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“IL TRASFERIMENTO DI RAMO DI AZIENDA, I BENI IMMATERIALI E LA CONCORRENZAQuando si configura la cessione di un’unità economica organizzata in maniera stabile che in occasione del trasferimento conservi la sua identità (RAMO DI AZIENDA) si applica la la disciplina generale dettata per la cessione di azienda. I crediti e i debiti riconducibili al ramo di azienda seguono il ramo. Si realizza quale effetto naturale del negozio anche la cessione dei contratti per l’esercizio dell’attività del ramo. Le vicende traslative del ramo di azienda investono non solo beni materiali ma anche immateriali: i cd. diritti di proprietà intellettuale e industriale . L’impresa contemporanea, se vuole sopravvivere alla competizione globale, deve concentrarsi sulla ricerca, lo sviluppo e la tutela di diritti di proprietà intellettuale, quali marchi, brevetti, opere (tecniche) dell’ingegno, design, segreti aziendali e know how. Uno solo di questi beni immateriali, potenzialmente, può valere molto più di tutti i beni materiali tradizionali che fanno parte del ramo di azienda. Oppure può nascondere in sè – come un novello Cavallo di Troia – l’insidia della contraffazione e rivelarsi un tragico fattore virale per la salubrità dell’azienda incorporante. Possibili oggetti di diritti di proprietà intellettuale: progetti architettonici fotografie disegni dellae cartine geografiche banche dati software disegni sul prodotto slogan segni distintivi dell’impresa e dei relativi prodotti (coca cola, ferrari, samsung) forma del prodotto (la forma della FIAT 500; la bottiglia della coca cola) prodotti tecnologici, chimici, meccanici (strumenti per la fabbricazione), biotecnologici prodotti realizzati mediante procedimenti tecnologici, chimici, meccanici, biotecnologici forma del prodotto, design nome geografico (salame di Varzi) know-how (comprese le liste di clienti e fornitori) varietà vegetale (agricoltore o vivaista)

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“I L TRASFERIMENTO DI RAMO DI AZIENDA , I BENI IMMATERIALI E LA CONCORRENZA ”

Quando si configura la cessione di un’unità economica organizzata in maniera stabile che in occasione del trasferimento conservi la sua identità (RAMO DI AZIENDA) si applica la la disciplina generale dettata per la cessione di azienda.

I crediti e i debiti riconducibili al ramo di azienda seguono il ramo. Si

realizza quale effetto naturale del negozio anche la cessione dei contratti per l’esercizio dell’attività del ramo.

Le vicende traslative del ramo di azienda investono non solo beni materiali ma anche immateriali: i cd. diritti di pr oprietà intellettuale e industriale. L’impresa contemporanea, se vuole sopravvivere alla competizione globale, deve concentrarsi sulla ricerca, lo sviluppo e la tutela di diritti di proprietà intellettuale, quali marchi, brevetti, opere (tecniche) dell’ingegno, design, segreti aziendali e know how. Uno solo di questi beni immateriali, potenzialmente, può valere molto più di tutti i beni materiali tradizionali che fanno parte del ramo di azienda. Oppure può nascondere in sè – come un novello Cavallo di Troia – l’insidia della contraffazione e rivelarsi un tragico fattore virale per la salubrità dell’azienda incorporante.

Possibili oggetti di diritti di proprietà intellettuale: progetti architettonici fotografie disegni dellae cartine geografiche banche dati software disegni sul prodotto slogan segni distintivi dell’impresa e dei relativi prodotti (coca cola, ferrari,

samsung) forma del prodotto (la forma della FIAT 500; la bottiglia della coca cola) prodotti tecnologici, chimici, meccanici (strumenti per la fabbricazione),

biotecnologici prodotti realizzati mediante procedimenti tecnologici, chimici, meccanici,

biotecnologici forma del prodotto, design nome geografico (salame di Varzi) know-how (comprese le liste di clienti e fornitori) varietà vegetale (agricoltore o vivaista)

Per cogliere meglio l’ampiezza dei possibili oggetti di tutela, si consideri ad esempio che possono costituire oggetto di registrazione come marchio d’impresa tutti i segni suscettibili di essere rappresentati graficamente.

Ad esempio: le parole compresi i nomi di persone, i disegni, le lettere, le cifre, i suoni, la forma del prodotto o della confezione di esso, le combinazioni o le tonalità cromatiche purché in ogni caso siano atti a distinguere i prodotti o i servizi di

un'impresa da quelli di altre imprese.

L’innovazione è uno dei momenti centrali dell’attività di impresa L’idea nuova è vantaggio concorrenziale L’esclusiva sull’innovazione: il segreto e i suoi rischi Non basta essere il primo a realizzare un’innovazione, occorre essere l’unico. Il vantaggio concorrenziale è perso ove sia condiviso e l’innovazione

sfruttata dai concorrenti, che possono copiarla o migliorarla. La ricerca dell’esclusiva può condurre al segreto. Il segreto è una risposta soddisfacente? No: non copre ogni innovazione

(struttura del prodotto nuovo: per cui è possibile smontaggio e copiatura); è pericoloso per la collettività (la sua lunga conservazione porta ad un monopolio).

L’esclusiva sull’innovazione: il brevetto Il diritto di utilizzare (anche economicamente) l’invenzione per un certo

periodo di tempo contro la completa discolsure del nuovo insegnamento: è necessaria una corretta e completa descrizione dell’invenzione.

Una sorta di contratto tra inventore e collettività. La funzione di stimolo del progresso tecnico: incentivo ad inventare per

ottenere la privativa; incentivo a superare le soluzioni già esistenti. Per innovare è necessario mantenere il segreto? Sperimentazione e messa a punto legge Obbligo di fedeltà. Art. 2105 c.c. Il prestatore di lavoro non deve trattare

affari, per conto proprio o di terzi, in concorrenza con l’imprenditore, nè divulgare notizie attinenti all’organizzazione e ai metodi di produzione dell’impresa, o farne uso in modo da poter recare ad essa pregiudizio

contratto consegna a terzi del prodotto in prova oppure di documenti pertinenti

l’invenzione, con obbligo di segretezza

Fattispecie costitutive: opere dell’ingegno: creazione ed esteriorizzazione marchi: registrazione nazionale (UIBM); comunitaria (UAMI); internazionale

(accordo di Madrid) domain name: registrazione brevetti: registrazione nazionale; registrazione europea (brevetto cd. europeo,

European Patent Office a Monaco di Baviera1) indicazioni geografiche: procedura comunitaria; concorrenza sleale per

appropriazione di pregi know-how e marchi di fatto: i cd. diritti non titolati di proprietà industriale

1 CBE: Convenzione di Monaco; l’inventore può depositare una domanda di brevetto all’Ufficio europeo

brevetti, che dopo un esame preventivo rilascia il titolo. In realtà si tratta di un fascio di brevetti nazionali

È TUTTO ORO QUEL CHE LUCCICA? LA PRESENZA DI UN TITOLO DI PROPRIETÀ

INDUSTRIALE (RILASCIATO DALL ’UIBM, DALL ’EPO O DALLO UAMI) NEL RAMO

CEDUTO PUÒ FAR SUPPORRE LA SUA LEGITTIMITÀ? No.

QUALI PERICOLI CORRE DUNQUE IL CESSIONARIO DEL RAMO DI AZIENDA , SE LA

REGISTRAZIONE (FACENTE PARTE DEI BENI AZIENDALI DEL RAMO) CELA LA

CONTRAFFAZIONE? Il caso paradigmatico del cessionario del ramo di azienda che cita il

concorrente per violazione del titolo di proprietà industriale appena acquisito e viene fatto oggetto di domanda riconvenzionale di nullità e contraffazione.

IL DIRITTO PENALE La responsabilità penale è personale. Di regola non si estende al terzo

estraneo al reato. Attenzione però ai seguenti casi: cd. CONCORSO OMISSIVO NEL REATO COMMISSIVO CONCORSO MORALE RICETTAZIONE che punisce chiunque, fuori dai casi del concorso nel reato,

al fine di procurare a sé o ad altri un profitto, acquista, riceve od occulta, denaro o cose provenienti da un qualsiasi delitto. La pena è la reclusione da due ad otto anni e la multa da 516 euro a 10.329 euro.

Recente sentenza della Cassazione a Sezioni Unite secondo cui la ricettazione può essere integrata anche dal solo dolo eventuale.

