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Ian Watt IL REALISMO E LA FORMA DEL ROMANZO Molte questioni generali cui si sono interessati gli studiosi della narrativa degli inizi del diciottesimo secolo non hanno ancora avuto risposte del tutto soddisfacenti. Il romanzo è una forma letteraria nuova? E se supponiamo, come generalmente avviene che lo sia, e che sia stato iniziato da Defoe, Richardson e Fielding, in cosa differisce dalle narrazioni in prosa del passato, da quelle della Grecia, ad esempio, o del Medioevo o della Francia del diciassettesimo secolo? E quale può essere la ragione di queste differenze e la causa per cui apparirono in un certo tempo e luogo? Problemi di tali dimensioni non sono mai di facile risposta e sono particolarmente difficili nel nostro caso perché Defoe, Richardson e Fielding non costituiscono una scuola letteraria nel senso normale. Le loro opere mostrano così pochi segni di mutua influenza e sono di così diversa natura che, a prima vista, parrebbe che la nostra curiosità sul sorgere del romanzo sia destinata ad appagarsi di insoddisfacenti risposte basate sui concetti di "genio" e "accidente", le facce di Giano dei vicoli ciechi della storia letteraria. Non possiamo, naturalmente, eliminarli ma l'utilizzo che ne possiamo fare è ben scarso. Questa ricerca, dunque, prende un'altra direzione: supponendo che l’apparizione dei nostri primi tre romanzieri durante una sola generazione non sia stato mero "accidente" e che i loro "genio" non avrebbero potuto creare la nuova forma se le condizioni del tempo non fossero state favorevoli, cercheremo di scoprire quali siano state queste favorevoli condi- zioni e in che modo Defoe, Richardson e Fielding ne beneficiarono. Per questa ricerca, dobbiamo partire con una ipotesi di lavoro definitoria delle caratteristiche del romanzo: una definizione sufficientemente ristretta da escludere tipi precedenti di narrativa e ampia abbastanza da potersi applicare a tutto ciò che normalmente viene posto nella categoria del romanzo. I romanzieri stessi non ci aiutano molto in un tale compito. E' ben vero che sia Richardson sia Fielding si consideravano gli iniziatori di un nuovo modo di scrivere e ritenevano che esistesse una frattura tra le loro opere e la narrativa precedente, ma essi, come pure i loro contemporanei, non hanno fornito una definizione delle caratteristiche del nuovo genere: non possiamo neppure etichettare la diversa natura della loro narrativa con un nome nuovo poiché il termine novel (romanzo) non entrò nell'uso che verso la fine del diciottesimo secolo. Aiutati da una più ampia prospettiva, gli storici del romanzo sono riusciti a fare assai di più nell'individuare le caratteristiche salienti di questo genere. In sintesi, la definizione di

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Ian Watt

IL REALISMO E LA FORMA DEL ROMANZO

Molte questioni generali cui si sono interessati gli studiosi della narrativa degli inizi del diciottesimo secolo non hanno ancora avuto risposte del tutto soddisfacenti. Il romanzo è una forma letteraria nuova? E se supponiamo, come generalmente avviene che lo sia, e che sia stato iniziato da Defoe, Richardson e Fielding, in cosa differisce dalle narrazioni in prosa del passato, da quelle della Grecia, ad esempio, o del Medioevo o della Francia del dicias-settesimo secolo? E quale può essere la ragione di queste differenze e la causa per cui apparirono in un certo tempo e luogo?

Problemi di tali dimensioni non sono mai di facile risposta e sono particolarmente difficili nel nostro caso perché Defoe, Richardson e Fielding non costituiscono una scuola letteraria nel senso normale. Le loro opere mostrano così pochi segni di mutua influenza e sono di così diversa natura che, a prima vista, parrebbe che la nostra curiosità sul sorgere del romanzo sia destinata ad appagarsi di insoddisfacenti risposte basate sui concetti di "genio" e "accidente", le facce di Giano dei vicoli ciechi della storia letteraria. Non possiamo, naturalmente, eliminarli ma l'utilizzo che ne possiamo fare è ben scarso. Questa ricerca, dunque, prende un'altra direzione: supponendo che l’apparizione dei nostri primi tre romanzieri durante una sola generazione non sia stato mero "accidente" e che i loro "genio" non avrebbero potuto creare la nuova forma se le condizioni del tempo non fossero state favorevoli, cerche-remo di scoprire quali siano state queste favorevoli condizioni e in che modo Defoe, Richardson e Fielding ne beneficiarono.

Per questa ricerca, dobbiamo partire con una ipotesi di lavoro definitoria delle caratteristiche del romanzo: una definizione sufficientemente ristretta da escludere tipi precedenti di narrativa e ampia abbastanza da potersi applicare a tutto ciò che normalmente viene posto nella categoria del romanzo. I romanzieri stessi non ci aiutano molto in un tale compito. E' ben vero che sia Richardson sia Fielding si consideravano gli iniziatori di un nuovo modo di

scrivere e ritenevano che esistesse una frattura tra le loro opere e la narrativa precedente, ma essi, come pure i loro contemporanei, non hanno fornito una definizione delle caratteristiche del nuovo genere: non possiamo neppure etichettare la diversa natura della loro narrativa con un nome nuovo poiché il termine novel (romanzo) non entrò nell'uso che verso la fine del diciottesimo secolo.

Aiutati da una più ampia prospettiva, gli storici del romanzo sono riusciti a fare assai di più nell'individuare le caratteristiche salienti di questo genere. In sintesi, la definizione di "realismo" ha caratterizzato la distinzione dalla narrativa precedente. Riguardo a questa definizione, che accomuna scrittori altrimenti diversi ma simili nell'essere "realistici", una prima riserva comporta una richiesta di ulteriori spiegazioni, se non altro perché, senza una qualifica più precisa, può implicare che tutti i precedenti scrittori e le precedenti forme letterarie si basassero sull'irrealtà.

Dal punto di vista della critica letteraria, la principale associazione del termine "realismo" è con la omonima scuola francese. Réalisme fu probabilmente usato per la prima volta come termine estetico nel 1835, per denotare la vérité humaine di Rembrandt in quanto opposta alla idéalité poétique della pittura neoclassica e fu più tardi consacrato come termine specificamente letterario con la fondazione nel 1856 di Réalisme, una rivista diretta da Duranty.

Sfortunatamente gran parte dell'utilità della parola venne ben presto persa durante le polemiche controversie riguardanti i soggetti "triviali" e il supposto immoralismo di Flaubert e dei suoi successori. Ne derivò l'uso di "realismo" come antitesi di "idealismo" e tale uso, in effetti un riflesso della posizione presa dagli avversari dei Realisti francesi, ha influenzato molti degli studi critici e storici sul romanzo. La preistoria della forma "romanzo" è stata così descritta come qualcosa di continuo rispetto a tutte le forme precedenti di narrativa che rappresentavano la vita comune. Così la storia della matrona di Efeso è "realistica" perché mostra l'appetito sessuale più forte del dolore vedovile, e il fabliau o la storia picaresca sono "realistici" perché motivi economici o carnali hanno la preminenza nello spiegare il comportamento umano. Secondo questa stessa premessa implicita, i romanzieri inglesi del diciottesimo secolo insieme ai francesi Furetière, Scarron e Lesage vengono considerati il momento conclusivo di tale tradizione. Così, il "realismo" dei romanzi di Defoe, Richardson e Fielding viene a essere associato al fatto che Moll Flanders è una ladra, Pamela una ipocrita e Tom Jones un fornicatore.

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Quest'uso del termine "realismo" ha tuttavia un grande difetto: quello di oscurare la caratteristica probabilmente più distintiva del romanzo. Se il romanzo fosse realistico semplicemente perché vede la vita nei suoi aspetti più spiacevoli, esso sarebbe semplicemente un romance capovolto1. In effetti esso cerca di ritrarre tutte le varietà dell'esperienza umana e non solamente quelle che si adattano a una particolare prospettiva letteraria: il realismo del romanzo non consiste nel tipo di vita che esso presenta ma nel modo in cui la presenta.

Ciò è ovviamente assai vicino alla posizione dei realisti francesi, i quali affermavano che i loro scritti differivano da ritratti dell'umanità più lusinghieri offerti da chi seguiva codici etici, sociali e letterari affermati da tempo poiché erano il prodotto d'una analisi della vita più spassionata e scientifica. Non è affatto chiaro che questo ideale di obiettività scientifica sia desiderabile e, certamente, non può essere realizzato ma, nondimeno, è assai significativo che, durante il primo sforzo del nuovo genere di diventare criticamente conscio dei propri scopi e metodi, quello cioè tentato dai realisti francesi, emergesse il problema che il romanzo solleva con più forza di ogni altra forma letteraria: quello della corrispondenza tra opera letteraria e realtà da essa imitata. Si tratta di un problema essenzialmente epistemologico e sembra dunque probabile che la natura del realismo del romanzo, sia quello del primo Settecento sia quello più tardo, possa essere chiarificata con l'aiuto di coloro che si occupano professionalmente di analisi dei concetti, i filosofi.

Si sa che il realismo moderno inizia con l'affermazione che la verità può essere scoperta dall'individuo mediante i sensi e ha le sue origini in Descartes e Locke, ricevendo poi formulazione piena in Thomas Reid verso la metà del diciottesimo secolo. Ma l'opinione che il mondo esterno è reale e che i nostri sensi ce ne danno una fedele descrizione non aiuta certo molto di per sé a capire il realismo letterario: poiché quasi ognuno in ogni epoca è stato, in un modo o nell'altro, costretto a giungere a una tale conclusione riguardo al mondo esterno dall'esperienza, la letteratura è sempre stata, in certa misura, soggetta a questa ingenuità epistemologica. Inoltre, i caratteri distintivi dell’ epistemologia realista, e le discussioni collegate, sono per la maggior parte troppo specializzati per influire sulla letteratura. Ciò che nel realismo filoso-

1 Novel: romanzo, narrazione fittizia in cui personaggi e azioni 'realistici' sono presentati in una trama più o meno complessa; romance: narrazione in cui prevale l'elemento fantastico, l'attenzione è rivolta alla trama piuttosto che ai personaggi e c'è un interesse predominante per il suspense e le complicazioni narrative (N.d.T.).

fico è importante per il romanzo è assai meno specifico: è piuttosto un at-teggiamento generale di pensiero realistico, i metodi usati nell'investigazione e il tipo di problemi sollevati.

L'atteggiamento generale del realismo filosofico è stato critico, antitradizionalista e innovatore; il metodo si è basato sullo studio dei particolari dell'esperienza da parte del singolo investigatore che, almeno idealmente, è libero dagli assunti del passato e dalle credenze tradizionali. Par-ticolare importanza è stata data, inoltre, alla semantica, cioè al problema della natura del rapporto tra parole e realtà. Tutte queste caratteristiche del realismo filosofico hanno analogie con altrettante caratteristiche del romanzo, analogie che portano la nostra attenzione sul tipo di corrispondenza tra vita e letteratura che si è affermato nella narrativa in prosa dopo Defoe e Richardson.

a) Un genere senza modelli canonici. "Originale".La grandezza di Descartes consistette principalmente nel suo metodo, nella

sua determinazione a non accettare nulla sulla fiducia. Il suo Discours de la méthode (1637) e le Méditations (1641) influenzarono molto il moderno as-sunto secondo il quale il perseguimento della verità è di natura esclusivamente individuale, indipendente logicamente dalla tradizione e, invero, più facile da raggiungere prescindendo da questa.

Il romanzo è la forma letteraria che più pienamente rispecchia questo orientamento individualista e innovatore. Le forme letterarie precedenti avevano rispecchiato la tendenza generale della cultura in cui erano sorte a considerare la conformità alle pratiche tradizionale come la principale prova di verità: le trame dell'epoca classica e rinascimentale, ad esempio, erano basate su storie del passato o su favole e i meriti dell'autore erano largamente misurati in base al decoro letterario raggiunto, decoro dipendente appunto dall’accettazione del modello. Codesto tradizionalismo letterario fu per la prima volta e più completamente sfidato dal romanzo, il cui criterio fondamentale era la verità in relazione all'esperienza individuale che è sempre unica e, quindi, nuova. Il romanzo appare così il logico veicolo letterario di una cultura che, negli ultimi secoli aveva insistito, cosa che non era mai avvenuta in precedenza, sul valore dell'originalità, sì che il romanzo non po-teva ricevere nome più appropriato nella lingua inglese, novel appunto.

