I Balcani dopo la cattura di Mladic DOSSIER La banalità ... · I Balcani dopo la cattura di Mladic...

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acconta Hanna Harendt che, durante il processo ad Adolf Eichmann, che si tenne a Gerusalemme nel 1962, una delle prove utilizzate per definire la volontà dell’uomo di voler sterminare gli ebrei fu l’or- dine impartito a Fritz Rademacher, reggente della Serbia occupata da Hitler, di fucilare cento tra ebrei e zingari per ogni tedesco ucciso dai partigiani. E questo non perché gli ebrei (75mila circa nel regno di Jugoslavia) o i rom fos- sero ribelli, ma semplicemente perché erano già “pron- ti” in campi di concentramento. Tra l’aprile e il novem- bre del ‘41 furono uccisi circa 5mila uomini, l’8 dicem- bre furono internati i restanti ebrei di Belgrado, ormai so- lo donne e bambini, nel salone costruito pochi anni pri- ma per le Fiere internazionali della capitale. Da dicem- bre, nella Fiera di Belgrado, circa 5mila donne, anziani e bambini ebrei e 1500 rom furono tenuti in condizioni fisiche terribili, fino a che lo stesso Eichmann non mise a punto nella conferenza di Wannsee (gennaio 1942) DOSSIER R 82 . east . europe and asia strategies numero 37 . luglio 2011 . 83 l’idea della “soluzione finale”. A Belgrado furono man- dati dei camion allestiti come camere a gas mobili e dal marzo ‘42 si iniziarono a uccidere 100 internati al gior- no, prelevati dalla Saimste. La Jugoslavia fu il primo Paese ad essere Judenfrei. La soluzione finale era stata completata prima ancora che negli altri Paesi occupati da Hitler fosse iniziata. Nei Balcani il tempo non scorre, come in altri posti, in maniera lineare, qui si accartoccia e forma pieghe che si sovrappongono. Basta prendere un quotidiano di questi giorni (fine giugno 2011) e osservare come l’apertura sia dedicata alla ricerca dei resti di Draga Mihailovic, il ca- po dei cosiddetti “cetnici”, ovvero i partigiani monarchi- ci e anticomunisti che furono eliminati dai titini subito dopo la vittoria sui nazisti. Mihajilovic è stato un nazio- nalista che ha ispirato molto la retorica dell’ultima guer- ra, un personaggio controverso, eppure non viene tratta- to con alcuna distanza storica, anzi se ne parla con gli stessi toni con cui si potrebbe raccontare un fatto di cro- naca nera avvenuto pochi mesi fa. «Per quanto possa ap- parire paradossale – raccontava un attivista di Belgrado – non abbiamo superato il trauma della battaglia di Ko- sovo Polje del 1389». Chi oggi vuole parlare della guerra degli anni Novanta deve parlare della Seconda guerra mondiale, dell’attentato di Sarajevo e dell’invasione ot- tomana del Quattrocento. Per questo non è strano che nei giorni successivi alla cattura del criminale di guerra più ricercato in Europa, Ratko Mladic, venga in mente Hanna Harendt. Ei- chmann, l’ideatore della soluzione finale per gli ebrei, era un uomo “normale” – dicevano gli psichiatri – con rapporti affettivi familiari assolutamente nella regola. La scrittrice tedesca lo ritrae come un vecchio grigio, insi- gnificante. Allo stesso modo i primi ritratti di Mladic, catturato lo scorso 26 maggio dopo sedici anni di latitanza più o me- no supportata dai vari governi serbi, raffigurano un vec- chio con il cappellino da baseball e l’aria stupita. Ha pro- blemi alla mano per colpa di un ictus (forse due), è so- pravvissuto a un infarto ed anche lui ha rapporti ottimi con la famiglia: la moglie e il figlio al suo fianco da subi- to, i nipotini che lo vanno a trovare nella cella di Belgra- do. Entrambi sono perfette incarnazioni della “banalità del male” descritta dalla Harendt. Questo vecchio, questo “nonno”, è il mostro che il Tri- bunale penale internazionale dell’Aja attendeva di cat- turare da anni con un’incriminazione per genocidio, di guerra e contro l’umanità, accusato di aver ordinato e or- ganizzato la pulizia etnica della popolazione non serba attuata in Bosnia Erzegovina tra il 1992 e il 1995 e per la strage di Srebrenica. Quest’uomo è lo stesso che si face- va riprendere dalle telecamere, l’11 luglio 1995, mentre salutava la “liberazione della Srebrenica serba”. Questo vecchio con l’aria stupita è lo stesso che dava le caramel- le ai bambini e rassicurava le donne, mentre mandava i loro padri e i loro mariti alla morte nel più grave eccidio compiuto in Europa dopo la Seconda guerra mondiale: I Balcani dopo la cattura di Mladic La banalità del male da Eichmann a Mladic di Cecilia Ferrara Citare Eichmann è solo in apparenza una forza- tura. Nei Balcani il tempo non scorre in manie- ra lineare, qui si accartoccia e forma pieghe che si sovrappongono. Basta prendere un quotidia- no di questi giorni (fine giugno 2011) e osser- vare come l’apertura sia dedicata alla ricerca dei resti di Draga Mihailovic, il capo dei cosid- detti “cetnici”, ovvero i partigiani monarchici e anticomunisti che furono eliminati dai titini su- bito dopo la vittoria sui nazisti. Mihailovic è stato un nazionalista che ha ispirato molto la retorica dell’ultima guerra, un personaggio controverso, eppure non viene trattato con al- cuna distanza storica, anzi se ne parla con gli stessi toni con cui si potrebbe raccontare un fatto di cronaca nera avvenuto pochi mesi fa. A FRONTE Karl Adolf Eichmann, ufficiale delle SS, criminale di guerra. A DESTRA Il generale serbo Ratko Mladic. Corbis / D. Turnley Dpa / Corbis

