanità perdette per una malaugurata disobbedienza. ‘Eden vuol dire: «la dimensione (N) di ‘D» e il geroglifico ‘D indica non una qualche somma di delizie, ma semplicemente il tempo che stai vivendo ora. È il presente, il «per adesso», l’«ancora» e il «non ancora». E gan ‘Eden, solitamente tradotto «il giardino dell’Eden», vuol dire in realtà: una RECINZIONE attorno al tempo che stai vivendo. Un luogo chiuso; un tempo sospeso; una specie di laboratorio, se non addirittura di provetta, in cui il Dio-Signore, YHWH, decise di confinare l’adam appena creato da ELOHIM. E non per nulla gli diede quell’ordine: non mangiare dell’albero della conoscenza! E dunque: non conoscere! Non farti domande! Non crescere! Fu una decisione ardita, poiché diametralmente opposta all’indicazione che Elohim aveva dato a ciascuno di noi: «Cresci e moltiplicati!» (cioè impara a conoscere quanto sei più grande di quel che credevi). E naturalmente, come al solito, YHWH venne frustrato: la sua idea di una human reservation, il suo tentativo di tener lontana l’umanità dalla dinamica della realtà si infranse contro l’impulso umano-divino a superare i limiti. E se nelle religioni istituzionali ci viene insegnato che quella fu una colpa dell’uomo – e addirittura il principio di tutte le colpe! – è soltanto perché YHWH ha tuttora moltissimi sostenitori, troppo fedeli, troppo bisognosi di un’autorità da imporre a se stessi e agli altri.

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19.SHIN 13/11/08 - 11:06

sh. In ebraico: Shin. Talvolta, per esempio in Yisra’el, Israele, si pronuncia come la s di «sale». Secondo alcuni rappresentava l’arco che scocca la freccia, secondo altri uno specchio illumi-nato da fiaccole. È il geroglifico del desiderare, dello slancio, della ricerca di un nuovo orizzonte. A mio avviso, Shin è anche e soprattutto il geroglifico della conoscenza.

Talmente netta è la sua somiglianza con il geroglifico egizio che significava «conoscere»: una stella con tre raggi rivolti verso l’alto! E connesse con il conoscere e l’apprendere sono molte parole ebraiche che iniziano con shin: shaal, domandare; shevil, sentiero; shir, poesia; sekhel, intelligenza... e anche la parola più importante di questo nostro blog, e in genere di tutte le esplorazioni spirituali: shem, il Nome. Nella sua interpretazione geroglifica, shem verrebbe a significare: «ciò che si conosce (SH) di un argomento, di una determinata area (M)» o anche «tutto (M) ciò che si può conoscere (SH)» di qualcuno o qualcosa. È insomma un termine vicinissimo, sia nel senso sia nella forma, al greco skhema, «la forma, la configurazione» di qualcosa. E avete mai pensato a quanto sono importanti i Nomi, nella scoperta dei mondi invisibili? Come le note per la musica. Degli Angeli, dei volti di Dio, delle dimensioni e dei significati dell’Aldilà noi non possiamo far altro che trovare i Nomi, e fare in modo che i Nomi siano precisi: altrimenti non ne abbiamo nulla, soltanto stati d’animo, aspirazioni vaghe – che, tra l’altro, quanto più sono vaghe, tanto più suscitano aggressività... l’avete notato? Chi non sa indicare con precisione qualche suo argomento di fede, o chi non ha ben chiaro che cosa indichino i Nomi usati nella sua religione, diventa ben presto intollerante, prepotente. Non avete mai incontrato persone del genere? Quanto al dare nomi precisi sia all’invisibile, sia ai significati dei fatti e delle cose visibili, l’Angelo di questi giorni è insuperabile: i suoi «protetti» sono geni della chiarezza, filosofi innati, e non tanto cercatori quanto scopritori di verità. Secondo la Bibbia, tale genialità è certamente una dote divina: ’Elohim diede forma all’universo pronunciando i Nomi di ciò che intendeva creare («Disse: Sia la luce! E la luce fu» ecc.). E l’umanità, fatta a immagine e somiglianza di Elohim, aveva questa dote innata, mentre YHWH no. Narra infatti la Bibbia: YHWH condusse dall’’adam tutti i tipi di animali e d’uccelli, per vedere come li avrebbe chiamati: in qualunque modo l’’adam avesse chiamato ogni essere vivente, quello sarebbe dovuto essere il suo nome. E l’’adam impose i nomi... (Genesi 2,19) E YHWH intanto rimaneva a guardare, sgomento, ammirato forse, di quell’abilità creativa. Di certo se ne preoccupò poi, quando l’umanità cominciò a evolversi e tutti quanti avevano una sola lingua (cioè si intendevano bene sui Nomi). YHWH disse: «Ecco, sono un unico popolo, hanno una lingua sola! Questo è l’inizio, il principio della loro opera e, così come sono ora, nulla di ciò che progetteranno di fare sarà impossibile, per loro! Scendiamo dunque, e confondiamo la loro lingua, così che non si capiscano più gli uni con gli altri...» Genesi 11,6

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E distrusse la famosa Torre di Babele. E d’allora stiamo cercando di ricostruirla.

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20. ANCORA SUI NOMI DELL’INVISIBILE 18/11/08 - 11:23 Dell’Angelo di questi giorni, Miyhe’el (MYH-’L), conoscete già tutte le lettere. Provate a interpretarlo da soli, a far emergere voi stessi il suo ritratto dall’Aldilà celeste. M: l’avvolgere, l’abbracciare – ma anche il confine da superare. Y: ciò che si vede, che esiste – ma anche il vedere e il farsi vedere. H: l’invisibile...

Io ho indicato, come al solito, sotto al Nome dell’Angelo, l’interpretazione che a me è sembrata più probabile. Ma possono essercene molte altre e, se volete esercitarvi un po’ nell’Angelologia, bisogna che andiate alla scoperta. E a questo proposito, sappiate che nessuno potrà ritenere errata una vostra interpretazione, se non voi stessi. Non esistono infatti interpretazioni giuste, assolute: la natura delle lettere geroglifiche è simbolica, e un simbolo è sempre vivo, si evolve: appena ti sembra di essere riuscito a spiegarlo, esso comincia già a indicarti

qualcos’altro più in là. E tutti i simboli crescono insieme a te: ne superi continuamente le interpretazioni, proprio perché anche tu, mentre ci pensi, giorno dopo giorno superi te stesso – e questa è la ragione per cui solo tu puoi valutare la misura in cui hai compreso qualcosa dell’invisibile. D’altronde succede anche con il visibile: così, per esempio, la prima volta che ho provato a interpretare il mio nome (Igor, in lettere ebraiche YGR) come un geroglifico, l’ho inteso come «colui che rende visibili cose e persone straniere» e ciò perché GR è il geroglificio dello «straniero» a quel tempo io ero uno studioso di letterature dell’Europa orientale, stavo traducendo Guerra e pace ecc. Qualche anno dopo, l’interpretazione è diventata: «colui che rende visibili cose lontane, di altre epoche» perché mi ero appassionato di Sacre Scritture. Poi GR ha incominciato a riferirsi, per me, agli Spiriti Guida e alle Gerarchie celesti. Curiosamente, Igor nella tradizione russa (quella è la mia origine) è il nome dell’esule, di chi si trova tra stranieri, come l’omonimo principe. Insomma, vedete bene che passeggiate possono farvi fare queste antichissime lettere. E dunque dicevamo: Miyhe’el, MYH. Cosa state scoprendo (tenendo anche conto dei celebri nati in questo periodo, citati nel ritratto angelico: Lutero, Voltaire...)? Magari che il Nome può anche significare: «Se arrivo a comprendere la realtà in cui vivo, mi si apre l’invisibile», oppure «Io sono il grembo in cui l’invisibile diventa visibile», o altro ancora...

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21.GLI ANGELI DEL CASTELLO 23/11/08 - 14:56 Con oggi ha inizio – e durerà fino al 22 dicembre – una serie di ritratti angelici vicinissimi tra loro: una vera e propria «famiglia», che copre tutto il segno del Sagittario. Per nessun altro segno zodiacale avviene qualcosa di simile: è anzi raro che due Angeli dello stesso segno si somiglino. Qui invece, con i cosiddetti Principati (così si chiamano i prossimi sei Angeli), assisteremo a un variare del medesimo tema esistenziale, di un medesimo atteggiamento verso il prossimo e verso se stessi: ed è appunto il Castello. O almeno così lo chiamo io, dato che nel nome del primo Principato, Wehewu’el, compaiono quelle tre lettere:

che non solo significano, ma raffigurano anche (come in un pittogramma) due torri e un qualche splendido segreto nascosto, inaccessibile, racchiuso da esse. Come un castello su un monte. E i «protetti» dei Principati sono proprio così o, meglio, sembrano aver posto questa condizione allo svolgimento dei loro compiti nel mondo: «Nessuno deve sapere quanto di bello, di grande, di nobile ho in me. Nessuno deve poter vedere i veri tesori del mio cuore, le vere profondità della mia anima... Solo io». Il che non significa che siano chiusi, schivi: tutt’altro! Ma quanto più sono estroversi, tanto più recitano, e recitando si proteggono. Io li immagino come signori medievali, che ogni tanto scendono a passeggiare, ad agire, a donare nella valle, e non vedono l’ora di risalire in cima alla loro torre, dove soltanto loro hanno acceso, e dove sono – soltanto lì – veramente se stessi. Qual è il loro segreto? Modestia? Aristocratico disprezzo? Timidezza? Niente del genere, a quel che ne ho potuto comprendere finora. La mia opinione è che appartengano a un tipo particolare di persone, molto evolute, che han cominciato a cercare in se stessi una forma di identità più alta, più grande del semplice «io». Per moltissimi altri, l’«io» non c’è ancora: si accontentano di appartenere a un qualche «noi» (nazione, squadra, azienda, famiglia, religione, razza...); per molti altri l’«io» è un punto di arrivo, e riuscire a essere se stessi è una grande conquista. Per i «protetti» dei Principati l’io è una porta, una HE, l’inizio di una via. E sono impazienti di avventurarsi più in là. E li annoia, li infastidisce, li opprime ciò che nella gente è un «noi», e anche ciò che nel loro prossimo è semplice accettazione e soddisfazione dell’«io» soltanto. I Principati, del resto, sono gli Angeli della bellezza (Dante, nel pieno rispetto della Qabbalah, li colloca nel terzo cielo del Paradiso, quello di Venere) e la bellezza, come sapete, è sempre quel qualcosa di più che si coglie nelle forme, e che supera le forme stesse...

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22. DALETH 28/11/08 - 10:42

d. In ebraico: Daleth. Una semplice d. È il geroglifico dell’abbondanza, del nutrimento ben distribuito, e anche del suddividere, e del dividere: compito di capi e di ricchi, e lavoro di giudici. È anche il ramificarsi, il fluire in molte direzioni, come il Delta di un fiume.

D come dare. Shadday è uno dei Nomi di Dio, e significa «Provvidenza»: SH e D, «l’intelligenza nel donare, nel distribuire, e si ramifica ovunque», anche, naturalmente, dove non la si vede. E ricordate la puntata su ’ADAM? Lì, non avevo detto una cosa (per non correre troppo avanti): DM, dam, in ebraico e in egiziano significa «il sangue che palpita». È facile capire perché: la M sono i confini del corpo, e il sangue si distribuisce e fluisce (D) dappertutto, all’interno del corpo stesso. A sua volta, questo DAM, «sangue che palpita», è immagine della mente cosciente, la cui estensione (M) è infatti simile a un grande corpo invisibile, che include tutte le realtà che tu conosci: in quelle realtà la tua mente è, vive, giunge, dà e riceve vita. E ’ADAM è appunto la particolare energia con cui una determinata mente sa essere e agire. Da questo antico significato del «sangue» deriva una delle più celebri norme di due grandi religioni mediterranee: il divieto di nutrirsi del sangue degli animali. Come sapete, tra gli Ebrei e tra gli Islamici, è legge che la macellazione di animali avvenga per dissanguamento: polli, ovini, bovini vengono cioè sgozzati con un taglio rapido e profondo (e la morte è rapida), e le loro carni vengono poi ulteriormente mondate da residui di sangue. Sono state tentate numerose interpretazioni di quest’uso, da quella antropologica che presume un qualche antico tabù, a quella psicobiologica, secondo la quale nel sangue si troverebbe la memoria delle emozioni dell’animale (incluso il terrore davanti al macellatore) e chi se ne nutre, le assimila... Ma il motivo è un altro, a mio avviso. Il passo in cui questo divieto viene pronunciato per la prima volta, nella Bibbia, è il seguente – e a guardar bene è un po’ più sorprendente di quel che sembra: Tutto ciò che si muove e ha vita potrà servirvi da cibo: vi do tutto ciò... Ma non dovete nutrirvi della carne che ha nel suo principio vitale il sangue, di quella no: perché questo sangue vostro, che è principio vitale di ciascuno di voi, chiederò che venga restituito a me. Genesi 9,4 Notate che non è precisato «carne di animale». Dio proibì qui dunque anche il cannibalismo? È molto improbabile che vi fosse bisogno di vietare una cosa tanto innaturale, a quei tempi. Il passo va inteso in senso più ampio, e soprattutto simbolico: puoi «mangiare», assimilare ogni «carne», ogni forma; leggi qualsiasi libro, assimila e godi ogni opera d’arte, impara dalle azioni con cui ciascuno ha dato forma alla propria vita, ma non credere di poter «mangiare», assimilare anche il DAM, la mente cosciente, l’identità di qualcuno. Non puoi: tu sei tu e sarai sempre e soltanto tu, e non qualcun altro. Non COPIARE gli altri. Non vivere la loro vita, non nutrirti dei loro modi di capire ma solo di ciò che hanno capito. E naturalmente, NON FARTI MANGIARE. Non lasciare cioè che altri ti annientino, ti tolgano il tuo «sangue che palpita» e i suoi diritti. Quel tuo «sangue» è una cosa tra te e Dio, e basta. Non per nulla, nell’espressione «Dio creò l’uomo a sua immagine» la parola che viene tradotta «immagine» è in ebraico demuth, che deriva direttamente da DAM.

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Nell’ebraismo e nell’islamismo, dunque, la macellazione rituale è fatta in memoria di quell’antichissimo comandamento di libertà personale, di coraggio della propria individualità. Poi vi fu, lo sapete, un celeberrimo violatore di questo precetto: Gesù, che nell’ultima cena chiese ai discepoli di «mangiarlo»: «Questa è la mia carne, questo è il mio sangue, mangiatene e bevetene tutti». Cioè: diventate me, e io sarò felice. Fu, all’epoca, un tremendo sacrilegio, compiuto naturalmente in segreto – e se il Sinedrio l’avesse saputo, il processo a Gesù sarebbe stato assai più rapido: l’avrebbero lapidato seduta stante. Ma Gesù amava dare scandalo, e aveva sue ragioni profondissime e straordinariamente belle, per osare tanto.

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23. DEL COSIDDETTO DESTINO 03/12/08 - 08:29 Angelo di iniziati, di maghi, di terapeuti o di uomini di spettacolo, abili in quelle tre lettere: KHET, la tecnica, la fatica; HE, la spiritualità; SHIN, la superiore conoscenza... Angelo, dunque, tra i più difficili da vivere: eppure chi vi è nato deve accettarne l’incarico. È la legge naturale degli Angeli: se li segui, tutto va per il meglio e tutto nella tua vita acquista senso; se invece trascuri uno qualsiasi dei talenti che ti donano, cominciano i problemi, le malinconie, i disagi. E qui veniamo a quella che alla maggior parte delle persone sembra la principale obiezione all’Angelologia: «Ma se dal mio giorno di nascita dipende il compito che ho da svolgere in questa vita, vuol dire che non sono libero! No, no, grazie: preferisco decidere da me cosa voglio fare o non fare». Ma, in realtà, come obiezione non è gran che. Innanzitutto, perché a condizionare le nostre scelte non è certo (nella stragrande maggioranza dei casi) il GIORNO DI NASCITA, ma ben di più il luogo, il ceto, l’influsso di genitori e parenti, l’ambiente culturale, le ferite che si ricevono crescendo, le mode, i valori e gli obiettivi altrui, la pubblicità e via dicendo. Magari mi fosse concesso di obbedire soltanto al mio giorno di nascita, cioè a qualcosa che perlomeno è completamente mio! Invece, in chi dice «preferisco decidere da me», quel «me» è più che altro il frutto di un lungo e tormentoso compromesso con altri: una condizione di esilio da se stessi, in cui tanti vostri conoscenti trascorrono talvolta tutta quanta la vita. In secondo luogo, nell’antica Angelologia il giorno di nascita non viene visto come la CAUSA di quel che seguirà nella vita, ma solamente come una parte di un intero. È un po’ come nell’analisi del sangue, dell’iride o del capello: esamino una parte di te, per vedere come stai e in che direzione sta andando il tuo fisico – senza che da ciò derivi che la tua goccia di sangue, i colori del tuo iride o la struttura di un tuo capello siano la CAUSA del tuo stato di salute. Gli antichi, per individuare le direzioni della tua crescita esistenziale, decisero di analizzare allo stesso modo la composizione energetica del tuo giorno di nascita, e questo per una ragione precisa e assai interessante: per invitarti a pensare alla tua esistenza da un punto di vista più alto e più ampio di quello del tuo io consueto, oggetto di innumerevoli condizionamenti e inquietudini. Vieni via da lì (dice l’Angelologia, un po’ come fu detto ad Abramo: «Va’ verso te stesso, via dal tuo paese...») e immagina come ti vedresti e come ti giudicheresti se guardassi a tutta quanta la tua vita DAL LUOGO DOV’ERI PRIMA DI VENIR CONCEPITO. Non importa se tu, per eccesso di materialismo o per carenza di fantasia, credi che prima di venire al mondo non ci fosse ancora nulla di te: quel punto di vista pre-natale, pre-tutto, può esistere se lo vuoi, e può diventare importantissimo proprio per la scoperta della tua libertà. Lì eri libero e scegliesti proprio quel giorno, per entrare nel mondo. Perché? Non ti accontenterai di pensare che sia stato soltanto un caso. Quel giorno aveva particolari direzioni, vettori, che portano verso determinate mete – come dimostrano le vite di tanta altra gente che vi nacque. Forse dovevi fare quel tipo di esperienze e di conquiste; forse volevi farle; o forse il mondo aveva bisogno che qualcuno le facesse, e tu dicesti: «Va bene»... Cosa risulta da questo modo di pensare a te stesso? Proprio l’opposto di una limitazione della tua libertà personale. D’un tratto, ti ritrovi ad avere due Io: uno che laggiù nel mondo di tutti ha una

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missione da compiere (e, nota bene, una volta che abbia cominciato a occuparsene, è per il resto totalmente libero di fare quel che gli pare), e un altro Io più grande, che ti vede dall’alto. Vi ricordate la puntata su Israele, YSH-R-’eL? YSH è il tuo io piccolo, al lavoro; ’eL è l’Aldilà del mondo visibile; e la R è quel tuo Io più grande, che guarda, conversando intanto con il suo Angelo.

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24. LE DOPPIE 08/12/08 - 10:36 L’Angelo di questi giorni e il successivo hanno, nei loro Nomi, raddoppiamenti di lettere: qui sono due MEM e, francamente, non è un buon segno. Le doppie non lo sono mai, secondo la tradizione: indicano un ECCESSO dell’energia simboleggiata, e gli eccessi procurano sempre problemi. Si pensi, per esempio, a Babele, in ebraico BBL, il nome cioè che fu dato alla famosa torre DOPO il

crollo (Genesi 11,9). Il geroglifico BL indicava «una dimora (B) che cresce (L)»: bello di per sé, dà un’idea di abbondanza, di sviluppo, di grande futuro. Ma il raddoppiamento della B servì a indicare appunto che qualcosa lì andò storto: le proporzioni della dimora non erano giuste, vi era eccesso, e la sua sorte fu segnata. Quanto alla doppia M dell’Angelo ‘Imami-yah, conviene che i suoi protetti si rimbocchino le maniche, come spiegato nel ritratto: avranno a che fare con recinti alti e spessi il doppio di quelli del

resto dell’umanità. Ma che ne sarebbe dell’umanità stessa, se qualcuno non avesse il coraggio di vedere, denunciare, affrontare quei recinti? In più, nel geroglifico MEM entra anche l’idea di «comprendere» (che deriva dal latino comprehendere, «accerchiare»); così i protetti di quest’Angelo hanno anche un’altra possibilità, per superare i loro molti recinti: quella di comprendere la mentalità e gli scopi degli oppressori, di coloro cioè che erigono mura intorno alla gente. E, per i più svegli, si profila qui anche la prospettiva di arrivare a «comprendere il comprendere» – di imparare cioè a capire come l’uomo capisca, come funzioni la mente umana. Avete letto, nel ritratto, che in questi giorni è nato proprio Osho, guardacaso. Interpretato così, questo Angelo difficilissimo diventa uno dei più soccorrevoli – uno dei più utili, cioè – a cui fare appello, quando abbiamo la fortuna e il coraggio di accorgerci che nella nostra vita, intorno a noi o dentro di noi, c’è qualche potente MEM che non ci vuol lasciare andare, che non vuol finire di partorirci.

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25. N COME NOE' 12/12/08 - 08:50

n. In ebraico: Nun. È il geroglifico delle cose prodotte, create, e del successo nel produrle. Lo si può definire anche il geroglifico di ciò che ORMAI si è realizzato, di ciò che hai GIA’ davanti a te, e che dunque non parla più alla tua voglia di scoprire, al tuo

bisogno di sfide, alle energie della tua crescita. E infatti è la lettera che si incontra più raramente nei nomi dei protagonisti della Bibbia, e mai nei nomi di Dio. Intendiamoci: non è che sia male poter contare su qualcosa di solido e comodo (noakh), compiacersi dei propri beni (nekhes), concedersi un po’ di tranquillità (nakhath). Ma in chiunque abbia intrapreso una ricerca spirituale tutto ciò può facilmente generare un pochino d’inquietudine, e anche di noia. I cercatori di verità sono infatti sempre in cammino (da Abramo a Gesù) e hanno, sì, l’ideale di una Terra Promessa, che in ebraico si chiama Canaan (KN‘N), ma quel che a loro piace e importa più di tutto è il viaggio che occorre compiere per raggiungerla. «Le volpi hanno tane, ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo»... Pensate per esempio a Mosè, che dopo aver viaggiato per più di quarant’anni per raggiungere Canaan, decise alla fine di non entrarci e se ne andò altrove – nessuno sa dove – mentre il suo popolo giungeva alla meta. Pensate a Siddharta. E chi è l’unico patriarca con la Nun? Nientemeno che Noè. In ebraico è Noakh (NKH) e significa proprio «la tranquillità», «il riposo». Bel riposo – direte voi, – nel bel mezzo di cataclisma! Intorno a lui il mondo intero veniva dissolto dalla furia delle acque, l’arca veniva trascinata di qua e di là dalle correnti, in uno sconfinato orizzonte vuoto, e lui era Noakh, e si riposava in se stesso? Eh sì, proprio quello era il senso misterioso del suo nome. Il sapiente sa conservare in se stesso un luogo di calma, una dimensione salda, anche in mezzo alla tempesta. Vi ricordate quell’episodio evangelico in cui Gesù «dormiva su un cuscino», a poppa di una barca sbatacchiata dalla tempesta? (Marco 4,38). Quella era una citazione della storia di Noè, oltre che una bella e strana immagine del modo in cui Gesù si comportò durante la sua difficilissima vita pubblica. Ecco un buon modo spirituale di cercare, coltivare, apprezzare la Nun.

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26. T COME ARCA 17/12/08 - 10:39

th. In ebraico: Thaw. Si pronunciava come il th inglese; oggi, nell’uso corrente, è una semplice t. È il geroglifico del compi-mento, della perfezione, di ciò che è divenuto appieno se stesso e può perciò comunicarsi all’esterno; della reciprocità, anche, della simpatia. Qualche mese fa, nel blog della scorsa stagione, avevamo visto che in ebraico

«arca» è thebah, e che in realtà significava non un tipo di natante bensì «la parola». Noè si costruì un suo linguaggio – solo suo, e fatto soltanto di parole utili, fertili, sensate – e ciò gli permise e permette ancor oggi a chiunque di affrontare (e di produrre anche) grandi cambiamenti senza lasciarsene né sgomentare né travolgere. Noè imparò dunque a ridefinire il suo mondo, a coglierne appieno il senso (T), e guardacaso il nome ebraico della T, Thaw, deriva da Thot, il Dio egizio della scrittura e della parola. Ridefinendo il mondo, Noè vi creò un suo spazio, una sua «dimora» (questo è il significato della B, come vedremo alla prossima puntata), ma questa dimora era troppo diversa dal mondo stesso, perché potesse trovarvi posto: in tal modo, la costruzione di quel suo linguaggio-cosmo-dimora produsse il superamento, l’annientamento del mondo di cui prima d’allora Noè era riuscito ad accontentarsi, e gli aprì la via verso il nuovo, ancora invisibile (H). Il geroglifico T ha questo genere di poteri. È anche l’iniziale della parola TORAH, letteralmente «legge, sistema, teoria», con la quale si indicano i primi cinque libri della Bibbia, il Pentateuco. E in geroglifico Torah (TWRH) significa: «la TH conduce oltre gli ostacoli (W) verso l’invisibile (H)», di nuovo. Tutto sta nel come si vuole intendere questo condurre: secondo moltissimi, vuol dire che in quel libro c’è la verità, e che perciò lo si deve onorare come un oggetto sacro. Secondo altri, me incluso, significa che nella Bibbia si parla di una via che porta molto lontano, e che lì si impara ad apprezzare questo genere di vie, che portano sempre un po’ più in là (TH) di quel che altri ti hanno insegnato, e di quel che avevi capito fino a qualche minuto fa.