Non è motivo di pregio per il romanzo l'essere, in alcun senso, l’imitazione d'altra opera letteraria: la ragione di tale differenza sembra risiedere nel fatto che compito primo del romanziere è dare l'impressione di riprodurre

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fedelmente l'esperienza umana; di conseguenza, il conformarsi a qualsivoglia tradizione formale non può che danneggiare il risultato. L'addebito spesso mosso al romanzo d'essere senza forma rispetto, ad esempio, alla tragedia o all'ode discende, con tutta probabilità da quanto detto sopra e, cioè, la povertà delle convenzioni formali del romanzo è il prezzo pagato per il suo realismo.

E, tuttavia, l'assenza di convenzioni formali nel romanzo appare di minore importanza se paragonata al suo rifiuto di trame tradizionali. Il problema della trama non è così semplice e il grado di originalità o di non originalità non è mai facile da determinare: nondimeno un confronto, sia pur sommario e generico, tra il romanzo e le forme precedenti di narrativa mostra una importante differenza. Defoe e Richardson sono i primi grandi scrittori della letteratura inglese che non hanno derivato le loro trame dalla mitologia, dalla storia, dalla leggenda o dalla letteratura precedente. In questo sono diversi da Chaucer, da Spenser, da Shakespeare, da Milton ecc., i quali, come gli scrittori di Grecia e di Roma, usarono abitualmente intrecci tradizionali facendo ciò, in ultima analisi, poiché accettavano l'assunto culturale dei loro tempi secondo il quale la Natura è in sé completa e immutabile e, quindi, la sua descrizione, sotto forma di iscrizioni, di leggende, o di resoconti storici costituiva un repertorio definitivo dell'esperienza umana.

Questo punto di vista continuò ad aver corso sino al diciannovesimo secolo durante il quale, ad esempio, gli avversari di Balzac usavano deriderlo a causa della sua preoccupazione per la realtà contemporanea per essi effimera. Ma, al tempo stesso, dal Rinascimento in poi, vi fu una tendenza crescente a sostituire l'esperienza individuale alla tradizione collettiva come arbitro definitivo di realtà. Questa transizione costituisce una parte importante dello sfondo culturale in cui maturò il romanzo.

E' significativo che la tendenza in favore dell'originalità abbia trovato la sua prima decisa espressione per la prima volta in Inghilterra e nel secolo diciottesimo; la stessa parola "originalità" acquistò il suo significato moderno in quel tempo, tramite un capovolgimento semantico che è parallelo a quello accaduto al termine "realismo". Dalla convinzione medievale nella realtà degli universali, "realismo" è venuto a denotare una credenza nella percezione individuale della realtà tramite i sensi: nello stesso modo, il termine "originale" che, nel Medioevo, significava "esistente dall'inizio" venne a significare "non derivato da altro, indipendente, di prima mano" e, al tempo in cui Edward Young nelle sue memorabili Coniectures on Original Composition del 1759, salutava Richardson come "genio sia morale che originale", la parola

poteva essere usata eulogisticamente nel senso di "nuovo o fresco in carattere o stile".

L'uso di trame non tradizionali nel romanzo è una precoce e probabilmente indipendente manifestazione di questa tendenza. Quando Defoe, ad esempio, iniziò a scrivere racconti tenne in poco conto le teorie critiche allora dominanti che ancora sostenevano l'uso di trame tradizionali, permettendo invece alla sua narrazione di fluire spontaneamente da ciò che egli sentiva che i suoi personaggi avrebbero plausibilmente potuto fare. Così facendo, egli iniziò una nuova e importante tendenza nella narrativa e, cioè, la totale subordinazione della trama al modello della "memoria" autobiografica, un'asserzione di sfida del primato dell’esperienza individuale nel romanzo tanto importante quanto il cogito ergo sum di Descartes lo era stato in filosofia.

Dopo Defoe, Richardson e Fielding continuarono, in modi diversi, ciò che doveva divenire la prassi abituale del romanzo, l'uso cioè di trame non tradizionali, interamente inventate o basate parzialmente su avvenimenti con-temporanei.

b) Universale e individuale.Molte altre cose, oltre alla trama, dovevano cambiare nella tradizione della

narrativa prima che il romanzo potesse esprimere la presa individuale della realtà così compiutamente come il metodo di Descartes e di Locke aveva permesso al pensiero di scaturire dai dati immediati della coscienza. Anzitutto, gli attori e la scena delle loro azioni dovevano essere posti in una nuova pro-spettiva letteraria: l'intreccio doveva avere come attori delle persone particolari in circostanze particolari invece che, come in passato, dei tipi umani generali in situazioni determinate dalle convenzioni letterarie.

Questo mutamento letterario fu analogo al rifiuto degli universali e all’enfasi sui particolari che caratterizza il realismo filosofico. Aristotele avrebbe potuto essere d'accordo con l'assunto principale di Locke che sono i sensi che "inizialmente lasciano entrare singole idee e ammobiliano la stanza vuota", ma avrebbe insistito che lo studio dei particolari singoli era di scarsa importanza in sé poiché l'uomo doveva ribellarsi al fluire senza senso delle sensazioni e raggiungere la conoscenza degli universali che soli costituivano la realtà ultima e immutabile. E' questa enfasi generalizzatrice a dare una certa unità al pensiero occidentale al di sopra di altre differenze e, quando, nel 1713, il Philonous di Berkeley affermava che "è massima generalmente accettata che tutto ciò che esiste è particolare", esponeva l'opposta tendenza che dà al

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pensiero moderno, dopo Descartes, una certa unità di prospettiva e di metodo.Le nuove tendenze filosofiche e le corrispettive caratteristiche formali del

romanzo erano così, ancora una volta, in opposizione alle idee letterarie dominanti. La tradizione critica del primo Settecento era infatti ancora dominata dalla forte predilezione classica per il generale e l'universale, soggetto prescritto alla letteratura restando quod semper quod ubique ab omnibus creditum est2. Tendenza, questa, particolarmente pronunciata nei neoplatonici, da sempre sostenitori dei romance, e che divenivano sempre più importanti nella critica letteraria e nell'estetica. Shaftesbury, ad esempio, nel suo Essay on the Freedom of Wit and Humour del 1709, espresse con molta enfasi la scarsa stima per questa scuola di pensiero favorevole al particolare nella letteratura e nell'arte: "La varietà della Natura è tale da distinguere ogni cosa che essa forma con un peculiare carattere originale che, se osservato ri-gorosamente, farebbe apparire il soggetto dissimile da qualsiasi altro. Tale effetto il buon poeta e il buon pittore cercano accuratamente di evitare. Essi rifuggono dalla minuzíosità e temono la singolarità.". Egli così continuava: "Il semplice pittore di facce ha invero poco in comune col poeta; ma, come il semplice storico, egli copia ciò che vede e minuziosamente riproduce ogni caratteristica o segno distintivo"; e concludeva con sicurezza che "tale non è il caso per uomini d"ingegno e invenzione".

Nonostante Shaftesbury, tuttavia, una opposta tendenza estetica in favore della particolarità doveva affermarsi presto, in gran parte come risultato dell'applicazione ai problemi letterari dell'approccio psicologico di Hobbes e Locke. Lord Kames fu probabilmente il più deciso esponente di questa tendenza dichiarando, nei suoi Elements of Criticism (1762), che "i termini astratti e generali non hanno buoni effetti in alcuna composizione volta a divertire, poiché è solo dagli oggetti particolari che si possono formare immagini". Contrariamente alle opinioni correnti, Kames giunse a sostenere che il fascino di Shakespeare risiedeva nel fatto che "ogni cosa nelle sue descrizioni è particolare, come avviene in natura".

Sotto questo aspetto, come sotto quello dell'originalità, Defoe e Richardson iniziarono la direttiva letteraria tipica del romanzo assai prima che questa potesse appoggiarsi a una teoria critica. Non tutti possono essere d'accordo con Kames che "ogni cosa" nelle descrizioni di Shakespeare è particolare ma la particolarità delle descrizioni è sempre stata considerata tipica della maniera narrativa di Robinson Crusoe e di Pamela. La prima biografa di Richardson,

2 = ciò che sempre e dovunque è creduto da tutti.

Mrs. Barbauld, invero, ne descrisse il genio in termini che hanno continuato ad apparire nella controversia tra generalità neoclassica e particolarità realistica. Sir Joshua Reynolds espresse la sua ortodossia neoclassica preferendo "le idee grandi e generali" della pittura italiana alla "verità letterale... e esatta minuziosità nei dettagli della natura modificati dall'accidente" della scuola olandese mentre i realisti francesi, si ricorderà, prediligevano la vérité humaine di Rembrandt in opposizione alla idéalité poétique della scuola classica. Mrs. Barbauld individuò con esattezza la posizione di Richardson nella controversia scrivendo che egli aveva "l'accuratezza di finitura di un pittore olandese... soddisfatto di produrre effetti con un lavoro paziente e minuzioso". Sia egli che Defoe, in effetti, poco si curavano dello sprezzo di Shaftesbury e, come Rembrandt, si accontentavano di essere "semplici pittori di facce e storici".

Il concetto di particolarità realistica in letteratura è in qualche modo troppo generale per essere suscettibile di dimostrazioni concrete: per offrire tali dimostrazioni bisogna prima stabilire la relazione della particolarità realistica con alcuni aspetti specifici della tecnica narrativa. Due di tali aspetti sembrano avere speciale rilevanza in questo contesto: la caratterizzazione e la presentazione dell'ambiente. Il romanzo si distingue sicuramente dagli altri generi e dalle precedenti forme di narrativa per l'attenzione prestata normalmente sia all'individualizzazione dei personaggi sia a una dettagliata presentazione dell'ambiente.

c) Definire l'individuo. L'uso dei nomi propri.Filosoficamente l’approccio particolarizzante ai personaggi si risolve nel

problema di definire l'individuo. Dopo che Descartes aveva dato estrema importanza ai processi di pensiero che avvengono nella coscienza individuale, i problemi filosofici connessi all'identità personale ricevettero grande attenzione. Locke, Bishop Butler, Berkeley, Hume e Reid discussero l'argomento e la controversia raggiunse perfino le pagine dello Spectator.

Il parallelo tra la tradizione del pensiero realistico e le innovazioni formali dei primi romanzieri è, sotto questo aspetto, ovvio: filosofi e romanzieri diedero maggiore attenzione all'individuo particolare di quanto si facesse prima. Tuttavia, anche la grande attenzione che il romanzo dà alla particolarizzazione dei personaggi è un problema così vasto che noi lo considereremo solo in uno dei suoi più semplici aspetti: il modo, cioè, in cui il romanziere tipicamente indica la sua intenzione di presentare un personaggio come individuo dandogli un nome come quelli che gli individui hanno nella

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vita ordinaria.Logicamente il problema dell'identità individuale è strettamente legato allo

status epistemologico dei nomi propri poiché, nelle parole di Hobbes, «i nomi propri evocano una cosa sola, gli universali una qualsiasi di molte». I nomi propri hanno esattamente la stessa funzione nella vita sociale, essendo l'espressione verbale della particolare identità di ogni singola persona. In letteratura, tuttavia, questa funzione dei nomi propri si affermò pienamente solo col romanzo.

Anche nelle precedenti forme letterarie i personaggi ricevevano ovviamente, un nome proprio ma il tipo di nomi usati mostrava che l'autore non cercava di presentare i suoi personaggi come entità completamente individualizzate. I precetti della critica classica e rinascimentale sostenevano l'uso in letteratura di nomi storici o tipici. In ambo i casi, questi nomi pongono il personaggio nel contesto di un vasto insieme di aspettative formatesi principalmente sulla letteratura del passato e non sulla vita contemporanea. Perfino nella commedia, i cui personaggi non erano normalmente storici ma inventati, i nomi dovevano essere "caratteristici", come ci dice Aristotele, e la tendenza ri-mase questa per lungo tempo dopo l'emergere del romanzo.

