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IA servizi pubblici locali CGIL 2018 A cura di Mariella Bergamini 1 ISTRUTTORE AMMINISTRATIVO I SERVIZI PUBBLICI LOCALI e LE FORME ASSOCIATIVE CGIL MARZO 2018 Materiale ad uso esclusivo dei corsisti. Ai sensi della vigente normativa sul diritto d’autore è vietata la riproduzione. A cura di Mariella Bergamini Funzionario Delegato Corte dei Conti Toscana [email protected]

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IA servizi pubblici locali CGIL 2018

A cura di Mariella Bergamini 1

ISTRUTTORE AMMINISTRATIVO

I SERVIZI PUBBLICI LOCALI

e LE FORME ASSOCIATIVE

CGIL MARZO 2018

Materiale ad uso esclusivo dei corsisti. Ai sensi della vigente normativa sul diritto d’autore è vietata la

riproduzione.

A cura di Mariella Bergamini – Funzionario Delegato Corte dei Conti Toscana –

[email protected]

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I SERVIZI PUBBLICI LOCALI

1. FUNZIONI E SERVIZI

Tradizionalmente la dottrina ha distinto fra:

Funzione: attività che può essere svolta esclusivamente dalla PA (es.: certificazione) o che si

concretizza nell’esercizio autoritativo del potere (es.: esproprio).

Servizio: erogazione ai cittadini di una prestazione che può essere svolta anche da un privato (es:

acqua, gas, farmacie).

Malgrado negli anni tale distinzione sia diventata sempre meno netta, anche a causa di fenomeni di

privatizzazione - tanto che funzioni e servizi vengono spesso usati come sinonimi - il TUEL dedica

alle funzioni ed ai servizi articoli diversi. Per le prime occorre far riferimento agli articoli 3 e 13. Al

comma 5 dell’art. 3 ritroviamo due concetti già affrontati:

Il principio di sussidiarietà VERTICALE: le funzioni devono essere allocate di norma al livello

di governo più vicino alla comunità beneficiaria.

Il principio di sussidiarietà ORIZZONTALE: ove possibile i comuni, per perseguire finalità

pubbliche, si avvalgono di organizzazioni private (ad esempio nell’ambito dei servizi sociali).

L’art. 13 riguarda le funzioni proprie del Comune, ossia che la legge ha tradizionalmente ritenuto di

competenza dell’ente locale ed individua tre ambiti di intervento, qualificati come “settori organici”,

nei quali si esplica l’azione dell’amministrazione comunale1:

► servizi alla persona e alla comunità (aperto alle trasformazioni dei bisogni sociali ed

assistenziali)

► assetto e utilizzazione del territorio (segnato dalle evoluzioni del contesto)

► sviluppo economico (che non comprende solo le attività produttive e il commercio, ma prevede

l’intervento dell’ente locale come regolatore e come promotore dell’iniziativa economica).

La legge quindi non elenca i compiti propri del Comune, ma delinea delle aree di intervento molto

ampie, all’interno delle quali l’ente individuerà quei servizi che maggiormente soddisfano le esigenze

della popolazione.

2. DEFINIZIONE DI SERVIZIO PUBBLICO LOCALE

Per affrontare lo studio della gestione dei servizi pubblici locali occorre capire cosa s’intende per

servizio pubblico locale. In assenza di una definizione legislativa di carattere generale, la nozione di

servizio pubblico è stata oggetto di molte e diverse interpretazioni provenienti da giudici e dal

legislatore ordinario. Il termine servizio pubblico è stato impiegato in una pluralità di significati

elaborati dalla dottrina.

La materia dei servizi pubblici, sin da quando esiste è stata oggetto della tradizionale distinzione tra

1 Salvo che le relative funzioni non siano espressamente attribuite ad altri enti da leggi statali o regionali, in quanto è

necessario un esercizio unitario delle stesse

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concezione soggettiva ed oggettiva. In dottrina ed in giurisprudenza non c’è una prevalenza di una o

dell’altra teoria, coesistendo entrambe le nozioni, oltre ad una nozione mista di servizio pubblico.

Secondo la teoria soggettiva è servizio pubblico l’esercizio di un’attività non autoritativa assunta da

un pubblico potere. Si dà rilievo al ruolo svolto dal soggetto pubblico, che esercita un’attività non

autoritativa. Invece, secondo la teoria oggettiva, è servizio pubblico quello che svolge un’attività

indirizzata e coordinata a fini sociali a favore della collettività. Si dà quindi rilievo all’attività svolta,

indirizzata a fini sociali, per la collettività, indipendentemente dal fatto che “a monte” vi sia un

soggetto pubblico. L’erogazione del servizio pubblico, finalizzato allo sviluppo economico e sociale

della comunità, può avvenire direttamente o indirettamente, ma sempre per il soddisfacimento dei

bisogni della collettività.

L’art. 112 del TUEL, al primo comma, non contiene una definizione di servizio pubblico locale, ma

si limita ad indicarne l’oggetto “produzione di beni ed attività rivolte a realizzare fini sociali e a

promuovere lo sviluppo economico e civile delle comunità locali”. Siamo quindi di fronte ad

un’interpretazione mista, che da un lato focalizza l’attenzione sul ruolo svolto dall' Ente locale che

gestisce i servizi e dall’altro si sofferma sull’oggetto del servizio pubblico.

Secondo il Consiglio di Stato gli enti locali “sono enti locali a fini generali, dotati di autonomia

organizzativa, amministrative e finanziaria nel senso che essi hanno la facoltà di determinare da sé i

propri scopi e, in particolare, di decidere quali attività di produzione di beni e attività, purché

genericamente rivolte a fini sociali e a promuovere lo sviluppo economico e civile delle comunità di

riferimento assumere come doverose”. É il Comune (Consiglio) che valuta discrezionalmente sulla

opportunità dell’erogazione di un servizio piuttosto che un altro, in relazione alle mutevoli esigenze

della comunità.

La materia dei servizi pubblici fu innovata dalla L. 142/90, che ne stabilì i principi per le forme di

gestione. L’impostazione è stata ripresa dal TUEL. La norma si differenzia nettamente rispetto a

quella precedente, perché non elenca più i numerosi servizi assumibili dai comuni, ma dà un’ampia

definizione di servizio pubblico locale. Tale definizione, oggi riportata all’art. 112 del TUEL,

ricomprende tutte quelle prestazioni dell’ente locale “che abbiano per oggetto la produzione di beni

e attività rivolte a realizzare fini sociali e a promuovere lo sviluppo economico e civile delle comunità

locali.” La caratteristica del servizio pubblico è quindi quella di far fronte alle esigenze immediate e

dirette della comunità locale e di perseguire fini “sociali”.

Il legislatore, non elencando i possibili servizi ma utilizzando una definizione di tale ampiezza,

sottolinea l’autonomia dell’ente locale nello scegliere quelle attività che meglio si adattano a

soddisfare le esigenze della propria collettività. Infatti il Comune, essendo l’ente che rappresenta la

propria comunità e ne promuove lo sviluppo (art. 3 TUEL), costituisce da sempre l’interlocutore

primario nelle numerose e complesse esigenze della popolazione, che si concretizzano nella richiesta

di servizi. Fatti salvi i servizi locali indispensabili (cfr. D.M. 28.5.1993) la rilevanza pubblica del

servizio sta quindi nell’utilità che ne deriva a quella specifica collettività.

Nel TUEL i servizi pubblici locali sono disciplinati dagli articoli 112 e seguenti. Inoltre è possibile

individuare, in altre parti della norma, ulteriori forme di gestione in maniera associata: art. 24 (area

metropolitana) e le forme associative del Capo V (consorzi, unioni, convenzioni, ...). A tale proposito

si rileva che la “Legge Del Rio”, L. 56/2014, nel sottrarre numerosi compiti alle province, sancisce

che il bacino territoriale ottimale per la gestione dei servizi è quello provinciale. Pertanto prevede

l’attribuzione delle funzioni di organizzazione dei servizi a rilevanza economica di competenza

comunale o provinciale ad enti o agenzie operanti in ambito provinciale o sub provinciale, con

conseguente assorbimento delle competenze degli enti intermedi esistenti. Al momento tale

previsione non è stata attuata.

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A seguito della travagliata evoluzione normativa, le modalità di conferimento dei servizi pubblici

locali non sono più disciplinate dal TUEL, ma dal D.L. 138/2011, convertito con L. 148/2011.

Infine ricordiamo che, secondo quanto previsto dall’art. 42, la competenza in materia di servizi

pubblici è del Consiglio comunale per quanto riguarda gli atti fondamentali:

Assunzione diretta del servizio

Scelta della forma di gestione

Concessione del servizio a terzi

Costituzione o partecipazione a società di capitali

Revoca e costituzione di aziende speciali

Dismissione di servizi pubblici

Trasformazione dell’azienda speciale in società di capitali

Fissazione degli indirizzi da osservare da parte delle aziende speciali

I servizi a domanda individuale

Vi sono dei servizi che vengono erogati alla generalità della cittadinanza (acqua, nettezza urbana,

polizia municipale, ……) e vengono finanziati dal Comune attingendo dal proprio bilancio. Altri

servizi invece sono utilizzati soltanto ai cittadini che ne fanno richiesta (case di riposo, asili nido,

convitti, campeggi, ostelli, impianti sportivi, corsi extrascolastici, mense, ...). Questi ultimi sono i

cosiddetti servizi a domanda individuale e sono soggetti al pagamento di una tariffa.

Secondo l’art. 117 TUEL la tariffa, che viene riscossa dal soggetto che gestisce il servizio, è il

corrispettivo del servizio pubblico locale, viene determinata ogni anno e deve assicurare l’equilibrio

economico finanziario dell’investimento e della relativa gestione. Fino agli anni ‘90 la legge statale

prevedeva che le tariffe coprissero una determinata percentuale dei costi del servizio. A seguito

dell’accresciuta autonomia degli enti locali questa previsione è stata superata, per cui la

determinazione della tariffa è rimessa alle scelte dell’Ente che, come abbiamo visto, gode di

autonomia finanziaria (art. 3 TUEL). L’obbligo di copertura di una percentuale dei costi permane

esclusivamente per gli enti locali che si trovano in situazioni strutturalmente deficitarie, che devono

applicare la tariffa massima consentita dalla legge (cfr. art. 251 c. 5). Ricordiamo infine che la

determinazione delle tariffe è di competenza della Giunta.

3. LA TORMENTATA VICENDA DEGLI ARTICOLI 113 E 113 BIS DEL TUEL

Questa parte del TUEL fu modificata una prima volta dalla Finanziaria 2002, che introdusse l’articolo

113-bis e distinse i servizi pubblici locali in servizi a rilevanza “industriale” (art. 113) e servizi privi

di rilevanza “industriale” (art. 113 bis), modificando quindi la precedente dizione di servizi a

rilevanza “imprenditoriale” e “non imprenditoriale”, che risaliva alla L. 142/90. Il legislatore però

non aveva specificato quali fossero i servizi “a rilevanza industriale”, rimandandone il dettaglio ad

un apposito regolamento, che non fu mai emanato. La loro puntuale individuazione era (ed è tuttora)

invece di fondamentale importanza perché dal fatto che i servizi siano classificati in un modo anziché

nell’altro dipende la scelta del tipo di gestione.

Inoltre tali previsioni confliggevano pesantemente con le prescrizioni comunitarie in materia di

concorrenza, tanto che per evitare sanzioni da parte dell’UE il governo, a fine 2003, intervenne con

decreto legge ed ha ulteriormente modificato la classificazione dei servizi pubblici in servizi “a

rilevanza economica”, disciplinati all’art. 113, e servizi “privi di rilevanza economica”,

disciplinati all’art. 113 bis. Detta stesura rimandava all’ente locale il problema se un servizio rientri

nell’uno o nell’altro tipo, determinandone così anche le possibili modalità di gestione, che dipendono

da questa classificazione. Tale decreto legge fu impugnato dalla Regione Toscana. La Corte

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Costituzionale, con sentenza n. 272 del 27 Luglio 2004, accolse parzialmente i rilievi formulati dalla

Regione Toscana e dichiarò illegittimo – e quindi espunto dall’ordinamento – il secondo e terzo

periodo del comma 7 dell’art. 113 del TUEL. Inoltre la Corte Costituzionale ritenne illegittimo

l’art. 113 bis del TUEL, che quindi è stato espunto dall’ordinamento.

La dichiarazione di illegittimità rese ancor più pregnante la questione della definizione di servizio

pubblico a rilevanza economica oppure privo di rilevanza economica. Inoltre si pose il problema del

vuoto normativo in attesa dell’emanazione della legge regionale in luogo dell’art. 113. Per quel che

riguarda le attività economiche e non economiche la Corte Costituzionale, con la Sentenza in parola,

rimette al giudice la valutazione delle circostanze e delle condizioni in cui il servizio viene prestato,

tenendo conto in particolare, dei seguenti parametri:

Assenza della finalità di lucro

Mancata assunzione dei rischi connessi all’attività

Eventuale finanziamento pubblico.

In conclusione, i servizi che in relazione al soggetto erogatore, ai caratteri ed alle modalità della

prestazione, ai destinatari, possono essere definiti “privi di rilevanza economica” saranno disciplinati

da una specifica ed adeguata normativa regionale ed anche locale.

