I edizione Firenze, Torrentino, 1550 - unibg.it · opere degli artisti e • INSEGNARE ai lettori a...

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• I edizione Firenze, Torrentino, 1550• II edizione Firenze, Giunti, 1568

• [1]Vasari, Le Vite, cit., VI, 389-390 (G).

• In questo tempo andando io spesso la sera, finita la giornata, a veder cenare il detto illustrissimo cardinal Farnese, dove erano sempre a trattenerlo con bellissimi et onorati ragionamenti il Molza, Anibal Caro, messer Gandolfo, messer Claudio Tolomei, messer Romolo Amasseo, monsignor Giovio, et altri molti letterati e galantuomini, de’ quali è sempre piena la corte di quel signore, si venne a ragionare, una sera fra l’altre, del Museo del Giovio e de’ ritratti degl’uomini illustri che in quello ha posti con ordine et inscrizioni bellissime; e passando d’una cosa in altra, come si fa ragionando, disse monsignor Giovio avere avuto sempre gran voglia, et averla ancora, d’aggiugnere al Museo et al suo libro degli Elogii un trattato, nel quale si ragionasse degl’uomini illustri nell’arte del disegno, stati da Cimabue insino a’ tempi nostri. Dintorno a che allargandosi, mostrò certo aver gran cognizione e giudizio nelle cose delle nostre arti; ma è ben vero che bastandogli fare gran fascio, non la guardava così in sottile, e spesso, favellando di detti artefici, o scambiava i nomi, i cognomi, le patrie, l’opere, o non dicea le cose come stavano apunto, ma così alla grossa. Finito che ebbe il Giovio quel suo discorso, voltatosi a me, disse il cardinale: “Che ne dite voi, Giorgio, non sarà questa una bell’opera e fatica ?” “Bella, - rispos’io - monsignor illustrissimo, se il Giovio sarà aiutato da chi che sia dell’arte a mettere le cose a’ luoghi loro et a dirle come stanno veramente. Parlo così, perciò che, se bene è stato questo suo discorso maraviglioso, ha scambiato e detto molte cose una per un’altra”.

• [1]Vasari, Le Vite, cit., VI, 389-390 (G).

• “Potrete dunque, - soggiunse il cardinale, pregato dal Giovio, dal Caro, dal Tolomei e dagl’altri - dargli un sunto voi, et una ordinata notizia di tutti i detti artefici, dell’opere loro secondo l’ordine de’ tempi; e così aranno anco da voi questo benefizio le vostre arti”. La qual cosa, ancorché io conoscessi essere sopra le mie forze, promisi, secondo il poter mio, di far ben volentieri. E così messomi giù a ricercare miei ricordi e scritti, fatti intorno a ciò infin da giovanetto per un certo mio passatempo e per una affezione che io aveva a la memoria de’ nostri artefici, ogni notizia de’ quali mi era carissima, misi insieme tutto che intorno a ciò mi parve a proposito, e lo portai al Giovio; il quale, poi che molto ebbe lodata quella fatica, mi disse: “Giorgio mio, voglio che prendiate voi questa fatica di distendere il tutto in quel modo che ottimamente veggio saprete fare, perciò che a me non dà il cuore, non conoscendo le maniere, né sapendo molti particolari che potrete sapere voi: sanzaché, quando pure io facessi, farei il più più un trattatetto simile a quello di Plinio. Fate quel ch’io vi dico, Vasari, perché veggio che è per riuscirvi bellissimo, che saggio dato me ne avete in questa narrazione”. Ma parendogli che io a ciò fare non fussi molto risoluto, me lo fe’ dire al Caro, al Molza, al Tolomei et altri miei amicissimi; per che risolutomi finalmente, vi misi mano con intenzione, finita che fusse, di darla a uno di loro, che, rivedutola et acconcia, la mandasse fuori sotto altro nome che il mio.

• Il racconto di Vasari, ambientato durante il soggiorno romano del pittore per l’esecuzione degli affreschi nella Sala dei cento giorni del Palazzo della Cancelleria (1546).

• Incongruenze notevoli• Francesco Maria Molza era morto nel

1544• Stesura delle Vite solo pochissimi anni

• Vasari faceva distinzione tra la sua opera e quella di Plinio,

• Necessità di conoscere le maniere degli artisti.• Probabilmente vasari voleva far credere di avere

impiegato solo pochi anni.• Le Vite sono nate sono la protezione di

importantissimi letterati.• Realmente Vasari aveva rapporti con Giovio e

Caro, e poi a Firenze stabilì rapporti con Cosimo Bartoli, Pier Francesco Giambullari Carlo Lenzoni Vincenzio Borghini

• Affermazione importante che le vite avevano origini romane, farnesiane, non fiorentine o medicee

• Rapporti con Giovio• La consonanza tra i giudizi gioviani e quelli vasariani

appare con tale evidenza da far presupporre una reciproca influenza tra il letterato e l’artista, del resto ben documentata dagli intensissimi scambi epistolari e dalla collaborazione per gli affreschi nel Palazzo della Cancelleria. Giovio, dunque, pur avendo secondo Vasari “gran cognizione e giudizio nelle cose delle nostre arti”, sembra non aver cura di fatti e precisioni che al pittore appaiono rilevanti.

• Le notizie sull’elaborazione delle Vite si incontrano soprattutto nelle lettere di Paolo Giovio a partire dal 27 novembre 1546.

• Da queste sappiamo che a metà del 1547 l’opera era già stata scritta e attendeva alla sua correzione. Da queste lettere sappiamo anche che Vasari non aveva ancora deciso a chi dedicare l’opera se a Cosimo I de’ Medici o al Papa Giulio III.

• Finito il manoscritto ne inviò copia nel dicembre 1547 a Paolo Giovio e ad Annibal Caro.

• 11 dicembre 1547 Caro Risponde a Vasari (lettere familiari, a cura di A. Greco, II, p. 50):

• “Parmi ancora ben scritta e puramente e con belle avvertenze. Solo vi desidero che se ne lievino certi trasportamenti di parole e certi verbi posti nel fine talvolta per eleganza, che in questa lingua a me generano fastidio. In un’opera simile vorrei la scrittura a punto come il parlare, cioè ch’avesse più tosto del proprio che del metaforico e del pellegrino e del corrente più che de l’affettato. E questo è così veramente, se non in certi pochissimi lochi i quali rileggendo avvertirete ed ammenderete facilmente”.

• Progetto di inserire agli inizi di ogni vita il ritratto degli artisti

• Influenza del museo gioviano

Collaboratori• Vincenzio Borghini• dette un contributo importante alla stampa della

edizione torrentiniana e alla rielaborazione che portò alla II edizione.

• Pier Francesco Giambullari• Cosimo Bartoli• Carlo Lenzoni

• Ma a loro fu dato un incarico tecnico (ortografia, grammatica, tavole , indici ecc.) nessun permesso di apportare modifiche redazionali.

Dedica• Nell’estate del 1549 Vasari decise di dedicare il

volume a Cosimo I de’ Medici

• Ma il 7 febbraio 1550 fu eletto papa Giulio III Giovanni Maria Ciocchi Dal Monte, amico di Vasari.

• Da una lettera di Borghini a Vasari si capisce che i due si rammaricano della scelta frettolosa di Vasari.

• DUNQUE • La Torrentiniana non fu mai pensata né scritta

per Cosimo I de’ Medici

A Firenze• Dal 1550 al 1554 Vasari fu a Roma, ove Giulio

III lo mise in contatto anche con Michelangelo, prima ebbe alcuni incarichi poi ma non riuscì ad ottenere commissioni importanti e tornò ad Arezzo e poi a Firenze

• Dal dicembre 1554 prese stabile servizio per Cosimo I

• Vera svolta della sua vita da allora in poi divenne un intellettuale organico allo stato mediceo

Schema delle singole vite

Prima parte– Introduzione generale– Infanzia e giovinezza– Analisi ambiente e carattere dell’artista

• Parte centrale– Descrizione e valutazione delle opere

• Parte terza– Brevi cenni sugli aiuti e scolari di bottega– Morte ed epitaffio e lodi di quanti hanno conosciuto

l’artista

• Molti aneddoti che derivano dalla lunga tradizione dei decti factique ma che servono ad una miglior comprensione della personalità dell’artista, sulle sue aspirazioni, sui suoi committenti.

• Vasari cerca di spiegarsi cosa un pittore poteva aver pensato, sentito e fatto secondo l’esempio dei grandi storici fiorentini

Fortuna europea della Torrentiniana

• Fortuna internazionale delle Vite• Un esempio importante:• La lettura di T indusse Domenico Lampsonio, un

importante intellettuale di Liegi e tramite lui Lambert Lombart, un grande pittore fiammingo a scrivere a Vasari

• Del carteggio rimangono solo tre lettere, molto importanti per le informazioni con cui Vasari compilò poi la vita di Lombard in Giuntina

Critiche

• Lo stesso Michelangelo reagisce alle Vite.• La biografia di Michelangelo scritta da

Ascanio Condivi afferma infatti la necessità di rettificare alcune falsificazioni correnti con allusione a quelle vasariane.

• Vasari reagisce con durezza ma corresse alcuni errori della sua prima biografia

• Quello della nascita di M. a Firenze• E di altri particolari ripresi dal Condivi

Critiche alla Torrentiniana

• La celebrazione di Michelangelocondannata da Ludovico Dolce, nel Dialogo della pittura intitolato l’Aretino (1557), accusa M. di immoralità, come già aveva fatto Pietro Aretino giudicando il Giudizio universale, accuse che troveranno una sistemazione dottrinaria in Giovanni Andrea Gilio, Dialogo nel quale si ragiona degli errori e degli abusi dei pittori (1564)

Ludovico Dolce

• Per giungere all’esaltazione di Tiziano, usa una tattica avvolgente, cercando di limitare la mitica grandezza di M. affermata nelle Vite.