I tipi precedenti di narrativa in prosa tendevano pure a usare nomi propri caratteristici o non particolari e irrealistici in qualche modo: nomi che, come quelli usati da Rabelais, Sidney o Bunyan, denotano qualità particolari o, come quelli di Lyly, Aphra Behn o Mrs. Manley, portano con sé connotazioni straniere, arcaiche o letterarie che escludono ogni suggestione della vita reale e contemporanea. L'orientamento principalmente letterario e convenzionale di questi nomi propri è ulteriormente confermato dal fatto che normalmente ve n'era solo uno - Mr. Badman o Euphues - mentre la gente nella vita ordinaria ha nome e cognome.

I primi romanzieri, dunque, ruppero in modo significativo con la tradizione e nominarono i loro personaggi in un modo tale da suggerire che dovevano essere considerati come individui particolari nel contesto sociale contemporaneo. L'uso dei nomi propri in Defoe è casuale e talvolta con-traddittorio ma assai raramente egli dà nomi convenzionali o di fantasia. La possibile eccezione, Roxana, è uno pseudonimo pienamente spiegato nel libro e la maggior parte dei personaggi principali, da Robinson Crusoe a Moll Flanders, hanno nomi o pseudonimi completi e realistici. Richardson continuò in questa pratica ma fu più attento e diede a tutti i suoi personaggi principali e persino alla maggioranza di quelli secondari sia un nome che un cognome.

Egli fronteggiò anche un problema minore ma non privo di importanza per il romanzo, quello di dar nomi sottilmente appropriati e suggestivi che suonino tuttavia realistici. Le connotazioni romanzesche di Pamela sono così controllate dal comune cognome Andrews. Sia Clarissa Harlowe che Robert Lovelace hanno nomi appropriati in molti sensi e, invero, quasi tutti i nomi propri di Richardson, da Mrs. Sinclair a sir Charles Grandison,3 suonano autentici e sono al contempo adatti alle personalità di chi li porta.

Fielding, come fu osservato da un critico contemporaneo anonimo, battezzò i suoi personaggi «non con nomi fantastici e altisonanti ma tali che, sebbene abbiano talvolta qualche riferimento al personaggio, hanno una connotazione più moderna. Nomi come Heartfree, Allworthy e Square4 sono certamente versioni modernizzate del nome tipico sebbene siano credibili: persino Western o Tom Jones suggeriscono fortemente che Fielding, era attento sia al tipo generale che all'individuo particolare». Questo non è contrario alla presente argomentazione, perché si sarà certamente d'accordo sul fatto che la pratica di Fielding nel dar nomi ai personaggi, oltre che il modo di ritrarli, si distacca dal normale trattamento di questi elementi nel romanzo. Non che, come s'è visto nel caso di Richardson, non vi sia posto nel romanzo per nomi propri in certo senso appropriati al personaggio, ma questa appropriatezza non deve essere tale da impedire la principale funzione del nome, quella di simboleggiare il fatto che il personaggio deve essere considerato come se fosse una persona particolare e non un tipo.

Vi è persino qualche indizio che Fielding, in modo simile ad alcuni romanzieri contemporanei, prendesse i nomi dei suoi personaggi principali a caso da un elenco stampato di contemporanei e, infatti, tutti i cognomi sopra elencati si trovano nell'elenco degli abbonati all'edizione in folio del 1724 della Hístory of His Own Time di Gilbert Burnet, che sappiamo esser stata posseduta da Fielding.

Comunque sia, è certo che Fielding fu consapevole e si adeguò al costume iniziato da Defoe e Richardson di usare nomi propri contemporanei. Malgrado tale costume non sia stato sempre seguito da alcuni dei romanzieri del tardo Settecento, come Smollett e Sterne, fu in seguito riconosciuto come parte della tradizione della forma romanzo. Quando il Romanziere rompe con questa

3 Lovelace = senza amore; in Sinclair si noti la radice sin = Peccato; in Grandison sí noti la radice grand = grande, splendido, celebre (N.d.T.).4 Heartfree = cuorlibero; Allworthy = degno assai; Square = quadrato ma anche robusto o leale, onesto (N.d.T.).

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tradizione, lo fa per distruggere la fede del lettore nella realtà letterale del personaggio.

d) Individuo e tempo.Locke aveva definito l'identità personale come una identità di coscienza

attraverso la durata nel tempo: l'individuo è in contatto con la sua identità in progresso tramite la memoria di pensieri e azioni passati. Questo porre l'origine dell'identità personale nel repertorio dei suoi ricordi si ritrova in Hume: «Ove non avessimo memoria, non avremmo nozione alcuna del concetto di causa e, conseguentemente, di quella catena di cause ed effetti che costituisce il nostro essere o persona.» Questo punto di vista è caratteristico anche del romanzo: molti romanzieri, da Sterne a Proust, hanno preso a oggetto l'esplorazione della personalità definita come interpenetrazione di passato e presente autocoscienza.

Il tempo è una categoria essenziale in un altro connesso ma più esterno approccio al problema della definizione dell'individualità di ogni oggetto. Il "principio di individuazione" di Locke era quello dell’esistenza in un partico-lare locus nello spazio e nel tempo poiché, come scrisse, "le idee divengono generali quando vengono separate dalle circostanze di tempo e di luogo", così che divengono particolari solo quando ambedue queste circostanze sono specificate. Nello stesso modo i personaggi del romanzo possono essere individualizzati solo se posti sullo sfondo di un particolare tempo e di un particolare ambiente. Sia la filosofia che la letteratura della Grecia e di Roma furono profondamente influenzate dall'idea platonica che le Forme o Idee sono le realtà ultime dietro agli oggetti concreti del mondo temporale. Queste forme erano concepite come fuori dal tempo e immutabili5 e questo rifletteva il postulato di base di quelle civiltà che nulla avveniva o poteva avvenire il cui fondamentale significato non fosse indipendente dal fluire del tempo. Questa premessa è diametralmente opposta alla visione del mondo che si è affermata dal Rinascimento in poi e che considera il tempo, non solamente dimensione cruciale del mondo fisico, ma anche forza che plasma la storia individuale e collettiva dell'uomo.

Abbiamo già considerato un aspetto dell'importanza che la dimensione temporale assume nel romanzo e, cioè, la sua rottura con la tradizione di usare

5 Platone non afferma specificamente che le Idee sono al di fuori del tempo ma tale nozione, che risale ad Aristotele (Metafisica, libro XII, cap. 6), è alla base di tutto il sistema di pensiero con cui le Idee sono associate.

storie fuori del tempo per dimostrare verità morali immutevoli. L’intreccio del romanzo si distingue pure da quelli della narrativa precedente tramite l'uso di esperienze passate come cause dell'azione presente: una connessione causale operante nel tempo sostituisce l'uso precedente di camuffamenti e coincidenze e questo dà al romanzo una struttura assai più coesiva. Ancor più importante è, forse, l'effetto sulla caratterizzazione dell’insistere sui processi temporali, il cui esempio estremo e più ovvio è il flusso di coscienza che pretende di essere una citazione diretta di quanto avviene nella mente individuale sotto l'effetto del flusso temporale. In generale, comunque, il romanzo si è interessato più di qualunque altro genere allo sviluppo dei personaggi durante il tempo. Infine, la descrizione dettagliata delle occupazioni d'ogni giorno che si trova nel romanzo dipende dal suo potere sulla dimensione temporale. Come ha os-servato T. H. Green, molto della vita umana tende a sfuggire alla rappre-sentazione letteraria a causa della sua lentezza e la stretta somiglianza del romanzo alla complessità dell'esperienza quotidiana dipende direttamente dal suo impiego di una misurazione temporale assai più minuziosa e precisa di quelle precedentemente impiegate nella narrativa.

Il ruolo del tempo nella letteratura antica, medievale e rinascimentale è chiaramente diverso da quello che si ha nel romanzo. La restrizione dell'azione della tragedia in ventiquattro ore, ad esempio, la celebre unità di tempo, è in realtà una negazione dell'importanza della dimensione temporale nella vita umana: poiché, in accordo con la visione del mondo classica centrata su universali fuori del tempo, implica che la verità sull'esistenza possa essere dispiegata pienamente sia nello spazio di un giorno come nello spazio di una intera vita. Le famose personificazioni del tempo come carro alato o tristo falciatore rivelano una simile prospettiva: focalizzano l'attenzione non sul fluire del tempo ma sul fatto supremamente fuori del tempo della morte e i1 loro ruolo è quello di superare la nostra coscienza della vita quotidiana per preparare a far fronte all’eternità. Ambedue queste personificazioni, in effetti, assomigliano alla dottrina dell'unità di tempo in quanto sono fondamentalmente astoriche e quindi egualmente rappresentative dell'assai minor importanza accordata alla dimensione temporale nelle forme letterarie precedenti il romanzo.

Il senso del passato storico in Shakespeare, ad esempio, è assai diverso da quello moderno. Troia e Roma, i Plantageneti e i Tudor non sono abbastanza lontani nel tempo da essere differenti dal presente o tra di loro. In ciò Sha-kespeare riflette la sua età: era morto da trent'anni quando la parola

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"anacronismo" apparve per la prima volta nella lingua inglese ed era ancora assai prossimo all’opinione medievale che, qualunque fosse il periodo, le ruote del tempo producevano sempre gli stessi ed eternamente applicabili exempla.

Questa visione astorica si associa a una sorprendente mancanza di interesse per l'ambientazione temporale nei suoi termini più ristretti ed è questa mancanza di interesse che ha determinato lo schema temporale, sia di Sha-kespeare che della maggior parte dei suoi predecessori da Eschilo in poi, che ha messo in imbarazzo i loro futuri curatori e critici. L'attitudine verso il tempo delle forme narrative precedenti il romanzo è molto simile: la sequenza degli eventi si dispiega in un astratto continuum di tempo e spazio che dà ben poca importanza al tempo in quanto fattore che influisce sulle relazioni umane.

Presto, tuttavia, il moderno senso del tempo cominciò a permeare di sé molte aree di tensione. Nel tardo Settecento vi fu il sorgere di uno studio più obiettivo della storia e, quindi, di un sentimento più profondo delle differenze tra passato e presente. Nello stesso momento Newton e Locke presentavano una nuova analisi del processo temporale che apparve come un più lento e più meccanico senso di durata isolato in modo abbastanza preciso dal cogliere la caduta di una mela o la successione dei pensieri nella mente.

Questi nuovi interessi sono riflessi nei romanzi di Defoe. La sua narrativa è la prima a presentarci una pittura della vita individuale vista nell'ampia prospettiva del processo storico e, insieme, in prospettiva più ravvicinata che mostra tale processo sullo sfondo dei pensieri e delle azioni più effimeri. E’ vero che i tempi dei suoi romanzi sono talvolta contraddittori in se stessi e non coerenti col preteso ambiente storico presentati, ma il semplice fatto che sorga questa obiezione è un riconoscimento del modo in cui i personaggi siano percepiti dal lettore come saldamente radicati in una dimensione temporale. Al contrario, non potremmo fare seriamente delle obiezioni di questo genere riguardo alla Arcadia di Sidney o al Pilgrim's Progress nei quali la realtà del tempo non è abbastanza evidente da permettere la percezione di discrepanze. In Defoe tale realtà è invece evidente. Nei suoi momenti migliori, riesce a convincerci completamente che quanto narra sta accadendo in un particolare posto e in un tempo definito e la nostra memoria dei suoi romanzi poggia largamente su questi momenti della vita dei suoi personaggi resi vividamente reali. Questi momenti sono legati assieme in modo non organico, ma sono tali da dare una convincente prospettiva biografica. Si ha un senso di identità personale che sussiste per tutta la durata e viene tuttavia mutata dal flusso dell'esperienza. Questa impressione è ancor più forte e pienamente realizzata in

Richardson: egli fu attentissimo nel collocare tutti gli eventi narrati in una sequenza temporale mai prima di allora così dettagliata: ogni lettera contiene descrizioni minuziosissime col giorno della settimana e, spesso, l'ora. E ciò funziona come una specie di cornice obiettiva per i dettagli temporali ancor più precisi del contenuto delle lettere stesse: siamo infatti informati che Clarissa morì alle sei e quaranta del pomeriggio di giovedì, sette settembre. L'uso della forma epistolare da parte di Richardson induceva nel lettore un sentimento di partecipazione effettiva all'azione in modo che fino ad allora non aveva precedenti quanto a completezza e intensità. Egli sapeva, come scrisse nella prefazione a Clarissa, che erano le «situazioni critiche... insieme a ciò che possiamo chiamare descrizioni e riflessioni istantanee» quelle che attiravano maggiormente l'attenzione, e in molte scene il ritmo della narrazione era rallentato da descrizioni minuziose fino ad avvicinarsi a qualcosa di molto simile all'esperienza reale. In tali scene Richardson ottenne, nel romanzo, quello che la tecnica del primo piano di Griffith ottenne nel film: aggiunse, cioè, una nuova dimensione alla rappresentazione della realtà.