Per quel che riguarda l’art. 113, sulla già complessa materia è intervenuto l’art. 15 del decreto legge

25 settembre 9 n. 135, convertito con la L. 166/09, del 20/11/09, che anch’esso modifica il TUEL in

maniera non espressa. Anche questa disciplina è stata introdotta con lo strumento della decretazione

d’urgenza, giustificato dalla preminente ed urgente finalità di adeguare l’attuale regolamentazione

dei servizi pubblici locali alle prescrizioni dettate dalla Comunità europea e dalla Corte di Giustizia

della Comunità Europea con le direttive e la giurisprudenza dell’ultimo decennio. Viene quindi

confermato l’inquadramento della disciplina sull’affidamento e gestione dei servizi pubblici locali

nell’ambito della disciplina comunitaria, volta alla promozione della libera concorrenza e della libera

prestazione dei servizi di interesse generale da parte di tutti gli operatori economici interessati alla

gestione dei servizi in ambito locale.

Con l’art 15 del D.L. 135/2009 l’affidamento con gara alle società private o miste diviene la regola

generale e la forma ordinaria di affidamento. Viene confermato inoltre il principio generale, già

introdotto dall’art 23 bis della L 133/2008, che la norma ha valenza generale e prevalente sulle

discipline di settore2. Successivamente, il D.P.R. 168/2010, “Regolamento in materia di servizi

pubblici locali di rilevanza economica, a norma dell'articolo 23-bis, comma 10, del decreto-legge 25

giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n.133”, all’art. 12 c.

1, abroga i commi 5, 6, 7 8 e, in buona parte, il c. 9 dell’art. 113 TUEL. Infine, l’art. 25 della Legge

24 marzo 2012 n. 27, di conversione del D. L. 1/2012 “Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo

sviluppo delle infrastrutture e la competitività”, il cosiddetto decreto sulle liberalizzazioni, interviene

ancora una volta sulla normativa vigente in materia di affidamento e gestione dei servizi pubblici

locali.

4. L’ATTUALE DISCIPLINA DEI SERVIZI PUBBLICI LOCALI

Come è noto, a seguito del referendum del 13 giugno 2011 è stata sancita l’abrogazione dell’art. 23-

bis del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, recante «Disposizioni urgenti per lo sviluppo

economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la

perequazione tributaria», convertito, con modificazioni, dalla legge n. 133/2008, come modificato

2 Come osservato più volte in dottrina, non è la prima volta che la norma generale integra e prevale rispetto alle

disposizioni di settore, sovvertendo la regola lex posterior generalis non derogat priori speciali.

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dall’articolo 30, comma 26, della legge n. 99/09, recante «Disposizioni per lo sviluppo e

l’internazionalizzazione delle imprese, nonché in materia di energia», e dall’articolo 15 del decreto-

legge n. 135/2009, recante «Disposizioni urgenti per l’attuazione di obblighi comunitari e per

l’esecuzione di sentenze della Corte di giustizia delle Comunità europee» convertito, con

modificazioni, dalla legge n. 166/2009, nel testo risultante a seguito della sentenza n. 325 del 2010

della Corte costituzionale.

L’effetto abrogativo si è realizzato con decorrenza dal 21 luglio 2011, a seguito della pubblicazione

nella Gazzetta Ufficiale del Decreto del Presidente della Repubblica 18 luglio 2011 n. 113.

Come già rilevato dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 24 del 12-26 gennaio 2011 (con la

quale era stata dichiarata ammissibile la richiesta di referendum popolare), dall’abrogazione dell’art.

23-bis del D.L. 112/2008 non avrebbe potuto conseguire alcuna reviviscenza delle norme abrogate

da tale articolo (reviviscenza, del resto, costantemente esclusa in simili ipotesi sia dalla

giurisprudenza sia della stessa Corte Costituzionale − sentenze n. 31 del 2000 e n. 40 del 1997 –, sia

da quella della Corte di cassazione e del Consiglio di Stato); dall’altro, conseguirebbe l’applicazione

immediata nell’ordinamento italiano della normativa comunitaria (meno restrittiva rispetto a quella

oggetto di referendum) relativa alle regole concorrenziali minime in tema di gara ad evidenza

pubblica per l’affidamento della gestione di servizi pubblici di rilevanza economica.

Pertanto, il 21 luglio 2011 risulta eliminata l’intera disciplina nazionale in materia di gestione dei

servizi pubblici locali, che rimane regolamentata dalle disposizioni di matrice comunitaria.

La normativa vigente dopo la legge di stabilità e il decreto liberalizzazioni

L’art. 4 del D. L. 138/2011, convertito in Legge 138/2011 “Adeguamento della disciplina dei servizi

pubblici locali al referendum popolare e alla normativa dell’unione europea”, ha colmato il vuoto

normativo ed ha così ripristinato nel nostro ordinamento nazionale una disciplina organica in materia.

La legge 12 novembre 2011 n. 183, c.d. legge di stabilità 2012, modifica ulteriormente l’articolo 4

del dl 138/2011 relativo all’affidamento dei servizi pubblici locali di rilevanza economica.

L’art. 25 della Legge 24 marzo 2012 n. 27, di conversione del Decreto Legge 24 gennaio 2012 n. 1

“Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività” interviene

ancora una volta sulle previsioni dell’art. 4, con norme particolarmente incisive.

Le disposizioni si applicano a tutti i servizi pubblici locali e prevalgono sulle relative discipline di

settore con esse incompatibili. Sono esclusi il servizio idrico integrato, ad eccezione delle norme sulle

incompatibilità degli amministratori, il servizio di distribuzione di gas naturale, il servizio di

distribuzione di energia elettrica e la gestione delle farmacie comunali.

Liberalizzazione

Gli enti locali, nel rispetto dei principi di concorrenza, di libertà di stabilimento e di libera prestazione

dei servizi, verificano la realizzabilità di una gestione concorrenziale dei servizi pubblici locali di

rilevanza economica liberalizzando tutte le attività economiche compatibilmente con le

caratteristiche di universalità e accessibilità del servizi, fatti salvi i casi in cui, in base ad una analisi

di mercato, la libera iniziativa economica privata non risulti idonea a garantire un servizio rispondente

ai bisogni della comunità.

La sentenza della Corte Costituzionale 199 del 20 Luglio 2012, sancì però l’illegittimità dell’art. 4,

anche nelle sue formulazioni successive. Il legislatore quindi è intervenuto nuovamente in materia di

servizi pubblici locali. L’articolo 34 del Decreto legge 18 ottobre 2012, n. 179 (il cosiddetto Decreto

sviluppo 2.0), recante «Ulteriori misure urgenti per la crescita del Paese», rimaneggia ancora una

volta una materia che sembra essere senza pace. Nello specifico, prevede che per i servizi pubblici

locali di rilevanza economica, al fine di assicurare il rispetto della disciplina europea, la parità tra gli

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operatori, l’economicità della gestione e di garantire adeguata informazione alla collettività di

riferimento, l’affidamento del servizio è effettuato sulla base di apposita relazione, pubblicata sul sito

internet dell’ente affidante, che dà conto delle ragioni e della sussistenza dei requisiti previsti

dall’ordinamento europeo per la forma di affidamento prescelta e che definisce i contenuti specifici

degli obblighi di servizio pubblico e servizio universale, indicando le compensazioni economiche se

previste. Nella medesima norma, il legislatore ha calendarizzato la cessazione degli affidamenti diretti

e delle società pubbliche quotate in borsa.

Su questo complesso normativo frammentato e tormentato la “Legge Madia” ha cercato di riportare

unicità ed organicità. La delega contenuta negli artt. 16 e 19 della legge n. 124/2015 mira a riformare

integralmente la disciplina dei servizi pubblici locali, funzione fondamentale dei comuni e delle città

metropolitane, che contribuisce a definire il livello di benessere dei cittadini.

La delega si fonda su alcuni principi innovativi (accanto ad altri confermativi della disciplina vigente),

fra i cui:

- soppressione, previa ricognizione, dei regimi di esclusiva, comunque denominati, non conformi ai

princìpi generali in materia di concorrenza e comunque non indispensabili per assicurare la qualità e

l’efficienza del servizio

- individuazione della disciplina generale in materia di regolazione e organizzazione dei servizi di

interesse economico generale di ambito locale in base ai princìpi di adeguatezza, sussidiarietà e

proporzionalità e in conformità alle direttive europee; con particolare riferimento alle società in

partecipazione pubblica operanti nei servizi idrici, risoluzione delle antinomie normative in base ai

princìpi del diritto dell’Unione europea, tenendo conto dell’esito del referendum abrogativo del 12 e

13 giugno 2011

- definizione dei criteri per l’organizzazione territoriale ottimale dei servizi pubblici locali di rilevanza

economica

- individuazione, anche per tutti i casi in cui non sussistano i presupposti della concorrenza nel

mercato, delle modalità di gestione o di conferimento della gestione dei servizi nel rispetto dei

princìpi dell’ordinamento europeo, ivi compresi quelli in materia di auto-produzione, e dei princìpi

generali relativi ai contratti pubblici e, in particolare, dei princìpi di autonomia organizzativa,

economicità, efficacia, imparzialità, trasparenza, adeguata pubblicità, non discriminazione, parità di

trattamento, mutuo riconoscimento, proporzionalità

- definizione delle modalità di tutela degli utenti dei servizi pubblici locali

- previsione di adeguati strumenti di tutela non giurisdizionale per gli utenti dei servizi.

La sentenza della Corte Costituzionale 251/2016 del 25 Novembre 2016 ha giudicato incostituzionali

alcune norme della Legge 124/15. Conseguentemente sono stati fatti salvi i Decreti Legislativi già

approvati in via definitiva entro tale data, fra cui il testo unico sulle partecipate pubbliche, mentre

sono decaduti quelli ancora in itinere, fra cui quello sulla riforma dei servizi pubblici. La nuova

disciplina dei servizi pubblici locali di interesse economico generale aveva come obiettivo la

semplificazione delle regole, attraverso il riordino delle norme con una disciplina organica, per

migliorare l’utilizzo delle risorse pubbliche e garantire una corretta scelta delle modalità di

affidamento. Le criticità che il provvedimento mirava a superare sono: la gestione inefficiente dei

servizi pubblici locali; la carenza di regole legittimanti la gestione pubblica dei servizi; la complessità

della vigente disciplina; l’insufficienza della regolazione affidata alle autorità indipendenti;

l’incompletezza dei criteri per l’organizzazione territoriale ottimale; la carenza di efficaci meccanismi

di tutela degli utenti.

Ciò ha inciso in maniera diversa sulle conseguenze immediatamente derivanti dalla sentenza in

parola: mentre il Testo Unico sulle società a partecipazione pubblica, ovvero il D.Lgs. 175/2016,

rimane efficace e prescrittivo, in quanto già in vigore dal 23 settembre 2016, il TU sui servizi pubblici

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locali di interesse economico generale (il cui schema definitivo di decreto attuativo era stato

approvato nel CDM del 24 novembre) è stato ritirato dal Governo all’indomani della pronuncia di

illegittimità costituzionale ed è dunque decaduto.

Alla luce di quanto sopra, l’analisi verterà sugli articoli del TUEL “superstiti”, sui commi 20 e 21

dell’art. 34 del D. L. 179/2012 “Misure urgenti per le attività produttive, le infrastrutture e i trasporti

locali, la valorizzazione dei beni culturali ed i comuni”, nella sua attuale formulazione, sui principi

comunitari e sul Decreto Legislativo 19 agosto 2016 n. 175 “Testo unico in materia di società a

partecipazione pubblica”, in attuazione degli artt. 16 e 18 della Legge 7 agosto 2015 n. 124 (in vigore

dal 23 settembre 2016) che, all’art. 2, primo comma, lett. i), definisce: “servizi di interesse economico

generale: i servizi di interesse generale erogati o suscettibili di essere erogati dietro corrispettivo

economico su un mercato”.

5. SERVIZI A RILEVANZA ECONOMICA E PRIVI DI RILEVANZA ECONOMICA

5.1. I SERVIZI A RILEVANZA ECONOMICA (ART. 113 TUEL)

Una delle caratteristiche di questi servizi è il fatto di essere caratterizzati da reti e impianti3. I

protagonisti sono numerosi in quanto oltre al Comune, che è il titolare della funzione, vi è il

proprietario della rete, il gestore della rete ed il gestore del servizio. Il cittadino rimane comunque il

portatore del bisogno e si trova in relazione con l’ente locale, che ha il compito di soddisfarlo.

Titolare della funzione: è l’ente locale

Proprietario della rete e degli impianti: può essere solo l’ente locale - anche mediante società

partecipate (c. 13) - che non può cederla ai privati. Se non è vietato dalle normative di settore, l’ente

locale può conferire la proprietà delle reti, degli impianti e delle altre dotazioni patrimoniali, a società

a capitale interamente pubblico, che è a sua volta incedibile.

Gestore della rete: ha il compito di mantenere in efficienza le reti e gli impianti, a fronte di un canone

corrisposto dal soggetto che eroga il servizio. Il gestore della rete può coincidere col soggetto

erogatore del servizio, oppure essere una società di capitali appositamente costituita dall’ente locale

con le stesse caratteristiche di quella al punto c) sopra evidenziato, o infine un terzo soggetto, ossia

un’impresa privata selezionata con gara (c. 4).

Gestore del servizio: É la società che eroga il servizio per conto dell’ente locale.

Tutti i rapporti fra questi soggetti sono regolati dai contratti di servizio (c. 11), allegati al capitolato

di gara, in cui vengono stabiliti anche gli standard qualitativi che il gestore del servizio è tenuto a

rispettare.

La disciplina del TUEL prevede quindi per gli enti locali l’obbligo di mantenere la proprietà degli

impianti produttivi, delle reti e delle dotazioni necessarie allo svolgimento del servizio, a meno che

non intendano cederli a società di capitali (c. 2) interamente pubbliche, il cui capitale non potrà mai

passare ai privati (c. 13). Inoltre devono scorporare la proprietà della rete dalla gestione del servizio

individuando, con le modalità previste dalla legge, un gestore del servizio diverso dal proprietario,

che utilizzerà la rete a fronte del pagamento di un canone.