• A Michelangelo, abile nella scultura e nella precisione anatomica della rappresentazione del corpo umano, contrappone la bellezza e grazia di Raffaello

Rivalutazione di Raffaello• Importanza del giudizio di Vincenzio Borghini, • La Selva di notizie

– Perplessità sull’opera artistica di Michelangelo. – Nel confronto con Raffaello B. mostra di prediligere il

“vaghissimo e divinissimo colorito” di Raffaello e afferma “spesso i tanti muscoli e scorci sforzati e troppa naturalità genera durezza e spiacevolezza”.

– Importanza del colore in pittura contro l’esclusivo rilievo di M.

– Nega che la scultura possa essere “lanterna” della pittura

II edizione• La torrentiniana si esaurì in breve tempo.

• Vasari intanto si era definitivamente affermato come pittore. Nel decennio 1550- 1565 i grandi lavori degli Uffizi e di Palazzo Vecchio lo rendono il primo pittore della corte medicea.

• Insieme con Borghini è inoltre il responsabile di quasi tutte le operazioni artistiche del tempo

Novità II edizione– Opera aperta e più sfrangiata di T– Ritratti dei pittori– Artisti greci e romani– Artisti ancora vivi– Rivalutazione di Raffaello– Viaggi in Italia (1566 Italia centrale e

settentrionale)– Correzioni e aggiunte di varia natura

• 30 biografie aggiunte nella terza parte• Tutte le vite ampliate• Tensione verso la completezza

Novità II edizione– I proemi moraleggianti e letterari di T (rapporto tra

virtù e fortuna, studio e natura, ecc.) vengono eliminati in G

– Cresce invece l’attenzione per gli ambienti in cui operano gli artisti

– I generi considerati di minor importanza

– Idea che esistano vari tipi di perfezione– Idea della perfezione di Michelangelo persiste, ma

anche si fa strada l’idea della fusione delle arti– Vasari mostra lo forzo di documentarsi nella

maniera migliore

SCOPO

• Vasari vuole salvare gli artisti dalla seconda morte, l’oblio.

• Ma Vasari si propone anche di GIUDICARE le opere degli artisti e

• INSEGNARE ai lettori a fare lo stesso• Pertanto prima di inziare la trattazione delle vite

egli ritiene “fare sotto brevità una introduzzione a quelle tre arti nelle quali valsero coloro di chi io debbo scrivere le vite..”

SCOPO

• Introduzione su architettura, scultura e pittura.• Introduzione mostra i “modi dello operare”• Mentre nelle vite i lettori non professionisti

impareranno “dove siano l’opere loro e a conoscere agevolmente la perfezzione o imperfezzione di quelle e discernere tra maniera e maniera”.

• Ambizioso progetto di insegnare a distinguere gli stili, mai fatto neppure in letteratura.

SCOPO• Vasari non mirava a fare un’enciclopedia o una

cronaca ma a realizzare una STORIA secondo i migliori modelli del tempo.

• Egli su esempio degli storici fiorentini, afferma la volontà far intervenire il suo GIUDIZIO.

• Vasari vuole fare una storia• La storia, secondo il modello di Machiavelli e

Giucciardini, era allora un’opera letteraria in cui all’autore era consentito interpretare i fatti anche immaginando i discorsi tenuti dai vari personaggi e ricostruendo ipoteticamente il loro comportamento

SCOPO

• Vasari vuole dunque ricostruire la personalità umana e stilistica dei singoli artisti e insieme un percorso storico durato quasi tre secoli.

• Pertanto scecialmente in T non si trovano tutti gli artisti ma coloro che hanno lasciato un contributo alla rinascita delle arti

Struttura

• L’idea che l’arte attraversi processi evolutivi o involutivi era già stata formulata nell’antichità.

• Plinio il Vecchio• Senocrate di Atene• Duride di Samo

• Tra 400 e 500 rinascita del passato in tutte le arti• Pietro Bembo identifica i modelli delle

composizioni in latino: Cicerone per la prosa e Virgilio per la poesia epica

• Ma per la tradizione volgare propone modelli volgari come Boccaccio e Petrarca

• Ma modelli per le arti figurative?• Giotto identificato come primo pittore moderno• Cennino Cennini scrive che Giotto rimutò l’arte

del dipingere di greco in latino e ridusse al moderno.

• I età• Seconda età• Terza età• Le vite sono la storia di una compatta

tradizione che vuole giungere a superare gli antichi

Origine e decadenza delle arti• Proemio I parte delle Vite

• Le origini• L’arte etrusca• Vasari si pone il problema dell’origine dell’arte e cita

nuovi ritrovamenti archeologici• “la meravigliosa sepoltura di Porsena a Chiusi” non è

molto tempo che si è trovata sottoterra, fra le mura del Labirinto , alcune tegole di terracotta, dentrovi figure di mezzo rilievo tanto eccellenti e di sì bella maniera, che facilmente si può conoscere l’arte non esser cominciata apunto in quel tempo, anzi per la perezzione di que’ lavori , esser più vicina al colmo che al principio”

Il Mausoleo di Porsenna

• è un labirinto di Porsenna conosciuto anche come Labirinto di Plinio o Labirinto della chioccia, Labirinto del Tesoro.

• Plinio il Vecchio, nella sua Naturalis Historia, racconta che il leggendario re etrusco Porsenna fu sepolto in una tomba fastosa all’interno di un inestricabile labirinto; e secondo una leggenda medievale il sarcofago era custodito dentro un cocchio d’oro trainato da 12 cavalli d’oro, vegliato da una chioccia e da 5000 pulcini, d’oro anch’essi.

Il Mausoleo di Porsenna• Per lungo tempo la

tradizione popolare ha identificato il luogo di sepoltura di Porsenna con l’insieme di gallerie che si snodano sotto Chiusi. In realtà si tratta di un acquedotto etrusco, costituito da cunicoli di differenti dimensioni (circa 1 metro di larghezza e 2/5 metri di altezza) e disposti su più livelli, in cui l’acqua, filtrata dalle rocce, veniva raccolta in grandi bacini e prelevata attraverso pozzi.

Chimera• Proemio I parte delle Vite

• La chimera in bronzo trovata nel 1554• Vite II, 11• In questa figura “ben si conosce la perfezzione dell’arte

essere stata anticamente appresso i toscani, come si vede alla maniera etrusca , che elle possino così significare il nome del maestro come d’essa figura, e forse ancora gl’anni secondo l’uso di que’ tempi: la quale figura è oggi per la sua bellezza e antichità stata posta dal signor duca Cosimo nella sala delle stanze nuove del suo palazzo

• Chimera di Arezzo, Museo Archeologico di Firenze

Chimera di Arezzo, Museo Archeologico di Firenze

Fu rinvenuta il 15 novembre 1553 in Toscana durante la costruzione di fortificazioni medicee alla periferia di Arezzo, antica città etrusca e romana. Venne subito reclamata dal granduca di Toscana Cosimo I de' Medici per la sua collezione, che la espose pubblicamente presso il Palazzo Vecchio, nella sala di Leone X. Venne poi trasferita presso il suo studiolo di Palazzo Pitti, in cui, come riportato da Benvenuto Cellini nella sua autobiografia, "il duca ricavava grande piacere nel pulirla personalmente con attrezzi da orafo". Nel 1718 venne poi trasportata nella Galleria degli Uffizi e in seguito fu trasferita nuovamente, nell'odierno Museo archeologico di Firenze

Chimera di Arezzo, Museo Archeologico di Firenze

È alta approssimativamente 80 cm e la sua datazione viene fatta risalire ad un periodo compreso tra l'ultimo quarto del V e i primi decenni del IV secolo a.C. . La statua bronzea rinvenuta ad Arezzo rappresenta infatti la Chimera ferita nell'atto di avventarsi sul suo aggressore, con la testa di capra reclinata e morente a causa delle ferite ricevute.

Dalle notizie del ritrovamento, presenti nell'Archivio di Arezzo, risulta che questo bronzo venisse identificato inizialmente con un leone

Fu Vasari a rintracciare la coda, che inizialmente non era stata trovata e fu ricomposta solo nel ‘’700 grazie a restauro visibile ancora oggi.

Vasari nei suoi Ragionamenti sopra le invenzioni da lui dipinte in Firenze nel palazzo di loro Altezze Serenissime (Firenze 1558, ed Arezzo 1762, pp. 107-8) risponde così ad un interlocutore che gli domanda se si tratta proprio della Chimera di Bellerofonte:

« Signor sì, perché ce n'è il riscontro delle medaglie che ha il Duca mio signore, che vennono da Roma con la testa di capra appiccicata in sul collo di questo leone, il quale come vede V.E., ha anche il ventre di serpente, e abbiamo ritrovato la coda che era rotta fra que' fragmenti di bronzo con tante figurine di metallo che V.E. ha veduto tutte, e le ferite che ella ha addosso, lo dimostrano, e ancora il dolore, che si conosce nella prontezza della testa di questo animale... »

Decadenza

• Mentre sull’arte antica la trattazione di Vasari è assai sommaria, derivata per lo più dalla Naturalis historia di Plinio il Vecchio, alla decadenza dell’arte romana egli dedica una trattazione più approfondita.