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acconta Hanna Harendt che, durante il processoad Adolf Eichmann, che si tenne a Gerusalemmenel 1962, una delle prove utilizzate per definire

la volontà dell’uomo di voler sterminare gli ebrei fu l’or-dine impartito a Fritz Rademacher, reggente della Serbiaoccupata da Hitler, di fucilare cento tra ebrei e zingari perogni tedesco ucciso dai partigiani. E questo non perchégli ebrei (75mila circa nel regno di Jugoslavia) o i rom fos-sero ribelli, ma semplicemente perché erano già “pron-ti” in campi di concentramento. Tra l’aprile e il novem-bre del ‘41 furono uccisi circa 5mila uomini, l’8 dicem-bre furono internati i restanti ebrei di Belgrado, ormai so-lo donne e bambini, nel salone costruito pochi anni pri-ma per le Fiere internazionali della capitale. Da dicem-bre, nella Fiera di Belgrado, circa 5mila donne, anzianie bambini ebrei e 1500 rom furono tenuti in condizionifisiche terribili, fino a che lo stesso Eichmann non misea punto nella conferenza di Wannsee (gennaio 1942)

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l’idea della “soluzione finale”. A Belgrado furono man-dati dei camion allestiti come camere a gas mobili e dalmarzo ‘42 si iniziarono a uccidere 100 internati al gior-no, prelevati dalla Saimste.

La Jugoslavia fu il primo Paese ad essere Judenfrei. Lasoluzione finale era stata completata prima ancora chenegli altri Paesi occupati da Hitler fosse iniziata.

Nei Balcani il tempo non scorre, come in altri posti, inmaniera lineare, qui si accartoccia e forma pieghe che sisovrappongono. Basta prendere un quotidiano di questigiorni (fine giugno 2011) e osservare come l’apertura siadedicata alla ricerca dei resti di Draga Mihailovic, il ca-po dei cosiddetti “cetnici”, ovvero i partigiani monarchi-ci e anticomunisti che furono eliminati dai titini subitodopo la vittoria sui nazisti. Mihajilovic è stato un nazio-nalista che ha ispirato molto la retorica dell’ultima guer-ra, un personaggio controverso, eppure non viene tratta-to con alcuna distanza storica, anzi se ne parla con glistessi toni con cui si potrebbe raccontare un fatto di cro-naca nera avvenuto pochi mesi fa. «Per quanto possa ap-parire paradossale – raccontava un attivista di Belgrado– non abbiamo superato il trauma della battaglia di Ko-sovo Polje del 1389». Chi oggi vuole parlare della guerradegli anni Novanta deve parlare della Seconda guerramondiale, dell’attentato di Sarajevo e dell’invasione ot-tomana del Quattrocento.