Tuttavia, acclarato il rischio di coinvolgimenti sul piano penale, possibili

strategie sono: la continuazione nel reato (cumulo giuridico, non materiale) le attenuanti generiche (fino ad un terzo della pena) il patteggiamento (una pena detentiva quando questa, tenuto conto delle

circostanze e diminuita fino a un terzo, non supera cinque anni soli o congiunti a pena pecuniaria)

la sanzione sostitutiva la sospensione condizionale LA TUTELA CIVILE, UNO STRUMENTO INSUFFICIENTE NELLE

CAUSE DI DIRITTO COMUNE, UNO STRUMENTO MICIDIALE NELLE CAUSE DI DIRITTO INDUSTRIALE

LA SPECIALIZZAZIONE DEI GIUDICI LA RICERCA DELLE PROVE L’Autorità giudiziaria sia nei giudizi cautelari che di merito può ordinare che

vengano fornite informazioni sull’origine e sulle reti di distribuzione di merci o di

prestazione di servizi. L’ordine può essere rivolto non solo al convenuto, ma ad ogni persona che:

a) sia stata trovata in possesso della merce; b) sia stata sorpresa a fornire la merce; c) sia stata indicata dai soggetti di cui alle lettere a) o b) come persona

implicata.

INIBITORIA PROVVISORIA è l’ordine con cui il giudice vieta al contraffattore la prosecuzione o la ripresa

dell’attività di fabbricazione, commercializzazione e/o uso di ciò che costituisce violazione del brevetto

ha natura cautelare ha natura oggettiva solo per le violazioni attuali o anche per quelle potenziali i presupposti: il fumus boni iuris ed il periculum in mora cosa accade in caso di inosservanza dell’inibitoria? INIBITORIA DEFINITIVA non ha natura cautelare: è disposta dalla sentenza che accerta la

contraffazione attenzione ai titoli in corso di brevettazione: solo inibitoria provvisoria irrilevanza dei profili soggettivi cosa accade in caso di inosservanza dell’inibitoria? ORDINE DI RITIRO DAL COMMERCIO applicabilità anche nei confronti delle cose detenute da terzi estranei alla

contraffazione DISTRUZIONE natura restitutoria: mira a eliminare lo stato di fatto contrario al diritto e a

ricostituire lo status quo ante natura oggettiva della sanzione legittimazione passiva: anche i terzi salvo quelli che ne fanno uso personale

in buona fede limiti: economia nazionale ASSEGNAZIONE IN PROPRIETA’ oggetto: sia i prodotti contraffatti sia i «mezzi specifici» necessari per la

contraffazione su richiesta del proprietario e tenuto conto della residua durata del titolo, il

giudice può disporre, invece dell'assegnazione in proprietà, il sequestro ART 125 CPI. Risarcimento del danno e restituzione dei profitti dell'autore

della violazione.

1.- Il risarcimento dovuto al danneggiato è liquidato secondo le disposizioni degli articoli 1223, 1226 e 1227 del codice civile, tenuto conto di tutti gli aspetti pertinenti, quali le conseguenze economiche negative, compreso il mancato guadagno, del titolare del diritto leso, i benefici realizzati dall'autore della violazione e, nei casi appropriati, elementi diversi da quelli economici, come il danno morale arrecato al titolare del diritto dalla violazione.

2.- La sentenza che provvede sul risarcimento dei danni può farne la liquidazione in una somma globale stabilita in base agli atti della causa e alle presunzioni che ne derivano. In questo caso il lucro cessante è comunque determinato in un importo non inferiore a quello dei canoni che l'autore della violazione avrebbe dovuto pagare, qualora avesse ottenuto una licenza dal titolare del diritto leso.

3. In ogni caso il titolare del diritto leso può chiedere la restituzione degli utili realizzati dall'autore della violazione, in alternativa al risarcimento del lucro cessante o nella misura in cui essi eccedono tale risarcimento.

PUBBLICAZIONE DELLA SENTENZA ARTT. 144 SS. CPI: LA PIRATERIA Sono atti di pirateria le contraffazioni evidenti dei marchi, disegni e modelli

registrati e le violazioni di altrui diritti di proprietà industriale realizzate dolosamente in modo sistematico.

L’autorità giudiziaria può disporre, il sequestro conservativo dei beni mobili ed immobili del preteso autore della violazione, compreso il blocco dei suoi conti bancari e di altri beni.

IL REGOLAMENTO COMUNITARIO DOGANALE: LE MERCI

SOSPETTATE DI CONTRAFFAZIONE E IL F.A.L.S.T.A.F.F. Acronimo di «Fully Automated Logical System To Against Forgery &

Fraud». Il cavaliere grasso e vanaglorioso?

QUANDO UNA REGISTRAZIONE PUÒ CELARE L’ INSIDIA? Esempi: 1. acquisto del ramo di azienda in cui vengono realizzati prodotti

contrassegnati da marchio di proprietà; 2. acquisto del ramo di azienda in cui vengono realizzati prodotti

brevettati (il titolo fa parte del ramo di azienda); 3. acquisto del ramo di azienda che produce magliette su cui

sono raffigurate immagini; 4. acquisto del ramo di azienda che produce l’output in base ad

accori di licenza; 5. acquisto del ramo di azienda che comprende uno stock di

merci in arrivo dalla Cina. In materia di marchi occorre fare particolare attenzione alle seguenti

questioni: MARCHIO FORTE vs. MARCHIO DEBOLE MARCHI DIFENSIVI (ancorchè non usati in commercio) FORMA NON REGISTRATA (fiat 500) Normale tutela del marchio e tutela del marchio che gode di rinomanza: art.

20 cpi Art. 20 cpi. I diritti del titolare del marchio d'impresa registrato consistono

nella facoltà di fare uso esclusivo del marchio. Il titolare ha il diritto di vietare ai terzi, salvo proprio consenso, di usare nell'attività economica:

a) un segno identico al marchio per prodotti o servizi identici a quelli per cui esso è stato registrato;

b) un segno identico o simile al marchio registrato, per prodotti o servizi identici o affini, se a causa dell'identità o somiglianza fra i segni e dell'identità o affinità fra i prodotti o servizi, possa determinarsi un rischio di confusione per il pubblico, che può consistere anche in un rischio di associazione fra i due segni;

c) un segno identico o simile al marchio registrato per prodotti o servizi anche non affini, se il marchio registrato goda nello stato di rinomanza e se l’uso del segno senza giusto motivo consente di trarre indebitamente vantaggio dal carattere distintivo o dalla rinomanza del marchio o reca pregiudizio agli stessi.

Caso Mila e Armando: VOGUE Caso Ingegneri e Disign: ARTEMIDE Caso tipografia e moda: ARMANI Caso palloni con le stelline: CHAMPIONS LEAGUE Caso telo mare con pesciolini: NEMO

In materia brevettuale occorre prestare attenzione in particolare alle

seguenti questioni. Un’invenzione è brevettabile se presenta i seguenti requisiti: 1. Novità (cd. novità estrinseca) 2. Attività inventiva 3. Industrialità 4. Sufficienza di descrizione La novità. Art. 46 cpi. Un’invenzione è considerata nuova se non è

compresa nello stato della tecnica. Lo stato della tecnica è costituito da tutto ciò che è stato reso accessibile al pubblico nel territorio dello Stato o all'estero prima della data del deposito della domanda di brevetto, mediante una descrizione scritta od orale, una utilizzazione o un qualsiasi altro mezzo.

Un’invenzione è nuova se non è compresa nello stato della tecnica Lo stato della tecnica: nozione su cui ruota la novità Configura la novità in termini assoluti ed universali Comprende qualsiasi conoscenza o fatto messo a disposizione del pubblico in

qualsiasi modo prima del deposito della domanda La sua stensione territoriale è assoluta (nel territorio dello Stato o all’Estero) La sua estensione temporale arriva fino al giorno precedente la data di

deposito della domanda di brevetto.