• In G la decadenza non viene dunque attribuita soltanto alle invasioni barbariche

Decadenza

Dico adunque, …. che, se bene continuarono l’arti della scultura e della pittura insino alla consumazione de’ dodici Cesari, non però continuarono in quella perfezzione e bontà che avevano avuto innanzi; perché si vede negli edifizii che fecero, succedendo l’uno all’altro, gl’imperatori, che ogni giorno queste arti declinando, venivano a poco a poco perdendo l’intera perfezzione del disegno. E di ciò possono rendere chiara testimonanza l’opere di scultura e d’architettura che furono fat[t]e al tempo di Gostantino in Roma e particularmente l’arco trionfale fattogli dal popolo romano al Colosseo, dove si vede che, per mancamento di maestri buoni, non solo si servirono delle storie di marmo fatte al tempo di Traiano, ma delle spoglie ancora condotte di diversi luoghi a Roma. E chi conosce che i vóti che sono ne’ tondi, cioè le sculture di mezzo rilievo, e parimente i prigioni e le storie grandi e le colonne e le cornici et altri ornamenti fatti prima e di spoglie, sono eccellentemente lavorati, conosce ancora chel’opere le quali furon fatte per ripieno dagli scultori di quel tempo sono goffissime, come sono alcune storiette di figure piccole di marmo sotto i tondi et il basamento da piè, dove sono alcune vittorie, e fra gli archi dalle bande certi fiumi che sono molto goffi e sì fatti che si può crederefermamente che insino allora l’arte della scultura aveva cominciato a perdere del buono; e nondimeno non erano ancora venuti i Gotti e l’altre nazioni barbare e straniere che distrussono insieme con l’Italia tutte l’arti migliori.

•Proemio I parte delle Vite

Ma perché la fortuna, quando ella ha condotto altri al sommo della ruota, o per ischerzo o per pentimento il più delle volte lo torna in fondo, avvenne dopo queste cose che sollevatesi in diversi luoghi del mondo quasi tutte le nazioni barbare contra i Romani, ne seguì fra non molto tempo [I. 74] non solamente lo abbassamento di così grande imperio, ma la rovina del tutto e massimamente di Roma stessa, con la quale rovinarono del tutto parimente gli eccellentissimi artefici, scultori, pittori et architetti, lasciando l’arti - e loro medesimi sotterrate e sommerse fra le miserabili stragi e rovine di quella famosissima città. E prima andarono in mala parte la pittura e la scoltura, come arti che più per diletto che per altro servivano; e l’altra, cioè l’architettura, come necessaria e utile alla salute del corpo, andò continuando, ma non già nella sua perfezzione e bontà. E se non fusse stato che le sculture e le pitture rappresentavano inanzi agl’occhi di chi nasceva di mano in mano coloro che n’erano stati onorati per dar loro perpetua vita, se ne sarebbe tosto spento la memoria dell’une e dell’altre, là dove alcune ne conservarono per l’imagine e per l’inscrizioni poste nell’architetture private e nelle publiche, cioè negli anfiteatri, ne’ teatri, nelle terme, negli aquedotti, ne’ tempii, negli obelisci, ne’ colloss[e]i, nelle piramidi, negli archi, nelle conserve e negli erarii, e finalmente nelle sepulture medesime - delle quali furono distrutte una gran parte da gente barbara et efferata, che altro non avevano d’uomo che l’effigie e ‘l nome.

• Questi fra gli altri furono i Visigoti, i quali, avendo creato Alarico loro re, assalirono l’Italia e Roma e la saccheg[g]iorno due volte e senza rispetto di cosa alcuna. Il medesimo fecero i Vandali venuti d’Affrica con Genserico loro re, il quale, non contento a la roba e prede e crudeltà che vi fece, ne menò in servitù le persone con loro grandissima miseria, e con esse Eudossia moglie stata di Valentiniano imperatore, stato amazzato poco avanti dai suoi soldati medesimi, i quali degenerati in grandissima parte dal valore antico romano, per esserne andati gran tempo innanzi tutti i migliori in Bisanzio con Gostantino imperatore, non avevano più costumi né modi buoni nel vivere. Anzi, avendo perduto in un tempo medesimo i veri uomini e ogni sorte di virtù, e mutato leggi, abito, nomi e lingue, tutte queste cose insieme, e ciascuna per sé, avevano ogni bell’animo e alto ingegno fatto bruttissimo e bassissimo diventare.

Ma quello che sopra tutte le cose dette fu di perdita e danno infinitamente a le predette professioni, fu il fervente zelo della nuova religione cristiana; la quale, dopo lungo e sanguinoso combattimento avendo finalmente con la copia de’ miracoli e con la sincerità delle operazioni abbattuta e annullata la vecchia fede de’ Gentili, mentreché ardentissimamente attendeva con ogni diligenza a levar via eta stirpare in tutto ogni minima occasione donde poteva nascere errore, non guastò solamente o gettò per terra tutte le statue maravigliose e le scolture, pitture, musaici e ornamenti de’ fallaci Dii de’ Gentili, ma le memorie ancora e gl’onori d’infinite persone egregie, alle quali per gl’eccellenti meriti loro da la virtuosissima antichità erono state poste in publico le statue e l’altre memorie. Inoltre, per edificare le chiese a la usanza cristiana, non solamente distrusse i più onorati tempii degli idoli, ma per fare diventare più nobile e per adornare S. Piero, oltre agli ornamenti che da principio avuto avea, spogliò di colonne di pietra la mole d’Adriano, oggi detto Castello S. Agnolo, e molte altre, le quali veggiamo oggi guaste. Et avvengaché la religione cristiana non fa[I. 75]cesse questo per odio che ella avesse con le virtù, ma solo per contumelia et abbattimento degli Dii de’ Gentili, non fu però che da questo ardentissimo zelo non seguisse tanta rovina a queste onorate professioni che se ne perdesse in tutto la forma.

Sarcofago di Elena, madre di Costantino, porfido, 320 d.C., altezza m. 2,42, Roma, Città del Vaticano, Museo Pio-Clementino; b) Sarcofago di Costantina, figlia di Costantino,porfido, 340 d.C., altezza m. 2.25, da Roma, Mausoleo di Santa Costanza, Roma, Città del Vaticano, Museo Pio- Clementino.

• Nel luogo della necropoli dei Goti, il re Teodorico volle erigere il proprio mausoleo. Costruito nel 520, rimase però incompiuto nell'interno e in alcune parti dell'esterno; inoltre, alcuni elementi furono asportati, altri perduti e proprio per questo motivo oggi alcuni tratti del mausoleo risultano di difficile interpretazione.

• Dopo che Ravenna fu presa dal cattolico Belisario, nel 540, le spoglie di Teodorico vennero disperse e il mausoleo trasformato nella chiesa di Santa Maria della Rotonda. La facciata ed il portico furono ricostruiti nel XVI secolo.

• Ravenna Palazzo di Teodorico.

• L'antico edificio in latarizio, che è comunemente conosciuto con il nome di Palazzo di Teodorico, vicino alla chiesa di S.Apollinare Nuovo, viene identificato da alcuni studiosi come un corpo di guardia chiamato anticamente "Calchi" o anche "Sincreston" o Segreteria degli esarchi. E' più probabile che si tratti della facciata del nartece della chiesa altomedievale di S.Salvatore. Inquadrata lateralmente da due lesene, essa presenta un leggero aggetto mediano, nella parte inferiore del quale si apre un grande arco, mentre in quella superiore s'incurva a guisa di balcone un'ampia nicchia. Le parti laterali di quest'avancorpo sono animate in basso da due grandi bifore ed in alto da due loggette cieche, sostenute ciascuna da tre colonnette poggianti su una mensola marmorea.

Decadenza

• La decadenza delle arti viene presentata da Vasari come un fenomeno complesso, diverso per scultura pittura e architettura (che mantiene una sua vitalità).

• Nel XII sec. la rinascita del disegno in Toscana prevede il conseguente miglioramento delle arti che si osserva nel duomo di Pisa iniziato nel 1016

Da cotal principio adunque cominciò a crescere a poco a poco in Toscana il disegno et il miglioramento di queste arti, come si vide l’anno mille e sedici nel dare principio i Pisani alla fabbrica del Duomo loro, perché in quel tempo fu gran cosa mettere mano a un corpo di chiesa così fatto, di cinque navate e quasi tutto di marmo dentro e fuori. Questo tempio, il quale fu fatto con ordine e disegno di Buschetto, greco da Dulicchio, architettore in quell’età rarissimo, fu edificato et ornato dai Pisani d’infinite spoglie condotte per mare (essendo eglino nel colmo della grandezza loro) di diversi lontanissimi luoghi, come ben mostrano le colonne, base, capitegli, cornicioni et altre pietre d’ogni sorte che vi si veggiono.

•Proemio I parte delle Vite

E perché tutte queste cose erano alcune piccole, alcune grandi et altre mezzane, fu grande il giudizio e la virtù di Buschetto nell’accommodarle e nel fare lo spartimento di tutta quella fabbrica, dentro e fuori molto bene accommodata. Et oltre all’altre cose, nella facciata dinanzi con gran numero di colonne accommodò il diminuire del frontespizio molto ingegnosamente, quello di varii e diversi intagli d’altre colonne e di statue antiche adornando, sì come anco fece le porte principali della medesima facciata; fra le quali, cioè allato a quella del Carroccio, fu poi dato a esso Buschetto onorato sepolcro con tre epitaffii,…

•Proemio I parte delle Vite

Vecchio/Antico• Ma perché più agevolmente s’intenda quello che io chiami vecchio

et antico, antiche furono le cose, innanzi a Costantino, di Corinto, d’Atene e di Roma e d’altre famosissime città, fatte fino a sotto Nerone, ai Vespasiani, Traiano, Adriano et Antonino, perciò che l’altre si chiamano vec[c]hie che da S. Salvestro in qua furono poste in opera da un certo residuo de Greci, i quali più tosto tignere che dipignere sapevano. Perché essendo in quelle guerre morti gl’eccellenti primi artefici, come si è detto al rimanente di que’ Greci - vecchi e non antichi - altro non era rimaso che le prime linee in un campo di colore: come di ciò fanno fede oggidì infiniti musaici che per tutta Italia lavorati da essi Greci si veggono per ogni vecchia chiesa di qualsivoglia città d’Italia, e massimamente nel Duomo di Pisa, in San Marco di Vinegia et ancora in altri luoghi; e così molte pitture, continovando, fecero di quella maniera, con occhi spiritati e mani aperte, in punta di piedi, come si vede ancora in S. Miniato fuor di Fiorenza fra la porta che va in sagrestia e quella che va in convento, et in S. Spiritodi detta città tutta la banda del chiostro verso la chiesa;