Per questo non è strano che nei giorni successivi allacattura del criminale di guerra più ricercato in Europa,Ratko Mladic, venga in mente Hanna Harendt. Ei-chmann, l’ideatore della soluzione finale per gli ebrei,era un uomo “normale” – dicevano gli psichiatri – conrapporti affettivi familiari assolutamente nella regola. Lascrittrice tedesca lo ritrae come un vecchio grigio, insi-gnificante.

Allo stesso modo i primi ritratti di Mladic, catturato loscorso 26 maggio dopo sedici anni di latitanza più o me-no supportata dai vari governi serbi, raffigurano un vec-chio con il cappellino da baseball e l’aria stupita. Ha pro-blemi alla mano per colpa di un ictus (forse due), è so-

pravvissuto a un infarto ed anche lui ha rapporti ottimicon la famiglia: la moglie e il figlio al suo fianco da subi-to, i nipotini che lo vanno a trovare nella cella di Belgra-do. Entrambi sono perfette incarnazioni della “banalitàdel male” descritta dalla Harendt.

Questo vecchio, questo “nonno”, è il mostro che il Tri-bunale penale internazionale dell’Aja attendeva di cat-turare da anni con un’incriminazione per genocidio, diguerra e contro l’umanità, accusato di aver ordinato e or-ganizzato la pulizia etnica della popolazione non serbaattuata in Bosnia Erzegovina tra il 1992 e il 1995 e per lastrage di Srebrenica. Quest’uomo è lo stesso che si face-va riprendere dalle telecamere, l’11 luglio 1995, mentresalutava la “liberazione della Srebrenica serba”. Questovecchio con l’aria stupita è lo stesso che dava le caramel-le ai bambini e rassicurava le donne, mentre mandava iloro padri e i loro mariti alla morte nel più grave eccidiocompiuto in Europa dopo la Seconda guerra mondiale:

I Balcani dopo la cattura di Mladic

La banalità del male da Eichmanna Mladicdi Cecilia Ferrara

Citare Eichmann è solo in apparenza una forza-

tura. Nei Balcani il tempo non scorre in manie-

ra lineare, qui si accartoccia e forma pieghe che

si sovrappongono. Basta prendere un quotidia-

no di questi giorni (fine giugno 2011) e osser-

vare come l’apertura sia dedicata alla ricerca

dei resti di Draga Mihailovic, il capo dei cosid-

detti “cetnici”, ovvero i partigiani monarchici e

anticomunisti che furono eliminati dai titini su-

bito dopo la vittoria sui nazisti. Mihailovic è

stato un nazionalista che ha ispirato molto la

retorica dell’ultima guerra, un personaggio

controverso, eppure non viene trattato con al-

cuna distanza storica, anzi se ne parla con gli

stessi toni con cui si potrebbe raccontare un

fatto di cronaca nera avvenuto pochi mesi fa.

A FRONTE Karl Adolf Eichmann,

ufficiale delle SS, criminale di guerra.

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croati o dei musulmani. Non solo non esiste un dibatti-to, ma nemmeno la consapevolezza del fatto che i crimi-ni di guerra sono stati commessi nei dieci anni di conflit-to nella ex Jugoslavia, dal 1991 al 2001.

Rekom, la commissione regionaleper la verità e la giustizia

he i processi non bastino per confrontarsi con ilpassato e per la riconciliazione lo sanno bene gliattivisti dei diritti umani, che da anni combatto-

no contro il nazionalismo dei “propri” connazionali. «I processi sui crimini di guerra sono fondamentali,

perché mettono insieme i fatti, ma da soli non sono suf-ficienti: occorre un dibattito sul passato, affinché si pos-sa avere un impatto reale sulla società». A dirlo è Nata-sha Kandic, storica attivista e presidente del Centro peril diritto umanitario di Belgrado, che dal 1991 collezio-

na prove e dati sui crimini di guerra commessi nella exJugoslavia.