I rapporti fra enti locali, società di erogazione del servizio ed (eventuale) società di gestione degli

impianti sono regolati da contratti di servizio. Sono previsti specifici contratti di servizio nel caso in

cui la gestione avvenga in ambito sovracomunale, per tutelare i piccoli comuni.

3 Ad esempio, nel caso dei trasporti, le paline degli orari e le pensiline, le tubature nel servizio idrico, i tralicci della luce,

…...

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SERVIZI A RILEVANZA ECONOMICA (ART. 113 TUEL)

________________________________________________________________________________

PROPRIETA’ DELLE RETI + EROGAZIONE SERVIZIO = NO

PROPRIETA’ RETI + GESTIONE RETI = SI

GESTIONE RETI + EROGAZIONE SERVIZIO = SI

LA PROPRIETA’ DELLE RETI DEVE ESSERE PUBBLICA E SCISSA

DALL’EROGAZIONE DEL SERVIZIO.

IL SOGGETTO GESTORE DELLA RETE, SE PRIVATO, DEVE ESSERE SCELTO CON

GARA, SECONDO LE PROCEDURE UE

5.2. MODALITA’ DI GESTIONE DEI SERVIZI A RILEVANZA ECONOMICA

Come abbiamo visto, per servizi pubblici di interesse generale devono intendersi quelle attività che,

per le loro caratteristiche oggettive, riguardano un interesse diffuso nella collettività alla continuità

di tali prestazioni, alla loro effettività ed alla loro qualità minima. In questa categoria rientrano i

servizi pubblici locali. L’art. 1 della direttiva 2006/123/CE e l’art. 14 del TFUE rimettono agli Stati

membri il compito di definire, in conformità al diritto comunitario, quali essi ritengano essere servizi

d’interesse economico generale ed in che modo essi debbano essere organizzati e finanziati, in

conformità delle regole sugli aiuti concessi dagli Stati, ed a quali obblighi specifici debbano essere

soggetti. Sono definiti servizi pubblici locali di interesse economico generale i servizi erogati dietro

corrispettivo su un mercato, che non sarebbero svolti senza un intervento pubblico o lo sarebbero a

condizioni differenti, che i comuni assumono come necessari per assicurare la soddisfazione dei

bisogni delle comunità, così da garantire lo sviluppo e la coesione sociale. L’ente locale non può

gestire i servizi pubblici locali a rilevanza economica con mezzi propri (in economia), ma svolge

funzioni di regolazione e controllo. La materia dei servizi pubblici locali si è sviluppata in maniera

frenetica e disorganica.

Dal susseguirsi di accadimenti legislativi, referendari e giurisprudenziali attraverso è emersa

chiaramente la contrapposizione fra la volontà del legislatore di aprire alla libera concorrenza privata

la materia dei servizi pubblici locali di rilevanza economica e la volontà popolare e delle

amministrazioni locali di frenare tale processo. Nell’ambito di questo iter altalenante, la Corte

Costituzionale, con la pronuncia n. 199 pubblicata in G.U. il 25 luglio 2012, ha sancito l’illegittimità

costituzionale dell’art. 4 del decreto legge n. 138/2011, convertito con modificazioni con L. 148/2011,

che disciplinava la materia in un’ottica concorrenziale, poiché in detto articolo veniva riproposta la

medesima normativa contenuta nell’art. 23 bis D.L. 112/2008, abrogata con referendum popolare. In

tale norma il Legislatore affermava chiaramente, in ossequio alla normativa comunitaria, il favor

verso una gestione concorrenziale dei servizi pubblici locali di rilevanza economica, liberalizzando

tutte le attività economiche, compatibilmente con le caratteristiche di universalità ed accessibilità del

servizio. Conseguentemente, è possibile affidare l’erogazione di un servizio in esclusiva solo quando

la libera iniziativa economica non risulti idonea a garantire un servizio rispondente ai bisogni della

comunità (“fallimento del mercato”). In linea generale, il citato articolo 4 (“Adeguamento della

disciplina dei servizi pubblici locali al referendum popolare e alla normativa europea”) imponeva agli

enti locali di verificare la realizzabilità di una gestione concorrenziale dei servizi pubblici locali di

rilevanza economica. L’ente interessato avrebbe dovuto effettuare un’analisi di mercato attraverso la

quale verificare l’idoneità della libera iniziativa economica a garantire un servizio rispondente ai

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bisogni della comunità. Solo nel caso di esito negativo della verifica e previa approvazione di una

delibera quadro, la pubblica amministrazione avrebbe potuto provvedere con l’attribuzione di diritti

di esclusiva relativi ai singoli servizi. La pronuncia d’incostituzionalità dell’art. 4 non ha lasciato,

tuttavia, un vuoto normativo nella disciplina dei servizi pubblici locali, poiché rimane al momento

valida ed efficace la normativa comunitaria, certamente meno restrittiva, quanto meno per il ricorso

all’affidamento diretto alle società cd. in house, rispetto a quella nazionale censurata dalla Corte

Costituzionale. A tale riguardo, senza alcuna pretesa di esaustività, ricordiamo le principali

disposizioni europee e statali attualmente vigenti: all’art. 106 TFUE; la Direttiva, n. 2006/123/CE

relativa ai servizi nel mercato interno; alle Direttive 23, 24 e 25 del 2014, recepite dal codice sugli

appalti pubblici; all’art. 113 del D.lgs. n. 267 del 18 agosto 2000 (Tuel); al codice dei contratti

pubblici D. Lgs. 50/2016, con particolare riguardo agli articoli artt. 5 e 192 e alle linee guide ANAC.

Restano comunque regolate dalla rispettiva normativa di settore la distribuzione del gas, di energia

elettrica, il servizio idrico, il trasporto pubblico locale e la gestione delle farmacie comunali. Inoltre,

a seguito della dichiarazione d’illegittimità costituzionale della normativa in parola, il legislatore ha

ritenuto necessario intervenire in via d’urgenza, in attesa di armonizzare la frammentata materia dei

servizi pubblici locali con un intervento normativo più complesso, con le disposizioni dei commi 20

e 21 dell’art. 34 del D. L. 179/2012 “Misure urgenti per le attività produttive, le infrastrutture e i

trasporti locali, la valorizzazione dei beni culturali ed i comuni”. In particolare, il comma 20 prevede

che per i servizi pubblici locali di rilevanza economica, al fine di assicurare il rispetto della disciplina

europea, la parità tra gli operatori, l'economicità della gestione e di garantire adeguata informazione

alla collettività di riferimento, l'affidamento del servizio è effettuato sulla base di apposita relazione,

pubblicata sul sito internet dell'ente affidante, che dà conto delle ragioni e della sussistenza dei

requisiti previsti dall'ordinamento europeo per la forma di affidamento prescelta e che definisce i

contenuti specifici degli obblighi di servizio pubblico e servizio universale, indicando le

compensazioni economiche se previste. L’elemento di novità della disciplina in esame riguarda

l’introduzione della “relazione” che, salve le ipotesi di esclusione (gas, energia elettrica e farmacie

comunali), è un atto prodromico e necessario per l’affidamento dei servizi pubblici locali. In tale atto

l’ente pubblico deve indicare le ragioni che l’hanno indotto a scegliere un determinato procedimento

di aggiudicazione, anche con riferimento all’art. 106 TFUE.

Alla luce di quanto sopra, nelle more dell’emanazione di una nuova disciplina organica, l’affidamento

della gestione dei servizi pubblici locali potrà avvenire mediante:

1. Gara ad evidenza pubblica, in applicazione delle norme inerenti gli appalti o le concessioni di

servizi di cui al D.Lgs n. 50/2016;

2. Affidamento a società a capitale misto pubblico e privato con procedura di gara di cui al D.Lgs

n. 50/2016, per la scelta del socio privato a cui attribuire specifici compiti operativi connessi alla

gestione del servizio (procedura cd. a doppio oggetto);

3. Affidamento diretto a società in house, qualora sussistano i requisiti previsti dall’ordinamento

comunitario.

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SERVIZI A RILEVANZA ECONOMICA

(art. 34 del D. L. 179/2012)

AFFIDATARI DEL SERVIZIO IN ESCLUSIVA

_______________________________________________________________________________

IMPRENDITORI O SOCIETA’ SELEZIONATI CON GARA codice contratti

SOCIETA’ MISTE CON SOCIO SCELTO CON GARA gara a doppio oggetto

SOCIETA’ DI CAPITALI 100% PUBBLICHE requisiti comunitari

L’affidamento “in house”

Il nuovo Codice dei contratti, D. Lgs. 50/2016, contiene anche il recepimento della nuova disciplina

in materia di “in house providing” dettata dalle Direttive UE n. 23, 24 e 25 del 2014 in materia di

concessioni e appalti dei settori ordinari e speciali. Il Codice introduce diverse novità anche in tema

di affidamenti diretti. L’art. 5 del decreto4, recependo i presupposti elaborati nel corso degli anni dalla

4 Art. 5 Principi comuni in materia di esclusione per concessioni, appalti pubblici e accordi tra enti e

amministrazioni aggiudicatrici nell'ambito del settore pubblico.

1. Una concessione o un appalto pubblico, nei settori ordinari o speciali, aggiudicati da un'amministrazione aggiudicatrice

o da un ente aggiudicatore a una persona giuridica di diritto pubblico o di diritto privato, non rientra nell'ambito di

applicazione del presente codice quando sono soddisfatte tutte le seguenti condizioni: a) l'amministrazione aggiudicatrice

o l'ente aggiudicatore esercita sulla persona giuridica di cui trattasi un controllo analogo a quello esercitato sui propri

servizi; b) oltre l'80 per cento delle attività della persona giuridica controllata è effettuata nello svolgimento dei compiti

ad essa affidati dall'amministrazione aggiudicatrice controllante o da altre persone giuridiche controllate

dall'amministrazione aggiudicatrice o da un ente aggiudicatore di cui trattasi; c) nella persona giuridica controllata non vi

è alcuna partecipazione diretta di capitali privati, ad eccezione di forme di partecipazione di capitali privati le quali non

comportano controllo o potere di veto previste dalla legislazione nazionale, in conformità dei trattati, che non esercitano

un'influenza determinante sulla persona giuridica controllata.

2. Un'amministrazione aggiudicatrice o un ente aggiudicatore esercita su una persona giuridica un controllo analogo a

quello esercitato sui propri servizi ai sensi del comma 1, lettera a), qualora essa eserciti un'influenza determinante sia

sugli obiettivi strategici che sulle decisioni significative della persona giuridica controllata. Tale controllo può anche

essere esercitato da una persona giuridica diversa, a sua volta controllata allo stesso modo dall'amministrazione

aggiudicatrice o dall'ente aggiudicatore.

3. Il presente codice non si applica anche quando una persona giuridica controllata che è un'amministrazione

aggiudicatrice o un ente aggiudicatore, aggiudica un appalto o una concessione alla propria amministrazione

aggiudicatrice o all'ente aggiudicatore controllante o ad un altro soggetto giuridico controllato dalla stessa

amministrazione aggiudicatrice o ente aggiudicatore, a condizione che nella persona giuridica alla quale viene aggiudicato

l'appalto pubblico non vi sia alcuna partecipazione diretta di capitali privati, ad eccezione di forme di partecipazione di

capitali privati che non comportano controllo o potere di veto prescritte dalla legislazione nazionale, in conformità dei

trattati, che non esercitano un'influenza determinante sulla persona giuridica controllata.

4. Un'amministrazione aggiudicatrice o un ente aggiudicatore può aggiudicare un appalto pubblico o una concessione

senza applicare il presente codice qualora ricorrano le condizioni di cui al comma 1, anche in caso di controllo congiunto.

5. Le amministrazioni aggiudicatrici o gli enti aggiudicatori esercitano su una persona giuridica un controllo congiunto

quando sono soddisfatte tutte le seguenti condizioni: a) gli organi decisionali della persona giuridica controllata sono

composti da rappresentanti di tutte le amministrazioni aggiudicatrici o enti aggiudicatori partecipanti. Singoli

rappresentanti possono rappresentare varie o tutte le amministrazioni aggiudicatrici o enti aggiudicatori partecipanti; b)

tali amministrazioni aggiudicatrici o enti aggiudicatori sono in grado di esercitare congiuntamente un'influenza

determinante sugli obiettivi strategici e sulle decisioni significative di detta persona giuridica; c) la persona giuridica

controllata non persegue interessi contrari a quelli delle amministrazioni aggiudicatrici o degli enti aggiudicatori

controllanti.

