I beluga del San Lorenzo -...

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I beluga del San Lorenzo di Pierre Béland Per quanto dichiarati specie protetta, questi cetacei non riescono ad aumentare di numero, poiché sono falcidiati citi patologie dovute al gravissimo inquinamento di origine industriale N el 1535, durante il suo secondo viaggio in America, l'esplora- tore francese Jacques Cartier risalì il fiume San Lorenzo, guidato da due indiani. Superata la confluenza del fiume Saguenay, venti contrari e cor- renti di marea gli impedirono per tut- to il giorno di proseguire il viaggio e lo costrinsero a gettare l'ancora, al ca- lar della notte, nei pressi di un'isola in mezzo al fiume; il mattino seguente fu sorpreso nel vedere l'imbarcazione cir- condata da grossi marsuini bianchi. Le guide locali dichiararono che quegli a- nimali erano commestibili e che in lin- gua locale il loro nome era Adothuys. Si trattava di beluga, una specie artica di cetacei che vive da millenni nel fiu- me San Lorenzo. Queste piccole balene provviste di denti si inse- diarono nel fiume poco dopo il termine dell'ultima glaciazione; con il riscalda- mento del clima, il livello dell'Atlantico si sollevò, sommergendo buona parte della costa orientale norda- mericana. Le acque andaro- no a coprire un'area vastis- sima, che arrivava quasi fi- no ai Grandi Laghi e ai ter- ritori corrispondenti agli Stati di New York e del Vermont. Molte specie di foche e di cetacei si avven- turarono in questo mare in- terno; poi, col tempo, la terraferma riemerse, il baci- no si disseccò e si definì il corso del San Lorenzo. I beluga e altri cetacei continuarono a risalire l'e- stuario e il corso del fiu- me, ma non scorrazzaro- no a lungo indisturbati. Cir- ca 8500 anni fa, infatti, da sudovest giunsero al fiume alcune tribù nomadi, con- centrandosi in prossimità delle sponde che vedeva- no transitare i beluga nella stagione estiva. Qui quelle popolazioni stabilirono in- sediamenti stagionali, le cui tracce sono ora sepolte nel terreno insieme con le os- sa delle foche e dei belu- ga che furono oggetto delle loro cacce. Nel Seicento navigatori baschi sbarcarono nei pres- si della foce del Saguenay per dare la caccia alle ba- lene e probabilmente ai be- luga; nel secolo successi- vo giunsero commercianti di pellicce e coloni, ai qua- li la pesca assicurava un discreto reddito. Il rappre- sentante della Corona fran- cese diede concessioni per la cattura dei beluga ad al- cuni cacciatori che utiliz- zavano reti fisse a palizza- ta; queste reti, sfruttando la stanca di marea, intrappo- lavano i beluga sulle vaste piane fangose del fiume. Verso il 1721 vi erano già 15 impianti di pesca di questo tipo, su entrambe le sponde del San Lorenzo. Per alcune comunità la caccia al be- luga divenne un modo di vita e il ceta- ceo entrò come protagonista in narra- zioni favolose. Una leggenda racconta che, dopo la cattura di oltre cento belu- ga in un solo giorno, la popolazione di un villaggio si diede a festeggiamenti in un fienile nei pressi del fiume. Rum, whisky e vino tenevano tutti allegri, ri- sate e musica raggiungevano la spiag- gia dove la marea montante aveva co- minciato a lambire le carcasse dei ce- tacei. Verso mezzanotte qualcuno poté scorgere mani scheletriche che cercava- no di afferrare i danzatori; allora tutti si precipitarono fuori dal fienile, scopren- do con sgomento che la marea si era ri- presa le prede della giornata. Dalle ac- que del fiume, nella luce lunare, emer- sero fantasmi dalle sembianze umane che cavalcavano beluga; gli occhi dei cetacei brillavano come carboni arden- ti e i loro sfiatatoi gettavano fiamme, mentre i beluga si allontanavano nella notte lasciando scie luminose sull'ac- qua scura. Nessuno sa quanti beluga siano stati uccisi prima dell'Ottocento; tuttavia si è stimato che tra il 1866 e il 1960 siano stati catturati circa 16 200 beluga, una media di 172 all'anno. Questa cifra fa pensare che all'inizio del XX secolo la popolazione dovesse essere di 5000- -10 000 individui. Quando le catture si diradarono e cadde la domanda di pro- dotti ricavati dai cetacei, il beluga del San Lorenzo fu quasi dimenticato. Si pensa che negli anni settanta rimanes- sero solo 500 individui. Nel 1979 il Governo canadese di- chiarò i beluga specie protetta; tutta- via, nonostante il provvedimento, la lo- ro popolazione non si è minimamente ripresa e si calcola che oggi nel San Lorenzo ci siano ancora soltanto 500 esemplari. La staticità di questo nume- ro rimane in gran parte inspiegata. Al- cuni biologi marini hanno indicato co- me cause un basso tasso riproduttivo all'interno dell'esigua popolazione o il degrado del suo habitat dovuto agli im- pianti idroelettrici. Ma negli ultimi anni io e i miei colleghi abbiamo portato al- la luce un'altra ragione. Vittime dell'inquinamento Le mie ricerche iniziarono nell'au- tunno del 1982, quando mi recai con un veterinario locale, Daniel Martineau, a esaminare la carcassa di un beluga spiaggiatosi sulla sponda del San Lo- renzo. Il cetaceo era relativamente pic- colo, ma nel sole del tardo pomeriggio si stagliava chiaramente su un letto di I beluga che muoiono nel San Lorenzo, come quello nella fotografia la cui carcassa è stata presa all'ar- pione dall'autore, sono spesso vittime degli scarichi tossici delle industrie locali. Quattordici dei cetacei su cui il gruppo di Béland ha effettuato esami mo- stravano carcinomi: più della metà di tutti i tumori maligni mai riscontrati in cetacei, delfini e focene. 90 LE SCIENZE n. 335, luglio 1996 LE SCIENZE n. 335, luglio 1996 91

