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I ROM E IL PAPA Poste Italiane s.p.a. - Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 2, DCB Terni P RE S S MENSILE DELLA FONDAZIONE MIGRANTES ANNO XXXIII - NUMERO 5 - MAGGIO 2011 2011

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Rivista di informazione e di collegamento della Fondazione MigrantesAnno XXXIII - Numero 5 - Maggio 2011

Direttore responsabileSilvano Ridolfi

DirettoreGiancarlo Perego

Caporedattore Raffaele Iaria

Direzione e RedazioneFondazione MigrantesVia Aurelia 796 - 00165 RomaTel. 06.6617901Fax [email protected]@migrantes.itwww.migrantes.it

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Foto di copertina: Incontro di Papa Paolo VI con i rom. (© Osservatorio romano)

EditorialeIl Papa invita i rom a casa 3Giancarlo Perego

Immigrati e ProfughiTra accoglienza e fuga 4Damiano Meo

Lampedusa: il potere dei segni 7Carmelo Petrone

Sempre più meticcia 9Andrea Casavecchia

Un bulgaro nuovo eroe cosentino 10Fabio Mandato

Eurafrica 12Gianromano Gnesotto

Lo scambio tra i paesi tra emigrazione e immigrazione 13Franco Pittau

Italiani nel MondoLa Missione Cattolica Italiana «Trait d’Union» di due culture 15don Pasquale Avena

Imprenditorialità italiana all’estero 17Delfina Licata

Dall’Illinois ad Arezzo 18Riccardo Ciccarelli

Rom e SintiUn prete a Roma e i Rom 20don Paolo Lojudice

Semplice e bella 23 La difficile situazione dei rom a Cosenza 25Maria Pangaro

Fieranti e CircensiI bambini e il circo 27

Marittimi e AeroportualiIl porto e il cappellano 28Don Natale Ioculano

News Migrazioni 30

Segnalazioni librarie 32

Osservatorio giuridico-legislativo della CEILe migrazioni nella legislazione e nella giurisprudenza 33P.A.

sommario

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L’11 giugno, vigilia di Pentecoste, sarà unevento straordinario per i rom, i sinti e icamminanti in Italia: il Papa li invita a casa

sua, in Vaticano. Il giorno dopo i rom, i sinti ecamminanti italiani saranno in pellegrinaggio alSantuario Divino Amore di Roma, dove, la S.Messa, presieduta dal vescovo di Avezzano PietroSantoro, sarà teletrasmessa da RAI 1. Un donodello Spirito, che arriva dopo oltre quarantacin-que anni dall’udienza straordinaria di Paolo VIa Pomezia e a oltre 10 anni dal Giubileo del2000, nel ricordo anche del 150° anniversariodella nascita del Beato Ceffirino Jiménez Malla(1861-1936). Un segno dello Spirito che accom-pagna la maturità della Chiesa di oggi nell’ap-proccio al popolo rom, che passa attraverso l’at-tenzione alla diversità e all’alterità, alla stranieritànon come estraneità, ma come “sé da riconoscerenell’altro” (P. Ricoeur). Il ‘riconoscimento’ deirom diventa il luogo di una educazione all’alte-rità, accompagnato dall’incontro, dalla tutela,dalla promozione fino alla costruzione di unacittà e di una Chiesa fraterna. Riconoscere signi-fica imparare lo sguardo di Dio, come ricordanoi salmi; significa saper ‘vedere’ come il Gesù diGiovanni. Non basta avere un’idea dell’uomo,un antropologia cristiana, se non sappiamo co-struire sguardi, incontri, relazioni. Il riconosci-mento diventa pieno nella fraternità, che è l’evo-luzione piena della cittadinanza, dentro laglobalizzazione, e che si misura anche a partiredalla qualità della relazione con il popolo rom.La differenza cristiana sta in questa consapevo-lezza dell’unità del genere umano, che nonesclude nessuno dalla “storia d’amore” della

Chiesa. L’identità cristiana non è mortificata dalladifferenza, ma cresce nell’incontro, nello scam-bio, nel dialogo nell’intelligente relazione tra lepersone, come ci ha ricordato Benedetto XVInell’enciclica Caritas in veritate (n.53). Il ricono-scimento del popolo rom è un ‘segno dei tempi’,un luogo quasi sacramentale dove educare allerelazioni, all’incontro, educare a guardare, inte-ressarsi, appassionarsi. Riconoscere il popolorom significa offrire strade culturali ed ecclesiali,politiche nuove: di costruzione della cittadi-nanza, riconoscendola sempre come un dono,una concessione, un riconoscimento verso l’altro,prima che uno spazio identitario; di dialogo re-ligioso ed ecumenico, come esperienza di rico-noscimento della differenza; di mediazione so-ciale in città, come riconoscimento sociale; didialogo interculturale e plurale; di scelta dellanon violenza dentro una prospettiva diplomaticadiffusa. Sono strade universali di educazione al-l’alterità e alla cattolicità, ad abbracciare tutti(cfr. L. G. 13), alla mondialità, che possono tro-vare nella quotidianità il luogo concreto di tra-duzione e di incarnazione, dove nessuno vieneignorato, dimenticato, escluso e dove ogni falsità,dimenticanza e esclusione rischia di lasciare fuoridalla porta della vita personale e della città chipuò regalare un figlio alla nostra famiglia umana.Come alle querce di Mamre, dove aprendo laporta, condividendo, superando la paura si è ge-nerata la storia di un nuovo popolo, così aprendole porte della città anche alle persone e famiglierom, sentendoli di casa, costruiremo una nuovaumanità. ■

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Il Papa invita i rom a casaGiancarlo Perego

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Gli aerei militari lasciano scie nel cielo pri-maverile di Trapani. Quest’ultimi decollanodall’aeroporto “Vincenzo Florio” di Birgi

che, nei mesi di marzo e aprile, è stato quasi pa-ralizzato dalla guerra in Libia. Molti voli civiliinfatti sono stati depennati per lasciare posto al-l’aviazione militare. A circa due chilometri daquest’ultima struttura c’è Kinisia: un aeroportomilitare dismesso che oggi accoglie una tendo-poli. Novanta tende blu, per 500/700 migranti,ammassate dentro due recinti, che - sotto il sol-leone siciliano - non sembrano narrare della spe-rata “oasi Europa”. Di fronte l’ingresso dellastrada che porta a Kinisia, nei primi giorni di

aprile, c’erano alcuni striscioni, appesi alla can-cellata di un’abitazione: “Maroni stiamo arri-vando!!! 15.000 profughi dalle frazioni di TP” –si leggeva su uno di questi. Non molti abitantidel luogo infatti vedevano positivamente la sceltapolitica attuata. Nell’aria c’era la paura che il mi-grante potesse destabilizzare l’assetto economico-sociale della zona e per tale motivo le proteste, afine marzo, erano all’ordine del giorno. A Trapanici sono altri due centri che si occupano di immi-grazione: un CIE (Centro di Identificazione eEspulsione) ed un CARA (Centro AccoglienzaRichiedenti Asilo politico). In quest’ultimo eranostati accolti 250 migranti a fine marzo, ma 100

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Tra accoglienzae fugaArea Schengen sotto pressione Damiano Meo

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di questi, già il primo giorno di aprile, erano an-dati altrove: fuggiti. I CARA infatti, al contrariodei CIE, non prevedono una reclusione forzata.Inoltre la legge italiana vieta alle forze dell’ordinela possibilità di limitare la libertà di una personaoltre i 4 giorni senza l’intervento di un magi-strato. E per la magistratura occuparsi di 28 milaimmigrati (questo il numero da gennaio adaprile) in un arco di tempo così limitato è im-possibile. Dunque se la detenzione che supera ilquarto giorno non è lecita senza la supervisionedi un giudice allora l’allontanamento spontaneodel migrante sembrerebbe legittimo. Da ciò nasceil “fenomeno Ventimiglia”: l’accalcarsi di centi-naia di immigrati nella cittadina ligure per var-care il confine. La maggior parte di loro sono tu-nisini e mirano alla Francia: quella Nazione cheli ha colonizzati (dal 1881 al 1956), che ha “in-segnato” loro (imponendola!) la propria linguae che però adesso è fermamente restìa ad acco-gliere “la sua parte d’Africa”. Così a Ventimigliaci si accalca, attendendo la notte. Quando nelbuio i “passeurs” guideranno la marcia della spe-ranza. Quest’ultimi sono contrabbandieri di viteche, attraverso sentieri di montagna o nascon-dendo i migranti nei bagagliai delle auto, fannosì che si possa sconfinare. Bastano 200 euro e le“guide clandestine” ti portano in Francia. Gli af-fari della malavita non risentono certo della crisi.E l’alternativa a questa roulette russa qual è? Laprima: far sì che gli accordi bilaterali con la Tu-

nisia, per bloccare questo commercio di vite, reg-gano e vengano ulteriormente intensificati (at-tualmente una sola nave militare italiana ed unaereo pattugliano i flussi migratori in prossimitàdelle coste tunisine e il flusso degli sbarchi aLampedusa continua senza sosta). E la secondasi chiama “protezione temporanea”. Quest’ul-tima dovrebbe consentire ai migranti di riceverefin dal loro sbarco accoglienza regolare e un ti-tolo di soggiorno di durata di 6 mesi, al fine dipoter circolare liberamente nell’area, compostada 29 Paesi, chiamata Schengen. Questa sceltapolitica metterebbe i migranti in condizione dipoter cercare lavoro e di potersi ricongiungerecon i familiari scavalcando la morsa della clan-destinità, prodotta dal sistema legislativo vigente.Quest’ultimo prevede, come spiega Fulvio Vas-sallo, professore di Diritto d’asilo e statuto co-stituzionale dello straniero presso l’Università diPalermo, che “tutti i migranti che raggiungonoil suolo italiano senza un regolare permesso disoggiorno commettono il reato di clandestinità,perseguibile con un’ammenda pecuniaria che vadai 5000 ai 10.000 euro”. Questa multa vieneannullata dal “provvedimento di espulsione cheobbliga l’immigrato a lasciare il suolo italiano,per recarsi in Patria, entro 5 giorni”. Qualora itempi prescritti non venissero rispettati il mi-grante rischierebbe “da 1 a 4 anni di reclusioneper reato di inottemperanza”. Ma, precisa il prof.Vassallo, “la Corte Costituzionale nel dicembre

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del 2010 ha deliberato che questa procedura nonha validità nel momento in cui l’immigrato nonpossiede né i documenti né la facoltà economicaper ritornare nel proprio Paese”. Dunque la pro-tezione temporanea firmata dal presidente delConsiglio Silvio Berlusconi nella prima settimanadi aprile è stata una mossa necessaria, obbligatadalle circostanze. Ma nel Dpcm siglato sembre-rebbe esserci un’empasse. Si parla di diritto allaprotezione per motivi umanitari ai migranti ap-partenenti al Nord Africa affluiti nel territorioitaliano dal primo gennaio 2011 alla mezzanottedel 5 aprile. La domanda che si pone è: per i non provenientidal Nord Africa, come eritrei, somali, ivoriani –anch’essi sbarcati a Lampedusa – nessuna prote-

zione? Nel frattempo da Bruxelles si innescanogiornalmente polemiche inerenti la circolazionetransfrontaliera dei migranti. Secondo la Com-missione europea, infatti, il decreto italiano nonconcede automaticamente la libera circolazioneall’interno dell’area Schengen poiché la maggiorparte degli immigrati arrivati sulle coste italianenon scappano da guerre e persecuzioni – i pro-fughi sono soltanto 4700 – e invece la direttivaeuropea del 2001, inerente la protezione uma-nitaria, intende tutelare gli sfollati che non pos-sono ritornare nel Paese d’origine. Dunque lamatassa si aggroviglia. E l’Europa è chiamata afare i conti con il protagonismo delle sue Na-zioni: chissà se il vero problema sono i migrantio le scelte politiche. ■