6. Un accordo concluso esclusivamente tra due o più amministrazioni aggiudicatrici non rientra nell'ambito di

applicazione del presente codice, quando sono soddisfatte tutte le seguenti condizioni: a) l'accordo stabilisce o realizza

una cooperazione tra le amministrazioni aggiudicatrici o gli enti aggiudicatori partecipanti, finalizzata a garantire che i

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giurisprudenza comunitaria in materia di affidamenti diretti e i princìpi contenuti nelle citate

Direttive, prevede che le concessioni o gli appalti pubblici, nei settori ordinari o speciali, aggiudicati

da un’amministrazione aggiudicatrice o da un ente aggiudicatore a una persona giuridica di diritto

pubblico o di diritto privato non rientrano nell’ambito di applicazione del nuovo codice dei contratti

pubblici quando sono soddisfatte tutte (contemporaneamente) le seguenti condizioni5:

1. un’amministrazione aggiudicatrice o un ente aggiudicatore esercita sulla persona giuridica

di cui trattasi un “controllo analogo” a quello esercitato sui propri servizi; sussiste “controllo

analogo” qualora l’amministrazione aggiudicatrice o l’ente aggiudicatore eserciti sulla persona

giuridica affidataria “in house” un’influenza determinante, sia sugli obiettivi strategici, che sulle

decisioni significative. Il “controllo analogo” può essere anche esercitato da una persona giuridica

diversa dall’amministrazione aggiudicatrice, a sua volta controllata da quest’ultima (il c.d. “controllo

analogo indiretto”);

2. oltre l’80% dell’attività della persona giuridica controllata è effettuata nello svolgimento dei

compiti ad essa affidati dall’amministrazione aggiudicatrice controllante o da un ente

aggiudicatore, nonché da altre persone giuridiche controllate dall’amministrazione aggiudicatrice;

per determinare tale percentuale deve essere fatto riferimento, di norma, al fatturato totale medio per

i tre anni precedenti l’aggiudicazione dell’appalto o della concessione. Questa previsione dovrebbe

finalmente porre fine alla consolidata prassi nazionale per cui le società beneficiarie di affidamenti

“in house” sono state finora costrette a svolgere la propria attività “esclusivamente” a beneficio

dell’amministrazione aggiudicatrice, rinunciando a tutti i vantaggi economici che potrebbero derivare

dall’erogazione di prestazioni, anche in misura marginale, ad altre amministrazioni pubbliche non

socie. Fra l’altro, tale prassi ha finora indotto molte amministrazioni pubbliche ad acquistare

partecipazioni societarie di modestissima entità, al solo fine di poter legittimamente effettuare

affidamenti diretti a società pubbliche di loro fiducia. Innovativa appare anche la previsione che

consentirà in futuro di erogare prestazioni non solo all’amministrazione controllante, ma anche

all’amministrazione che controlla quest’ultima;

3. nella persona giuridica controllata non vi è alcuna partecipazione diretta di capitali privati,

ad eccezione di forme di partecipazione che non comportano controllo o potere di veto e che non

esercitano un’influenza determinante sulla persona giuridica controllata. Si tratta forse della

previsione più innovativa contenuta nelle direttive del 2014, che in futuro dovrebbe permettere alle

servizi pubblici che essi sono tenuti a svolgere siano prestati nell'ottica di conseguire gli obiettivi che essi hanno in

comune; b) l'attuazione di tale cooperazione è retta esclusivamente da considerazioni inerenti all'interesse pubblico; c) le

amministrazioni aggiudicatrici o gli enti aggiudicatori partecipanti svolgono sul mercato aperto meno del 20 per cento

delle attività interessate dalla cooperazione.

7. Per determinare la percentuale delle attività di cui al comma 1, lettera b), e al comma 6, lettera c), si prende in

considerazione il fatturato totale medio, o una idonea misura alternativa basata sull'attività, quale i costi sostenuti dalla

persona giuridica o amministrazione aggiudicatrice o l'ente aggiudicatore nei settori dei servizi, delle forniture e dei lavori

per i tre anni precedenti l'aggiudicazione dell'appalto o della concessione.

8. Se, a causa della data di costituzione o inizio dell'attività della persona giuridica o amministrazione aggiudicatrice o

ente aggiudicatore, ovvero a causa della riorganizzazione delle sue attività, il fatturato o la misura alternativa basata

sull'attività, quali i costi, non è disponibile per i tre anni precedenti o non è più pertinente, è sufficiente dimostrare,

segnatamente in base a proiezioni dell'attività, che la misura dell'attività è credibile.

9. Nei casi in cui le norme vigenti consentono la costituzione di società miste per la realizzazione e gestione di un'opera

pubblica o per l'organizzazione e la gestione di un servizio di interesse generale, la scelta del socio privato avviene con

procedure di evidenza pubblica.

5 Tutti e tre i suddetti requisiti, già più volte affermati dalla giurisprudenza comunitaria a partire dalla famosa sentenza

Teckal del 18/11/1999, trovano adesso espressa previsione in una specifica norma di diritto interno.

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società “in house” di allargare la compagine sociale anche a soggetti privati che, tuttavia, al fine di

non pregiudicare la legittimità degli affidamenti, potranno ricoprire solo il ruolo di meri soci

finanziatori, senza alcuna ingerenza nelle scelte strategiche e gestionali.

Controllo congiunto

I commi 4 e 5 dell’art. 5 del nuovo Codice dei contratti pubblici prevedono che il controllo analogo

sussista anche quando le amministrazioni aggiudicatrici o gli enti aggiudicatori esercitano tale

controllo in forma congiunta. Si ricorda che sul tema del “controllo congiunto”, anch’esso previsto

dalle Direttive UE n. 23, 24 e 25 del 2014, si era già più volte espresso anche il Consiglio di Stato,

sostenendo che il controllo analogo è assicurato anche se non viene esercitato individualmente da

ciascun socio, purché tale controllo sia effettivo e i soci pubblici agiscano unitariamente.

Secondo il nuovo Codice dei contratti pubblici si ha “controllo congiunto” quanto vengono

soddisfatte contemporaneamente le seguenti condizioni:

1. gli organi decisionali della persona giuridica controllata (beneficiaria dell’affidamento diretto)

sono composti dai rappresentanti di tutte le amministrazioni aggiudicatrici o enti aggiudicatori

partecipanti al suo capitale. Tuttavia, è previsto che i singoli rappresentanti possano rappresentare

anche varie o tutte le amministrazioni aggiudicatrici o enti aggiudicatori partecipanti; pertanto, nelle

società partecipate da un numero elevato di soci pubblici non sarà necessario prevedere un consigliere

di amministrazione per ciascun socio (circostanza che non risulta neppure possibile, in forza del fatto

che in tali società i consigli di amministrazione possono essere composti al massimo da 3 o 5 membri),

ma sarà sufficiente che ciascun amministratore sia espressione di più soci;

2. le amministrazioni aggiudicatrici o gli enti aggiudicatori esercitano congiuntamente un’influenza

determinante sugli obiettivi strategici e sulle decisioni significative della persona giuridica (per

esempio, approvandone gli atti di programmazione annuale o pluriennale);

3. la persona giuridica controllata non persegue interessi contrari a quelli delle amministrazioni

aggiudicatrici o degli enti aggiudicatori controllanti.

Affidamenti diretti fra amministrazioni aggiudicatrici

Il comma 3 dell’art. 5 del nuovo codice dei contratti pubblici affronta il tema degli affidamenti diretti

fra amministrazioni pubbliche aggiudicatrici o enti aggiudicatori, prevedendo che la disciplina in esso

contenuta non trova applicazione nel caso in cui una persona giuridica controllata aggiudichi un

appalto o una concessione alla propria amministrazione controllante o ad un altro soggetto giuridico

controllato dalla stessa amministrazione. Anche in questo caso, la condizione necessaria perché si

possa legittimamente procedere all’affidamento diretto è rappresentata dall’assenza di soci privati

nella persona giuridica beneficiaria dell’appalto pubblico, ovvero, qualora vi sia la partecipazione di

soci privati, che questi non esercitino il controllo, poteri di veto o influenza determinante sul soggetto

affidatario diretto6.

6 Esemplificando, se l’amministrazione aggiudicatrice A controlla le amministrazioni aggiudicatrici B e C, è consentito

all’amministrazione aggiudicatrice B effettuare affidamenti diretti sia all’amministrazione aggiudicatrice A (controllante)

che all’amministrazione aggiudicatrice C (controllata dalla controllante), a condizione che nell’amministrazione

beneficiaria (A o C) non ci siano soci privati in grado di esercitare controllo, poteri di veto o influenza determinante.

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Accordi conclusi fra due o più amministrazioni aggiudicatrici

Il comma 6 dell’art. 5 del nuovo codice dei contratti pubblici disciplina invece gli accordi conclusi

esclusivamente tra due o più amministrazioni aggiudicatrici, che non rientrano nell’ambito di

applicazione di tale codice se vengono soddisfatte contemporaneamente le seguenti condizioni:

1. l’accordo stabilisce o realizza una cooperazione tra le amministrazioni aggiudicatrici o gli enti

aggiudicatori partecipanti, finalizzata a garantire che i servizi pubblici che essi sono tenuti a svolgere

siano prestati nell’ottica di conseguire gli obiettivi che essi hanno in comune;

2. l’attuazione di tale cooperazione è retta esclusivamente da considerazioni inerenti all’interesse

pubblico;

3. le amministrazioni aggiudicatrici o gli enti aggiudicatori partecipanti svolgono sul mercato aperto

meno del 20% delle attività interessate dalla cooperazione (ciò, al fine di non ledere la concorrenza e

il mercato).

Ai sensi del comma 7 dello stesso articolo, per determinare tale percentuale, di norma, deve essere

fatto riferimento al fatturato totale medio per i tre anni precedenti l’aggiudicazione dell’appalto o

della concessione.

Il regime speciale degli affidamenti “in house”

L’art. 192 del nuovo Codice dei contratti pubblici7 prevede anche l’istituzione presso l’ANAC

dell’elenco delle stazioni appaltanti che operano mediante affidamenti diretti nei confronti di proprie

società “in house”. L’iscrizione in tale elenco dovrà avvenire secondo le modalità e i criteri che

verranno definiti dall’ANAC e consentirà di procedere mediante affidamenti diretti dei contratti (cfr.

Linee guida n. 7). Tuttavia, per poter legittimamente affidare un contratto con modalità “in house”,

avente ad oggetto servizi disponibili sul mercato in regime di concorrenza (così come già previsto

7 Art. 192 Regime speciale degli affidamenti in house In vigore dal 20 maggio 2017 1. É istituito presso l'ANAC, anche

al fine di garantire adeguati livelli di pubblicità e trasparenza nei contratti pubblici, l'elenco delle amministrazioni

aggiudicatrici e degli enti aggiudicatori che operano mediante affidamenti diretti nei confronti di proprie società in house

di cui all'articolo 5. L'iscrizione nell'elenco avviene a domanda, dopo che sia stata riscontrata l'esistenza dei requisiti,

secondo le modalità e i criteri che l'Autorità definisce con proprio atto. L'Autorità per la raccolta delle informazioni e la

verifica dei predetti requisiti opera mediante procedure informatiche, anche attraverso il collegamento, sulla base di

apposite convenzioni, con i relativi sistemi in uso presso altre Amministrazioni pubbliche ed altri soggetti operanti nel

settore dei contratti pubblici. La domanda di iscrizione consente alle amministrazioni aggiudicatrici e agli enti

aggiudicatori sotto la propria responsabilità, di effettuare affidamenti diretti dei contratti all'ente strumentale. Resta fermo

l'obbligo di pubblicazione degli atti connessi all'affidamento diretto medesimo secondo quanto previsto al comma 3. 2.

Ai fini dell'affidamento in house di un contratto avente ad oggetto servizi disponibili sul mercato in regime di concorrenza,

le stazioni appaltanti effettuano preventivamente la valutazione sulla congruità economica dell'offerta dei soggetti in

house, avuto riguardo all'oggetto e al valore della prestazione, dando conto nella motivazione del provvedimento di

affidamento delle ragioni del mancato ricorso al mercato, nonché dei benefici per la collettività della forma di gestione

prescelta, anche con riferimento agli obiettivi di universalità e socialità, di efficienza, di economicità e di qualità del

servizio, nonché di ottimale impiego delle risorse pubbliche. 3. Sul profilo del committente nella sezione Amministrazione

trasparente sono pubblicati e aggiornati, in conformità, alle, disposizioni di cui al decreto legislativo 14 marzo 2013, n.

33, in formato open-data, tutti gli atti connessi all'affidamento degli appalti pubblici e dei contratti di concessione tra enti

nell'ambito del settore pubblico, ove non secretati ai sensi dell'articolo 162.

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all’art. 1 comma 553 Legge di Stabilità 2014 per i soli servizi strumentali), le stazioni appaltanti

dovranno effettuare preventivamente una valutazione della congruità economica dell’offerta

formulata del soggetto “in house”, avendo riguardo all’oggetto e al valore della prestazione.

Inoltre, nelle motivazioni del provvedimento di affidamento dovrà essere dato conto:

1. delle ragioni del mancato ricorso al mercato

2. dei benefici per la collettività della forma di gestione prescelta, anche con riferimento agli obiettivi

di universalità e socialità, di efficienza, di economicità e di qualità del servizio, nonché di ottimale

impiego delle risorse pubbliche.

Dal tenore letterale della norma, sembra quindi chiaro che il confronto dell’offerta presentata

dall’aggiudicatario diretto con i prezzi di mercato è condizione di legittimità dell’affidamento, ma,

ovviamente, solo nel caso in cui questo abbia ad oggetto prestazioni che possono essere erogate da

operatori privati in regime di concorrenza. Tutti gli atti afferenti gli affidamenti diretti dovranno

essere pubblicati nella sezione “Amministrazione trasparente” del sito internet istituzionale, in

conformità alle disposizioni del D.Lgs. 33/2013. (Fonte: PromoPA)

5.3. I SERVIZI PRIVI DI RILEVANZA ECONOMICA (ARTICOLO 113 BIS TUEL)

I servizi che non hanno rilevanza economica sono quelli che non rientrano nell’articolo precedente

(ad esempio servizi alla persona, culturali, sportivi, …). Secondo l’art. 113 bis del TUEL, dichiarato

illegittimo dalla Sentenza n. 272/2004 della Corte Costituzionale e quindi espunto dall’ordinamento

(vedi sopra), prevedeva che gli enti locali potessero gestire i servizi non a rilevanza economica in

economia, ossia con mezzi e personale propri, oppure affidandoli a8:

a) Istituzioni

b) Aziende speciali anche consortili

c) A società a capitale interamente pubblico (100%), a condizione che:

l’Ente o gli enti pubblici titolari del capitale sociale esercitino sulla società un controllo

analogo a quello esercitato sui propri servizi

la società realizzi la parte più importante della propria attività con l’ente o gli enti pubblici

che la controllano.