Il problema del tempo fu affrontato da Fielding, nei suoi romanzi, da un punto di vista più esterno e tradizionale; in Shamela si prese gioco dell'uso del tempo presente da parte di Richardson:

«Io e la signora Jervis siamo appena andate a letto e la porta è aperta; se venisse il padrone - ohibò! Lo sento che si avvicina alla porta. Vedete che scrivo al presente, come dice il parroco William. Beh, è a letto tra noi due...»

In Tom Jones indicò la sua intenzione di essere molto più selettivo di Richardson nel trattare la dimensione del tempo:

«Intendiamo... piuttosto seguire il metodo di quegli scrittori che si industriano a scoprire le rivoluzioni dei paesi, invece di imitare gli storici noiosi e voluminosi che, per preservare la regolarità delle vicende, si ritengono obbligati a riempire altrettante pagine coi dettagli di mesi ed anni in cui nulla di rimarchevole accadde di quante ne dedicano a quelli in cui le più grandi scene sono state recitate sul palcoscenico dell'umanità.»

Nondimeno, Tom Jones introdusse un'interessante innovazione nel trattamento narrativo del tempo. Sembra che Fielding abbia usato un almanacco, simbolo della diffusione di un senso obiettivo del tempo da parte della stampa. Con poche eccezioni, quasi tutti gli eventi narrati in questo romanzo sono cronologicamente realistici non solo in se stessi, ma in relazione al tempo che il viaggio dalla West Country a Londra sarebbe durato in realtà e persino riguardo a considerazioni esteriori come le fasi della luna e la

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cronologia della ribellione giacobita del 1745, anno in cui si suppone avvenga l'azione del romanzo.

e) L'uomo nel suo ambiente fisico. Descrivere gli spazi. In questo contesto, come in molti altri, lo spazio è il necessario correlato del

tempo. Logicamente il singolo caso particolare è definito in rapporto alle due coordinate dello spazio e del tempo. Psicologicamente, come notò Coleridge, la nostra idea del tempo «è sempre mescolata all'idea di spazio». Le due dimensioni sono invero inseparabili sotto molti aspetti pratici come è suggerito anche dal fatto che le parole "presente" e "minuto" possono essere riferite ad ambedue le dimensioni mentre l'introspezione ci mostra che non possiamo facilmente visualizzare un particolare momento dell'esistenza senza collocarlo anche in un contesto spaziale.

Il luogo era tradizionalmente vago come il tempo nella tragedia, nella commedia e nel romance. Shakespeare, come ci dice Johnson, «non aveva riguardo per distinzioni di tempo o luogo»; e l'Arcadia di Sidney era altrettanto vagamente localizzata quanto i limbi boemi del palcoscenico elisabettiano. E' vero che nel romanzo picaresco e in Bunyan vi sono molti passi descrittivi vividi e particolareggiati ma pur sempre incidentali e frammentari. Defoe sembra così esser stato il primo scrittore inglese a "visualizzare", per così dire, completamente ciò che narrava come se fosse avvenuto in un ambiente reale. La sua attenzione alla descrizione d'ambiente è ancora intermittente ma occasionali vividi dettagli rafforzano le continue implicazioni di ciò che narra e ci fa considerare Robinson Crusoe e Moll Flanders molto più intensamente collegati ai loro ambienti di quanto avvenisse con i personaggi della narrativa precedente. Questa solidità di ambientazione si nota di più nel modo di trattare da parte di Defoe di oggetti mobili nel mondo fisico: in Moll Flanders si contano capi di biancheria e pezzi d'oro e l'isola di Robinson è piena di memorabili articoli di vestiario e di utensili.

Richardson, che anche sotto questo aspetto occupa il posto centrale nello sviluppo della tecnica del realismo narrativo, portò il processo più oltre. Vi sono poche descrizioni di scene naturali ma considerevole attenzione è data agli interni. Le residenze di Pamela nel Lincolnshire e nel Bedfordshire sono abbastanza reali come prigioni; abbiamo una descrizione dettagliatissima di Grandison Hall; e le descrizioni in Clarissa anticipano l'abilità di Balzac nel rendere l'ambientazione di un romanzo forza operante e pervasiva così il palazzo Harlowe diviene un ambiente fisico e morale terribilmente reale.

Fielding è, ancora una volta, distante dal gusto del particolare di Richardson. Non ci dà descrizioni complete di interni e le frequenti descrizioni di paesaggi sono molto convenzionalizzate. Nondimeno, Tom Jones presenta il primo castello gotico nella storia del romanzo, e Fielding è altrettanto attento alla topografia delle azioni quanto alla cronologia: di molti dei luoghi dell'itinerario percorso da Tom Jones verso Londra abbiamo il nome, e la esatta collocazione, di altri è implicata in vari altri modi.

In generale, dunque, sebbene nel romanzo settecentesco non vi sia nulla di simile ai capitoli iniziali di Le rouge et le noir o del Père Goriot che indicano immediatamente l'importanza data da Stendhal e Balzac all'ambientazione per un quadro totale di vita, non vi è dubbio che la ricerca della verosimiglianza portò Defoe, Richardson e Fielding a «collocare l'uomo interamente nel suo ambiente fisico», che costituisce per Allen Tate l'abilità distintiva della forma romanzesca. E la considerevole misura del loro successo in questa impresa non è irrilevante nel differenziarli dai precedenti scrittori di narrativa e nel giustificare la loro importanza nella tradizione della nuova forma.

f) Dire le cose come accadono. Un linguaggio non-letterario.Le varie caratteristiche tecniche del romanzo descritte sopra sembrano tutte

contribuire al perseguimento di uno scopo che il romanziere condivide col filosofo, produrre qualcosa che pretende di essere un resoconto autentico di esperienze effettive di individui. Questo scopo implica altri tipi di rottura con la tradizione oltre a quelle già menzionate. Forse la più importante è l'adattamento dello stile della prosa allo scopo di dare un'aria di completa autenticità e anche ciò è strettamente connesso a uno dei punti metodologici fondamentali del realismo filosofico.

E' interessante notare come alcuni degli "abusi dei linguaggio" specificati da Locke (ad esempio, il linguaggio figurato) siano stati una caratteristica regolare dei romance e siano assai più rari nella prosa di Defoe e Richardson.

La precedente tradizione stilistica nella narrativa non riguardava principalmente la corrispondenza tra parole e cose ma le bellezze estrinseche che si potevano aggiungere alle descrizioni e alle azioni mediante l'uso della retorica. L'Aethiopica di Eliodoro aveva fondato e stabilito la tradizione di una eccessiva elaboratezza di stile nei romance greci, e la tradizione era continuata nello stile ricercato di John Lyly e Sidney e nella concettosità elaborata di La Calprenède e di Madeleine de Scudéry. In tal modo, anche se i nuovi scrittori di narrativa avevano rifiutato la vecchia tradizione di mescolare poesie alla

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loro prosa, tradizione che era stata seguita perfino in narrazioni completamente dedicate alla rappresentazione della vita "popolare" come il Satyricon di Petronio, vi sarebbe pur stata una forte aspettativa letteraria nei loro confronti a usare il linguaggio come fonte di interesse per sé e non come puro medium referenziale.

In ogni caso, la tradizione critica classica non sapeva in generale che farsene delle semplici descrizioni realistiche che un tale uso del linguaggio implica. E faceva dell'ironia il nono numero del Tatler (1709) quando presentava la Description of the Morning di Swift come opera in cui l'autore «seguiva una via perfettamente nuova, descrivendo le cose come accadono». L'assunto implicato dei critici e degli scrittori colti era che l'abilità di un autore si vedeva non nella precisione con cui questo faceva corrispondere parole a oggetti ma nella sensibilità letteraria con cui il suo stile rifletteva il decoro linguistico appropriato al soggetto trattato. E’, dunque, naturale che ci si debba rivolgere a scrittori non appartenenti ai circoli alla moda per trovare i primi esempi di una narrativa scritta in una prosa che si limita a un uso quasi esclusivamente descrittivo e denotativo del linguaggio. Naturale, anche, che Defoe e Richard-son fossero attaccati da molti dei più colti scrittori del tempo per il loro modo di scrivere goffo e spesso improprio.

I loro intenti fondamentalmente realistici richiedevano, ovviamente, qualcosa di molto diverso dai modi della prosa letteraria del tempo. E’, quindi plausibile che si debba considerare la rottura di Defoe e Richardson con i canoni accettati dello stile in prosa non come una casuale deformazione ma come il prezzo da pagare per ottenere immediatezza e aderenza del testo a quanto viene descritto. In Defoe, questa aderenza è principalmente fisica, in Richardson è emotiva, ma in ambedue si sente che lo scopo esclusivo dell'autore è far sì che le sue parole comunichino l'oggetto in tutte le sue par-ticolarità concrete, costi quel che costi in ripetizioni, parentesi o verbosità.

Si incontra qui una curiosa antinomia. Da un lato, Defoe e Richardson, applicando senza compromessi il punto di vista realista al linguaggio e alla struttura della prosa, si impediscono il conseguimento di altri valori letterari. Dall'altro lato, in Fielding, le virtù stilistiche tendono a interferire con la sua tecnica di romanziere poiché una evidente selettività di visione distrugge la credenza del lettore nell'autenticità del rapporto o, al minimo, sposta la sua attenzione dal contenuto del rapporto all'abilità dello scrivente. Sembra così esserci una qualche inerente contraddizione tra gli antichi e durevoli valori letterati e la tecnica narrativa del romanzo.

Che ciò possa esser vero è suggerito da un paragone con la narrativa francese. In Francia, l'atteggiamento critico classico, con la sua enfasi su eleganza e concisione, non fu messo in discussione sino al romanticismo. Forse parzialmente per questa ragione, la narrativa francese dalla Princesse de Clèves alle Liaisons dangereuses rimane al di fuori della tradizione principale del romanzo. Malgrado tutta la sua acutezza psicologica e tutta la sua abilità letteraria, la si sente troppo artefatta e raffinata per essere autentica. In ciò Madame de La Fayette e Choderlos de Laclos sono all'opposto di Defoe e Richardson la cui tendenza a diffondersi in particolari tende ad agire come ga-ranzia di autenticità di ciò che raccontano, che riportano e la cui prosa tende esclusivamente verso quello che Locke definì come lo scopo più appropriato del linguaggio, «trasmettere la conoscenza delle cose» e i cui romanzi nel loro insieme non pretendono di essere niente di più di una trascrizione della vita reale nelle parole di Flaubert, le réel écrít.

Sembra dunque che la funzione del linguaggio sia molto più referenziale nel romanzo che in altre forme letterarie e che il genere si basi più su una presentazione esauriente che su una elegante sintesi. Ciò potrebbe sicuramente spiegare perché il romanzo sia il genere più traducibile, perché molti grandi romanzieri, da Richardson e Balzac a Hardy e Dostojewski, spesso scrivano senza eleganza e talvolta persino male, e perché il romanzo abbia un minor bisogno di commentari storici e letterari in quanto le sue convenzioni formali lo obbligano a fornire le sue proprie note a piè di pagina.

Abbiamo descritto le principali analogie tra il realismo in filosofia e in letteratura e non ne discuteremo oltre. Queste analogie non sono rigidamente esatte: la filosofia è una cosa e la letteratura un'altra. E neppure queste analogie presuppongono che la tradizione realista in filosofia sia stata la causa del realismo del romanzo. Che qualche influenza vi sia stata è assai probabile, specialmente tramite Locke il cui pensiero influenzò ovunque il clima d'opi-nione del diciottesimo secolo. Ma, se una relazione causale di qualche impor-tanza esiste, essa è probabilmente molto meno diretta: i mutamenti nella sfera filosofica e nella sfera letteraria devono essere visti come manifestazioni parallele di un più vasto cambiamento della civiltà occidentale che, dal Rinascimento in poi, ha sostituito la visione del mondo unitaria del Medioevo con una visione molto diversa basata, essenzialmente, su un insieme di in-dividui in sviluppo ma senza una programmazione, ognuno avente particolari esperienze in particolari circostanze di tempo e di spazio.