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27. BETH 22/12/08 - 10:01

b. In ebraico: Beth. Anticamente si pronunciava b, e oggi v. È il geroglifico dell’interiorità, di uno spazio protetto e attivo, in buon rapporto con l’esterno: e dunque della casa, della famiglia, dell’interno del corpo, dell’istituzione. Beth è anche il senso di giustizia, inteso come consapevolezza dell’opportuna collocazione dell’individuo entro la società a cui appartiene. B come Betlemme, Beyt-lekhem, «la Casa del Pane». B come ben-’adam,

«Figlio dell’uomo», espressione che Gesù usa spesso nei Vangeli e sulla quale i teologi disputavano già da prima d’allora, perché compariva anche nei discorsi divini ai profeti: per esempio, allora uno spirito entrò in me, mi fece alzare in piedi e io ascoltai colui che mi parlava. Mi disse: «Figlio dell’uomo, io ti mando agli Israeliti...» Ezechiele 2,2 Esaminiamo questo ben-’adam, credo sia importante. I più ritengono che sia soltanto un modo di dire tradizionale, ma mi sono abituato da un pezzo a diffidare di chi afferma che qualcosa nella Bibbia sia un «nient’altro che...». ’Adam, sapete già cosa significa in realtà: l’orizzonte della nostra mente cosciente. E ben (in ebraico BN) in geroglifico è «ciò che una famiglia (B) fa nascere (N)», il nuovo che in essa si crea. E, come vedete, il gioco è già fatto, il senso è chiaro: gli uomini, in generale, sono ’adam, il livello evolutivo da essi raggiunto è il loro ’adam, il loro modo di pensare, parlare, capire è il loro ’adam, e la maggior parte di essi se ne accontenta. Ma può avvenire che alcuni vedano questo ’adam come una casa in cui sono nati, e in cui essi rappresentano appunto la novità, la N dalla quale partire verso altri orizzonti. E questi sono nella Bibbia i cosiddetti «profeti»: coloro che non sono soltanto l’’adam, ma da esso si evolvono, vanno avanti e vedono le cose del mondo da un punto di vista diverso, ulteriore. La maggioranza dei teologi è convinta che Gesù usasse l’espressione «Figlio dell’uomo» riferendola esclusivamente a se stesso – e così anche l’altra espressione che egli usa spesso, «Figlio di Dio». Ma il Vangelo li smentisce. Avete mai letto passi come questi: Sta scritto nei profeti: Tutti saranno istruiti direttamente da Dio. (Giovanni 6,45) cioè tutti in futuro saranno beni-’adam, protagonisti di un più alto stadio evolutivo; e a quelli che lo hanno accettato, ha dato il potere di diventare Figli di Dio. (Giovanni 1,12). Da cosa dipende tale possibilità? Da te. Credo sia questo il senso principale sia della Festa sia dell’Angelo di questi giorni: MBH, «la MEM e la BETH si aprono verso l’invisibile, verso il futuro». Buon Natale, e auguro a tutti che sia il vostro Natale personalissimo, una volta per tutte.

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28. PHE 27/12/08 - 08:39

ph . In ebraico: Peh. Viene pronunciato anche p. È il geroglifico della sensualità, della bellezza fisica; e della bocca, della voce, del volto, dell’espressione; della parola, anche, e della persuasione. È la delicatissima P di «fiore» (perakh), di «farfalla» (parpar), di «viso» (panim). Nell’Angelo di oggi, come avete letto, è anche immagine di una

ipersensibilità a tutto ciò che nella realtà vi è di brutto, di infetto – e che nel Nome angelico è raffigurato dalla seconda lettera, la Waw. Ma non si può dire, certamente, che solo i nati dal 27 al 31 dicembre possano sentirsi delusi dall’abbondante bruttezza del nostro mondo: e infatti l’Angelologia non afferma affatto questo. Ai «protetti» di Phuwiy’el tocca soltanto il compito di comprendere, sviluppare, far fruttare con particolare impegno e determinazione quella tensione tra la Phe e la Waw, ma il loro Angelo agisce per tutti e in tutti – tanto quanto gli altri suoi settantuno Colleghi. Ho già accennato a ciò in una puntata, mesi fa, ma credo sia utile tornare sul tema, e approfondirlo un pochino. Avrete certamente sentito dire e magari letto l’esortazione «ama il prossimo tuo come stesso». Non date retta a chi ve la spiega come un’ingiunzione ad amare tutti: figurarsi se si può amare a comando! Provate invece a considerarla sul serio, e per ciò che dice davvero. Tu ami e odi il prossimo così come ami e odi te stesso: è così, sempre, proprio perché il tuo prossimo (cioè chi ti trovi accanto, chi vedi per strada, in mezzo all’altra gente) è veramente te stesso. È un aspetto di te che ancora non hai ben capito, e che perciò ti colpisce tanto quando lo vedi in un altro. E quell’altra famosa frase dei Vangeli: «ama il tuo nemico»? Vale lo stesso anche lì: il tuo nemico si rivelerà, puntualissimamente, il tuo amico migliore e più utile, proprio perché ciò che vedi e detesti in lui è un aspetto di te che oggi ti occorre urgentemente riconoscere. Perciò il tuo nemico ha litigato con te: ti esorta (senza saperlo, e dunque disinteressatamente) ad aprire gli occhi su te stesso. E lo strano consiglio «se uno ti colpisce su una guancia, tu porgi l’altra»? Non mettetelo in pratica alla lettera: va capito, e non obbedito ottusamente. Qui non è questione di guance. Vuol dire invece: se uno colpisce un aspetto, una Phe, un volto che TU RITIENI DI AVERE, E IN CUI ORA TI IDENTIFICHI, è perché occorre che tu scopra il tuo altro volto, che da troppo tempo tenevi nascosto a te stesso. Ebbene, i nostri settantadue Angeli sono appunto i tuoi settantadue volti: e – spiega l’Angelologia – se ti riconosci in ciascuno di essi, e se capisci, dalle facoltà di ciascun Angelo, come usare tutti i tuoi volti al meglio, hai una sorte invidiabilissima. Se invece in qualcuno di essi non ti vedi, vuol dire che corri il rischio che prima o poi la realtà o qualche provvidenziale nemico ti diano uno schiaffo proprio lì.

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29. L'ANGELO DELLE VITTORIE 01/01/09 - 07:46 Ogni Angelo è un aspetto di noi, un settore delle nostre potenzialità, e va conosciuto e bisogna imparare a farlo esistere, per evitare che qualche nostra potenzialità non usata ci provochi disagi... E

ciò vale anche per l’Angelo del nostro capodanno, Nemamiyah. Se avete letto il suo ritratto, è comprensibile che vi sorga qualche dubbio: se Nemamiyah rappresenta un aspetto di voi, significa che sia voi sia tutti i vostri conoscenti hanno quella straordinaria energia, quel coraggio da condottieri romantici, quella mente da Tolkien o da Asimov, quella incredibile versatilità, quella curiosità che li fa rapidamente diventare esperti di qualsiasi campo dello scibile, quella lucidità di pensiero e infine quel gusto per le sfide, che permette loro di superare un orizzonte dopo l’altro (la doppia Mem) senza stancarsi mai!? E, d’altra parte, ne consegue anche che se voi e i vostri conoscenti non imparate ad

adoperare tutte queste vostre doti eccezionali, avrete altrettanti punti deboli e profondi motivi di rimpianto e di insoddisfazione, per aver «seppellito i talenti» come il servo pavido di cui narra la famosa parabola. Possibile? Secondo me, sì. Io penso che tutte le nostre sensazioni di amarezza, angoscia, inquietudine, e anche tutti i nostri disturbi psicologici, piccoli e grandi, abbiano alla loro origine qualche grande talento inespresso – e, naturalmente, anche la mancanza di CORAGGIO che ci ha spinti a non esprimerlo. Soffriamo tutti, insomma, di un insufficiente rapporto con Nemamiyah. E se ammiriamo gli individui che invece hanno saputo brillare, se ne facciamo i nostri eroi, i nostri idoli, e sentiamo di amarli di quello strano amore che si chiama popolarità, è precisamente perché – anche qui – stiamo sempre amando il prossimo come noi stessi, e amiamo in loro certi tratti che in realtà avvertiamo anche in noi, anche se non oseremmo mai confessarlo. (Per la stessa ragione, certo, capita di provare per persone di successo un odio non meno strano di quell’amore: e quell’odio altro non è che amore travisato). Ma – direte voi – chi proprio non ha coraggio, chi è stato troppo ferito, oppresso, deluso dalla gente e dalla sorte, che può farci? Secondo me, può fare moltissimo, a partire da qualsiasi istante della sua vita (e i primi giorni dell’anno fanno proprio al caso). Ha davanti a sé molte Mem? No, non le hai mai davanti a sé. Le ha alle spalle: sono i coni d’ombra proiettati dalle sue sconfitte passate. E non appena se ne accorga, ricorra agli Arcangeli. Ve ne parlavo qualche puntata fa: gli Arcangeli (che nelle Gerarchie dei 72 vanno dal 1 gennaio al 9 febbraio) sono distruttori inesorabili del passato. Lo polverizzano e se lo portano via come un turbine di vento. Dovete solo aiutarli un pochino, e nelle prossime puntate vi darei volentieri qualche consiglio al riguardo.

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30. COME SANTA LUCIA 06/01/09 - 08:02 Yeyale’el, che regna in questi giorni, è un po’ la Santa Lucia dell’Angelologia. Ha e dà il dono del

vedere chiaro e lontano: un vero toccasana, per chi abbia cominciato a liberarsi del passato. A proposito di Santa Lucia, nella tradizione popolare catalana c’è una Madonna che le somiglia molto: la cosiddetta Madonna dai Begli Occhi, venerata in Catalogna, a Gerona – che, tra l’altro, fu in passato una delle capitali della Qabbalah, ed è la patria dell’amato Bernad-Thermes, in arte Haziel. Si chiama Madonna dai Begli Occhi perché pare conceda la grazia di vedere il mondo con ottimismo: di apprezzare molto ciò che è bello, e di non dar peso al brutto. Fate perciò una puntatina alla cattedrale di Gerona, se vi capita. Ne vale la pena. Tornando a Yeyale’el, il suo potere visivo ha un significato molto speciale, direttamente connesso sia con la liberazione dal peso del passato, sia anche

con la vostra personale possibilità di incontrare veramente un Arcangelo. Ora provo a dirvelo. Bisogna innanzitutto sapere che ogni Coro angelico ha, nella tradizione, un suo ben preciso colore delle ali. I Principati, per esempio, hanno il colore rosso. I Serafini, il violetto. I Troni, il grigio-mercurio. Gli Arcangeli hanno invece ali multicolori – e così vengono appunto raffigurati, spesso, nella pittura sacra. Multicolori sta a significare, in realtà, di TUTTI i colori, e indica un modo di percepire la realtà assai diverso da quello a cui ricorriamo di solito. Di solito, nella realtà noi guardiamo e vediamo soprattutto i contorni delle cose. Spigoli, angoli, limiti. Ma i contorni delle cose sono il PASSATO delle cose stesse: sono, appunto, i limiti entro cui il passato le ha costrette. Un albero, dopo varie traversie del suo passato, è diventato una sedia, o un tavolo, o magari un burattino, perché così l’hanno tagliato. Allo stesso modo anche voi siete diventati i tali o i tal’altri, perché così ha voluto il vostro passato. Ora, invece, proviamo a guardare il mondo in modo arcangelico: focalizzando l’attenzione non sui contorni, ma solo sui colori. E non su un colore soltanto, ma su tutti. Proviamo a vedere nel mondo i colori e basta. Uno, due, tre, via! * È difficile? Sì, è vero. Dà una leggera vertigine e subito si torna a guardare i contorni. È una grazia troppo intensa, concessa da quella Madonna di Gerona: è tutto TROPPO BELLO, se si guardano i colori soltanto. Non c’è più niente di brutto. E tutto diventa terribilmente, vertiginosamente ADESSO, qui e ora: sia le cose, sia le persone, sia anche tu. Ecco, quella vertigine è precisamente la soglia dalla quale un Arcangelo può cominciare a parlarvi (non con le parole, s’intende: anche le parole sono contorni. Gli Esseri celesti parlano solo con i contenuti, con i colori dei significati). Chi sa un po’ di neurologia, avrà certamente intuito che in questo esperimento dei colori si manovra l’equilibrio tra emisfero sinistro (che vede appunto i contorni) ed emisfero destro (che vede i contenuti). Ed è proprio così. È lo stesso esperimento che fece Gesù con i discepoli che pescavano poco, quando disse «Buttate le reti A DESTRA della barca e troverete» (Giovanni 21,6). Fecero infatti una pesca notevole, aprendo gli occhi a destra. Riprovate, quando avrete un problema, un dubbio, e provate a reggere alla vertigine.

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31.UN ANGELO ALCHIMISTA 11/01/09 - 10:23

Harakhe’el, H-R-Kh. Il Nome indica chiaramente che quest’Angelo ha e dà il talento di incanalare, di far fluire, di trasformare (R) energie dei mondi superiori e interiori (H) in modo da farle fruttare nell’esistenza quotidiana (Kh). È ciò che facevano appunto gli alchimisti, quando applicavano la loro sapienza nel trasformare il piombo in oro. Se nella scorsa stagione avete dato un’occhiata al blog dell’amico Pascal Patruno, saprete perfettamente che i metalli, nell’alchimia, erano soprattutto simboli di nostre esperienze di vita: e che il «piombo» è ciò che in te pesa, sporca, avvelena e produce soltanto inerzia, mentre l’«oro» è il senso rivelato, il trionfo interiore, la conoscenza, l’irradiare della tua personalità. La trasformazione dell’uno nell’altro richiede appunto l’intervento della H, dell’invisibile o, come dicevano gli alchimisti, del «segreto». Ma anche la parola «segreto» era un simbolo, e

indicava non un divieto di rivelare certe conoscenze teoriche od operative, bensì una particolare dimensione psichica e spirituale, nella quale tutto procede molto più agilmente e velocemente di quanto non avvenga nella mente razionale. Per trasformare il piombo del tuo passato in oro, e adoperare quest’oro nel presente, occorre che tu entri in quella «dimensione H», e ciò richiede due cose. Innanzitutto, bisogna che tu diventi davvero la R (vi ricordate di IsRaele?). Bisogna cioè che tu la smetta, una buona volta, di identificarti con il tuo passato o con il tuo presente. Tu non sei né i tuoi errori passati, né ciò che oggi sai di te. Tu sei una porta e una via, sei libero, pronto a trasformarti in ciò che ancora non puoi sapere. In secondo luogo, bisogna che Qualcuno ti aiuti. Chiamalo Angelo, chiamalo Dio, o Spirito Guida. Non sai chi è, sai solo che è in te, da qualche parte un poco più in alto di quella sensazione di libertà che abbiamo chiamato R. E questo Qualcuno comincia ad agire esattamente nel momento in cui ti senti così libero, e smette quando torni a identificarti in ciò che sai già. È, questo, un modo di operare antichissimo (l’Alchimia è di origine egizia) e infinitamente affascinante; non per nulla C.G.Jung scrisse tanto di Alchimia e di simboli della trasformazione: aveva visto chiaramente che lo schema operativo della nuova psicologia ricalcava quei due punti. Sul divano dell’analista tu sei libero, e l’analista (che lo sappia o no) sta facendo del suo meglio per RAPPRESENTARE quel Qualcuno all’opera. Un tempo, invece che al divano, si ricorreva agli Arcangeli e alla preghiera: a volte funzionava e a volte no, proprio come l’analisi; ma quando andava bene, i risultati si facevano aspettare molto meno. Ora, come si «contatta» un Arcangelo l’abbiamo visto nella puntata precedente. Durante il contatto, provate a chiedere una trasformazione harakheliana con quella LIBERTÀ e quella FIDUCIA che vi ho appena detto. Nelle Scritture si garantisce: «Chiedete e vi sarà dato». Possibile che un Figlio di Dio raccontasse frottole su un punto tanto delicato, e tanto facilmente verificabile? Su, forza.

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32. TSADE 16/01/09 - 15:40

ts. In ebraico: Tsade. La z sorda di «zio». È il geroglifico del cambiamento: del punto in cui qualcosa (una vicenda, un periodo, una vita, una dimensione) si risolve, finisce, e comincia ad assumere un nuovo significato, o nuove direzioni. Come una strada che

giunge a un bivio. Nel ritratto dell’Angelo di questi giorni si parla della Tsade come immagine dell’istmo, e poi della meravigliosa energia dell’infanzia. Riguardo al potere degli Arcangeli di distruggere il passato, aggiungo qui un riferimento alle Scritture: Isacco, Yitskhaq, deriva dal verbo «ridere», in ebraico tsakhaq. E ciò perché Isacco fu irresistibilmente connesso, da sempre, con le risate. Suo padre Abramo rise di nascosto, quando Dio (’Elohim) gli annunciò che gli sarebbe nato un figlio: Abramo infatti aveva allora novantanove anni e sua moglie Sara ne aveva novanta. «Stavolta ’Elohim l’ha proprio sparata grossa» pensò suppergiù il vecchio, «si è mai sentita una cosa del genere?» (cfr. Genesi 17,17). ’Elohim non ci fece caso. Di lì a poco venne anche il Signore (YHWH) a ripetergli quell’annuncio: gli apparve sotto forma di tre individui, decisamente arcangelici, e mentre questi tre discorrevano con Abramo, Sara ascoltò di nascosto e, questa volta, fu lei a ridere sentendo parlare di sua una gravidanza imminente. YHWH, più nervoso di ’Elohim, si risentì un poco. Il passo è bellissimo: YHWH disse ad Abramo: «Perché Sara ride? C’è forse qualcosa di impossibile a YHWH?..» Allora Sara negò: «Non ho riso!» perché aveva un po’ paura. Ma Lui disse: «Sì, ha riso eccome». Genesi 18,13 YHWH tenne il broncio per un po’, ma poi lasciò correre. E un anno dopo, Sara scese quel nome, Yitskhaq («Colui che fa apparire il riso») proprio in memoria di quel momento: perché Sara disse: «’Elohim mi ha proprio dato di che ridere!» Genesi 21,6 La vicenda è tenera e buffa, e contiene un altro segreto fondamentale per non lasciarsi bloccare dal proprio passato: riuscire a riderne, come Abramo e Sara seppero ridere dei loro lunghissimi anni di sterilità. E voi certamente sapete perché si ride, e qual è la profonda natura dell’impulso comico: è lo STUPORE. Si ride di ciò che ti sorprende. E ciò che ti sorprende è sempre, infallibilmente l’ACCORGERTI di qualcosa che prima non sapevi, non credevi, non ritenevi possibile. Dovete sapere che moltissimi rimangono perennemente bloccati dal loro passato, proprio perché hanno paura di accorgersi di essere diversi da quel che si erano convinti di essere. Hanno paura, perché pensano che sia un’emozione troppo forte. Non sanno, nessuno gliel’ha detto, che quell’emozione è molto forte, sì, ma produce il riso – e il riso è bellissimo. È una manifestazione di libertà (chi ride di una cosa, ride di quella cosa, e al contempo di se stesso, e degli altri, e di tutto: è libero, in quel riso), e ora voi lo sapete, a differenza di quei moltissimi.

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33. LA SCOPERTA DELLE PROPRIE LEGGI 20/01/09 - 15:00 L’Angelo di questi giorni è scritto WMB-’eL, e il geroglifico WM (pronuncia: um, o anche om) significa «conformità»: «il legarsi (W) a un criterio d’ordine generale (M)». Vi si aggiunge una B, il geroglifico dell’interiorità e della casa: il che significa che quel criterio d’ordine è dentro di te, e serve a rendere consolidare il tuo modo di vivere. La tradizione attribuisce infatti anche questo compito agli Arcangeli: contribuire a far rispettare le leggi divine, intervenire nel mondo in modo che – per quanto gli uomini possano allontanarsi da ciò che è giusto – le loro vicende dimostrino sempre, alla fine, che il disprezzo della Legge produce guai. Guai fisici, o esistenziali, o psichici, o sociali, o ambientali, e via dicendo... E appunto perciò è risaputo che l’indole degli Arcangeli è severa, facilmente irritabile; si pensi a Gabriele, che fece diventare muto per nove mesi il sacerdote Zaccaria, solo perché aveva detto una frase poco rispettosa (Luca 1,20). Il problema è: quale Legge? Dove è scritta? Un ebreo risponderebbe: nella Bibbia, nei 613 comandamenti dati da Mosè! Un arabo direbbe: nel Corano! E arabi ed ebrei sanno che quella loro Legge è scritta sia sul Libro, sia nel cuore di ogni uomo. Un cristiano avrebbe qualche esitazione, un po’ perché è raro che conosca i suoi Libri Sacri, e un po’ perché se ripensa ai famosi dieci comandamenti (che sarebbero poi i primi dieci di quei 613) si accorge inevitabilmente di non averli

rispettati gran che. Non pronunciare il nome di Dio invano; Non desiderare la roba d’altri; Non uccidere (senza alcun comma che permetta l’uccisione di animali)... Per non parlare poi di quel che i Vangeli dicono di fare o non fare: Non giurare fedeltà a nessuno; non chiamare nessuno sulla terra «padre»; non fare come gli ipocriti che vanno a pregare nei templi, ma prega da solo e senza che nessuno lo sappia; non preoccuparti del domani... E anche Gesù garantisce che questa è Legge, scritta nel cuore di ogni uomo. «Sì, ma» obbietterebbe qualsiasi cristiano, «gli altri fanno tutti queste cose, e io devo smettere, io solo? E devo magari insegnare anche ai miei figli a smettere, il che sicuramente

causerebbe loro problemi enormi?» (Tra i comandamenti di Gesù c’è anche «Non fatevi chiamare sacerdoti, non fatevi chiamare maestri», Matteo 23,8.10, e come la metteremmo con la scuola e il catechismo?). Ammetterete che non è un problema di poco conto. E altro non è che un nuovo aspetto di quella possibilità di staccarsi dal passato, della quale gli Arcangeli sono i portatori. Gli altri a cui ci si adegua, e ai quali si obbedisce più che alle Leggi della propria religione, sono anch’essi passato. Ci si adegua a loro perché in passato si è sempre fatto così: così facevano i genitori, i nonni, i bisnonni. Già, ma qui la vostra eventuale voglia di essere liberi viene posta davanti a una scelta dura: puoi veramente togliere dalla tua vita tutti i ganci, i difetti, i traumi del tuo passato, solo se hai il coraggio di cercare, chiarire e seguire la tua Legge, quella che senti nel cuore, e non quella a cui sei stato addestrato. Se no, il Nome di Umabe’el può anche assumere un altro significato: WMB, «ciò che ti lega (W) è il tuo lasciarti avvolgere (M) dalle regole della tua casa e della tua patria (B)». E la punizione, spesso, è davvero quella di restare muti, come il sacerdote Zaccaria: muti dentro, con il cuore messo a tacere, e magari verbosi fuori, ma senza che le tue parole dicano mai veramente qualcosa di tuo, di nuovo, di vero.

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34. I CONFINI DELLA LIBERTÀ 25/01/09 - 11:26 Via, lontano! Yehehe’el, YHH-’EL: «i miei occhi (Y) si aprono su mondi nuovi, su perenni scoperte (HH)». Se il mutismo di cui parlavamo nella scorsa puntata è punizione frequentissima per chi rimane attaccato al passato, ciò che annunciano invece Yehehe’el e i due Arcangeli seguenti è la ricompensa promessa a chi prova a diventare libero. Prospettive sconosciute, di cui oggi puoi sapere soltanto che non ne sai nulla: OGGI non ne sai nulla. E non perché qualche divieto te lo impedisca, ma perché così come sei oggi non lo potresti sapere comunque, non le vedresti, nemmeno se le avessi davanti agli occhi. Sei ancora troppo opaco, troppo al di qua di ciò che sarai domani: il che è del tutto normale, dato che la tua anima sta crescendo a considerevole velocità. Domani ne vedrai un po’ di più, esplorerai una prima H: e magari sarà proprio nelle persone che già conosci, che già ami, nei luoghi in cui vivi, nelle cose di tutti i giorni... ma era una bellezza, una radianza, un senso che fino a ieri non avevi notato mai. E più in là, anche domani, avrai un’altra H: saprai per certo, cioè, che il giorno seguente ti attenderanno altre sorprese luminose, altro stupore. Sempre che, naturalmente, non ti spaventino quelle innumerevoli H nel tuo futuro. Una certa banalità popolare raccomanda di non «lasciare la strada vecchia per la nuova» appunto perché non si sa cosa ti aspetti più oltre. È la ragione principale per cui i libri di storia sono così noiosi: sempre gli stessi errori dei popoli, sempre gli stessi disastri e le stesse servitù, proprio per la paura dell’ignoto. E anche il Nome dell’Arcangelo di oggi può rivelarsi, allora, una punizione: «Io guardo (Y) e non vedo nulla (H), nulla di nulla (HH)» perché ho paura di non vedere più quel che vedevo prima. Conoscete qualcuno che dice o pensa così? La stessa banalità popolare lo conforta: «Chi si contenta gode» - ma non conosco nessuna attività umana, pubblica o privata (soprattutto privata) in cui questo proverbio si dimostri giusto.