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Mons. Mariano Crociata, Segretario generale del -la CEI ha dedicato il suo intervento alla CommissionePresbiterale Italiana di aprile al tema dell’immigra-zione.“La prospettiva dell’ospitalità rischia di dividerel’Italia, pochi giorni dopo che abbiamo celebrato i150 anni dell’unità d’Italia. Tale resistenza – hadetto - chiede una riflessione attenta su quale tipodi società ci avviamo ad essere; essa manifesta infattipaura di fronte allo straniero che, essendo bisognoso,con le sue richieste mette in questione il nostro be-nessere economico (sia pure messo anch’esso incrisi); manifesta quindi anche chiusura al nuovo e aldiverso; soprattutto denota incapacità a capire ciòche sta succedendo e a disporsi ad affrontarlo”.Per mons. Crociata occorre affrontare non solol’emergenza ma anche la lunga durata della presenzaimmigrata”. È questa la “sfida” dell’immigrazione,di fronte alla “recrudescenza del fenomeno deglisbarchi di un numero crescente di persone in condi-zioni disperate in fuga alla ricerca di lavoro e di unavita migliore, di protezione umanitaria”, ha sottoli-neato. Di fronte al rischio che il Mediterraneodiventi il “cimitero di un popolo in fuga”, secondoil segretario generale della Cei “la sfida è quelladell’integrazione interculturale”, che richiede inprimo luogo “l’esigenza di valutare la sostenibilitàper il nostro Paese, per le sue condizioni economiche,

per il suo tessuto sociale e per il suo sistema di sicu-rezza dell’emergenza umanitaria costituita dai flussicrescenti di sbarchi sulle nostre coste”. Dopo la“prima accoglienza”, per la Cei la “gestione” dellefolle crescenti di immigrati va affrontata “con lacollaborazione di tutto il Paese” e dell’Unione eu-ropea, in quanto “emergenza comunitaria”. Di qui la necessità di “misure e interventi capaci difar fronte all’emergenza in maniera appropriata,che vada verso soluzioni durature e non generi epoi alimenti situazioni di parassitismo e di disordinesociale”. Altrimenti, “da accoglienza e aiuto si tra-sforma nel suo contrario il mantenere migliaia emigliaia di persone senza offrire una prospettiva”:per questo occorre “intervenire direttamente inquei Paesi da cui provengono gli immigrati per con-tenere con lo sviluppo economico e sociale neiluoghi di partenza i flussi di immigrazione”. In se-condo luogo, per la Cei è urgente “l’accompagna-mento e la gestione dei processi di integrazione diquegli immigrati che si trovano a vivere da anni nelnostro Paese”, attraverso la capacità di affrontare“questioni complesse di carattere non solo economicoe sociale, ma anche legislativo e politico”. “Guardarelontano”, nella questione degli immigrati, significasaper cogliere inoltre “l’urgenza costituita dall’istanzaculturale”, in una società – come la nostra – dominatada “una stanchezza spirituale e ideale”.

Mons. Crociata: “Affrontare non solo l’emergenza maanche la lunga durata della presenza immigrata”L’intervento del Segretario della CEI alla Commissione Presbiterale

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“Caritas sine modo”. È la scritta che cam-peggia, accanto al crocifisso, nell’ufficioparrocchiale di don Stefano Nastasi, par-

roco di Lampedusa. È una frase in latino chevuol dire: amore senza limiti. Meglio, amoresenza moderazione, smodato, senza misura. Unmotto che riassume benissimo la testimonianza-impegno-denuncia dei lampedusani nei giornicaldi dell’“invasione” dell’isola da parte degliimmigrati.In queste settimane (siamo nel periodo del-

l’emergenza sbarchi, ndr) ci siamo sforzati di rac-contare non solo “l’isola che non c’è” (quella deidisservizi, della “gestione fallimentare dell’emer-genza”... che tanto spazio ha avuto sui medialocali, nazionali e internazionali) ma, soprattutto,

“l’isola che c’è”, quell’impegno fattivo di tantiche, nel segreto e lontani dagli obiettivi delle te-lecamere e dalle prime pagine, hanno praticatonei fatti, la “caritas sine modo”. Ad un mondo, che cerca e racconta solo i segni

del potere, questa gente ha mostrato il potere deisegni la cui unica forza sta nella persuasione, cheogni uomo è una persona provvista di dignità, maanche nella necessità di esprimere nel proprioagire una duplice fedeltà a Dio e all’uomo. ALampedusa questa gente ho incontrato.Alla domanda “perché lo fate?” la risposta di

Dario Morreale, che sarà ordinato diacono amaggio e che è stato mandato dal vescovo aprestare il suo servizio a Lampedusa, è netta:“‘Avevo fame e mi avete dato da mangiare, nudo

Lampedusa: il potere dei segniIn un mondo che cerca segni di potereCarmelo Petrone*

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e mi avete vestito... straniero e mi avete accolto...Ogni volta che avete fatto queste cose ad unosolo dei miei fratelli più piccoli, l’avete fatto ame’. Questo brano del Vangelo ci interpella incontinuazione, ci obbliga a formulare, accantoall’atto di fede in Dio, l’atto di fede nell’uomo.Non puoi dire ‘credo in Dio’ se non sei dispostoa dire ‘credo nell’uomo’”. E alla domanda rivoltaa padre Vincent Mwagala, viceparroco di Lampe-dusa, con in mano un materasso – “che fai?” – larisposta è stata: “Lo sto portando al Centro...perché c’è un ragazzo con la febbre a 42 e non haun posto dove sdraiarsi”. Vengo a sapere più tardiche quello era il suo materasso. “Caritas sine modo”, amici!Amore senza misura traspare, dalle testimo-

nianze degli “Angeli di Lampedusa”: Loredana,Damiano, Pilla, Raimondo, Enzo, Franco sonosolo alcune delle persone che sono state accantoai migranti con gesti che si fondano nella Parola.“L’avete fatto a me”, perché come mi dice, Giuseppe,

“in fondo, parrì, è ciò che conta... non saremogiudicati su questo?”. Grazie amici e fratelli di Lampedusa, per la le-

zione di vita, per l’esempio di accoglienza, diumanità, di attenzione verso questa povera gente.Voi tra la chiusura e l’apertura, il rifiuto e l’ac-

coglienza, avete scelto, malgrado i ritardi e leinefficienze statali. E, malgrado l’arrivo dei migrantiera annunciato e si sono inutilmente prolungati itempi di permanenza sull’isola, avete scelto e ci-vilmente protestato per la dignità umana, vostrae degli immigrati, calpestata da chi aveva ed ha ildovere di affrontare il problema e risolverlo. Voi,ad una politica miope e divisa su tutto, avetedato dimostrazione che il mondo di domani nonsi costruisce erigendo barriere. Ma costruendoponti, relazioni, legami. Di fronte al povero e alsofferente, avete detto, non è lecito per nessunogirare la testa altrove o lasciarlo morire in nomedi principi astratti. Grazie. ■

*Direttore “L’Amico del Popolo” - Agrigento

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In questo periodo si sollevano spesso timoririspetto alla nuova ondata di flussi migratoriche arriverà in Italia dalle sponde del Maghreb,

dopo gli sconvolgimenti politici che stanno tra-sformando quel territorio. Certamente organizzare la prima accoglienza

e affrontare l’emergenza di un esodo che si pre-annuncia di massa è un’azione urgente sullaquale occorre investire. Tuttavia per una politicache non guarda solo alle necessità immanentiappare utile considerare come il nostro Paeseospita i cittadini stranieri e come investe su per-sone che qui hanno deciso di arrivare.Invece di preoccuparsi di difendersi dagli in-

vasori.Per la prima volta in Italia l’Istat ha pubblicato

un’indagine sulle “famiglie con stranieri: indicatoridi disagio economico”, concentrandosi sulle lorocondizioni di vita. I dati presentati mostrano alcune conferme:

ci sono più immigrati nel Centro e Nord Italiarispetto a quelli residenti nel Meridione e nelleIsole; la provenienza dei flussi migratori è estre-mamente eterogenea anche se alcune cittadinanzesono molto numerose rispetto alle altre: la ru-mena, l’albanese, la marocchina, la cinese el’ucraina; l’età media degli immigrati è inferiorea quella italiana.

Le informazioni più interessanti le troviamo,però, da altri indicatori che forniscono innanzi-tutto i limiti delle nostre politiche d’integrazionedato che possiamo osservare come le famiglie diimmigrati si trovano in condizione di grave de-privazione abitativa nel 13,3% dei casi contro il4,7% delle famiglie italiane. A questo dato l’Istataggiunge che si assiste ad una grave deprivazionemateriale nel 34,5% dei casi, contro il 13,9%delle famiglie di italiani.Queste indicazioni ci mostrano la difficoltà

del nostro Paese ad investire su una nuova fasciadi persone residente che non solo vive sul nostroterritorio, ma contribuisce alla crescita del nostroPil, sostiene il nostro welfare a partire dall’assi-stenza familiare e popola di giovani le nostrecittà: come si rileva nell’indagine: “La più giovaneetà delle famiglie con stranieri si associa a un’ele-vata presenza di minori in famiglia (nel 36,3% èpresente almeno un minore, contro il 26,1%delle famiglie italiane)”. Inoltre dall’indagine emerge un’ulteriore in-

formazione interessante che si ricava dalla quotadelle famiglie miste, quelle che hanno almenoun componente di nazionalità diversa dall’italiana.Quando si considerano le famiglie composte daalmeno due persone la percentuale delle famigliemiste è del 35,3% sul totale di quelle straniere.Un dato che mostra come a prescindere dallepolitiche d’integrazione adottate, il meticciamentosta entrando nella nostra società. Questa prima indagine, così, ci mostra alcuni

limiti e alcune ricchezze della nostra societàmultietnica. Dalle informazioni descritte si ricava,da una parte, la difficoltà di curare l’inserimentodegli immigrati che rileva l’incapacità politica dioffrire una visione capace di unire le diversità;dall’altra parte, vediamo una popolazione chenon costruisce barricate o enclave e che pianpiano sta trasformando la sua struttura demo-grafica. Spesso vive la preoccupazione di ospitaresenza considerare la possibilità di sviluppo che iflussi migratori offrono al nostro Paese.Chissà se un giorno questo processo che cam-

bia la morfologia della nostra popolazione saràaccompagnato. ■

*SIR

Semprepiù meticciaRapporto Istat sulle famiglie con stranieriAndrea Casavecchia*

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Èun ragazzo sereno e cordia le, molto maturo,Bogdanov Borislav Alexsandrov, il ven -ticinquenne bulgaro che ha prestato i primi

soccorsi a Giuseppe Di Tursio, che era pre cipitatonel fiume Crati con il suo camion. Siamo andatia trovarlo a casa, un dignitoso appartamen tino incittà che condivide con la sorella e con un altroragazzo. Negli ultimi giorni Alexsandrov è sullabocca di tutti, e sotto i riflet tori curiosi dei massmedia. È da cinque anni in Italia, gli piace, or maiha molti amici. E proprio uno di loro lo ha infor-mato del grave accaduto, di un camion che stavapreci pitando dentro il fiume. “Sicuramente sonoun quindici metri di altezza” – ci spiega dopo

aver fat to un calcolo veloce. Lui, il giovane soc-corritore, era vicino. Zona di San Francesco diPaola, cor so Plebiscito. Ma come è andata vera-mente? “C’era tanta gente, nel fiume c’era lui (Giu-seppe Di Tursio, n.d.r.) che gri dava aiuto, mentrel’ac qua gli sbatteva addosso”. Uomo e camion,infatti, erano comple tamente nell’acqua. Un fiumein piena a causa delle piogge che si sono abbattutesu Cosenza. “Allora ho comincia to a correre edopo cinque minuti dall’accaduto sono arrivato”.Su bito Alexsandrov si è accorto che “la spalla erauscita tutta fuori”. Immediatamente “entrato nel-l’ac qua, vi sono caduto proprio”. Av vicinatosi almalcapitato nel fiu me, temendo per la sua salute,soprattutto per l’inevitabile shock dovuto alla ca-duta, ha cercato su bito di rincuorarlo. “Pianopiano ti alzo”, ha sussurrato a Di Tursio. Così,portandolo verso il muro che delimita il fiumedalla terraferma, ha atteso insieme a lui l’arrivodei soccorsi. Uno scenario partico lare, quello chesi presentava agli occhi del giovane. L’incidenteha subito attirato decine e decine di persone. “Tuttigridavano aiuto, però nessuno andava in acqua”,ci dice Alexsandrov. Poi, dopo un po’, sono arrivatii Vigili del Fuoco. È quasi stranito quando ci diceche una parte del camion era comple tamenteschiacciata, mentre l’altra illesa. “La porta dell’au-tista sem brava si fosse aperta da sola”. Pro prioper permettere a Giuseppe Di Tursio, fa intendere,di uscire più facilmente dall’abitacolo. In que sto,