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Il nostro problema è tuttavia di dimensioni più limitate e consiste nel definire la misura in cui l'analogia col realismo filosofico aiuta a isolare e definire il modo narrativo tipico del romanzo. E questo, si è suggerito, è la somma delle tecniche letterarie tramite le quali l'imitazione della vita umana del romanzo segue le procedure adottate dal realismo filosofico nei suoi tentativi di accertare e comunicare la verità. Queste procedure non sono limitate alla filosofia e tendono, in effetti, a essere seguite ogni qual volta si studi la relazione di qualunque rapporto con la realtà. Il modo di imitare la realtà del romanzo può quindi essere sintetizzato ugualmente bene nei termini delle procedure di un altro gruppo di specialisti in epistemologia, la giuria di un tribunale. Le loro aspettative e quelle del lettore di romanzi coincidono in molti punti: ambedue vogliono conoscere "tutti i particolari" di un dato caso, tempo e luogo dell'avvenimento e rifiutano di prestare fiducia a chiunque si chiami Sir Toby Belch o Mr. Badman6 o, peggio ancora, a una Cloe che non ha cognome e che è "comune come l'aria"; si aspettano che i testimoni raccontino la storia "con le loro parole". Una giuria, infatti, ha quell' "atteggiamento circostanziato verso la vita" che è tipico del romanzo.

Il metodo narrativo mediante il quale il romanzo esprime l'atteggiamento circostanziato verso la vita può essere definito realismo formale. E diciamo formale perché il termine realismo non si riferisce qui ad alcun proposito o dottrina letteraria particolare ma solamente a un insieme di procedure narrative che vengono usate così spesso nel romanzo e così raramente in altri generi da poter essere considerate tipiche del primo. Il realismo formale è l'espressione di una premessa che Defoe e Richardson accettavano in un senso molto letterale, la premessa o convenzione fondamentale che il romanzo è un rapporto autentico e completo su una esperienza umana e ha quindi l’obbligo di soddisfare i suoi lettori fornendo loro dettagli sulla personalità degli attori e sulle circostanze di tempo e luogo delle loro azioni, dettagli presentati usando il linguaggio in modo ampiamente referenziale.

Il realismo formale è, come le norme sulle testimonianze, solo una convenzione e non vi è alcuna ragione per sostenere che un rapporto sulla vita umana presentato in tal modo debba essere più vero di un rapporto che segua le diverse convenzioni di altri generi. L'aspetto di totale autenticità del

6 Toby Belch = Tobia Rutto; Mr. Badman = Uomo Cattívo. E’, un riferimento all'opera Life and Death of Mr. Badman (1680) del famoso predicatore J. Bunyan (N.d.T.).

romanzo autorizza, invero, confusioni su questo punto e la tendenza di alcuni realisti e naturalisti a dimenticare che una accurata trascrizione della realtà non porta necessariamente a produrre un'opera vera o di durevole valore letterario ha la sua parte di responsabilità nell'antipatia per il realismo e le sue opere che oggi è diffusa. Tale antipatia, tuttavia, può anche promuovere confusioni critiche e portarci nell'errore opposto: certe manchevolezza della scuola realista non devono oscurare il fatto che il romanzo in generale, in Joyce come in Zola, usa quei mezzi letterari che qui abbiamo chiamato realismo formale. Non dobbiamo neppure dimenticare che, malgrado il realismo formale sia so-lamente una convenzione, ha alcuni vantaggi come tutte le convenzioni letterarie. Vi sono importanti differenze nella misura in cui diverse forme letterarie imitano la realtà e il realismo formale del romanzo permette una più immediata imitazione dell'esperienza individuale in un contesto di tempo e luogo di quanto avvenga attraverso altre convenzioni. Di conseguenza, le convenzioni del romanzo chiedono meno parte del pubblico di altre convenzioni letterarie e questo spiega perché la maggioranza dei lettori negli ultimi due secoli ha trovato nel romanzo la forma letteraria che soddisfa mag-giormente i loro desideri di una stretta corrispondenza tra vita e arte. Ma questa corrispondenza non si limita a rendere popolare il romanzo: produce an-che distinte qualità letterarie che vedremo più avanti.

In senso stretto, è chiaro che Defoe e Richardson non hanno "scoperto" il realismo formale: lo hanno solamente applicato assai più completamente di quanto non si fosse fatto prima di loro. Omero, ad esempio, come osservò Carlyle, possedeva una stupefacente «chiarezza di visione» che si manifesta in descrizioni «dettagliate, ampie, con una cura amorosa per l'esattezza»: descri-zioni, cioè, del tipo di quelle che abbondano nelle loro opere. Vi sono molti passaggi nella narrativa successiva, da L'asino d'oro a Aucassin et Nícolette, da Chaucer a Bunyan, in cui personaggi, azioni e ambiente sono presentati in modo particolareggiato e autentico quanto i romanzi del Settecento. Ma vi è una differenza importante: in Omero e nelle narrazioni citate passaggi di questo tipo sono relativamente rari e tendono a spiccare nel testo. La struttura letteraria globale non era coerentemente orientata verso il realismo formale e specialmente l'intreccio, normalmente tradizionale e spesso altamente improbabile, era in diretta contraddizione col realismo. Perfino scrittori che apertamente professavano scopi realistici, come molti nel Seicento, non li per-seguirono sinceramente. La Calprenède, Richard Head, Grimmelshausen, Bunyan, Aphra Behn, Furetière, solo per menzionare qualche nome, ad

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esempio, affermarono tutti che le loro narrazioni erano "assolutamente vere" ma tali affermazioni non convincono più di quelle simili che si trovano nella maggior parte delle opere agiografiche del Medioevo. Lo scopo della verosimiglianza non era stato assimilato in modo tale da provocare un completo rifiuto delle convenzioni non realistiche del genere.

Per motivi che vedremo nel prossimo capitolo, Defoe e Richardson erano indipendenti in modo senza precedenti da quelle convenzioni letterarie che avrebbero potuto interferire col loro scopo principale e perseguirono una verità letterale in modo molto più completo. Di nessuna narrazione anteriore a Defoe Lamb avrebbe potuto scrivere in termini simili a quelli usati per Richardson da Hazlitt: «è come leggere i verbali di un tribunale».

Che ciò sia un bene in sé è discutibile; Defoe e Richardson non sarebbero all'altezza della loro reputazione se non avessero altri e maggiori pregi. Nondimeno è fuor di dubbio che lo sviluppo di un metodo narrativo capace di creare tali impressioni è la manifestazione più cospicua di quella mutazione della narrazione in prosa che chiamiamo romanzo e l'importanza storica di Defoe e Richardson dipende quindi principalmente dalla subitaneità e dalla completezza con cui crearono il minimo comun denominatore del genere romanzo, cioè il realismo formale.

IL PUBBLICO DEI LETTORIE IL SORGERE DEL ROMANZO

Come s'è visto, il realismo formale del romanzo implicò una complessa rottura con la tradizione letteraria corrente. Tra le molte ragioni che resero possibile questa rottura prima e più ampiamente in Inghilterra che in ogni altro paese, fondamentali sono certamente i mutamenti nel pubblico dei lettori nel Settecento. Da tempo Leslie Stephen aveva suggerito, nel suo libro English Líterature and Socíety in the Eighteenth Century, che "il graduale ampliarsi della classe dei lettori influenzò lo sviluppo della letteratura loro destinata" e sottolineò il sorgere del romanzo, insieme a quello del giornalismo, come primi esempi degli effetti dei mutamenti del pubblico sulla letteratura.

Molti osservatori del Settecento ritenevano che la loro epoca fosse un'epoca di notevole e crescente interesse popolare per la lettura. D'altro lato, è pro-babile che, sebbene il pubblico dei lettori fosse ampio se paragonato a quello di epoche precedenti, tuttavia era ben lontano dal costituire un pubblico di massa come quello dei nostri giorni. Le convalide più convincenti di ciò sono le statistiche, anche se è bene ricordate che le stime numeriche disponibili sono, in gradi diversi, poco attendibili e di problematica applicazione.

L'unica stima contemporanea delle dimensioni del pubblico dei lettori fu fatta verso la fine del secolo da Burke che, negli anni Novanta, la valutò a circa 80.000 persone. Il che è veramente poco su una popolazione di almeno sei milioni e probabilmente significa anche che all’inizio del secolo la cifra era ancor più bassa. E' quanto si può dedurre con sicurezza dalle cifre relative alla circolazione di giornali e periodici: la cifra di 43.800 copie vendute settimanalmente nel 1704 significa che meno dell'un per cento comprava un giornale ogni settimana e le 23.673 copie vendute giornalmente nel 1753 mostrano che, malgrado il pubblico dei giornali fosse triplicato nella prima metà del secolo, restava purtuttavia una percentuale minima della popolazione totale.

La cifra più alta per un libro, 105 000 copie, della Letter from the Lord Bishop of London to the Clergy and People of London on the Occasion of the Late Earthquakes... (1750) del vescovo Sherlock, riguardava un opuscolo religioso a carattere piuttosto sensazionale, molte copie del quale erano state distribuite gratuitamente per scopi evangelici. Le vendite di libri di

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dimensioni normali, quindi più costosi, erano più ridotte, specialmente se non erano di natura religiosa.

Le cifre che indicano la crescita del pubblico dei lettori sono scarsamente attendibili, tuttavia sappiamo che nel 1724 c'erano circa 70 tipografie a Londra, ma nel 1757, uno stampatore stimava ve ne fossero tra 150 e 200 "costantemente al lavoro". Una stima contemporanea della pubblicazione annua media di nuovi libri, esclusi gli opuscoli, suggerisce un aumento di quattro volte durante tutto il secolo: produzione annuale dal 1666 al 1756 mediamente inferiore a 100 e, dal 1792 al 1802, mediamente di 372.

E' dunque probabile che, quando, nel 1781, Johnson parlava di "una nazione di lettori" avesse in mente una situazione creatasi in gran parte dopo il 1750 e che, comunque, la sua frase non dovesse essere intesa letteralmente poiché l'incremento del pubblico dei lettori era stato sufficientemente marcato da giustificare l'iperbole ma le dimensioni in sé erano ancora piuttosto ristrette.

Una rassegna dei fattori che agirono sulla composizione del pubblico dei lettori mostrerà perché restava così scarso se considerato da un punto di vista moderno.

Il primo e più ovvio di questi fattori era la ristretta alfabetizzazione: non nel senso che si dava alla parola nel Settecento - conoscenza delle lingue e delle letterature classiche, specie il latino - ma alfabetizzazione appunto nel senso moderno, come mera capacità di leggere e scrivere la madre lingua. Anche in questo secondo senso, l'alfabetismo era ben lontano dall'essere diffuso universalmente nell'Inghilterra del diciottesímo secolo. Verso la fine del secolo, James Lackington racconta, ad esempio: "nel distribuire letteratura reli-giosa, trovai che alcuni agricoltori e i loro figli ed anche i tre quarti dei poveri non sapevano leggere" e vi sono molte prove che, nelle campagne, molti piccoli agricoltori, le loro famiglie e la maggioranza dei braccianti fossero analfabeti e che, persino nelle città, certe sezioni dei poveri - specialmente soldati, marinai e i poveri delle strade - non sapessero leggere.

Nelle città, tuttavia, è probabile che un semialfabetismo fosse più comune di un analfabetismo totale, specialmente a Londra. Le possibilità di imparare a leggere sembrano esser state abbastanza diffuse sebbene sia quasi certo che l'insegnamento popolare era, al massimo, casuale e intermittente. Non esisteva un sistema scolastico ma una rete miscellanea di vecchie scuole elementari sussidiate e scuole d'inglese, scuole di carità e scuole non sussidiate di vari tipi, specialmente per signorine, con l'eccezione di qualche area rurale isolata e di alcune delle nuove città industriali del nord.