Le cause di esclusione della novità: le anteriorità le predivulgazioni Divulgazione: Qualsiasi comunicazione al pubblico fatta con qualsiasi mezzo Esempi: Notizie per mezzo della radio, della televisione o di mezzi di registrazione Libri, articoli e pubblicazioni sia a stampa sia on-line Comunicazioni stampate (es. volantini pubblicitari) Brevetti Comunicazioni a congressi (orali, poster, diapositive ecc.) Tesi di laurea Informazioni a terzi Prodotto o metodo reso disponibile al pubblico prima della data di deposito

per esempio mediante esposizione in fiera (solo le caratteristiche visibili) Comunicazione ad un solo destinatario (anche colleghi)? La possibilità

meramente astratta di conoscenza Vendita di un solo esemplare (o di pochi esemplari) incorporante

l’invenzione? Semplice offerta del prodotto in vendita? Campioni in prova? La divulgazione abusiva? Gli indizi di originalità. Il giudizio di originalità presenta inevitabilmente margini ampi di

discrezionalità Esigenza di ancorare il giudizio a dati concreti e verificabili, rendendolo il

più possibile oggettivo Evitare che esso sia condotto in maniera retrospettiva, con il senno del poi

Indizi positivi e negativi a seconda che suggeriscano la presenza o l’assenza

dell’originalità del trovato. Positivi:

i) il progresso tecnico; ii) la cd. mano felice nell’ambito delle invenzioni di selezione

(riguardanti tipicamente il settore chimico) che ricorre ove l’inventore individui subito fra le molte soluzioni di un dato problema tecnico astrattamente prospettabili quella praticabile e così consenta di evitare la lunga, complessa e costosa sperimentazione di tutte le possibili soluzioni alternative;

iii) il superamento di particolari difficoltà (App. Milano 7-3-1980) o di effettivi ostacoli tecnici (Trib.Milano 17-3-1997);

iv) l’esistenza di precedenti tentativi rimasti infruttuosi; v) il successo commerciale conseguito dall’invenzione che con

sicurezza sia riconducibile alle caratteristiche tecniche del prodotto e non a spese pubblicitarie o politiche di prezzo

Negativi:

i) la semplice sostituzione di materiali; ii) le mere modifiche di parti, i mutamenti di forma e di

proporzioni, le inversioni di fasi iii) il mero adattamento dell’invenzione altrui ad un campo

diverso iv) le ipotesi di equivalenza, che si verificano quando al posto

di uno o più elementi di un’invenzione se ne pongono altri, che siano già noti come equivalenti, senza con ciò spostare né tecnicamente né economicamente il risultato tipico della prima, onde qui un’idea inventiva, anche se solo derivata, esula del tutto

CASI CONCRETI Cass. 5112/2003 Trib. Milano Corte di appello di Milano Una società svedese, AKTIEBOLAGET HASSLE, è titolare di un brevetto

europeo (CBE) avente ad oggetto l’OMEOPRAZOLO (principio attivo usato in alcuni farmaci per la cura delle affezioni gastrointestinali).

HASSLE conviene in giudizio la società italiana BETA s.r.l., cessionaria del

ramo di azienda GAMMA, con sede a Milano, per contraffazione. HASSLE allega che la convenuta era INTERMEDIATRICE per l’acquisto del trovato di produzione NON europea da parte di acquirenti cinesi in Cina.

Il prodotto non transita in Italia. Né nel Paese di produzione né in Cina HASSLE ha alcun brevetto.

DIFESA DI BETA s.r.l. Il principio di territorialità del brevetto Il prodotto non è fabbricato, né importato, né venduto in Italia LA DECISIONE DEI GIUDICI Solo il titolare ha la facoltà di ATTUARE l’invenzione Questa facoltà va intesa in senso ampio Qualunque utilità dall’invenzione brevettata L’illecito profitto è ottenuto in Italia perché il ramo di azienda

(contraffattore) è situato in Italia…e tanto basta. Non rileva in questo caso il luogo di produzione e/o inserimento nel mercato. In materia autorale occorre prestare attenzione in particolare alle

seguenti questioni. Il cessionario del ramo di azienda e l’inesistenza di un registro pubblico

esaustivo e neppure una banca dati. Il cessionario del ramo di azienda che realizza prodotti contrassegnati da un

marchio figurativo.

Il cessionario del ramo di azienda che subentra nel contratto di licenza relativo ad immagini reperite su internet.

ALFA offre in licenza (esclusiva o non esclusiva) una serie di opere

dell’ingegno. Queste opere dell’ingegno raffigurano anche autoveicoli PIAGGIO, FIAT e VW.

ALFA nei contratti di licenza dichiara espressamente di essere il titolare dei diritti d’autore sulle opere dell’ingegno. ALFA è dunque legittimata a licenziarne l’uso.

Quanto ai marchi i contratti di licenza prevedono che l’Utente Scaricante accetta di indennizzare, di difendere e di liberare da ogni responsabilità ALFA ed i suoi affiliati, per ogni responsabilità dovuta alla trasgressione da parte dell’Utente «per tutte le utilizzazioni dell’Opera, ivi compreso e senza limitazione, i reclami o domande in giustizia seguenti: infrazione o violazione dei

diritti della proprietà intellettuale ». Inoltre, l’Utente scaricante accetta e riconosce che ALFA non è in possesso di liberatorie per proprietari di beni, di titolari di marchi registrati, loghi o altre propri età intellettuali di terze parti che potrebbero essere rappresentate in un'Opera.

Questo significa che se un’immagine (interferisce con diritti IP diversi da quelli autorali la liceità dell’uso commerciale NON è garantita. Sarà responsabilità dell’Utente ottenere l’autorizzazione dei terzi titolari ad esempio di diritto di marchio. Addirittura, il contratto di licenza inserisce poi la clausola secondo cui «L' OPERA È FORNITA “TALE E QUALE” E, SALVO STIPULAZIONE ESPR ESSA IN QUESTO CONTRATTO, NESSUNA PARTE EFFETTUA NE' DICHIARAZIONI NÉ GARANZIE, ESPRESSE O IMPLICITE, CO ME LE GARANZIE IMPLICITE DI QUALITÀ COMMERCIALE O DI ATTITUDINE AD UN IMPIEGO PARTICOLARE».

Il quadro deve essere completato alla luce di altre due disposizioni del

contratto di licenza. Questo, infatti, prevede che il foro competente a dirimere ogni controversia tra le parti è quello di New York e che la legge applicabile è parimenti quella dello Stato di New York, senza tenere conto dei principi del diritto internazionale privato.

Dunque, nei rapporti tra le parti, ogni aspetto legato alla possibile contraffazione (realizzata in Italia o in Europa) da parte dell’Utilizzatore per avere usato le immagini ALFA va valutato in base alla legge federele USA e a quella statale di New York. Ebbene, la legislazione dello stato di New York appare ancora più permissiva di quella generale federale (§ 2-312 Uniform commercial code) circa la possibilità di derogare la responsabilità del licenziante (ALFA).

Il New York Uniform Commercial Code (che si applica al contratto con ALFA) prevede, nella Section 2-312, la Warranty of Title and Against Infringement. Vero è che secondo questo articolo il venditore garantisce che il «transfer» sia «rightful» e che «the goods shall be delivered free from any security interest or other lien or encumbrance»; ma intanto la garanzia (analogamente a quanto avviene nel generale UCC) può essere derogata da una clausola che «give the buyer reason to know that the person selling does not claim title in himself or that he is purporting to sell only such right or title as he or a third person may have». E poi «a seller who is a merchant regularly dealing in goods of the kind warrants that the goods shall be delivered free of the rightful claim of any third person by way of infringement» solo se non «otherwise agreed».

In sintesi quindi ALFA licenzia solo diritti d’auto re. Non licenzia diritti

diversi di IP (quali marchi o design, ad esempio). L’uso commerciale delle immagini sui teli mare sarebbe dunque contraffazione dei diritti di marchio FIAT, PIAGGIO e VW. A meno di ottenere la licenza d’uso da parte di queste case automoblistiche.

L’eventuale licenza ALFA, il successivo uso non autorizzato dai titolari dei marchi delle immagini relative e quindi la contraffazione realizzata

dall’Utente sarebbero, alla luce del contratto di licenza, sia dal punto di vista penale che civile, nella responsabilità esclusiva dell’Utente. E nel contratto di licenza, per effetto dell’art. 2558 c.c., subentra il cessionario del ramo di azienda (cessione di tutti i contratti per l’esercizio del ramo di azienda).