Sino a qui mi è parso discorrere dal principio della scultura e della pittura, e per avventura più [I. 81] largamente che in questo luogo non bisognava; il che ho io però fatto non tanto traportato dall’affezzione della arte, quanto mosso dal benefizio et utile comune degli artefici nostri; i quali, avendo veduto in che modo ella da piccol principio si conducesse a la somma altezza e come da grado sì nobile precipitasse in ruina estrema e, per conseguente, la natura di questa arte, simile a quella dell’altre che, come i corpi umani, hanno il nascere, il crescere, lo invecchiare et il morire, potranno ora più facilmente conoscere il progresso della sua rinascita e di quella stessa perfezzione dove ella è risalita ne’ tempi nostri. Et a cagione ancora che se mai (il che non acconsenta Dio) accadesse per alcun tempo, per la trascuraggine degli uomini o per la malignità de’ secoli o pure per ordine de’ cieli, i quali non pare che voglino le cose di quaggiù mantenersi molto in uno essere, ella incorresse di nuovo nel medesimo disordine di rovina, possino queste fatiche mie qualunche elle si siano, se elle però saranno degne di più benigna fortuna, per le cose discorse innanzi e per quelle che hanno da dirsi mantenerla in vita o almeno dare animo ai più elevati ingegni di provederle migliori aiuti: tanto che, con la buona volontà mia e con le opere di questi tali, ella abbondi di quelli aiuti et ornamenti de’ quali, siami lecito liberamente dire il vero, ha mancato sino a quest’ora.

Ma tempo è di venire oggimai a la Vita di Giovanni Cimabue, il quale, sì come dètte principio al nuovo modo di disegnare e di dipignere, così è giusto e conveniente che e’ lo dia ancora alle Vite, nelle quali mi sforzerò di osservare il più che si possa l’ordine delle maniere loro più che del tempo. E nel discrivere le forme e le fattezze degl’artefici sarò breve, perché i ritratti loro, i quali sono da me stati messi insieme con non minore spesa e fatica che diligenza, meglio dimostreranno quali essi artefici fussero quanto all’effigie che il raccontarlo non farebbe giamai; e se d’alcuno mancasse il ritratto, ciò non è per colpa mia, ma per non si essere in alcuno luogo trovato. E se i detti ritratti non paressero a qualcuno per avventura simili affatto ad altri che si trovassono, voglio che si consideri che il ritratto fatto d’uno quando era di diciotto o venti anni, non sarà mai simile al ritratto che sarà stato fatto quindici o venti anni poi; a questo si aggiugne che i ritratti dissegnati non somigliano mai tanto bene quanto fanno i coloriti, senzaché gl’intagliatori, che non hanno disegno, tolgono sempre alle figure, per non potere né sapere fare appunto quelle minuzie che le fanno esser buone e somigliare quella perfezzione che rade volte o non mai hanno i ritratti intagliati in legno. Insomma, quanta sia stata in ciò la fatica, spesa e diligenza mia, coloro il sapranno che, leggendo, vedranno onde io gli abbia quanto ho potuto il meglio ricavati, etc.

La rinascita della Pittura

• Cimabue• Giotto

Vita di CimabueVITA DI CIMABUEPittore FiorentinoErano per l’infinito diluvio de’ mali che avevano cacciato al disotto e affogata la misera Italia non solamente rovinate quelle che veramente fabriche chiamar si potevano, ma- quello che importava più - spento affatto tutto il numero degl’artefici, quando, come Dio volle, nacque nella città di Fiorenza l’anno MCCXL, per dar e’ primi lumi all’arte della pittura, Giovanni cognominato Cimabue, della nobil famiglia in que’ tempi d’i Cimabui. Costui crescendo, per esser giudicato dal padre e da altri di bello e acuto ingegno, fu mandato acciò si esercitasse nelle lettere in S. Maria Novella a un maestro suo parente che allora insegnava grammatica a’ novizii di quel convento. Ma Cimabue in cambio d’attendere alle lettere consumava tutto il giorno, come quello che a ciò si sentiva tirato dalla natura, in dipingere in su’ libri et altri fogli, uomini, cavalli, casamenti et altre diverse fantasie. Alla quale inclinazione di natura fu favorevole la fortuna, perché essendo chiamati in Firenze da chi allora governava la città alcuni pittori di Grecia, non per altro che per rimettere in Firenze la pittura più tosto perduta che smarrita, cominciarono fra l’altre opere tolte a far nella città la capella de’ Gondi, di cui oggi le volte e le facciate sono poco meno che consumate dal tempo, come si può vedere in Santa Maria Novella allato alla principale capella, dove ell’è posta.

Cimabue

Onde Cimabue, cominciato a dar principio a questa arte che gli piaceva, fuggendosi spesso dalla scuola stava tutto il giorno a vedere lavorare que’ maestri; di maniera che, giudicato dal padre e da quei pittori in modo atto alla pittura che si poteva di lui sperare, attendendo a quella professione, onorata riuscita, con non sua piccola sodisfazzione fu da detto suo padre acconcio con essoloro. Là dove di continuo esercitandosi, l’aiutò in poco tempo talmente la natura che passò di gran lunga, sì nel disegno come nel colorire, la maniera de’ maestri che gli insegnavano; i quali, non si curando passar più innanti, avevano fatte quelle opre nel modo che elle si veggono oggi, cioè non nella buona maniera greca antica, ma in quella goffa moderna di que’ tempi. E perché, se bene imitò que’ Greci, aggiunse molta perfezzione all’arte levandole gran parte della maniera loro goffa, onorò la sua patria col nome e con l’opre che fece;

• Avendo poi preso a fare per i Monaci di Vallombrosa nella badia di S. Trinita di Fiorenza una gran tavola, mostrò in quella opera, usandovi gran diligenza per rispondere alla fama che già era conceputa di lui, migliore invenzione e bel modo nell’attitudini d’una Nostra Donna ch’e’ fece col Figliuolo in braccio e con molti Angeli intorno che l’adoravano, in campo d’oro; la qual tavola finita, fu posta da que’ monaci in sull’altar maggiore di detta chiesa, donde essendo poi levata per dar quel luogo alla tavola che v’è oggi di Alesso Baldovinetti, fu posta in una capella minor[e] della navata sinistra di detta chiesa.

• Impostazione prospettica trono ormai trecentesco

• Ricerca cromatica raffinata

• 4 profeti: Geremia Abramo David Isaia

• Diversità dei volti

CimabueMadonna di Santa Trinita1285-1286Firenze, Uffizi

• Museo dell'Opera di Santa Croce, Firenze 1272

Essendo dopo quest’opera richiamato Cimabue dallo stesso guardiano ch’e’ gl’aveva fatto l’operedi S. Croce, gli fece un Crocifisso grande in legno che ancora oggi si vede in chiesa; la quale operafu cagione, parendo al guardiano esser stato servito bene, ch’e’ lo conducesse in S. Francesco diPisa loro convento a fare in una tavola un S. Francesco, che fu da que’ popoli tenuto cosa rarissima,conoscendosi in esso un certo che più di bontà, e nell’aria della testa e nelle pieghe de’ panni, chenella maniera greca non era stata usata insin allora da chi aveva alcuna cosa lavorato non pur inPisa, ma in tutta Italia.

Vita di CimabueMa finalmente, essendo vivuto sessanta anni, passò all’altra vita l’anno milletrecento,

avendo poco meno che resuscitata la pittura. Lasciò molti discepoli, e fra gl’altri Giotto che poi fu eccellente pittore; il quale Giotto abitò dopo Cimabue nelle proprie case del suo maestro, nella via del Cocomero. Fu sotter[r]ato Cimabue in S. Maria del Fiore, con questo epitaffio fattogli da uno de’ Nini:CREDIDIT UT CIMABOS PICTURAE CASTRA TENERE.SIC TENUIT VIVENS. NUNC TENET ASTRA POLI.

Non lascerò di dire che se alla gloria di Cimabue non avesse contrastato la grandezza di Giotto suo discepolo, sarebbe stata la fama di lui maggiore, come ne dimostra Dante nella sua Comedia, dove, alludendo nell’undecimo canto del Purgatorio alla stessa inscrizzione della sepoltura, disse:Credette Cimabue nella pittura

tener lo campo, et ora ha Giotto il grido,sì che la fama di colui oscura.Nella dichiarazione de’ quali versi, un comentatore di Dante, il quale scrisse nel tempo

che Giotto vivea e dieci o dodici anni dopo la morte d’esso Dante, cioè intorno agl’anni di Cristo

milletrecentotrentaquattro, dice, parlando di Cimabue, queste proprie parole precisamente: “Fu Cimabue di Firenze pintore nel tempo di l’autore, molto nobile di più che omo sapesse, e con questo

Vita di Cimabue• fue sì arogante e sì disdegnoso, che si per alcuno li fusse a sua

opera posto alcun fallo o difetto, o elli da sé l’avessi veduto (che, come accade molte volte, l’artefice pecca per difetto della materia in che adopra o per mancamento ch’è nello strumento con ch’e’ lavora), immantenente quell’opera disertava, fussi cara quanto volesse. Fu et è Giotto intra li dipintori il più sommo della medesima città di Firenze, e le sue opere il testimoniano a Roma, a Napoli, a Vignone, a Firenze, a Padova et in molte parti del mondo, etc.)” - Il qual comento è oggi appresso il molto reverendo don Vincenzio Borghini, priore degl’Innocenti, uomo non solo per nobiltà, bontà e dottrina chia[I. 87]rissimo, ma anco così amatore et intendente di tutte l’arti migliori che ha meritato esser giudiziosamente eletto dal signor duca Cosimo in Suo luogotenente nella nostra Accademia del Disegno.