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35. ALTRI RICCHI 30/01/09 - 09:46 Altra ricompensa promessa a chi prova a essere libero: un’irrefrenabile vitalità e abbondanza di talenti, e in primissimo luogo il dono di saper accumulare e usare il denaro. Il generoso ‘Anawe’el dona infatti il coraggio di togliere il tabù sulla ricchezza: tabù terribile e perfido, che assume tante forme una più insidiosa dell’altra – dalla ripugnanza che i dilettanti di spiritualità provano nei riguardi del denaro, alle forme ossessive di accumulazione (quell’amore per i soldi che ti fa perdere la gioia, la serenità e alla fine anche l’anima), fino al famoso panico da capitale, che spinge tanta gente a sprecare il più in fretta possibile il denaro che ha, per potersi esaurire poi nello sforzo di guadagnarne ancora. Sono tutte espressioni di disarmonia e, anche, di viltà. Non per nulla, nei Vangeli, si narra che fosse proprio Giuda a tenere la cassa, quando Gesù e gli apostoli giravano predicando. E vi è un episodio molto interessante, riguardo a quella cassa: nel Vangelo di Giovanni (cap.12) si trova una versione non ben conservata, mutila e contraddittoria, dell’incontro di Gesù con la Maddalena (il Vangelo di Giovanni venne crudelmente tagliato e manipolato ai tempi di Tertulliano). La Maddalena, come si sa, era molto ricca, e una sera, con grande audacia, carezzò e baciò in pubblico i piedi di Gesù, ungendoli di profumo costoso.

Giuda obiettò che quell’unguento valeva almeno trecento denari e che sarebbe stato meglio venderlo e dare il ricavato ai poveri, invece di adoperarlo a quel modo. Potete facilmente immaginare, da questa obiezione, che tipo fosse Giuda: severo, rigoroso, imbronciato, scarso di sorrisi, acido anche, ed evidentemente molto deciso a far colpo su Gesù – con conseguente gelosia per quella donna che gli si avvicinava troppo. Gesù rispose una frase che a molti suona strana: «Lasciatela fare... I poveri li avete sempre con voi. Me, non mi avete sempre». E il significato di questa frase è ancor più sorprendente se si considera che (ne abbiamo tanto parlato nella scorsa stagione) tutte le volte che Gesù nei Vangeli dice «io», sta parlando del tuo «io» più grande. Dunque voleva dire che il tuo «io» più grande va trattato bene? Che se ami il prossimo come te stesso,

sia tu sia il tuo prossimo avrete ottimo vantaggio dal fatto che tu impari a spendere per te stesso? Non vedo altra interpretazione possibile. E d’altra parte Gesù era molto rimproverato, ai suoi tempi, perché spendeva troppo in feste: Gli dicevano: «Perché i discepoli di Giovanni digiunano spesso, e così pure quelli dei farisei, mentre i tuoi mangiano e bevono tanto?» Gesù rispose: «Potete far digiunare gli amici dello sposo, quando lo sposo è con loro?» Luca 5,33 Gesù era dunque assertore d’un atteggiamento verso la ricchezza, che oggi molti chiamerebbero «spreco» e altri, più saggiamente, «abbondanza». I suoi «miracoli» alimentari sono celeberrimi: Cana, le moltiplicazioni dei pani. Che straordinaria abbondanza e generosità! La sua esortazione a fidarsi della provvidenza, come i gigli e gli uccelli, lascia sgomenti oggi come duemila anni fa. Non aveva il tabù del denaro, e io credo fosse proprio perché poteva parlare del suo «io» come se fosse il tuo. Non aveva – e insegnava a non avere – quella che Carlos Castaneda chiama «importanza

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personale». Non pensava a se stesso come a forziere, ma come a una porta aperta. Chi si è liberato dal passato è precisamente così (e appunto perciò Gesù aveva troncato tanto nettamente con la famiglia): trova, ottiene, dà, confida, chiede, riceve, trova, ottiene, dà e via dicendo. E ciò vale, naturalmente, per tutte le forme di ricchezza – anche, ad esempio, per la ricchezza di sentimenti, di idee, di creatività, di conoscenza. Di certo si vive e si fa vivere molto meglio, così. Ma per arrivarci, sapete già qual è la condizione: bisogna staccarsi dal passato, da ciò che troppe volte hai visto fare a troppi altri. P.S. Un consiglio di lettura, riguardo al principio dello spreco: Il limite dell’utile, di Georges Bataille, ed. Adelphi. Ai «protetti» di ‘Anawe’el piacerà di sicuro.

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36. L’ARCHETIPO DELLA POLITICA 04/02/09 - 10:00 Ed ecco in questi giorni l’ultimo degli Arcangeli, Mekhiy’el: l’ultimo, naturalmente, in senso evolutivo, la tappa finale di quei modi di liberarsi dal passato, che avevamo cominciato a esaminare a Capodanno. Conduce verso la Gerarchia dei cosiddetti Angeli Lunari (dal 9 febbraio al 21 marzo, secondo le corrette «mappe» zodiacali), e compito generale degli Angeli Lunari sarà, come vedremo, favorire la concretizzazione delle energie e dei progetti celesti nel mondo degli uomini. Vedremo anche cosa ciò propriamente significhi, dal punto di vista della psicologia antica: ma Mekhiy’el può già servirci da introduzione, da annunciatore. Come spiega il ritratto, è l’Angelo della politica: i suoi «protetti» hanno il dono di poter volare alti al cospetto dei contemporanei, indicando direzioni, calcolando e spiegando i mezzi per percorrerle. Si riconosce bene, in Mekhiy’el, quella che gli Egizi chiamavano la HEKA e che i dizionari traducono «magia»: ma era qualcosa di più, era il potere di togliere ogni distanza tra il dire e il far avvenire qualcosa. Era un dono degli iniziati, che nei Libri delle Piramidi, nel Libro egiziano dei morti, si esprime nella frase «io faccio sempre quello che voglio», attribuita a colui che, appunto, grazie all’iniziazione si è liberato dal suo passato e ha trasformato tutto il suo «piombo» personale in «oro». È un’onnipotenza tutta speciale: pensateci! Quanti dei vostri conoscenti sanno ciò che vogliono davvero? E intendo dire: ciò che sono loro stessi a volere, e non il loro passato o gli altri. E quanti hanno il coraggio di focalizzare ciò che vogliono, al punto da poterlo dire, anche soltanto a se stessi, senza nessun dubbio? E soprattutto: quanti sanno che, in realtà, TUTTI FANNO e FANNO AVVENIRE SEMPRE QUELLO CHE VOGLIONO, ma non hanno il coraggio di accorgersene, di ammetterlo? Di certo, tutti quelli che sono ancora immersi a tal punto nel loro passato, da dire «io» a sproposito. Ebbene, il «protetto» di Mekhiy’el è chi si trova già oltre: conosce il potere della propria attenzione, e delle parole con cui può descrivere ciò che essa scorge. È libero nell’usarla, non si illude, non si inganna: vede il possibile, e ne coglie le vie. Al tempo stesso, le sue energie svincolate dal passato sono talmente ampie, che non potrà mai accontentarsi di esercitare questo suo potere solamente per se stesso: troppo ovvio, troppo poco! Avrà bisogno di tanti, di masse. Ed ecco le ragioni per cui, nel nostro linguaggio attuale, Mekhiy’el può venir presentato anche come l’Angelo della politica. Certo, non di tanti politici che conoscete, e che sono semplici amministratori, sepolti sotto valanghe inestricabili di passato (di errori, guai, compromessi, doveri passati). In queste puntate stiamo parlando soltanto in termini ideali, archetipici.

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37. FUORI DAL PORTO 09/02/09 - 14:48

Il «porto», nel Nome di Damabiyah, è nelle lettere M e B: madre e padre, casa e famiglia, le norme e le istituzioni esistenti. La nave che dovrebbe, potrebbe salpare è nella D, che – ricordate? – è il geroglifico del diramarsi, dell’abbondanza che si dona a molti. DMB può essere la formula di chi, ampliandosi, donandosi agli altri, sa scoprire porti nuovi; oppure di chi, pur avendo tanto da dare, non riesce a uscire di casa. È precisamente il bivio dinanzi al quale stanno (e vi aspettano SEMPRE) tutti quanti gli Angeli Lunari, i donatori di circostanze, di occasioni. Nel culto popolare degli Angeli (ben

documentato già ai tempi di Gesù, e fiorentissimo poi nel Medioevo) vi era la convinzione che, se uno sa pronunciare bene il Nome di un qualsiasi Angelo, e conosce i suoi giorni di reggenza, e in quei giorni prova a recitare all’Angelo una preghiera o invocazione, e se riesce a recitarla con tutto il cuore e senza distrarsi, può poi dire a voce alta un suo desiderio e (di nuovo l’HEKA) l’Angelo gli concederà entro 24 ore occasioni splendide di realizzarlo. Occasioni, notate bene! Un incontro, un’intuizione, un ricordo improvviso, un’ispirazione precisissima – ma anche molto rapida, come sempre lo sono le occasioni migliori. E solo chi sarà abbastanza bravo da afferrarla al volo, vedrà il suo desiderio realizzato. Molti dicono ancor oggi che sia vero; io, dalle esperienze mie e altrui, so che le probabilità di successo di questa tecnica sono abbastanza alte la prima volta, e calano poi notevolmente – soprattutto perché, a partire dalla seconda volta, il nervosismo con cui ci si guarda intorno in attesa dell’occasione impedisce di vederla. Ma non è questo il punto principale. Ben più interessante è il modo in cui Damabiyah, il primo degli Angeli Lunari, ti insegna quali saranno, sempre di nuovo, e comunque, le forze che ti impediscono di scorgere e cogliere le tue occasioni. M e B! Tanto che penso sia più utile, prima di tentare l’invocazione all’Angelo, approfondire un po’ le proprie M e B, in modo da sapere dove NON guardare quando cercherete. Avete sicuramente presente il comandamento «Onora il padre e la madre». Tutti lo intendono come un’esortazione a sottomettersi alla generazione precedente, al passato cioè. Ma fateci caso: non dice «obbedisci al padre e alla madre!». Dice «onorali». Capiscili, stimandoli più che puoi: il senso di stima aiuta sempre a togliere resistenze e opacità, quando si guarda una persona per accorgersi di chi è davvero. Una volta «onorati» il papà e la mamma, e tutte le altre eventuali B e M della tua vita, sii te stesso, con occhi aperti, e coopera con Damabiah e gli altri Angeli, i quali dal canto loro non aspettano altro.

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38. IL SEGRETO DI CAINO 14/02/09 - 09:36

q. In ebraico: Qoph. Raffigura una scure, ed è il geroglifico del-la determinazione, del dominio; del comprimere, anche, e del nascondere in sé. Tipi duri, i «protetti» dell’Angelo di questi giorni: sono quelli che gli americani chiamano i bullshit-detectors, capaci di riconoscere immediatamente e a colpo sicuro le ipocrisie, le menzogne e (quel che forse essi detestano più di tutti) i difetti di cui siamo già ben consapevoli ma che

per pigrizia, indifferenza o debolezza non cominciamo mai ad eliminare. E dura, e connessa al nascondere, è anche la lettera Qoph, che svetta al centro del Nome di Manaqe’el. È l’iniziale di Qabbalah:

che nel linguaggio corrente significa sia «tradizione» sia «accoglienza», e in geroglifico «il tenere e preservare (Q) in luogo opportuno (B) tutto ciò che conduce in alto (L), verso l’aldilà (H)». È altresì l’iniziale di Caino, in ebraico QYN, che in geroglifico significa «Chi domina (Q) l’aspetto (Y) delle cose (N)». E qui bisogna proprio che vi racconti un segreto di Caino,

patriarca assai vicino, in realtà, sia alla Qabbalah sia a qualsiasi forma di teologia coraggiosa. Caino viene solitamente ricordato come il primo assassino, come il capostipite dei malviventi, ma non fu affatto così. Vero è che non sopportava suo fratello Abele, e che lo uccise: ma chi era, o meglio chi è in ogni epoca Abele? Il suo nome era HBL, in geroglifico: «rendo invisibile (H) in luogo protetto (B) ciò che conduce in alto», e il libro della Genesi precisa che era un «pastore», uno che tiene a bada le greggi. Era il prediletto del Dio-Signore, di YHWH, che sempre sembra amare chi tiene a bada gli altri. Caino invece, come sapete (v. la puntata 12), era un appassionato della ’adamah, dei nuovi territori della conoscenza: e quel fratello-pastore lo opprimeva, lo deprimeva, lo frenava... esattamente come in ciascuno di noi un ereditario bisogno di sicurezza, di conformismo, di sottomissione alla pastorizia opprime gli slanci del nostro desiderio di crescere. E ben presto Caino eliminò Abele, il che tutti dobbiamo fare in noi stessi, se vogliamo scoprire qualcosa di più di quel che ci è stato insegnato da pastori, preti, professori e da altri abeli del genere. Questi stessi abeli ci hanno spiegato che poi Caino si pentì e Dio lo castigò, ma anche questo è falso. Secondo le versioni consuete, dopo il fratricidio Caino disse a YHWH: Troppo grande è la mia colpa per ottenere perdono! Ecco, tu mi scacci da questo suolo e io dovrò nascondermi lontano da te; io sarò ramingo e fuggiasco sulla terra e chiunque mi incontrerà mi potrà uccidere. Genesi 4,14 Ed è più o meno ciò che l’Inquisizione voleva che Galileo (un celeberrimo Manaqe’el) dichiarasse pubblicamente. Ma è una traduzione sbagliata. In realtà il testo qui dice: Troppo grande è la mia disobbedienza, perché si possa purificare! Ecco, tu mi vieti ora l’’adamah, ma da te io mi nasconderò sempre, e fuggendo continuerò a esistere nell’’adamah, io, zoppo! E mi uccida pure, chi mi incontri! Una risposta fiera, combattiva, specialmente se tiene presente che «zoppo» sia nella Genesi sia in

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altre tradizioni antiche, era sinonimo di «iniziato». E YHWH ne rimase perplesso, e disse fra sé la famosa frase: «Se anche lo dovessero uccidere, questo Caino si rialzerà sette volte più forte!..» E YHWH mise un segno su Caino, perché chiunque lo trovasse non lo potesse colpire. Genesi 4,15 Prese atto, cioè, del coraggio di Caino e della sua pericolosità per l’ordine costituito, e preferì fare in modo che non lo colpisse, perché le persecuzioni non rendessero i Caini ancor più forti e coraggiosi di quel che già erano. Poi, nel mondo, quel «segno» si perse e i Caini colpiti e bruciati sul rogo furono molti. Ma fortunatamente non sono mai mancati del tutto.

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39. GLI ANGELI DEI FILM E LA GHIMEL 19/02/09 - 09:18 Nella scorsa puntata dicevo che Galileo (nato un 15 febbraio) ERA un celeberrimo Manaqe’el. Anche nei ritratti angelici uso spesso così il verbo «essere», e voi sapete già perché: gli Angeli di cui parla la Qabbalah sono Energie, e in questo mondo l’unico modo per comunicare con loro è appunto esserle, farle essere nella propria esistenza. Il che non significa che la nostra immagine tradizionale degli Angioletti custodi che ci stanno accanto sia sbagliata. Tutte le tradizioni religiose sono giuste, nel senso che descrivono tutte – in termini simbolici – qualche autentica realtà spirituale. E tutte le tradizioni religiose, inoltre, hanno quella nobiltà che deriva loro dall’essere molto antiche. Anche la suggestiva immagine consueta degli Angeli (che per alcuni versi somiglia molto all’’Ay‘a’el di questi giorni) è antichissima. Le sue origini vanno cercate addirittura in Egitto: all’epoca delle Piramidi si riteneva infatti che ciascun uomo fosse accompagnato sempre da un suo KA, da uno «spirito» protettore e in qualche modo incaricato di sorvegliare la sua condotta. Il KA era raffigurato, nei geroglifici egizi, come due braccia alzate (molto simili alle due ali dei nostri Angioletti) e così come tanti di noi credono che dopo la nostra morte l’Angioletto ci restituisca al Mittente, allo stesso modo gli Egizi insegnavano che il nostro Ka presenzia al giudizio che subiamo nell’Aldilà – la psicostasìa, o «pesatura del cuore», nella quale si decide se l’uomo debba essere premiato o punito per come ha vissuto. A questa base egizia si fuse poi, nell’Occidente cristiano, l’immagine greca delle Nikai, delle «annunciatrici» che, si diceva, precedevano i messageri incaricati di portare le notizie belle (operavano insomma ciò che oggi chiameremmo precognizioni) e venivano appunto raffigurate con lunghe vesti bianche e larghe ali. Grazie all’influsso delle Nikai l’Angelo prese appunto il nome di Angelo – dal greco aggelos, «messaggero», mentre nella tradizione ebraica si chiamava «inviato» (malakh) o anche «individuo» (’ysh). Un altro contributo importante alla nostra immagine tradizionale degli Angeli venne anche dalle culture ancestrali europee, nelle quali molti animali erano ritenuti MAESTRI dell’uomo, o sue guide soccorrevoli (si pensi agli animali magici delle nostre fiabe): ed evidentemente la vitalità di questo sostrato animistico spiega perché non sembri mai strano a nessuno che gli Angeli – certamente superiori a noi sulla scala evolutiva – siamo esseri IBRIDI, in parte umani e in parte uccelli. Tutte cose bellissime, e profonde ma, ripeto, DIVERSE da quell’idea di Angelo come Energia che può esistere e agire con la tua cooperazione. Tale differenza è segnalata anche nei Nomi degli Angeli della Qabbalah. Quelle immagini alate, antichissime e contemporanee, attribuiscono tutte quante agli Angeli, in un modo o nell’altro, un corpo – sottile, eterico, spirituale quanto si vuole ma pur sempre un corpo. E guardacaso, l’unica lettera dell’alfabeto ebraico che non compare mai nei Nomi dei nostri Settantadue è proprio la Ghimel:

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g. In ebraico: Ghimel. Una g sempre dura. È il geroglifico della gola,e più in ge-nerale del corpo fisico, considerato come involucro dell’organismo e canale dell’anima.

Mentre l’Arcangelo Gabriele (il GBWR di ’EL, «l’eroe, l’uomo forte di Dio») porta orgogliosamente la sua G proprio perché le «missioni» di cui è incaricato riguardano tanto spesso i meravigliosi misteri del corpo umano, la fecondazione soprattutto, come ben sapete.

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40. TSIMTSUM 24/02/09 - 18:05 L’Angelo di questi giorni dona quell’«energia terapeutica» di cui abbiamo già parlato (v. la puntata 8), e che può manifestarsi con successo sia nella professione medica sia nell’arte dello spettacolo. Dona anche la voglia di scoprire e far scoprire cose nuove, e una notevole dose di naturale fortuna. Nient’altro. Tra i Settantadue, è perciò uno degli Angeli più semplici da vivere: richiede, in pratica, un’unica scelta precisa ai suoi «protetti» – curare o recitare – e per il resto li lascia nella più completa indeterminatezza. Come se dicesse: «Per far fruttare il vostro talento, voi non avete bisogno di nulla: né dell’amore, né dell’amicizia, né di una qualche disciplina... Il che non significa che dobbiate fare a meno di queste cose: potete prenderne, conquistarle, imporvele, se vi va, ma sappiate che solo la vostra professione o arte potrà darvi energia, energia abbondantissima, mentre in ogni altro aspetto della vostra vita, in ogni altro rapporto sarete voi a dare, come un recipiente stracolmo che comunica con altri il cui contenuto sia inferiore». È una forma di libertà, o più precisamente di tempo totalmente libero. Ed è il riflesso di una delle idee più avventurose della Qabbalah: lo tsimtsum, che significa «contrazione». Per poter creare il mondo – dicevano alcuni qabbalisti medievali – Dio dovette contrarsi: dovette lasciare nell’universo un luogo libero, in cui la Sua presenza non arrivasse, perché lì potesse cominciare a esistere qualcosa di diverso da Lui. Ciò avvenne all’inizio (era il modo in cui quei maestri immaginavo il

Big Bang, con otto secoli d’anticipo) e continuò ad avvenire poi: il Dio-Signore, dopo aver proibito d’assaggiare i frutti della conoscenza, si allontanò; e così pure dopo aver raccomandato a Caino di lasciar in pace Abele... e così via, fino al Calvario, dove Gesù, morendo, gridò «Perché mi hai abbandonato?» L’evoluzione, secondo le Scritture, è punteggiata di tsimtsum, di tempi e spazi esistenziali lasciati vuoti, perché in essi avvenga qualcosa che NON È in Dio – e ogni volta, guarda caso, si tratta di un gran passo avanti dell’umanità. Secondo voi, PERCHÉ?

Secondo me, è un modo che Dio ha di esercitare l’uomo a essere come Lui. Libero dal bisogno e dal dovere. Certo, gli insegna questa libertà con grande cautela, come si fa con i bambini, quando si prova a lasciarli soli per un po’, a mandarli a comprare qualcosa da soli, o a far prendere loro qualche piccola decisione. Ma lo scopo è che crescano e arrivino davvero, tra qualche tempo (secoli, millenni) a far da sé, in uno tsimtsum sempre più ampio. «Imparate a essere perfetti come il Padre vostro che è nei cieli» diceva Gesù (Matteo 5,48) e qui, evidentemente, voleva essere preso proprio alla lettera. D’altronde, fateci caso: nell’Angelo di questi giorni (o negli Angeli dei Re, di cui parleremo il 6 marzo) lo tsimtsum è molto evidente, ma anche negli altri Angeli ce n’è un bel po’. Alcuni, come Manaqe’el, Umabe’el o Yahehe’el, non richiedono nulla che riguardi il rapporto con il denaro (per i loro «protetti», cioè, la riuscita o la non riuscita in questo campo non sarà mai un fatto determinante: qui, sono liberi); altri, come ’Ay ‘a’el o ‘Anawe’el non richiedono nulla che riguardi amicizia e amore (e qui si situa dunque il loro tsimtsum); altri ancora, come gli Angeli dei Re, di cui riparleremo il 6 marzo, non chiedono proprio nulla di nulla. E vi propongo un argomento di riflessione: a mio parere, proprio in ciò di cui un Angelo non fa menzione ai suoi «protetti» io credo che vi sia il luogo più importante, il principale alambicco del laboratorio d’una vita, dove solo la

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libertà – per chi ha il coraggio di servirsene in modo creativo – apre prospettive radicalmente nuove. Voi che ne pensate?

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41. RACCONTO DI UNA RA’AHA’EL 01/03/09 - 10:20 Quando ero ancora all’inizio dei miei studi di Angelologia c’erano molti Angeli di cui mi sembrava di non aver capito gran che, e Ra’aha’el era uno di questi. Mi sembrava troppo strano, e improbabile, che le persone nate dal 1° al 6 marzo dovessero veramente ritrovare cose smarrite o persone perdute di vista, per sentirsi felici e realizzate. E quella volta fu un’esperienza, a farmi intendere meglio. Avevo parlato di quest’Angelo a una sua «protetta» (che saluto caramente, se mi sta leggendo), le avevo spiegato quel che dicevano i Codici antichi: che Ra’aha’el dona un forte, combattivo, meticoloso senso di giustizia, e che il modo migliore per usarlo era appunto ritrovare ciò che si è perso, e capire in che modo e perché lo si è perso, e che se lei si fosse impegnata in questo ne avrebbe avuto notevole fortuna, e così via. Ma, non essendone convinto io stesso, non riuscii nemmeno a convincerne lei, ed ebbe la netta impressione che fossero tutte sciocchezze. La rividi qualche mese dopo e mi raccontò, divertita e contenta, quel che le era successo nel frattempo: «Un po’ di tempo fa» disse «stavo facendo pulizia nel nostro box, e da uno scaffale è caduta una busta: c’erano dentro altre buste. Be’ – ho pensato, - si vede che qualcuno l’ha messa qui per qualche buona ragione, e che qui deve stare. Ma poi mi è venuta la curiosità di vedere cosa conteneva, ed erano le lettere di mio marito e della sua amante...» «No! Ma dai» dissi io. «Eh sì. Allora ho pensato: gli faccio subito una scenata. Ma poi no – mi sono detta, – vediamo prima come stanno davvero le cose. E ho cominciato a seguire mio marito, ho fatto anche due foto mentre entrava in casa di quella lì, e alla fine, una sera, gli ho messo davanti la situazione con tutte le prove, e gli ho detto pari pari: «Io mi tengo la casa, d’accordo?» senza alzar la voce né altro...» «E lui?» «E lui niente, abbiamo chiuso, ma la storia non è finita. Neanche tre settimane dopo, stavo aspettando l’autobus e vedo che arriva...» (e qui fece un bellissimo sorriso) «vedo che arriva, come dire, insomma... Io ho avuto un solo grande amore in vita mia, e non era mio marito, ma quest’altro.» «Quello che stava arrivando?» «Sì. Mi ha vista, ci siamo seduti alla fermata, abbiamo cominciato a parlare... Erano anni che non lo rivedevo. Abbiamo perso non so quanti autobus, mentre parlavamo lì. E adesso abitiamo insieme da un mese.» È una bella storia, a mio parere. Niente di cabbalistico in senso stretto, ma comunque mi fu utile. Lì cominciai – tutto a un tratto – ad accorgermi di come, per esempio, Pasolini (5 marzo) ritrovasse e

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aiutasse a ritrovare ciò che le culture italiane avevano perduto nei loro matrimoni sbagliati; e del «divorzio» a cui Gorbaciòv (2 marzo) cominciò a guidare la Russia; e tante altre esperienze ancora. La parte empirica dell’Angelologia è infatti importantissima, in quanto aspetto visibile di un invisibile. Grazie ancora a quella mia cara amica, per l’aiuto!