ABBIAMO VISTO CHE IL CESSIONARIO DEL RAMO DI AZIENDA SUBENTRA NEL

LATO ATTIVO E PASSIVO DEI RAPPORTI GIURIDICI ESISTENTI. PER I DEBITI VALE LA

REGOLA CHE ESSI DEVONO RISULTARE DAI LIBRI CONTABILI OBBLIGATORI. MA CIÒ NON

VALE ANCHE PER I RAPPORTI CON I DIPENDENTI, PER I QUALI SEMPLICEMENTE L’ART. 2112 C.C. PREVEDE CHE IL CESSIONARIO È (CO)OBBLIGATO (SOLIDALE) PER TUTTI I

DEBITI NEI CONFRONTI DEI DIPENDENTI ESISTENTI AL MOMENTO DELLA CESSIONE. EBBENE, DI QUALI DIRITTI DI CREDITO GODONI I DIPENDENTI CHE HANNO CREATO

L’ INNOVAZIONE?

L’art. 64 cpi si occupa delle invenzioni dei dipendenti Si tratta di una norma chiave – ritenuta il punto di riferimento anche per gli

altri diritti di proprietà intellettuale. Norme specifiche per alcune opere dell’ingegno sono previste nella legge sui diritti d’autore (l. 633/1941).

Art. 64 cpi. 1. Quando l'invenzione industriale è fatta nell'esecuzione o nell'adempimento

di un contratto o di un rapporto di lavoro o d'impiego, in cui l'attività inventiva è prevista come oggetto del contratto o del rapporto e a tale scopo retribuita, i diritti derivanti dall'invenzione stessa appartengono al datore di lavoro, salvo il diritto spettante all'inventore di esserne riconosciuto autore.

2. Se non è prevista e stabilita una retribuzione, in compenso dell'attività inventiva, e l'invenzione è fatta nell'esecuzione o nell'adempimento di un contratto o di un rapporto di lavoro o di impiego, i diritti derivanti dall'invenzione appartengono al datore di lavoro, ma all'inventore, salvo sempre il diritto di essere riconosciuto autore, spetta, qualora il datore di lavoro o suoi aventi causa ottengano il brevetto o utilizzino l'invenzione in regime di segretezza industriale, un EQUO

PREMIO per la determinazione del quale si terrà conto dell’ importanza dell'invenzione, delle mansioni svolte e della retribuzione percepita dall'inventore, nonche' del contributo che questi ha ricevuto dall'organizzazione del datore di lavoro. Al fine di assicurare la tempestiva conclusione del procedimento di acquisizione del brevetto e la conseguente attribuzione dell'equo premio all'inventore, puo' essere concesso, su richiesta dell'organizzazione del datore di lavoro interessata, l'esame anticipato della domanda volta al rilascio del brevetto.

3. Qualora non ricorrano le condizioni previste nei commi 1 e 2 e si tratti di invenzione industriale che rientri nel campo di attività del datore di lavoro, quest'ultimo ha il diritto di opzione per l'uso, esclusivo o non esclusivo dell'invenzione o per l'acquisto del brevetto, nonché per la facoltà di chiedere od acquisire, per la medesima invenzione, brevetti all'estero verso corresponsione del canone o del prezzo, da fissarsi con deduzione di una somma corrispondente agli aiuti che l'inventore abbia comunque ricevuti dal datore di lavoro per pervenire all'invenzione. Il datore di lavoro potrà esercitare il diritto di opzione entro tre mesi dalla data di ricevimento della comunicazione dell'avvenuto deposito della domanda

di brevetto. I rapporti costituiti con l'esercizio dell'opzione si risolvono di diritto, ove non venga integralmente pagato alla scadenza il corrispettivo dovuto.

4. Ferma la competenza del giudice ordinario relativa all'accertamento della sussistenza del diritto all'equo premio, al canone o al prezzo, se non si raggiunga l'accordo circa l'ammontare degli stessi, anche se l'inventore è un dipendente di amministrazione statale, alla determinazione dell'ammontare provvede un collegio di arbitratori, composto di tre membri, nominati uno da ciascuna delle parti ed il terzo nominato dai primi due, o, in caso di disaccordo, dal Presidente della sezione specializzata del Tribunale competente dove il prestatore d'opera esercita abitualmente le sue mansioni. Si applicano in quanto compatibili le norme degli articoli 806, e seguenti, del codice di procedura civile.

5. Il collegio degli arbitratori può essere adito anche in pendenza del giudizio di accertamento della sussistenza del diritto all'equo premio, al canone o al prezzo, ma, in tal caso, l'esecutività della sua decisione è subordinata a quella della sentenza sull'accertamento del diritto. Il collegio degli arbitratori deve procedere con equo apprezzamento. Se la determinazione è manifestamente iniqua od erronea la determinazione è fatta dal giudice.

6. Agli effetti dei commi 1, 2 e 3, si considera fatta durante l'esecuzione del contratto o del rapporto di lavoro o d'impiego l'invenzione industriale per la quale sia chiesto il brevetto entro un anno da quando l'inventore ha lasciato l'azienda privata o l'amministrazione pubblica nel cui campo di attività l'invenzione rientra.

Art. 65. Invenzioni dei ricercatori delle università e degli enti pubblici di

ricerca 1. In deroga all'articolo 64, quando il rapporto di lavoro intercorre con un

università o con una pubblica amministrazione avente tra i suoi scopi istituzionali finalità di ricerca, il ricercatore è titolare esclusivo dei diritti derivanti dall'invenzione brevettabile di cui è autore. In caso di più autori, dipendenti delle università, delle pubbliche amministrazioni predette ovvero di altre pubbliche amministrazioni, i diritti derivanti dall'invenzione appartengono a tutti in parti uguali, salvo diversa pattuizione. L'inventore presenta la domanda di brevetto e ne dà comunicazione all'amministrazione.

2. Le Università e le pubbliche amministrazioni, nell'ambito della loro autonomia, stabiliscono l'importo massimo del canone, relativo a licenze a terzi per l'uso dell'invenzione, spettante alla stessa università o alla pubblica amministrazione ovvero a privati finanziatori della ricerca, nonché ogni ulteriore aspetto dei rapporti reciproci.

3. In ogni caso, l'inventore ha diritto a non meno del cinquanta per cento dei proventi o dei canoni di sfruttamento dell'invenzione.

Nel caso in cui le università o le amministrazioni pubbliche non provvedano alle determinazioni di cui al comma 2, alle stesse compete il trenta per cento dei proventi o canoni.

4. Trascorsi cinque anni dalla data di rilascio del brevetto, qualora l'inventore o i suoi aventi causa non ne abbiano iniziato lo sfruttamento industriale, a meno che ciò non derivi da cause indipendenti dalla loro volontà, la pubblica amministrazione di cui l'inventore era dipendente al momento dell'invenzione acquisisce automaticamente un diritto gratuito, non esclusivo, di sfruttare l'invenzione e i diritti patrimoniali ad essa connessi o di farli sfruttare da terzi, salvo il diritto spettante all'inventore di esserne riconosciuto autore.

5. Le disposizioni del presente articolo non si applicano nelle ipotesi di ricerche finanziate, in tutto o in parte, da soggetti privati ovvero realizzate nell'ambito di specifici progetti di ricerca finanziati da soggetti pubblici DIVERSI dall'università , ente o amministrazione di appartenenza del ricercatore.

In ogni caso di invenzione del dipendente, il diritto morale ad essere riconosciuto inventore resta in suo capo Se l’inventore è dipendente di un ente privato o di un ente pubblico senza fini di ricerca la regola è la medesima: il diritto patrimoniale AL RILASCIO del brevetto è tendenzialmente attribuito al datore di lavoro; al lavoratore spetta però una remunerazione Se l’inventore è dipendente di un’UNIVERSITA’ o di un ENTE PUBBLICO DI RICERCA il diritto al rilascio del brevetto è attribuito all’inventore, ma l’ente ha diritto ad una partecipazione ai proventi. L’art. 64 cpi co. 1 e 2 presuppone che in costanza del rapporto di lavoro sia stata realizzata la PARTE DECISIVA dell’invenzione. E non anche il suo momento terminale. Può il lavoratore recedere (dimissioni) dal contratto di lavoro appena realizzata l’invenzione e depositare a proprio nome la domanda di brevetto? Art. 64 co. 6 cpi. Si discute se questa norma sancisca una presunzione assoluta o relativa. In caso di invenzione di azienda (art. 64 co. 2), l’invenzione si innesta casualmente sull’attività del dipendente. Spetta un equo premio. Occorre tenere conto del valore dell’invenzione in quanto brevettata, delle mansioni del lavoratore, della sua retribuzione, del contributo dell’organizzazione aziendale. Per determinare l’equo premio i giudici solitamente usano la cd. “formula tedesca” secondo cui: I = percentuale P del valore V I è l’indennità per il dipendente V è prezzo del consenso per il brevetto (canone di licenza, profitto effettivo, profitto stimato) P è il risultato di tre indici:

1. un valore da uno a sei che cresce al decrescere dell’autonomia del dipendente nella posizione del problema

2. un valore da uno a sei che cresce con il decrescere del contributo dell’impresa all’invenzione

3. un valore da uno ad otto che cresce con lo scendere del dipendente nella scala delle funzioni aziendali di ricerca.