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Un bulgaro nuovo eroe cosentinoLa storia di Borislav Bogdanov raccontata al settimanale “Parola di Vita”

Fabio Mandato

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il giovane soccorritore, vede la mano di Dio. “Iosono evangelista, credo in Dio, e credo che siastato lui a salvarlo”. Sorride, Alexsan drov, mentrecomincia a parlare della sua comunità. “A Cosenzaci sono circa cinquanta bulgari”. Una ventina diloro, ci dice, parte cipa alla lunga liturgia dome -nica le. Sono tante oramai le presenze straniere aCosenza. E tante le ri sorse, anche lavorative, cheesse costituiscono. Ragazzi come Alex sandrovsono ormai integrati pie namente. Mentre il ca-mion cade va rovinosamente nel Crati, infatti, ilgiovane pranzava a casa di una famiglia cosentina.Con loro, im maginiamo, come con noi, parleràanche un po’ di dialetto. Una va lenza importante,per lui, quanto accaduto in questi giorni. “Io nonavevo mai sentito parlare né bene né male deibulgari a Cosenza. Questa è la prima volta, ed èstato per me una bella cosa”. Alexsandrov, però,non si sente un eroe, ma è fiero solo di aver corsoper soccor rere chi era caduto nel fiume. “La gloriaè per Dio, non per me”. Nei giorni di Carnevale,mentre i bim bi giustamente sognano di fare gli

eroi indossando le mascherine di Superman el’Uomo ragno, da Alexsandrov il messaggio percui l’unico eroe è chi corre per aiutare l’altro indifficoltà. ■

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Le foto di questo servizio sono di Valeria Serra

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Quanto è avvenuto e sta avvenendo nellaparte dell’Africa a noi prossima, ha messoin crisi non solo le dittature, ma anche i

Paesi liberali e democratici dell’Unione Europea.Le prime perché spodestate, svuotate di ricchezze-potere-privilegi, i secondi perché caricati di re-sponsabilità e riempiti di profughi.I fatti sono così eclatanti, quasi sproporzionati,

che superano addirittura quanto il Papa dice neln. 75 di Caritas in Veritate: “Mentre i poveri delmondo bussano ancora alle porte dell’opulenza,il mondo ricco rischia di non sentire più queicolpi alla sua porta, per una coscienza ormai in-capace di riconoscere l’umano”. Ora i colpi allaporta li sentono anche i sordi, e si sentirannoper lungo tempo. Mentre sarà la coscienza la de-terminante decisiva. Gli sbarchi continui che riversano sulle coste

italiane i disperati dell’Africa, obbligano a pensareche con gli africani dobbiamo fare i conti, e chechiusure e respingimenti non ci salveranno,anche se fossero leciti. E questo almeno per duemotivi. Il primo è che finché perdura il profondo di-

vario tra Nord e Sud del mondo, tra Paesi ricchi

e Paesi poveri, tra le ricchezze possedute da unalimitata percentuale di umanità mentre interipopoli vivono nell’estrema povertà, perdurerannoi grandi flussi migratori. Il secondo è che l’Africa è così vicina all’Europa,

che non ce la possiamo scrollare di dosso. Tantoche qualcuno ha coniato il termine “Eurafrica”ed ha usato l’immagine del catamarano, l’im-barcazione formata da due parti, per dire che sela parte Africa va a fondo porta giù anche laparte Europa.Il Presidente della Repubblica italiana, Giorgio

Napolitano, ha saggiamente ricordato che “ab-biamo il dovere di avviare, anche in rapporto aduna politica europea dei flussi migratori e di ac-coglienza, un partenariato con i Paesi africani,che consenta di mettere in moto o di consolidarelo sviluppo e di aggredire le cause profondedella povertà”. Cammino lungo, che per l’Italiacontinua a rimanere sulla carta, senza alcun in-vestimento concreto di aiuti e di idee, che rendesprovveduto o in malafede chi dice: “Aiutiamolinel loro paese”. Anche se davvero li aiutassimonel loro Paese, per un bel pezzo dovremmoaiutarli anche nel nostro Paese. In che modo?Anche con leggi sagge, che nulla hanno a che ve-dere con “buonismo” o “cattivismo”. Non sipretende che siano irrorate dai valori propridelle nostre buone tradizioni, ma almeno daquelli delle Carte fondamentali, della Costituzionee della Dichiarazione Universale dei Diritti del-l’Uomo. Sono punti fermi, che oltre ad esaltarel’intelligenza di chi le ha pensate e redatte,aiutano a perseguire nella società ciò che dimeglio l’animo umano può cavar fuori dallecontraddizioni in cui ci dibattiamo.Mentre le tragedie, che avvengono nelle acque

del Mediterraneo o sulle strade invisibili del de-serto, pesano sulle coscienze di chi ha conservatoil senso dell’umanità, ci ricordiamo della nostrastoria che sopravvive nelle foto d’archivio, nellevaligie di cartone, nel lacrimevole canto “Parteno‘e bastimente /pe’ terre assaje luntane”. Sonotrascorsi un centinaio d’anni da quando eranogli italiani ad andare a morire in mare verso la’Merica, o sui sentieri innevati delle Alpi comeclandestini verso la Svizzera e la Francia. Anchequesto può aiutare ad essere solidali con gli uo-mini, le donne e i bambini, che arrivano dal-l’Africa. ■

EurafricaGianromano Gnesotto

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Queste riflessioni prendono lo spunto da unviaggio di studio che i redattori Caritas/Mi-grantes hanno effettuato a Parigi nei giorni

21 e 22 marzo, organizzando un seminario diapprofondimento sull’immigrazione, inquadratatanto dal punto di vista italiano che da quellofrancese, e un dibattito sulle prospettive della pre-senza italiana nel mondo, che in quell’occasioneha coinvolte tutte le organizzazioni che fannoparte del Comitato scientifico del “rapporto Mi-grantes Italiani nel Mondo” (Acli, Cgil, Cisl, Cnae Ugl), presentato per la prima volta a Parigi. Entrambe le iniziative hanno avuto un esito

positivo, per il quale si sono adoperati con intel-ligenza e dedizione, rispettivamente, il Centrostudi scalabriniano (Ciemi) e la Missione CattolicaItaliana. Non è mancata la partecipazione istitu-zionale, assicurata da parte francese dal Serviziodel Ministero dell’Interno preposto all’immigra-zione e all’integrazione e, da parte italiana, dalConsole generale a Parigi. Oltre che su questi riusciti aspetti organizzativi

è opportuno, però, richiamare l’attenzione sullepiste di riflessione che ne sono emerse in tale oc-casione, sintetizzabili nello slogan: “Migrazionicome stimolo al confronto interculturale”.

Si può prendere l’avvio da qualche dato stati-stico. In Italia gli immigrati hanno superato lasoglia dei quattro milioni di residenti, all'incircatanti quanti sono gli abitanti di origine italianain Francia, mentre in questo paese è immigratoo di origine immigrata un quinto dell’intera po-polazione. La Francia, a partire dall'Unità d’Italia,ha costituito uno dei principali sbocchi per iflussi dei connazionali ed è rimasto tale fino aiprimi anni Sessanta, quando vi si contavanocirca 700 mila residenti italiani, il doppio rispettoagli attuali 360 mila. Inizialmente l’insediamentodegli italiani ha presentato non poche difficoltà,con il tempo superate e attualmente l’origine ita-liana è molto rivalutata. Oltre a tali legami consolidati nel tempo, vi è

oggi un altro fattore che unisce questi due Paesiche, nell’ambito dell’Unione Europea, sono traquelli che accolgono il maggior numero di immi-grati, la Francia con una tradizione di quasi duesecoli, l’Italia a partire dagli anni Settanta, ma, acausa dell’andamento demografico negativo, se-condo un ritmo crescente che non ha l’uguale,con un aumento della popolazione immigratasuperiore alle 300mila unità l’anno. Nonostanteciò, ancora non sono state rese meno gravose le

Lo scambio tra i paesitra emigrazione e immigrazioneIniziativa bilaterale realizzata a Parigi

Franco Pittau*

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condizioni per l’acquisizione della cittadinanza,mentre la diversità delle provenienze nazionali hareso più sensibili alla mediazione interculturale.La Francia, invece, gode di una situazione de-

mografica tranquilla, con un tasso di natalità trai più alti tra i paesi sviluppati, e non abbisognadi flussi di immigrazione consistenti: la suapolitica migratoria insiste sull’integrazione, sul-l’accesso agevolato alla cittadinanza e sull’uni-formità di fronte alla legge, lasciando in sordinale diversità culturali.Si tratta di due panorami in parte diversi e

senz’altro complementare, con stimoli diversiper l’arricchimento reciproco in quanto una im-postazione nazionale non può essere assolutizzatacome perfetta, trascurando l’apporto delle altreesperienze. Queste giornate di lavoro hannoposto in evidenza che il fenomeno della mobilitàumana caratterizzerà sempre più il panoramadella Francia e dell’Italia e dell’intera UE e cheper far fronte alle sue implicazioni gli scambi bi-laterali e le prospettive comunitarie costituisconouna risorsa supplementare. Ma anche sull’emigrazione è emerso qualcosa

di nuovo. In Francia, la presenza italiana variferita non solo a quanti sono stabilmente resi-denti, ma anche alle migliaia di persone che an-nualmente si spostano tra i due Paesi per turismo

e anche per lavoro, motivi professionali, visite aparenti e amici, studio e altri motivi culturali.Questi flussi, nel 2009, secondo la Banca d’Italiahanno generato un interscambio finanziarioannuo di oltre 5 miliardi di euro (di cui 2,8milioni a beneficio dell’Italia) e coinvolto, soloper le visite a parenti e amici, due milioni e 600mila persone, divise a metà tra i due paesi. Quando si dice che l’emigrazione è un resi-

duato del passato e non incide più sul contestoattuale, si entra in palese contraddizione con laforza di questi numeri, che invitano a elaborareproposte innovative in grado di espanderne levirtualità a diversi livelli: scambi di natura lin-guistica, culturale, sociale e pastorale. Non tutto,quindi, è finito con le prime generazioni degliemigrati: ci sono i discendenti e ci sono nuoveimplicazioni di cui tenere conto. È impressionante,ad esempio, che nell’area di Nizza vi siano pressole locali strutture scolastiche più di 300 docentidi lingua italiana. Il futuro si può cogliere giàadesso, prestando attenzione agli indicatori chene sono un segno: così sarà possibile unire inuna visione armoniosa, interculturale per l’ap-punto, passato e presente, emigrazione e immi-grazione, economia e cultura. ■

* Dossier Statistico Immigrazione Caritas-Migrantes

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Èil titolo scelto per significare la nostra storia.La Missione cattolica italiana, caratterizzatafortemente dalle due culture italiana e fran-

cese, è la storia di una famiglia di famiglie, che,nel vissuto quotidiano, partecipa alla gestazionedi questo “uomo che verrà”, il “nuovo”, che tantoanima i pubblici discorsi e le opinioni riguardoalla nuova Europa.Quest’anno, poi, in cui celebriamo i 150 anni

dell’Unità d’Italia, non possiamo dimenticare ilcontributo degli emigranti.Ma già lo scorso anno qui in Francia, Savoia

e Alta-Savoia, abbiamo cominciato a vivere e ri-flettere su questo tema, in occasione delle cele-brazioni dei 150 anni dell’annessione dellaSavoia alla Francia. Infatti, sia la Chiesa locale,sia la Municipalità, con il contributo significativodelle comunità italiane quì presenti, hanno datovita ad articoli, colloqui, conferenze, mostre,visite guidate, ed altre manifestazioni, per sensi-bilizzare tutti al contributo che l’emigrante hadato, magari pagando di persona con umiliazionie disagi, a questo processo di unità che tutti cicoinvolge e verso cui siamo incamminati, nonsolo nella costruzione dei nostri rispettivi paesi,ma dell’Europa intera.L’annessione della Savoia alla Francia non ha

fermato l’immigrazione italiana.