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  • I belugadel San Lorenzo

    di Pierre Béland

    Per quanto dichiarati specie protetta, questi cetacei non riesconoad aumentare di numero, poiché sono falcidiati

    citi patologie dovute al gravissimo inquinamento di origine industriale

    N

    el 1535, durante il suo secondoviaggio in America, l'esplora-tore francese Jacques Cartier

    risalì il fiume San Lorenzo, guidato dadue indiani. Superata la confluenza delfiume Saguenay, venti contrari e cor-renti di marea gli impedirono per tut-to il giorno di proseguire il viaggio elo costrinsero a gettare l'ancora, al ca-

    lar della notte, nei pressi di un'isola inmezzo al fiume; il mattino seguente fusorpreso nel vedere l'imbarcazione cir-condata da grossi marsuini bianchi. Leguide locali dichiararono che quegli a-nimali erano commestibili e che in lin-gua locale il loro nome era Adothuys.Si trattava di beluga, una specie articadi cetacei che vive da millenni nel fiu-

    me San Lorenzo.Queste piccole balene

    provviste di denti si inse-diarono nel fiume pocodopo il termine dell'ultimaglaciazione; con il riscalda-mento del clima, il livellodell'Atlantico si sollevò,sommergendo buona partedella costa orientale norda-mericana. Le acque andaro-no a coprire un'area vastis-sima, che arrivava quasi fi-no ai Grandi Laghi e ai ter-ritori corrispondenti agliStati di New York e delVermont. Molte specie difoche e di cetacei si avven-turarono in questo mare in-terno; poi, col tempo, laterraferma riemerse, il baci-no si disseccò e si definì ilcorso del San Lorenzo.

    I beluga e altri cetaceicontinuarono a risalire l'e-stuario e il corso del fiu-me, ma non scorrazzaro-no a lungo indisturbati. Cir-ca 8500 anni fa, infatti, dasudovest giunsero al fiumealcune tribù nomadi, con-centrandosi in prossimitàdelle sponde che vedeva-no transitare i beluga nellastagione estiva. Qui quellepopolazioni stabilirono in-sediamenti stagionali, le cuitracce sono ora sepolte nelterreno insieme con le os-sa delle foche e dei belu-ga che furono oggetto delleloro cacce.

    Nel Seicento navigatoribaschi sbarcarono nei pres-si della foce del Saguenayper dare la caccia alle ba-lene e probabilmente ai be-luga; nel secolo successi-vo giunsero commerciantidi pellicce e coloni, ai qua-li la pesca assicurava undiscreto reddito. Il rappre-sentante della Corona fran-cese diede concessioni perla cattura dei beluga ad al-cuni cacciatori che utiliz-zavano reti fisse a palizza-ta; queste reti, sfruttando lastanca di marea, intrappo-lavano i beluga sulle vaste

    piane fangose del fiume. Verso il 1721vi erano già 15 impianti di pesca diquesto tipo, su entrambe le sponde delSan Lorenzo.