La Kandic definisce l’arresto di Mladic «l’avvenimen-to storico più importante dalla fine della guerra», mamette in guardia contro ogni eccessivo trionfalismo. «Laleadership serba ha dimostrato, soprattutto con questoatto, quanto si voglia impegnare per entrare in Europa,ma il timore è che i nostri politici diranno che hanno fat-to il loro dovere per la giustizia internazionale e aspette-ranno un premio dall’Unione Europea. E nessuno farà ledomande fondamentali: perché Mladic è accusato? Qua-li delitti gli sono imputati?»

Per non lasciare inevase queste domande, da almenodue anni oltre 1700 tra ong per i diritti umani, media, as-sociazioni legate alla Chiesa, associazioni di veterani e

DOSSIER

il massacro di circa 8mila uomini, bambini e anziani mu-sulmani che cercavano di scappare da Srebrenica, encla-ve protetta dall’Onu.

Oggi il “boia dei Balcani”, “il macellaio di Srebreni-ca”, è in carcere in Olanda, all’Aja, sotto processo. E senella prima apparizione davanti al tribunale ha cercatodi prendere tempo, recitando la parte dell’anziano mala-to, chiedendo venia alla corte perché il suo stato di salu-te non gli permetteva di essere abbastanza veloce nel ca-pire le accuse, verso la fine della prima udienza in aulaè tornato ad essere il generale arrogante di un tempo. «Iosono il generale Ratko Mladic – ha dichiarato con rabbia– tutti sanno chi sono. Ho difeso il popolo serbo e oggidifendo me stesso. Non ho paura né dei giornalisti, nédel pubblico». Ecco, scriveranno i giornalisti di tutto ilmondo nei loro reportage dall’Aja, così lo avevamo in-contrato sulle colline di Sarajevo. Quando Eichmann

venne arrestato e processato, l’effetto più importante siverificò non in Israele, bensì in Germania. Nella repub-blica federale di Adenauer si registrò un susseguirsi diprocessi a esponenti del regime nazista, molti dei qualivivevano senza aver cambiato nome, o addirittura aven-do fatto carriera nell’amministrazione pubblica. Il pas-sato tornava insomma, ma ancora attraversando le aulegiudiziarie, senza un dibattito vero e proprio sul perchée sul come la Germania era diventata nazista. Per quellosi sarebbe dovuto attendere il 1968.

Lo stesso sta avvenendo nei Balcani, con alcune diffe-renze importanti: anzitutto, la guerra è stata regionale,interstatale, dunque ogni presunto criminale di guerraarrestato, condannato, estradato o liberato, suscita rea-zioni di carattere nazionalista da parte dei serbi o dei

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Srebrenica, rifugiati.

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– non hanno dimenticato le tragedie provocate da diecianni di guerra. I tribunali per i crimini di guerra hannocome unico scopo quello di punire i colpevoli, utilizzan-do le vittime unicamente come testimoni. Rekom daràvoce alle vittime – con momenti di ascolto pubblico econfronto – e non solo alle vittime coinvolte in criminidi guerra, ma anche a chi ha sofferto dalla guerra in sen-so generico, dagli sfollati a chi è dovuto fuggire all’este-ro per sottrarsi alla coscrizione obbligatoria».

n’altra questione che verrà affrontata è quella deidispersi. «Ad oggi – spiega ancora Stojanovic –sono 16mila le persone di cui non si conoscono

ancora le circostanze della morte». Un tentativo simile a Rekom era già era stato compiu-

to con la Commissione per la riconciliazione, quella mes-sa in piedi dalla Repubblica Federale di Jugoslavia nel2001, nell’entusiasmo del dopo Milosevic, ma che scom-parve senza fare rumore e senza aver fatto nulla di con-creto, appena due anni più tardi. «Quando abbiamo ini-ziato il lavoro con Rekom, una commissione interstatalee con l’appoggio dei governi, in una regione come la no-stra… insomma, molti di noi pensavano che non si sa-rebbe mai fatto nulla», confessa Zarko Puhovski, profes-sore di Filosofia all’università di Zagabria ed ex presi-dente dell’Helsinki Committee croato, nonché dissiden-te storico del regime di Tito. E allora perché impegnarsiin una cosa del genere? «Quello di cui abbiamo bisognoin questa regione – dice Puhovski – è qualcosa che sichiama “affrontare il passato”, cosa che non è stata fattain nessuno posto, né in Serbia né in Croazia né in Bosnia-Herzegovina. Oggi abbiamo la possibilità di renderlo senon effettivo, almeno possibile, con una commissioneche porti avanti una raccolta di dati che riguardano i fat-ti e le persone morte durante la guerra e non solo in se-guito a crimini di guerra».