Piemontesi, lombardi e, più tardi veneti veni-vano numerosi alla fine degli anni 1800 e agliinizi del 1900. Essi erano rinomati ed avevanouna buona reputazione come operai qualificati,specialmente nell’edilizia. A Biella, in Piemonte,una delle prime scuole di costruzioni edili preparavae formava una mano d’opera veramente specia-lizzata. Essa continuava la tradizione dei muratoried artisti delle valli dell’Italia del Nord, specialmentedella Valsesia, che hanno abbellito ed ornato lenostre chiese ed i nostri edifici pubblici.Verso la fine del XIX secolo e all’inizio del

XX, l’immigrazione italiana segue gli eventi dellanostra storia italiana, dove, in quegli anni si viveuna emigrazione che diventa sempre più unaemigrazione di massa. Nel 1900, un grande vescovo lombardo, Mon-

signor Bonomelli, commosso dalla situazionedei migranti, comprese che la Chiesa non potevarestare indifferente di fronte a questo fenomeno;le parrocchie italiane si spopolavano e bisognavaraggiungere le persone nella loro nuova situazionedi vita. Egli fonda nel 1899 l’opera di assistenza ai

lavoratori italiani emigranti .Un avvenimento segna in maniera decisiva la

nascita della Missione Cattolica Italiana in Alta-Savoia.Nel 1923, il vescovo di Annecy, Monsignor

Du Bois de la Villerabel aveva dato avvio ad unagrande missione nella città, che non comprendevaallora che due parrocchie: Saint Maurice e NôtreDame de Liesse. Gli italiani frequentavano poco le funzioni

religiose, sia per la difficoltà della lingua, sia

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La Missione CattolicaItaliana «Trait d’Union»di due culturedon Pasquale Avena

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perché il nuovo universo nel quale vivevano liaveva allontanati dalla Chiesa.In un discorso indirizzato alla Comunità italiana,

il vescovo di Annecy si esprime con sincerità:«Perché nascondervi che, quando ho preso possesso

di questa bella Diocesi e di questa amata città di An-necy, accanto a grandi consolazioni e a gioie molto intense, una tristezza profonda però si fece strada nelmio cuore. Voi eravate numerosi allora, si era nel1922 ed ecco che voi mi siete apparsi un po’ come ungregge senza pastore... E tuttavia voi venivate tuttidalla cattolica Italia, voi venivate dal Piemonte la-borioso, così vicino alla nostra Savoia, come puredall’opulenta Lombardia, come pure ancora dal mis-terioso Veneto. Fin dall’infanzia, voi siete stati nutritidella più ardente pietà, cullati di preghiere ed eccoche trapiantati su questa terra di Francia, tuttaviadella stessa fede che la vostra e di una pietà altrettantosincera, voi vi tenevate, in numero troppo grande, ...ohimé!..., in disparte dalle nostre cerimonie religiose,lontano dalle nostre chiese, pertanto così accoglienti!

Ignoranza della lingua? Senza dubbio per qualcuno.Ma piuttosto soprattutto timidezza, sentimento dinon essere a casa vostra, timore di apparire... Vimancava di essere raggruppati, di essere organizzati...Io rivedo ancora in spirito questa prima prova dinuova organizzazione... Io decisi dunque di renderedefinitivo e stabile il servizio religioso per gli italianidi Annecy. Questa bella chiesa di San Francesco diSales, così piena di toccanti ricordi, così fresca nel

suo nuovo ornamento, era libera. Io la misi a dispo-sizione della Colonia (così si chiamavano leMissioni all’epoca, ndr) e un missionario dell’“OperaBonomelli”, inviato da Roma, su mia richiesta, neprese possesso».

È così, per volontà del vescovo di Annecy,che nacque, nel 1923, la Missione Cattolica Ita-liana. Essa vive da più di 87 anni e la Comunitàconserva il medesimo dinamismo.Negli anni 1950 l’immigrazione conobbe un

nuovo slancio con l’arrivo in massa di migrantiprovenienti dal Centro e dal Sud dell’Italia. Essaritrovò nuova vitalità in tutta l’Alta-Savoia. Econsiderando la sua importanza, MonsignorSauvage, vescovo di Annecy, la eresse in “Parroc-chia canonica non-territoriale”, il 27 marzo 1963.La Comunità italiana è sempre viva con le

sue molteplici attività, e l’attuale vescovo, Mon-signor Boivineau, continua a sostenere la MissioneCattolica Italiana in Alta-Savoia.Degli incontri regolari hanno luogo ogni

mese in diversi centri, chiamati settori: Annemasse,Cluses, Bonneville, Rumilly, Thonon-Evian e aChamonix, dove soggiornano, in periodo di va-canze, numerosi italiani.La Missione risponde sempre all’aspettativa

dei discendenti italiani, che esprimono e condi-vidono la loro fede al cuore dell’esperienza dellaloro storia e della loro cultura.Nell’ora dell’Europa, essa si apre agli scambi

religiosi e culturali. Gli scambi si sono intensificatitra la Alta-Savoia e l’Italia. I gemellaggi, i flussituristici, i matrimoni tra francesi e transalpiniaprono dei cammini nuovi per l’avvenire.L’immigrazione italiana fa parte della storia

della Savoia. Tante le opere recenti, tra cui quella scritta da

Mino Faita: “La vie rêvée des italiens“, da DelisoVilla: “L’émigration italienne. Le plus grandexode d’un peuple dans l’histoire moderne“, edaltre; non in ultimo quella di François Forey eAngela Caprioglio “Speriamo che – Esperonsque“, che esprime le voci piemontesi e italianein terra di Savoia, dando vita all’esposizione al“Palais de l’Isle“ ad Annecy, che ha avuto ungrande successo.Al cuore delle diverse associazioni italiane e

dei movimenti, la Missione mantiene un postoimportante ed indispensabile.Si potrà avere una reale evangelizzazione

senza l’evangelizzazione delle culture? ■

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Nel clima generale di forte crisi economica,che si sta vivendo a livello nazionale e in-ternazionale, si deve registrare un calo an-

nuale del 20,7% del fatturato delle imprese ita-liane all’estero, che nel 2009 si è fermato a “soli”290 miliardi di euro. Una eccezione in positivoè, però, quello della Cina, la quale, nonostanteil generale clima negativo, è cresciuta seppuredel solo 3,5%, ma purtroppo questi rapporti in-cidono ancora poco sul volume complessivo.Dall’analisi dettagliata svolta da Roberto Bisognosi deduce la presenza di 2 mila aziende e 1.642lavoratori: la Cina guarda all’Italia soprattuttoper la moda e il design.Nella storia dell’emigrazione italiana troviamo

innumerevoli spunti che pongono in evidenzala capacità di iniziativa dei nostri connazionali.Sono stati approfonditi in questa edizione del“Rapporto Migrantes” due diverse forme di im-prenditoria, legata l’una a un prodotto tipicamenteitaliano e l’altra alla industriosità tipicamenteitaliana che si è occupata di un prodotto estero:si tratta dell’industria del gelato in Germania, dicui parla Luca Storti, e del fish&chips in Irlanda,di cui si occupa Dominoni insieme a tutti coloroche lavorano al Progetto “Irlandiani.com”. I gelatai italiani in Germania, associati nel-

l’Uniteis, hanno accreditato in terra tedesca unnuovo modello di consumo basato su un prodottomediterraneo fortemente simbolico, legato aipaesaggi assolati, sicuramente rielaborato sulposto ma con una certa purezza artigianale (adifferenza dei pizzaioli, maggiormente portatial sincretismo per rispondere ai gusti dei tedeschi).

Lo sforzo di questi pionieri veneti, originari delbellunese e del cadorino, ha avuto un ritornopositivo sull’Italia per quanto riguarda la fornituradi macchine, arredamento e basi per il prodotto.Attualmente, però, sono notevoli le difficoltà diricambio generazionale, perché i figli (cresciutiin patria presso i parenti, un po’ come fannooggi le donne filippine e ucraine con i loro figli)si sentono meno coinvolti e si è costretti ad as-sumere i nuovi dipendenti tra i non italiani,mentre per far fronte alla crisi economica vienemodificata l’impostazione originaria e alla venditadel gelato si affianca anche quella di altri prodottidi caffetteria e di pasticceria.In Irlanda, invece, gli italiani (tra i quali molti

provenienti da Sora, Cassino e altri paesiniciociari, che parlano il cosiddetto “inglese-cio-ciaro”), negli anni ’50 si sono distinti nell’orga-nizzare e diffondere un prodotto assolutamentenon mediterraneo, il fish&chips, costituendo laNational Fish Fryers Association e assicurandosiottimi guadagni. ■

Imprenditorialità italiana all’esteroDelfina Licata

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Nato nel 1921 in Illinois, nella stessa terrain cui ha mosso i suoi primi passi da poli-tico l’attuale presidente degli Stati Uniti

d’America Barak Obama.Parte da lontano, geograficamente parlando,

la storia di don Francesco Tiezzi.Figlio di migranti, partiti nel 1920 da Foiano

della Chiana alla volta degli Usa, che condividevanocon i numerosi gruppi che all’epoca lasciavano laValdichiana la speranza di trovare lavoro nelleminiere di carbone a Peoria, in Illinois, o ad Har-tdford, nello stato del Connecticut. Fu così ancheper i genitori di don Francesco, la cui famigliavenne destinata all’insediamento per minatori di“Groveland Mine”. Il padre era già stato negli

Usa prima della Grande Guerra, affrontando illungo viaggio nel 1910, all’età di 20 anni.“Le condizioni degli italiani negli Stati Uniti

in quegli anni – afferma don Francesco – nonerano affatto facili. All’interno delle categoriesociali venivamo solo prima dei neri e non eravamoaffatto aiutati dalle autorità civili. Soltanto versoil 1927-28, dopo l’avvento del fascismo in Italia,le autorità locali cominciarono ad interessarsi aimigranti italiani”. Don Francesco ricorda poi lafigura di Madre Cabrini, proclamata nel 1950 daPapa Pio XII “Patrona universale degli Emigranti”,che aprì scuole, orfanotrofi, educandati, ospedalie centri sociali, in particolare a New York eChicago, ma “non arrivò mai a Peoria”.

Dall’Illinois ad Arezzo Emigrante al contrario per diventare sacerdoteRiccardo Ciccarelli*

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Nel 1929 il piccolo Francesco partì alla voltadell’Italia con i genitori e la sorella di 5 anni peressere battezzato. La madre per anni avevarespinto le richieste “insistenti” da parte dei reli-giosi protestanti, che premevano affinché il sa-cramento fosse ricevuto secondo il loro rito. Erala prima volta che Francesco giungeva in Italia.“Non conoscevo la Chiesa cattolica – spiega –;l’insegnamento religioso che avevo ricevuto finoad allora era tutto merito dei miei genitori. Nel-l’insediamento di minatori dove vivevamo nonc’erano chiese”.Nonostante le difficoltà riscontrate dai lavo-

ratori cattolici in terra protestante, don Tiezzi,sin da piccolissimo, sentì forte la chiamata delSignore. “A soli 8 anni – racconta – cominciaiad avvertire la necessità di dedicare la mia vita aGesù”. Durante il primo rientro in Italia dellafamiglia Tiezzi, Francesco fu battezzato a Foiano.Prima di tornare negli Usa ricevette anche il sa-cramento della Comunione e in seguito fu cresi-mato dal vescovo Emanuele Mignone nella cap-pellina del Vescovado di Arezzo. La vocazionereligiosa del giovane Francesco continuò a farsisentire in maniera chiara e distinta anche unavolta rientrato negli Usa con la famiglia. Francescoera però convinto che per farsi prete sarebbe do-vuto tornare in Italia. “Il parroco della chiesacattolica di Saint John a Peoria – ricorda l’attualeparroco di San Fabiano – non mi ascoltavaquando gli parlavo del fatto che, secondo me,per diventare sacerdote sarei dovuto tornare inItalia e insisteva affinché frequentassi la scuolacattolica in America. Ma le condizioni economichedella mia famiglia non lo potevano permettere,dunque fui iscritto alla scuola pubblica”. Ilgiovane non riusciva più ad arginare la forzacon la quale avvertiva la chiamata del Signore e“costrinse la famiglia a far ritorno in Italia per laseconda volta”. Era il 1934 quando, all’età di 13anni, entrò nel seminario vescovile di Arezzo.“Il mio inserimento nelle scuole italiane – af-

ferma don Francesco – fu molto sofferto perchénon conoscevo l’italiano. Fui aiutato da un sa-cerdote, cugino di mio padre”. Nel 1945 ilvescovo Mignone lo ordinò sacerdote e nel 1959Francesco fu nominato parroco di San Fabiano.“I segni della vocazione bisogna saperli intuire ecapire – afferma don Tiezzi –: da 51 anni sonoparroco a San Fabiano, proprio in quella chiesa

dei Santissimi Fabiano e Sebastiano dove nelmio primo viaggio in Italia, a soli 8 anni, dissidi volermi far prete; ho sempre consideratoquesto fatto come un chiaro segno di Dio”. Suc-cessivamente fece ritorno negli Stati Uniti d’Ame-rica per far visita ai parenti, incontrando adistanza di tanti anni alcuni compagni di lavorodi suo padre che erano riusciti ad ottenere unabuona stabilità economica con la pensione. “Fusoltanto allora – spiega – che capii perché miopadre non mi perdonò mai il fatto di esservoluto tornare in Italia. Aveva alle spalle 22 annidi lavoro in miniera e gli rimaneva poco per ar-rivare alla pensione, cioè a quella tranquillitàeconomica per la quale aveva lavorato, con sa-crificio e fatica, così a lungo”.Durante i suoi viaggi negli Usa, don Francesco

poté constatare che le condizioni degli italianierano nettamente migliorate.“Visitai il quartiere della Caterpillar, che aveva

la propria sede generale a Peoria, dove una miacugina era diventata direttrice di una mensa e fula prima che vidi innalzare la bandiera tricolorein omaggio alla visita di un cittadino italiano”.Don Francesco fece ritorno negli “States”

anche nel 1969 come cappellano di bordo della“Queen Mary”, una nave inglese per migrantiitaliani diretti in Canada. Una storia ricca di av-ventura, vissuta tra Italia e America. Questa lavita di don Francesco Tiezzi, che ha avuto comebussola la fede e non ha mai dimenticato il si-gnificato della vocazione cristiana. ■