    Per alcune comunità la caccia al be-luga divenne un modo di vita e il ceta-ceo entrò come protagonista in narra-zioni favolose. Una leggenda raccontache, dopo la cattura di oltre cento belu-ga in un solo giorno, la popolazione diun villaggio si diede a festeggiamentiin un fienile nei pressi del fiume. Rum,whisky e vino tenevano tutti allegri, ri-sate e musica raggiungevano la spiag-gia dove la marea montante aveva co-minciato a lambire le carcasse dei ce-tacei. Verso mezzanotte qualcuno potéscorgere mani scheletriche che cercava-no di afferrare i danzatori; allora tutti siprecipitarono fuori dal fienile, scopren-do con sgomento che la marea si era ri-presa le prede della giornata. Dalle ac-que del fiume, nella luce lunare, emer-sero fantasmi dalle sembianze umaneche cavalcavano beluga; gli occhi deicetacei brillavano come carboni arden-ti e i loro sfiatatoi gettavano fiamme,mentre i beluga si allontanavano nellanotte lasciando scie luminose sull'ac-qua scura.

    Nessuno sa quanti beluga siano statiuccisi prima dell'Ottocento; tuttavia siè stimato che tra il 1866 e il 1960 sianostati catturati circa 16 200 beluga, unamedia di 172 all'anno. Questa cifra fapensare che all'inizio del XX secolo lapopolazione dovesse essere di 5000--10 000 individui. Quando le catture sidiradarono e cadde la domanda di pro-dotti ricavati dai cetacei, il beluga delSan Lorenzo fu quasi dimenticato. Sipensa che negli anni settanta rimanes-sero solo 500 individui.

    Nel 1979 il Governo canadese di-chiarò i beluga specie protetta; tutta-via, nonostante il provvedimento, la lo-ro popolazione non si è minimamenteripresa e si calcola che oggi nel SanLorenzo ci siano ancora soltanto 500esemplari. La staticità di questo nume-ro rimane in gran parte inspiegata. Al-cuni biologi marini hanno indicato co-me cause un basso tasso riproduttivoall'interno dell'esigua popolazione o ildegrado del suo habitat dovuto agli im-pianti idroelettrici. Ma negli ultimi anniio e i miei colleghi abbiamo portato al-la luce un'altra ragione.

    Vittime dell'inquinamento

    Le mie ricerche iniziarono nell'au-tunno del 1982, quando mi recai con unveterinario locale, Daniel Martineau, aesaminare la carcassa di un belugaspiaggiatosi sulla sponda del San Lo-renzo. Il cetaceo era relativamente pic-colo, ma nel sole del tardo pomeriggiosi stagliava chiaramente su un letto di

    I beluga che muoiono nel San Lorenzo, come quellonella fotografia la cui carcassa è stata presa all'ar-pione dall'autore, sono spesso vittime degli scarichitossici delle industrie locali. Quattordici dei cetaceisu cui il gruppo di Béland ha effettuato esami mo-stravano carcinomi: più della metà di tutti i tumorimaligni mai riscontrati in cetacei, delfini e focene.

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  • Nel passato, lungo il San Lorenzo si effettuava un'intensa at-tività di caccia al beluga, come mostra questa fotografia scat-

    tata nel 1918. Dalle testimonianze storiche si stima che piùdi 16 000 beluga siano stati catturati tra il 1866 e il 1960.

    ,t4z00 11- GOLFO

    DEL SANLORENZO

    OCEANO ATLANTICO

    Lungo le sponde del San Lorenzo si incontrano molte industrie chimiche. Nei belu-ga che vivono in questo fiume si sono trovati circa 25 composti potenzialmente tossi-ci, tra cui i PCB e il DDT e anche il Mirex, pesticida prodotto negli anni settanta vi-cino al lago Ontario, il quale ha contaminato le anguille che migravano verso la focedel San Lorenzo, dove venivano predate dai beluga. I cetacei si addensano presso lafoce del Saguenay in estate (in rosso nella carta) e in inverno (in blu) si disperdono.