Sommando i tre indici si arriva ad un valore compreso tra tre e venti. Tale valore è poi convertito in una percentuale compresa tra 2 e 100.

L’UNIVERSITA’ L’attuale formulazione è figlia della cd. riforma Tremonti (l. 383/2001). Il ricercatore può presentare la domanda di brevetto ma deve darne notizia all’università. L’università fissa con PROPRIO REGOLAMENTO l’importo massimo che spetta ad essa stessa in caso di licenza del brevetto, lasciando comunque al ricercatore almeno il 50% dei proventi (lordo). Se però l’invenzione è realizzata all’interno di un’attività di ricerca finanziata ANCHE SOLO IN PARTE da terzi, i diritti sull’invenzione spettano all’UNIVERSITA’. E l’università può anche aver stipulato con il finanziatore un contratto secondo cui i diritti passano automaticamente a quest’ultimo. Ma in questo caso al ricercatore spetta un equo premio? La legge non lo dice. Secondo alcuni la nuova disciplina si applica a qualsiasi trovato inventivo realizzato dal ricercatore universitario nel corso della sua attività. Secondo altri (FLORIDIA) la nuova disciplina si applica invece alla sola ricerca «libera», mentre rimarrebbe in vigore la disciplina generale sulle invenzioni dei dipendenti per la ricerca «commissionata» al ricercatore dall'esterno. La ratio di questa scelta interpretativa, oltre che legata alla ricostruzione storica dell'intenzione del legislatore, sarebbe “quella di non disincentivare l'afflusso di finanziamenti esterni alla ricerca universitaria, nella forma di commesse di ricerca”. La ricerca «libera» è quella che non avvenga su commessa di un soggetto esterno all'Università Tuttavia non manca chi dice che libere sono SOLO quelle ricerche che non siano neppure eseguite su deliberazione degli organi decisionali dell'Ateneo, ma siano frutto di spontanea programmazione della propria attività da parte del ricercatore. VANZETTI-DI CATALDO: o l’equo premio è previsto nel contratto tra università e finanziatore o al ricercatore non spetta NULLA. NOTATE CHE IL COMMA 5 dispone: 5. Le disposizioni del presente articolo non si applicano nelle ipotesi di ricerche finanziate, in tutto o in parte, da soggetti privati ovvero realizzate nell'ambito di specifici progetti di ricerca finanziati da soggetti pubblici diversi dall'università, ente o amministrazione di appartenenza del ricercatore.

L’ ACQUIRENTE DEL RAMO DI AZIENDA CHE PRODUCE TRA L’ALTRO PRODOTTI

CONTRASSEGNATI CON IL NOME DEL PRECEDENTE TITOLARE HA DIRITTO DI REGISTRARE

TALE NOME COME MARCHIO? E POTREBBE IMPEDIRE AL CEDENTE DI USARE IL PROPRIO

NOME PER CONTRASSEGNARE ALTRI PRODOTTI? Secondo l’art. 8 cpi, i nomi di persona diversi da quelli di chi chiede la

registrazione possono essere registrati come marchi, purché il loro uso non sia tale da ledere la fama, il credito o il decoro di chi ha diritto di portare tali nomi .

In ogni caso, la registrazione non impedirà a chi abbia diritto al nome di farne

uso nella ditta da lui prescelta (art. 8 cpi). L’unico limite potrebbe essere costituito dall’art. 2557 c.c.: entro il quinquennio e in caso di sviamento della clientela.

Se notori, possono essere registrati o usati come marchio solo dall’avente diritto, o con il consenso di questi: i nomi di persona, i segni usati in campo artistico, letterario, scientifico, politico o sportivo, le denominazioni e sigle di manifestazioni e quelli di enti ed associazioni non aventi finalità economiche, nonché gli emblemi caratteristici di questi.

COSA SUCCEDE SE VIENE CEDUTO UN RAMO DI AZIENDA NEL QUALE I

DIPENDENTI STANNO SVILUPPANDO LA SPERIMENTAZIONE DI UN NUOVO FARMACO? Secondo l’art. 2 cpi i diritti cd. titolati di proprietà industriale si acquistano

mediante brevettazione o mediante registrazione. La brevettazione e la registrazione danno luogo ai titoli di proprietà industriale.

Sono oggetto di brevettazione le invenzioni, i modelli di utilità, le nuove

varietà vegetali. Sono oggetto di registrazione i marchi, i disegni e modelli, le topografie dei

prodotti a seminconduttori.

Sono protetti, ricorrendone i presupposti di legge, i segni distintivi diversi dal marchio registrato, le informazioni aziendali riservate, le indicazioni geografiche e le denominazioni di origine.

L'attività amministrativa di brevettazione e di registrazione ha natura di

accertamento costitutivo e dà luogo a titoli soggetti ad un regime speciale di nullità e decadenza sulla base delle norme contenute nel cpi.

COSA SUCCEDE SE VIENE CEDUTO UN RAMO DI AZIENDA CHE COMPRENDE IL

MARCHIO “X”, OVE PRIMA DELLA CESSIONE IL CEDENTE ABBIA IMMESSO IN COMMERCIO

SUL MERCATO UNO STOCK MOLTO GRANDE DI PRODOTTI CONTRASSEGNATI DAL

MARCHIO, SVENDENDOLI? PUÒ IL CESSIONARIO RECLAMARE DIRITTI SU QUESTI

PRODOTTI? L’art. 5 cpi disciplina il cd. esaurimento dei diritti di proprietà industriale

(analoghe norme si rinvengono per i diritti d’autore). Le facoltà esclusive si esauriscono una volta che i prodotti protetti da un

diritto di proprietà industriale siano stati messi in commercio dal titolare o con il suo consenso nel territorio dello Stato o nel territorio di uno Stato membro della Comunità europea o dello Spazio economico europeo.

Questa limitazione dei poteri del titolare tuttavia non si applica, con riferimento al marchio, quando sussistano motivi legittimi: in particolare quando lo stato del prodotto è modificato o alterato dopo l’immissione in commercio.

COSA SUCCEDE SE VIENE CEDUTO UN RAMO DI AZIENDA DELL’ IMPRESA ALFA,

IN CUI I DIPENDENTI HANNO SVILUPPATO, CONGIUNTAMENTE AI DIPENDENTI

DELL’ IMPRESA BETA, CONTROLLATA DI ALFA, UN’ INVENZIONE CHE È STATA

REGISTRATA PRIMA DELLA CESSIONE? L’art. 6 cpi disciplina la cd. comunione sui diritti. Se un diritto di proprietà industriale appartiene a pi ù soggetti, le facoltà

relative sono regolate, salvo convenzioni in contrario, dalle disposizioni del codice civile relative alla comunione in quanto compatibili.

La comunione dei diritti di proprietà industriale si realizza quando il «diritto

di proprietà industriale appartiene a più soggetti». Questa contitolarità può essere originaria o derivata. La contitolarità originaria si realizza per i diritti titolati ove la privativa sia

stata richiesta da più soggetti con un’unica domanda. La contitolarità derivata si realizza qualora il diritto «sia stato acquistato, pro

quota, da più persone per atto tra vivi, o a causa di morte». L’art. 6 cpi rinvia alle «disposizioni del codice civile relative alla comunione

in quanto compatibili»; e così (tra l’altro) all’art. 1101 c.c. secondo cui «le quote dei partecipanti alla comunione si presumono eguali»

Il cpi pone così una presunzione iuris tantum di uguaglianza delle quote per

tutti i diritti di proprietà industriale appartenenti a più soggetti

Per il caso di invenzione dovuta a più autori tutti dipendenti da enti pubblici di ricerca v. sub art. 65 cpi.