*da ToscanaOggi

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In situazioni e contesti diversi la mia vita sa-cerdotale, come quella di tanti confratelli, haincrociato la presenza dei rom nella nostra

città. Da viceparroco, nella prima parrocchia dovefui inviato, perché nelle vicinanze vi abitavanoalcune famiglie di rom italiani. Poi nell'altra,perché ho cominciato a chiedermi dove vivevanoquelle donne che, con i loro bambini, chiede-vano l’elemosina di fronte alla chiesa. Andai avedere. Era la sera della vigilia della festa del-l'Epifania del 1993. Portavo dei doni che ave-vamo raccolto in parrocchia per i bambini: avevoun furgone carico di giochi e di altre cose. Erasera ed entrare in quel campo non mi sembrò,all'inizio, affatto rassicurante. Fui immediata-mente circondato da piccoli rom ma anche dalleloro mamme. Tutti volevano qualcosa. Dopo unpo' il clima si fece più rassicurante. Fui invitato

ad entrare in una baracca, forse, pensai, quelladel capo, del boss. Era un uomo molto cordiale,di mezza età, inanellato e con una grossa catenaal collo. Mi offrirono del caffè. Lasciai poi i doniche avevo portato ad alcuni di loro che mi pro-misero di distribuirli ai bambini il giorno dopo.Anche quando diventai parroco mi trovai più omeno nella stessa situazione: c’erano 2-3 fami-gliole (mamme e bambini) che sostavano difronte alla chiesa durante le messe domenicali.Volevo capire se quello che io vedevo, cioè il bi-sogno, la povertà, la loro continua richiesta diaiuto, erano una finzione, come tanti dicevano,oppure la realtà. Se viene da me una persona achiedere qualcosa e poi non ne ha bisogno nor-malmente si pensa che è un malfattore, un ap-profittatore. Io dico: è un “povero due volte” ecome tale non posso negare il mio aiuto, quello

Un prete a Romae i Romdon Paolo Lojudice

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che posso (e solitamente la cosa più necessarianon sono i soldi). Ho fatto mie le parole chedisse un giorno il cardinal Ballestrero: “Date aipoveri e prima di dare non giudicateli. Prima di avereun sussidio dalla carità pubblica devo presentare unsacco di certificati, ma chi viene a chiedere la caritàa me, prete, non deve presentare nessun certificato,deve bastare che mi dica che ha fame. Ci deve essereuna spontaneità, una fiducia, un lasciarsi serena-mente imbrogliare da qualche speculatore che nonmanca mai”. Andare a incontrare la gente (nonsolo rom) là dove vive, nelle case (o anche nellenon-case, cioè baracche, prefabbricati o roulotte)è una grande lezione e una grande scoperta. L’im-portante, mi dicevo, è non farlo per curiosità maper conoscere più da vicino chi sono quelle per-sone. Andai tante volte nel campo dove vivevanoquei rom. Una volta fui costretto ad andarci dinotte, con il viceparroco. Una ragazza di sedicianni era scappata dalla casa, fuori dal campo elontano dalla famiglia, dove era andata a viverecon il suo uomo, quello che l’aveva “sposata”,perché subiva continui maltrattamenti. Arrivò inparrocchia alle 8 di sera: era l’unico luogo dovequella ragazzina aveva pensato di rifugiarsi.Dopo un lungo colloquio, decise di tornare dallafamiglia di origine, che viveva nel campo che co-noscevo. Era una serata di pioggia e questo ren-deva ancor più sinistro il luogo; topi da mezzo

metro ci attraversavano la strada, o meglio quelviottolo di fango e sporcizia. Certe scene non ledimentichi facilmente e ti ritornano in mente,di giorno ma anche di notte. Pensare al fatto chementre io vado a letto nella mia stanza, calda,tranquilla, tante persone e in particolare bambinistanno in situazioni molto, molto diverse dallamia, questo certo non mi faceva stare tranquillo:bambini come Sebastian, Patrizia, Fernando,Raul, i quattro morti nel rogo di alcuni giorni fa.Poi arrivò il Casilino 900. Non ero più parroco:il servizio a cui la chiesa di Roma mi aveva desti-nato era un altro. Non avevo più la responsabilitàdiretta delle persone di un territorio. Ma da pretee prima ancora da cristiano, non avrei mai e pernessun motivo potuto dire “non spetta a me,non è il mio compito…”.“Figli di uno stesso Pa-dre”. Chi, passando lungo via Casilina, versofuori Roma, poco prima dell’incrocio con viaPalmiro Togliatti, gira gli occhi verso destra, vedràancora questa scritta sull’edificio dell’ex benzi-naio, in alto, a significare lo sforzo e l’impegnoche tante persone, enti, associazioni e privati cit-

L’esperienza con un gruppo di seminaristi

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tadini hanno messo nel sostenere gli abitanti delcampo chiamato “Casilino 900”, simbolo pluri-decennale del degrado, dell’abbandono… sem-pre citato nel bene e nel male, a proposito e asproposito. Quella scritta mi venne in mente unasera, quando cercavamo con alcuni rom e alcunivolontari, di dare un nome, un titolo a quellospazio. Questa area, adiacente al campo, era di-ventata con il tempo (e con l’incuria) una disca-rica a cielo aperto: cercammo, grazie all’interventodi tanti rom e gagè (così i rom chiamano i non-rom) di farla diventare uno spazio utile e vivibile,un piazzale di ritrovo, di socializzazione e, ci au-guravamo, di ‘promozione’. Pensai subito chepotevo far diventare la mia presenza e il mio in-contro con le famiglie un’occasione formativaanche per i seminaristi: ho ritenuto importanteavvicinarli alla povertà, anche a quella più ‘ostica’,meno comprensibile, quella fatta non di poverisorridenti e pieni di gratitudine verso chi li aiutama quella più contraddittoria e più reale di chinutre solo tanta rabbia e tanto livore per la suacondizione di emarginazione, con colpe e respon-sabilità altrui ma anche proprie. Sono passaticirca quattro anni da quando entrai per la primavolta al Casilino 900, quasi per caso, invitato aduna festa dei rom dalla dottoressa responsabile

del Servizio di Medicina Solidale del PTV: ho in-contrato tante persone con le quali abbiamo in-trapreso un rapporto umano intenso; ho incro-ciato tante storie di vita, a volte dure, a voltedrammatiche…in alcuni casi tragiche. Insieme aiseminaristi e ad altri volontari abbiamo consolatoed esortato, sostenuto e accompagnato: abbiamoparlato di Gesù…Ho creduto sempre di interrogarmi prima che

sulla carità, sulla ‘povertà’, vecchia e nuova, deirom ma anche di altri stranieri e di tanti italianiche stentano a vivere. È il Vangelo stesso che im-pone di farsi carico di chi non può. La povertànon è solo economica ma prima ancora culturale,spirituale, mentale e la vera povertà è ‘sommersa’,quello che vediamo è solo una punta di iceberg.Credo che ci voglia una mobilitazione delle co-munità cristiane, parrocchie, gruppi e di ogniuomo di buona volontà per rispondere con forzae coraggio alla sfida che la povertà oggi imponefacendosi carico, come possiamo, di ogni povertà,a partire dalle famiglie: perché non pensare adun progetto di affidamento di nuclei familiari indifficoltà? Potremmo cominciare da uno per par-rocchia per diffondere sul serio e capillarmenteuna vera e propria cultura della solidarietà nelnome del Vangelo. ■

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Semplice e bellaUn’esperienza con i bambini rom raccontata da un seminarista

Iniziai la mia “avventura” con i bambini romnel 2007, grazie al Seminario Romano Mag-giore, con il Padre Spirituale: nell’anno pro-

pedeutico ci proposero tra le esperienze caritativequella di animare dei giochi con i bambini del“Casilino 900”, campo nomadi ormai chiuso, icui abitanti sono stati inseriti nei campi attrezzatidi Roma.Questa particolare, affascinante esperienza,

mi ha poi coinvolto al punto di mantenere finoad oggi, nei limiti del possibile e compatibilmenteagli impegni di seminario, un rapporto, unapresenza, soprattutto rispetto al campo di “Salo-ne”, dove a tuttoggi i ragazzi dell’attuale prope-deutico continuano l’esperienza, che anch’iofeci, con una decina di bambini.Ed è stato proprio durante quell’oratorio così

speciale che ho conosciuto Andrea che oggi hasei anni e vive al campo di “Salone”. Tra tutti

quelli che giocavano con noi mi sembrava il“più piccolo”: piccolo sotto vari aspetti: l’età e lacorporatura molto esile, i suoi scatti di rabbiache non gli riparmiavano mai di prenderle daipiù grandi, la sua “etichetta” all’interno delcampo legata a questioni di etnia, ecc.Nell’estate 2009 proposi alla mamma di

Andrea di poterlo inserire in una esperienzaestiva al mare a Terracina con i bambini delcentro diurno “La casetta” che si trova in unaparrocchia alla periferia di Roma. Andrea vennee lì, soprattutto i primi giorni, diede... il megliodi sé! Era incontenibile, le sue reazioni erano,come sapevo nell’averlo conosciuto al campo,colme di rabbia, violente... Allora ci siamo dovutiarmare di pazienza e ruolo forza hanno avutosia l’accompagnarlo in ogni istante, sia gli altribambini che sono riusciti ad accoglierlo, supe-rando la sua irrequietezza, sia la suora responsa-

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bile, una salesiana di “ferro” con tanta esperienzae amore per i bambini, soprattutto difficili... In-somma alla fine portammo a casa un Andrea di-verso, magari sempre abbastanza irrequieto macon qualche barlume di cambiamento che lasciavasperare... Quindi ci dicemmo: non può finire qui! An-

drea infatti iniziò a frequentare la casetta: iniziaia portarlo il sabato all’oratorio e cominciai aprenderlo all’uscita dell'asilo un giorno a settimanaper portarlo lì, dai suoi amici. Al centro è sempreatteso, curato, educato, ripreso se serve... è iniziataper Andrea una strada nuova in qualche modo,cioè qualche ora alternativa al campo dove abita.Lo abbiamo visto, e lo vediamo, migliorare no-tevolmente, come anche le sue stesse maestredell'asilo ci confermavano: stava uscendo pianopiano un Andrea diverso: gioioso come sempre,ma “più grande” nel rispetto, nell’ascolto, nellafiducia da dare e da ricevere, cresce la sua capacitàdi giocare con gli altri, il suo senso di gratitudine.Si è molto calmato anche per quanto riguarda imomenti di rabbia, che all’inizio lo caratterizza-vano e... mandavano tutto all’aria. Ora si senteaccolto, curato e voluto bene da molti, davvero.

Inoltre si è stabilito anche un buon dialogo conla sua famiglia.Terracina si è ripetuta l’estate scorsa e Andrea

era oramai inserito, e il suo comportamento, ilsuo relazionarsi agli altri bambini, ormai suoiamici, non aveva niente a che vedere con l’annoprecedente, seppur con il suo carattere che nonci fa annoiare non smettendo mai di farcisorprese! A settembre ha iniziato la scuola ele-mentare e quando va al centro non alza la testase non ha finito i compiti (di sua volontà!!)...