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42. ANCORA SULLA LIBERTÀ 06/03/09 - 14:35

Due puntate fa dicevo che Dio, ogni tanto, sembra «contrarsi» e lasciare spazio libero all’uomo. Nell’Angelo di questi giorni la «contrazione» è completa: Yabamiyah non richiede nulla di nulla e – come dicono gli antichi Codici (*) – dà tutto. «Che pacchia!» direte magari voi. Ma provate a domandare a qualche vostro conoscente nato dal 6 al 10 marzo. Se conosce già abbastanza se stesso, vi risponderà che non è affatto piacevole essere uno «il cui sguardo (Y) penetra (B) e abbraccia (M) tutto quanto»: tutto, i pregi e i difetti di chiunque, il senso, i limiti, l’importanza (sempre relativa!) di qualunque cosa. Vede tutto, comprende tutto, e appunto perciò nulla gli interessa davvero. Guarda gli altri che desiderano, sperano, si illudono, lottano; e può facilmente aiutarli, se è di buon cuore – ma sa per certo che non gli è dato di provare le emozioni che essi provano, così come noi non riusciremmo più a ritrovare quel terrore d’una nota sul diario o

quella gioia d’una lode, che avevamo conosciuto alle elementari. I re e i principi delle fiabe dovevano sentirsi un po’ così, quando guardavano – sbadigliando – dalle finestre del loro palazzo, verso i loro sudditi indaffarati. E immagino si sentano così gli Angeli e Dio, quando dal cielo guardano noi che ci arrabattiamo tra desideri, speranze, illusioni. Temo che non si divertano nemmeno più, a guardarci, dopo tanti millenni. C’è da meravigliarsi se la loro simpatia va tanto palesemente ai «protetti» di Yabamiah, che quaggiù li possono capire meglio di chiunque altro? Nel ritratto, spiego anche che questo è l’Angelo della critica, grazie appunto alla facilità con cui riesce a scorgere quel che alla maggioranza dell’altra gente sfugge. E i cieli sono certamente il luogo della CRITICA DELL’UNIVERSO: ci avete mai riflettuto? Lassù c’è il nostro pubblico di intenditori, accomodati tutt’intorno al Regista. Noi, qui, andiamo in scena – sul palcoscenico che lo tsimtsum ci ha lasciato sgombro – e recitiamo la nostra parte, in attesa sempre di applausi o di fischi. Recitare in inglese e in francese si dice play e jouer, «giocare» cioè. Quindi, nell’universo, chi si diverte di più, secondo voi? (*) In italiano si può consultare quello accuratissimo pubblicato da HAZIEL, ne Il grande libro delle invocazioni e delle esortazioni, Mondadori, Milano 2oo6.

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43. IL SENSO DI GIUSTIZIA 11/03/09 - 17:38 Se l’Angelo precedente era talmente vasto e trasparente da poter sembrare vuoto, Hayiya’el è presentissimo, ben visibile e determinato. Non per nulla HY è in ebraico la radice del verbo «essere»: come a dire «Sono qui e dovete fare i conti con me! Voi fino a che punto siete? Cosa siete riusciti a essere?» E non si limita a criticare, ma giudica. I suoi «protetti» hanno infatti quello stesso istinto di giustizia che avevamo già notato nell’Angelo del 1° marzo, e che è – insieme all’energia terapeutica – la dote che si incontra più di frequente tra i Settantadue. È anch’essa assai impegnativa: più ancora di una vocazione. Se non segui una tua vocazione, corri soltanto il rischio di provare per tutta la vita un rimpianto più o meno vago, la sensazione di avere un nodo da sciogliere in fondo al cuore. Se, invece, il tuo Angelo è Hayiya’el o un altro della giustizia, e hai malauguratamente deciso di non curarti di ciò che è giusto o sbagliato nel comportamento tuo o altrui, non passerà giorno senza che tu ti senta stupido, ipocrita e complice del male del mondo. «A chi è stato dato molto, molto sarà richiesto» avverte il Vangelo: e ai «protetti» di Hayiya’el è stato dato moltissimo, in termini di vigore, audacia, autorevolezza, equilibrio, lucidità, intuito. Devono mostrarsi all’altezza di se stessi. Il mondo ne ha talmente bisogno ... D’altra parte, è lecito porsi qui il problema: perché il mondo è stato creato e diretto talmente male dalla Divinità, da richiedere alle creature umane di porvi rimedio? Dio e i suoi Angeli non potevano rifinirlo meglio, dotarlo – che so – di qualche dispositivo di sicurezza, di una qualche valvola psichica o spirituale che impedisse la produzione di cattiverie? E (cosa quantomai scoraggiante) le nostre grandi religioni non forniscono, a questo riguardo, nessun chiarimento significativo: non spiegano né perché i Cieli permisero Auschwitz o Nagasaki, né perché in quelle occasioni gli Hayiya’el non riuscirono a impedire l’orrore. Possibile che sia stata colpa SOLTANTO dell’uomo? Io, da quel che ho letto, decifrato, pensato in questi anni, credo che veramente Dio e gli Angeli non abbiano potuto fare più di così. Sanno bene – a mio parere – che questo non è affatto il migliore dei mondi possibili, e ne sono probabilmente imbarazzati, e perciò chiedono aiuto a noi: «Dateci una mano, umani, e vediamo di portare a termine questa creazione come si deve, correggendola dove non va... Lavoriamoci insieme». Ed è, questa, un’idea antica: se ne trovano molte tracce già nella teologia egizia. Nel giudicarla, non abbiate fretta. So bene che, così come l’ho esposta, può apparire fin troppo elementare, ingenua. Ma consideratela in termini simbolici, come segnale che vi indica un territorio «hayaeliano» della vostra psiche: quello da dove proviene il SENSO delle cose che fai e puoi fare ogni giorno, la RAGIONE del bene e del male che tu hai il potere di compiere e riconoscere. Nel ritenerti coautore di una creazione ancora incompleta vi è una fonte enorme di voglia di vivere e di agire, di salute, di creatività, quale sarebbe difficile trovare altrove, nel mondo così com’è ora.

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44. NOI MUMMIE 16/03/09 - 16:01 L’Angelo di questi giorni e il successivo sono, rispettivamente, l’ultimo e il primo dell’elenco cifrato nel libro dell’Esodo (v. la puntata 3 del nostro blog). Sono anche l’ultimo e il primo in assoluto: Muwmiyah è l’ultimo degli Angeli lunari, cioè l’estremo confine oltre il quale ha inizio il nostro livello umano, dove tutto comincia fatalmente a finire; e Wehewuyah è il primo dei Serafini: al di sopra di lui si estende l’Infinito divino, da cui provengono tutte le energie del nostro universo. In perfetta corrispondenza con l’Astrologia, i nostri due Angeli ultimo e primo vengono a trovarsi a cavallo del «capodanno» zodiacale, dove termina l’ultimo segno, i Pesci, ed eternamente ricomincia il primo, l’Ariete. È molto piacevole meditare su questi schemi, su queste corrispondenze: meditare senza impegnarsi a trarne per forza deduzioni, senza voler capire razionalmente (non si otterrebbe che un banale «nient’altro che»). Pensateci lasciando aperte le porte d’ingresso e di uscita della vostra mente, permettete che le idee arrivino e vadano e, se vogliono, si soffermino un po’ a farvi compagnia. La M di Muwmiyah chiude il ciclo zodiacale: la M, vi ricordate, è l’orizzonte, è l’avvolgere, ed è anche il ventre materno. Nell’elenco cifrato, in quei tre versetti dell’Esodo, l’ultima lettera (corrispondente alla seconda M di Muwmiyah) è la seconda M della parola maiym, «acque». E anche «acque» ha a che fare con una gravidanza – oltre che naturalmente con il Diluvio, e con le Acque primordiali che riempivano tutto prima che cominciasse la Creazione, quando «lo Spirito di ’Elohim si librava sulle acque». La fine parla dunque di qualcos’altro che sta incominciando. Non è così anche la fine dell’uomo? (In egiziano, la parola «morte», MET, era molto simile a «madre», MUT). O la fine di un mondo? O più semplicemente, la fine di un pensiero, di un ragionamento: là dove alla ragione sembra di aver chiarito tutto di qualcosa, e ritiene che non vi sia più nulla da dire, che cosa incomincia là? Gli Ebrei, ai tempi di Mosè, sapevano benissimo cosa fossero e cosa rappresentassero le mummie: il simbolo di ciò che attende, il bozzolo da cui sta per nascere la farfalla. Così io credo siano tutte le nostre domande, specialmente quelle a cui per ora non sembra possibile trovare una risposta. E l’Angelo di questi giorni, come forse avrete letto nel ritratto, è anche l’Angelo dell’aprirsi alla rivelazione, e dello spazio della rivelazione, che circonda e avvolge tutto il mondo noto all’uomo.

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45. ... E 21/03/09 - 09:11 Wehewuyah è il primo Angelo delle Gerarchie (e perciò i suoi «protetti» hanno tanto spesso la fissazione di essere e di dover sembrare dei Numeri Uno o delle Prime Donne: di detenere un primato spirituale ed esistenziale su tutti gli altri esseri umani... Che responsabilità, che stress!) ma è interessante notare che l’iniziale del suo Nome, w, in ebraico significhi «...e», come se il primo non fosse proprio il primo, come se il Principio di tutto non fosse proprio qui, ma si dovesse cercare prima ancora.

Forse, di primo acchito questa notizia non vi colpirà più di tanto; ma considerate quante energie vengono spese dalla attuale ricerca scientifica per stabilire quando e come il nostro universo ebbe inizio; e quanto è importante, nelle religioni attuali, l’idea che Dio a un certo punto abbia creato il mondo dal nulla; e, più in generale, quanta parte della filosofia e della teologia occidentale sia stata dedicata all’indagine della Causa Prima.

Gli antichi preferivano un altro modo di ragionare, che a mio parere è assai più profondo e più utile. Il Nome del primo Angelo comincia con una «...e», e il primo libro della Bibbia inizia non con la prima lettera dell’alfabeto, aleph, ma con la seconda, beth. E nei primi versetti, là dove parla appunto della cosiddetta creazione dell’universo, non dice affatto che Dio a un certo punto fece tutto quanto dal nulla. «In principio Dio creò il cielo e la terra» è una traduzione inesatta: più vicino all’originale sarebbe «Dio DIEDE FORMA al cielo e alla terra». Cioè imparò a vederli, si accorse che c’erano e se ne formò un’immagine, un concetto. Ma il cielo e la terra C’ERANO GIÀ. E nel seguito del racconto della cosiddetta creazione, viene descritto come Dio (’Elohim) imparò a scorgere i mari, le montagne, le piante, gli animali – un po’ come uno che, appena arrivato, pian piano familiarizza con i nuovi luoghi che ha intorno a sé. Cosa cambia per noi il sapere se Dio creò o non creò l’universo, se possiamo o non possiamo descrivere l’inizio di tutto? Cambia moltissimo. Innanzitutto, nella voglia di chiarire la questione dell’Origine si esprime l’ansia – tutta umana – di CAPIRE tutto. CAPIRE, dal latino CAPERE, cioè «contenere». Ed è la voglia di ridurre, di rimpicciolire talmente la realtà, da poterla racchiudere tutta quanta in quel piccolissimo contenitore che è la nostra mente cosciente e razionale. Tutta la scienza occidentale, nelle sue peggiori espressioni, mira appunto a questo – e a dimostrare, attraverso questo, che la nostra piccolissima mente razionale possa essere più grande (non potrebbe capirlo-contenerlo, altrimenti) dell’inizio di tutto. Bella roba! Non riusciamo a risolvere i principali problemi della regione, del quartiere in cui abitiamo, e ci incaponiamo di voler COMPRENDERE il principio dell’universo! In secondo luogo (e questo è ancor più grave) nel voler attribuire tanta maestosa capacità alla mente razionale fa capolino, evidentissimo, il timore, la voglia di mettere a tacere quella parte non

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razionale della nostra mente che il linguaggio scientifico non riesce e non riuscirà mai a descrivere: quell’area in cui si trovano gli istinti, i sentimenti, le intuizioni, le coincidenze, le ispirazioni, delle quali si può parlare soltanto in termini analogici, poetici, d’immaginazione. Quest’area (che la scienza e la mente razionale notoriamente detestano) è importantissima per la nostra vita reale, quotidiana. È lì che ci accorgiamo di essere innamorati, di avere idee, desideri, di ridere, di essere guidati da Qualcosa e tentati da qualcos’altro. Lì noi viviamo davvero. Gli antichi studiosi che decisero di porre una «...e» come iniziale del primo Angelo, e l’autore della Bibbia che volle cominciare il suo racconto con una beth, ci raccomandarono di non LIMITARE troppo l’orizzonte della nostra conoscenza: «Lasciate» intendevano dire «che ci sia sempre, per sempre una parte che non conosci, e di cui non sai dire nulla. Da quella parte la tua anima si alimenta. E non la puoi conoscere, così come un occhio che guarda il mondo non può vedere se stesso. Vi fu, vi è un prima assoluto, un principio di tutto, un aleph che precede la creazione: e sai dov’è? In te. Sei tu, quando guardi il mondo, quando leggi la Genesi. In modo misteriosissimo per la tua mente razionale, tutto l’universo incomincia ogni giorno, ogni istante con te che, come ’Elohim, ti accorgi del cielo e della terra, e dei mari, delle montagne, e delle piante, e dell’uomo...» (Adesso, per favore, non mi venite a dire che questo discorsetto è troppo difficile da CAPIRE. Eh no! È assolutamente impossibile da CAPIRE-CAPERE nel senso che dicevo prima. Lo si può soltanto percepire, penetrare con l’intuizione e con il cuore; e ve l’ho scritto apposta, come piccolo esercizio per le parti non razionali del vostro io. Buona primavera!).

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46. GLI INTELLIGENTISSIMI E IL DIAVOLO 26/03/09 - 16:17 La «...e», come l’abbiamo descritta nella scorsa puntata, è un tratto comune a tutti quanti gli Angeli di queste settimane, che sono i famosi Serafini (dal 21 marzo al 30 aprile), e si esprime in ciascuno di essi in maniera diversa. Nell’Angelo di oggi, diventa la bravura di considerare ogni questione da un punto di vista più alto di quelli altrui: gli Yeliy’el sono maestri nell’«e inoltre» e nel «e quindi», scorgono premesse e traggono conclusioni che noialtri non ci sogneremmo nemmeno. Sono disperatamente «mentali», certo – come del resto tutti i Serafini – ma che piacere ascoltarli, che lezioni d’intelligenza sanno dare. Saraph in ebraico vuol dire «ardere»; e gli Yeliy’el sono simili alla luce di un forte incendio. Saraph significa anche «drago»: e certamente gli Yeliy’el sono maestosi esseri a sangue freddo (non sono rettili i draghi?), il cui cuore è enormemente lontano dalla mente, e la cui mente può dunque dispiegare tutta la propria lucidità senza interferenze sentimentali. O almeno così dovrebbe essere quando va tutto bene. Avrete notato, dai ritratti, che ciascuna Energia angelica può presentare determinati rischi, se la si adopera male: se, cioè, i loro «protetti» la ignorano (e allora si vendica di non essere stata adoperata) o anche se eccedono, se ne abusano. Compito dell’angelologo – nel caso che vogliate scegliere, in futuro, questa emozionante occupazione – non è soltanto indicare quali compiti esistenziali dovrebbero toccare a ciascuno in base agli antichi Codici, ma anche, al tempo stesso, spiegare ogni volta che un compito non è tutto nella vita. Un buon angelologo spiega sia come non sprecare forze nel tentativo di raggiungere obiettivi che non ci competono, sia come imparare a riprender fiato, di distrarsi, una volta che ci si sia messi in marcia verso gli obiettivi appropriati. Nel caso di Yeliy’el, la questione è particolarmente delicata: ai suoi intelligentissimi «protetti» va consigliato di essere talmente intelligenti da permettersi, ogni tanto, di fare un po’ gli stupidi. Di riscoprire la dimensione del cuore – che in loro è poco sviluppata, e perciò ingenua, indifesa, goffa. Il cuore, l’istinto è, in loro, ciò che gli junghiani chiamano «l’ombra»: gli aspetti trascurati, negati, repressi della personalità, che, quando li si esclude troppo dalla vita quotidiana, possono facilmente rivoltarsi e combinare brutti scherzi. Jung spiegava che nell’«ombra» ciascuno ha il proprio diavolo, il proprio avversario personale; e che l’unico modo per renderlo inoffensivo è portarlo alla luce e venire a patti con esso. Gli Yeliy’el sono fin troppo bravi nel tenere tutto sotto controllo: il loro «diavolo» è il disordine, che può irrompere nella loro vita, tutt’a un tratto, sotto forma di improvvise, disastrose inavvertenze. Gli Yeliy’el sono imbattibili nel guidare fermissimamente la loro passionalità: il loro «diavolo» potrà tanto più facilmente farli innamorare, a un certo punto, della persona più sbagliata, e determinare in tal modo un periodo orrendo della loro vita. Imparino dunque a considerare e a usare le loro doti cum grano salis, il che nel loro caso significa con un pizzico di follia e di candore, almeno tre volte a settimana. Ci vuole molto coraggio, senza dubbio. Uno scrittore che amo molto, Lev Tolstoj (che non era uno

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Yeliy’el, ma aveva molte affinità con quest’Angelo, come spesso capita ai romanzieri) diceva che le persone sagge devono addestrarsi al «coraggio della stupidità»: a fare cose, cioè, dinanzi alle quali chi si ritiene più intelligente di loro scuoterebbe il capo in segno di disapprovazione e compatimento. Fu grazie a questo coraggio che Tolstoj scrisse, tra l’altro, Guerra e pace, non curandosi del fatto che molti suoi stimati conoscenti lo considerassero uno scrittore finito, scioccamente smarritosi in un un progetto troppo lungo, troppo ambizioso. Ne venne invece un capolavoro e uno dei più grandi successi editoriali che la storia ricordi. Il coraggio della stupidità: ricordatevelo, protetti di Yeliy’el. Lì è il segreto della vostra grandezza, oltre che della vostra armonia interiore.

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47. THET E LA REINCARNAZIONE 31/03/09 - 14:55

Teth. Si pronuncia con la punta della lingua sul palato, un po’ più intensa della t di tango. È il geroglifico della protezione, della solidità, del tetto, dello scudo.

Ecco anche l’ultima lettera dell’alfabeto sacro, che ancora ci restava da scoprire. È la T di tov, «buono», «perfetto» (in geroglifico: «chi è ben protetto in se stesso, nel proprio animo»), e anche di tameh, «impuro» (colui, cioè, da qualche bisogna proteggersi). Sembra proprio il pittogramma di una fortezza, vista dall’alto, con il suo corridoio d’ingresso ben munito. E nel nome di questo Angelo si combina con la lettera samekh, anch’essa talmente difensiva! Nel ritratto è spiegato perché e con quali conseguenze: i protetti di Seyta’el sono, da un lato, bravissimi a proteggere qualcuno; dall’altro, si sentono isolati, radicalmente diversi dai loro contemporanei. E se provano a indagare le ragioni di questa loro diversità, hanno facilmente la sensazione di scendere verso altre epoche passate, proprio come nelle segrete di un castello... È come se in loro la precedente reincarnazione non si fosse del tutto conclusa, e ancora li chiamasse e volesse far udire le proprie ragioni: in tal modo si esprime qui quella «...e» che, l’abbiamo visto, è una caratteristica decisiva degli Angeli di questo periodo, i Serafini. E, badate bene, questo riferimento al karma non è affatto una metafora, né un’interferenza di altre tradizioni religiose. Gli Ebrei – e, a mio parere, anche gli Egizi – credevano nella reincarnazione: perfino la Bibbia ne parla, per esempio nell’episodio dell’eroico Razis, che mentre si uccideva per non essere catturato dai nemici «invocò il Signore della vita e dello spirito, perché di nuovo glieli restituisse» (2 Maccabei 14,46), E perfino nel Vangelo, in due punti indubbi: In quel tempo Erode, il tetrarca, udì parlare della fama di Gesù, e disse ai suoi: «È Giovanni Battista, che è resuscitato dai morti: e perciò il potere dei miracoli agisce in questo Gesù» Matteo 14,1 E: Passando, vide uno nato cieco; e i suoi discepoli gli domandarono: «Rabbì, chi ha peccato perché nascesse cieco: i suoi genitori, o lui stesso?» Giovanni 9,1. Infatti, come si può aver peccato prima di nascere, se non in una vita precedente? L’altro passo, quello di Erode, documenta una particolare forma di reincarnazione, individuata dagli Ebrei: il cosiddetto ibbur (letteralmente: «importazione»), cioè la possibilità che nell’io di qualcuno venga ad abitare temporaneamente l’io di un defunto, che in vita non era riuscito a fare tutto quel che si era proposto, e che perciò desidera avere ancora un supplemento di tempo. Durante tale sua permanenza nel vivo, il defunto conferisce a quest’ultimo anche i suoi poteri, oltre ai suoi modi di

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pensare, ai suoi sentimenti, spesso addirittura ai suoi ricordi. E il vivo può anche non accorgersene, e notare soltanto di essere molto cambiato ultimamente... Molto interessante è l’aspetto psicologico di questa credenza dell’ibbur: ciò che ne deriva, infatti, è che l’elemento per noi più evidente, più sicuro, più intimo d’ogni altra cosa al mondo, il nostro concretissimo io (nostra Teth, nostra Samekh) può non essere affatto nostro di tanto in tanto. Possiamo non essere noi, a vivere le nostre giornate. Non capita a tutti, beninteso: solo a quelli che al proprio io non hanno mai dato il giusto valore, e che non lo conoscono, e non sanno ascoltarlo, adoperarlo. (Quella frase di Erode era dunque assai irrispettosa, nei confronti di Gesù). Se non ti curi della tua fortezza interiore, insomma, è facile che qualcun altro se la pigli. Parlatene, magari, con l’Angelo di questi giorni, e vi darà certamente ottimi consigli.

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48. I MODESTI 05/04/09 - 11:02 L'Angelo di oggi e altri due dei quattro Serafini che gli succederanno nelle prossime settimane, hanno come qualità predominante una modestia che a tanti può parere eccessiva. Quanto più alte sono le loro doti, tanto più volentieri cedono all'impulso di farsi da parte, di non voler brillare troppo, come se non volessero che qualcuno se ne abbia a male, o come se temessero la famigerata «invidia degli Dei». E non è difficile capire perché: le loro doti sono tanto alte (come per esempio l'intuizione, la veggenza nei «protetti» dell’Angelo di oggi) appunto perché il loro Ego è più piccolo di quello della restante umanità.

Sicuramente avrete notato anche voi, osservando i vostri conoscenti, che l'Ego è il peggior nemico della genialità: che quanto più uno si preoccupa della propria dignità, dell'impressione che può fare agli altri, tanto meno è spontaneo, e tanto meno sa dare libero corso a quei talenti che in lui sono racchiusi. Perciò (fateci caso d'ora in avanti) le persone più eccelse che vi capiterà di incontrare sono anche le più umili, le più timide; e viceversa, quando vi troverete davanti un presuntuoso, vi accorgerete di sentire emanare da lui l'odore acuto, acido della paura – della peggiore delle paure: quella di non valere niente. Buona parte della gente, certo, sembra non notarlo, e la storia e la cronaca sono piene di presuntuosi di dubbio valore che hanno riscosso grande successo. Ma anche questo ha la

sua ragione: buona parte della gente, infatti, non ama affatto e anzi teme la grandezza autentica. Teme di essere «messa in discussione» da chi vede e sa più di loro; teme soprattutto le cose nuove che chi sa più di loro potrebbe dire, e che cambierebbero punti di vista e condizioni su cui quella buona parte di gente ha costruito la propria esistenza. Perciò, A SCANSO DI COMPLICAZIONI, molti preferiscono incensare i presuntuosi. Mi direte che numerosi psicologi sostengono proprio il contrario, e cioè che l'AUTOSTIMA è benefica, indispensabile addirittura. E in linea generale sono d'accordo: non fosse che, quando la si applica troppo frettolosamente, l'autostima ti porta a dar peso proprio a quelle tue qualità che possono venir maggiormente approvate dalle persone che ti circondano – dal capufficio, dai colleghi, dai soliti amici della domenica, dagli insegnanti ecc. E spesso finisce per facilitarti soltanto il compito di essere un buon ingranaggio della macchina, un membro ben integrato di una società che – diciamocelo francamente – è molto scadente, e ha bisogno appunto di fedeli ingranaggi per rimanere tale. A questo compito, i fiammeggianti 'Elamiyah sono del tutto indifferenti. Li attrae troppo il piacere della propria altezza interiore, della visuale prodigiosa che da lassù si apre loro: se ne lasciano prendere talmente (quando sono veramente se stessi) da non curarsi più affatto dell'approvazione altrui, NON SI VOLTANO INDIETRO, non tornano giù a raccontare come sono bravi. La loro immagine pubblica ci rimette, sì. Ma sono felici così, e sarebbero infelici altrimenti.