Vita di CimabueMa per tornare a Cimabue, oscurò Giotto veramente la fama di lui non altrimenti che un lume grande faccia lo splendore d’un molto minore; perciò che, se bene fu Cimabue quasi prima cagione della rinovazione dell’arte della pittura, Giotto nondimeno, suo creato, mosso da lodevole ambizione et aiutato dal cielo e dalla natura, fu quegli che andando più alto col pensiero aperse la porta della verità a coloro che l’hanno poi ridotta a quella perfezzione e grandezza in che la veggiamo al secolo nostro. Il quale avezzo ogni dì a vedere le maraviglie, i miracoli e l’impossibilità degli artefici in questa arte, è condotto oggimai a tale che di cosa che facciano gli uomini, benché più divina che umana sia, punto non si maraviglia, e buon per coloro che lodevolmente s’affaticano, se in cambio d’essere lodati et ammirati non ne riportassero biasimo e molte volte vergogna.

VITA DI GIOTTO Pittore, Scultore et Architetto Fiorentino

Quell’obligo stesso che hanno gl’artefici pittori alla natura - la qual serve continuamente per essempio a coloro che cavando il buono dalle parti di lei migliori e più belle, di contrafarla et imitarla s’ingegnano sempre - avere, per mio credere, si deve a Giotto pittore fiorentino, perciò che essendo stati sotterrati tanti anni dalle rovine delle guerre i modi delle buone pitture et i dintorni di quelle, egli solo, ancora che nato fra artefici inetti, per dono di Dio quella che era per mala via risuscitò et a tale forma ridusse che si potette chiamar buona. E veramente fu miracolo grandissimo che quella età e grossa et inetta avesse forza d’operare in Giotto sì dottamente, che il disegno, del quale poca o niuna cognizione avevano gl’uomini di que’ tempi, mediante lui ritornasse del tutto in vita.

GiottoE nientedimeno i principii di sì grand’uomo furono l’anno 1276 nel contado di Firenze, vicino alla città quattordici miglia, nella villa di Vespignano, e di padre detto Bondone, lavoratore di terra e naturale persona. Costui, avuto questo figliuolo al quale pose nome Giotto, l’allevò, secondo lo stato suo, costumatamente. E quando fu all’età di dieci anni pervenuto, mostrando in tutti gl’atti ancora fanciulleschi una vivacità e prontezza d’ingegno straordinario che lo rendea grato non pure al padre, ma a tutti quelli ancora che nella villa e fuori lo conoscevano, gli diede Bondone in guardia alcune pecore; le quali egli andando pel podere quando in un luogo e quando in un altro pasturando, spinto dall’inclinazione

Giottodella natura all’arte del disegno, per le lastre et in terra o in su l’arena del continuo disegnava alcuna cosa di naturale overo che gli venisse in fantasia. Onde andando un giorno Cimabue per sue bisogne da Fiorenza a Vespignano, trovò Giotto che, mentre le sue pecore pascevano, sopra una lastra piana e pulita con un sasso un poco apuntato ritraeva una pecora di naturale, senza avere imparato modo nessuno di ciò fare da altri che dalla natura. Per che fermatosi Cimabue tutto maraviglioso, lo domandò se voleva andar a star seco; rispose il fanciullo che contentandosene il padre, anderebbe volentieri.

GiottoDimandandolo dunque Cimabue a Bondone, egli amorevolmente glielo concedette, e si contentò che seco lo menasse a Firenze. Là dove venuto, in poco tempo, aiutato dalla natura et ammaestrato da Cimabue, non solo pareggiò il fanciullo la maniera del maestro suo, ma divenne così buono imitatore della natura che sbandì affatto quella goffa maniera greca, e risuscitò la moderna e buona arte della pittura, introducendo il ritrarre bene di naturale le persone vive, il che più di dugento anni non s’era usato; e se pure si era provato qualcuno, come si è detto di sopra, non gli era ciò riuscito molto felicemente né così bene a un pezzo come a Giotto.

Aneddoto di Giotto1. tema della scoperta del talento2. Ruolo attivo svolto dalla fortuna3. Figura del protettore che sostituisceil padre4. Straordinaria precocità dell’artista

Ascesa sociale del pittoreTopos biograficoConnessione con l’infanzia di Lisippo

Plinio Naturalis historia 34, 61

• “Si narra che Lisippo non abbia avuto maestri. Iniziò come battilame e decise di diventare scultore solo quando udì l’osservazione di un suo conterraneo, il pittore Eupompo di Sicione, il quale richiesto di citare il nome del predecessore di cui fosse seguace, aveva indicato un variegato assortimento di persone, esclamando:”tutti questi”. Col che intendeva dire che solo la natura è degna di essere imitata e non lo stile d qualche artista”.

Vita di CimabueRiempitivo (la vita è priva di fondamenti documentari)

Ma Cimabue in cambio d’attendere alle lettere consumava tutto il giorno, come quello che a ciò si sentiva tirato dalla natura, in dipingere in su’ libri et altri fogli, uomini, cavalli, casamenti et altre diverse fantasie. Alla quale inclinazione di natura fu favorevole la fortuna, perché essendo chiamati in Firenze da chi allora governava la città alcuni pittori di Grecia, non per altro che per rimettere in Firenze la pittura più tosto perduta che smarrita, cominciarono fra l’altre opere tolte a far nella città la capella de’ Gondi, di cui oggi le volte e le facciate sono poco meno che consumate dal tempo, come si può vedere in Santa Maria Novella allato alla principale capella, dove ell’è posta. Onde Cimabue, cominciato a dar principio a questa arte che gli piaceva, fuggendosi spesso dalla scuola stava tutto il giorno a vedere lavorare que’ maestri; di maniera che, giudicato dal padre e da quei pittori in modo atto alla pittura che si poteva di lui sperare, attendendo a quella professione, onorata riuscita, con non sua piccola sodisfazzione fu da detto suo padre acconcio con essoloro.

Beccafumi• VITA DI DOMENICO BECCAFUMI. • PITTORE E MAESTRO DI GETTI SANESE • Quello stesso che per dono solo della natura si vide in Giotto et in alcun altro di

que’ pittori de’ quali avemo infin qui ragionato, si vidde ultimamente in Domenico Beccafumi pittore sanese, perciò che guardando egli alcune pecore di suo padre, chiamato Pacio, e lavoratore di Lorenzo Beccafumi cittadin sanese, fu veduto esercitarsi da per sé, così fanciullo come era, in disegnando quando sopra le pietre e quando in altro modo. Per che avenne che, vedutolo un giorno il detto Lorenzo disegnare con un bastone apuntato alcune cose sopra la rena d’un piccol fiumicello, là dove guardava le sue bestiole, lo chiese al padre, disegnando servirsene per ragazzo et in un medesimo tempo farlo imparare. Essendo adunque questo putto, che allora era chiamato Mecherino, da Pacio suo padre conceduto a Lorenzo, fu condotto a Siena, dove esso Lorenzo gli fece per un pezzo spendere quel tempo che gli avanzava da’ servigii di casa in bottega d’un pittore suo vicino di non molto valore. Tuttavia quello che non sapeva egli, faceva imparare a Mecherino da’ disegni che aveva appresso di sé di pittori eccellenti, de’ quali si serviva ne’ suoi bisogni, come usano di fare alcuni maestri che hanno poco peccato nel disegno. In questa maniera dunque esercitandosi, mostrò Mecherino saggio di dovere riuscire ottimo pittore….

Vita di Andrea dal Castagno• Costui per esser nato in una piccola villetta detta il Castagno, nel

Mugello, contado di Firenze, se la prese per suo cognome quando venne a stare in Fiorenza; il che successe in questa maniera. Essendo egli nella prima sua fanciullezza rimaso senza padre, fu raccolto da un suo zio che lo tenne molti anni a guardare gli armenti per vederlo pronto e svegliato e tanto terribile ch’e’ sapeva far riguardare non solamente le sue bestiuole, ma le pasture et ogni altra cosa che attenesse al suo interesse.

• Continuando adunque in tale esercizio, avvenne che fuggendo un giorno la pioggia, si abbatté a caso in un luogo dove uno di questi dipintori di contado che lavorano a poco pregio dipigneva un tabernacolo d’un contadino. Onde Andrea, che mai più non aveva veduta simil cosa, assalito da una sùbita maraviglia cominciò attentissimamente a guardare e considerare la maniera di tale lavoro; e gli venne sùbito un desiderio grandissimo et una voglia sì spasimata di quell’arte, che senza mettere tempo in mezzo cominciò per le mura e su per le pietre co’ carboni o con la punta del coltello a sgraffiare et a disegnare animali e figure, sì fattamente che e’ moveva non piccola maraviglia in chi le vedeva.

Vita di Andrea dal Castagno• Cominciò dunque a correr la fama tra ‘ contadini di questo

nuovo studio di Andrea; onde pervenendo come volle la sua ventura questa cosa agli orecchi d’un gentiluomo fiorentino chiamato Bernardetto de’ Medici, che quivi aveva sue possessioni, volle conoscere questo fanciullo. E vedutolo finalmente et uditolo ragionare con molta prontezza, lo dimandò se egli farebbe volentieri l’arte del dipintore; e rispondendoli Andrea che e’ non potrebbe avvenirli cosa più grata né che quanto questa mai gli piacesse, a cagione che e’ venisse perfetto in quella ne lo menò con seco a Fiorenza, e con uno di que’ maestri che erano allora tenuti migliori lo acconciò a lavorare. Per il che seguendo Andrea l’arte della pittura e agli studii di quella datosi tutto, mostrò grandissima intelligenza nelle difficultà dell’arte, e massimamente nel disegno.