    La documentazione fotografica ha aiutato i ricercatori Robert Michaud e NatalieBoudreau a identificare più di 150 beluga che vivono nel San Lorenzo. Monitorandoi cetacei, essi sperano di riuscire a valutare la frequenza con cui le femmine partori-scono e il numero di piccoli che sopravvivono. In questo modo si possono anche sti-mare le dimensioni dei gruppi e studiarne la struttura sociale e gli habitat preferiti.

    ciottoli scuri; appariva bianchissimo eliscio come plastica. Il successivo esa-me autoptico dimostrò che il cetaceoera morto probabilmente per insuffi-cienza renale; i campioni di tessuto ri-velarono una forte contaminazione damercurio e piombo oltre che da policlo-robifenili (PCB), DDT, Mirex e altripesticidi. Più tardi, nella medesima sta-gione, furono rinvenuti due beluga in-tossicati in pari misura.

    In un certo senso questa scoperta nonfu una novità, perché molti scienziatiavevano già documentato livelli elevatidi PCB e DDT nelle foche e nelle fo-cene di altre località. Questi compostiorganoalogenati sono altamente solubi-li nei lipidi e, dal momento che nonvengono metabolizzati nell'organismodell'animale, si accumulano nei tessutiadiposi. Le sostanze chimiche si tra-smettono verso l'alto lungo la catena a-

    limentare, raggiungendo da ultimo lemassime concentrazioni nei predatorifinali. Un'abbondante letteratura ha de-scritto le diverse patologie associate aicomposti organoalogenati, tra cui dan-ni epatici, ulcerazioni gastriche, lesionicutanee e ghiandolari, squilibri ormo-nali. Tuttavia ancora all'inizio degli an-ni ottanta gran parte degli esperti rite-neva che i composti organoalogenaticostituissero un rischio limitato per imammiferi marini.

    Abbiamo continuato comunque i no-stri studi, incuriositi dal fatto che la po-polazione di beluga del San Lorenzofosse rimasta esigua nonostante le mi-sure di protezione. Negli ultimi quindi-ci anni abbiamo registrato 179 decessied esaminato 73 carcasse presso la Fa-coltà di medicina veterinaria dell'Uni-versità di Montreal. Analisi successivehanno confermato che l'intera popola-zione di beluga era fortemente conta-minata da una vasta gamma di sostanzechimiche.

    Le osservazioni patologiche furonosorprendenti: il 40 per cento degli ani-mali presentava tumori, ben 14 dei qua-li erano carcinomi (più della metà ditutti i tumori maligni mai osservati neicetacei); vi era anche un'elevata inci-denza di ulcere gastriche, compresi trecasi di ulcere perforate (condizione pa-tologica mai documentata prima nei ce-tacei), e il 45 per cento delle femmi-ne produceva solo piccole quantità dilatte a causa di infezioni, necrosi e tu-mori delle ghiandole mammarie. Co-muni erano le lesioni alla tiroide e al-le ghiandole surrenali e molti animalisembravano soffrire di una compromis-sione del sistema immunitario: un nu-mero abnorme di essi mostrava infezio-ni da batteri e da protozoi opportunisti,mentre altri presentavano malattie mul-tisistemiche oppure avevano perso identi. Un esemplare si rivelò un veroermafrodita.

    Per contro, i beluga artici non mo-stravano alcuna di queste patologie ecosì pure altre specie di cetacei o di fo-che dello stesso San Lorenzo, benchéintossicate, sia pure in misura minore,dalle stesse sostanze riscontrate nei be-luga. Nei beluga artici i livelli più ele-

    ,93 vati di PCB erano di circa cinque parti..‹.= per milione (ppm), mentre in quelli del

    San Lorenzo le concentrazioni risulta-t} vano fino a cento volte superiori. Gran

    parte dei tessuti conteneva più di 505 ppm, valore che, per la legge canadese,12 basta a classificarli come rifiuti tossici!E_ Abbiamo anche scoperto che le sostan-

    ze tossiche non erano confinate nei de-positi adiposi, come ci si poteva aspet-tare, ma si trovavano in piccole quan-tità nei lipidi presenti in altri tessuti,dove potevano danneggiare più rapida-mente organi vitali.