Anche la mia famiglia si è molto legata a An-drea, ormai è di casa: tutti vogliono essere infor-mati e magari contribuire, per quello che possono! Potrei testimoniare che è proprio vero quello

che dice la lettera agli Ebrei: “Non dimenticatel'ospitalità; alcuni, praticandola, senza saperlohanno accolto degli angeli.” (Eb 13, 1-2) e pensoche con me lo possano dire tutti quelli chestanno aiutando A. a crescere, che hanno accoltol’invito a mettersi accanto a lui per la stradafatta e per quella che ancora ci aspetta; tutti quelliche, come me, vedono in lui una bella immaginedi Gesù, semplice, da servire. ■

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La difficile situazionedei rom a CosenzaMaria Pangaro*

Prima erano le badanti e i lavoratori a bassocosto. Purtroppo pure qualche malavitoso,ora sono i Rom. “Non menano una bona vita

da noi”, qualcuno direbbe, ma restano. Forse per-ché da loro è peggio. È forse perché ci conside-riamo il paese delle opportunità. Calabria inclusa.Ecco perché tanta voglia di restare da noi. A di-spetto della povertà, a dispetto dei pregiudizi. Sono anni che nel silenzio generale è sorta,

sulle rive del fiume Crati che bagna Cosenza,una vera è propria città di “cartone” popolata dairom. Gente che bivacca in condizioni di disumanodegrado tra topi, escrementi e spazzatura accantoad un fiume che durante le piogge autunnalis’ingrossa e diventa un pericolo per la vita dicirca 500 persone, tra cui tante donne e bambini.Le stesse donne e gli stessi bambini che siamoormai abituati a vedere per strada a mendicare,alle porte dei centri commerciali, ai semafori arespirare il gas di scarico delle automobili. Il freddo dell’inverno da poco passato sta ce-

dendo il posto al caldo di questi giorni e a parte

questo per i Rom del campo non è cambiatonulla, per parte della città e delle istituzionisono forse invisibili, eppure sono ancora qui sulfiume.I gruppi di baracche sono tre. Uno è nei

pressi della ferrovia nascosto tra il canneto. Unaquarantina di metri più giù troviamo il nucleostorico. Qui sono accampate famiglie da anni,oramai stanziali, fatta salva qualche puntatinaperiodica in Romania. Più avanti, proprio afianco dell’ex mercato ortofrutticolo, sorge il nu-cleo più numeroso, ma anche quello più diffi-dente, si fa fatica ad entrare anche per i volontaridelle numerose associazioni che giorno dopogiorno si recano qui per portare assistenza.Nel 2006 e 2007 per ben due volte, gli abitanti

del fiume, hanno rischiato di essere travolti dalCrati impazzito. Dalla fine del 2007 difatti, laloro presenza si è trasformata in una vera epropria emergenza sociale, sanitaria in particolaremodo perché proprio accanto al nucleo stanzialeè sorta una discarica abusiva. Qui si arriva indi-

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sturbati a scaricare rifiuti e ad appiccare fuocosenza curarsi dei bambini e delle donne e degliuomini che sono costretti a convivere in questoscenario. Non ci si fa scrupolo se la spazzaturain questione è composta da rame o pneumatici.Alcuni tra i Rom qui accampati ha provato a la-mentarsi, ma invano.Alla luce di questo quadro disumano inac-

cettabile che oramai dura da anni, gli interventiavviati sono risultati inutili. Dallo sgomberoforzato per l’acqua alta del fiume, all’accoglienzanel Centro Missionario di Stella Cometa, allecase offerte dalla Diocesi di Cosenza-Bisignano,forse l’unica istituzione a tenere a cuore questefamiglie. Il 26 Febbraio 2010, inseguito all’ordinanza

di sgombero emessa dalla prefettura di Cosenza,si è svolta una pubblica assemblea presso ilsalone di rappresentanza del Comune di Cosenzaper chiedere la sospensione dell’esecuzione di

provato a ricreare, tra divani e peluche unambiente confortevole. Non mancano radio etelevisori. Nel nostro proseguio incontriamo unadonna Rom arrivata da poche settimane, parlapoco l’italiano ma riesce comunque a farsi capire.Ci dice che ha lasciato la casa dove abitava inRomania perché non riusciva a pagare il fitto. Lechiediamo anche se ha figli, si due, che vorrebbemandare a scuola ma non sa a chi rivolgersi. Edè proprio dei bambini la preoccupazione mag-giore, perché, terminata la scuola (almeno queipochi che frequentano), ritorneranno ai semaforio a vendere accendini sulle spiagge.Ciò che chiedono le tante associazioni impe-

gnate a portare assistenza ai Rom è un campoattrezzato, che rappresenti un primo passo peril riconoscimento della dignità e dei diritti diuna comunità perseguitata nei secoli e, ancoraoggi, discriminata. Costituire uno spazio adeguatoentro il quale sperimentare modelli virtuosi di

sgombero. L’assemblea che è stata indetta danumerose associazioni realtà e movimenti, tracui la Caritas Diocesana sempre molto attentaalla problematica Rom. Questa assemblea è stataquanto mai partecipata: dalla comunità Rom adesponenti del mondo universitario, dall’associa-zionismo ai semplici cittadini. All’assembleahanno preso parte anche le istituzioni provincialie comunali, confermando la propria disponibilità,ad attrezzare un campo sosta. Ma la soluzioneancora ad un anno di distanza non sembraessere stata raggiunta.Durante la nostra visita al campo, qualcuno

ci fa entrare nelle loro case, se così possiamochiamarle, alle quali tengono molto. Le hannotirate su in modo solido e all’interno hanno

convivenza e reciproco riconoscimento impron-tato a regole sociali condivise.Dalla nostra, invece, possiamo dire, che in

questo nostro viaggio nel campo Rom di Cosenzaassistiamo ad uno scarica barile che fa solo maleai rom e ai cosentini. Nessuno insomma ha ilcoraggio di assumere l’unica saggia decisione ingrado di restituire dignità a quelle persone, primache sia troppo tardi, prima che si creino conflittiinsanabili con i cosentini (ma può valere peraltre realtà calabresi e meridionali) e prima cheaccada il peggio.E per chi vive il campo, per i Rom appunto,

c’è solo da combattere… ■

* Als-MCL

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“Ibambini e il circo” sarà il tema del Con-corso Fotografico 2011 annunciato dalla Fé-dération Mondiale du Cirque, con il patro-

cinio della Principessa Stephanie di Monaco. Ilconcorso è iniziato in concomitanza con la Se-conda Giornata Mondiale del Circo, svoltasi loscorso 16 aprile 2011, e terminerà il 15 giugno2011. L’idea di concentrarsi sui bambini per il con-

corso del 2011 – si legge in un comunicatostampa – è partita da Nico Wiertz, membro delConsiglio di Direzione della Dutch Circus FriendsOrganization. “Il circo affascina i bambini ovunque, così

come il bambino che è in ognuno di noi”, ha af-fermato Wiertz: “quando i bambini vanno alcirco sono così affascinati che dimenticanopersino di mangiare i loro popcorn. Il futuro delcirco è assicurato dai bambini che crescono ap-prezzando il circo in quanto parte della nostracultura come arte dello spettacolo”. Il concorso è aperto a fotografi professionisti

e amatoriali, sostenitori del circo e hobbisti.Verranno selezionate dodici foto vincenti da uncomitato di storici del circo. Il vincitore generaleverrà scelto personalmente dalla Principessa Ste-

phanie di Monaco. Le fotografie vincenti sarannopubblicate in un calendario da parete in venditaa partire da Settembre 2011. Tutti i partecipanti verranno informati dei ri-

sultati del concorso entro la fine di luglio, eciascun vincitore riceverà un calendario. Al vin-citore generale spetterà un soggiorno gratuito didue notti per due persone presso il RivieraMarriott Hotel per i giorni 19-21 gennaio 2012 edue biglietti per gli Spettacoli Competitivi A e Bdel 36° Festival International du Cirque de Mon-te-Carlo. Le fotografie devono essere a colori e devono

essere inviate a [email protected] il 15 giugno. I moduli di iscrizione e tuttele istruzioni di partecipazione al concorso sonodisponibili su www.circusfederation.org. La Fédération Mondiale du Cirque è stata

fondata nel 2008 con il patrocinio della Princi-pessa Stephanie di Monaco è ha la propria sedeprincipale a Montecarlo. La Federazione è un’or-ganizzazione no-profit creata per promuovere learti e la cultura Circensi in tutto il mondo, perfungere da portavoce della comunità Circense, eper rappresentare gli interessi del Circo a livellointernazionale. ■

I bambini e il circoUn concorso fotografico che si è aperto con la Giornata Mondiale del Circo

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Il porto e il cappellanoDon Natale Ioculano

Sei anni fa, se qualche persona mi avessechiesto di parlare del Porto di Gioia Tauroavrei provato un certo imbarazzo perché,

nonostante la vicinanza fisica, il Porto era perme un'illustre sconosciuto. Sono prossimo a ter-minare il mio secondo mandato come cappel-lano e per onestà intellettuale, ammetto di avereancora molte lacune. È difficile stare al passo diuna realtà grande, complessa, in continua e ra-pida evoluzione. Un mondo, quello del Porto,che ingloba al suo interno tanti altri piccoli

mondi diversi, in una non sempre facile convi-venza. Uno di questi piccoli mondi è l’equipag-gio delle navi, i marittimi. Essi sono professio-nisti che hanno mansioni specifiche all’internodelle navi e a seconda della provenienza passanoda quattro a nove mesi a bordo di una stessanave. Per tutta la durata del contratto, la nave èlo spazio vitale di queste persone. La vita a bordoè scandita dai turni sia di lavoro sia di riposo,ventiquattro ore su ventiquattro sette giorni susette. Nei desideri dei marittimi, fisso, al primo

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posto, c’è quello di comunicare con la famigliae tutti gli altri sono a esso legati. Uscire dallanave per loro significa avere l’opportunità di dia-logare con la famiglia, telefonare, fare delle fotoper poi mostrarle ai familiari, comprare qualcosada portare a casa. Tutto quello che fanno parte erimanda a quest’unico legame, molto forte, conla famiglia.A Gioia Tauro, come in molti altri Porti, una

mano a questo mondo la tende la Stella MarisGioia Tauro. Essa è nata grazie all’input di donGiacomo Martino, direttore dell’Ufficio Nazionaleper la pastorale dei marittimi della FondazioneMigrantes. Oggi è un punto di riferimento pertutti i marittimi, sia per chi scende a terra, siaper chi rimane a bordo. Chi scende sa di trovarenel Centro una “casa lontano da casa”, un ponteideale tra questo lembo di terra e il proprioPaese. Chi rimane a bordo è raggiunto da me,almeno per ora, e spero che in futuro altrivolontari si dedichino a questa missione.Al Centro è facile immaginare cosa avviene. I

marittimi arrivano, molti di loro con il proprioportatile, e immediatamente tramite internet siconnettono con le loro famiglie, altri chiedonosemplicemente un telefono e le carte internazio-nali e avviene il miracolo, si crea cioè un ponteideale tra Gioia Tauro e i Paesi di provenienzadei marittimi (Filippine, India, Russia, Cina,Germania, Polonia… ). Ogni distanza è annullatae poco importa se è solo virtuale, si vedono, siparlano, si raccontano le cose belle come purele difficoltà. L’emozione è grande quando attra-

verso la web-cam alcuni hanno la gioia diascoltare i propri figli che incominciano a pro-nunciare le prime parole; spesso desiderano con-dividere la gioia di vedere la casa che stanno co-struendo e ci invitano a guardare insieme a lorole foto, altri ci presentano ai loro familiari comegli amici di Gioia Tauro.A bordo. Il punto di partenza nelle visite a

bordo non può essere la soddisfazione di un bi-sogno che è poi lo stesso per quasi tutti imarittimi, isolare il bisogno dalla persona in uncerto senso limita il mio operare all’offerta diqualcosa escludendo a priori altre possibilità oopportunità che un autentico incontro può farnascere. La prima domanda che puntualmente,mi sento rivolgere dal marittimo di guardia sulponte, è se ho schede telefoniche o sim card. Sa-rebbe molto sbrigativo e anche più produttivooffrire qualcosa ma, come prima accennato, allafine lascia “poveri” chi dona e chi riceve. Perso-nalmente a questa puntuale domanda, puntual-mente rispondo: “Ho anche le carte telefonichema sono qui innanzi tutto per te e per i tuoicompagni di viaggio”. Il sorriso compiacentedel marittimo mi assicura che il messaggio è ar-rivato al cuore. Dopo la registrazione sul librodei visitatori, che segnala la mia presenza abordo della nave, sono accompagnato nellasaletta attigua alla mensa. Arrivato nella saletta,mi è ripetuta la stessa domanda del primo ma-rittimo incontrato sul ponte ed io puntualmenterispondo allo stesso modo, sono invitato a se-dermi e qui inizia l’incontro del mio mondocon il loro mondo.Due mondi s’incontrano e nel dialogo co-

municano e nel comunicare leale, sincero, senzainteressi di sorta le barriere cadono. La difficileconvivenza di mondi diversi resterà sempre talese si rimane arroccati alle proprie posizioni,spesso di superiorità nei confronti di chi arriva.L’esperienza di questi anni mi ha portato a unaconvinzione che l’attenzione al mondo dei ma-rittimi, come ai tanti mondi che convivono inuna realtà, è parziale se mirata al particolareisolato dal resto. Un particolare può essere sìimportante in sé ma vive in funzione di unarealtà più grande di cui è parte. Si apre allora unmondo affascinate di dialogo a tutto campo, neparlerò ancora. ■