Andrea SansovinoVITA DI ANDREA DAL MONTE SANSOVINOScultore e Architetto [II. 116] Ancorché Andrea di Domenico Contucci dal Monte Sansovino fusse nato di

poverissimo padre, lavoratore di terra, e levato da guardare gl’armenti, fu nondimeno di concetti tanto alti, d’ingegno sì raro e d’animo sì pronto nell’opere e nei ragionamenti delle difficultà dell’architettura e della prospettiva, che non fu nel suo tempo né il migliore né il più sottile e raro intelletto del suo, né chi rendesse i maggiori dubbii più chiari et aperti di quello che fece egli: onde meritò essere tenuto ne’ suoi tempi da tutti gl’intendenti singolarissimo nelle dette professioni.

Nacque Andrea, secondo che si dice, l’anno MCCCCLX, e nella sua fanciullezza guardando gl’armenti, sì come [II. 117] anco si dice di Giotto, disegnava tutto giorno nel sabbione e ritraeva di terra qualcuna delle bestie che guardava.

Andrea Sansovino

Onde avvenne che passando un giorno dove costui si stava guardando le sue bestiuole un cittadino fiorentino, il quale dicono essere stato Simone Vespucci, podestà allora del Monte, che egli vide questo putto starsi tutto intento a disegnare o formare di terra; per che chiamatolo a sé, poi che ebbe veduta l’inclinazione del putto et inteso di cui fusse figliuolo, lo chiese a Domenico Contucci, e da lui l’ottenne graziosamente, promettendo di volerlo far attendere agli studii del disegno per vedere quanto potesse quella inclinazione naturale aiutata dal continuo studio. Tornato dunque Simone a Firenze, lo pose all’arte con Antonio del Pollaiuolo, appresso al quale imparò tanto Andrea che in pochi anni divenne bonissimo maestro; et in casa del detto Simone al Ponte Vecchio si vede ancora un cartone da lui lavorato in quel tempo, dove Cristo è battuto alla colonna, condotto con molta diligenza; et oltre ciò due teste di terracotta mirabili, ritratte da medaglie antiche: l’una è di Nerone, l’altra di Galba imperatori; le quali teste servivano per ornamento d’un camino: ma il Galba è oggi in Arezzo nelle case di Giorgio Vasari.

Vita di Giotto• Importanza di Vasari per la fortuna critica di Assisi• In particolare nella Giuntina il giudizio critico viene rivisto

sulla base di due viaggi che Vasari compie nel 1563 e 1566

• Nella Torrentiniana solo un piccolo accenno• “Finite queste opere si condusse ad Ascesi a l’opra

cominciata da Cimabue, dove acquistò grandissima fama per la bontà delle figure che in quella opera fece, nelle quali si vede ordine, proporzione, vivezza e facilità donatagli dalla natura e dallo studio accresciuta, perciò che era Giotto studiosissimo e di continuo lavorava”.

• Finite queste cose si condusse in Ascesi, città dell’Umbria, essendovi chiamato da fra’ Giovanni di Muro della Marca allora Generale de’ Frati di San Francesco, dove nella chiesa di sopra dipinse a fresco, sotto il corridor[e] che attraversa le finestre, dai due lati della chiesa, trentadue storie della vita e fatti di San Francesco, cioè sedici per facciata, tanto perfettamente che ne acquistò grandissima fama. E nel vero si vede in quell’opera gran varietà non solamente nei gesti et attitudini di ciascuna figura, ma nella composizione ancora di tutte le storie, senzaché fa bellissimo vedere la diversità degl’abiti di que’ tempi e certe imitazioni et oservazioni delle cose della natura.

• E fra l’altre è bellissima una storia dove uno asetato, nel quale si vede vivo il desiderio dell’acque, bee stando chinato in terra a una fonte con grandissimo e veramente maraviglioso affetto, intantoché par quasi una persona viva che bea. Vi sono anco molte altre cose dignissime di considerazione, nelle quali, per non esser lungo, non mi distendo altrimenti. Basti che tutta questa opera acquistò a Giotto fama grandissima per la bontà delle figure e per l’ordine, proporzione, vivezza e facilità che egli aveva dalla natura, e che aveva mediante lo studio fatto molto maggiore e sapeva in tutte le cose chiaramente dimostrare.

Giotto, Miracolo della Fonte, 1296-1300, Assisi, Basilica Superiore di S. Francesco.

• E perché, oltre quello che aveva Giotto da natura, fu studiosissimo et andò sempre nuove cose pensando e dalla natura cavando, meritò d’esser chiamato discepolo della natura e non d’altri. Finite le sopradette storie, dipinse nel medesimo luogo, ma nella chiesa di sotto, le facciate di sopra dalle bande dell’altar maggiore e tutti quattro gl’angoli della volta di sopra dove è il corpo di S. Francesco, e tutte con invenzioni capricciose e belle. Nella prima è S. Francesco glorificato in cielo, con quelle Virtù intorno che a volere esser perfettamente nella grazia di Dio sono richieste: da un lato l’Ubidienza mette al collo d’un frate che le sta inanzi ginocchioni un giogo, i legami del quale sono tirati da certe mani al cielo, e mostrando con un dito alla bocca silenzio ha gl’occhi a Gesù Cristo che versa sangue dal costato; et in compagnia di questa Virtù sono la Prudenza e l’Umiltà, per dimostrare che dove è veramente l’ubidienza, è sempre l’umiltà e la prudenza che fa bene operare ogni cosa. Nel secondo angolo è la Castità, la quale standosi in una fortissima rocca, non si lascia vincere né da

• regni né da corone né da palme che alcuni le presentano; a’ piedi di costei è la Mondizia che lava persone nude, e la Fortezza va conducendo genti a lavarsi e mondarsi; appresso alla Castità è, da un lato, la Penitenza che caccia Amore alato con una disciplina e fa fuggire la Imondizia.

• Nel terzo luogo è la Povertà, la quale va [I. 122] coi piedi scalzi calpestando le spine: ha un cane che le abbaia dietro e intorno un putto che le tira sassi et un altro che le va accostando con un bastone certe spine alle gambe; e questa Povertà si vede esser quivi sposata da S. Francesco mentre Gesù Cristo le tiene la mano, essendo presenti non senza misterio la Speranza e la Castità.

Nel quarto et ultimo dei detti luoghi è un S. Francesco,pur glorificato, vestito con unatonicella bianca da diacono e come

trionfante in cielo in mezzo a una multitudine d’Angeli che intorno gli fanno coro, con uno stendardonel quale è una croce con settestelle et in alto è lo Spirito Santo.Dentro a ciascuno di questi angoli sono alcune parole latineche dichiarano le storie. Similmente,oltre i detti quattro angoli, sono nelle facciate dalle bande pitture bellissime e da essere veramente tenute in pregio, sì per la perfezzioneche si vede in loro, e sì per essere state con tanta diligenza lavorate che si sono insino a oggi

conservate fresche. In queste storie è il ritratto d’esso Giotto molto ben fatto, e sopra la porta della sagrestia è di mano del medesimo, pur a fresco, un S. Francesco che riceve le stìmate, tanto affettuoso e divoto che a me pare la più eccellente pittura che Giotto facesse in quell’opere, che sono tutte veramente belle e lodevoli.

• Francesco d'Assisi in gloria e l'Allegoria dei tre voti: obbedienza, povertà, castità, opera dipinta da un pittore molto vicino a Giotto, chiamato Maestro delle Vele (1315-20 ca.).

Giotto• Rappresentazione degli affetti• Proemio II parte

• Così si vede che la maniera greca, prima col principio di Cimabue, poi con l’aiuto di Giotto, si spense in tutto, e ne nacque una nuova, la quale io volentieri chiamo maniera di Giotto, perché fu trovata da lui e da’ suoi discepoli, e poi universalmente da tutti venerata et imitata. E si vede in questa levato via il proffilo che ricigneva per tutto le figure, e quegli occhi spiritati e ‘ piedi ritti in punta, e le mani aguzze, et il non avere ombre, et altre mostruosità di que’ Greci, e dato una buona grazia nelle teste e morbidezza nel colorito. E Giotto in particolare fece migliori attitudini alle sue figure, e mostrò qualche principio di dare una vivezza alle teste, e piegò i pan[I. 245]ni che traevano più alla natura che non quegli innanzi, e scoperse in parte qualcosa de lo sfuggire e scortare le figure. Oltre a questo egli diede principio agli affetti, che si conoscesse in parte il timore, la speranza, l’ira e lo amore; e ridusse a una morbidezza la sua maniera, che prima era e ruvida e scabrosa; e se non fece gli occhi con quel bel girare che fa il vivo e con la fine de’ suoi lagrimatoi, et i capegli morbidi, e le barbe piumose, e le mani con quelle sue nodature e muscoli, e gli ignudi come il vero, scusilo la difficultà dell’arte et il non aver visto pittori migliori di lui. E pigli ognuno in quella povertà dell’arte e de’ tempi la bontà del giudizio nelle sue istorie, l’osservanza dell’arie e l’obedienza di un naturale molto facile, perché pur si vede che le figure obbedivano a quel che elle avevano a fare: e perciò si mostra che egli ebbe un giudizio molto buono, se non perfetto.

La rinascita della Scultura

• Nicola Pisano • ( 1220/25 ca - 1278/84). Giovanni Pisano

• “Avendo noi ragionato del disegno e della pittura nella Vita di Cimabue e dell’architettura in quella d’Arnolfo Lapi, si tratterà in questa di Nicola e Giovanni Pisani della scultura e delle fabriche ancora che essi fecero di grandissima importanza; perché certo non solo come grandi e magnifiche, ma ancora come assai bene intese meritano l’opere di scoltura et architettura di costoro d’esser celebrate, avendo essi in gran parte levata via, nel lavorare i marmi e nel fabricare, quella vecchia maniera greca goffa e sproporzionata, et avendo avuto ancora migliore invenzione nelle storie e dato alle figure migliore attitudine”.