    Gli effetti degli organoalogenati

    Nonostante le nostre scoperte, moltibiologi marini continuavano a sostene-re che le sostanze tossiche non fosseroresponsabili del declino dei beluga: adetta loro, anche se le malattie e le le-sioni da noi osservate corrispondevanoagli effetti conosciuti di tali sostanzetossiche, non si poteva dare per sconta-ta l'esistenza di una relazione causa-ef-fetto. Per dimostrarla avremmo dovutoindividuare un composto specifico e in-dicare il meccanismo con cui questopoteva provocare una malattia. Abbia-mo allora rivolto la nostra attenzionealla manifestazione patologica più gra-ve, cioè il cancro, la cui incidenza neibeluga è il doppio di quella umana, piùelevata che nei cavalli e nei gatti e sololeggermente più bassa che nei cani. Selimitavamo il nostro confronto ai tipi ditumori più comunemente riscontrati neicetacei - quelli dell'apparato gastrointe-stinale - la loro elevata incidenza eraancora più allarmante, superata solo daquanto era stato osservato in pecore au-straliane e neozelandesi, dove l'elevataincidenza del male è stata attribuita altrattamento dei terreni di pascolo conerbicidi cancerogeni.

    Abbiamo pensato di trovarci di fron-te a un complesso di circostanze inqualche modo analogo. I sedimenti delSaguenay contengono tonnellate di u-na sostanza cancerogena estremamen-te potente, il benzo(a)pirene (BaP), chesi accumula negli invertebrati. Per de-cenni, uno dei complessi di produzionedi alluminio più grandi del mondo hascaricato BaP nel Saguenay.

    Siamo riusciti a dimostrare la pre-senza di questa sostanza nei beluga, ma

    non ci era chiaro come il BaP fosse en-trato nel loro organismo. I beluga han-no tuttavia una particolarità che non siriscontra negli altri cetacei provvisti didenti: oltre a cibarsi di pesci, scavanonei sedimenti del fondo alla ricerca diinvertebrati. Sembrava perciò ragione-vole supporre che il BaP fosse penetra-to nel loro organismo in questo modo eche fosse responsabile dell'elevata inci-denza di cancro, contribuendo in defi-

    nitiva a una diminuzione della popola-zione di beluga del San Lorenzo.

    Gli industriali, naturalmente, non fu-rono d'accordo con le nostre ipotesi e,a onor del vero, i dati sul cancro eranoequivoci. Risultavano colpiti diversi or-gani, come lo stomaco, l'intestino, lavescica, le ghiandole salivari, il fegato,le ovaie e le ghiandole mammarie; disolito, però, l'esposizione a un certo a-gente cancerogeno danneggia uno spe-

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  • Caratteristiche dei beluga

    Spesso i piccoli di beluga nuotano accanto alla madre (a destra). I piccoli presentano alla na-scita una colorazione bruna, ma a poco a poco diventano grigi e infine bianchi con la matu-

    rità. Le femmine adulte di beluga misurano di norma da tre metri e mezzo a quattro metri di lun-ghezza; di rado i maschi più grossi raggiungono i quattro metri e mezzo (esemplare a sinistra). Icetacei comunicano tra loro e si orientano nell'acqua usando un'ampia gamma di suoni, che es-si localizzano e ricevono modificando la forma del melone, organo bulboso del capo. I piccolitraggono nutrimento esclusivamente dal latte materno, che è circa otto volte più ricco di grassidi quello vaccino. Nei beluga del San Lorenzo i lipidi del latte presentano livelli elevati di sostan-ze tossiche; perciò le generazioni successive sono soggette a livelli di contaminazione sempremaggiori.

    OLIO AD ALTA DENSITÀ

    SPORGENZA -FRONTALE

    — SFIATA-TOIO

    1

    OLIOA BASSADENSITÀ

    MELONE

    cifico tessuto. Sembrava così probabileche altre sostanze tossiche fossero cor-responsabili. Dapprima abbiamo presoin considerazione i composti organoa-logenati, le sostanze chimiche più ab-bondanti nei cetacei, che pur non es-sendo direttamente cancerogeni, sonocertamente in grado di alterare l'espres-sione di certi geni. Inoltre in molti ani-mali i composti organoalogenati osta-colano l'attività dei linfociti T killer,cellule immunitarie preposte alla di-struzione delle cellule neoplastiche.

    Per di più, se somministrate speri-mentalmente ad animali durante gli sta-di embrionale e fetale e i primi stadi

    postnatali, tali sostanze provocano alte-razioni dei sistemi nervoso, endocrinoe riproduttivo, oltre a ostacolare la pro-duzione di proteine e cellule del siste-ma immunitario. Era molto probabileche i composti organoalogenati produ-cessero effetti di questo tipo sui ceta-cei, il che avrebbe spiegato perché i be-luga del San Lorenzo vanno soggetti adiversi tipi di cancro e a molte altre pa-tologie. In effetti alcune lesioni osser-vate nei nostri campioni di tessuto sem-bravano l'esito di una condizione diimmunodeficienza.

