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Università per gli Stranieri DANTE ALIGHIERI I CONFLITTI Prof. Vincenzo Maria ROMEO

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Università per gli Stranieri

DANTE ALIGHIERI

I CONFLITTI

Prof. Vincenzo Maria ROMEO

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“I pensieri degli spiriti originali non tollerano la mediazione di una mente comune”. Arthur Schopenhauer

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Che cos’è il conflitto?

Il conflitto può essere definito come “un

processo interattivo che si manifesta con incompatibilità, disaccordo o dissonanza

all’interno o tra entità sociali, quali individui, gruppi o organizzazioni”

(Rahim, 2001)

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Tre orientamenti teorici • Un primo approccio vedeva il conflitto come

“patologico” per l’organizzazione, capace di intaccare risorse ed efficienza.

• Negli anni ’50 il conflitto veniva considerato inevitabile per l’organizzazione, ma non necessariamente negativo.

• Oggi, considerando le organizzazioni come sistemi complessi ed in evoluzione, si considera il conflitto - adeguatamente gestito - come costruttivo, capace di

esternare problemi e criticità che, altrimenti, non trovando soluzione, potrebbero diventare potenziali

cause di frustrazione ed insoddisfazione. 4

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Le condizioni antecedenti al conflitto

Fattori individuali

Fattori situazionali

Fattori organizzativi

Valori Grado di interdipendenza

Specializzazione e differenziazione dei

ruoli

Atteggiamenti Bisogno di consenso Influenze ed autorità multiple

Convinzioni Differenze di status Goal setting

Caratteristiche di personalità

Ambiguità nelle responsabilità

Scarsità di risorse

Percezioni Regole e procedure

Interessi

Bisogni

Giudizi

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Tipologie di conflitto •  CONFLITTO ORGANIZZATIVO •  Interpersonale o intragruppo ( di compito o di relazione) •  Intergruppo

•  CONFLITTO INTRAPERSONALE O DI RUOLO •  Intraruolo ( Intramandatario e intermandatario) •  Interuolo ( lavoro/famiglia/tempo libero ) •  Persona - ruolo ( piacevolezza, valori etici, competenze possedute

ambizioni personali)

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Le conseguenze negative Se non adeguatamente gestito, il conflitto può

avere effetti disfunzionali come: •  Contribuire ad innalzare il livello di turn-over e di

assenteismo e abbassare i livelli di efficacia, di impegno organizzativo o qualità delle soluzioni individuate.

•  Ridurre la creatività individuale e di gruppo •  Abbassare la qualità delle decisioni collettive •  Limitare lo sviluppo e l’innovazione •  Danneggiare la comunicazione e le relazioni •  Degenerare in forma di disagio organizzativo quale il

mobbing 11

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Il conflitto come risorsa Il conflitto può:

•  Aumentare la motivazione al cambiamento, all’

intervento ed all’ attività

•  Mobilitare energie ed innovatività

•  Aumentare la consapevolezza del proprio ruolo e del proprio potere nella relazione

•  Intensificare l’ identità attraverso strategie di

differenziazione e di integrazione 12

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“C'è una rivoluzione che dobbiamo fare se vogliamo sottrarci all'angoscia, ai conflitti e alle frustrazioni in cui siamo afferrati. Questa rivoluzione deve cominciare non con le teorie e le ideologie, ma con una radicale trasformazione della nostra mente”. J. Krishnamurti

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Universita’ per gli stranieri DANTE ALIGHIERI

LA PSICOLOGIA SOCIALE

La Leadership

Prof. Vincenzo Maria ROMEO

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“La Leadership è l’influenza interpersonale esercitata in una situazione e rivolta, mediante il processo della

comunicazione, in direzione del conseguimento di uno o più obiettivi specifici”.

R. Tannenbaum Irving R. Weschler Fred Massarik

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LA LEADERSHIP DIMENSIONE RELAZIONALE – La Leadership

•  Il circuito aperto del sistema limbico ci rende permeabili agli stimoli esterni permettendogli di modificare le nostre emozioni (es.: dopo 15 minuti di conversazione i profili f i s io log ic i d i due ind iv idu i convergono: e f fe t to rispecchiamento)

•  I leader, in quanto più osservati, più attivi nel gruppo, più

partecipativi, tendono a contagiare emotivamente il gruppo (attraverso lodi, critiche, sostegno, capacità di fissare obiettivi, delegare, ecc…).