«Dobbiamo evitare assolutamente – continua il filoso-fo croato – che si verifichi ciò che è avvenuto dopo la Se-conda guerra mondiale, ovvero non sapere esattamentequante persone furono uccise e lasciare che i numeri ve-nissero manipolati per essere fonte di discussioni spia-cevoli durante il periodo della Jugoslavia e dopo. Alla lu-ce di questo noi cercheremo di rendere il più possibileprecisi i fatti e, soprattutto, di dare un nome alle vittime:

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delle vittime di guerra, hanno formato la Coalizione perRekom, un consorzio regionale che ha intrapreso un lun-go cammino fatto di incontri e discussioni con vari grup-pi di interesse in tutta la ex Jugoslavia per lavorare sullariconciliazione. Lo scopo è quello di costituire la primaCommissione per la verità e la giustizia di dimensioneinterstatale, con una campagna che parta dal basso (laraccolta di un milione di firme), ma che abbia l’appoggiopolitico ed economico e la disponibilità a fornire i datisulla guerra da parte dei governi dei Paesi coinvolti.

La commissione si chiamerà Rekom e sarà formata daventi personalità provenienti da tutta la regione, la cuiindipendenza e affidabilità sia stata precedentemente ap-provata da tutte le parti in causa. Rekom seguirà i model-li delle commissioni per la verità e la giustizia che han-no agito in molte altre zone del mondo – dall’Argentinaal Sudafrica – in cui sono stati violati i diritti umani e

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non diremo 2.054 o 2.055 morti, ma ci saranno i nomi ei dati di base di queste persone, sia civili che militari, chehanno cessato di vivere a causa della guerra».

Certo non è facile tornare a parlare del passato in unPaese come la Croazia, che dovrebbe diventare il 28°membro dell’Unione Europea nel luglio del 2013. «La si-tuazione della Croazia si può paragonare a quella dellaGermania all’inizio degli anni Sessanta: i tedeschi stava-no vivendo un boom economico forte ed erano molto fe-lici di dimenticare quello che era successo nella Secondaguerra mondiale, finché non arrivò la generazione del Ses-santotto, che obbligò la società tedesca ad affrontare ilpassato, per ragioni sociali, morali e psicologiche. I gio-vani hanno iniziato a chiedere al padre e alla madre: checosa hai fatto durante la guerra? E come persona uno puòmentire alla polizia, ai giudici, ai giornalisti, ma è moltodifficile farlo con il proprio figlio o figlia. Il vero lavoro diRekom sarà quindi quello di preparare il terreno per la ge-nerazione di ragazzi che fra cinque, sei anni cominceran-no a chiedere: dov’eri, papà, negli anni Novanta?». .

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avrà il compito di utilizzare tutte le fonti di informazio-ne esistenti per stabilire la verità dei fatti accaduti tra il1991 e il 2001 nella ex Jugoslavia, dare dignità alle vitti-me e dare un nome e una storia ai dispersi: nessun pote-re giuridico – se non quello di trasmettere prove ai tribu-nali, nel caso in cui venga fuori una notizia di reato nonancora accertata – ma unicamente informativo, anche senel senso più ampio del termine.

«I cittadini dei Balcani– dice Lazar Stojanovic, respon-sabile della comunicazione della Coalizione per Rekom

Il Memorial Center di Potocari che ricorda il genocidio del luglio ‘95:

un massacro di migliaia di musulmani bosniaci da parte delle truppe

serbo-bosniache guidate dal generale Ratko Mladic

nella zona protetta di Srebrenica che si trovava al momento

sotto la tutela delle Nazioni Unite. Le vittime furono quasi 10mila.

Una donna musulmana bosniaca prega sulla tomba

di un suo parente, vittima del massacro di Srebrenica,

al Memorial Center di Potocari a 120 km da Sarajevo.

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