    Il patologo Sylvain De Guise, cheaveva già effettuato autopsie su decinedi cetacei da noi rinvenuti, si unì algruppo di ricerca diretto da MichelFournier dell'Università del Québec aMontreal, che stava analizzando cam-pioni di sangue di animali vivi per con-tare i diversi tipi di cellule immunitariee verificarne la funzionalità. Abbiamodeciso di usare metodi simili per esami-nare campioni di sangue di cetacei con-taminati alla ricerca di una relazione tralivelli di composti organoalogenati nelplasma e numero e funzionalità dellecellule immunitarie.

    Anzitutto abbiamo dovuto identifica-

    re le cellule immunitarie nel sangue deibeluga e adattare opportunamente i test.A questo fine abbiamo utilizzato cam-pioni di sangue sia di cetacei dell'Arti-co tenuti in cattività al Shedd Aqua-rium di Chicago sia di esemplari liberi,catturati nel loro habitat naturale per iltempo sufficiente a consentire i prelie-vi. Quindi abbiamo adattato i nostrimetodi analitici per misurare piccolequantità di sostanze tossiche presentinel plasma, e abbiamo osservato che lecellule immunitarie dei beluga articisubivano mutazioni quando venivano

    esposte in coltura a composti organoa-logenati. Un recente studio condottonei Paesi Bassi ha dimostrato che le fo-che in cattività subiscono immunosop-pressione quando si cibano di pescecontaminato i cui livelli di sostanze tos-siche sono paragonabili a quelli dei pe-sci del San Lorenzo. Speriamo di poterfornire una risposta definitiva campio-nando un certo numero di cetacei vividel San Lorenzo nell'immediato futuro.

    Siamo particolarmente interessati adeterminare i livelli minimi di compo-sti organoalogenati che provocano ef-fetti dannosi. Tutti i cetacei e le fochedel sistema fluviale del San Lorenzo

    presentano in vario grado contamina-zione da composti organoalogenati, main nessuna specie si osservano dannigravi come quelli mostrati dai beluga.Sappiamo che al crescere delle dimen-sioni i livelli di sostanze tossiche tipi-camente sono più bassi: così, per esem-pio, il cetaceo più piccolo, la focenacomune, è il più contaminato, mentre ilpiù grande, la balenottera azzurra, è ilmeno colpito. Il motivo è che un ceta-ceo piccolo necessita di una maggiorequantità di cibo per unità di peso cor-poreo rispetto a uno più grande. Inoltre

    la focena comune si nutre di pesci, chesi trovano nella parte alta della catenaalimentare (dove si concentrano i com-posti organoalogenati), mentre la bale-nottera azzurra consuma plancton.

    I beluga sono in effetti molto piùcontaminati di quanto farebbe presume-re la loro taglia, fatto che inizialmenteci pareva alquanto sconcertante. Cono-scendo il contenuto in sostanze tossicheper unità di peso di tessuto adiposo, ab-biamo calcolato la quantità totale diciascun composto sull'intera popola-zione di 500 individui. Tenendo contodi tutto il cibo introdotto in oltre 15 an-ni, il nostro modello mostrava che le

    concentrazioni di sostanze tossiche neipesci del fiume erano troppo basse perspiegare il carico totale da noi osserva-to. Molto probabilmente esisteva dun-que un'altra fonte di contaminazione.

    Abbiamo trovato questa fonte cer-cando una particolare sostanza chimica,il Mirex. Eravamo rimasti sorpresi al-l'inizio degli anni ottanta nel trovare,nei cetacei del Canada orientale, questoinsetticida per formiche utilizzato so-prattutto nel sud degli Stati Uniti. Unostudio successivo aveva messo in luceche tutto il Mirex rinvenuto nei beluga

    era prodotto in uno stabilimento chimi-co nello Stato di New York, vicino allago Ontario; esso si diffondeva nel la-go e si accumulava nei tessuti delle an-guille. Ogni ottobre le anguille adultemigrano nell'Atlantico per riprodursi,nuotando dapprima lungo il San Loren-zo e attraversando l'habitat dei beluga.

    Tornando al nostro modello, abbia-mo trovato che, se i beluga si fosserocibati di anguille per soli 10 giorni al-l'anno nel corso di 15 anni, avrebberoassorbito la quantità di Mirex da noi ri-scontrata nei loro tessuti. Il modello in-dicava anche che altre sostanze chimi-che presenti nelle anguille, come i PCB

    e il DDT, spiegavano metà della con-centrazione totale di composti organoa-logenati riscontrata nei beluga.