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LA LEADERSHIP DIMENSIONE RELAZIONALE – La Leadership •  Il leader è sempre stato colui al quale gli altri guardano

per essere rassicurati e guidati in situazioni di incertezza e pericolo, ovvero deve saper orientare le emozioni del gruppo

•  Le emozioni dei singoli sono strettamente dipendenti dalle relazioni con gli altri attraverso il circuito aperto del sistema limbico

•  Il circuito aperto del sistema limbico è una sorta di regolazione limbica con il quale un individuo trasmette segnali in grado di modificare i livelli ormonali, le funzioni cardiovascolari, i ritmi sonno-veglia e persino la funzione immunitaria di un’altra persona (es.: innamorati che sviluppano ossitocina che da una sensazione di benessere)

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LA LEADERSHIP

DIMENSIONE RELAZIONALE – La Leadership

•  Il buonumore è particolarmente importante nei gruppi: la capacità di un leader di infondere entusiasmo e spirito di corpo può essere determinante ai fini del successo

•  Potenza della risata, che mette in comunicazione diretta due o più sistemi limbici in una sorta di sequestro emozionale positivo

•  D’altra parte eventuali conflitti emotivi che distolgano l’attenzione e le energie del gruppo dagli obiettivi comuni ne pregiudicano la prestazione

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Leader Coloro che occupano posizioni di status elevato sono spesso

identificati come Leader

I Leader sono persone che possiedono skills che possono aiutare il gruppo a

raggiungere certi obiettivi

•  Avere personalità

•  Essere competente

•  Identificarsi con il gruppo

•  Essere in grado di adattarsi al mutare delle situazioni

Il buon Leader deve

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LA LEADERSHIP

FUNZIONE CARATTERISTICHE FLUDIFICATORE DEL LAVORO

ATTIVAZIONE DI PROCESSI

SITUAZIONALE

TRASPARENTE

FLESSIBILE

PRAGMATICA

ORIENTATA AL COMPITO

ORIENTATA ALLE RELAZIONI

CON QUESTE CONDIZIONI, IL LEADER RAGGIUNGERÀ GLI OBIETTIVI INSIEME CON I

PROPRI COLLABORATORI

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Interdipendenza sociale Il rapporto che si viene a creare tra i componenti di un gruppo quando si affidano gli uni agli altri per ottenere ricompense sociali ed emozionali. Senso di affiliazione ed un’ identità sociale positiva

Interdipendenza nel compito Il rapporto che si viene a creare tra i componenti di un gruppo quando si affidano gli uni agli altri per assicurarsi i vantaggi materiali che derivano dall’ esecuzione di un gruppo

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Leader Orientato al compito

Comunicazione all’ interno del

gruppo

Orientato alla funzione socio-emotiva

Orientato al compito

Orientato alla funzione socio-emotiva

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Reti centralizzate

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Reti decentralizzate

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LA LEADERSHIP

Leader 1.  Gestisce i processi

2.  Motiva gli altri

3.  Comunica assertivamente

Sviluppa una rete di collaboratori

Delega

Ascolta

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Leadership sul gruppo

Area di libertà decisione, delega, responsabilizzazione dei collaboratori

1.  Il leader permette ai collaboratori di agire entro limiti stabiliti 2.  Il leader propone una soluzione suscettibile di contributi – modifiche 3.  Il leader espone il “problema”, ascolta i suggerimenti e decide 4.  Il leader “vende” la sua decisione 5.  Il leader comunica la sua decisione

1 2 3 4 5 Area dell’uso dell’autorità del leader

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Abilità e atteggiamenti della Leadership

ABILITÀ

ASPETTATIVE ( del gruppo di lavoro)

ATTEGGIAMENTI

RUOLO

•  Personali •  Sociali •  Organizzative

Elevate e diversificate in merito a: •  Identificazione con l’organizzazione •  Raggiungimento degli obiettivi •  Gratificazione del personale/collaboratori

•  Verso il lavoro •  Verso le persone •  Verso l’organizzazione

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Integrazione (no al monopolio e

all’esclusione, attenzione insieme alle persone e al

compito) Crescita di sé e degli altri

(assunzione di rischi, disponibilità a rendersi sostituibili)