È opinione diffusa che il singolo comunista può cedere la propria quota ex

art. 1103 c.c. In questo quadro tuttavia si discute se sia consentita soltanto la cessione della

quota ad un unico avente causa ovvero se il singolo contitolare possa frazionare liberamente la propria quota tra più aventi causa. (C 00/5281).

In ogni caso gli altri contitolari godono del diritto di prelazione.

Il software: quale tutela? Il modello USA iniziale: il copyright. L’adeguamento della legislazione europea. Il nuovo trend USA: il patent. La prassi dell’EPO. In Italia l’esclusione della brevettabilità del software in quanto tale è stata esplicitata dalla riforma del 1979, con cui il legislatore italiano aderisce alle scelte operate dalla Convenzione di Monaco ed ancor prima dalla legge francese sui brevetti per invenzioni del 1968. Questo divieto di brevettazione sembra ad alcuni Autori irragionevole. Negli ultimi decenni la dottrina sembra ammettere la tutela brevettuale del software alla luce della giurisprudenza dell’EPO e ad un tempo dell’art. 27 TRIPs. La Commissione CE aveva emanato una Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa alla brevettabilità delle invenzioni attuate per mezzo di elaboratori elettronici, del 20.2.2002, in cui il legislatore comunitario immaginava di esplicitare la brevettabilità del software nel quadro dello status quo che la giurisprudenza dell’UEB ha via via consolidato. La relazione di accompagnamento suggeriva che la crescita costante del mercato del software e del suo ruolo nella società dell’informazione meritasse un’adeguata tutela: a tacer d’altro perché l’industria del settore «ha raggiunto uno stadio di maturità» in cui gli investimenti marginali per conseguire nuovi progressi divengono via via più onerosi e le nuove tecnologie rendono progressivamente «più facile che le innovazioni siano copiate».

Il più recente trend nella dottrina europea sembrava però suggerire al legislatore comunitario di rileggere (e correggere) il progetto di brevettabilità del software alla luce della ricerca di un punto di equilibrio fra i contrapposti interssi in campo dei titolari dei diritti e della collettività. Nel corso della procedura di codecisione peraltro il Parlamento ha respinto con 648 voti favorevoli, 14 contrari e 18 astensioni la posizione comune del Consiglio sulla proposta di direttiva sulla brevettabilità dei software.

CASO CONCRETO: i videogames. I videogiochi sono giochi di abilità. Essi sono fruibili attraverso lo schermo del computer o del televisore. Le azioni ed i movimenti del personaggio sono almeno parzialmente governate dal giocatore attraverso l'utilizzo di un software. Gli elementi fondamentali del videogioco sono quindi due: 1. la storia contenuta 2. e il software di gestione. La storia contenuta può essere protetta di per sé dal diritto d’autore. Ma quando questa protezione è concessa? Qui occorre una breve digressione sul tema della proteggibilità della cd. forma interna delle opere dell’ingegno. In ogni caso, anche quando la trama del videogame fosse tutelabile dal diritto d’autore, essa rimarrebbe (come oggetto del diritto d’autore) distinta e non confondibile con il software di gestione. Cosa implica ciò? Il corollario è che quindi storia e software non danno luogo alla creazione di quella che il diritto d'autore configura come opera dell'ingegno creata in comunione. Problema: ma davvero sempre si può palare di trama di un videogame? In molti casi la storia si sviluppa con esiti diversi a seconda del modo con cui il giocatore gestisce il gioco ma, in effetti, si tratta pur sempre di esiti già predisposti da chi ha creato il gioco. L'interattività del giocatore non potrà mai ottenere risultati non previsti a priori. Nella molteplice variabilità delle situazioni, tutte pilotate dal software di gestione, si innesta la creatività dell'autore del videogioco. Ma SARTI dice: non sempre è così. Si pensi a FIFA o PES. In ogni caso, in questo quadro la giurisprudenza riconduce il videogioco all'ambito dell'opera composta da sequenze di immagini in movimento. Si tratta cioè di opera assimilata a quella cimematografica (ed in quanto tale, soggetta all'obbligo di vidimazione quando riprodotta e distribuita su supporti destinati alla vendita od al noleggio). Cassazione penale , sez. III, 06 maggio 1999, n. 1716: deve essere oggetto di verifica in concreto la natura di un videogame, se si tratti di programma per elaboratore (nel quale l'elemento del programma operativo prevalga su quello puramente illustrativo) o se si tratti invece di "supporto contenente sequenze di immagini in movimento". La Cassazione allora propende per la esclusione della classificabilità del videogioco come programma per elaboratore, programma del quale certamente si avvale per operare ma nel quale non deve confondersi il risultato creativo finale.

Invenzioni principali e derivate. La novità intrinseca delle invenzioni industriali postula un grado di creatività ed originalità assoluta rispetto alle cognizioni precedenti? NO Ha invece carattere relativo e può consistere in un progresso o miglioramento delle idee e delle tecniche e consente così la brevettazione (anche) delle invenzioni derivate. In questo quadro le invenzioni «derivate» (o derivative, o dipendenti) di perfezionamento di traslazione e di combinazione sono distinte da quelle autonome o «principali». Esempi: 1. un coordinamento originale ed ingegnoso di elementi e mezzi già conosciuti con risultato tecnicamente nuovo ed economicamente utile (cd. invenzione di combinazione); 2. risoluzione in forme diverse e più convenienti di problemi tecnici precedentemente risolti in altro modo (cd. invenzione di perfezionamento); 3. trasposizione di un principio noto o di una precedente invenzione in un diverso settore e con un diverso risultato finale (cd. invenzione di traslazione) Si tratta però di invenzioni cd. DIPENDENTI .

Le invenzioni chimiche. Il requisito dell’originalità pone problemi particolari nel campo della chimica perché qui a differenza di quanto avviene nel settore della meccanica non esiste un rapporto univoco tra la struttura del trovato e la sua funzione. Il giudizio sulla originalità di un nuovo composto chimico non può essere riferito soltanto alla sua struttura ma è esteso anche alla funzione individuata dall’inventore: sarebbe pertanto sufficiente che vi sia originalità nella struttura o nella funzione perché il nuovo composto sia validamente brevettabile. La ricerca chimica si caratterizza per essere tipicamente indirizzata alla verifica dei possibili ulteriori usi di princìpi, composti e procedimenti noti L’invenzione chimica è originale in tre scenari alternativi. 1. Nel primo scenario l’inventore concepisce un composto di cui non è nota alcuna molecola strutturalmente simile. 2. Nel secondo scenario lo stato della tecnica non comprende procedimenti di preparazione agevolmente adattabili per sintetizzare il nuovo composto.

3. Nel terzo secenario il composto possiede proprietà inattese e diverse da quelle dei composti simili o anche proprietà uguali ma possedute in grado sorprendentemente maggiore o minore.

Biotecnologie

Negli anni Settanta del secolo scorso il microbiologo indiano dr. ANANDA CHAKRABARTY, residente negli USA, utilizzando quattro ceppi diversi di batteri del genere PSEUDOMONAS realizzò, con tecniche di ingegneria genetica (non di DNA ricombinante), un nuovo ceppo di batteri capace di scindere catene di idrocarburi: si riteneva avrebbe reso il petrolio grezzo biodegradabile in acqua marina. Il nuovo batterio inventato dal dr. CHAKRABARTY riuniva in sè le capacità operative dei quattro ceppi preesistenti. Il dr. CHAKRABARTY chiese al PATENT OFFICE americano il rilascio del brevetto. La domanda fu rigettata, perchè – disse il patent office – non può considerarsi invenzione brevettabile un’entità vivente anche se nuova. La CCPA (court of customs and patent appeals) andò però in senso contrario e la CORTE SUPREMA (1980) confermò la possibilità di rilasciare il brevetto. La sentenza espresse un principio mai più messo in discussione negli USA: può essere brevettato ANYTHING UNDER THE SUN THAT IS MADE BY M AN. Resta non brevettabile solo il product of nature. La direttiva 98/44 e la sua attuazione in Italia. Definizioni:

a) «materiale biologico»: un materiale contenente informazioni genetiche, autoriproducibile (p.e. organismi e i microrganismi) o capace di riprodursi in un sistema biologico (p.e. le sequenze di DNA).