    Verso la fine degli anni ottanta, seb-bene la quantità di composti organoalo-genati misurati nella fauna dei GrandiLaghi avesse subìto una sostanziale di-minuzione, non si dava una corrispon-dente riduzione nei beluga. In un primomomento ipotizzammo che in questicetacei il miglioramento si sarebbe ve-rificato un po' in ritardo; dopo tutto es-si sono lontani dai Grandi Laghi, siageograficamente sia in termini di cate-

    na alimentare. Alla fine mi venne inmente una spiegazione alternativa, perla verità non molto confortante.

    Fino al 40 per cento del peso corpo-reo di un beluga è rappresentato dagrasso, e circa 1'85 per cento di questograsso è tessuto adiposo nel quale siconcentrano i composti organoalogena-ti. Spesso i livelli di questi ultimi sonopiù elevati in animali molto giovani, incontrasto con l'idea intuitiva secondocui le sostanze tossiche si accumulereb-bero nel corso della vita dell'animale.Abbiamo anche appurato che le femmi-ne sono molto meno contaminate deimaschi. Presi insieme, questi fatti in-dicavano che le femmine trasmettonoquantità significative di sostanze tossi-che ai piccoli, cosa che abbiamo potutodimostrare imbattendoci in alcune fem-mine che erano morte poco dopo averpartorito. Il loro latte conteneva il 35per cento di grassi e, in media, 10 ppmdi PCB, oltre ad altre sostanze tossiche.

    L'eredità tossica del San Lorenzo

    La quantità di sostanze tossiche nellatte era solo circa un terzo di quellache normalmente si trova nel grassodella femmina di beluga, ma è unaquantità impensabile secondo gli stan-dard dell'uomo, per cui qualunque ciboche contenga più di 2 ppm di PCB èconsiderato non idoneo al consumo.Ciò significava anche che le sostanzetossiche venivano trasferite rapidamen-te dalla madre al piccolo; quest'ultimo,da circa 50 chilogrammi alla nascita,passa entro l'anno a 150, cibandosi dicirca quattro chilogrammi di latte algiorno. Ipotizzando che il grasso dellamadre contenga 30 ppm di PCB (emolte femmine adulte ne hanno tre vol-te tanto), che il grasso del latte abbia 10ppm di PCB e che circa il 70 per centodel PCB venga assorbito dal piccolo,nel corso di un anno la madre trasmet-terebbe al figlio circa 3,8 grammi diPCB; la concentrazione nel grasso del

    2

    piccolo sarebbe di 60 ppm, cioè doppiao .ce rispetto a quella della madre. E intanto

    questa consuma dieci chilogrammi dipesce al giorno, reintegrando il propriocarico di PCB.

    La spiegazione sta nel latte. Il picco-lo, nutrendosi di latte, ingerisce cibomolto più contaminato di quello dellamadre, il che significa, in termini eco-logici, che i piccoli si cibano a un gra-dino più alto della catena alimentare,dove le sostanze tossiche sono ulterior-mente concentrate. I veleni sono entratiper la prima volta nel bacino del SanLorenzo negli anni trenta e quaranta;disponiamo infatti di un campione digrasso di beluga dell'inizio degli annicinquanta che contiene 5 ppm di PCB.Oggi sappiamo che i piccoli di ogni

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  • I canarini dei mari artici

    Dal momento che i beluga emettono una straordinaria gamma disuoni - fischi, guaiti, schiocchi e strilli - i primi navigatori che li udi-

    rono li battezzarono «canarini del mare».Sebbene il numero di beluga del fiume San Lorenzo sia fermo a cir-

    ca 500 fin dagli anni settanta, gli esperti stimano che più o meno100 000 beluga percorrano i mari artici intorno all'Alaska, al Canada,alla Groenlandia, alla Scandinavia e alla Russia. Nella fotografia inbasso a destra se ne può vedere un gruppo.

    Seguendo i movimenti di singoli esemplari, gli scienziati hanno appu-rato che spesso questi animali percorrono grandi distanze e riescono anuotare per diverse miglia anche al di sotto dei ghiacci artici (fotografiain basso). Al posto della pinna dorsale i beluga sfoggiano una lungacresta di tessuto fibroso con cui possono rompere anche spessori rile-vanti di ghiaccio, creandosi aperture per respirare.