Non era prevista la possibilità di affidare la gestione di questi servizi a terzi. Inoltre la gestione dei

servizi culturali e del tempo libero, oltre che nei modi precedenti, poteva essere affidata direttamente

a fondazioni o associazioni costituite o partecipate dall’ente locale (c. 3). La scelta della modalità di

gestione doveva essere adeguatamente motivata nella delibera consiliare di affidamento. I rapporti

fra ente locale e gestore erano anche in questo caso regolati con contratto di servizio (c. 5).

8 Pur non essendo possibile la costituzione di nuove aziende speciali e di nuove istituzioni, l’art. 114 TUEL disciplina

quelle ancora esistenti

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5.4. MODALITA’ DI GESTIONE DEI SERVIZI NON A RILEVANZA ECONOMICA NEL

TUEL

In economia (c. 2 art. 113 bis)

È la modalità di gestione più semplice, in quanto il Comune provvede ad erogare il servizio con mezzi

propri. Vi può ricorrere però soltanto nel caso in cui la modestia delle dimensioni e le caratteristiche

del servizio non rendano conveniente l’affidamento mediante le altre forme di gestione (residualità).

Questi servizi possono essere gestiti dall’ente con proprio personale (gestione diretta) oppure anche

avvalendosi di soggetti esterni, ma solo per una parte del servizio, la cui titolarità rimane comunque

al Comune (es.: scuola materna). Il servizio non diviene autonomo, ma costituisce una parte

dell’amministrazione locale, che si avvarrà del personale dipendente per la sua erogazione.

L’istituzione (art. 114)

L’art. 114 definisce l’istituzione come organismo strumentale dell’ente locale per la gestione di

servizi sociali, dotato di autonomia gestionale ma non di personalità giuridica,9 perché è un organismo

dell’ente locale, che la regola mediante il proprio Statuto e i propri regolamenti. É una struttura con

autonomia di gestione organizzativa e di bilancio, che eroga servizi sociali di competenza comunale,

realizzando gli obiettivi stabiliti dal Consiglio Comunale. L’ambito in cui può operare l’istituzione è

quindi molto ampio e viene definito nella delibera consiliare che la costituisce. Il Consiglio approva

inoltre il regolamento dell’istituzione, che disciplina i rapporti fra gli organi e le modalità di

erogazione dei servizi.

Gli organi dell’istituzione sono il Consiglio di Amministrazione, il Presidente e il Direttore (c. 3).

Le modalità di nomina e di revoca sono stabiliti dallo Statuto dell’ente locale.

L’istituzione è dotata di autonomia gestionale, per cui può compiere tutti gli atti necessari allo

svolgimento della propria attività, nel rispetto della legge, Statuto, regolamento ma, poiché non è

dotata di personalità giuridica, gli atti che emana sono da riferirsi all’ente di cui fa parte.

Le istituzioni devono uniformare la loro attività a criteri di efficacia, efficienza, economicità ed hanno

l’obbligo del pareggio finanziario e dell’equilibrio economico, da perseguire tramite l’equilibrio

costi/ricavi, compresi i trasferimenti dell’ente (costi sociali) (c. 4 art. 114 TUEL). Adotta il medesimo

sistema contabile dell’Ente.

L’ente locale conferisce il capitale iniziale, determina le finalità e gli indirizzi, approva gli atti

fondamentali, esercita la vigilanza, verifica i risultati della gestione e provvede alla copertura degli

eventuali costi sociali.

Il collegio dei revisori dei conti dell’ente locale esercita le sue funzioni anche nei confronti delle

istituzioni (c. 7).

L’Azienda Speciale (art. 114)

É ente strumentale dell’ente locale, dotato di personalità giuridica, di autonomia imprenditoriale e di

proprio Statuto, approvato dal Consiglio comunale (art. 114 c. 1). L’azienda speciale quindi non solo

gode di ampia autonomia tecnica, organizzativa (personale proprio), contabile e finanziaria (con

propri bilanci e proventi propri), ma col riconoscimento della personalità giuridica diviene soggetto

di diritto diverso dal Comune (“terzo”).

9 Personalità giuridica = è un soggetto giuridico a cui l’ordinamento riconosce e tutela la titolarità di diritti e di posizioni

giuridiche

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Ente strumentale significa che svolge un’attività nell’esclusivo interesse dell’ente locale, ma con una

fortissima autonomia, quella imprenditoriale, per cui i poteri di indirizzo e controllo del Comune,

rispetto al caso dell’istituzione, sono assai più ristretti. Infatti l’Azienda Speciale si autoorganizza

mediante un proprio Statuto e regolamenti (art. 114 c. 5), mentre l’istituzione, come abbiamo visto,

non ha un proprio Statuto, ma trova il suo fondamento in quello dell’ente locale.

Gli organi dell’azienda speciale sono uguali a quelli dell’istituzione: il Consiglio di Amministrazione,

il Presidente e il Direttore. Le modalità di nomina e di revoca sono stabilite dallo Statuto dell’ente

locale (art. 114 c. 3). Inoltre, come le istituzioni, le aziende speciali uniformano la loro attività a criteri

di efficacia, efficienza, economicità ed hanno l’obbligo del pareggio di bilancio, da perseguire tramite

l’equilibrio costi/ricavi, compresi i trasferimenti dell’ente (copertura costi sociali) (c. 4). L’ente locale

conferisce il capitale iniziale, determina le finalità e gli indirizzi, approva gli atti fondamentali,

esercita la vigilanza, verifica i risultati della gestione e provvede alla copertura degli eventuali costi

sociali. A differenza dell’istituzione però l’azienda speciale ha un proprio collegio dei revisori dei

conti (c. 7).

CARATTERISTICHE

AZIENDA SPECIALE ISTITUZIONE

DEFINIZIONE Ente strumentale dell’ente

locale

Organismo strumentale

dell’ente locale

PERSONALITÀ GIURIDICA Sì No

AUTONOMIA GESTIONALE Sì Sì

AUTONOMIA

IMPRENDITORIALE

Sì No

PROPRIO BILANCIO

DEPOSITATO IN CCIAA

Sì Sì

PROPRIO STATUTO Sì No

PROPRIO COLLEGIO DEI

REVISORI

Sì No

OBBLIGO PAREGGIO

BILANCIO

Sì Sì

ORGANI Consiglio di Amministrazione,

Presidente, Direttore

Consiglio di Amministrazione,

Presidente, Direttore

L’art. 115 del TUEL ha previsto la facoltà, per gli enti locali, di trasformare con atto unilaterale

le aziende speciali in S.p.A. Questo articolo permette agli enti locali di trasformare le aziende

speciali in società di capitali con una procedura semplificata rispetto a quella prevista dal codice

civile, che disciplina la materia. L’atto unilaterale permette all’ente locale di non dover attuare

numerosi adempimenti di legge, nonché di risparmiare dal punto di vista fiscale (art. 118). La

competenza è del Consiglio Comunale in quanto si tratta di aziende speciali e di partecipazioni a

società di capitali.

La delibera consiliare di trasformazione tiene luogo di tutti gli adempimenti previsti dalla

normativa vigente per la costituzione di società e pertanto approva lo statuto, che contiene le norme

relative al funzionamento della società e determina il capitale sociale. Tale disciplina si applica anche

per trasformare in Società per azioni i Consorzi (c. 7 bis).

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A cura di Mariella Bergamini 18

6. IL TESTO UNICO DELLE SOCIETA’ PARTECIPATE

Si segnala infine, in materia di servizi pubblici, il D. Lgs. 17/2016, Testo Unico in materia di società

a partecipazione pubblica, in vigore dal 23/9/2016, a cui si rimanda, in particolare gli articoli 3, 4, 7,

11, 19, 25. Le forme societarie ammesse sono le società di capitale (S.p.A., S.r.l.), mentre il decreto

non si applica alle fondazioni.

La norma in parola definisce, all’art. 2, primo comma, lett. h): “servizi di interesse generale: le

attività di produzione e fornitura di beni o servizi che non sarebbero svolte dal mercato senza

un intervento pubblico o sarebbero svolte a condizioni differenti in termini di accessibilità fisica

ed economica, continuità, non discriminazione, qualità e sicurezza, che le amministrazioni

pubbliche, nell’ambito delle rispettive competenze, assumono come necessarie per assicurare la

soddisfazione dei bisogni della collettività di riferimento, così da garantire l’omogeneità dello

sviluppo e la coesione sociale, ivi inclusi i servizi di interesse economico generale”.

E, all’art. 2, c. 1. lett. i) «servizi di interesse economico generale: i servizi di interesse generale

erogati o suscettibili di essere erogati dietro corrispettivo economico su un mercato»

Per quel che riguarda la società a partecipazione mista pubblico-privata il decreto conferma la

gara a doppio oggetto per la scelta del socio privato, la cui partecipazione non potrà essere inferiore

al 30%, e afferma che il socio pubblico dovrà mantenere una posizione di controllo sulla società

mista. Il socio privato dovrà inoltre assumere un rischio significativo dalla partecipazione alla società

e il flusso dei benefici derivante dalla realizzazione dell’opera o del servizio non dovrà andare

sproporzionalmente a favore del socio privato.

Per quel che riguarda le società a capitale pubblico, il decreto ricalca la normativa comunitaria e

prevede che società a controllo pubblico beneficiarie di affidamenti diretti in futuro potranno svolgere

la propria attività in via non prevalente anche con soggetti diversi dai soci pubblici. Gli statuti di tali

società dovranno prevede che almeno l’80% del loro fatturato sia effettuato nello svolgimento di

compiti affidati dalle Amministrazioni pubbliche socie, mentre la parte rimanente (quindi non più del

20%) potrà essere realizzata con soggetti terzi, ma solo a condizione che la stessa permetta di

conseguire economie di scala o altri recuperi di efficienza sul complesso dell’attività principale svolta

dalla società.

Di seguito si riportano due commenti (per coloro che preparano i concorsi di fascia D).

Il Decreto rappresenta nel complesso un buon lavoro, che potrà sicuramente contribuire a ridurre il

numero complessivo delle società partecipate dalle Amministrazioni pubbliche, stimolando

l'aggregazione di quelle di minori dimensioni e contribuendo concretamente a rendere più razionale

ed efficiente l’intero sistema.

L'ambito soggettivo di applicazione delle disposizioni contenute nel decreto è rappresentato dalle

società previste al titolo V del libro V del Codice Civile, che sono partecipate totalmente o

parzialmente, direttamente o indirettamente, dalle Amministrazioni pubbliche previste all'art. 1,

comma 2 del D.Lgs. 165/2001.

Per quanto riguarda le società quotate in mercati regolamentati, le società che prima del 31/12/2015

hanno emesso strumenti finanziari quotati in mercati regolamentati e le società partecipate dalle

precedenti società, le disposizioni del decreto si applicano solo nei casi espressamente previsti dal

decreto stesso. Inoltre, le disposizioni in commento non si applicano, nei 18 mesi successivi alla sua

entrata in vigore, alle società che abbiano già deliberato la quotazione in mercati regolamentati delle

proprie azioni con provvedimento comunicato alla Corte dei Conti.

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A cura di Mariella Bergamini 19

Sono escluse dall'ambito di applicazione delle nuove norme, per espressa previsione: (i) gli enti

associativi diversi dalle società, (ii) le fondazioni, (iii) le società costituite in forza di legge per la

gestione di servizi di interesse generale (SIG) e di servizi di interesse economico generale (SIEG).

Al ricorrere di determinate esigenze di carattere pubblico, su proposta del Ministro dell'Economia e

delle Finanze (per le società statali) o dell'organo di vertice dell'Amministrazione pubblica

partecipante (per le altre società pubbliche) potrà essere deliberata dal Consiglio dei Ministri

l'esclusione totale o parziale dell'applicazione delle disposizioni del decreto per specifiche società.

Questa previsione, tenuto conto dell’eterogeneità delle società in controllo pubblico, appare di buon

senso.

Trattandosi di un testo unico, il decreto contiene numerose disposizioni già presenti nel nostro

ordinamento giuridico che sono attualmente disseminate in decine di provvedimenti legislativi.

Tuttavia, si osserva, che non tutte le norme esistenti in materia di società a partecipazione pubblica

sono state ricondotte nell’ambito del testo unico. Forse, con minor fretta, poteva essere raggiunto un

risultato addirittura migliore di quello conseguito.

Oltre a molte conferme, il decreto contiene diverse significative novità:

1. tipi di società ammessi: in futuro le Amministrazioni pubbliche potranno partecipare solo a

"società per azioni" e a "società a responsabilità limitata"; ci si chiede se sarà comunque consentita

anche la partecipazione a “società consortili per azioni” e a “società consortili a responsabilità

limitata”, in forza del fatto che tali società, ai sensi dell’art. 2615-ter del Codice Civile, non sono altro

che delle S.p.a. o delle S.r.l. che perseguono scopi tipici dei consorzi;

2. organo di controllo: nelle società a responsabilità limitata a controllo pubblico, in deroga alle

norme del Codice Civile, lo Statuto dovrà sempre prevedere la nomina dell'organo di controllo o di

un revisore. Nelle società per azioni in controllo pubblico, invece, la revisione legale dei conti non

potrà essere affidata al Collegio Sindacale, con inevitabili incrementi di costi per le società;

3. costituzione di nuove società o acquisizione di partecipazioni in società esistenti: è bene

chiarire che il decreto non vieta né la costituzione di nuove società pubbliche, né l'acquisizione di

nuove partecipazioni, anche indirette, in società già esistenti da parte delle Amministrazioni

pubbliche, ma impone un iter più complesso sia per la loro costituzione, che per il loro monitoraggio.