b) «procedimento microbiologico»: qualsiasi procedimento nel quale si

utilizzi un materiale microbiologico, che comporta un intervento su materiale microbiologico o che produce un materiale microbiologico. Sono brevettabili (purché abbiano i requisiti di novità e originalità e siano suscettibili di applicazione industriale): a) un materiale biologico, isolato dal suo ambiente naturale o prodotto tramite un procedimento tecnico, anche se preesistente allo stato naturale; b) un procedimento tecnico attraverso il quale viene prodotto, lavorato o impiegato materiale biologico, anche se preesistente allo stato naturale; c) qualsiasi applicazione nuova di un materiale biologico o di un procedimento tecnico già brevettato; d) un'invenzione relativa ad un elemento isolato dal corpo umano o diversamente prodotto, mediante un procedimento tecnico, anche se la sua struttura è identica a

quella di un elemento naturale, a condizione che la sua funzione e applicazione industriale siano concretamente indicate, descritte e specificatamente rivendicate; Sono esclusi dalla brevettabilità: a) il corpo umano, sin dal momento del concepimento ivi compresa la sequenza o la sequenza parziale di un gene; b) i metodi per il trattamento chirurgico o terapeutico del corpo umano o animale e i metodi di diagnosi applicati al corpo umano o animale; c) le invenzioni il cui sfruttamento commerciale è contrario alla dignità umana, all'ordine pubblico e al buon costume, alla tutela della salute, dell'ambiente e della vita delle persone e degli animali, alla preservazione dei vegetali e della biodiversità ed alla prevenzione di gravi danni ambientali d) ogni procedimento tecnologico di clonazione umana; e) i procedimenti di modificazione dell'identità genetica germinale dell'essere umano; f) ogni utilizzazione di embrioni umani, ivi incluse le linee di cellule staminali embrionali umane; g) i procedimenti di modificazione dell'identità genetica degli animali; h) una semplice sequenza di DNA, una sequenza parziale di un gene, utilizzata per produrre una proteina o una proteina parziale, salvo che venga fornita l'indicazione e la descrizione di una funzione utile alla valutazione del requisito dell'applicazione industriale e che la funzione corrispondente sia specificatamente rivendicata. ALCUNE OSSERVAZIONI: alcuni studiosi hanno osservato che per quanto ogni gene (una sequenza di DNA sufficientemente estesa) codifichi una determinata proteina, il rapporto tra i due è solo di tipo «informatico», essendo geni e proteine chimicamente e strutturalmente diversi. In altre parole le proteine non contengono informazioni genetiche, elemento caratterizzante della definizione di materiale biologico di cui all'art. 2 della direttiva e alla regola 23 b CBE; conseguentemente un brevetto che ha per oggetto una proteina non può dirsi «biotecnologico», dovendo essere considerato più correttamente «chimico». La distinzione tra geni e proteine, e tra brevetto biotecnologico e brevetto chimico, non è semplicemente una questione formale, di nomen iuris; da essa è infatti possibile trarre un'importante considerazione: al fine di non rendere superflua la protezione giuridica accordata da CE e UEB alle invenzioni biotecnologiche, è necessario garantire la brevettabilità delle sequenze di DNA in quanto tali, autonomamente rispetto alle proteine codificate. In caso contrario risulterebbe infatti oscuro il significato di tutta la disciplina delle invenzioni biotecnologiche, data la (da sempre) pacifica brevettabilità delle proteine.

Attenzione alla disciplina della CBE: perché la nota alla regola 23 e) CBE spiega che «quando [le sequenze e le sequenze parziali di un gene] sono l'oggetto di un'invenzione, è necessario indicare in particolare quale funzione è svolta dalla sequenza e dalla proteina da essa codificata». In base al regolamento, nella domanda di brevetto per un gene, deve dunque essere indicata non solo la funzione del gene (l'indicazione della proteina codificata) ma anche, sempre, la funzione della proteina codificata (e non rivendicata). L'UEB ha dunque posto un onere ulteriore, rispetto a quanto aveva fatto la CE circa un anno prima, a carico dell'inventore. Questo onere ulteriore non deve comunque essere assolto quando una sequenza di DNA non è utilizzata per la produzione di una proteina, completa o parziale, ma è utilizzata come marker (gli ESTs). In questo caso l'indicazione della concreta applicazione industriale della sequenza dovrebbe consistere semplicemente nell'indicazione del materiale biologico evidenziato dal marker.

L’ ART . 2557 C.C. PONE UN DIVIETO GENERALE DI CONCORRENZA A CARICO

DI CHI ALIENA O AFFITTA L ’AZIENDA . Art. 2557 c.c. Divieto di concorrenza. 1. Chi aliena l'azienda deve astenersi, per il periodo di cinque anni dal

trasferimento, dall'iniziare una nuova impresa che per l’oggetto, l’ubicazione o altre circostanze sia idonea a sviare la clientela dell’azienda ceduta.

2. Il patto di astenersi dalla concorrenza in limiti più ampi di quelli previsti dal comma precedente è valido, purché non impedisca ogni attività professionale dell'alienante. Esso non può eccedere la durata di cinque anni dal trasferimento.

3. Se nel patto è indicata una durata maggiore o la durata non è stabilita, il divieto di concorrenza vale per il periodo di cinque anni dal trasferimento.

4. Nel caso di usufrutto o di affitto dell’azienda il divieto di concorrenza disposto dal primo comma vale nei confronti del proprietario o del locatore per la durata dell'usufrutto o dell'affitto.

5. Le disposizioni di questo articolo si applicano alle aziende agricole solo per le attività ad esse connesse, quando rispetto a queste sia possibile uno sviamento di clientela.

Si tratta di una regola tradizionalmente considerata, sia dalla giurisprudenza

che dalla dottrina, un effetto naturale del contratto perchè strettamente collegata alla causa di questo. Essa garantisce la funzione economico-sociale del negozio, che infatti ha per oggetto non solo beni materiali ed immateriali, ma anche l’avviamento. Causa in concreto.

COSA PUÒ FARE ANCORA LIBERAMENTE L’ALIENANTE? POTREBBE AD ESEMPIO

APRIRE UNA PICCOLA ATTIVITÀ NELLE VICINANZE? Tribunale di Salerno, sezione I, 9 marzo 2010 ha ritenuto che non violerebbe

il divieto di concorrenza posto dall’art. 2557 comma 1 c.c. l’apertura, a distanza di tre anni dalla cessione di azienda, da parte di uno dei soci della società cedente di un’attività di gelateria effettivamente analoga a quella svolta dal cessionario e certamente diretta alla commercializzazione di prodotti rientranti nella stessa tabella merceologica in un luogo distante, secondo nozioni di fatto note, circa un chilometro e mezzo rispetto al luogo in cui si trova l’azienda ceduta, collocandosi le due imprese, entrambe situate lungo la immediata prossimità del mare, caratterizzati da alta densità demografica e da un'elevatissima concentrazione di attività commerciali, di cui varie decine destinate proprio all'esercizio di somministrazione di alimenti e bevande, nella forma di bar, caffè, pasticcerie, gelaterie e simili.

Cass. 2717/2009: va sottolineato quale fattore che evidenzia la violazione

dell’art. 2557 c.c. l’aspetto dell’immediata vicinanza in cui avviene l’apertura da parte dei cedenti di altro negozio trattante gli stessi articoli, specialmente se nel contesto di un piccolo centro.

CHI È IL REALE SOGGETTO OBBLIGATO A RISPETTARE IL DIVIETO DI

CONCORRENZA? SOLO L’ALIENANTE? OPPURE ANCHE LA PERSONA GIURIDICA DIVERSA

DALL 'ALIENANTE, MA RICONDUCIBILE A QUEST’ULTIMO? Ordinanza del Tribunale di Salerno, sezione I, 9 marzo 2010, ha ritenuto che

non violerebbe il divieto di concorrenza posto dall’art. 2557 comma 1 c.c. l’apertura, a distanza di tre anni dalla cessione di azienda, da parte di uno dei soci della società cedente (società in nome collettivo) di un’attività di gelateria effettivamente analoga a quella svolta dal cessionario e certamente diretta alla commercializzazione di prodotti rientranti nella stessa tabella merceologica. Benché le società di persone non siano dotate di personalità giuridica, ad esse deve comunque riconoscersi una forma di soggettività giuridica distinta da quella dei singoli soci, per effetto dalla loro autonomia patrimoniale, che consente la configurazione di un’alterità tra società, da una parte, e soci, dall’altra.