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Presentazione del dossiersui marittimi abbandonati

“Marittimi abban-donati, né in terrané in mare” è il ti-tolo del dossier cheè stato presentatoalla città di Genovaed agli operatoriportuali presso laCapitaneria di Porto. È stato un momento importanteper sensibilizzare la città sui marittimi e sulle pro-blematiche ad essi collegate.All’iniziativa sono intervenuti don Giacomo Martino,direttore dell’Ufficio di Pastorale dei marittimi dellaFondazione Migrantes, l’Ammiraglio Ispettore FelicioAngrisano, direttore marittimo della Liguria e Co-mandante del Porto di Genova, e Massimo Franzi,Presidente nazionale della Federazione Stella Maris.

GENOVA

Una veglia di preghiera allaquale ha aderito anche laFondazione Migrantes

La Fondazione Migrantes ha aderito all'iniziativa diuna veglia di preghiera a Lampedusa promossa dalMovimento del Rinnovamento dello Spirito e pre-sieduta dal Presidente Salvatore Martinez. “È un importante evento che si celebra sull’isola ita-liana, Lampedusa, che in queste settimane è diventatail simbolo di diverse contraddizioni: da una parte lavoglia di accoglienza e dall'altra il rifiuto e il desideriodi respingere; da una parte la ricerca della pace dichi è in fuga e dall’altra i bombardamenti; da unaparte i volti dei migranti e dall’altra i volti dei citta-dini”, ha spiegato mons. Giancarlo Perego, direttoregenerale della Migrantes: la veglia è stata “un mo-mento in cui si è chiesto insieme allo Spirito il donodella riconciliazione, di una città e di un mondo ri-conciliato: per dire ancora insieme come siamo vicinialle vittime della guerra e alle vittime del Mediter-raneo”.Una sarà la parola “chiave” di questa “grande e po-tente preghiera comune”, hanno spiegato i promo-tori: “umanizzare la solidarietà”.

LAMPEDUSA

Una raccoltaper aiutare i pescatoricolpiti dallo tsunamiLa Santa Sede intende aiutare i pescatori colpitidallo tsunami a rifarsi una vita: la persona che si oc-cuperà di realizzare questa intenzione in Giapponeè Soon-Ho Kim, una missionaria laica di San Colom-bano che lavora da diversi anni in terra nipponica,attuale Direttore dell’Apostolato del Mare in Giap-pone. Qui vi sono circa 260 porti colpiti fortemente dallotsunami e oltre 20mila barche distrutte: questo fattoha sconvolto la vita di migliaia di famiglie che oramancano dei mezzi basilari per il loro sostentamento,con gravi danni per l’economia locale.Chi desidera può contribuire al Fondo tramite bonificointestato a: Fondazione MigrantesVia Aurelia, 796 - 00165 ROMAc/o Banca Prossima, Filiale n. 5000 – MilanoABI 03359 CAB 01600 CIN IC/C 100000010331IBAN IT 87 I 03359 01600 100000010331 causale:Fondo marittimi vittime dello tsunami in GiapponeOppure c/c postale n. 000026798009 intestato a Mi-grantes - U.C.E.I. - Via Aurelia, 796 - 00165 Roma.

Le “seconde generazioni”degli stranieri in Italia alcentro del nuovo numerodella rivista “Libertàcivili”

G2, la seconda generazione degli stranieri in Italia. Èquesto il tema del primo numero della rivista ‘Liber-tàcivili’ dell’anno 2011 in distribuzione in questigiorni.Nel suo editoriale, il capo dipartimento prefettoAngela Pria - nuovo direttore del periodico - introduceil tema di scottante attualità riguardante gli squilibrieconomico-sociali in essere nell’intero Maghreb e laconseguente ondata di sbarchi che ogni giorno si ri-versa sulle coste siciliane e dell’isola di Lampedusain particolare. Molti gli studi presenti nel numero.

ROMA

eWSN

GIAPPONE

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Eurostat: record di domande di asilo in Francia,Germania e Svezia

Nell’Unione europea i richiedenti asilo nel corso del2010 sono stati 257.800, in lieve calo rispetto ai264mila dell’anno precedente. Lo rende noto Eurostat,che ha portato a termine i calcoli relativi ai 27 Statiaderenti proprio nel momento in cui l’arrivo di pro-fughi dal Maghreb verso le coste europee del Medi-terraneo ha riaperto il dibattito sull’accoglienzadegli stranieri. Secondo le cifre di Eurostat, nell’Uesi sono registrate dunque 515 domande di asiloogni milione di abitanti. Divisi per nazionalità, sonogli afghani i primi richiedenti asilo in Europa (20.600,ossia l’8% del totale), seguiti da russi (18.500), serbi(17.700), iracheni (15.800), somali (14.400). Il maggiornumero di domande è stato presentato invece inFrancia (51.600), cioè un quinto del totale, seguitada Germania (48.500), Svezia (31.900), Belgio (26.100),Regno Unito (23.700), Paesi Bassi (15.100), Austria(11.100), Grecia (10.300), Italia (10.100), Polonia(6.500). In rapporto alla popolazione nazionale ipaesi che hanno avuto il maggior numero di domandesono stati, nell’ordine, Cipro, Svezia, Belgio, Lus-semburgo, Austria.

BRUXELLES

Il Centro diocesano Migrantes della diocesi di ReggioCalabria-Bova, ha pubblicato, in questi giorni, gliatti del convegno sul tema “Figli di immigrati: inuovi cittadini” svoltosi nella città dello Stretto loscorso 24 febbraio presso la Parrocchia San Paoloalla Rotonda.Ai due brevi discorsi introduttivi affidati al vicariogenerale della diocesi, mons. Antonino Iachino e aldirettore Migrantes p. Bruno Mioli, è seguita la rela-zione del Presidente Nazionale delle Acli, AndreaOlivero, che nella Settimana Sociale dei Cattolici Ita-liani, celebrata a Reggio Calabria nell'ottobre scorso,è stato moderatore della terza delle cinque grandiaree tematiche, dal titolo: “Inserire le nuove presenze”,ossia promuovere l’integrazione e il diritto di citta-dinanza degli immigrati e particolarmente dei loro

REGGIO CALABRIA

eWSN

Gmg: una festa con tutti igiovani italiani

Sarà una grande “Festa” a sug-gellare la presenza dei giovaniitaliani – anche quelli residentiall’estero - a Barcellona in occa-sione dei “Giorni nelle diocesi”(11-15 agosto) evento che pre-cede il programma della Gmg diMadrid (16-21 agosto). Ad illustrare al Sir l’evento è don Maurizio Tremolada,responsabile del servizio diocesano di Milano per lapastorale giovanile, che guiderà la delegazione deigiovani ambrosiani nella città catalana con la quale,oltre a Milano, si sono gemellate le diocesi campaneed alcune piemontesi. “Barcellona vuole essere unatappa di avvicinamento alle giornate di Madrid –spiega don Tremolada – traendo spunto dalla tradi-zione spirituale ed artistica di Barcellona. A tale ri-guardo studieremo anche la figura di Gaudì, l’archi-tetto della Sagrada Familia. A Barcellona, poi, viveuna consistente comunità italiana. È anche per loroche, insieme alle altre diocesi italiane presenti incittà in quei giorni, stiamo organizzando una festa,il 14 agosto, dove verranno presentate le diversetradizioni regionali”.

BARCELLONA

figli fin dalla minore età. A quest’area tematica hapartecipato, come relatore, anche il direttore generaledella Migrantes, mons. Giancarlo Perego. A conclusione – spiega la presentazione degli Atti -si è cercato di stendere “una sintesi di quanto si èpotuto ricavare dal convegno e dai vari contattiavuti in occasione del medesimo con operatori pa-storali e scolastici: sintesi che presenta sia le risorseche le difficoltà di cui sembra siano particolarmenteportatori i figli dell’immigrazione; segue una seriedi proposte operative per quanti sono chiamati astare al loro fianco per rendere più sicuro e spedito illoro cammino verso la piena maturità”. Gli Atti delconvegno riportano in appendice, fra l’altro, il Do-cumento preparatorio e il Documento conclusivodella Settimana Sociale dei Cattolici Italiani.

Pubblicati gli Atti del Convegno sui Minori promosso dalla Migrantes diocesana

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“Dove Dio è accampato”Un audio-libro su mons. Luigi Di Liegro

“Don Luigi Di Lie-gro, cappellanodel lavoro, cate-cheta, figlio diemigranti e tra iprimi a leggere ilfenomeno del-l’immigrazione inItalia - anche conla creazione delDossier Statistico,giunto quest’an-no alla ventesimaedizione - insegna ancora oggi a guardare allamobilità come uno dei ‘segni dei tempi’ e a su-perare paure, pregiudizi e distanze nell’incontrocon l’altro”. È quanto ha affermato mons. Giancarlo Perego,direttore generale della Fondazione Migrantes,a margine della presentazione dell’audio libro“Dove Dio è accampato” che si è tenuta a Roma.Il volume contiene alcuni testi originali di donDi Liegro letti da attori, sportivi, giornalisti epersonaggi dello spettacolo. Un’iniziativa promossa da Caritas italiana eCentro europeo risorse umane per multimediaSan Paolo Editore, con la collaborazione di Fon-dazione Migrantes, Caritas Roma e FondazionePupi. L’audio libro sarà inviato nei prossimigiorni, su iniziativa della Migrantes, a tutti i di-rettori diocesani e regionali della Fondazionequale “strumento per costruire percorsi di pa-storale della mobilità nelle diocesi - concludemons. Perego -, alla luce degli Orientamenti pa-storali della Chiesa italiana”.L’audiolibro contiene anche gli interventi delPresidente della Repubblica, Giorgio Napolitano,e del vicario generale del Santo Padre per ladiocesi di Roma, il card. Agostino Vallini. Sitratta del sesto libro del progetto culturale ededucativo “Phonostorie” dedicato ad alcuni per-sonaggi illustri del XX secolo come don Di Liegro,sacerdote romano che ha combattuto contro lapovertà, l’emarginazione e l’indifferenza.

“Dove Dio è accampato”, San Paolo, Milano2011

La percezione dell’altro.Indagine sul fenomenomigratorio Nei Consigli Pastorali Parrocchiali della Diocesi di Bergamo

Il testo raccoglie i risultatidella ricerca condotta nel2010 dalla Caritas e dall’Uf-ficio Migrantes della diocesidi Bergamo sulla percezionedel fenomeno migratorio daparte dei componenti di al-cuni Consigli Pastorali Par-rocchiali. Un volume che ri-porta anche l’intervento dimons. Giancarlo Perego, direttore generale dellaFondazione Migrantes in occasione della pre-sentazione della ricerca.