In particolare, per la costituzione di nuove società l'atto deliberativo dovrà essere analiticamente

motivato e, per i soli Enti locali, sarà soggetto a forme di consultazione pubblica preventiva. Per gli

Enti locali viene confermato che l'organo competente all'adozione dell'atto deliberativo è

rappresentato dal Consiglio comunale, che sarà competente anche in materia di successive modifiche

dell'oggetto sociale, per la trasformazione della società, per il trasferimento della sede sociale

all'estero (caso molto raro nella prassi) e per la revoca dello stato di liquidazione;

4. parere obbligatorio della Corte dei Conti: per procedere alla costituzione di una nuova società

o all'acquisizione di partecipazioni in una società esistente, l'Amministrazione pubblica dovrà

preventivamente inviare lo schema di atto deliberativo alla competente sezione regionale di controllo

della Corte dei Conti per l'acquisizione di un parere obbligatorio, preventivo, ma non vincolante. La

Corte dei Conti dovrà rilasciare il parere entro 30 giorni e potrà chiedere solo una volta chiarimenti

all'Amministrazione richiedente. L'atto deliberativo per la costituzione di una nuova società o per

l’acquisizione di una partecipazione in una società esistente dovrà essere motivato con specifico

riferimento agli eventuali rilievi effettuati dalla Corte dei Conti;

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A cura di Mariella Bergamini 20

5. comunicazione all'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato: l'atto deliberativo che

dispone la costituzione di una nuova società o l'acquisizione di partecipazioni in una società esistente

dovrà essere anche inviato all'A.G.C.M.;

6. contabilità separata: le società in controllo pubblico che svolgono attività protette da diritti

speciali o esclusivi e, contemporaneamente, attività in regime di economia di mercato, in futuro

dovranno adottare sistemi di contabilità separata;

7. crisi d’impresa: dopo le alterne posizioni assunte dalla giurisprudenza nel corso degli ultimi anni,

viene fissato per legge il principio secondo il quale le società a partecipazione pubblica sono soggette

alle disposizioni sul fallimento e a quelle sul concordato preventivo. Nei 5 anni successivi alla

dichiarazione di fallimento di una società in controllo pubblico titolare di affidamenti diretti, le

Amministrazioni pubbliche controllanti non potranno costituire nuove società, né acquisire

partecipazioni in società già costituite o mantenere partecipazioni in società qualora le stesse

gestiscano i medesimi servizi di quella dichiarata fallita;

8. crisi aziendale e piano di risanamento: le società a controllo pubblico dovranno adottare con

deliberazione assembleare, su proposta dell'organo amministrativo, specifici programmi di

valutazione del rischio di crisi aziendale, al fine di prevenirne la formazione. Qualora da tale

valutazione emergano uno o più indicatori di crisi, l’organo amministrativo dovrà adottare senza

indugio un idoneo programma di risanamento, contenente i provvedimenti necessari per evitare

l’aggravamento della crisi, per correggere gli effetti negativi e per eliminarne le cause. E’ importante

richiamare l’attenzione sulle responsabilità dell’organo amministrativo: in caso di fallimento o

concordato preventivo la mancata adozione di provvedimenti da parte di tale organo costituisce

“grave irregolarità” ai sensi dell’art. 2409 del Codice Civile (denunzia al tribunale), con tutte le

conseguenze negative che da ciò possono derivare. Un semplice piano di ripiano delle perdite da parte

delle Amministrazioni pubbliche socie non può essere considerato un provvedimento adeguato, a

meno che non sia accompagnato da un piano di “ristrutturazione aziendale”, dal quale risulti che

sussistono concrete possibilità di recupero dell’equilibrio economico delle attività svolte dalla

società;

9. integrazione degli strumenti di governo societario: tenuto conto delle dimensioni e delle

caratteristiche organizzative, nonché dell'attività svolta, le società a controllo pubblico dovranno

valutare se adottare ulteriori strumenti di governo societario rappresentati da: (i) regolamenti interni

volti a garantire la conformità dell'attività sociale alle norme sulla concorrenza e a quelle di tutela

della proprietà industriale o intellettuale; (ii) istituzione di un ufficio di controllo interno (internal

auditing) a supporto dell'organo di controllo statutario; (iii) codici di condotta imprenditoriali; (iv)

programmi di responsabilità sociale dell'impresa. L'adozione di tali strumenti non è obbligatoria, ma

l'organo amministrativo dovrà dare conto obbligatoriamente nella relazione sulla gestione delle

valutazioni e scelte effettuate;

10. alienazione di partecipazioni: gli atti deliberativi che avranno ad oggetto l'alienazione o la

costituzione di vincoli su partecipazioni dovranno essere adottati dagli stessi soggetti competenti alla

costituzione delle società o all'acquisto di partecipazioni (Consiglio comunale per gli Enti locali) e

l'alienazione dovrà avvenire nel rispetto dei princìpi di pubblicità, trasparenza e non discriminazione.

Tuttavia, rispetto al passato, è stata introdotta la possibilità di derogare a tale previsione; pertanto,

quando ricorrano motivazioni specifiche e sia economicamente conveniente, l'Amministrazione

alienante potrà procedere alla negoziazione diretta delle partecipazioni con un singolo acquirente;

11. organo amministrativo: un’importante novità è rappresentata dalla previsione secondo cui nelle

società a controllo pubblico l'organo amministrativo dovrà essere costituito, di norma, da un

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A cura di Mariella Bergamini 21

amministratore unico, che dovrà possedere i requisiti di onorabilità, professionalità e autonomia che

saranno stabiliti con successivo D.P.C.M.. Si tratta di una previsione di assoluto buon senso, tenuto

conto che in molte società, soprattutto se “in house” l’organo amministrativo è un mero esecutore

delle decisioni assunte dai soci pubblici. Tuttavia, per specifiche ragioni di adeguatezza organizzativa,

saranno definiti con successivo D.P.C.M. i criteri in base ai quali l'Assemblea potrà derogare al

suddetto principio e prevedere l'adozione di un organo amministrativo nella forma del consiglio di

amministrazione, che potrà comunque essere composto al massimo da 3 o 5 membri, ovvero, nonché

deliberare l’adozione di uno dei sistemi alternativi di amministrazione e controllo previsti dal Codice

Civile (sistema monistico e dualistico);

12. definizione dei compensi: entro il 30 aprile 2016 per le società in controllo pubblico verranno

definiti con decreto del Ministro dell'Economia e delle Finanze degli specifici indicatori quantitativi

e qualitativi, in modo da individuare fino a 5 fasce per la classificazione di tali società. Per ogni fascia

verrà individuato un limite massimo per la determinazione del trattamento economico annuo

complessivo da corrispondere agli amministratori, ai titolari e componenti dell'organo di controllo, ai

dirigenti e ai dipendenti, che non potrà comunque eccedere € 240.000 annui, al lordo dei contributi

previdenziali e assistenziali e degli oneri fiscali a carico del beneficiario. Il compenso riconosciuto

dovrà comunque tenere conto anche di quello corrisposto da altre pubbliche amministrazioni. Il

suddetto decreto stabilità anche i criteri per la remunerazione variabile agganciata ai risultati

effettivamente raggiunti;

13. indennità di fine mandato e patti di non concorrenza: è vietato corrispondere agli

amministratori e ai dirigenti delle società in controllo pubblico indennità o trattamenti di fine mandato

ulteriori rispetto a quelli previsti dalla legge o dalla contrattazione collettiva, ovvero, di stipulare patti

o accordi di non concorrenza;

14. aspettativa non retribuita: coloro che hanno un rapporto di lavoro dipendente con una società a

partecipazione pubblica e sono al tempo stesso anche amministratori di tale società, dovranno

rinunciare ai compensi riconosciuti per l'incarico di amministratore, altrimenti dovranno essere

collocati in aspettativa non retribuita con sospensione dell'iscrizione ai competenti istituti di

previdenza e assistenza;

15. responsabilità degli amministratori e dei componenti gli organi di controllo: saranno soggetti

alle azioni civili di responsabilità previste dalla disciplina ordinaria delle società di capitali, ma anche

alla giurisdizione della Corte dei Conti per eventuali danni erariali; a tal fine, il decreto afferma che

costituisce “danno erariale” il danno, patrimoniale e non, subìto dagli enti partecipanti;

16. denuncia di gravi irregolarità: in deroga alle previsioni del Codice Civile, nelle società in

controllo pubblico ciascuna Amministrazione pubblica socia può presentare denuncia di gravi

irregolarità al tribunale competente, a prescindere dall’entità della partecipazione;

17. monitoraggio, indirizzo e coordinamento: il Ministero dell’Economia e delle Finanze costituirà

un’apposita struttura, dotata di poteri ispettivi, per il controllo e monitoraggio dell’attuazione delle

disposizioni del decreto, che fornirà anche orientamenti sulla loro applicazione, promuovendo buone

pratiche presso le società a partecipazione pubblica e adottando nei confronti delle stesse direttive

sulla trasparenza e sulla separazione contabile. Le Amministrazioni pubbliche e le loro società

dovranno inviare alla nuova struttura tutte le informazioni dalla stessa richieste e copia dei principali

strumenti di governo societario, compresi i bilanci d’esercizio (quest’ultima previsione risulta un

inutile aggravio per le società pubbliche, visto che i bilanci, non solo sono depositati annualmente

presso il Registro delle Imprese, ma sono anche pubblicati sul sito internet delle società ai sensi del

D.Lgs. 33/2013);

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A cura di Mariella Bergamini 22

18. affidamenti diretti e partecipazione di soggetti privati: anticipando, di fatto, il recepimento

della Direttiva 2014/24/UE, relativa agli appalti dei settori ordinari, il decreto introduce

nell’ordinamento italiano un’eccezione al principio secondo il quale nelle società a controllo pubblico

beneficiarie di affidamenti diretti non vi può essere partecipazione di soggetti privati. Infatti, come

previsto dall’art. 12 della suddetta Direttiva, in futuro sarà ammessa in tali società anche la

partecipazione di soggetti privati, purché tale circostanza sia prevista da norme di legge e avvenga in

forme che non comportino controllo o potere di veto, né l’esercizio di un’influenza determinante sulla

società controllata. Dal testo della norma non si riesce però a capisce se questa partecipazione

“ininfluente” dei privati sia sempre permessa o se sia consentita solo nei casi in cui la legge preveda

tale partecipazione. La prima soluzione sembrerebbe quella più logica e più aderente ai princìpi

previsti all’art. 12 della Direttiva UE;

19. affidamenti diretti e fatturato con soggetti terzi: sempre nel solco dei princìpi previsti dall’art.

12 della Direttiva 2014/24/UE, il decreto ammette che società a controllo pubblico beneficiarie di

affidamenti diretti in futuro potranno svolgere la propria attività in via non prevalente anche con

soggetti diversi dai soci pubblici. Gli statuti di tali società dovranno prevede che almeno l’80% del

loro fatturato sia effettuato nello svolgimento di compiti affidati dalle Amministrazioni pubbliche

socie, mentre la parte rimanente (quindi non più del 20%) potrà essere realizzata con soggetti terzi,

ma solo a condizione che la stessa permetta di conseguire economie di scala o altri recuperi di

efficienza sul complesso dell’attività principale svolta dalla società. Finisce così l’era, iniziata con

l’art. 13 del Decreto Bersani, della prassi secondo cui le società “in house” dovevano operare

“esclusivamente” con le Amministrazioni pubbliche socie, nonostante che tale avverbio fosse stato

espunto da tempo dal testo dell’art. 13. Tuttavia, deve essere fatta attenzione al fatto il superamento

del limite dell’80% costituisce “grave irregolarità” ai sensi dell’art. 2409 del Codice Civile, anche se

è prevista la possibilità di sanare lo sforamento;

20. società a partecipazione mista pubblico-privata: il decreto conferma la gara a doppio

oggetto per la scelta del socio privato, la cui partecipazione non potrà essere inferiore al 30%,

e afferma che il socio pubblico dovrà mantenere una posizione di controllo sulla società mista.

Il socio privato dovrà inoltre assumere un rischio significativo dalla partecipazione alla società

e il flusso dei benefici derivante dalla realizzazione dell’opera o del servizio non dovrà andare

sproporzionalmente a favore del socio privato. Inoltre, la durata della partecipazione del socio

privato alla società non potrà essere superiore alla durata dell’appalto e della concessione. Infine, lo

statuto della società partecipata dovrà contenere tutte le previsioni necessarie a regolamentare il

rapporto con il socio privato, comprese quelle per lo scioglimento del rapporto societario in caso di

risoluzione del contratto di servizio. Eventuali patti parasociali potranno avere una durata anche

superiore a 5 anni, in modo da coprire tutta la durata dell’appalto o della concessione;

21. rapporto di lavoro: il decreto conferma che il rapporto di lavoro dei dipendenti delle società in

controllo pubblico è regolato dalle norme del Capo I, Titolo II, Libro V del Codice Civile, dalle leggi

sui rapporti di lavoro subordinato nell’impresa e dai contratti collettivi. Alle società a partecipazione

pubblica si applicheranno le norme in materia di mobilità, integrazione salariale anche straordinaria

e relativi obblighi contributivi di cui alla L. 223/91 e gli ammortizzatori sociali di cui al D.Lgs.