Tuttavia: attenzione alle possibili conseguenze in materia di concorrenza

sleale.

SI TRATTA DI UNA REGOLA ECCEZIONALE SOGGETTA A INTERPRETAZIONE

RESTRITTIVA OPPURE NO, E QUINDI È SUSCETTIBILE DI ESSERE APPLICATA ANCHE A CASI

NON ESPRESSAMENTE PREVISTI? IN PARTICOLARE: SI PUÒ APPLICARE AL CASO DELLA

CESSIONE DI QUOTE? In questo quadro sembra interessante il caso affrontato da Cassazione civile,

sez. I, 4 febbraio 2009, n. 2717. Nel contenzioso di merito era stato accertato che: a) Tizio, Caio, Sempronio e Mevio posseggono ciascuno la quota del 25%

della «Società Orificeria Reggiani s.n.c.»; b) con scrittura privata Tizio e Caio avevano acquistato la quota

rispettivamente di Sempronio e Mevio nella «Società Orificeria Reggiani s.n.c.»; b) alcune settimane dopo detta cessione Sempronio e Mevio (venditori)

avevano intrapreso, nelle immediate vicinanze del negozio, un’attività commerciale avente identico contenuto: lecita o vietata? La ricerca della risposta non è banale.

Possiamo partire da un punto fermo. È sicuramente pacifico in giurisprudenza che l’art. 2557 c.c., comma 1, non costituisce una norma eccezionale e quindi è consentita la sua applicazione in via analogica.

Il ragionamento alla base di tale lettura analogica è il seguente: 1. la cessione del ramo di azienda comporta cessione anche del

relativo AVVIAMENTO: essi formano un TUTT’UNO; 2. occorre quindi evitare che l’alienante si riappropri dell’avviamento

ceduto con il ramo d’azienda; 3. infatti sarebbe molto facile per il venditore danneggiare

l’acquirente sfruttando la sua specifica capacità concorrenziale; 4. il corollario è che il divieto di concorrenza va assicurato in tutti i

casi in cui è ravvisabile la medesima necessità di tutela, che peraltro corrisponde anche ai cd. PRINCIPI GENERALI dell’ordinamento giuridico: buona fede, obbligo del venditore di garantire il pacifico godimento della cosa acquistata, garanzia per evizione ecc..

Cosa significa ciò? Forse che ogni operazione, anche la cessione delle

quote, è una cessione di azienda? Sembra interessante il caso affrontato da Cassazione civile, sez. I, 4 febbraio 2009, n. 2717. Qui la difesa dei convenuti, tra l’altro, aveva cercato di argomentare che un’interpretazione troppo larga della norma porterebbe al seguente risultato: qualsiasi cessione di quote, poichè da inevitabilmente luogo ad una immutazione dell’assetto societario, produce gli stessi effetti della cessione d’azienda, senza tener conto se si sia verificata un’evoluzione nei rapporti gestori dell’azienda.

Una prima soluzione era stata suggerita con la sentenza della Cassazione n.

549 del 1997. La Corte, dopo aver escluso la natura eccezionale dell’art. 2557 c.c., comma 1, ha affermato il principio dell’applicabilità per analogia del divieto di concorrenza anche all’ipotesi di cessione di quote sociali tutte le volte in cui si realizzi, a seguito di tale cessione, non necessariamente totalitaria, la sostituzione di un soggetto con un altro nella gestione dell’azienda, perchè questa è la stessa situazione che si verifica con l’alienazione e che la norma ha inteso disciplinare.

In questa sentenza veniva dunque privilegiato un approccio ASTRATTO alla questione.

La giurisprudenza successiva invece ha gradualmente virato verso un

approccio CONCRETO. E così secondo Cassazione civile, sez. I, 20 marzo 2009, n. 6865, il divieto di concorrenza si applica non solo al caso di vendita dell’azienda in senso stretto e dunque tecnico ma anche a tutte le altre ipotesi in cui si verifica la sostituzione di un imprenditore con un altro nell’esercizio dell’attività. E quindi è compresa l’ipotesi di cessione di sole quote sociali, se il cambio al vertice è la conseguenza diretta della volontà delle parti. È quindi sufficiente la mera cessione di quote societarie se la funzione concreta della vendita risulti essere la sostituzione di un soggetto ad un altro nella conduzione della struttura aziendale.

Su questa linea si assesta anche Cass. 2717/2009, secondo cui il giudice di merito deve accertare, attraverso una verifica condotta con il massimo rigore, se l’equiparazione fra l’ipotesi espressamente contemplata dalla norma (alienazione di azienda) e quella fattualmente meno estesa (cessione di quote) sia in concreto configurabile alla luce di tutte le circostanze. Non più quindi l'equiparabilità in astratto, ma l’accertamento in concreto in ordine all’applicabilità del principio in relazione alla peculiarità del caso in esame.

Ma come si fa a capire in concreto quando la cessione di quote implica anche

la sostituzione nell’esercizio dell’attività? La nozione di sostituzione soggettiva non può prescindere ovviamente dalla

finalità della norma in discussione e degli interessi che essa intende tutelare, costituiti dalla necessità di evitare che l'acquirente venga pregiudicato dall'esercizio dell'attività concorrenziale da parte del cedente con un ingiusto sviamento della clientela in ragione delle conoscenze acquisite in materia dal cedente medesimo. Suggerisce testualmente Cass. 2717/2009: «al di là quindi di ogni considerazione formalistica sulla mancanza di un'effettiva "trasposizione dei poteri gestionali" dai soggetti cedenti ai cessionari, su cui hanno insistito i ricorrenti, si rendeva necessario accertare se, a seguito della cessione delle quote e dell'uscita dalla società dei cedenti, si fosse verificata una situazione comparabile all'ipotesi di alienazione di azienda

sotto il particolare profilo in esame per il quale non rileva il fatto che anche in precedenza i cessionari avessero gestito l'azienda ma solo che, a seguito della cessione, essi fossero portatori di un interesse esclusivo, sostitutivo di quello in precedenza coltivato unitamente ai cedenti, ed avessero così sostanzialmente dato luogo allo stesso fenomeno che la norma ha inteso disciplinare». In questo quadro il passaggio dalla logica in astratto alla logica in concreto sembra risolversi in un escamotage: a seguito della cessione del 50% delle quote, i poteri gestionali, prima esercitati da tutti e quattro i soci, sono stati concentrati nelle mani dei due cessionari, pertanto la Cassazione ha ritenuto che con la completa disponibilità dell’azienda acquisita a seguito della cessione delle quote si era verificata una sostanziale sostituzione dei cessionari nella titolarità esclusiva dell’azienda medesima, dando luogo ad una situazione comparabile all’ipotesi di alienazione.

È POSSIBILE IMMAGINARE CHE IL CEDENTE POSSA VIOLARE L’ART. 2557 ANCHE

ATTRVAERSO UNO STORNO DI DIPENDENTI? Per storno di dipendenti si intende la sottrazione di taluni collaboratori

all’azienda del concorrente per assumerli nella propria. L’opinione prevalente ritiene che in linea di principio la sottrazione di

collaboratori altrui non sia contraria alla corrett ezza professionale, perché la mobilità dei dipendenti corrisponde al diritto del lavoratore a migliorare la propria posizione professionale.

Questo significa ad esempio che non pone in essere CONCORRENZA SLEALE l’impresa che assume collaboratori di concorrenti offrendo remunerazioni o condizioni di lavoro migliori, perchè in questo modo si fa semplicemente ricorso ai mezzi che normalmente muovono il mercato del lavoro.

Ma diventa concorrenza sleale quando viene attuato con modalità di per sé contrarie ai princìpi della correttezza e del libero confronto competitivo. Ad esempio si è ritenuto illecito lo storno finalizzato all’acquisizione di segreti del concorrente o all’acquisizione di notizie utili sulla sua organizzazione.

Si potrebbe invece ritenere che lo storno di dipendenti sia di per sè illecito ex art. 2557 se attuato dal cedente nei confronti dei dipendenti del cessionario, perchè in questo caso è in re ipsa l’effetto di diminuire l’efficienza dell’altrui impresa, di disgregare e disorganizzare l’azienda ceduta, riappropriandosi dell’altrui organizzazione o di suoi nuclei rilevanti e riprendendo per sè l’organizzazione già sperimentata e ceduta, evitando i costi e i rischi necessari per (ri)crearne una nuova.