Massimo Rizzo-Claudio Visconti (a cura di), Lapercezione dell’altro. Indagine sul fenomenomigratorio nei Consigli Pastorali Parrocchialidella diocesi di Bergamo, Il Melangolo, Genova2011

La percezionedell’altro

Indagine sul fenomenomigratorio nei Consigli PastoraliParrocchiali della Diocesi di Bergamo

il melangolo3

a cura di

Massimo Rizzi e Claudio Visconti

Schiave

Non prostitute, ma prostituite:costrette a vendere il propriocorpo da trafficanti senza scru-poli, che lucrano sulla loro pelle.Ecco le schiave del nuovo Mil-lennio di cui parola questo vo-lume scritto sa sr. Eugenia Bo-netti e Anna Pozzi. “Simbolo di ogni schiavitù è lacatena”, afferma sr. Bonetti: strumento che togliealla persona libertà di azione per sottometterlaal volere di un’altra. E come la catena è formatada molti anelli, così è la catena di queste nuoveschiave del ventunesimo secolo. Gli anelli hannodei nomi e sono quelli delle vittime e della loropovertà, degli sfruttatori con i loro ingenti gua-dagni, dei clienti con le loro frustrazioni, dellasocietà con la sua carenza di valori, dei governicon i loro sistemi di corruzione e di connivenze”.Questa catena “si può spezzare”.

Anna Pozzi – Eugenia Bonetti, Schiave. Traffi-cate vendute prostituite usate gettate DON-NE, San Paolo, Milano 2010

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Rom: strategia europea per la loro integrazione

Il 9 marzo scorso il Parlamento europeo ha ap-provato una risoluzione (n. P7_TA(2011)0092)“sulla strategia dell’UE per l’inclusione deirom“.Ad avviso del PE, i rom soffrono una discrimi-

nazione sistematica e combattono contro “unlivello intollerabile di esclusione” e violazioni deidiritti umani. Per far fronte a tali situazioni, vienechiesto che la Commissione presenti un provve-dimento che includa una serie di standard comu-nitari obbligatori e la possibilità di imporre penalitàai governi nazionali che non li rispettano.Riguardo al problema dell’occupazione, si

auspica che la strategia dell’UE assicuri un accessoeffettivo al mercato del lavoro, insieme a misureper combattere il lavoro sommerso e a favorirel’assunzione di rom nell’amministrazione pub-blica.Per l'educazione, i deputati chiedono ai governi

nazionali di impiegare un numero maggiore dimediatori e insegnanti rom nelle scuole per ga-rantire l'educazione nella loro lingua.Il Parlamento denuncia poi le “discutibili ope-

razioni di rimpatrio” di cittadini rom verificatesiin vari Stati membri che hanno creato un “climadi paura e inquietudine” fra la popolazione rome hanno anche “avuto l'effetto di aver portatopreoccupanti livelli di razzismo e discriminazione”.La Strategia europea dovrà così combattere ogniforma di violazione dei diritti fondamentali,inclusi “la discriminazione, la segregazione, i di-scorsi d'incitazione all’odio, il profiling etnico, ilrilevamento illegale delle impronte digitali, nonchélo sfratto e l’espulsione illegali”.Il Parlamento chiede anche la creazione di

enti europei di sostegno, sotto la supervisionedell'esistente Task Force per i Rom, per assicurare

un uso più mirato dei fondi europei a disposizionedei governi nazionali e locali, per controllarnel'uso e indicare eventuali sprechi. Gli Stati membrisono, infatti, invitati a utilizzare programmi comePROGRESS, Cultura, Salute, e di apprendimentopermanente in favore dei cittadini rom.Infine, i deputati chiedono alla Commissione

di prevedere finanziamenti ad hoc, nel quadrodella politica di coesione, per sostenere la Strategiadell’UE relativa ai rom.

Parlamento europeo: approvato il permesso unico di soggiorno e lavoro per gli extracomunitari

Con 311 voti favorevoli, 216 contrari e 81 aste-nuti, il Parlamento europeo ha approvato il 24marzo scorso una risoluzione (n. P7_TA (2011)0115) sulla proposta di direttiva relativa a unaprocedura unica di domanda per il rilascio di un per-messo unico che consente ai cittadini di paesi terzi disoggiornare e lavorare nel territorio di uno Statomembro e a un insieme comune di diritti per ilavoratori di paesi terzi che soggiornano legalmentein uno Stato membro.Il provvedimento, che torna ora all’esame dei

ministri della giustizia Ue, una volta in vigorepermetterà agli immigrati regolari di otteneredocumenti di soggiorno e di lavoro validi sututto il territorio dell’Unione (fatta eccezione perGran Bretagna, Danimarca e Irlanda) con un’unicaprocedura.L’iniziativa punta a garantire agli immigrati

una serie di diritti sociali paragonabili a quellidei cittadini comunitari su questioni quali gliorari di lavoro, le ferie, l’accesso ai sistemi previ-denziali nonché ad altri servizi come gli alloggisociali. Resterà competenza esclusiva dei singoli

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Le migrazioni nella legislazionee nella giurisprudenzaP.A.

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Paesi decidere se e quanti extracomunitari am-mettere sul territorio nazionale, così come eventualilimitazioni per l’accesso a corsi di formazioneprofessionale.L’obiettivo della direttiva è di semplificare le

procedure per gli immigrati e per i datori dilavoro attraverso una procedura unica per il per-messo di residenza e di lavoro.Secondo il testo approvato, i Governi nazionali

avranno la possibilità di riservare l’accesso allasicurezza sociale nazionale solo ai lavoratori ex-tracomunitari che lavorano o hanno lavorato peralmeno 6 mesi e che sono registrati come disoc-cupati.Riguardo al sostegno familiare, i Governi na-

zionali potrebbero scegliere di garantirlo solo ailavoratori in possesso di un permesso di lavorovalido per più di sei mesi.I lavoratori extracomunitari avranno il diritto

di ricevere la pensione una volta rientrati nelproprio Paese alle stesse condizioni e tassi deicittadini europei. I lavoratori possono anche ri-chiedere sgravi fiscali nello Stato membro di re-sidenza; tuttavia, i familiari potrebbero beneficiarnesolo se risiedono nello stesso Paese Ue.Ai lavoratori extracomunitari è riconosciuto il

diritto di avere l’accesso ai servizi pubblici qualialloggi sociali, lasciando ai Governi nazionali lapossibilità di limitare tale diritto ai soli immigratiche hanno già un’occupazione.Il diritto alla formazione professionale e al-

l’istruzione potrebbe essere limitato solo ai lavo-ratori stranieri che hanno o hanno avuto unlavoro, così da escludere chi è nell’Ue per motividi studio. I lavoratori che chiedono di conseguireun diploma in un settore non direttamente col-legato al proprio lavoro potrebbero dover dimo-strare una corretta conoscenza della lingua na-zionale.Le nuove regole europee, se approvate in via

definitiva, si applicheranno agli extracomunitariche richiedono un permesso di residenza e di la-voro in uno Stato membro o che già vi risiedonolegalmente. Non si applicherebbero, invece, ailavoratori extracomunitari in trasferimento al-l’interno di società multinazionali, né a quellistagionali, due categorie che saranno prestooggetto di un intervento legislativo specifico.

Gli immigrati extracomunitari che hanno ottenutoun permesso di soggiorno a lungo termine e i ri-fugiati sono già soggetti ad altre regole comunitariee saranno pertanto esclusi da quelle ora in di-scussione.

Corte costituzionale: respinte le questioni di legittimitàcostituzionale sollevate nei confrontidella legge della Regione Campanian. 6/2010 riguardante la prestazionedi servizi in favore delle personestraniere

Con sentenza n. 61 la Corte costituzionale hastabilito che sono non fondate le plurime questionidi legittimità costituzionale sollevate nei confrontidella legge della Regione Campania n. 6 del2010, recante “Norme per l’inclusione sociale,economica e culturale delle persone stranierepresenti in Campania”, nella parte in cui prevedetra i propri principi quello di garantire a tutti glistranieri comunque presenti sul territorio nazio-nale, la pari opportunità di accesso ai servizi,quali il lavoro, l’istruzione, la formazione pro-fessionale e le prestazioni sanitarie ed assistenziali,nonché le attività di mediazione interculturale.La Corte si è già espressa più volte su dette que-stioni (es. sentenze nn. 134, 269 e 299 del 2010),nel senso che non si possono discriminare glistranieri stabilendo, nei loro confronti, particolarilimitazioni per il godimento dei diritti fonda-mentali della persona, riconosciuti invece ai cit-tadini. Al riguardo, è opportuno ricordare, inlinea generale, che deve essere riconosciuta lapossibilità di interventi legislativi delle Regioniin materia d’immigrazione, secondo quanto pre-visto dall’art. 1, comma 4, del decreto legislativon. 286 del 1998, fermo restando che tale potestàlegislativa non può riguardare aspetti che attengonoalle politiche di programmazione dei flussi diingresso e di soggiorno nel territorio nazionale,ma altri ambiti, come il diritto allo studio o al-l’assistenza sociale, attribuiti alla competenzaconcorrente e residuale delle Regioni. ■

1 OSSERVATORIO GIURIDICO-LEGISLATIVO DELLA C.E.I. 1

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STRUTTURE A LIVELLO NAZIONALE

COMMISSIONE EPISCOPALE PER LE MIGRAZIONI (CEMI)00165 Roma – Circonvallazione Aurelia, 50 – Tel. 06.663981

Presidente: S.E. Mons. Bruno SCHETTINO (Arcivescovo di Capua)

Membri:S.E. Mons. Giuseppe ANDRICH (Vescovo di Belluno-Feltre); S.E. Mons. Lino Bortolo BELOTTI(Vescovo già ausiliare di Bergamo); S.E. Mons. Guerino DI TORA (Vescovo ausiliare di Roma);

.E. Mons. DomenicoMOGAVERO (Vescovo di Mazara del Vallo); S.E. Mons. Paolo SCHIAVON (Vescovo ausiliare di Roma);

S.E. Mons. Franco AGOSTINELLI (Vescovo di Grosseto)

FONDAZIONE “MIGRANTES”00165 Roma - Via Aurelia, 796 - Tel. 06.6617901 - Fax 06.66179070-71

[email protected] - www.migrantes.it oppure: www.chiesacattolica.it (cliccare Migrantes)

Presidente: S.E. Mons. Bruno SCHETTINO

Direttore Generale: Mons. Giancarlo PEREGOTel. 06.66179020-30 segr. - [email protected]

Consiglio di Amministrazione:Presidente: S.E. Mons. Bruno SCHETTINO;

Direttore Generale: Mons. Giancarlo PEREGO;Tesoriere: Dott. Giuseppe CALCAGNO;

Consiglieri: Don Mario ALDIGHIERI; Mons. Giambattista BETTONI;Dott. Maurizio CRISANTI; Don Michele PALUMBO

UFFICI NAZIONALI:

Pastorale per gli Italiani nel Mondo:Tel. Segreteria: 06.66179035

Tel. 06.66179021 - [email protected]

Pastorale per gli immigrati e profughi in Italia: P. Gianromano GNESOTTO cs, direttoreTel. 06.66179024 - [email protected]

Pastorale per i fieranti e circensi: Don Luciano CANTINI, direttore

Tel. 06.66179025 - [email protected]

Pastorale per i Rom e Sinti: Tel. Segreteria: 06.66179033

Tel. 06.66179022 - [email protected]

Pastorale per i marittimi e aeroportuali:Don Giacomo MARTINO, direttore

Tel 06.66179023 - [email protected] distaccato:

16126 Genova - Piazza Dinegro, 6/4Tel. 010.8938374 - Fax 010.8932456

Incaricata USMI-Migrantes per le religioseimpegnate nei vari settori o ambiti della mobilità:

Sr. Etra MODICAVia Zanardelli, 32 - 00186 Roma

Tel. [email protected]

S.E. Mons. Salvatore LIGORIO (Arcivescovo di Matera-Irsinia); S

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Insieme dal Papa

11-12 giugno 2011

Sabato 11 giugno: ore 12,00 - Città del Vaticano,

S.S. Papa BENEDETTO XVI riceve in Udienza i rom, sinti e camminanti italiani

Domenica 12 giugno: Roma, Santuario del Divino Amore,

Pellegrinaggio dei rom, sinti e camminanti italianiin occasione del 150° Anniversario della nascita del B. Ceferino Jimenez Malla

Ore 11,00:in diretta su RAI UNO Santa Messa

presieduta da S.E. Mons. Pietro Santoro, Vescovo di Avezzano

Per informazioniFONDAZIONE MIGRANTES

Tel. 0 39 06 6617901www.migrantes.it