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49. DEI E UOMINI OZIOSI 10/04/09 - 10:00 Secondo gli antichi greci, il Dio supremo se ne stava lontano dal mondo, in un suo misterioso Aldilà, e non provava alcun interesse né per la creazione, né per noi, e nemmeno per gli altri Dei che da lui erano stati emanati. Reggeva tutto, sì. La sua energia continuava a discendere da lui e a impedire che l’universo scomparisse: ma di come scendesse, e di cosa ne avvenisse, il Grande Dio non sapeva nulla, e si trovava benissimo così. Anche presso altri popoli, e anche in alcune correnti cristiane (gli Gnostici, per esempio), si è configurata quest’idea del Dio lontano, e le varie configurazioni si somigliano talmente tra loro, che gli storici delle religioni hanno stabilito il nome ufficiale di questo fenomeno religioso: Deus otiosus, «il Dio in ozio», così lo si chiama in gergo scientifico – e va notato che otiosus, in latino, non significa «pigro», ma più semplicemente «uno che si prende molto tempo per sé» per fare solo quel che piace a lui. Oltre agli Dei oziosi, alcune religioni ipotizzano anche l’esistenza di uomini a cui i cieli hanno assegnato un otium tutto speciale. Stanno per conto loro, anche questi, e apparentemente non sono utili a nessuno: non inventano, non costruiscono, non curano, non commerciano. Eppure – dice per esempio la tradizione talmudica – è proprio su una trentina di costoro che si regge il mondo intero: nessuno li conosce e nessuno può perciò ringraziarli, ma sono come salde colonne che impediscono al cielo di caderci addosso. I «protetti» dell’Angelo di oggi, come avete letto nel ritratto, sono persone di questo tipo. E vi propongo un episodio della Genesi, che di certo vi piacerà: una volta che YHWH si era messo in mente di distruggere Sodoma (per i ben noti motivi), Abramo provò a dissuaderlo. Uomo buono e pacifico, Abramo provava infatti molta compassione per gli abitanti della città, che YHWH voleva massacrare. «Ma non vorrai uccidere dei giusti insieme agli empi?» domandò Abramo a YHWH. «Cioè?» replicò YHWH. E Abramo: «Se per esempio ci dovessero essere cinquanta giusti, a Sodoma, distruggerai lo stesso la città?» YHWH ci riflettè e rispose: «No, se ne trovo cinquanta non la distruggo». E Abramo: «E se ne trovassi quarantacinque?» YHWH: «Se ne trovo quarantacinque, non distruggo.» Abramo: «E se ne trovi quaranta? O trenta? O venti?» e così via, e YHWH ogni volta rispondeva allo stesso modo. Abramo continuò a contrattare fino a dieci; YHWH promise che avesse trovato dieci giusti in città, l’avrebbe lasciata stare. Al che Abramo, soddisfatto e ottimista, salutò e se ne andò, e YHWH si diresse verso Sodoma, pensando probabilmente «Brav’uomo, quell’Abramo. E simpatico anche.» Di lì a poco Sodoma venne completamente distrutta, con tutti i suoi abitanti, da una pioggia di fuoco e di zolfo. Evidentemente c’erano pochi «protetti» di Mahashiyah, in città, o forse si erano dimenticati di esserlo.

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50. I PREDONI 15/04/09 - 13:28

Ed ecco che tra questi dolci, modesti, mistici Serafini ne compare uno di tutt’altra tempra: Lelehe’el, con il raddoppiamento di quella L che, come ricorderete, è il geroglifico del giungere, del crescere più in là. I suoi «protetti» sono conquistatori rapaci e insaziabili, dirigono la loro travolgente energia verso il mondo e, si direbbe, travolgono continuamente gli altri perché quell’energia non travolga loro – come il condottiero di un’orda di predoni, che se si fermasse durante la carica verrebbe calpestato. Perché, a che scopo la valenza serafinica cambia così di colpo oggi (e poi torna di nuovo, dal giorno 21, verso la mitezza,l’introversione, la dedizione disinteressata...)? La mia impressione è che i Lelehe’el e i suoi «protetti»

rappresentino,nei cieli e sulla terra, il seguente problema, che attende ancora soluzione: come fare in modo che le enormi energie dell’alto dei cieli fluiscano liberamente nel nostro mondo? Il mondo è certamente troppo piccolo, fragile, per loro; l’umanità è troppo impacciata nelle sue regole e consuetudini: se tra cieli e terra si aprissero i confini (e si stesse davvero «come in cielo, così in terra») quaggiù si verificherebbe certamente una catastrofe. Non per nulla la tradizione afferma che sia i Serafini, sia i Cherubini sono sempre avvolti nelle loro larghe ali, e i loro volti non si mostrano mai quando guardano giù, giacché la luce che ne irradia carbonizzerebbe chiunque li vedesse... Lelehe’el, in tale contesto,sembra avere il compito di misurare il grado dell’inadeguatezza del mondo terreno al mondo divino: i suoi «protetti» nascono per produrre crisi, e quante più ne producono, tanto più si può star certi che il momento promesso dal Padre nostro («venga il tuo Regno») sia ancora lontano. Per ora, quando quei suoi «protetti» hanno provato a dare il massimo di sé, han collezionato una gran quantità di risultati sconfortanti: dallo sfacelo diretto da Hitler, alle geniali intuizioni e teorie di Leonardo, che ai suoi tempi parvero a tutti irrealizzabili,insensate... Verrà il giorno in cui i Lelehe’el porteranno soltanto luce e la loro luce sarà accolta? Nell’attesa, gli altri Serafini stanno a guardare, avvolti nella loro modestia, e cercando più in se stessi che fuori, mentre il Creatore e gli uomini di buona volontà cercano, tentano, e rielaborano continuamente modi di risolvere questo problema dell’evoluzione.

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51. DOVE ERAVAMO PRIMA? 21/04/09 - 09:31 Dopo la riflessione sul rapace Lelehe’el, vi risulteranno certamente più chiari i prossimi due Serafini, che nei loro nomi hanno in comune una K, il geroglifico del «tenere sotto controllo». Sia l’Angelo di oggi, ’Aka’ayah, sia il successivo, Kahethe’el, somigliano ad argini, a chiuse di canali: frenano, regolano, deviano – per fare in modo che le irruenti energie divine trovino la loro giusta direzione. A potenziarle di nuovo, una volta che siano ben avviate, ci penseranno poi gli Angeli della Gerarchia successiva, gli esplosivi Cherubini. E tra quelle energie lassù, molto tempo fa, c’eravamo anche noi. Le varie Gerarchie angeliche, dai Serafini, giù giù verso gli Angeli lunari, delineano infatti un ben preciso percorso lungo il quale discende, dall’infinito fino al nostro modo, tutto ciò che deve nascere: esseri viventi, opere, avvenimenti. E nelle Gerarchie si trova perciò la risposta a una di quelle domande che nel Catechismo non sono incluse. Il Catechismo è, come ricorderete, il nome che comunemente si dà a quel prontuario che i cattolici studiano e, in parte, imparano a memoria da bambini: è tutto domande e risposte, la prima è «Chi ci ha creato?» Risposta: «Dio». Poi: «Perché ci ha creato?» Risposta: «Per conoscerlo, amarlo e servirlo». Poi «Chi è Dio?» Risposta: «Dio è l’Essere perfettissimo...» e così via. Manca appunto la domanda riguardo al dove eravamo prima di venir creati – e non certo perché gli estensori del Catechismo non lo sapessero, ma perché non si è ritenuto prudente che certe informazioni si divulgassero troppo. Nell’Angelologia la questione del «dove eravamo» ha invece un posto di tutto rilievo. E l’idea generale è la seguente: eravamo nell’Infinito, nell’Ain-Soph, al di sopra, al di là di tutte le Gerarchie, al di sopra, al di là di tutti i Nomi noti di Dio, al di sopra e al di là di qualunque cosa abbia o possa avere un nome. Non avevamo né tempo, né spazio, né confini, né numero, né io: ognuno di noi, lassù, era tutto e tutti, e tutto e tutti erano noi, in una sconfinata, unica Coscienza mai incominciata e mai finita. Lassù stavamo, evidentemente, benissimo. Poi è toccata a noi: c’è stato bisogno che qualcuno scendesse a fare la sua parte in quel cantiere che è la Creazione - ancor sempre in corso, come già ben sapete. Abbiamo fatto un gran sospiro, e abbiamo dunque intrapreso il viaggio verso il nostro parto. Prima tappa i Serafini, appunto. Indubbiamente siamo arrivati nella loro Sfera (Sephirah, in ebraico) carichi ancora di quell’atmosfera d’infinito, di illimitato da cui provenivamo, ancora increduli all’idea di poter avere dei limiti: ed eravamo proprio simili, allora, ai Wehewuyah del 21-26 marzo. Dopodiché, tra slanci ancora enormi e pressioni moderatrici sempre più nette (tra Lelehe’el e ’Aka’yah), abbiamo cominciato ad adattarci, a capire il rapporto tra il nostro immenso contenuto e la forma, necessariamente ridotta, che avremmo ricevuta. La nostra H ha cominciato a fare i conti con la W, la nostra L con la M e con la K...

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52. I DUE SEGRETI DELLA VOLONTÀ 25/04/09 - 11:43 Quella prima Sfera, o Sephirah, è chiamata in ebraico Kether, che in lingua corrente significa «la Corona», e in geroglifico raffigura appunto l’inizio del processo di incarnazione che tutti noi abbiamo attraversato: «bisogna passare dalla K per venir adeguatamente preparati (Th) a proseguire (R)». E l’ultimo tocco, in questa Sephirah, lo diede l’Angelo di oggi, Kahethe’el, maestro della «modestia» serafinica, grande e risoluto equilibratore, come potete leggere nel suo ritratto. Fu lui, a giudicare dal suo Nome, che ci riepilogò e chiarì definitivamente la lezione dei Serafini: «Solo se sai comprenderti, confinarti, condensarti e dirigerti (K), le energie del tuo spirito (H) avranno quello scopo che a loro occorre (Th)». Perciò alcuni cabbalisti sostengono che la Sephirah Kether, la Corona, sia la sede della suprema Volontà e dei suoi segreti. Tali segreti della Volontà sono, in sostanza, due. Il primo è che la volontà è proprio il contrario di quel che i più si immaginano che sia: è uso pensare che «volere» sia uno sforzo, che occorra produrre volontà dal nostro animo così come si spreme un limone... Ma niente affatto: nulla in te è più abbondante della volontà, tutto il tuo essere è fatto di volontà della miglior specie, e ne trabocchi di continuo. E se a volte ti sembra che te ne manchi, è solo perché hai evidentemente dimenticato le lezioni di Kahethe’el (d’altronde è passato tanto tempo da allora), e cioè che per rendere produttiva la tua volontà devi semplicemente LIMITARLA. Accorgiti di quante cose vuoi in ogni momento (migliaia), ed eliminane per ora il più possibile: riducile a dieci, tre, a una... E la tua volontà sarà talmente potente da guidarti verso l’obiettivo, come per magia. In tale operazione di riduzione, tieni inoltre presente che non deve esserci sforzo alcuno. È proprio il contrario di una costrizione: stai solo rilassando una gran parte di te, smettendo di tendere la tua volontà in tutte quelle direzioni – spesso diametralmente opposte le une alle altre. Il secondo segreto deriva direttamente dal primo e, in parte, lo conoscete già: che tu te ne accorga o no, la tua volontà agisce sempre e in tutto. Nella vita ti capita infatti soltanto ciò che tu hai semplicemente voluto. SEMPLICEMENTE: dal latino simplex, che significa «piegato una sola volta» - cioè non spiegazzato, non ciancicato. Nella vita ti capita, insomma, ciò che un giorno hai deciso di volere senza poi ripensarci più, senza valutare pro e contro, o tua dignità, capacità o incapacità, e senza complicarti l’animo con ragionamenti del tipo «devo volere quella tal cosa», «vorrei volere quell’altra cosa», «è bene che io voglia...» - senza cioè che altre tue volizioni o non volizioni interferiscano. Quasi sempre quel tuo semplice e potentissimo atto di volontà è durato un istante: un lampo di chiarezza nel fluire della tua spiegazzatissima vita interiore. È stato talmente breve che, magari, non te ne sei nemmeno accorto; ma qualche centinaia di quei flash, ogni giorno, danno forma alla tua sorte e alla tua parte di mondo. E – naturalmente – in quegli istanti la tua volontà era potuta essere tanto semplice e chiara, proprio perché esprimeva direttamente ciò che tu pensi di te, ciò che tu credi (o hai accettato di credere) di meritare o non meritare. E dunque: ti capitano cose scadenti, deprimenti? O insignificanti, tanto che sembra non capitarti mai nulla? Be’, Kahethe’el ti aveva avvertito di usare la K. Comprenditi, accorgiti di te, dirigiti – ti aveva detto lassù – e con quella K proteggiti anche, da chi ti fa credere cose sbagliate riguardo a te stesso, o dalle idee sbagliate che ti fai di te. La tua volontà agirà sempre, sappilo, e dunque abbine cura (altra K, anche in questa parola).

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Che volete farci, dimenticarsene è la cosa più naturale del mondo: quando passavamo dalla Sephirah dei Serafini stava cominciando ad esistere soltanto la volontà (e dunque la possibilità) che noi nascessimo. I nostri due genitori non si erano ancora conosciuti, magari erano appena nati anche loro. E tante altre cose abbiamo dovuto imparare poi, nelle altre Sfere, prima che alla mamma cominciassero le contrazioni...

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53. I CHERUBINI 01/05/09 - 11:40 La seconda Sephirah, quella dei Cherubini, si chiama in ebraico Khokmah che in linguaggio corrente significa «la Sapienza». In geroglifico (ormai siete abbastanza esperti e lo vedete da voi) Khokmah, KH-M-K-H, è formata da alcune lettere principali della sfera precedente con più l’iniziale KH, che è il simbolo del lavoro, della concretizzazione. Compito generale dei Cherubini è precisamente dare inizio alla realizzazione delle energie destinate a nascere – e infatti il primo Cherubino, l’Angelo di oggi, ha un Nome che da questo punto di vista è tutto un programma: Haziy’el, «l’energia spirituale (H) riceve una sicura direzione (Z) verso quello che sarà il suo manifestarsi nel mondo (Y)». Certo, ai livelli della Sephirah Khokmah, direzione non significa ancora indirizzo, non è qui il luogo dove si sono cominciati a fare progetti dettagliati su quelle che sarebbero state le vostre capacità e aspirazioni, e le circostanze della vostra vita. I Cherubini sono incaricati piuttosto di progettare, diciamo così, i vostri dispositivi direzionali – come ingegneri che stiano lavorando alla meccanica di un nuovo tipo di missile teleguidato. Se ne parla abbondantemente nella Bibbia, là dove la Khokmah viene personificata in una sorta di Grande Assistente del Dio Creatore, e dice: Dall’eternità io sono stata costituita, fin da principio, dagli inizi della Terra. Quando non esistevano ancora gli abissi, io venni generata; quando ancora non vi erano le sorgenti, prima che fossero fissate le basi dei monti, prima delle colline io sono stata generata. Quando Dio disponeva le fondamenta della terra, allora io ero accanto a lui, come suo architetto, ed ero la sua delizia ogni giorno... Proverbi 8,23-30 Vi era infatti nella religione antica l’idea di una componente femminile del mondo divino, capace di architettare, di rendere possibile la costruzione. E risaliva a una tradizione regale egizia: nell’antico Egitto il Faraone è sì un maschio, e regna, ma a decidere chi di volta in volta sarà Faraone è una donna, la principessa della casa reale – lei ha il potere su chi ha potere. E la nostra parola «sapienza» (molti vostri conoscenti non lo sanno) indica appunto la superiore capacità di sapere come adoperare praticamente le cose che si sanno e le capacità che si hanno. Questa sapienza è

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appunto ciò che abbiamo ricevuto durante il nostro soggiorno tra i Cherubini. Non per nulla, come avete letto nel ritratto, nei giorni di Haziy’el sono nati Machiavelli e Marx, che su tale sapienza hanno strutturato le loro opere fondamentali... E neanche a dirlo, questa sapienza, appunto perché ci viene impartita tanto presto e tanto in alto, poi nella maggior parte dei casi si dimentica. Allora scende, talvolta, a cercare chi l’ha dimenticata. Sempre nei Proverbi si legge: La Sapienza grida per le strade, nelle piazze fa udire la sua voce, dall’alto delle mura essa chiama: Fino a quando amerete l’inesperienza, e i beffardi potranno vantarsi delle loro beffe e gli sciocchi avranno in odio la conoscenza? Ascoltatemi... Ma mi cercheranno, e non mi troveranno. Hanno imparato a odiarmi. Proverbi 1,20 ss È appassionante e angosciosa questa Sapienza che dà tutta se stessa e non è più accolta, fin dai primordi. E i Cherubini rispecchiano, come vedremo, entrambi i suoi aspetti.

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54. ’ALADIYAH E ALADINO 06/05/09 - 19:05 Nell’Angelo di questi giorni spicca soprattutto l’aspetto generoso dei Cherubini. L’abbondanza, la gioiosa disponibilità, l’ospitalità sono tratti caratteristici di Khokmah-Sapienza: La Sapienza si è costruita la casa, ha preparato i cibi, ha imbandito la tavola. Ha mandato le sue ancelle a proclamare Sui punti più alti della città: «Chi ancora non sa corra qui!» A chi è privo di senno essa dice: «Venite, mangiate il mio pane, bevete il vino che ho preparato!» Proverbi 9,1 E infatti i «protetti» di ’Aladiyah, quando sono veramente se stessi, sono generosi di ogni loro avere. La loro grande energia terapeutica (v. la puntata 8) è anch’essa una forma di dono di sé, che essi non possono trattenersi dal fare – e sempre con l’intento cherubinico di orientare e riorientare, di raddrizzare, programmare e riprogrammare energie in eccesso, come sono appunto quelle che in noi producono le malattie. E il loro Nome non è forse «Io cresco (’L) nel dare (D)»? Per di più somiglia talmente a quello del protagonista della celebre fiaba sulla magia dell’abbondanza, Aladino: e diventerete come Aladino anche voi, se avrete la fortuna di incontrare uno di questi Aladiani, e di farvelo amico! Ma se leggete attentamente il ritratto, vedrete che anche l’altro aspetto della Sapienza è inscritto spesso nel loro destino: la delusione, per aver dato troppo e invano, per aver visto sprecati, sottovalutati, dimenticati i loro doni. Che farci! I «protetti» di ’Aladiyah hanno, in genere, spalle abbastanza robuste per sopportare l’amarezza, e cuore abbastanza grande per gioire comunque – nonostante tutte le disillusioni precedenti – quando capita loro qualcuno che sa accogliere, meritare e far fruttare la loro munificenza. Così anche voi, se volete far felici quei Cherubini che lassù vi avevano dato lezione ed equipaggiamento, basta che riscopriate le vie della Sapienza, vi riaccomodiate alla sua tavola e mangiate e beviate, come dice la Bibbia. Dove ritrovarla? È facile contemplarla, per chi la ama, la trova facilmente chi la cerca. Chi si alza di buon mattino non faticherà:

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la troverà seduta sulla sua porta... Ed essa stessa va in cerca di chi è degno di lei, appare loro per la via, sorridendo, va incontro loro, con ogni benevolenza. Sapienza 6,12 Sono versi simbolici, certo. Ma vi garantisco che non sono affatto difficili da decifrare. Provate.

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55. I GUARDIANI DELLA SOGLIA 11/05/09 - 09:00 Non tutti i Cherubini sono semplicemente generosi come ’Aladiyah. L’Angelo di questi giorni e il successivo impersonano soprattutto l’altro aspetto della loro Gerarchia, la durezza. Sono in un certo senso guardiani della soglia, diretti discendenti delle prime figure angeliche che compaiono nella Bibbia – quei Cherubini, appunto, a cui YHWH assegnò il compito di sorvegliare un importante posto di confine. Ricordate come avvenne? YHWH aveva appena scoperto il furto dei frutti della conoscenza, era molto indignato (almeno in apparenza) e turbato: diceva tra sé e al Dio Creatore: «Ecco! L’adam è diventato come uno di Noi per la conoscenza del bene e del male! Ora bisogna impedire che stenda ancora la mano, e che prenda magari i frutti dell’Albero della Vita: se no me mangerà, e vivrà per sempre!..» Genesi 3,22 Era decisamente agitato, come sempre lo è YHWH quando l’uomo si evolve o rischia di evolversi troppo. E Scacciò dunque l’adam e pose a oriente del Gan ‘Eden i Cherubini e il bagliore della spada che gira su se stessa, perché custodissero la via verso l’Albero della Vita. Genesi 3,24 So cosa penserete: «È imbarazzante... Un Dio tanto insicuro, tanto geloso dei suoi divini privilegi, tanto timoroso dell’uomo!» Ma del caratteraccio di YHWH abbiamo già parlato altre volte. Ora richiamo la vostra attenzione su quella «spada che gira su se stessa» e che manda una gran luce. Potete facilmente immaginare quanti tentativi siano stati fatti, nei millenni, per interpretarla. A mio parere, quella spada che ci vieta il cammino è uno specchio: spesso le lame erano usate come specchi, nell’antichità, e le immagini, negli specchi, girano davvero su se stesse, e la sinistra diventa destra e viceversa... È uno specchio affilato – una spada – e manda una gran luce: e lì è il suo segreto, è a quella luce che tocca il compito di di abbagliare, confondere, spaventare chi vuol salire verso l’Albero della Vita, cioè verso una fonte di conoscenza e d’energia ancor più alta dell’Albero del Bene e del Male. Ma - l’avete già intuito - la luce che vedete in quello specchio non può che essere la vostra, riflessa lì. E ciò sicuramente può sconvolgere la gran maggioranza degli uomini, talmente abituati a pensare di valere poco, di non pensare mai nulla di intelligente, e spaventati tanto spesso dai loro stessi pensieri: chi di costoro si trovasse d’un tratto davanti a un’immagine splendente, abbagliante di se stesso, con ogni probabilità ricadrebbe indietro sbalordito, pensando «Non sono certo io! Chissà cos’è, chissà quale essere tremendo mi ha squadrato da lassù... Meglio stare alla larga!» E da tempo immemorabile i Cherubini osservano da lassù questa nostra pusillanimità. Voi ne sapete niente? Vi risuona? Anche per questo i «protetti» dell’Angelo di oggi – ai quali tocca in sorte proprio la vocazione

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della Soglia, della scoperta dell’Aldilà – si dividono in due categorie: i felicissimi, che hanno avuto fiducia in se stessi (o meglio, non hanno avuto paura del proprio bagliore) e hanno osato varcare qualche confine nella loro vita; e gli infelici, amari, invidiosi, che han pensato «Be’ no, meglio di no» e sono rimasti fuori, e sperano che tanti altri rimangano tagliati fuori, da quello specchio-spada, proprio come loro. Ne conoscete certamente qualcuno...

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56. L’ALBERO DELLA VITA 16/05/09 - 10:53 L’Angelo di oggi, anche lui un Cherubino-Guardiano, è più estroverso del precedente: i suoi «protetti» hanno l’impulso a valutare non tanto la propria dignità, la propria forza di reggere a quel «bagliore», ma la dignità e la forza altrui. E concedono ad alcuni e ad altri negano, e dicono e non dicono, e si fidano e poi ci ripensano, com’è appunto spiegato nel loro ritratto angelico. Ma ciò che ancora non abbiamo spiegato è cosa sia quell’ALBERO DELLA VITA che YHWH voleva tener precluso all’uomo, e che pare faccia «vivere in eterno». Eccolo qua:

Sembra un albero di Natale, vero? Con le palline colorate, e i festoni... E infatti sono quasi sicuro che l’abete natalizio sia precisamente un modellino dello ‘Ets Khayym, dell’Albero della vita, cioè, di cui narra la Genesi. L’uso dell’abete nacque in Germania, pare, nel Cinquecento, e certamente interpretò le memorie degli antichi culti vegetali e soprattutto dell’Yggdrasil, l’Albero Cosmico su cui, secondo le antiche tradizioni nordiche, si reggeva l’universo. Ma quelle sfere e quei festoni CONGIUNGONO indubbiamente l’Albero nordico con quello della tradizione ebraica, che ha per di più la stessa funzione: reggere l’universo intero, e in più mostrarne la dinamica, l’energetica segreta. Fu una congiunzione voluta? In Germania, nel Cinquecento, la Qabbalah fioriva e i suoi maestri erano stimati: forse l’immagine del loro ‘Ets Khayym colpì la mente di brave persone, che ne trassero ispirazione per la festa cristiana.

O fu un «caso»: l’archetipo dell’Albero cosmico, cioè, riemerse in quell’epoca in Germania, proprio quando vi fioriva la Qabbalah – come se vi fossero segreti vasi comunicanti, nell’inconscio dei popoli, e telepatie multiple. Qualcuno «vide» l’Albero della vita, così carico di sfere intercomunicanti, e DOVETTE dargli forma (si ha sempre un forte impulso a dare forma a ciò che ci capita di «vedere» spiritualmente), e in quella forma molti e molti altri riconobbero qualcosa che albergava, cresceva anche in fondo alla loro mente... Del resto, non dicevo proprio all’inizio di questo blog che la Qabbalah non si impara, ma si impara soltanto ad accorgersi di conoscerla già, e di poterne ritrovare il ricordo dentro di noi? Certo, nell’Albero di Natale le sfere colorate sono divenute tante. Nell’Albero della vita sono invece undici, come vedete nell’illustrazione; e sono proprio le Sephiroth: quella in cima a tutte è Kether, dei Serafini (v. la puntata 52), quella più giù, sulla destra, è Khokmah, dei Cherubini. Poi passeremo a quella in alto a sinistra, Binah, dei Troni, e poi più giù. Quei «festoni» che le collegano sono in realtà canali, e sono il percorso, il gioco dell’Oca (altro ampio argomento esoterico), che tutti abbiamo percorso per arrivare fino alla sfera in fondo alla tutte le altre, Malkuth, ovvero «il Regno», che è il luogo dove ci troviamo ora, la nostra dimensione terrena. Lì si arriva nascendo e da lì – anche se non tutti sono d’accordo su questo – si risale alla fine della vita, ripercorrendo l’itinerario dal basso in alto fino a Kether e più su ancora, dove si deciderà se restare beatamente nell’infinito Io-non-io, o se tornare giù a fare qualche altra esperienza, in cerca di gloria, di riscatto, o penitenza, o magari in missione. Quanto al «vivere in eterno», bisogna intendersi: non significa

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vivere senza morire mai per un tempo infinito. Questo si chiamerebbe «vivere moltissimo» e sarete d’accordo con me che, dopo qualche secolo o millennio, risulterebbe un po’ noioso. No: «vivere in eterno» significa vivere NELL’ETERNO, in una dimensione che non ha il tempo, e nella quale ogni singolo attimo è perciò infinito e aperto su tutti quanti gli infiniti. È la dimensione della contemplazione, dell’emozione che dà la scoperta: basta un pochino di questa eternità per moltiplicare meravigliosamente la propria crescita interiore... E questo infastidiva YHWH (o così Lui volle far sembrare) perché a forza di crescere talmente, gli uomini sarebbero diventati ben presto e davvero «come uno di Loro».