Nel 1788, il primo anno per il quale si abbiano cifre attendibili, circa un quarto delle parrocchie inglesi non avevano alcuna scuola e circa la metà non aveva scuola sussidiata. Precedentemente, la situazione era forse lievemente migliore.

E, comunque, certo non tutti consideravano un bene l'alfabetizzazíone generale. Durante il diciottesimo secolo obbiezioni utilitaristiche e mercantilistiche all’educazione dei poveri aumentarono. L'atteggiamento corrente fu espresso da Bernard Mandeville con la sua normale franchezza nello Essay on Charity and Charity Schools del 1723: "Leggere, scrivere e far di conto... sono perniciosi per i poveri... Uomini che debbono rimanere e terminare i loro giorni in una condizione faticosa, stancante e penosa, prima vi vengano posti più pazientemente vi si sottometteranno in seguito."

Questo punto di vista, ampiamente diffuso, non era sostenuto solo dai datori di lavoro e dai teorici di economia ma da molti dei poveri stessi, sia nelle città che nelle campagne. Stephen Duck, il poeta trebbiatore, ad esempio, fu tolto di scuola all'età di quattordici anni da sua madre "affinché non divenisse troppo gentiluomo per la famiglia che l'aveva prodotto", e molti altri figli di poveri delle campagne frequentavano la scuola solo quando non vi era lavoro nei campi. Nelle città, almeno un fattore era ancor più negativo per l'educazione popolare: il crescente impiego di bambini dai cinque anni in su per ovviare alla carenza di lavoratori industriali. Il lavoro nelle fabbriche non era soggetto a fattori stagionali e le lunghe ore di lavoro lasciavano ben poco tempo, se pur ne lasciavano, per l'educazione, col risultato che, probabilmente, in alcune zone tessili e manifatturiere il livello dell'alfabetismo, durante il diciottesimo secolo, tese a diminuire.

Il fattore più importante nel limitare l'alfabetizzazione era probabilmente la mancanza di un incentivo a imparare. Saper leggere era necessario solo a chi era destinato a occupazioni da classe media, commercio, amministrazione, libere professioni e, poiché imparare a leggere è un processo psicologico difficile e che richiede una pratica continua, è probabile che solo una piccola frazione delle classi lavoratrici tecnicamente alfabetizzate si sviluppasse in membri attivi del pubblico dei lettori, non solo, ma che la maggioranza di costoro si concentrasse in quegli impieghi in cui leggere e scrivere erano necessari.

Molti altri fattori tendevano a restringere il pubblico dei lettori e, forse, dal punto di vista dello scrittore, il più importante era quello economico. Le due stime più attendibili dei redditi dei principali gruppi sociali, quella di Gregory

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King nel 1696 e quella di Defoe nel 1709, mostrano che più della metà della popolazione mancava del necessario per sopravvivere. Questa maggioranza era composta da contadini, braccianti e servi a ore. King stimò il loro reddito medio da 6 a 20 sterline all'anno per famiglia. Questi gruppi, è chiaro, vivevano così prossimi al limite di sussistenza da non poter sprecare soldi per lussi come libri o giornali.

Sia King sia Defoe parlano di una classe intermedia tra i poveri e i ricchi. Qualche soldo era disponibile tra i più ricchi agricoltori, negozianti e commercianti ed è probabile che siano i mutamenti avvenuti in questa classe intermedia a render ragione della quota maggiore dell'incremento del pubblico dei lettori nel Settecento.

Questo incremento fu probabilmente più marcato nelle città poiché si ritiene che il numero dei piccoli proprietari terrieri agricoltori sia diminuito durante questo periodo e i loro redditi rimasero probabilmente stazionari o diminuirono «mentre vi fu un notevole aumento nel numero e nella ricchezza dei negozianti, dei mercanti indipendenti e degli impiegati amministrativi durante tutto il diciottesimo secolo». L'aumentato benessere li trascinò probabilmente nell'orbita della cultura di classe media, precedentemente riservata a un piccolo numero di ricchi mercanti e negozianti. Fu probabilmente questo gruppo a fornire l'aumento più sostanziale al pubblico dei compratori di libri e non la maggioranza impoverita della popolazione.

L'alto costo dei libri nel Settecento rafforza l'importanza del fattore economico nel restringere il pubblico dei lettori. I prezzi erano grosso modo paragonabili a quelli d'oggi mentre i redditi medi erano circa un decimo del loro presente valore monetario: 10 scellini1 erano il salario di un bracciante medio per settimana e una sterlina la settimana era un buon guadagno per un operaio specializzato o per un piccolo negoziante. Charles Gíldon scrisse sprezzante che «non vi è vecchia che possa permetterselo che non compri Robinson Crusoe», ma certamente vi devono esser state ben poche vecchie tra gli acquirenti della prima edizione a cinque scellini la copia.

Come le differenze tra i redditi delle varie classi erano maggiori di quanto non lo siano oggi, così i prezzi dei diversi tipi di libri erano più differenziati. Magnifici in folío per le librerie della nobiltà e dei ricchi mercanti costavano una ghinea2 o più al volume mentre un libro in dodicesimo, con circa lo stesso numero di parole, costava da uno a tre scellini. L'Iliade di Pope al prezzo di sei

1 Uno scellino è la ventesima parte di una sterlina, ed è diviso in dodici penny.2 Una ghinea è uguale a due sterline.

ghinee era al di sopra delle possibilità finanziarie di molti lettori ma, ben presto, un'edizione pirata olandese in dodicesimo e altre versioni più a buon mercato apparvero «per la gratificazíone di coloro che sono impazienti di leggere ciò che non possono comprare».

Questi lettori meno benestanti non avrebbero potuto permettersi i romances eroici francesi normalmente pubblicati in costosi in folío. Ma, significativamente, i romanzi avevano dei prezzi medi. Gradualmente vennero pubblicati in due o più piccoli volumi in dodicesimo, al prezzo di tre scellini se rilegati o di due scellini e tre denari in fogli liberi. Così, Clarissa apparve prima in sette e poi in otto volumi e Tom Jones in sei. Il prezzo dei romanzi, dunque, per quanto moderato rispetto alle edizioni più costose, era ancora al di sopra delle possibilità di chi non fosse notevolmente benestante: Tom Jones, ad esempio, costava più del salario medio settimanale di un bracciante. E', quindi certo che il pubblico del romanzo non costituiva un campione così ampio di tutti gli strati sociali come era avvenuto per il dramma elisabettiano. Ognuno, tranne i miserabili, aveva potuto permettersi di quando in quando il penny necessario per entrare al Globe, che non costava più di un litro di birra. Il costo di un romanzo, al contrario, avrebbe nutrito una famiglia per una settimana o due.

Per coloro che si trovavano sulle frange economiche più basse del pubblico dei compratori di libri vi erano, naturalmente, numerose forme di divertimento stampate più a buon mercato: ballate per un mezzo penny o per un penny; opuscoli con romanzi cavallereschi abbreviati, nuove storie di criminali o resoconti di avvenimenti straordinari, a prezzi da uno a sei penny; opuscoli da tre penny a uno scellino; e, soprattutto, giornali. Molti di questi giornali contenevano storie brevi o romanzi a puntate: Robinson Crusoe, ad esempio, fu ripubblicato a puntate sull'Oríginal London Post, giornale che usciva tre volte la settimana, oltre che in edizioni a buon mercato in dodicesimo e in opuscoli non rilegati.

La misura in cui fattori economici ritardarono l'espansione del pubblico dei lettori e, in particolare, del pubblico dei romanzi è suggerita dal rapido successo delle librerie circolanti, come furono chiamate dopo il 1742 quando il termine fu inventato. Alcune di queste librerie sono precedenti, perché ri-salgono al 1725, ma la rapida diffusione del fenomeno si ebbe dopo il 1740 quando la prima libreria circolante fu fondata a Londra per essere seguita nello spazio di un decennio da almeno altre sette. Il prezzo degli abbonamenti era moderato: normalmente da mezza ghinea a una ghinea l'anno e vi era spesso la

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possibilità di prendere a prestito libri al costo di un penny il volume o tre penny per un normale romanzo in tre volumi.

La maggior parte delle librerie circolanti possedeva tutti i tipi di letteratura ma i romanzi erano considerati la loro attrattiva maggiore e non vi può esser dubbio che i romanzi produssero il più notevole aumento nel pubblico dei lettori di narrativa durante il Settecento. Certamente provocarono la maggior parte dei commenti contemporanei sulla diffusione della pratica della lettura nelle classi inferiori. Questi abiti confezionati della letteratura furono accusati di debosciare le menti dei ragazzi di scuola, dei contadinelli, delle "domestiche migliori" e persino di "ogni macellaio o panettiere, ciabattino o calderaio nei tre reami". E', quindi, probabile che fino al 1740 a una minoranza sostanziale del pubblico dei lettori sia stato impedito di partecipare pienamente alla scena letteraria a causa dell'alto prezzo dei libri e, inoltre, che questa minoranza fosse largamente composta di potenziali lettori di romanzi, molti dei quali donne.

La distribuzione del tempo libero in questo periodo coincide e rafforza il quadro ora dato della composizione del pubblico dei lettori e costituisce anche la miglior spiegazione del ruolo sempre maggiore assunto dalle donne. Infatti, mentre buona parte della nobiltà continuava nel suo regresso culturale dai cortigiani elisabettiani ai "barbari" di Arnold, si verificò una tendenza parallela nella letteratura a divenire un'occupazione primariamente femminile.

Come in molti altri casi, Addison fu uno dei primi annunciatori della nuova tendenza. Scrisse sul Guardian nel 1713: «Vi sono alcune ragioni per le quali il sapere è più consono al mondo delle donne che a quello degli uomini. In primo luogo, esse hanno più tempo libero e conducono vita più sedentaria.. Un'altra ragione per la quale le donne, specialmente donne di rango, dovrebbero applicarsi alle lettere è che i mariti ne sono generalmente estranei.» Estranei senza vergogna, se dobbiamo giudicare dall'indaffarato uomo d'affari di Goldsmith in The Good Natur'd Man (1768), Mr. Lofty, che proclama che «la poesia è cosa buona per le nostre mogli e figlie, ma non per noi».Le donne delle classi superiori e medie potevano partecipare a ben poche delle attività dei loro uomini, sia negli affari che nei piaceri. Non era normale che si interessassero di politica, affari, o amministrazione di proprietà e anche i maggiori divertimenti degli uomini, bere e cacciare, erano loro preclusi. Queste donne, dunque, avevano una gran quantità di tempo libero che spesso occupavano con letture onnivore.Lady Mary Wortley Montagu, per esempio, era un'avida lettrice di romanzi come dimostra una lettera alla figlia in cui, chiedendole di mandarle una lista

di romanzi copiata dalle pubblicità sui giornali, aggiunge «non dubito che la maggior parte sia di infima qualità. Tuttavia serviranno a passare il tempo...». Più tardi e ad un livello sociale decisamente più basso, Mrs. Thrale ricordò che, per ordine di suo marito, essa "non doveva occuparsi della cucina" e spiegò che come risultato di questo ozio obbligato fu "attratta... dalla letteratura come sua unica risorsa". Molte delle donne meno benestanti avevano pure molto più tempo libero che in passato. I vecchi doveri familiari e domestici di filare o tessere, fare il pane, la birra, le candele, il sapone e molte altre cose non erano più richiesti perché la maggior parte dei beni era fabbricata nelle manifatture e si poteva acquistare nei negozi e ai mercati. Questa connessione tra aumento del tempo libero femminile e sviluppo della specializzazione economica fu notata nel 1748 dal viaggiatore svedese Pehr Kalm che fu sorpreso dal fatto che in Inghilterra «raramente si può vedere una donna che si occupi minimamente di lavori extradomestici», annotando pure che «tessere e filare è nella maggior parte delle case una rarità perché le loro manifatture eliminano la necessità di tali compiti».

Kalm probabilmente dà una visione esagerata del mutamento e, in ogni caso, parla solamente delle Home Counties, cioè delle sei contee intorno a Londra. In aree rurali distanti da Londra l'economia cambiava molto più lentamente e la maggior parte delle donne continuava sicuramente a dedicarsi agli svariati compiti domestici in famiglie che erano ancora largamente autosufficienti.