22/2015;

22. reclutamento del personale: il decreto conferma le previsioni già contenute nell’art. 18 comma

2 del D.L. 112/2008, con alcune significative modifiche. In particolare, in futuro le procedure ad

evidenza pubblica per la selezione del personale delle società pubbliche dovranno garantire il rispetto,

oltre ai princìpi di trasparenza, pubblicità e imparzialità, anche di quelli previsti all’art. 35 comma 3

del D.Lgs. 165/2001, fra cui, quelli di economicità, celerità di espletamento delle procedure, rispetto

delle pari opportunità fra lavoratrici e lavoratori, decentramento delle procedure di selezione, così

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A cura di Mariella Bergamini 23

come era già previsto fino ad oggi per le società di gestione di servizi pubblici locali a rilevanza

economica (art. 18 comma 1 del D.L. 112/2008). La competenza in materia di validità dei

provvedimenti e delle procedure di reclutamento del personale resta confermata alla giurisdizione

ordinaria;

23. riassorbimento di personale: il decreto introduce il principio secondo il quale, in caso di

reinternalizzazione di funzioni o servizi in precedenza esternalizzati, le Amministrazioni pubbliche

sono obbligate, prima di effettuare nuove assunzioni, a riassorbire le unità di personale che erano

transitate alla società in controllo pubblico al momento dell’esternalizzazione. Il riassorbimento, che

può essere disposto solo nei limiti delle necessità dell’Amministrazione interessata, dovrà avvenire

con l’utilizzo delle procedure di mobilità previste dal D.Lgs. 165/2001. Potranno comunque essere

portati a conclusione i processi di mobilita? del personale fra società pubbliche di cui all’art. 1 commi

565-568 della L.147/2013, che siano in corso alla data di entrata in vigore del decreto;

24. ricollocazione del personale: per favorire la riduzione del numero della società partecipate dalle

Amministrazioni pubbliche e, al contempo, attenuare gli effetti negativi sull’occupazione che questa

riduzione finirà per produrre, è previsto che in occasione della prima gara successiva alla cessazione

dell’affidamento in favore della società in controllo pubblico interessata dai processi di

razionalizzazione, al personale già impiegato nell’appalto o nella concessione cessata si applicherà la

disciplina prevista per il trasferimento d’azienda. Sarà quindi necessario che nei bandi di gara sia

indicato l’obbligo per nuovo appaltatore di accollarsi il personale dell’affidatario cessato;

25. ricognizione straordinaria del personale: entro 6 mesi dalla data di entrata in vigore del decreto

le società in controllo pubblico dovranno effettuare una ricognizione del personale al fine di

individuare eventuali eccedenze. L’elenco del personale eccedente, completo dei relativi profili

professionali, dovrà essere trasmesso al Dipartimento della Funzione Pubblica secondo modalità da

stabilire con successivo decreto. Le società in controllo pubblico che vorranno procedere ad

assunzioni a tempo indeterminato saranno obbligate fino al 31/12/2018 ad attingere dal suddetto

elenco. Qualora non siano presenti i profili professionali ricercati, previa autorizzazione del

Dipartimento della Funzione Pubblica, le società potranno comunque reclutare direttamente il

personale necessario con selezione ad evidenza pubblica. Eventuali rapporti di lavoro stipulati in

violazione della nuova disciplina saranno considerati nulli e per l’organo amministrativo

costituiranno “grave irregolarità”;

26. piani annuali di razionalizzazione: il decreto introduce l’obbligo per le Amministrazioni

pubbliche di effettuare annualmente un’analisi dell’assetto complessivo delle società di cui detengono

partecipazioni dirette o indirette, pena l’applicazione di sanzioni. Qualora ricorrano i presupposti, le

Amministrazioni predispongono entro il 31 dicembre di ogni anno appositi piani di razionalizzazione,

che prevedano il riassetto, la fusione o la liquidazione delle società. In particolare, dovranno essere

comprese in tali piani le società che: (i) svolgano attività incompatibili con quelle consentite dall’art.

4 del decreto, (ii) siano prive di dipendenti o abbiano un numero di amministratori superiore a quello

dei dipendenti, (iii) svolgano attività analoghe o similari a quelle di altre società partecipate dalla

stessa Amministrazione o dai suoi enti strumentali, (iv) nel triennio precedente abbiano conseguito

un fatturato medio non superiore a € 1.000.000, (v) abbiano prodotto un risultato economico negativo

per quattro dei cinque esercizi precedenti. L’esistenza di tali circostanze è motivo di alienazione delle

partecipazioni, ai sensi dell’art. 25 comma 1 del decreto. L’inclusione nel piano potrà avvenire anche

nel caso in cui vi sia l’esigenza di contenere i costi di funzionamento e di aggregare le società esistenti.

I piani, una volta adottati, dovranno essere inviati alla competente sezione regionale della Corte dei

Conti e alla struttura che sarà creata dal Ministero dell’Economia e delle Finanze;

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A cura di Mariella Bergamini 24

27. monitoraggio dei piani di razionalizzazione: entro il 31 dicembre dell’anno successivo a quello

in cui è stato adottato il piano di razionalizzazione, l’Amministrazione pubblica dovrà dare conto di

quanto realizzato, approvando una specifica relazione, che dovrà essere trasmessa alla competente

sezione regionale della Corte dei Conti e alla struttura che sarà creata dal Ministero dell’Economia e

delle Finanze. È prevista l’applicazione di sanzioni in caso mancata adozione della relazione;

28. revisione straordinaria delle partecipazioni: il decreto introduce anche l’obbligo di alienazione

delle partecipazioni che non soddisfano le condizioni previste, detenute alla data della sua entrata in

vigore dalle Amministrazioni pubbliche. Per tale ragione, entro 6 mesi dalla data di entrata in vigore

del decreto, le Amministrazioni dovranno adottare un provvedimento motivato di ricognizione di tutte

le partecipazioni possedute, direttamente o indirettamente, individuando quelle che devono essere

alienate entro 1 anno. Il provvedimento deve essere trasmesso alla competente sezione regionale della

Corte dei Conti e alla struttura che sarà creata dal Ministero dell’Economia e delle Finanze.

L’adozione di tale provvedimento costituisce aggiornamento del piano operativo di razionalizzazione

di cui all’art. 1 comma 612 della Legge 190/2014. La mancata adozione dell’atto ricognitivo o la

mancata alienazione delle partecipazioni entro 1 anno decorrente dalla data di adozione di tale atto è

sanzionata con l’impossibilità per l’Amministrazione pubblica di esercitare i propri diritti di socio nei

confronti della società partecipata e la partecipazione è liquidata in denaro in base ai criteri stabiliti

dall’art. 2437-ter del Codice Civile (previsione questa che finirà per rappresentare in molti casi l’unica

alternativa possibile per quelle partecipazioni poco o per niente appetibili per il mercato);

29. agevolazioni fiscali: in caso di scioglimento delle società o di alienazione delle partecipazioni, il

decreto conferma le agevolazioni fiscali già previste all’art. 1 comma 568-bis della L. 147/2013;

30. trasparenza: il decreto conferma l’impostazione dell’ANAC, secondo cui le società in controllo

pubblico assicurano il massimo livello di trasparenza, secondo le modalità previste dal D.Lgs.

33/2013;

31. arbitrati: le disposizioni relative al ricorso ad arbitrati si applicano anche alle concessioni e agli

appalti pubblici di opere, servizi e forniture, qualora sia parte della controversia una società a

controllo pubblico ovvero una società controllata o collegata ad una a controllo pubblico, che abbiano

ad oggetto opere o forniture finanziate con risorse pubbliche;

32. adeguamento degli statuti societari: il decreto prevede l’obbligo di adeguare gli statuti delle

società in controllo pubblico già costituite alla data della sua entrata in vigore entro il 31/12/2016;

33. società quotate: le Amministrazioni pubbliche possono mantenere le partecipazioni in società

quotate in mercati regolamentati già detenute al 31/12/2015.

Fonte: PROMO P.A. Fondazione

Si segnala infine che il D. Lgs. n. 100 del 16 Giugno 2017, emanato anch’esso in attuazione della

legge 124/2015, integra e modifica il “Testo unico in materia di società a partecipazione pubblica”.

Tra le principali novità introdotte il decreto correttivo prevede:

che l’attività di autoproduzione di beni e servizi possa essere strumentale agli enti

pubblici partecipanti o allo svolgimento delle loro funzioni;

che sono ammesse le partecipazioni nelle società aventi per oggetto sociale la produzione

di energia da fonti rinnovabili e che le università possono costituire società per la gestione

di aziende agricole con funzioni didattiche;

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che, nel caso di partecipazioni regionali o delle province autonome di Trento e

Bolzano, l’esclusione, totale o parziale, di singole società dall’ambito di applicazione della

disciplina può essere disposta con provvedimento motivato del Presidente della Regione o

dei Presidenti delle province autonome di Trento e Bolzano, adottato in ragione di precise

finalità pubbliche nel rispetto dei principi di trasparenza e pubblicità. Inoltre, viene

espressamente previsto che il provvedimento di esclusione sia trasmesso alla competente

Sezione regionale di controllo della Corte dei conti, alla struttura di monitoraggio del

Ministero dell’economia e delle finanze;

l’intesa in Conferenza Unificata per: il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri di

determinazione dei requisiti di onorabilità, professionalità e autonomia dei componenti degli

organi amministrativi e di controllo di società a controllo pubblico; il decreto del Ministro

dell’economia e delle finanze con il quale sono definiti indicatori dimensionali quantitativi e

qualitativi, al fine di individuare fino a cinque fasce per la classificazione delle società a

controllo pubblico, nel caso di società controllate dalla regione o da enti locali; il decreto del

Ministro del lavoro e delle politiche sociali volto a disciplinare le modalità di trasmissione

dell’elenco del personale eccedente;

per le amministrazioni titolari di partecipazioni di controllo in società,

la facoltà di riassorbimento del personale già in precedenza dipendente dalle

amministrazioni stesse con rapporto di lavoro a tempo indeterminato, senza che ciò rilevi

nell’ambito delle facoltà assunzionali disponibili e a condizione che venga fornita

dimostrazione, certificata dal parere dell’organo di revisione economico-finanziaria, che le

esternalizzazioni siano state effettuate nel rispetto degli adempimenti previsti dalla normativa

vigente;

la possibilità per le amministrazioni pubbliche di acquisire o mantenere partecipazioni

in società che producono servizi di interesse economico generale fuori dall’ambito

territoriale della collettività di riferimento, purché queste ultime abbiano in corso o

ottengano l’affidamento del servizio tramite procedure a evidenza pubblica. Resta ferma in

ogni caso l’applicazione di quanto previsto per le società in house, al fine di salvaguardare la

disciplina europea e con essa la previsione secondo la quale tali società devono garantire che

oltre l’80% del loro fatturato sia effettuato nello svolgimento dei compiti a esse affidati

dall’ente pubblico o dagli enti pubblici soci, potendo agire fuori da tale ambito solo ed

esclusivamente per il restante 20%;

che ai fini dell’applicazione del criterio del fatturato medio non superiore al milione di

euro, il primo triennio rilevante sia il triennio 2017-2019 e nelle more della prima

applicazione di tale criterio si considerino rilevanti, in via transitoria, le partecipazioni in

società che, nel triennio antecedente all’adozione di tali misure, abbiano conseguito un

fatturato medio non superiore a cinquecentomila euro;

la proroga al 30 settembre 2017 del termine per la ricognizione, in funzione della revisione

straordinaria, di tutte le partecipazioni possedute;

la proroga al 30 settembre 2017 del termine entro il quale le società a controllo pubblico

effettuano una ricognizione del personale in servizio, per individuare eventuali eccedenze;

la fissazione al 31 luglio 2017 del termine per l’adeguamento delle società a controllo

pubblico alle disposizioni in tema di governance societaria.

Fonte: Appalti & Contratti del 12 giugno 2017

7. UN ALTRO TPO DI SOCIETA’: LA STU (ART. 120 TUEL)

L’urbanistica è la disciplina omnicomprensiva dell’uso del territorio, che non si riferisce soltanto ad

interventi volti ad incrementare il patrimonio edilizio, ma anche all’uso e alla trasformazione del

territorio.

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Negli ultimi anni lo sviluppo del territorio, in ambito urbano, si è orientato sempre più verso la

riqualificazione delle aree esistenti. Inoltre si è affermato il principio della sostenibilità ambientale,

ossia che lo sviluppo sia fondato sul rispetto di quelle risorse che, per loro natura, non sono

rinnovabili.

Quindi anche il compito dell’ente locale diventa quello di riqualificare l’esistente. Per tali interventi

che sono molto onerosi, sia in termini di progettazione che di realizzazione, il Comune si avvale

dell’apporto del privato. La legislazione degli anni ‘90 si è orientata in questo senso, prevedendo la

società di trasformazione urbana (STU), che è uno degli strumenti operativi per attuare quanto sopra.

L’art. 120 del TUEL prevede che comuni e città metropolitane hanno la possibilità di costituire

apposite società - aperte anche all’adesione di province e regioni - per progettare e realizzare

interventi di riqualificazione urbana, nella quale partecipino soggetti privati (anche maggioritari)

scelti attraverso gara (c. 1). I rapporti fra enti locali azionisti e la società sono regolati da convenzione

che, a pena di nullità, deve contenere i reciproci diritti e obblighi (c. 4).

Prima dell’affidamento il Comune deve individuare gli immobili su cui realizzare gli interventi con

delibera di Consiglio. L’individuazione di tali immobili equivale a dichiarazione di pubblica utilità e

quindi la società può acquisirli non solo acquistandoli dai proprietari, ma anche attraverso procedure

di esproprio effettuate dal Comune. (c. 2)

La STU ha quindi il compito di provvedere non solo alla progettazione dell’intervento, ma anche alla

sua realizzazione e alla successiva commercializzazione.

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FORME ASSOCIATIVE

1. I PROBLEMI DELL’AGGREGAZIONE

Il Comune è il più piccolo ente territoriale in cui è suddiviso il nostro paese. L’Italia è formata da un

elevatissimo numero di comuni (oltre 8.000), la maggior parte dei quali di piccole dimensioni, sia

territoriali che demografiche, e quindi con risorse assai scarse (i cosiddetti “comuni-polvere”). D’altro

canto anche questi enti sono chiamati a rispondere alle esigenze dei cittadini, esercitando le funzioni

ed erogando i servizi necessari alla collettività. Inoltre anche i piccoli e piccolissimi comuni si

troveranno sempre più impegnati a dover gestire le nuove funzioni che via via vengono conferite agli

enti locali in attuazione di quanto previsto nel D. Lgs. 112/98 in tema di sussidiarietà verticale.