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57. L'ANDROGINO ORIGINARIO 21/05/09 - 11:40 A proposito di Adamo e della sua compagna, forse avrete letto da qualche parte che, secondo molti studiosi, ’Elohim all’inizio avrebbe creato un androgino – come se l’Angelo di questi giorni gli fosse servito, in quel momento, da principale consulente. In parte, tale ipotesi è infondata, e dipende dalla scarsa conoscenza che quei molti studiosi hanno del testo ebraico; nelle traduzioni consuete si legge infatti: Dio li creò maschio e femmina. Genesi 1,27 E siccome subito dopo nel testo si narra di un solo Adamo, si potè pensare che costui riunisse in sé i due sessi, e che la creazione di Eva dalla costola di lui fosse stata una specie di scissione di quel che prima era un intero. Ma, come voi sapete, ’adam in ebraico corrente significa tutta l’umanità, tutte le femmine e tutti i maschi, il che permette di spiegare più tranquillamente quel passo della Genesi. In parte, tuttavia, l’idea dell’androgino originario ha una sua validità, da cercarsi un po’ più in profondità nel testo biblico. Come ricorderete, a un certo punto l’’adam «si addormentò» (Genesi 2,21) e DIVENNE DUE: un ’ysh e una ishah, un principio maschile e un principio femminile, yang e yin (adeptus e soror, come dissero poi gli alchimisti medievali) e dei due soltanto il femminile vedeva nell’invisibile e guidava verso la conoscenza. Dante, nella Divina Commedia, lo rinarra nel personaggio di Beatrice. Dopodichè, l’’adam ridivenne uno, anche se ciò sfugge alla grande maggioranza dei lettori della Bibbia: YHWH Scacciò l’’adam dal Gan Eden. Genesi 3,23 Scacciò lui solo, verso l’esistenza terrena, mentre la sua compagna esperta d’invisibile restava in alto, dove la potrete sempre ritrovare. In alto: al di là di quel confine sorvegliato dai Cherubini, con il loro specchio-spada... Ed ecco qui uno dei principali segreti dell’Angelo di oggi. Vi avevo detto che i Cherubini si incaricano di progettare i vostri dispositivi direzionali (v. la puntata 53) e il nostro sesso è appunto una delle direzioni che la nostra energia ha cominciato a prendere uscendo dalla loro Sephirah. Quando eravamo là, invece, tale direzione non c’era ancora: là le potenzialità yin e yang, l’’ysh e la ishah, erano ancora equivalenti in noi. Là dovette giungere l’’adam, quando «si addormentò» quella volta. E Yezale’el è l’Angelo in cui questa pienezza androgina si mantiene e – notate bene – VIENE RIPROPOSTA all’umanità, all’adam. Imparare da Yezale’el, sia per i suoi «protetti» sia per tutte le persone di buona volontà, significa appunto riscoprire quella nostra doppia energia originaria, ed è una delle scoperte più fruttuose che possiate compiere. Fate un esperimento: chiedete a un vostro conoscente di dare un’occhiata a una stanza, per dieci secondi, e chiedete di far lo stesso a una vostra conoscente. Poi fatevi dire cos’hanno visto, e

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valutate le differenze. Una donna nota cose diverse da quelle che nota un uomo, e viceversa. Non sarebbe un enorme vantaggio, per te, poter notare contemporaneamente ciò che notano entrambi, quando guardi o pensi una qualsiasi cosa? Non cambierebbe moltissimo nella tua vita? Provate a parlarne con qualche Yezale’el già risvegliato, già fedele a se stesso. Tra le soprese che avrete, una delle prime sarà accorgervi che, in realtà, i maschi vedono nelle donne soprattutto l’immagine riflessa (e sempre fraintesa) della propria profonda natura femminile, intuitiva, libera; e così pure le donne vedono nei maschi l’immagine riflessa (e sempre fraintesa) della propria natura maschile. E sia i maschi che le donne si sforzano di impersonare ciò che in tal modo l’altro sesso vede in loro, invece di provare ad essere se stessi in tutte le proprie nature... I Cherubini, lo sapete, sono specialisti dello specchio!

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58. IL GIUSTIZIERE 27/05/09 - 09:35

L’Angelo di oggi è specialista di etica: nella Sephirah dei Cherubini, Mebahe’el dev’essere di certo il responsabile dei dispositivi direzionali del bene e del male. Ma, a differenza dell’Angelo precedente, non vi conduce a una comprensione e integrazione di quelle due direzioni, non vi mostra un po’ di male nel bene e un po’ bene nel male: non è affatto dialettico in tal senso, bensì picchia duro. Si esprime in lui l’aspetto più duro, violento, addirittura catastrofico dei Cherubini. YHWH li scelse come custodi della via proprio per questa loro componente minacciosa. Li scelse anche per distruggere Sodoma – e trasformarono la moglie di Lot in una colonna di sale

solo perché, fuggendo dalla città, si voltò un momento a guardare. Steven Spielberg li ha raffigurati in una delle ultime scene de I predatori dell’Arca perduta, e magistralmente: vi ricordate? Dall’Arca si alzavano in volo alcuni Angeli bellissimi, ma Indiana Jones avvertì subito chi era con lui di non guardare: un istante dopo, infatti, quegli Angeli si trasformano, divengono ferocissimi, e si scagliano sui cattivi di turno, gli odiati nazisti, polverizzandoli. Il professor Jones era infatti un notorio esperto di testi sacri: sapeva che sul coperchio dell’Arca si trovavano, fin dai tempi di Mosé, due Cherubini pronti a scattare, e sapeva di cosa erano capaci… Al che si pone la solita, facilissima e terribile domanda: perché questa Squadra di distruttori alati, SE ESISTE, non interviene più spesso nelle vicende umane? Forse perché NON ESISTE, ed è soltanto un simbolo, e la si può vedere all’opera solo nei libri sacri o nei film? In parte sì, è così: di per sé non esiste. Abita e agisce nella Seconda Sephirah, molto al di sopra, cioè, del livello della nostra esistenza. Ha il compito di formare, istruire noi, ed esclusivamente da noi dipende, perciò, la possibilità di far esistere e fruttare le lezioni dei Cherubini nel nostro mondo. La domanda dunque va girata innanzitutto ai «protetti» di Mebahe’el: perché FATE ESISTERE così poco i vostri Angeli nel mondo? Ci rimettete voi, perché chi non segue il proprio Angelo è sempre piuttosto infelice, e ci rimettiamo tutti, perché se faceste quel che avete imparato a fare lassù le cose andrebbero molto meglio per tutti. In secondo luogo, la domanda va girata anche a noi: perché non prendiamo un po’ di lezioni da Mebahe’el e non le mettiamo in pratica? E qui, fate i vostri conti e rispondete ciascuno per sé.

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59. LA TORRE DI CONTROLLO 01/06/09 - 20:12 In fatto di dispositivi direzionali, l’Angelo di oggi si direbbe il più SAPIENTE di tutti i Cherubini – nel senso stretto del termine sapienza: il saper come indirizzare e adoperare le nostre conoscenze e abilità. Hariy’el, da questo suo altissimo punto di vista, sa e insegna ai suoi «protetti» a saper gestire, valutare, apprezzare tutte le direzioni: faticosissimo incarico! Richiede un perenne trascendersi: gli Harieliani devono avere il coraggio di porsi al di sopra degli altri e, al contempo, di superare continuamente se stessi – come se il loro io non potesse sentirsi realizzato se non identificandosi il più possibile con quello che gli psicologi chiamano il Sé (e che io e alcuni miei amici preferiamo invece chiamare Io grande). Ma, come è noto, tra l’io cosciente (o io piccolo) e il Sé (o Io grande) non vi è contatto razionale, non vi è un ponte che la mente riesca a spiegare o tantomeno a controllare: ed entrano in gioco altre facoltà della nostra psiche, forme di intuizione e conoscenza tutte speciali, che vanno dal sogno, a quel «qualcosa» che ci fa cogliere le coincidenze, agli archetipi, e via via fino a quelli che in tutto il mondo sono chiamati Spiriti guida (e che nel cristianesimo vengono a coincidere talvolta con i Santi, o con le anime del Paradiso, o addirittura con gli Angioletti tradizionali). Ne consegue che i «protetti» di Hariy’el, per sentirsi a posto, dovrebbero dedicarsi a far funzione di Spirito guida, come secondo o addirittura come primo lavoro? Eh sì. E ricordo con grande piacere un mio longevo conoscente, nato ai primi di giugno di quasi novant’anni fa. Quando gli raccontai com’era il suo Angelo, ci rifletté per qualche istante e poi disse: «Be’ sa, i primi ottantun’anni della mia vita non sono stati gran che. Niente di brutto, beninteso, ma non mi sembrava di essere io a viverli, o almeno non del tutto, mi capisce?.. Poi, a ottantadue, mi hanno incaricato di dirigere il Dopolavoro. E lei non ha idea di cosa sia veramente un Dopolavoro, in una cittadina come la nostra. Sa, lì arrivano tutte persone della mia età, e anche di più. E ci sono tante cose che non hanno avuto, nella loro vita, o che non hanno più: e vorrebbero averne, nel tempo che gli rimane. E me ne occupo io. Organizzo i balli, le gite, le feste, le idee per la beneficienza. Ho tutto il tempo che voglio, non ho più nessuno a casa, io. Faccio in modo che siano contenti e con un sacco di cose interessanti da fare. E adesso sì, che sento di essere io, a vivere. Come ha detto che si chiama quel mio Angelo lì?..» Ecco un Hariy’el esemplare. Una domanda logica, a questo punto, sarebbe: ma la ricompensa qual è, poi, per gli harieliani che accettino di darsi tanto da fare? Solo la soddisfazione di essere veramente se stessi? O magari vanno in Paradiso o altre cose del genere? Vanno decisamente dritti in Paradiso, secondo me, ma non nel senso postumo che si intende di solito. Ci vanno nel senso che qui, sulla terra, ritrovano e realizzano le lezioni e la via che hanno appreso lassù, e in tal modo risalgono l’Albero della vita, fino al punto dove c’è quel tale specchio-spada: lo guardano, dicono «Be’, è ovvio, sono io quello» e proseguono ancora la bella salita.

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60. LA TECNOLOGIA E L’INVISIBILE 06/06/09 - 10:13 Ricordo che provai un certo stupore inquieto quando, raccogliendo i materiali per il mio libro sugli Angeli, scoprii che George Stephenson, l'inventore della locomotiva, era nato sotto il Cherubino Haqamiyah. E a colpirmi non fu tanto la coincidenza (o diciamo meglio: la coerenza) tra l’idea di comprimere il vapore per produrre lavoro, e la principale dinamica di quest’Angelo, che è appunto compressiva (Q e M!) e produttiva: come vedrete sfogliando i ritratti angelici, di coincidenze-coerenze del genere ne capitano a decine per ciascun giorno dell’anno. Mi colpì invece questa ulteriore conferma dello strano rapporto che (avete mai notato?) sembra esservi tra le più celebri invenzioni tecnologiche e tante cose che avvengono nei mondi invisibili. Stephenson realizza, nella sua invenzione, un modello meccanico di una facoltà del suo Angelo: come se in qualche modo l’avesse VISTO, e non avendo le parole per desciverlo, avesse usato il metallo, i numeri, i calcoli. E Alessandro Volta, che nella sua pila RAFFIGURÒ, di fatto, il versetto «sia fatta la Tua volontà come in cielo così in terra», mettendo appunto in contatto un polo alto e un polo basso, e constatando che tra i due passava energia? E Edison, che produsse luce inserendo una resistenza in un circuito, non mise forse in pratica la famosa frase ««si fa più festa in cielo per un peccatore che si accorga, che non per novantanove giusti che non si accorgano di nulla»? La «festa» è la luce, i «novantanove giusti» sono il circuito, il «peccatore» è la resistenza che, attraversata dall’energia del circuito stesso, produce un fenomeno che il circuito di per sé non avrebbe prodotto mai. Non solo: anche nella scienza ci sono scoperte tanto archetipiche. Basti pensare alla funzione dei due emisferi cerebrali, scoperta da Perry negli anni Settanta: l’emisfero destro che non conosce limiti, e il sinistro espertissimo invece di tutto ciò che è limitato. Abbiamo già parlato di Gesù che consigliava, ai suoi discepoli in crisi, di gettare la rete a DESTRA della barca (v. la puntata 30). Ora, date un po’ un’occhiata allo schema dell’Albero della Vita, e ditemi se non vi ricorda il reticolo degli elettrodi di un encefalogramma – visto dal basso, con la Prima Sephirah che corrisponderebbe alla nuca, e l’ultima, Malkuth, alla fronte e agli occhi. In più, sappiate che le tre linee, o assi, o «colonne» dell’Albero della Vita hanno anch’esse una precisa funzione: quella centrale è l’equilibrio, quella di sinistra è la «severità», e giudica e delimita, e quella di destra è la «grazia», ovvero l’abbondanza illimitata. Come se il dottor Perry lo sapesse, o come tremila anni fa (lo schema dell’Albero della Vita è documentato nella Genesi) lo sapessero già... Voi che ne pensate? Forse è soltanto perché l’umanità non scopre veramente mai nulla di nuovo, ma non fa che riscoprire-riesprimere in modi diversi ciò che sapeva già all’inizio? O forse è perché qualche millennio fa gli uomini ne sapevano molto più di noi, al contrario di quel che noi tutti abbiamo sempre creduto? Oppure la questione è un’altra, e ancor più appassionante: forse la ricerca tecnologica e scientifica è anch’essa una forma di creatività, e come tale produce risultati solo quando chi la pratica sa raggiungere una certa intensità e altezza interiore – e da quell’altezza si vedono sempre le stesse realtà, come chi veleggiando lungo una costa vede le stesse cose che hanno visto tanti altri lì, prima di lui?

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Nel primo caso, non resta che dire, come Salomone, «non c’è nulla di nuovo sotto il sole». Nel secondo caso, si hanno molte ragioni in più per considerare lo studio dei testi sacri non come una forma di archeologia, ma come una paradossale attività di scavo nel nostro futuro – in ciò che possiamo ancora «scoprire», e che in questi testi, appunto, era scritto già. (D’altronde, una famosa frase di Nikola Tesla, inventore geniale, era «Mia madre mi ha insegnato a cercare ogni verità nella Bibbia»). Nel terzo caso, diventa decisamente urgente la voglia di saperne di più su quella costa, su quelle realtà che si vedono da una certa altezza interiore. Voi quale preferite? Io le ultime due. E ci penso di continuo.

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61. GLI ANGELI DELLA TERZA SFERA 11/06/09 - 09:00 Con l’Angelo di oggi si entra nella terza Sephirah, chiamata Biynah – da biyn, che in ebraico è «il capire». Biynah, infatti, è soprattutto la fase dell’Intelligenza: B-Y-N, cioè «la consapevolezza (B) di come si manifestino (Y) le cose create (N)». Qui dunque ognuno di noi ha imparato a scoprire da che cosa derivi, a cosa appartenga, in che cosa sia contenuto (B) tutto ciò che può cominciare a esistere (YN). Da qui, evidentemente, si poteva contemplare l’intero sistema (B) dell’Albero della Vita, e gli Angeli di Biynah, i cosiddetti Troni, te lo descrivevano nei dettagli, con precisione rigorosa: come vi ho infatti accennato nella scorsa puntata, la «Colonna di sinistra» dell’Albero – alla quale appunto appartiene Biynah – è quella che corrisponde al nostro emisfero cerebrale sinistro, e perciò alla nostra esigenza di confini, delimitazioni, nette proporzioni, calcoli, meccanismi...

Nei «protetti» dei Troni (da oggi fino al 23 luglio), quando tutto va bene, rimane assai pronunciata questa voglia di comprendere sempre più in là, di risalire con l’intelletto dal visibile all’invisibile. E proprio da questa voglia – e dal rifiuto di accontentarsi di ciò che già si sa di qualcosa – deriva anche la loro proverbiale tendenza alla disobbedienza. Voi magari noterete qui una contraddizione psicologica: siamo nella «Colonna di sinistra», così precisa e rigorosa, eppure queste settimane pullulano di compleanni di ribelli, di outsider, di eretici. Ma è facilmente comprensibile, e proprio in termini di psicologia spicciola: proprio perché nella loro mente sono talmente precisi e rigorosi, i «protetti» dei Troni tendono a non tollerare la precisione e la

rigorosità altrui. La trovano insufficiente, approssimativa, e quanto più sono fedeli a se stessi ed estroversi, tanto più li prende la smania di buttare all’aria i sistemi altrui, o di ignorarli totalmente, per costruire i loro sistemi. Anche per questo, forse, sono così spesso esuli o perenni viaggiatori (Dante, Yeats, Che Guevara, Stravinski, Hermann Hesse, la Fallaci, Garibaldi, Hemingway...): perché in patria risultano facilmente antipatici a moltissimi. E non che vi sia nulla di male: vi ricordate? «Lascia la casa di tuo padre, la tua patria... e va' a cercare te stesso». Ai cercatori spirituali l’estero fa sempre bene.

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62. GLI SCANDALI 16/06/09 - 09:28 Nel nome della terza Sephirah, Biynah, compaiono le due lettere che in ebraico significano «figlio»: BN. E infatti uno dei compiti che la tradizione attribuisce ai Troni è proprio quello di individuare coloro che saranno i vostri genitori. Certo, è ben chiaro il senso simbolico: dicevamo la scorsa puntata che questi Angeli ti insegnano a capire da cosa derivino le cose, i fenomeni, i fatti del mondo, e dunque a «trovare i genitori», le origini, le cause di tutto. Ma non avviene mai che il contenuto di un simbolo annienti la sua forma: e siete perciò liberissimi di immaginare che, proprio quando soggiornavate in Biynah, i Troni nelle loro maestose vesti grigio-mercurio (tale è il loro colore) scelsero insieme con voi la donna e l’uomo da cui poi voi sareste nati, E NON SARETE LONTANI DAL VERO. Poi, naturalmente, si sarebbe trattato di farli incontrare, conoscere, andare d’accordo quanto bastava – ma a questo avrebbero provveduto gli Angeli di altre Sephiroth più vicine alla terra. Ai Troni importava soltanto il piacere della pianificazione, il progetto di una B adeguata alle vostre future caratteristiche... Non deducetene tuttavia che i Troni – e i loro «protetti» - siano particolarmente legati ai valori coniugali, alle famiglie ben compatte. Tutt’altro! In primo luogo, chi ha mai detto che occorra per forza una famiglia rispettosa delle istituzioni, per mettere al mondo un nuovo individuo? La storia sacra è, viceversa, piena di personaggi illustri nati e cresciuti al di fuori dei vincoli famigliari tradizionali: da Mosé, a Salomone, fino allo stesso Gesù, il cui babbo notoriamente non era il falegname Giuseppe. In secondo luogo, vi ho già detto della tendenza alla disobbedienza, che è specifica di questa Sephirah. E i «protetti» dell’Angelo di oggi – disobbedientissimi! – hanno appunto nei rapporti sentimentali e sessuali uno dei loro prediletti territori di irregolarità. Nel loro ritratto spiego che sono portati agli scandali, cioè a creare addirittura imbarazzo con i loro comportamenti. È male ciò? Secondo le traduzioni consuete dei Vangeli è assai riprovevole: se avete a casa un’edizione delle Scritture potete infatti leggere questo passo molto minaccioso: È inevitabile che avvengano gli scandali; ma guai a colui per il quale avvengono! Sarebbe meglio per lui che gli fosse messa al collo una macina da mulino, e che fosse gettato in mare, piuttosto che scandalizzare uno solo di questi piccoli. Luca 17,1-2 Ma badate, è un grave errore di traduzione. Nel testo greco la parola «scandalo» è skandalon, che significa non già «comportamento contrario alla morale corrente» bensì «insidia, tranello, trappola». Quelli con cui Gesù se la prende qui, dunque, non sono gli irregolari, ma i falsi maestri, i mascalzoni che ingannano chi si fida di loro – ivi compresi quelli che hanno tradotto così male un testo che in greco era tanto chiaro. Quanto invece agli «scandali» come li si intende di solito, sapete bene che Gesù non ha mai smesso di provocarne per tutta la sua vita pubblica, da quando

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rovesciò i tavoli dei cambiavalute nel Tempio fino a quando prese Maddalena come discepola prediletta. In un altro passo di Luca si legge: Se ne andava predicando. C’erano con lui i Dodici e alcune donne che erano state guarite da spiriti maligni e da varie infermità: Maria di Magdala, Giovanna moglie di Cusa, amministratore di Erode, Susanna e molte altre, che si aiutavano con i loro beni. Luca 8,1-3 Notate che quella tale Giovanna era moglie – e non vedova o ex moglie – dell’amministratore di Erode: ma seguiva Gesù, e non occorre grande perspicacia per accorgersi che l’intento dell’evangelista, qui, era di far notare un comportamento che chiunque all’epoca avrebbe considerato compromettente. Per non parlare poi delle critiche dei farisei: «Perché il vostro Maestro è sempre a tavola con pubblicani e peccatori?» Marco 2,16. Se il Natale non fosse il 24 dicembre, Gesù potrebbe benissimo esser nato in questi giorni di giugno, sotto l’Angelo di Superman e dei moralmente insopportabili.

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63. I PONTI SULLA SOGLIA E LA PRIMA ETERNITÀ 22/06/09 - 09:57 Dicevamo, un paio di puntate fa, dell’attrazione che l’estero esercita sui «protetti» dei Troni: ed era, naturalmente, un simbolo – cioè una descrizione trasparente, di cui cogli il significato soltanto per intravvedere un altro significato più in là, e poi un altro, e un altro ancora. Proviamo a seguire queste trasparenze. L’estero, per i Troni, è ciò che sta al di là di un confine, e al di là di qualunque confine, e contemporaneamente al di là del Confine – ovverosia di tutto ciò che per te può rappresentare un confine. E dunque il confine di una nazione; e il confine dell’ambiente che sei abituato a frequentare, e al quale perciò appartieni finora (e spesso non si ha idea della misura in cui APPARTENIAMO a un ambiente, dei limiti, cioè, che esso pone alla formulazione delle nostre scelte personali); e il confine delle certezze che hai accumulato finora, e sulle quali – quasi senza accorgerti – è costruita tutta la tua immagine della realtà; e il confine di un tuo pensiero, di un ragionamento che a te sembra compiuto, esauriente, e invece si è soltanto esaurito e non aspetta altro che di venir superato; e il confine della tua vita; e il confine del tuo corpo (che la maggior parte di noi identifica soltanto con il corpo visibile, mentre abbiamo altri corpi, non meno reali ed efficaci di quello); e il confine del tuo tempo, inteso sia come tua Epoca (la dimensione storico-culturale a cui appartieni), sia come tuo orizzonte temporale (ovvero ciò che tu chiami il tuo presente, il tuo adesso, e che è a sua volta molto più grande di quel che si crede, proprio come l’estensione dei tuoi corpi)... Ecco, tutte queste tue dimensioni hanno un Aldilà, un ESTERO, e i Troni sono maestri nel farlo scoprire, come spiega il ritratto dell’Angelo di questi giorni, l’estremamente creativo e curioso Lewuwiyah, i cui «protetti» ben riusciti vedono ogni QUI E ORA come una specie di prigione da cui progettare al più presto un’evasione. La ragione per cui i Troni sono talmente esterofili sta anche nella particolare posizione della loro Sephirah, che costituisce appunto il confine di quello che nella Qabbalah si chiama «il primo ‘olam», cioè il Primo Mondo o anche la Prima Eternità (‘olam in ebraico ha infatti entrambi i significati, un po’ come la celebre parola greca Aiòn). Questa Prima Eternità comprende le tre Sephiroth più alte nell’Albero della Vita: Kether, Khokmah e Biynah (in angelologia: Serafini, Cherubini e Troni). È la prima propaggine, il portale dell’energia dell’Infinito, dell’Ain Soph: in gergo cabbalistico prende il nome di ‘olam ha-atsiluth, «Mondo dell’Emanazione», perché la si immagina come una dimensione emanata direttamente da quell’Infinito Divino. Per tutto ciò che, nell’Albero della Vita, viene dopo di essa, la Prima Eternità è L’ALDILÀ SUPREMO, da cui tutto ha principio, e in cui tutto si rivela... E la memoria di questa dimensione è rimasta chiaramente impressa nei «protetti» di Lewuwiyah:

ovvero L: «il crescere sempre oltre»; e la doppia W: «ciò che può precludermi la via» e che va sciolto, risolto, compreso, superato sempre, per ritrovare il rapporto con il Primo ‘Olam.