Nondimeno, un grande aumento nel tempo libero femminile si verificò con sicurezza agli inizi del Settecento, sebbene si verificasse probabilmente soprattutto a Londra, nei suoi dintorni e nelle maggiori città provinciali.

Quanto di questo tempo libero fosse dedicato alla lettura è difficile dire. Nelle città, specialmente a Londra, innumerevoli divertimenti erano disponibili: durante la stagione invernale, commedie, opere, mascherate, ridottos (tipo di intrattenimento che comprende musica e danze, introdotto in Inghilterra nel 1722), riunioni varie, concerti di tamburo; mentre le nuove località balneari e i luoghi di villeggiature si riempivano nei mesi estivi della classe oziosa. Tuttavia, i più ardenti devoti dei piaceri della città devono aver avuto del tempo per leggere e molte donne che non desideravano tali piaceri o non potevano permetterseli, devono averne avuto ancor più. Per coloro che avevano avuto un'educazione puritana, specialmente la lettura doveva essere lo svago meno criticabile. Isaac Watts, un dissenter (dissidente dalla Chiesa anglicana, ndt) molto influente del primo Settecento, scrisse con disgusto delle "conseguenze penose e lugubri del tempo ozioso e sprecato", ma incoraggiò i

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suoi seguaci, in gran parte donne, a usare il tempo libero a leggere e a tenere discussioni letterarie. Vi sono molti commenti indignati nel primo Settecento sul modo in cui le classi lavoratrici andavano incontro alla rovina trascinando con loro il paese aspirando ai passatempi dei loro superiori.

Per quei pochi che avrebbero amato leggere vi erano altre difficoltà oltre la mancanza di tempo e il costo dei libri. Vi era poca intimità perché le abitazioni, specialmente a Londra, erano incredibilmente sovraffollate e non vi era spesso sufficiente luce per leggere, anche durante il giorno. La tassa sulle finestre imposta verso la fine del diciassettesimo secolo aveva ridotto le finestre al minimo e le poche rimaste erano normalmente incassate e ricoperte di corno, carta o vetro verde. Di notte, l'illuminazione era un problema serio poiché le candele, anche le più a buon mercato, erano considerate un lusso.

Vi erano, tuttavia, due ampi e importanti gruppi di persone relativamente povere che, con tutta probabilità, avevano il tempo e l'opportunità di leggere: gli apprendisti e i domestici, specialmente gli ultimi. Di norma avevano tempo libero e luce per leggere; vi erano libri nelle case ove servivano e, se non ve ne erano, dato che non pagavano cibo e alloggio, parte del loro salario poteva essere dedicato all'acquisto di libri; infine, avevano maggior probabilità di essere contaminati dall'esempio dei loro superiori.

E’ certamente notevole come molte delle invettive del tempo contro l'ozio, il lusso e le pretese letterarie degli ordini più bassi si riferisse specificamente agli apprendisti e ai domestici, in particolare valletti e cameriere personali. Per cercare di stabilire l'importanza letteraria di quest'ultimo gruppo, bisogna ricordare che esse costituivano una categoria ampia e cospicua, probabilmente, nel diciottesimo secolo, il più ampio gruppo professionale del paese come è stato il caso, invero, fino a non molti decenni fa. Pamela può essere considerata l'eroina culturale di una potente sorellanza di cameriere letterate e relativamente oziose. Ricordiamo che la principale richiesta al nuovo posto di lavoro che essa cerca di trovare dopo aver lasciato Mr. B. è che le lasci "un certo tempo per la lettura".

Le informazioni disponibili sulla disponibilità e sull'uso del tempo libero confermano, dunque, il quadro precedentemente tracciato del pubblico dei lettori nel primo Settecento. Nonostante un notevole aumento, esso normalmente non si riscontra nella scala sociale al di sotto dei commercianti e dei negozianti, con la importante eccezione degli apprendisti più favoriti e dei domestici. Tuttavia, avvennero nuovi reclutamenti principalmente tra quei gruppi sempre più prosperosi e numerosi che si occupavano di commerci e

manifatture. Ciò è importante perché è probabile che questo solo mutamento, anche se di proporzioni comparativamente minori, avrebbe potuto alterare il centro di gravità del pubblico dei lettori in misura sufficiente da porre la classe media nel suo complesso in posizione dominante per la prima volta.

Nel considerare gli effetti di questo mutamento sulla letteratura, non dobbiamo attenderci manifestazioni dirette o drammatiche dei gusti della classe media o delle sue capacità poiché il predominio della classe media tra il pubblico dei lettori era un fenomeno in gestazione da un luogo tempo. Un effetto generale di qualche interesse per il sorgere del romanzo sembra, tuttavia, essere derivato dal mutamento del centro di gravità del pubblico dei lettori. Il fatto che la letteratura del Settecento fosse indirizzata a un pubblico sempre più ampio deve aver indebolito l'importanza relativa di quei lettori la cui educazione e quantità di tempo libero loro permetteva di avere un interesse professionale o quasi professionale per le lettere classiche e moderne e, al contempo, deve aver rafforzato l'importanza relativa di coloro che desideravano una forma più facile di divertimento letterario, anche se godeva di poco prestigio tra i literati.

E' presumibile che la gente abbia sempre letto per divertirsi e rilassarsi, tra le altre cose ma, nel diciottesimo secolo, sembra essere emersa una tendenza a perseguire questi scopi in modo più esclusivo di quanto non accadesse prima. Questa era, almeno, l'opinione di Steele espressa nel Guardian del 1713 in cui egli attaccò il predominio di:

...questo modo di leggere non sistematico ... che naturalmente ci seduce a pensare in modo vago e indeterminato. Quel modo di arrangiare le parole che chiamiamo stile viene annichilato completamente... La normale difesa di questa gente è che essi non hanno altro scopo nella lettura se non il piacere ma è mia opinione che questo dovrebbe nascere dalla riflessione e dalla rimembranza di ciò che si è letto piuttosto che dalla transitoria soddisfazione di ciò che uno fa e che dovremmo essere compiaciuti in proporzione a quanto abbiamo profittato dalla lettura.

"La transitoria soddisfazione di ciò che uno fa" sembra una descrizione molto appropriata del modo di lettura richiesto dalla maggioranza delle due nuove forme letterarie del Settecento, il giornale e il romanzo, che incoraggiano ovviamente una lettura rapida, disattenta e quasi inconscia. Tale mancanza di sforzo per ottenere le soddisfazioni offerte dalla narrativa era stata, invero, sostenuta in un assaggio dello Of the Origin of Romances dello

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Huet che servì da prefazione alla Select Collection of Novels and Histories di Samuel Croxall (1720):

Le scoperte che attraggono la mente e se ne impadroniscono più efficacemente sono quelle ottenute con la minor fatica, ove l'immaginazione ha il ruolo più importante e il soggetto è ovvio ai nostri sensi... Di questo genere sono i romance che si comprendono senza grande sforzo della mente o esercizio delle facoltà raziocinanti e per i quali una forte inclinazione è sufficiente con poca o nulla fatica per la memoria.

Il nuovo equilibrio del potere letterario favoriva probabilmente il divertimento a spese dell'obbedienza alla tradizione e questo mutamento d'enfasi nell'atteggiamento critico fu certamente un fattore favorevole alle realizzazioni di Defoe e Richardson. Sembra anche probabile che tali realizzazioni siano state correlate anche ad altri e più positivi aspetti dei gusti e degli atteggiamenti delle nuove leve del pubblico dei lettori del tempo: la mentalità della classe commerciante, ad esempio, era molto influenzata dall’indívidualismo economico e dal puritanesimo in parte secolarizzato che si esprime anche nei romanzi di Defoe e la crescente componente femminile del pubblico trovò molti dei suoi interessi espressi in Richardson. Prima di analiz-zare queste relazioni dobbiamo, tuttavia, completare il presente esame del pubblico dei lettori con una discussione di alcuni altri mutamenti nei suoi gusti e nella sua organizzazione.

II

Molti lettori, specie quelli degli strati meno colti iniziavano con letture religiose e passavano poi a interessi letterari più ampi. Defoe e Richardson sono figure rappresentative di questa tendenza: essi combinarono interessi religiosi e secolari. Si sa che Defoe scrisse sia romanzi sia opere di tipo religioso come il Family Instructor, mentre Richardson ebbe un estro partico-lare nel trasferire i suoi interessi morali e religiosi nella narrativa di genere secolare e alla moda. Questo compromesso tra le persone colte e quelle di minore cultura, tra le belle lettere e l'istruzione religiosa, è forse la tendenza più importante della letteratura del Settecento e trova le sue prime espressioni nelle più famose innovazioni letterarie del secolo, la fondazione del Tatler nel 1709 e dello Spectator nel 1711.

Queste pubblicazioni, che uscivano rispettivamente tre volte la settimana e quotidianamente, contenevano saggi su argomenti di interesse generale che riflettevano lo scopo espresso da Steele in The Christian Hero (1701), e cioè di temperare il buon gusto con la religione e la religione con il buon gusto; il loro "progetto globale di rendere l'ingegno utile" ebbe completo successo non solo tra le persone di cultura ma anche negli altri settori del pubblico dei lettori.

Il saggio periodico fece molto per creare un gusto di cui anche il romanzo potesse profittare. T. H. Green descrisse lo Spectator come "il primo e miglior esempio di quello speciale stile letterario - l'unico veramente popolare ai nostri tempi - che consiste nel parlare al pubblico del pubblico stesso. L'umanità è vista come riflessa nella vita ordinaria degli uomini... e... copiata con fedeltà minuziosa".

Tuttavia la tendenza verso la narrativa non fu continuata nella seconda grande innovazione giornalistica del secolo, con la fondazione del Gentleman's Magazine nel 1731 da parte di Edward Cave, giornalista e libraio. Questa consistente pubblicazione mensile combinava le funzioni del giornalismo politico con l'offerta di un menù letterario più variato che spaziava da "Una rassegna imparziale di vari saggi settimanali" a "Poesie scelte". Cave tentò di soddisfare gusti ancor più differenziati di quelli a cui si rivolgeva lo Spectator e, oltre a fornire molte informazioni realistiche, pubblicava ricette culinarie e giochi enigmistici. Anch'egli ebbe un successo stupefacente: il dottor Johnson stimò la circolazione complessiva del Magazine in diecimila copie e affermò che aveva venti imitatori mentre lo stesso Cave affermò nel 1741 che era «letto ovunque la lingua inglese aveva corso e... ristampato da molte tipografie in Gran Bretagna, Irlanda e nelle Piantagioni».

Due delle caratteristiche più tipiche del Gentleman's Magazine - informazioni pratiche sulla vita politica interna e una combinazione di pezzi edificanti e divertenti - furono più tardi adottate dal romanzo. Inoltre, la transizione dallo Spectator al Gentleman's Magazine dimostrò che era sorto un pubblico di lettori largamente indipendente dagli standard letterari tradizionali e che costituiva dunque un pubblico potenziale per una forma letteraria non dominata da canoni critici fissi: il giornale stesso, come fu scritto nel Grub Street journal, in un necrologio satirico di Defoe, era "un divertimento affatto sconosciuto nell'età di Augusto". Ma, sebbene il giornalismo avesse fatto maturare molte nuove reclute per la letteratura secolare tra il pubblico dei lettori, il gusto di questo pubblico per una lettura informativa, edificante,

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divertente e facile non aveva ancora trovato una appropriata forma narrativa.

III

Il Gentleman's Magazine simboleggia anche un importante mutamento nella organizzazione del pubblico. Lo Spectator era stato prodotto dai migliori scrittori del tempo: era dedicato a un gusto di classe media ma per una sorta di filantropia letteraria. Steele e Addison erano per lo stile di vita della classe media senza tuttavia appartenervi esattamente. Meno di una generazione più tardi, il Gentleman's Magazine mostrava un orientamento sociale molto diverso: diretto da un giornalista e libraio intraprendente ma poco colto, pubblicava scritti di scribacchini e dilettanti. Questo mutamento suggerisce uno sviluppo rappresentato anche dallo stesso Richardson, stampatore e cognato di James Leake, libraio e proprietario di una libreria circolante, l'emergere sulla scena letteraria delle persone implicate nella produzione e vendita dei prodotti della stampa. La ragione di questo è chiara: il declino del mecenatismo letterario della corte e della nobiltà aveva lasciato un vuoto tra l'autore e i suoi lettori e questo vuoto fu rapidamente riempito dagli intermediari del mercato letterario, gli editori o come erano usualmente chiamati, librai (booksellers), i quali occupavano una posizione strategica tra l'autore e lo stampatore e tra questi e il pubblico.