Empatia (riconoscere e

accettare i sentimenti propri e altrui)

Coerenza (essere il cambiamento che

si predica e che si vuole negli altri)

Elaborazione del proprio potere (non potere per, non potere sugli altri, ma potere con)

Autenticità (conoscere ed essere

se stessi)

Modello per una leadership socio-emotiva

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La Leadership DIMENSIONE RELAZIONALE – La Leadership situazionale

•  Capacità del leader di adattare il proprio comportamento alla situazione (maturità) e ai bisogni contingenti dei propri collaboratori

Molto sostegno e poca guida

Discutere le idee e agevolare la presa di decisioni – scarse direttive

Poco sostegno e poca guida

Delegare la responsabilità delle decisioni e dell’attuazione

Poco sostegno e molta guida

Fornire istruzioni e specifiche e sorvegliare il rendimento

Molto sostegno e molta guida

Spiegare le decisioni e dare possibilità di chiarimento

Orientamento

al compito (direttività)

Orientamento

alle relazioni (relazione)

Alto

Basso Alto

S1

S2 S3

S4

Molto maturo

Maturità incompleta

Bassa maturità

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§  Leadership gerarchica, legittimata da un mandato istituzionale con attribuzione di responsabilità e di autorità di status.

§  Leadership tecnico-funzionale che si basa su una competenza specialistica .

§  Leadership socio-emotiva generata dal consenso delle

persone: •  è il risultato di una negoziazione fra individuo, leader e

gruppo •  poggia da un lato su qualità personali e dall’altro sulle

aspettative/richieste del gruppo.

Tre forme primarie di leadership

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AUTORITARIO

DEMOCRATICO

PERMISSIVO

Stile

Esercita il potere dispoticamente,

determina la linea del gruppo, no al

cambiamento

Stimola la partecipazione, accetta critiche,

distribuisce responsabilità

Disinteressato, non stimola, non

controlla, non collabora, rispetto

passivo dell’attività

Effetti

Provoca aggressività e

apatia

Diminuisce l’aggressività

Stimola la motivazione

Gruppo poco coeso

No collaborazione

Generalizzazioni

Funziona in situazioni di emergenza. Produzione

vs. soddisfazione

Relazioni interne vs.

produttività, attenzione al singolo

Si trasforma facilmente in autoritario o scompare

Gli stili di leadership

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LA PSICOLOGIA SOCIALE Stress, bourn out e mobbing

Prof. Vincenzo Maria ROMEO

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La monotonia industriale si associa ad una caduta di efficienza, ma non a correlati obiettivi di fatica

(Favretto, 1994)‏

Da un punto di vista fisiologico alla presenza di fatica corrisponde sul piano oggettivo il modificarsi di alcuni parametri biochimici

Se alla fatica corrisponde una caduta di efficienza, dovrebbe verificarsi anche il fenomeno contrario

FATICA CADUTA DI EFFICIENZA

Nonostante gli sforzi fatti non fu possibile individuare dei correlati fisiologici che riuscissero a spiegare come, in certi casi di diminuzione

dell’efficienza, non si verificasse un incremento di fatica fisica

Infatti……

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Dagli anni ’40 in poi si incomincia a parlare di

FATICA SOGGETTIVA quello stato in cui il lavoratore

dimostra una caduta di efficienza conseguente ad un disagio lavorativo

Si comincia dunque a distinguere la fatica in:

FISIOLOGICA che può essere risolta

attraverso il riposo, il sonno o delle pause

PATOLOGICA (o cronica)‏ stato di sofferenza

derivante da un affaticamento che permane al di la dei

tentativi fisiologici di recupero

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All’interno del lavoro organizzato, al tradizionale termine di fatica, si è affiancato

un altro termine per definire la fatica non fisica

L’approccio soggettivo dunque mette l’accento sui correlati psicologici dell’affaticamento in termini di norme psicosociali, clima,

soddisfazione ed insoddisfazione lavorativa, alienazione ecc.

In alcuni casi si perdono di vista le denotazioni di tipo oggettivo quali tecnologie, ambiente fisico,

compatibilità tra l’uomo e la macchina ecc.