    PIERRE BÉLAND svolge la sua attività di ricercatore presso il St. LawrenceNational Institute of Ecotoxicology. In questa posizione, e in quelle precedente-mente occupate presso il Department of Fisheries and Oceans in Canada e il Fishe-ries Ecology Research Center, egli ha studiato gli ecosistemi marini dell'estuariodel San Lorenzo e del Golfo del San Lorenzo.

    L8U9.0MA JON R., Doomed Canaries of Tadoussac in «Audubon», 91, n. 2, marzo19

    PENFIELD WENDY, Message from the Belugas in «International Wildlife», 20,n. 3, maggio-giugno 1990.

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    nuova generazione sono nati con un li-vello di sostanze tossiche nel grasso su-periore a quello della madre e hannoingerito pesci con livelli di sostanzetossiche ogni anno sempre più alti: ognigenerazione è partita da una posizionemeno vantaggiosa della precedente.

    Si potrebbe applicare questo ragio-namento a tutti i mammiferi acquaticipredatori, in quanto esso dipende inqualche misura dalla loro strategia diimpiego delle riserve di grasso e di al-lattamento. Soprattutto nei mari freddi ilipidi sono una sostanza preziosa, daaccumulare e da trasferire alla genera-zione successiva; tuttavia, quando i li-pidi contengono sostanze tossiche nonbiodegradabili, questa eredità può esse-re tanto nociva quanto un gene difetto-so. Teoricamente, i giovani animali do-vrebbero risentire di più degli effetti a-cuti delle sostanze tossiche presenti nelSan Lorenzo, ma sfortunatamente sonostati trovati pochi beluga nei loro primianni di vita.

    In effetti pensiamo che il tasso di ri-produzione sia molto basso: le femmi-ne, e forse anche i maschi, non sonofertili come ci si aspetterebbe. Le so-stanze tossiche a cui sono stati espostidurante lo sviluppo embrionale potreb-bero averne compromesso il potenzialeriproduttivo, mentre quelle assunte daadulti potrebbero aver alterato i cicliormonali essenziali per la riproduzio-ne. Alcuni anni fa è stato dimostratoche le foche in cattività nutrite con pe-sci contaminati non si riproducevano epresentavano bassi livelli di vitamina Ae dei suoi precursori, sostanze necessa-rie per la crescita, la riproduzione e laresistenza alle infezioni.

    Ovviamente la capacità di riprodursie di raggiungere lo stadio adulto è lachiave della sopravvivenza di una po-polazione. Ogni anno Robert Michaud

    e Daniel Lefebvre del St. Lawrence Na-tional Institute of Ecotoxicology tra-scorrono mesi sul San Lorenzo a osser-vare i beluga. Conducono ricognizioniaeree per stimare le dimensioni deigruppi e identificarne gli habitat prefe-riti, ma anche osservazioni da una pic-cola imbarcazione per calcolare la per-centuale di cetacei giovani. Essi hannousato fotografie per identificare più di150 individui, tra cui parecchie femmi-ne con prole di diversa età. Si spera diriavvistare i piccoli nei prossimi anni inmodo da avere informazioni sulla fre-quenza con cui le femmine partorisco-no e sul numero dei piccoli sopravvis-suti. Inoltre seguendo i cetacei identi-ficati possiamo studiare la strutturasociale della popolazione e, mediantebiopsie cutanee, stabilire il grado di af-finità genetica nei gruppi sociali.

    Non abbiamo ancora risposte defini-tive, ma tutto indica che il numero dibeluga del San Lorenzo non aumenta acausa della lunga esposizione a unacomplessa miscela di sostanze tossiche.Abbiamo affrontato il problema da di-versi punti di vista e intendiamo segui-re altre vie. Studiare i cetacei richiedeuna grande passione; sul San Lorenzoin particolare occorrono anche un cuo-re saldo e un po' di sangue freddo. Dalmomento che conosciamo individual-mente molti beluga, navigare tra loro èun po' come far visita ai parenti; non citroviamo in acque sconosciute, circon-dati da frotte di cetacei come ai tem-pi di Jacques Cartier. Vengono a salu-tarci in piccoli gruppi, ed è facile com-prendere quanto ogni singolo individuosia importante per il futuro. Ci possia-mo permettere di passare del tempo conloro perché non ci sono nuove terre dascoprire, ma solo quelle vecchie dacomprendere e preservare. E in questocompito non c'è nessuno a guidarci.

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