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64. LA RISALITA 27/06/09 - 11:30 Uno dei compiti principali dei cercatori spirituali (e tutti lo siamo un po’, anche se non tutti si accorgono di esserlo) consiste nel ritrovare una dopo l’altra le fasi, le Sephiroth, che si sono attraversate nell’Albero della vita. Per nascere nel nostro mondo – cioè nell’ultima Sephirah – occorre discendere lungo i percorsi dell’Albero, e per ritrovare quel che l’Aldilà ci ha insegnato

bisognerà dunque risalire, elevandosi dapprima al di sopra dell’ultima Sephirah, poi al di sopra della penultima, poi della terzultima e così via fino a Kether: il che diviene, al tempo stesso, un viaggio nella nostra più profonda memoria e nelle strutture dell’Universo. Tutti – spiegano i cabbalisti – dovranno comunque compiere questo viaggio, dato che alla fine della vita l’anima ritorna verso Kether; ma chi lo compie vita natural durante ha accesso a conoscenze meravigliose, a gradi supremi di consapevolezza (del tutti simili a quelli che Castaneda definisce «il divenire deliberatamente consapevoli») e una dimensione vitale superiore al tempo, l’aionios bios, come è chiamata nei Vangeli, il «vivere nell’eterno». Nell’Angelo di oggi troviamo qualche utile consiglio, per organizzare la risalita. Avete letto nel suo ritratto che Pehaliyah

riserva ai suoi «protetti» una intensissima energia sessuale ed erotica, e che compito dei pehaliani è sublimarla, trasformarla cioè in forme di energia differenti, via via più spirituali e più vaste. Ma avete notato che trascendere, per quest’Angelo, non significa affatto abbandonare. Così come in simbolo il contenuto non abolisce mai la forma che lo esprime, allo stesso modo nella trascendenza (e in genere nel risalire le Sephiroth durante la vita) NON OCCORRE distaccarsi mai dai livelli inferiori. Crescere non è amputarsi qualcosa. E così come anche i pehaliani più evoluti conservano sempre le loro capacità seduttive, allo stesso modo anche tutti gli altri cercatori spirituali diventano non viaggiatori scomparsi nell’Aldilà ma intermediari, tramiti, israeli (v. la puntata 8) tra la terra e il cielo. Devono tornare a raccontare, devono esprimersi in modo che li si capisca: devono dunque mantenere una coesione con il linguaggio e con le menti di chi è rimasto più in basso. Appunto perciò, nelle mappe dell’Albero della Vita, i sentieri o canali che collegano tra loro le varie Sephiroth sono esattamente ventidue, come le lettere dell’alfabeto ebraico, e ciascuno di essi È anche una di queste ventidue lettere. Come a dire: quanto più sali, tanto più ti impadronisci dei poteri del linguaggio, tanto più ti accorgi di cosa sia il linguaggio (le lettere, le parole) che usi, e dunque tanto più preciso e potente sarà il tuo modo di comunicare con gli altri uomini. Forse anche perciò una delle caratteristiche dei pehaliani è (e se ancora non lo è in alcuni, deve diventarlo) la ricchezza, la persuasività del loro parlare.

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65. I LIBERATORI 02/07/09 - 23:49 Oltre che di raccontare, descrivere e magari profetare, è bene che i cercatori spirituali si preoccupino anche di FARE – di manifestare cioè le loro superiori conoscenze anche sotto forma di azioni estremamente concrete. Non tutte le confessioni cristiane sono d’accordo su questo punto (tra protestanti e cattolici, per esempio, si accesero qui lunghe dispute) ma le Scritture, su questo punto, sono chiarissime: «il Regno di Dio non sta nelle parole, ma nei poteri» dice per esempio Paolo (Prima lettera ai Corinti 4,20). E lo splendido Giacomo precisa: A che serve, fratelli, se uno dice di aver la fede ma poi non fa? Credete che quella fede lo salvi? Se un fratello o una sorella non hanno da vestire e da mangiare, e uno di voi dice loro: «Andate in pace, a riscaldarvi e a saziarvi» ma non date loro ciò di cui hanno bisogno, a che serve?.. Al contrario, uno potrebbe dire: tu hai la fede, ma io le cose le faccio. Tu mi mostri la tua fede senza le opere, e io con le mie opere ti farò vedere cos’è la mia fede. Giacomo 2,14 La parola «fede», per i cristiani di quell’epoca, indicava appunto la superiore conoscenza che si ottiene nelle dimensioni spirituali. E poi, naturalmente: Non chi mi dice «Signore, signore» entrerà nel Regno dei Cieli, ma chi fa la volontà del Padre mio, che è nei cieli. Matteo 7,21 E qui «Regno dei cieli» indica appunto quella dimensione eterna che, nella mistica ebraica, corrispondeva alle dieci Sephiroth che, nell’Albero della vita, salgono al di sopra dell’ultima, chiamata «il Regno» della terra. L’Angelo di oggi ha anche il compito di porre in risalto questo aspetto della questione. Annovera numerosi liberatori (sia veri, sia presunti tali) tra i suoi «protetti»; e, come forse vi sarà capitato di notare tra i vostri conoscenti, capita non di rado ai nelkaeliani di sentirsi assai nervosi e infelici, senza riuscire a spiegarsi perché, QUANDO SONO TROPPO INDIFFERENTI AI GUAI ALTRUI. Ma se non siete nati proprio in questi giorni, o se intorno a voi non notate nulla che richieda un vostro urgente intervento eroico, tenete presente che la lezione di Nelka’el, valida per tutti senza eccezioni, è di cominciare ad accorgersi di quanto ognuno di noi è prigioniero delle proprie circostanze di vita. Le «opere» e i «poteri» di cui parlano Paolo, Giacomo e Gesù cominciano proprio da qui. Tutti noi abbiamo moltissimo da fare, molte oppressioni da distruggere in casa nostra, nella nostra stanza. Altra citazione utile: Tu dici: «Sono ricco, non ho bisogno di nulla». Ma non sai di essere invece un infelice, un miserabile, un povero, cieco, nudo. Apocalisse 3,17.

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Vi dicono nulla queste parole di diciannove secoli fa? E state pur certi che non appena comincerete a indignarvi per le vostre personali «povertà», anche le povertà altrui vi risulteranno molto più evidenti.

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66. PERCHÉ? 08/07/09 - 13:49 L’Angelo di oggi e i due successivi sono (e proteggono) gli specialisti dell’autosuperamento. Yeyay’el è l’imboccatura del porto: e per i cercatori spirituali non vi è situazione che non possa essere vista come un porto in cui si sta momentaneamente sostando. Milahe’el è l’antidoto all’egoismo: il magnifico talento che concede ai suoi «protetti» è quello di scoprire cosa vogliano gli altri e di realizzare i loro desideri. E Khahewuyah è maestro nello sradicare dagli animi la voglia di aver ragione, dalla quale dipendono tanti mali che ci affliggono: vanità, orgoglio, ira, sconforto, senso di incomprensione, pessimismo e via dicendo. È chiaro che, seguendo questi Troni, si rischia facilmente di ritrovarsi esclusi da quella che per i nostri contemporanei è la normalità, oppure – tutte le volte che il coraggio verrà meno – di sentire la normalità stessa, e il nostro adeguamento ad essa, come una radicale, bruciante sconfitta, come un tradimento di sé. Del tutto legittimamente, i «protetti» di questa Terza Sephirah potrebbero dunque domandarsi due cose: primo, perché dopo tanti millenni che Dio (Ain Soph, Elohim, Yahweh) governa il mondo, quella normalità è ancora così soffocante? Secondo: qual era il Progetto iniziale (che evidentemente va a rilento), che cosa avevano in mente Dio e i suoi altissimi Angeli, quando completarono e misero in moto quest’Albero della Vita? Provate a porre voi queste questioni alla vostra parte angelica (non potete sbagliare, è proprio in fondo al cuore, domandate lì e sentirete la risposta, se riuscite a star zitti interiormente) e vediamo cosa vi dice. Per quel che ne so io, dalle mie letture e decifrazioni, la normalità che ai «protetti» dei Troni appare tanto stretta e scomoda ha proprio il compito di far apparire, risaltare e fruttare le loro qualità, i loro aspetti migliori, che altrimenti essi non conoscerebbero mai. E il Progetto iniziale, a mio parere, doveva assomigliare molto a quell’immagine del Tao che certamente conoscete: il bianco e il nero contrapposti. Come dice Mago Merlino ne La spada nella roccia di Disney: For every up there is down, for every square there is round, for every high there’s a low... Canzoncina taoista anche questa: «per ogni su c’è sempre un giù, per ogni quadrato c’è sempre un cerchio, per ogni alto c’è sempre un basso...» E Mago Merlino prosegue raccomandando al suo pupillo Semola (il futuro re Artù) di puntare in alto, di «non essere una mediocrità»: questo è il gioco, gli spiega, prova e vedrai, e ricorda: Nothing venture, nothing game! Cioè: chi non risica non rosica, e letteralmente «se non fai la tua puntata, non ti diverti!» Credo che il mago avesse ragione, tanto più che in quel punto del film si era nel pieno dell’iniziazione di Semola (ricordate? Erano sott’acqua, trasformati in pesci) e Merlino gli stava rivelando, come deve fare ogni buon iniziatore, i segreti di tutto. Avevano dunque in mente un gioco, lassù, quando si misero all’opera? Direi di sì, e mi sa che da millenni si stiano appassionando e divertendo non poco, e noi potremmo fare lo stesso, se ce ne accorgessimo più di frequente.

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67. LE APPARENTI COINCIDENZE 13/07/09 - 12:19 Il 14 luglio è, come ben sapete, la festa della Rivoluzione Francese; il 4 luglio è la festa della Rivoluzione americana. Due rivoluzioni «protette» dai Troni, e tutt’e due alla fine del Settecento. Non solo, ma il 4 luglio cade proprio sotto Nelka’el, l’Angelo dei liberatori: e gli americani, con la loro rivoluzione, si liberarono dal dominio inglese; mentre il 14 luglio è sotto l’Angelo della

realizzazione dei desideri di molti, e decisamente la presa della Bastiglia fu una rivendicazione popolare, contro i privilegi di pochi. Sono un po’ troppe queste coincidenze, per far pensare a un semplice caso della sorte. E in realtà, alla fine del Settecento vi erano numerose correnti e sette (la massoneria innanzitutto) che andavano accuratamente riscoprendo e studiando l’esoterismo ebraico, e ne valutavano l’efficacia, e ne cercavano le origini – in Egitto, naturalmente. Guardacaso, solo pochi anni dopo il giovane Napoleone fu incaricato d’una campagna di guerra in Egitto e lì (come per caso!) si scoprì la Stele di Rosetta, da cui si dedusse un metodo per decifrare i geroglifici. In seguito, questo interesse sembrò

perdersi, in Francia; ma rimase ben evidente negli Stati Uniti: non per nulla, sulla banconota da un dollaro finì per comparire una piramide, e durante l’ultima guerra mondiale la bomba di Hiroshima venne sganciata il 7 agosto, sotto l’Angelo di chi trionfa nelle guerre, e quella di Nagasaki (assurda, a guerra già finita) l’11 agosto, sotto l’Angelo dell’impulso distruttivo fine a se stesso. Altre coincidenze? No di certo. Emerge qui, invece, quello strano filone esoterico della politica occidentale, a cui sono stati dedicati tanti studi interessanti negli ultimi anni. C’è l’elemento cabbalistico settecentesco in America, e ci sono anche le correnti oscure della Germania hitleriana, e l’elemento templare nella Russia sovietica – in quel KGB che dagli anni Settanta ha controllato segretamente l’Urss, ha salvato la Russia dal completo sfacelo e ora la sta guidando, sempre più apertamente. Per quanto i benpensanti di tutto l’Occidente si facciano un obbligo di considerare l’esoterismo come una congerie di vecchie superstizioni, va riconosciuto che le ragioni di buona parte della nostra storia vadano cercate anche lì. E questo è un bene o un male? Tutto sommato è un male, io credo. La politica, gli Stati si fondano sull’autorità, sull’esecuzione di ordini, e la ricerca spirituale non ha niente a che fare con l’autorità di capi politici – per quanto buone possano apparire a loro stessi le loro intenzioni. Non ha appena entra in contatto con un sistema politico, tutto ciò che è spiritualità subisce una «meccanizzazione» – come la chiamava il filosofo delle religioni che più ho amato in Italia, Furio Jesi (se avete voglia di cercarlo in biblioteca, leggete il suo libro Germania segreta). Un politico sa sempre dove DEVE andare, quali risultati DEVE raggiungere e quali DEVE invece evitare, mentre un cercatore spirituale non lo sa mai, se non dopo che li ha raggiunti e superati. Un politico deve dunque pianificare, dirigere, limitare inevitabilmente quel tanto di spiritualità che ha intenzione di adoperare, e in tal modo la «meccanizza», e ne fa necessariamente, nel migliore dei casi, uno pseudo-totem, o un tabù. Meglio evitare. Come si legge nei Vangeli, una volta Gesù fece una delle sue moltiplicazioni dei pani, e alcune persone lì presenti, vedendo e intuendo le potenzialità politica di quel suo comunismo, pensarono che sarebbe stato utilissimo fare di lui un leader politico:

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ma Gesù, avendo saputo che stavano per venire a prenderlo e farlo re, si ritirà di nuovo sulla montagna, da solo. Giovanni 6,15. (È ovvio che a questo punto qualcuno potrebbe farmi notare che ci sono degli Stati millenari nei quali la politica utilizza la spiritualità per reggersi: il Vaticano, il Tibet. Sono certamente fenomeni interessanti, e non mi attira l’idea di aver ragione contro qualcuno. Ma per conto mio, preferisco chi esplora l’invisibile per conto suo, nella sua libertà individuale).

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68. LA LIBERTÀ E OLTRE 18/07/09 - 11:47 Ed eccolo qua, un campione assoluto di libertà individuale, l’Angelo dei Robin Hood, Khahewuyah. E dire «libertà», in questo caso, può risultare riduttivo, può magari far pensare a un ideale, a un valore universalmente riconosciuto, come quelli che piacciono ai Nelka’el: ma questo Trono non si lascia imbrigliare in nulla del genere. La sua libertà somiglia piuttosto un avventuroso arbitrio, fieramente indifferente a tutto che gli uomini sono abituati ad approvare o biasimare. Non ha neppure bisogno della disobbedienza dei La’awiyah – cioè di una qualche obbedienza alla quale contrapporsi, e dalla quale dunque dipendere in qualche modo (si sa che i ribelli rimarrebbero disoccupati, se non ci fossero tirannie ed oppressioni). E non si pone nessun dovere programmatico, ai differenza dei Kaliy’el, che mettono subito da parte le loro sregolatezze quando si tratta di intervenire in qualche emergenza. Macchè: Khahewuyah è sregolato e basta, e quando i suoi «protetti» aiutano qualcuno nei guai, ci si può tranquillamente aspettare che lo derubino cinque minuti dopo... E tutto ciò, senza né scrupolo né rimorso. Nei vecchi codici di Angelologia gli si attribuisce addirittura la capacità di «far assimilare ai suoi protetti le cattive azioni che hanno commesso, perché non abbiano a subirne conseguenze karmiche» (*): cioè nessun fio da pagare, né in questa vita, né nelle prossime! E ciononostante (o appunto per ciò) la funzione di questo strano Angelo è fondamentale: non solo perché è l’antidoto del senso di colpa, come spiego nel ritratto, ma perché al contempo garantisce alla Terza Sephirah quell’amplissima visuale che le occorre per svolgere il suo compito, che è quello di comprendere e di organizzare i destini. Khahewuyah ha cioè una funzione molto simile a quella che nel cattolicesimo è attribuita a Maria, l’«intercessione per i peccati», e che nel materialismo dialettico (in Marx e Engels, cioè) viene formulata nel famoso Terzo Principio, la «legge della negazione della negazione»: ogni sintesi diventa necessariamente la tesi di una nuova antitesi che porterà a una nuova sintesi. In altre parole: tutte le volte che ti sembra di aver risolto perfettamente un problema, è bene che tu ti accorga che sei soltanto all’inizio di un problema nuovo. Senza questo principio, l’evoluzione umana non farebbe più un passo avanti, così come senza l’intercessione dei peccati l’umanità sarebbe tutta quanta bloccata, ipnotizzata dal proprio passato. La Terza Sephirah deve, invece, far andare avanti tutto il sistema e tutti noi. Deve perciò includere la contraddizione: deve poter contare su un tipo, appunto, come l’Angelo di oggi, che saboti il meccanismo di registrazione del passato e in tal modo faccia più spazio per il presente e il futuro. A questo riguardo vi racconto un fatto personale: nell’inverno del ’97 stavo terminando un mio libro, I maestri invisibili; ci avevo lavorato per due anni, e nell’ultimo periodo mi ci ero impegnato talmente da non trovare nemmeno più un momento per salvare, né tantomeno per stampare quello che scrivevo. E tre giorni prima della consegna alla casa editrice, il dischetto (allora si usavano i dischetti) mi si smagnetizzò. Andò tutto perduto. Ero disperato. Trecento pagine! Passai una giornata tremenda, e il mattino dopo ricominciai a scriverlo daccapo. Ottenni dal redattore un paio di settimane in più, e due settimane dopo consegnai le nuove trecento pagine, molto migliori della stesura perduta, e il libro andò benissimo. Non è un vero peccato non poter fare così MOLTO

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SPESSO, anche in altri campi delle nostre esperienze? Khahewuyah sa come riuscirci. Chiedeteglielo. (*) HAZIEL, Il grande libro delle invocazioni e delle esortazioni, Milano 2oo6.

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69. LE DOMINAZIONI E LE DUE SEPHIROTH AZZURRE 23/07/09 - 13:01

La prossima volta che capitate a Firenze, andate a visitare il Battistero, davanti al Duomo. Ci sarà sicuramente un po’ di coda, ma vale la pena. Una volta entrati, guardate in alto, e nella cupola li vedrete tutti quanti: Serafini, Cherubini, Troni e Dominazioni e poi tutti gli altri, con sotto le loro scritte – come per gli ospiti in televisione, solo che nel Battistero le scritte sono in latino. Noterete che le Dominationes hanno un tono azzurrino, e accanto a loro le Potestates (le Potestà) hanno un tono un po’ più intenso, quasi blu. Sono appunto i colori tradizionali di queste due Gerarchie angeliche, che nell’Albero della Vita si trovano in posizione simmetrica: le Dominazioni sulla Colonna di destra – quella dell’abbondanza, della grazia – e le Potestà sulla Colonna di sinistra – quella della

riflessione accurata, della razionalità, del giudizio rigoroso. Sono entrambe azzurre proprio perché, oltre che simmetriche, hanno la medesima funzione: insegnano, a chi dovrà nascere, il CORAGGIO. Ciascuna lo fa, naturalmente, a suo modo. La Quarta Sephirah, quella appunto delle Dominazioni, si occupa del coraggio di usare i propri talenti, di precisare i propri desideri (di «non fare sconti a Dio», come usa dire una mia cara amica) e di non lasciarsi opprimere dai propri umori cupi o dalle circostanze negative – e non per nulla il primo Angelo delle Dominazioni è proprio Nithihayah, che pone ai suoi protetti un’unica scelta: o abbracciano la difficilissima ed entusiasmante carriera di strega (nel senso migliore del termine) o per tutta la vita si sentiranno inutili e assurdi. La Quinta Sephirah, quella delle Potestà, si occupa invece del coraggio di vedere e affrontare i propri difetti, di rifiutare le illusioni su se stessi e sugli altri. Quanto all’azzurro, ne ho scoperto il senso soltanto poco tempo, conversando con un altro mio caro amico, Maurizio Zanolli, pittore, filosofo, autore di una originalissima teoria dei colori (vi consiglio caldamente di andare a vedere i suoi spettacoli): secondo Maurizio, i colori sono uno dei linguaggi dell’uomo e della natura al contempo, e probabilmente anche di Dio; sono come lettere, e in tutto ciò che ci circonda formano parole ben chiare, dimodoché chi impara a conoscerli può cominciare a dialogare con tutto ciò che lo circonda, e farsi raccontare che cosa tutto significhi, e che cosa – inconsapevolmente di solito – abbiano voluto dire a se stessi gli uomini usando certi colori invece di altri. «Magnifico! E l’azzurro?» gli ho domandato. «L’azzurro» mi ha risposto (e Maurizio non si intende di Qabbalah) «è la risolutezza, la decisione, l’assunzione di responsabilità. Guarda tu stesso: che cosa vedi di azzurro, intorno a te? Decifra.» Ho provato a decifrare, e ho constatato che ha ragione. Mi sono sempre piaciute molto le teorie che trovano conferma OVUNQUE POSI LO SGUARDO.

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70. I GUERRIERI DEL SECONDO ‘OLAM 28/07/09 - 13:57 L’Angelo di oggi e i tre seguenti sono autentici guerrieri: esprimono la qualità fondamentale della Quarta Sephirah, il CORAGGIO, in forma estroversa, pragmatica, oltre che fortemente etica. Ognuno di essi insegna infatti ai suoi «protetti» a sfidare, a lottare e a vincere, quando si lasciano guidare dal loro senso di giustizia e dall’altruismo – o viceversa a lottare contro se stessi e determinare le proprie sconfitte, quando si accorgono di essere ingiusti, disonesti o egoisti. I concetti di bene e di male, a questo livello dell’Albero della Vita, cominciano dunque a diventare un po’ più comprensibili a noi tutti: non vi sono più i paradossi che avevamo visto nelle Sfere superiori – e ciò perché con la Quarta Sephirah si entra in un altro ‘Olam, in un’altra Dimensione, più vicina a noi. La prima Dimensione, vi ricordate, era quella delle Emanazioni (v. la puntata 63) e lassù il nostro intelletto doveva compiere notevoli balzi logici, per potersi orientare; questa nuova Dimensione è invece lo ‘Olam ha-Beriah, «l’Eone della Creazione», in cui tutto ciò che dovrà nascere o avvenire comincia ad assumere davvero le proprie forme. Qui, energie che fino a poco prima potevano ancora diventare chiunque o qualsiasi cosa cominciano a diventare qualcuno o qualcosa: qui si verificano quindi le prime scelte vere e proprie – chi o cosa diventare e, di conseguenza, chi o cosa NON diventare. E le scelte non vennero fatte soltanto dall’alto, ma in qualche misura vi partecipammo anche noi: venne richiesto il nostro parere, e appunto perciò venimmo forniti, qui, di coraggio, perché di questa qualità vi è assoluto bisogno quando si prendono decisioni che riguardano la propria vita. E il guerriero (da non confondere con il soldato) non è forse colui che deve continuamente decidere? Ecco dunque questi quattro marziali istruttori, che certamente si incaricarono di assisterti in quell’emozionante periodo della TUA creazione. «Tra qualche tempo» ti dissero, più o meno, «comincerai la tua fase di atterraggio su quella Sfera che vedi laggiù, chiamata mondo umano... Non possiamo esattamente dirti quando sarà, un po’ perché è un dettaglio, questo, ancora da chiarire, e un po’ perché noi siamo in un ‘Olam, e ‘Olam significa anche Eternità, cioè Assoluto Presente, atemporalità. Ma, presto o tardi, là ti aspetteranno e inevitabilmente (anche se non se ne renderanno conto) si aspetteranno da te grandi cose, cose nuove. Dio sa quanto ne abbiano bisogno, di cose nuove, laggiù, con tutti i guai sempre uguali che combinano da migliaia di anni! E anche noi contiamo molto su di te. Perciò ascolta bene: più su Serafini, Cherubini e Troni ti hanno istruito sul possibile, noi ti parleremo del necessario. Alcune cose sono necessarie, altre no. E il modo più semplice per riconoscere le prime tra le seconde, è porsi sempre un po’ più in alto di quell’io che tu là sarai, e preoccuparti non solo di te ma di molti...» «Ma come!» potresti aver obiettato tu a questo punto. «Adesso devo cominciare a diventare me stesso, e voi mi dite che devo restare più grande di me? Devo scendere in quella Sfera umana o no?» «Certo» fu probabilmente la risposta, «ma proprio questo è il punto. Ti troverai bene laggiù, e sarai fiero e saremo fieri di te, se con una parte di te sarai soltanto te stesso, e con l'altra sarai ancora un po’ qui in alto: sarai soltanto te stesso nel prendere le tue decisioni e nell’agire, e sarai ancora

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quassù nei moventi delle tue decisioni. Allora tutto andrà bene. A proposito, sai cos’è, esattamente, il bene e in che cosa si distingue dal male? Ora te lo spieghiamo...» E te lo spiegavano.

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71. LA SEPHIRAH SEGRETA 03/08/09 - 14:26

Tra il primo e il secondo ‘Olam c’è anche un luogo segreto, a cui ho già accennato fuggevolmente qua e là. È la Sephirah Da‘ath, cioè la Sfera della Conoscenza. Come vedete dall’illustrazione, si trova proprio sul confine tra le due Dimensioni, sull’asse centrale: ed evidentemente una posizione importantissima, eppure pochi ne parlano; in alcune raffigurazioni dell’Albero è segnata appena, talvolta con una circonferenza tratteggiata, e in altre manca del tutto. È infatti un punto molto delicato: lì cresce lo ‘Ets ha-Da‘ath, «l’Albero della conoscenza» del bene e del male, che pose tanti problemi al Dio-Signore, all’adam e a tutti i teologi d’Occidente e del vicino Oriente. Lì YHWH aveva posto il suo tabù, lì giunse la ishah, e poco più sopra – tra i Cherubini – fu posto il Guardiano della soglia, con il compito di vietare all’umanità l’accesso a un’immagine complessiva dell’Albero della Vita... È un luogo traumatico, insomma. E non per nulla il senso di giustizia caratterizza gli Angeli della

Quarta Sephirah, e fa sì che almeno tre di essi (l’Angelo di ieri, Ha’a’iyah; l’Angelo di questi giorni, Yerathe’el; e l’ultimo delle Dominazioni, Washariyah) siano grandi cacciatori e castigatori di colpevoli: nessuno sa vedere le colpe altrui meglio di chi senta in se stesso una qualche colpa profonda... «Ci vuole un ladro per acchiappare un ladro», dicono gli anglosassoni! È come se davvero sulla Quarta Sephirah (e anche sulla sua gemella, la Quinta, come vedremo) pesasse più che su tutte le altre il ricordo di quella prima violazione di un comando divino. E il coraggio che le Dominazioni insegnano può essere interpretato, a sua volta, sia come il coraggio che occorse all’adam, quando venne scacciato dall’Eden e si incamminò verso la sua esistenza terrena, sia anche come il coraggio che occorre a chiunque voglia risalire, attraverso la Sephirah Da‘ath, verso quel Cherubino-guardiano e affrontare la sua spada-specchio (v. la puntata 55). In entrambi i sensi, secondo la Qabbalah, la Conoscenza richiede un coraggio molto speciale. È più rassicurante, più facile, rassegnarsi a non conoscere, e anche le Scritture lo confermano: scrive, per esempio, Salomone Nella molta sapienza (Khokhmah) vi è molta collera. E chi accresce la conoscenza (Da‘ath) accresce il dolore. Qoheleth 1,18 C’è bisogno di spiegare perché? La ricerca di Da‘ath non sfida soltanto i divieti, la gelosia, l’invidia anche, di YHWH, ma irrita inevitabilmente anche la maggioranza degli uomini. Dice Don Juan, il maestro di Castaneda: Credi forse di poter convincere i tuoi simili ad affrontare queste prove? Si metterebbero a ridere e si farebbero beffe di te, e i più aggressivi ti picchierebbero a morte. E non perché non ti credano... Nel profondo di ogni essere umano c’è una consapevolezza ancestrale, viscerale...