Fatica - Carico mentale - Stress lavorativo

Ciò che caratterizza l’aspetto psicologico dello stress lavorativo non è solo il semplicistico riferimento ad un’attività, ma la percezione da

parte dell’individuo di una complessità che sia la risultante di rapporti sociali e formali vissuti all’interno dell’organizzazione

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STRESS Hans Selye

La sindrome generale di adattamento

Nell’idea di Selye la reazione di stress si articola in tre fasi fondamentali costitutive della Sindrome generale di adattamento

1.  FASE DI ALLARME

2.  FASE DI RESISTENZA

3.  FASE DI ESAURIMENTO

Selye definisce lo stress come: la “risposta generale aspecifica a qualsiasi richiesta proveniente dall’ambiente”

Gli stressor turbavano l’omeostasi dell’organismo inducendolo a reagire per arginare la minaccia

In base a queste osservazione Selye, concluse che tale sindrome era da considerarsi una risposta aspecifica dell’organismo, tesa a ripristinare il

normale equilibrio perturbato da fattori esogeni ed endogeni

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Fase di allarme Questa fase è promossa dagli stressors (fisici, biologici e psicosociali)‏

L’organismo riconosce il pericolo insito nello stimolo, e immette nel

flusso sanguigno due ormoni, adrenalina e noradrenalina, che hanno il compito di scatenare una reazione immediata del SNA.

La fase d’allarme viene suddivisa in due momenti successivi

Fase dello “shock”

la resistenza dell’organismo si abbassa, l’individuo accusa il colpo e subisce passivamente l’azione dell’agente stressante

Fase del “controshock”

mobilitazione delle risposte aspecifiche dell’organismo e

reazione del sistema neurovegetativo

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Fase di resistenza

Questa fase è anche detta di adattamento perché

in essa l’organismo si adatta allo stressor

La fase di resistenza è correlata alla durata dello stato di stress; è soprattutto uno stress prolungato che richiede la messa in atto

di questa fase

Attivazione delle reazioni aspecifiche, determinate da stressors protratti nel tempo, che consentono

all’organismo di resistere

È la fase caratterizzata dall’organizzazione e dalla

stabilizzazione delle attività di cui l’organismo necessita per

salvaguardarsi dagli agenti nocivi

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Fase di esaurimento

L’organismo risulta scoperto davanti a successivi attacchi stressogeni e sarà soggetto all’insorgenza di fenomeni patologici di

varia natura

Riduzione delle capacità adattive dell’organismo causata del perdurare degli stressors

Uno stressor che si prolunga nel tempo provoca il fallimento delle reazioni di adattamento predisponendo l’individuo allo sviluppo di

malattie

Questa fase può comparire più o meno tardivamente e può anche non verificarsi, qualora lo stress si esaurisca

in tempo utile

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Appley e Trumbull (1967): le dimensioni dello stress:

DIMENSIONE BIOLOGICA

Sistema nervoso

Circolatorio Respiratorio

Ormonale ecc.

DIMENSIONE PSICOLOGICA

Processi emotivi e cognitivi:

(emozioni, aspettative, atteggiamenti ecc.)‏

DIMENSIONE SOCIALE

Valori Norme Ruoli

Quando in uno di questi sistemi si crea una discrepanza tra domanda dell’ambiente e capacità del soggetto di farvi fronte si innesca una situazione di stress

Le reazioni alla sindrome da stress possono essere diverse: modificazioni fisiologiche, reazioni affettivo- emotivo, reazioni comportamentali e reazioni a livello cognitivo

Lo stress insorge nel momento in cui il nostro organismo viene sollecitato da stimoli esterni e non riesce ad affrontarli efficacemente

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COPING

“capacità di adattare le misura e i mezzi utili a superare lo stress”

L’individuo mette in atto strategie tese a modificare il proprio ambiente. Gli stili di coping sono dettati dalle caratteristiche dell’individuo e dalle sue esperienze

personali.

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Stress

•  Fattori cuscinetto •  Autostima •  Supporto

Coping Fattori stressanti

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BOURN OUT Lo stress può essere definito come una determinante del burnout ma non si identifica con esso.

Il burnout può essere considerato piuttosto, in determinate condizioni, un possibile esito dello stress.

Stress È il risultato di uno squilibrio fra risorse disponibili e richieste

dell’ambiente esterno.

Burnout È legato ad un insuccesso nel processo di adattamento,

accompagnato da un malfunzionamento cronico.