All'inizio del diciottesimo secolo, questi 'librai' o editori, specialmente a Londra, avevano raggiunto una posizione finanziaria e sociale e una importanza letteraria considerevole. Assieme a qualche stampatore, possedevano o controllavano tutti i principali canali d'opinione, giornali, periodici, e riviste critiche che pubblicavano rassegne dei loro altri prodotti. Questo virtuale monopolio dei canali d'opinione portò anche con sé un monopolio degli scrittori poiché, malgrado gli sforzi della Society for the Encouragement of Learning (Società per l'incoraggiamento dell'appren-dimento) di mantenere dei canali indipendenti di accesso al pubblico, gli "affari" restavano la sola forma di pubblicazione che rendeva all'autore.

Il potere degli editori su autori e pubblico era indubbiamente molto grande e è quindi necessario domandarsi se questo potere sia stato in qualche modo connesso col sorgere del romanzo.

Molti contemporanei erano preoccupati per il nuovo potere degli editori e era frequente l'osservazione che questo potere aveva trasformato la letteratura in

un mero bene di mercato. Questa opinione fu espressa succintamente da Defoe nel 1725: "Scrivere... è diventato una importante branca del commercio inglese. Gli editori sono i capi della produzione e i datori di lavoro. I vari scrittori, autori, copiatori, sottoscrittori, e tutti gli altri operatori della penna e dell'inchiostro sono i lavoratori impiegati dai suddetti capi della produzione." Defoe non condannava questa commercializzazione ma molti rappresentanti degli standard letterari tradizionali lo fecero con una certa veemenza. Goldsmith, ad esempio, deplorava spesso "quella fatale rivoluzione per la quale scrivere si è trasformato in un commercio meccanico e gli edítori, invece dei grandi, sono divenuti i patroni e gli ufficiali pagatori degli uomini di genio". Fielding si spinse più oltre e collegò esplicitamente questa "fatale rivoluzione" a un disastroso declino degli standard letterari, affermando che i mercanti di carta, comunemente detti editori" impiegavano abitualmente "braccianti della letteratura" senza "qualificazione alcuna di ingegno o cultura" e sostenne che i loro prodotti avevano eliminato dal mercato i buoni libri.

Il romanzo fu largamente considerato l'esempio tipico del degradato modo di scrivere col quale gli editori corteggiavano bassamente il pubblico dei lettori. James Ralph, amico e collaboratore di Fielding, scrisse in The Case of Authors (1758):

La produzione di libri è la fabbrica da cui l'editore deve trarre profitto: le regole del commercio lo obbligano a comprare al prezzo più basso possibile e a vendere al più alto possibile... Sapendo quale assortímento di merci sarà più adatto al mercato, egli farà i suoi ordini di conseguenza e sarà inflessibile nel prescrivere il tempo di pubblicazione come nel proporzionare la paga.Ciò rende ragione in buona misura del parossismo della stampa: il sagace editore sente il polso dei tempi e, secondo le pulsaziom', non prescrive una cura ma lusinga la malattia e, fin quando il paziente continua a inghiottire, egli continua a somministrare e, ai primi sintomi di nausea, cambia la dose. Di qui la cessazione di ogni carminativo politico e l'introduzione di cantaridi3 sotto forma di racconti, romanzi, romance ecc.

In effetti, è tuttavia assai improbabile che il processo fosse così consapevole e diretto come suggerisce Ralph. Ma se gli editori fecero poco o nulla per pro-

3 L'autore usa qui una doppia metafora medica: i carminativi sono farmaci usati come depurativi dell'intestino, mentre i cantaridi sono eccitanti a cui si attribuivano proprietà afrodisiache. Il senso è quindi quello già espresso in precedenza: gli editori alimentano le cattive disposizioni dei lettori, invece di curarle.

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muovere il sorgere del romanzo direttamente, vi sono alcune indicazioni che, come risultato indiretto del loro ruolo nel sottrarre la letteratura al controllo dei mecenati e nel condurla sotto quello delle leggi del mercato, essi aiutarono lo sviluppo di una delle innovazioni tecniche della nuova forma l'estrema ricchezza di particolari nelle descrizioni e spiegazioni e resero possibile la notevole indipendenza di Defoe e Richardson dalla tradizione critica classica che fu un presupposto indispensabile dei loro successi letterari.

Una volta che scopo primario dello scrittore non era più la soddisfazione degli standard dei suoi patroni o della élite letteraria, altre considerazioni potevano assumere una nuova importanza. Due di queste, almeno, potevano spingere l'autore a essere prolisso: in primo luogo, scrivere esplicitamente e perfino in modo tautologico poteva aiutare i lettori meno educati a capire e, in secondo luogo, poiché era l'editore a compensarlo e non il patrono, velocità e copiosità di scrittura tendevano a divenire supreme virtù economiche.

La seconda di queste tendenze fu commentata da Goldsmith nelle sue osservazioni sulle relazioni tra editore e autore in Enquiry into the Present State of Learning (1759): "Non si può forse immaginare stato di cose più pregiudiziale al gusto di questo. E’ nell'interesse del gusto scrivere poco, è nell'interesse di questa combinazione scrivere molto.” L'opinione di Goldsmith trovò qualche conferma nelle reiterate accuse agli autori di scrivere troppo per ragioni economiche che divennero piuttosto comuni nel primo Settecento: John Wesley, ad esempio, suggerì, un po' impietosamente, che la ragione della prolissità di Isaac Watts era il "far denaro". La possibilità che questa tendenza abbia potuto influenzare il sorgere del romanzo trova qualche plausibilità nel fatto che accuse simili furono rivolte anche a Defoe e Richardson.

Il risultato più ovvio dell'applicazione di criteri principalmente economici alla produzione letteraria fu il favore dato alla prosa rispetto allo scrivere in versi. In Amelia (1751) Fielding fa fare al personaggio dello scribacchino una chiara connessione: "Un foglio di carta per l'editore è un foglio di carta e, con prosa o con versi, non fa differenza." Di conseguenza, trovando i versi "cose dure, difficili da capire" gli abitanti di Grub Street4 abbandonarono la produzione di poesie per le riviste e si impegnarono nella produzione di romanzi. Per due ragioni: perché "scrivere romance è la sola parte del nostro

4 Grub Street era una via di Londra abitata principalmente da scrittori poveri stipendiati dagli editori. L'espressione "abitante di Grub Street" significa proverbialmente "scribacchino che scrive qualsiasi cosa gli permetta di guadagnare qualcosa" (n.d.t.).

mestiere che valga la pena di seguire" e perché "è certamente la cosa più facile al mondo; si può scrivere quasi così in fretta come la mano corre sulla carta".

La stessa carriera di Defoe aveva, tempo prima, seguito questo corso: dopo aver usato il normale strumento espressivo del verso satirico agli inizi della sua carriera, si volse ben presto a un uso quasi esclusivo della prosa. Prosa, ovviamente, facile, prolissa, non meditata: le stesse qualità che più si accordavano con la maniera narrativa dei suoi romanzi e con la massima ricompensa economica per le fatiche della sua penna. Grazia verbale, complicazioni di struttura, concentrazioni di effetto, tutto ciò richiede tempo e un buon numero di revisioni mentre Defoe sembra aver tratto le estreme conseguenze dalle implicazioni economiche della situazione dello scrittore, considerando la revisione come qualcosa da farsi solo per un compenso extra. Almeno, così affermò il curatore anonimo dell’edizione del 1738 del Complete English Tradesman di Defoe, dicendo che i suoi scritti erano «generalmente parlando... troppo verbosi e pieni di circonlocuzioni» e aggiungendo che «per ricevere dalle sue mani un'opera completa era necessario dargli un tanto per ogni foglio che egli scriveva a modo suo e, successivamente, un'altra metà del compenso perché ne eliminasse le escrescenza o lo riducesse...»

Vi sono indizi simili per Richardson, anche se i motivi economici erano per quest'ultimo meno pressanti.

Defoe e Richardson, naturalmente, non ruppero con la tradizione letteraria classica solamente rispetto allo stile della prosa: lo fecero in quasi ogni aspetto della loro visione della vita e nelle tecniche in cui la manifestarono. E, ancora una volta, sono l'espressione di profondi mutamenti nel contesto sociale della letteratura, mutamenti che avevano ulteriormente indebolito il prestigio delle regole critiche affermate.

Verso la metà del Settecento si era ben consta di come il nuovo equilibrio di potere aveva rivoluzionato il reclutamento di critici e autori. Secondo Fielding, l'intero mondo delle lettere stava divenendo "una democrazia e, piuttosto, un'aperta anarchia" e non vi era nessuna che facesse rispettare le vecchie leggi poiché, come scrisse nel Covent Garden Journal (1752), perfino "l'ufficio dei critici" è stato assunto da "un'armata di irregolari" che sono stati ammessi "nel dominio della critica senza conoscere una parola delle leggi antiche". Un anno dopo, il dottor Johnson suggerì nell'Adventurer che gli irregolari si erano altrettanto bene affermati tra gli autori. Scrisse: «L'età presente può esser definita assai propriamente come Età degli Autori in quanto non vi fu forse mai un tempo in cui uomini di varia abilità, di ogni grado di educazione, di

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ogni professione o mestiere, si dessero a stampare con tanto ardore». Sottolineando il contrasto col passato, aggiunse: «Al compito di scrivere erano precedentemente adibiti coloro che, per studi o facendo mostra di studi, si supponeva avessero ottenuto una conoscenza che non era possibile ottenere ai comuni mortali».

Tra coloro che difficilmente avrebbero potuto diventare scrittori sotto il vecchio ordine e che poco o nulla sapevano delle "antiche leggi" della letteratura, dobbiamo sicuramente collocare quei tipici rappresentanti della parte "lavoratrice" dell'umanità che furono Defoe e Richardson. Le loro idee e la loro educazione erano tali che difficilmente avrebbero potuto sperare di trovar favore presso i vecchi arbitri del destino letterario ma, se ricordiamo come contrario al punto di vista classico fosse il realismo formale, ci diviene chiaro che la loro diversa appartenenza fu probabilmente una condizione essenziale per le loro innovazioni letterarie. Mrs. Chapone trasse una tale conclusione per Richardson: «solo gli ignoranti possono darci qualcosa di originale: ogni maestro copia dalle autorità del passato e non guarda gli oggetti naturali.» Il Defoe e Richardson erano certamente più liberi di presentare "gli oggetti naturali" nel modo che volevano di quanto lo fossero, ad esempio, gli scrittori francesi la cui cultura letteraria era ancora soprattutto orientata verso la corte. E' probabilmente questa la ragione per cui il romanzo apparve e ruppe prima e più completamente coi modi e i soggetti della narrativa precedente proprio in Inghilterra.

In ultima analisi, tuttavia, il potere degli editori al di sopra di quello dei patroni e la conseguente indipendenza di Defoe e Richardson dal passato letterario sono meramente riflessi di un aspetto più vasto e più importante del loro tempo: il grande potere e la sicurezza di sé dell'intera classe media. In virtù dei loro svariati contatti con la stampa, la vendita di libri e il giornalismo, Defoe e Richardson erano in diretto contatto coi nuovi interessi e le nuove capacità del pubblico dei lettori ma è perfino più importante il fatto che essi stessi fossero pienamente rappresentativi del nuovo centro di gravità di quel pubblico, cioè la borghesia. Come uomini d'affari di classe media a Londra, dovevano solo curarsi di seguire i loro stessi standard di forma e contenuto per essere sicuri di attirare un vasto pubblico. È questo probabilmente, l'effetto estremamente importante della mutata composizione del pubblico dei lettori e del nuovo potere degli editori sul sorgere del romanzo. Non tanto Defoe e Richardson risposero ai nuovi bisogni del pubblico, quanto espressero questi bisogni dall'interno in modo assai più libero di quanto non fosse o possibile

precedentemente.

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