Antelami, deposizione 1178

• Pulpito battistero di Pisa 1260

• Nicola Pisano Pulpito del Duomo di Siena,

• 1265-68 ca.

• Trovandosi dunque Nicola Pisano sotto alcuni scultori greci che lavoravano le figure e gl’altri ornamenti d’intaglio del Duomo di Pisa e del tempio di S. Giovanni, e essendo fra molte spoglie di marmi stati condotti dall’armata de’ Pisani alcuni pili antichi, che sono oggi nel Camposanto di quella città, uno ve n’avea fra gl’altri bellissimo, nel quale era sculpita la caccia di Meleacro e del porco calidonio con bellissima maniera, perché così gl’ignudi come i vestiti erano lavorati con molta pratica e con perfettissimo disegno. Questo pilo, essendo per la sua bellezza stato posto dai Pisani nella facciata del Duomo dirimpetto a S. Rocco, allato alla porta del fianco principale, servì per lo corpo della madre della contessa Matelda, se però sono vere queste parole che intagliate nel marmo si leggono:…

Nicola, considerando la bontà di questa opera e piacendogli fortemente, mise tanto studio e diligenza per imitare quella maniera et alcune altre buone sculture che erano in quegl’altri pili antichi, che fu giudicato, non passò molto, il miglior scultore de’ tempi suoi,….

Giovanni Pisano (Pisa 1248 ca - Siena dopo il 1314).

Giovanni Pisano, figlio e allievo di Nicola, collaborò con questi al Pulpito per il Duomo di Siena (1266-68), alla Fonte Maggiore di Perugia (1277-78) e alla decorazione esterna del Battistero di Pisa. Nonostante dai pagamenti per il pulpito del Duomo di Siena Giovanni Pisano

Dal 1302 al 1310 eseguì inoltre il Pulpito per il Duomo di Pisa, ricomposto in luogo nel 1926, in cui esprime intenti dottrinali molto complessi mediante una disposizione architettonica e plastica elaborata: la forma poligonale è stata sostituita da quella circolare, gli archi da mensole e volute, alcune colonne da gruppi di statue. I nove rilievi con Storie di Cristo sono separati da altre figure di profeti.

• Proemio II parte

• Importante rivalutazione dell’arte del Trecento

• Proemio II parte

• Affermazione di programma, cosa sono le Vite, non cronaca ma historia

• Idea dello sviluppo delle arti, ripresa da brani classici

• Valutazione prima età

• Giottino• (Firenze, 1324 – Firenze, 1357)

• (Tommaso di Stefano Fiorentino)

• Stefano Fiorentino• "una maniera tanto

dolcissima e tanto unita, che pare quasi impossibile che in que' tempi fosse fatta".

• Masaccio 1401-1428

• Proemio II parte• Ma nella pittura e scultura in altri tempi• debbe essere accaduto questo tanto simile che, se e’ si scambiassino insieme i nomi, sarebbono• appunto i medesimi casi. Imperò che e’ si vede (se e’ si ha a dar fede a coloro che furono vicini a• que’ tempi, e potettono vedere e giudicare de le fatiche degli antichi) le statue di Canaco esser• molto dure e senza vivacità o moto alcuno, e però assai lontane dal vero; e di quelle di Calamide si• dice il medesimo, benché fussero alquanto più dolci che le predette. Venne poi Mirone, che non• imitò affatto affatto la verità della natura, ma dètte alle sue opere tanta proporzione e grazia che elle• si potevono ragionevolmente chiamar belle. Successe nel terzo grado Policleto e gli altri tanto• celebrati, i quali, come si dice e credere si debbe, interamente le fecero perfette. Questo medesimo• progresso dovette accadere nelle pitture ancora, perché e’ si dice, e verisimilmente si ha a pensare• che fussi così, nell’opere di quelli che con un solo colore dipinsero - e però furon chiamati• monocromati - non essere stata una gran perfezzione. Dipoi nelle opere di Zeusi e di Polignoto e di• Timante o degli altri, che solo ne messono in opera quat[t]ro, si lauda in tutto i lineamenti et i• dintorni e le forme, e senza dubbio vi si doveva pure desiderare qualcosa. Ma poi in Ec[h]ione,• Nicomaco, Protogene et Apelle è ogni cosa perfetta e bellissima e non si può imaginar meglio,• avendo essi dipinto non solo le forme e gli atti de’ corpi eccellentissimamente, ma ancora gli affetti• e le passioni dell’animo.

• Cicerone Bruto• Quis enim eorum qui haec minora animadvertunt non intellegit Canachi

signa rigidiora esse quam ut imitentur veritatem? Calamidis dura illa quidem, sed tamen molliora quam Canachi; nondum Myronis satis ad veritatem adducta, iam tamen quae non dubites pulchra dicere; pulchriora Polycliti et iam plane perfecta, ut mihi quidem videri solent. similis in pictura ratio est: in qua Zeuxim et Polygnotum et Timanthem et eorum, qui non sunt usi plus quam quattuor coloribus, formas et liniamenta laudamus; at in Aetione Nicomacho Protogene Apelle iam perfecta sunt omnia.

• ( Chi infatti, tra coloro che hanno competenza in queste cose di minor conto, non vede che le statue di Canaco sono troppo rigide per rendere l'effetto della realtà? che anche quelle di Calamide sono dure, ma più sciolte di quelle di Canaco? che quelle di Mirone non si avvicinano ancora abbastanza alla naturalezza, e tuttavia le si possono dir belle senza esitazione? che ancora più belle sono quelle di Policleto, ormai perfettamente mature, almeno a mio parere? Lo stesso discorso vale per la pittura: in essa apprezziamo Zeusi, Polignoto, Timante, come pure le figure e il disegno di quanti non usarono più di quattro colori; ma in Ezio ormai portata a piena maturità).

• Vegghinsi le fabriche di que’ tempi, i pilastri, le colonne, le base, i capitegli, e tutte le cornici con i membri difformi, come n’è in Fiorenza in S. Maria del Fiore e nell’incrostatura di fuori di S. Giovanni, a S. Miniato al Monte, nel Vescovado di Fiesole, al Duomo di Milano, a S. Vitale di Ravenna, a S. Maria Maggiore di Roma et al Duomo Vecchio fuore d’Arezzo; dove, ecettuato quel poco di buono rimasto de’ frammenti antichi, non vi è cosa che abbia ordine o fattezza buona.

• Proemio II parte• Filippo Brunelleschi• Francesco di Giorgio Martini• Masaccio• Donatello• Lorenzo Ghiberti

Laonde, chi considererà questo mio discorso vedrà queste tre arti fino qui essere state, come dire, abbozzate, e mancar loro assai di quella perfezzione che elle meritavano: e certo, se non veniva meglio, poco giovava questo miglioramento e non era da tenerne troppo conto. Né voglio che alcuno creda che io sia sì grosso né di sì poco giudizio che io non conosca che le cose di Giotto e di Andrea Pisano e Nino e degli altri tutti - che per la similitudine delle maniere ho messi insieme nella Prima Parte -, se elle si compareranno a quelle di coloro che dopo loro hanno operato, non meriteranno lode straordinaria né anche mediocre: né è che io non abbia ciò veduto quando io gli ho laudati. Ma chi considererà la qualità di que’ tempi, la carestia degli artefici, la difficultà de’ buoni aiuti, le terrà non belle come ho detto io, ma miracolose, et arà piacere infinito di vedere i primi principii e quelle scintille di buono che nelle pitture e sculture cominciavono a risuscitare.

Artisti della seconda età

• Masaccio

Et il medesimo augumento fece in questo tempo la pittura, de la quale l’eccellentissimo Masaccio levò in tutto la maniera di Giotto nelle teste, ne’ panni, ne’ casamenti, negli ignudi, nel colorito, negli scórti che egli rinovò, e messe in luce quella maniera moderna che fu in que’ tempi e sino a oggi è da tutti i nostri artefici seguitata, e di tempo in tempo con miglior grazia, invenzione, ornamenti, arricchita et abbellita, come particularmente si vedrà nelle Vite di ciascuno; e si conoscerà una nuova maniera di colorito, di scorci, d’attitudini naturali, e molto più espress’i moti dell’animo et i gesti del corpo, con cercare di appressarsi più al vero delle cose naturali nel disegno, e le arie del viso che somigliassino interamente gli uomini, sì che fussino conosciuti per chi eglino erano fatti; così cercaron far quel che vedevono nel naturale e non più;

Artisti della seconda età

• Masaccio

e così vennon ad esser più considerate e meglio intese le cose loro, e questo diede loro ardimento di metter regola alle prospettive e farle scortar appunto, come faccevano di rilievo, naturali e in propria forma; e così andarono osservando l’ombre e i lumi, gli sbattimenti e le altre cose difficili, e le composizioni delle storie con più propria similitudine, e tentaron fare i paesi più simili al vero, e gli àlbori, l’erbe, i fiori, l’arie, i nuvoli et altre cose della natura: tanto che si potrà dire arditamente che queste arti sieno non solo allevate, ma ancora ridotte nel fiore della lor gioventù, e da sperare quel frutto che intervenne dipoi, e che in breve elle avessino a venire a la loro perfetta età.