Anche prima dell’affermarsi del principio di sussidiarietà, questa problematica era ben presente.

Infatti uno degli scopi della L. 142/90 era proprio la riduzione del numero dei comuni attraverso

l’aggregazione di quelli piccoli, che veniva incentivata, anche con l’erogazione di contributi, fino a

giungere alla loro fusione. A distanza di 10 anni questo obiettivo risultava fallito, tanto che il numero

dei comuni italiani era addirittura aumentato. Il legislatore prese atto dell’oggettiva impossibilità di

superare il campanilismo dei comuni italiani, per cui nel TUEL, dove tale normativa è ricompresa al

titolo II capo V, ha riformulato le norme sulle forme associative fra comuni puntando (e

incentivando), più che sulla fusione degli stessi, sulle forme di collaborazione. Queste ultime

consentono di perseguire una maggiore efficienza nell’espletamento di servizi e funzioni pubbliche e

completano le forme di gestione dei servizi pubblici locali trattate al titolo III, Capo V. Inoltre, come

abbiamo visto, la materia è stata affrontata nuovamente dalla L. 56 2014. Gli articoli 30

(Convenzioni), 31 (Consorzi) e 32 (Unioni) del TUEL delineano le varie forme di aggregazione

attraverso cui gli enti locali possono svolgere funzioni e servizi con un grado associativo sempre

maggiore, mentre l’art. 33 (Esercizio associato di funzioni e servizi) mette in evidenza il ruolo di

direzione e coordinamento delle regioni, alle quali spetta il compito di definire i livelli ottimali di

esercizio delle funzioni.

Le problematiche dell’aggregazione sono tornate prepotentemente alla ribalta negli ultimi anni, in

relazione al contenimento della spesa pubblica. Pertanto, come vedremo anche per la gestione dei

servizi pubblici locali, le previsioni del TUEL vanno integrate con le disposizioni della normativa di

settore, che è continuamente in evoluzione. L’ultimo tassello è costituito dalla L. 56/2014, cui si

rimanda per approfondimenti.

2. FORME DI AGGREGAZIONE

Gli articoli 30 (Convenzioni), 31 (Consorzi) e 32 (Unioni) del TUEL delineano le varie forme di

aggregazione attraverso cui gli enti locali possono svolgere funzioni e servizi con un grado

associativo via via crescente.

L’art. 33 (Esercizio associato di funzioni e servizi) mette in evidenza il ruolo di direzione e

coordinamento delle regioni. Il TUEL presuppone un’azione concertata per individuare gli ambiti

ottimali di gestione sovra comunale, nella prospettiva di un’eventuale unificazione, che è

ulteriormente incentivata. Il legislatore accomuna il ruolo delle regioni all’esercizio associato di

funzioni e servizi da parte dei comuni, ma non enumera le funzioni, proprio perché il Testo Unico è

stato concepito come una legge generale e non come una raccolta omnicomprensiva. La norma

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prevede che le regioni attuino il trasferimento delle funzioni ai comuni con leggi di conferimento

delle stesse, alla luce del D.Lgs. 112/98, che sancisce il principio generale in base al quale la

generalità dei compiti e delle funzioni amministrative che non richiedono l’esercizio unitario a livello

regionale sono attribuite agli enti locali; la Regione determina le funzioni da svolgersi a livello

unitario e conferisce contestualmente tutte le altre.

Si precisa che il termine “conferimento” deve intendersi, al momento della promulgazione della

legge regionale, come “trasferimento” il quale, diversamente dalla delega e dall’attribuzione, non può

essere soggetto a revoca ed implica l’emanazione di atti di indirizzo e coordinamento e non di

direttive. Il trasferimento non avviene a livello di singolo ente, ma di “sistema-comuni”, per cui la

funzione che non è esercitabile a livello unitario non può essere mantenuta in capo alla Regione per

ovviare alle ridotte dimensioni di alcuni enti locali. La ripartizione delle funzioni deve comunque

tenere conto della trasformazione delle Province in Città Metropolitane.

Infine, il c. 2 dell’art. 33 affronta il problema dell’esercizio delle funzioni trasferite da parte dei piccoli

comuni, la cui soglia di popolazione è determinata dalla Regione; quest’ultima, nell’individuare i

livelli ottimali di esercizio delle funzioni, automaticamente qualifica come sottodimensionati quei

comuni che non raggiungono tale livello. Di conseguenza, una volta che i livelli ottimali sono stati

individuati, i piccoli comuni sono sostanzialmente obbligati a promuovere forme associative, mentre

la gestione è da essi determinata autonomamente, entro un termine stabilito dalla legge regionale,

trascorso il quale la Regione esercita il potere sostitutivo.

Il legislatore quindi pone in capo alla Regione la potestà di prevedere l’esercizio associato delle

funzioni obbligatorie, analogamente a quella esercitata dallo Stato nei consorzi obbligatori (vedi art.

31).

3. FORME ASSOCIATIVE

L’integrazione delle funzioni e dei servizi svolti a livello locale può avvenire attraverso diversi

strumenti di cooperazione fra enti locali che, ad eccezione del consorzio, previsto quale forma

associativa fra enti pubblici fin dal TU del 1934, sono frutto della riforma degli anni ’90.

a) La convenzione (art. 30)

È la forma più semplice - di particolare utilità per i comuni di piccole dimensioni, che possono trovarsi

in difficoltà anche a provvedere ai servizi essenziali - con la quale non si attua l’esternalizzazione

delle funzioni e dei servizi (che devono essere determinati), ma solo il loro svolgimento in forma

coordinata per un periodo di tempo definito (limite temporale).

I contenuti inderogabili dell’accordo sono la durata, i fini, le forme di consultazione, i rapporti

finanziari, i rapporti reciproci e le garanzie.

Trattandosi di atto fondamentale, la delibera è di competenza consiliare (art. 42 TUEL).

Di norma le convenzioni sono facoltative, ma è prevista anche l’obbligatorietà, qualora lo Stato

o la Regione lo ritengano necessario per la gestione temporanea di un servizio specifico o la

realizzazione di un’opera, stabilendo in questo caso un disciplinare-tipo. Quindi, mentre la

convenzione facoltativa può avere per oggetto, oltre che servizi, anche funzioni, poiché gli enti

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stabiliscono le modalità di esercizio di funzioni di cui sono titolari, quella obbligatoria è limitata alla

realizzazione di un’opera o alla gestione, a tempo determinato, di uno specifico servizio, di

competenza statale o regionale, ma non implica in alcun modo lo spostamento di funzioni statali o

regionali che, secondo quanto previsto dalla Costituzione, possono solo essere oggetto di

trasferimento o delega. Dato che anche le convenzioni rientrano negli accordi fra amministrazioni, si

ipotizza che alle stesse si applichino i principi civilistici.

b) Il consorzio (art. 31)

Il consorzio è la più antica forma stabile di cooperazione fra enti pubblici. La riforma del ’90

mantiene questa figura, che permette l’esercizio associato di funzioni e la gestione più incisiva di uno

o più servizi. Il consorzio è un soggetto distinto ed autonomo rispetto agli enti che lo costituiscono

(infatti è dotato di personalità giuridica) per cui, a differenza di quanto avviene con la convenzione,

le funzioni vengono poste all’esterno dell’ente.

Gli atti fondamentali per la costituzione ed il funzionamento del consorzio sono lo statuto e la

convenzione. L’adesione al consorzio è di competenza del Consiglio comunale, che ne approva a

maggioranza assoluta sia la convenzione che lo statuto. La convenzione è l’atto costitutivo del

consorzio e deve indicare i fini, la durata, le forme di consultazione degli enti, i loro rapporti finanziari

e i rispettivi obblighi e garanzie, nonché disciplinare le nomine e le competenze degli organi del

consorzio e prevedere la trasmissione agli enti aderenti degli atti fondamentali. Lo statuto determina

le regole per il funzionamento del consorzio: nei limiti della legge e della convenzione, ne disciplina

l’organizzazione, la nomina e le funzioni degli organi.

Gli organi del consorzio sono l’assemblea, che è composta dai rappresentanti degli enti (Sindaco o

suo delegato), ciascuno con responsabilità pari alla quota di partecipazione. L’assemblea elegge il

Consiglio di Amministrazione (CDA) e ne approva gli atti fondamentali previsti dallo statuto. A

questi organi si aggiungono il Presidente, che rappresenta il consorzio, convoca e presiede il CDA ed

il Direttore, responsabile gestionale, delineando così un modello aziendale innovativo del consorzio.

Lo Stato, solo in caso di rilevante interesse pubblico, può prevedere la costituzione di consorzi

obbligatori, demandandone l’attuazione alla regione ma, come già previsto nella L. 142/90, fra gli

stessi enti non può essere costituito più di un consorzio; questa preclusione stride con il favore

successivamente mostrato dal legislatore verso il consorzio.

Come vedremo, la struttura del consorzio si avvicina molto a quella delle aziende speciali, che

costituiscono una modalità di gestione dei servizi pubblici locali, disciplinati dagli articoli 113 e

seguenti del TUEL. L’ultimo comma dell’art. 31 prevede che ai consorzi che gestiscono attività non

a rilevanza economica si applichino le norme previste per le aziende speciali.

c) L’unione (art. 32)

Nel TUEL l’unione fra comuni non è vincolata alla successiva fusione. L’unione viene definita

come ente locale costituito da due o più comuni, di norma confinanti, finalizzato all’esercizio

congiunto di una pluralità di funzioni.

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I consigli dei comuni partecipanti approvano l’atto costitutivo e lo statuto secondo le maggioranze

e le procedure stabilite per le modifiche statutarie. Lo statuto individua le funzioni svolte dall’unione

e le corrispondenti risorse. All’unione sono conferite dai comuni partecipanti le risorse umane e

strumentali necessarie all’esercizio delle funzioni loro attribuite.

Gli organi dell’unione sono il Presidente, la Giunta ed il Consiglio e sono formati da amministratori

in carica dei comuni associati. A essi non possono essere attribuite retribuzioni, gettoni e indennità o

emolumenti in qualsiasi forma percepiti.

Il Consiglio è composto da un numero di consiglieri definito nello statuto, eletti dai singoli consigli

dei comuni associati tra i propri componenti, garantendo la rappresentanza delle minoranze e

assicurando la rappresentanza di ogni comune.

Il presidente dell'unione di comuni si avvale del segretario di un comune facente parte dell'unione,

senza che ciò comporti l'erogazione di ulteriori indennità e, comunque, senza nuovi o maggiori oneri

per la finanza pubblica.

L'unione ha potestà statutaria e regolamentare e ad essa si applicano le disposizioni che disciplinano

gli Enti locali. Lo statuto dell'unione stabilisce le modalità di funzionamento degli organi e ne

disciplina i rapporti. In fase di prima istituzione lo statuto dell'unione è approvato dai consigli dei

comuni partecipanti e le successive modifiche sono approvate dal consiglio dell'unione.

L’atto costitutivo e lo statuto dell’unione sono approvati dai consigli dei comuni partecipanti con le

procedure e con la maggioranza richieste per le modifiche statutarie. Lo statuto individua le funzioni

svolte dall’unione e le corrispondenti risorse.

Gli statuti delle unioni sono inviati al Ministero dell’interno per le finalità di pubblicità.

All’unione sono conferite dai comuni partecipanti le risorse umane e strumentali necessarie

all’esercizio delle funzioni loro attribuite, in modo da garantire progressivi risparmi di spesa in

materia di personale.

Previa apposita convenzione, i sindaci dei comuni facenti parte dell'Unione possono delegare le

funzioni di ufficiale dello stato civile e di anagrafe a personale idoneo dell'Unione stessa, o dei singoli

comuni associati

Alle unioni competono gli introiti derivanti dalle tasse, dalle tariffe e dai contributi sui servizi ad esse

affidati.

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A cura di Mariella Bergamini 31

INDICE

I SERVIZI PUBBLICI LOCALI ..................................................................................................... 2

1. FUNZIONI E SERVIZI ............................................................................................................................ 2

2. DEFINIZIONE DI SERVIZIO PUBBLICO LOCALE ............................................................................ 2

3. LA TORMENTATA VICENDA DEGLI ARTICOLI 113 E 113 BIS DEL TUEL ................................. 4

4. L’ATTUALE DISCIPLINA DEI SERVIZI PUBBLICI LOCALI ........................................................... 5

5. SERVIZI A RILEVANZA ECONOMICA E PRIVI DI RILEVANZA ECONOMICA .......................... 8

5.1. I SERVIZI A RILEVANZA ECONOMICA (ART. 113 TUEL) ....................................................... 8

5.2. MODALITA’ DI GESTIONE DEI SERVIZI A RILEVANZA ECONOMICA ............................... 9

5.3. I SERVIZI PRIVI DI RILEVANZA ECONOMICA (ARTICOLO 113 BIS TUEL) ...................... 15

5.4. MODALITA’ DI GESTIONE DEI SERVIZI NON A RILEVANZA ECONOMICA NEL TUEL 16

6. IL TESTO UNICO DELLE SOCIETA’ PARTECIPATE ...................................................................... 18

7. UN ALTRO TPO DI SOCIETA’: LA STU (ART. 120 TUEL) ............................................................. 25

FORME ASSOCIATIVE ................................................................................................................ 27

1. I PROBLEMI DELL’AGGREGAZIONE ............................................................................................... 27

2. FORME DI AGGREGAZIONE .............................................................................................................. 27

3. FORME ASSOCIATIVE ........................................................................................................................ 28