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C. CASTANEDA, Il lato attivo dell’infinito, Milano 2000, p.242 Tutti gli uomini sanno un po’, tutti sono passati dalle dieci Sfere, e hanno serbato frammenti e bandoli di Da‘ath in fondo ai loro pensieri: ma HANNO PAURA di ricordare e di ritrovarli, e la paura rende facilmente feroci. Il coraggio che le Dominazioni vi hanno insegnato è anche quello di fronteggiare e di ignorare tale ferocia, e di non restarne contagiati, quando cominciate anche voi a ricordare.

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72. KHESED 08/08/09 - 15:01 Vi sembra esagerato l’Angelo di questi giorni? Con quella sua passione per la distruzione, che spinge i suoi «protetti» più coerenti a non risparmiare nemmeno le proprie opere: periodicamente le mandano in frantumi con uno strano senso di liberazione... Ma nel corso di questo blog avete già avuto modo di vedere molte altre categorie angelico-umane decisamente strane, e di certo vi sarete abituati a non farvi intimidire dai paradossi, bensì a riflettere e a trovare la chiave per interpretarli. Con She’ehayah è piuttosto facile: le Dominazioni sono maestre di coraggio, ed ecco dunque quest’Angelo che mostra come buttare all’aria tutto ciò che POTREBBE indurti invece alla prudenza, e a una ragionevolissima dose di viltà, magari, che tu giustificheresti come attaccamento alle tue proprietà, alle tue abitudini, alla tua cerchia di vecchie conoscenze. Nella palestra di She’ehayah hai imparato invece che nulla può essere più importante della tua scoperta di te stesso – intendendo, ovviamente, con «te stesso» ciò che ancora non sai di te, le tue infinite potenzialità. E altrettanto chiaro appare il rapporto di quest’Angelo con il Nome della sua Sephirah, che è (non ve l’ho ancora detto?) KHESED, cioè «la Carità», «la Generosità disinteressata». In ebraico è חסד KH-Samek-D, ovvero: «la tensione, l’impegno (KH) che occorre per trasformare ciò che è chiuso in un forziere (Samek) in ricchezza da distribuire, da donare (D)». Ebbene, She’ehayah scardina e fa esplodere i forzieri. Non per nulla conta, tra i suoi nati, tanti distruttori di Stati sovrani: Napoleone, Cavour, Fidel Castro... Voi, a proposito, come state quanto a questa generosità? KHESED è senza dubbio una delle qualità più difficili da esercitare oggi in Occidente, e non tanto perché vi sia negli Occidentali una qualche congenita taccagneria, ma perché da troppo tempo (da un secolo e mezzo o giù di lì) la nostra civiltà è sulla difensiva: nell’Ottocento eravamo padroni e sfruttatori di troppa parte del mondo e, quel che è peggio, ci sforzavamo troppo di ignorare questo fatto (provate per curiosità a scorrere le opere di Freud o Jung, e a cercarvi qualcosa che riguardi il rapporto tra l’ansia nevrotica e il colonialismo: non vi troverete un solo accenno! Come se la nuova psicologia ritenesse del tutto innocuo per la psiche il fatto che le nazioni progredite vivessero ferocemente a spese di decine di milioni di neo-schiavi...). E per di più attorno al 1850 cominciò a fermentare il comunismo, che mostrava come anche in casa nostra la neo-schiavitù fosse ormai diventata la condizione di tutto. Da allora cominciò a ispessirsi il nostro guscio, e divenne ben presto una Samek titanica e angosciatissima. APPUNTO PERCIÒ l’Angelo di oggi appare, oggi, talmente esagerato e pericoloso: non perché lo sia davvero di per sé, ma perché inconsapevolmente, quasi istintivamente ormai, vi proiettiamo tutte quelle nostre paure occidentali. Così l’energia più limpida di Khesed può sembrare e DIVENTARE ai nostri occhi, e nelle vite dei suoi protetti più celebri, una potenza distruttiva, catastrofica...

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73. IL SALVATORE 14/08/09 - 16:04

Khesed, «la Generosità», trova nell’Angelo di oggi un campione un pochino più rassicurante del precedente. Reyiy’el è l’Angelo di chi abbatte i nemici per salvare gli amici: se She’ehayah somigliava moltissimo a un vulcano, Reyiy’el ricorda piuttosto un fiume, vorticoso sì, ma comunque contenuto nelle sue rive, e relativamente prevedibile, e in qualche misura controllabile. Osservando molti suoi «protetti», ho notato tra l’altro che il successo della vocazione di salvatore dei reyeliani dipende proprio dalla loro capacità di contenimento di una delle loro principali sorgenti di energia, che è la sessualità. In ciò, Reyiy’el è parente stretto di Pehaliyah (v. la puntata 64): in entrambi, molto dipende infatti dalla sublimazione del desiderio. Quanto più sanno deviare la loro intensissima libido dalle sue consuete forme di soddisfazione inviduale a obiettivi più generali, tanto più

aumenta il loro coraggio e si amplia il loro campo d’azione. Avete visto, nel ritratto, quali nomi compaiano tra i nati in questi giorni: il taxista-eroe di Taxi Driver, che come ricorderete è vergine, benché l’idea del sesso lo assedi di continuo; e il colonnello Lawrence, il fautore dell’indipendenza araba, di cui la maggior parte dei biografi sottolineano la castità, compensata da una passione addirittura spietata per l’esercizio fisico; e si potrebbe aggiungere un altro colonnello famoso, Dragutin Dmitrievic, che tra il 1904 e il 1914 fu il deus ex machina dell’indipendenza serba, e – guardacaso – era nato solo a due giorni di distanza da Lawrence, ed era anche lui, pare, rigorosissimamente casto, oltre che incredibilmente coraggioso... Nel caso di Reyiy’el, dunque, l’interpretazione geroglifica di Khesed può subire una leggera modifica, diventando: «l’impegno (KH) che occorre per frenare (Samek) le mie intense pulsioni e trasformarle in generosi doni (D) per i molti». Sapete dunque, eventualmente, cosa consigliare a qualche vostro amico Reyiy’el che abbia sogni di gloria non ancora realizzati.

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74. TUTTO CASA E LAVORO 18/08/09 - 16:28 Nell’Angelo di questi giorni, Khesed assume aspetti che oggi definiremmo borghesi: la fedeltà alle istituzioni, alle regole, il disciplinato svolgimento delle proprie mansioni, l’attaccamento alla famiglia, alla casa. Solo che – a differenza di quel che avviene nella mente dei borghesi attuali – i «protetti» di ’Omae’el intendono tutti questi solidi elementi dell’esistenza come un modo per trascendere se stessi: non pensano cioè «ecco, tutto questo è mio», bensì «ecco, a tutto questo, al mio lavoro, alla mia famiglia, alla mia casa io sento di appartenere: non mi importa gran che di me, e se dovessi dedicarmi a me stesso sprofonderei nella noia... Qui invece sono al servizio degli altri: ’Omae’el, aleph-waw-mem: io sono la Mem che li avvolge, la Waw che custodisce la soglia, l’Aleph dell’energia che attraverso di me vivifica tutti i miei». È decisamente un modo luminoso di intedere quello che alla maggioranza di noi sembra la routine quotidiana. E ho la netta impressione che le tante e celebri infelicità che assillano i nostri borghesi (e sulle quali, com’è noto, è stata costruita la psicologia europea) dipendano, in larga misura, proprio da un rapporto insufficiente con ’Omae’el, dall’incapacità di ascoltare – o meglio, di ricordare – il suo insegnamento. Certo, le infelicità degli omaeliani dipendono anche dal compagno di vita che si sono scelti. A molte persone, avere un omaeliano in casa fa senz’altro comodo, ma a lungo andare può risultare noioso. Altri non tollerano i suoi impulsi materni o paterni. Altri ancora sono irritati dal suo amore per la disciplina, dalla sua resistenza a ciò tutto che è nuovo o strano... E qui si apre un interessante aspetto dell’angelologia: le compatibilità individuali tra i «protetti» dei diversi Angeli. E lo lascio a voi, come esercizio di angelologia applicata: a vostro parere, con chi potrebbe trovare la felicità domestica un ’Omae’el? Secondo me, certamente non con uno delle quattro Dominazioni guerriere che abbiamo visto nelle scorse settimane, e nemmeno con i «maghi» di Nithihayah. Sconsigliati anche i Troni, tutti quanti: troppo disobbedienti, troppo estroversi! Molto meglio i Cherubini, e anche i Serafini (escluso il rapace Lelehe’el). Tra gli Angeli lunari, ottime le unioni con Damabiyah e Yabamiyah; tra gli Arcangeli, con Harakhe’el; tra i Principati, buone probabilità di riuscita affettiva con tutti meno che con il viaggiatore Niyitha’el; tra le Virtù, perfetta l’unione con Sa’aliyah, assai difficili quelle con gli altri; mentre tra le Potestà, gli unici con cui può funzionare sono i «protetti» di Raha‘e’el e di Yeyaze’el. Ma questo, solo secondo me. E a proposito, voi, con le qualità del vostro Angelo, con chi potreste trovarvi benissimo? Fate ipotesi.

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75. QUANTE RESPONSABILITÀ 24/08/09 - 17:25

Dicevamo, nella scorsa puntata, della ricerca delle compatibilità individuali e intime tra i «protetti» dei Settantadue Angeli. Se proprio non riuscite a individuare il vostro compagno angelico ideale, chiedete consiglio a un Lakabe’el: i «protetti» dell’Angelo di oggi sanno sempre tutto, capiscono tutto, traggono conclusioni riguardo a tutto e non solo si assumono molto volentieri la responsabilità di indicare al loro prossimo cosa sia meglio o peggio fare, ma lo guidano anche, e gli organizzano la vita, se li lascia fare. L’unico svantaggio, nell’interpellarli, è che difficilmente potrete obiettare qualcosa: sono troppo egocentrici e dominatori, per poter tollerare i «Sì, ma...» In Lakabe’el, come anche nell’Angelo successivo, Washariyah, si esprime l’aspetto più pragmatico della Quarta Sephirah: questi due

sono maestri di lucidità e concretezza, e donano ai loro «protetti» una determinazione talmente ferrea, che è facile scambiarla spesso per bruschezza. La differenza tra i Lakabe’el e i Washariyah è che i primi sono anche molto pieni, e i secondi sono vuoti – ed entrambi nel senso migliore del termine. I Lakabe’el sono pieni (e alle persone superficiali possono sembrare molto pieni di sé) perché traggono solamente da sé stessi le forze, le idee, gli ideali di cui hanno inevitabilmente bisogno per esercitare il loro Khesed, la loro «Generosità», sottoforma di assunzione di responsabilità per conto altrui. I Washariyah sono invece come lenti di cristallo perfettamente trasparenti, tanto più utili agli altri quanto meno contengono o portano su di sé. Un lakabeliano potrebbe intrattenervi per ore, per esporvi le sue personalisse opinioni e ciò che da esse consegue. Se conversate invece con un washariano, la quasi totalità degli argomenti riguardererà certamente voi e non lui: e se insisterete per sapere qualcosa di più di come vive, di cosa pensa, di cosa gli piace, vi racconterà di suoi ricordi famigliari, dei suoi legami, o di cose ha letto, visto, udito – di altre persone e di opere altrui, insomma, fedelissimo sempre al suo compito di lente che mostra, ingradisce, mette a fuoco e null’altro. Sono due modi contrapposti di donare se stessi: traetene la lezione che sempre occorre trarre dalle descrizioni di Angeli, domandandovi in tutta sincerità «Mi piacciono? Posso capire il loro modo di essere? Li stimo?» Se la risposta è «sì», va tutto bene e che, da questo lato dell’orizzonte zodiacal-angelico, potete stare tranquilli. Se invece storcete il naso davanti alle qualità di questi due, o un lakabeliano o un washariano non vi sono per niente simpatici, vuol dire che avete ancora molto da imparare su come essere pienamente o vuotamente voi stessi, sul come e quando darvi o non darvi importanza, oltre che naturalmente sul come assumervi volentieri ed efficacemente responsabilità.

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76. DELL’IMPARARE DAGLI ANGELI 29/08/09 - 17:52 L’Angelo di questi giorni è molto simile a una limpida lente, come vi dicevo nella scorsa puntata; e mi pare dunque un buon momento per ricapitolare alcuni temi essenziali del nostro blog, specialmente per quel che riguarda il «vedere» le Gerarchie e l’imparare da esse. Stiamo descrivendo (da quasi un anno ormai) quelle che secondo l’Angelologia sono le diverse forme assunte dall’Energia cosmica che entra nel nostro mondo umano e lo vivifica: gli Angelologi chiamano queste forme «Angeli», pensano che siano Settantadue, e le immaginano come porte e portatori di vere e proprie correnti di talenti e di occasioni. Quanto più conosci questi «Angeli», tanto più li potrai assecondare e far fruttare nella tua vita: a cominciare dal tuo Angelo personale, connesso a te dal tuo giorno di nascita (dalla porta, cioè, che non per caso scegliesti per venire al mondo) e per continuare poi con tutti gli altri settantuno. Quanto più numerosi sono gli Angeli che impari a conoscere, tanto migliori diventano i tuoi rapporti con il prossimo. Impari infatti che cosa puoi o non puoi aspettarti dalle persone, valutando i loro talenti angelici. Impari ad aiutarle, per quanto possibile, richiamando la loro attenzione su quei loro talenti e sulle molte occasioni che avrebbero se li assecondassero. Impari anche ad apprezzare meglio le convinzioni, le verità altrui: ciascun Angelo infatti delimita anche un orizzonte personale, un punto di vista, un’immagine del mondo funzionale ai talenti che dona a ciascun suo «protetto», e nessuna di queste visuali (di queste verità, appunto) è più o meno vera delle altre; sono semplicemente diverse, e tutte valide parti integranti di quella Verità generale che sarebbe costituita dall’insieme delle Settantadue Verità parziali. Il raggiungimento di questa Verità generale è uno degli scopi più emozionanti che possiamo proporci con lo studio dell’Angelologia. Via via che scopri e componi – come fossero tessere di un mosaico – le Verità parziali dei vari Angeli, ti accorgi infatti che il tuo mondo interiore si amplia, ed è una sensazione splendida: cominci a considerare il tuo io non più come un territorio da difendere dagli altri, ma come un tuo strumento, adoperato in questa vita da un Io più grande – e solo in questo Io più grande cominci a identificarti. Più piccoli di prima cominciano ad apparirti i tuoi problemi, conflitti e difetti; e assai più grandi, invece, le tue aspirazioni, i tuoi sogni, i tuoi ideali. Cresce la tua consapevolezza di te e della realtà, e questa crescita di consapevolezza va di pari passo con la riscoperta di quelle strutture e sorgenti di sapienza che la Qabbalah raffigura nelle Sephiroth. È davvero come se l’Albero della Vita crescesse in te. E dove la scoperta di quelle Verità angeliche è frenata (e tutti hanno tali zone bloccate, opache: tutti trovano incomprensibile qualche Angelo...), là si nascondono i principali tesori: là puoi scoprire cioè, con un po’ di pazienza, tue resistenze, tue ferite da guarire, tue domande non ancora affrontate, che fino a oggi ti avevano fatto apparire certe Verità, certe persone, certe situazioni, certi settori, insomma, del mondo come ostili o a te vietati. E sono appunto quei settori impersonati dall’Angelo che non riesci ancora a capire. Riflettici meglio, chiedi aiuto a Washariyah, l’Angelo-lente, e apri anche quelle porte.

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77. LE POTESTÀ 03/09/09 - 14:51

Con l’impetuoso Angelo di oggi ha inizio la Quinta Sephirah, color azzurro scuro, chiamata in ebraico Gheburah, che propriamente significa «la Forza dei grandi uomini». Ghibor in ebraico è «l’eroe», ghebir è «il capo». Gheburah, nel ciclo d’istruzione che tutti noi abbiamo attraversato prima di nascere, è il luogo che compensa la generosità, l’altruismo della Sephirah precedente, Khesed. In Geburah abbiamo imparato la forza centripeta, indispensabile all’esercizio dei nostri talenti nel mondo. «Essere o non essere?» si domandava Amleto, in un momento di evidente sbilanciamento verso Khesed: «essere, certamente!» gli avrebbe risposto la sua componente geburaica. Essere, accettare la sfida: come sarebbe stato possibile anche soltanto il nostro CONCEPIMENTO, senza questo tipo di

coraggio egocentrico? E oggi come potremmo anche soltanto immaginare la nostra libertà, senza le lezioni di Geburah? G, come ricordate, in ebraico è il geroglifico che rappresenta il corpo: l’involucro del nostro essere e il principio della coesione dell’io. B è il geroglifico che rappresenta la sede, e R è il geroglifico dell’energia che fluisce; dunque: «qui scopro che il corpo (G) dovrà essere la sede (B) di quel tanto di immensità che potrò far giungere (R) nel mondo». E ciò vale naturalmente anche riguardo ai corpi altrui: anche il rispetto, la stima che posso provare per gli altri dipendono da ciò che avevo appreso nella Quinta Sephirah. E viceversa l’opprimere il prossimo, l’ignorare il valore altrui, la ripugnanza per l’intimità, l’incapacità di provare gioia nel contatto con i nostri simili (o con alcune razze dei nostri simili) sono altrettanti sintomi delle carenze esistenziali di chi ha troppo dimenticato questa tappa della formazione prenatale. E non so cosa ne pensiate voi, ma a me pare proprio che a moltissimi l’analisi dei vari Angeli di Geburah offra l’occasione di un fruttuoso esame di coscienza e di condotta: ai troppo buoni, per esempio. Quella che alcuni chiamano eccessiva bontà è infatti, spesso, la tendenza a compiacere gli altri, ad adeguarsi, a sottomettersi; sconfina facilissimamente nella codardia, e la codardia si esprime non soltanto nel rapporto con gli altri, ma anche e soprattutto nel rapporto con se stessi: con le proprie idee, con la propria forza di volontà, con il proprio impegno, che illanguidiscono pateticamente. Ed è utile, lo studio di Geburah, anche ai tiepidi, ai frigidi, nei quali si nasconde spesso molto egoismo (vi è infatti un’enorme differenza tra l’egoismo e il coraggio di esprimere il proprio valore)... Insomma, in bocca al lupo con questi Angeli maestri, a cominciare proprio da Yekhuwiyah, autentico lupo solitario, fierissimo.

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78. L’ASCENSIONE 08/09/09 - 15:17 Nell’Angelo di questi giorni si esprime il coraggio di crescere e di salire. Lo mostra bene il suo Nome, Lehekhiyah, L-H-KH:

L è la crescita, H è ciò che cresce, KH è ciò che la crescita produce. Da Lehekhiyah ciascuno di noi ha ricevuto molte lezioni, quando tutto

ciò che ora è nostro (corpo, mente, spirito ecc.) era ancora e soltanto energia. Ciò che durante la gravidanza sarebbe diventato il nostro corpo ha ricevuto, da Lehekhiyah, gli ordini e l’impulso al proprio sviluppo e continuo rinnovamento. Ciò che sarebbe diventata poi la nostra mente ha ricevuto qui la facoltà di non accontentarsi mai, di voler conoscere sempre più. Ciò che sarebbe diventato il nostro spirito ha ricevuto qui la voglia di salire sempre più in alto, e di irradiarsi, nel mondo, in un’area sempre più vasta: e nella nostra vita, questa L del nostro spirito si sarà certamente manifestata dapprima sottoforma di brama di promozione, carriera, successo, e poi – se nulla l’ha potuta fermare – il suo estendersi è destinato a puntare sempre più in alto e lontano, verso quelle sfere più spirituali di cui parlano mistici e cabbalisti. Dunque, se notate che qualcosa vi manca nel vostro L-H-KH corporeo, mentale o spirituale, è proprio qui, da Lehekhiyah, che dovete tornare a cercare. Per rintracciarlo sapete bene come si fa: risalire l’Albero della Vita dritti dritti fino a raggiungere lo ‘Olam della Creazione (v. la puntata 70), là girate a sinistra, arrivate nella Sfera di Geburah, e poi chiedete... Ovviamente sto parlando del tutto sul serio: la settimana prossima sarà giusto un anno che discutiamo di Qabbalah e vi sarete ormai familiarizzati con questo tono un po’ da fantascienza, un po’ da caccia al tesoro, che è sì simbolico, ma non astratto, e che non richiede fede negli Angeli, ma curiosità, riflessione e voglia di esperienze reali. Se richiedesse fede, vi avrei suggerito di invocare Lehekhiyah, per ottenerne i favori, e poi di star seduti o inginocchiati in attesa di riceverne un segnale, o magari di vederlo apparire, con le sue grandi ali blu. Invece si tratta proprio di salire, di farsi strada lungo il tragitto dell’Albero, riconquistando uno dopo l’altro i suoi vari gradi di consapevolezza... e non c’è bisogno né di invocazioni e nemmeno di immaginarsi l’Angelo di oggi come una figura autonoma, separata da voi: Lehekhiyah, infatti, È GIÀ tutto quanto in quel vostro ascendere, ed è appunto con il vostro ascendere che gli parlate e formulate – magari senza accorgervene – le vostre richieste d’aiuto. Se di fede si può trattare, qui, è semmai e soltanto della vostra fede in voi stessi.

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79. IL CAPO CORDATA 13/09/09 - 15:32

E subito dopo l’Angelo dell’ascesa, ecco oggi Kawaqiyah, l’Angelo del sesto-settimo grado, la guida esperta dei passaggi difficili, carico di chiodi, ganci e corde. Se Lehekhiyah era l’ottimismo alpinistico, lo slancio indispensabile (e si pensi a quanto di quello slancio vi fu, in forma cupa e tragica, nell’assalto dell’11 settembre), Kawaqiyah è la chiara consapevolezza del pericolo, e la prudenza che spinge non a fermarsi ma ad affrontare anche i più impossibili speroni di roccia con tutte le necessarie precauzioni. Noterete che oggi, il 13, questi due Angeli coincidono, come due facce di una stessa medaglia: per chi è nato oggi, ciò significa (ricordate? V. la puntata 6, sulle Cuspidi angeliche) che fino ai 38-40 anni la sua energia

prevalente sarà quella di Kawaqiyah, e poi diverrà quella di Lehekhiyah; mentre per chi vuol meditare su questi due volti della Quinta Sephirah, significa che, semplicemente, uno non sta senza l’altro: salgono insieme, davanti a voi – quando volete salire – indicandovi la via. E con Kawaqiyah mi congedo, lasciandovi un altro esercizio di Angelologia, da svolgere da soli. Siamo infatti partiti, un anno fa, dalle lettere dell’alfabeto sacro, poi abbiamo parlato un po’ di creazione e di altre vicende sacre, e finalmente siamo arrivati all’Albero della vita: ci troviamo ora nella Sephirah Geburah, i cui Angeli proseguiranno fino al 13 ottobre; poi dal 14 ottobre al 22 novembre vi sarà la Sesta Sephirah, quella degli Angeli chiamati Virtù, color oro, maestri dell’accorgersi e del guardarsi intorno; e dal 23 novembre si entrerà nell’ultimo ‘Olam, ovvero Dimensione, dell’Aldilà: lo ‘Olam della formazione, corrispondente al periodo in cui, già concepiti, aspettavate il parto. Qui vi saranno i Principati, ovvero gli Angeli della Bellezza (dal 23 novembre al 31 dicembre), poi gli Arcangeli (dal 1 gennaio al 9 febbraio) e poi gli Angeli lunari (dal 9 febbraio al 21 marzo). Bene, per procedere efficacemente nel vostro corso di Angelologia, provate a esplorare gli Angeli, da oggi in poi, per conto vostro, rileggendo se volete le puntate di questo blog, dalla prima in poi... Sono certo che vi scoprirete molte più cose di quanto non sia avvenuto alla prima lettura, e che soprattutto riconoscerete molti suggerimenti di ulteriore riflessione, che la prima volta non avevate notato. Kawaqiah e Lehekhiyah vi daranno sicuramente una mano, su questi pendii e strapiombi. Un ultimo consiglio: non abbiate fretta, da un lato, e dall’altro sappiate che non si arriva mai! C’è soltanto la via, la si può solo percorrere, non è mai finita in passato e non finisce, proprio come la vita. Fine