• Filippo Brunelleschi

• L’architettura ritrova le • proporzioni degli antichi• ordinossi che le cose andassino per regola, seguitassino con più ordine

e fussino spartite con misura; crebbesi la forza et il fondamento al disegno, e dèttesi alle cose una buona grazia, e fecesi conoscere l’ec[c]ellenzia di quella arte; ritrovossi la bellezza e varietà de’ capitelli e delle cornici, in tal modo che si vide le piante de’ tempii e degli altri suoi edifizii esser benissimo intese, e le fabriche ornate, magnifiche e proporzionatissime: come si vede nella stupendissima machina della cupola di S. Maria del Fiore di Fiorenza, nella bellezza e grazia della sua lanterna, ne l’ornata, varia e graziosa chiesa di S. Spirito, e nel non manco bello di quella edifizio di S. Lorenzo, …

• Lorenzo Ghiberti: Sacrificio d'Isacco (1401)

Concorso porte del battistero• Il primo trapasso dalla tradizione gotica alla nuova civiltà del Rinascimento

appare quasi emblematicamente rappresentato a Firenze da un memorabile avvenimento senza precedenti nella storia della pubblica committenza. Nel 1401 infatti i Consoli dell'Arte dei Mercanti di Calimala, che sovraintendevano ai lavori del Battistero, bandivano un concorso per la seconda porta di questo (la prima era stata fatta tra il 1330 e il 1336 da Andrea Pisano).

• Poiché nella porta dovevano essere rappresentate delle Storie dell'Antico Testamento, fu dato come tema il Sacrificio di Isacco da realizzare in una formella in bronzo di cui vennero prescritte le dimensioni e la forma dell'incorniciatura mistilinea che dovevano essere eguali a quelle della porta precedente.

I giudici furono 34, di cui 30 "periti", orafi, pittori e scultori e 4 consoli di Calimala e i concorrenti furono 7: Filippo Brunelleschi, Lorenzo Ghiberti, Simone da Colle Val d'Elsa, Niccolò di Luca Spinelli da Arezzo e i senesi Jacopo della Quercia e Francesco di Valdambrino, ma sembra che uno si ritirasse. Si conservano nel Museo Nazionale del Bargello le formelle del Ghiberti(il vincitore) e del Brunelleschi, mentre le altre sono andate perdute.

Concorso porte del battistero• In entrambe appare evidente l'intento di trarre partito dalla forma

dell'incorniciatura sfruttando tutto lo spazio da essa racchiuso: ma mentre nella composizione brunelleschiana tutti gli elementi della parte superiore convergono verso un unico punto rappresentato dalla mano dell'Angelo che energicamente afferra il braccio destro di Abramo facendosi fulcro di un'azione carica di energia e di rapidità fulminea, in quella ghibertesca uno sprone di roccia con andamento sinuoso separa la scena in due episodi indipendenti l'uno dall'altro, ma ben bilanciati nella loro consistenza plastica. Ai ritmi bruschi e spezzati del Brunelleschi, che nella metà inferiore del rilievo colloca senza alcun legame compositivo col nucleo centrale il caprone del sacrificio, il garzone con la cavalcatura e lo “spinario" ispirato ad una famosa immagine classica nel Campidoglio, ilGhiberti, tanto meno sensibile alla violenta drammaticità dell'episodio, contrappone un modellato dell'insieme più fuso ed unitario, senza fratture, ma con dolci e sottili trapassi di piani governati da melodiose rispondenze lineari ancora di ascendenza gotica.

• Filippo Brunelleschi: Sacrificio d'Isacco (1401)

Proemio II parte

• scultura

• per dire prima degli scultori, molto si allontanarono dalla maniera de’ primi, e tanto la migliorarono che lasciorno poco ai terzi; et ebbono una lor maniera tanto più graziosa, più naturale, più ordinata, di più disegno e proporzione, che le loro statue cominciarono a parere pressoché persone vive, e non più statue come le prime…

Proemio II parte

• Scultura Donatello• Ma non mi risolvo in tutto, ancora che fussi ne’

lor tempi, Donato, se io me lo voglia metter fra i terzi, restando l’opre sua a paragone degli antichi buoni: dirò bene che in questa parte si può chiamar lui regola degli altri, per aver in sé solo le parti tutte che a una a una erano sparte in molti; poiché e’ ridusse in moto le sue figure, dando loro una certa vivacità e prontezza che posson stare e con le cose moderne e, come io dissi, con le antiche medesimamente.

Gli artisti del ’400così cercaron far quel che vedevono nel naturale e non più; e così vennon ad esser più considerate e meglio intese le cose loro, e questo diede loro ardimento di metter regola alle prospettive e farle scortar appunto, come faccevano di rilievo, naturali e in propria forma; e così andarono osservando l’ombre e i lumi, gli sbattimenti e le altre cose difficili, e le composizioni delle storie con più propria similitudine, e tentaron fare i paesi più simili al vero, e gli àlbori, l’erbe, i fiori, l’arie, i nuvoli et altre cose della natura: tanto che si potrà dire arditamente che queste arti sieno non solo allevate, ma ancora ridotte nel fiore della lor gioventù, e da sperare quel frutto che intervenne dipoi, e che in breve elle avessino a venire a la loro perfetta età.

Progressione • Ghiberti “fu il primo che cominciasse a imitare le cose degli

antichi Romani, delle quali fu molto studioso, come esser dee chiunche disidera di bene operare”.

• Brunelleschi “ritrovò le cornici antiche, e l’ordine toscano, corintio, dorico et ionico alle primiere forme restituì”.

• Donatello “dilettandosi d’ogni cosa, a tutte le cose mise le mani senza guardare che elle fossero o vili o di pregio. E fu nientedimanco necessariissimo alla scultura il tanto operare di Donato in qualunque spezie di figure, tonde, mez[z]e, basse e bassissime perché, sì come ne’ tempi buoni degli antichi Greci e Romani i molti la fecero venir perfetta, così egli solo, con la moltitudine delle opere, la fece ritornare perfetta e maravigliosa nel secol nostro”.

Lo sviluppo artistico

• Nella prima età le arti erano state a balia• Nella seconda siamo nel fiore della lor

gioventù• Nella terza età maturità

Proemio della terza età• Importanza grandi scoperte archeologiche• Misurare le opere antiche• “il Lacoonte, l’Ercole et il Torso grosso di Belvedere, così la Venere,

la Cleopatra, lo Apollo, et infinite altre, le quali nella lor dolcezza e nelle lor asprezze, con termini carnosi e cavati dalle maggior’ bellezze del vivo, con certi atti che non in tutto si storcono ma si vanno in certe parti movendo, si mostrano con una graziosissima grazia, e furono cagione di levar via una certa maniera secca e cruda e tagliente, che per lo soverchio studio avevano lasciata in questa arte Pietro della Francesca, Lazaro Vasari, Alesso Baldovinetti, Andrea dal Castagno, Pesello, Ercole Ferrarese, Giovan Bellini, Cosimo Rosselli, l’Abate di San Clemente, Domenico del Ghirlandaio, Sandro Botticello, Andrea Mantegna, ….

• I pittori della III età Leonardo, Giorgione, Raffaello, Andrea del sarto, Michelangelo

Grandi scoperteScavi e scoperte di antichità

Grandi scoperte• Laocoonte 14 gennaio 1506

• IMMENSA E IMMEDIATA FORTUNA• Giro vorticoso di lettere con la notizia che

circolano per tutta Italia

• Viaggi a Roma, tentativi di acquisto e poi di copie

Grandi Scoperte

• Il motivo di una fama così immediata non è dovuto solo alla qualità della statua.

• Ma ad un particolare:

• Era la prima statua venuta alla luce che era citata dai testi antichi, in particolare da Plinio il Vecchio

Marcantonio Raimondi

Grandi Scoperte

• Francesco da San Gallo dopo 60 anni racconta l’episodio della scoperta a cui aveva partecipato da fanciullo:

• Io era pochi anni la prima volta ch’io fui a Roma che fu detto al papa che in una vigna presso Santa Maria Maggiore s’era trovato certe statue molto belle. El papa comandò a un palafreniere : “ Va e di’ a Giuliano da San Gallo che subito là vadia a vedere”. Et così subito andò. Et perché Michelagnolo Bonarroti si trovava continuamente a casa ….. mio padre volle ancor lui andasse, ed io così in groppa a mio padre et andammo. Et scesi dove erano le statue e subito mio padre disse: “ Questo è Hilaocoonte, che fa mentione Plinio”.

Grandi Scoperte

• I atto importante della scoperta: • Il riconoscimento

Si riconosce la celebre statua citata da Plinio come una delle più belle di Roma e collocata nella reggia dell’Imperatore Tito.

Cortile ottagono del Belvedere vaticano

Stampa di Hendrick van Schoel 1579Il cortile era collocato dietro l’esedra di nord est

Si crea nel giardino un percorso spettacolare Un susseguirsi di scalinate e di giardini, all’interno di un’architettura sontuosa

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1. Apollo del Belvedere2. Laocoonte3. Venus Felix4. Commodo5. Ercole e Anteo6. Cleopatra

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7. Tevere8. Nilo9. Tigri10. Venere al bagno11. Antinoo12. Torso del Belvedere13. Dioniso

13AldrovandiIndice del volume

L'Apollo del Belvedere è una statua marmorea romana di epoca adrianea eseguita intorno al 130 - 140, copia di un originale greco in bronzo del IV secolo a.C., probabilmente situato nell'agorà di Atene.L'Apollo mostra i caratteri distintivi dell'arte ellenistica, in particolare quella di Prassitele, soprattutto nel contrasto tra il modellato morbido del corpo e la fitta pieghettatura del mantello che forma forti chiaroscuri (come notato e lodato da Winckelmann teorico del Neoclassicismo).

Vaticano, Museo Pio Clementino

Commodo a mo’ di ErcoleCittà del Vaticano,Musei Vaticani, Galleria Chiaramonti, inv. 1314

Autore: Apollonio di Atene. Data: primo secolo avanti Cristo. Dimensioni: calco al vero dall'originale; misura 130 centimetri in altezza. Luogo di conservazione originale: Città del Vaticano, Museo Pio Clementino.