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Burnout Disadattamento emozionale che si manifesta prevalentemente

nelle professioni d’aiuto caratterizzate da un continuo

contatto con la gente.

È un processo in cui lo stress si converte in meccanismo di difesa che l’individuo mette in atto per

far fronte a situazioni stressanti che si verificano nel contesto della propria “Helping Professions”

Con il termine “Helping Professions”, gli studiosi fanno riferimento a professioni che implicano uno stretto contatto tra operatore e utente, che richiedono la presenza costante dell’operatore e presuppongono

un coinvolgimento emotivo forte alle problematiche dell’utente

BOURN OUT

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Il termine burnout tradotto dall’espressione americana significa: “fuso”, “cortocircuitato”

Mc Dermott (1984) afferma che il termine burnout deriva dal gergo che veniva utilizzato negli anni ’60 dai tossicodipendenti ed indica

la condizione di chi abusa di stupefacenti e si sente bruciato da loro consumo.

Freudenberger (1974) rifacendosi al Webster’s Collegiate Dictionary, definisce il burnout come fallire, logorarsi, esaurirsi

per eccessiva richiesta di energia, forza e risorse.

In questa prima accezione il termine veniva utilizzato per descrivere un quadro sintomatologico caratterizzato da

affaticamento, logoramento e insoddisfazione.

BOURN OUT

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Cherniss (1983) vede il burnout come una malattia da eccesso d’impegno, per cui il soggetto per porre rimedio a tale condizione

perde interesse, entusiasmo e senso di responsabilità per la propria attività.

Edelwick e Brodsky (1980) definiscono il burnout come la condizione in cui l’operatore delle professioni d’aiuto manifesta

atteggiamenti rigidi e distruttivi a causa della perdita dello slancio motivazionale che prima lo spingeva a rispondere in

modo più efficace possibile alle richieste dell’utenza.

Pines e Aronson (1981) ampliano il quadro sintomatologico affermando che il burnout non solo suscita un sentimento

d’impotenza ma favorisce lo sviluppo di un concetto negativo di sé e del proprio lavoro fino ad arrivare all’esaurimento

fisico.

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Contessa (1981) ha definito l’operatore in burnout come “cortocircuitato”, indicando quei lavoratori che dopo un intenso

contatto emotivo con le persone arrivano ad esaurirsi.

Del Rio (1989) afferma che il burnout è una sindrome che coinvolge aspetti psicologici somatici e comportamentali e deriva

non tanto dal contatto con l’utenza quanto dal rapporto affettivamente significativo che si instaura con la gente e che si

riflette sullo stato emotivo dell’operatore.

Rossati e Magro (1999) definiscono il burnout come una situazione che viene percepita dall’individuo come psicologicamente

intollerabile, derivante da un forte squilibrio tra risorse disponibili, organizzazione del lavoro, richiesta dell’utenza e la sua reale

capacità di farvi fronte.

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L’espressione “Burnout Syndrome” è stata utilizzata per la prima volta dalla

Maslach nel 1977 nel Convegno annuale dell’APA

“ Sindrome di esaurimento emotivo, di spersonalizzazione e di riduzione delle capacità personali che può presentarsi in soggetti i quali,

per professione, si occupano della gente” (Maslach, 1992)

BOURN OUT

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Cause etiopatogenetiche

Secondo Cherniss (1980) un’attenta analisi del fenomeno deve considerare contemporaneamente tre livelli e cercare le possibili relazioni

esistenti tra di essi:

Fattori individuali: L’insorgenza e gli effetti del burnout possono essere legati ad aspetti individuali; le persone, infatti, rispondono in maniera diversa allo stress in relazione a differenti fattori quali variabili socio-demografiche, caratteristiche di personalità e grado di motivazione individuale.

Struttura organizzativa: le problematiche connesse all’organizzazione del lavoro e gli effetti che essa produce sulla concezione della professione a creano le condizioni favorevoli per lo sviluppo del burnout.

Fattori culturali: alcuni autori sostengono come il burnout non può nascere esclusivamente da fattori organizzativi e individuali, ma che può derivare da fattori storico-sociali che devono essere considerati addirittura come la componente più importante nella genesi della sindrome.

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Cause - Fattori individuali

Fattori socio-demografici

v  differenza di genere v  età v  stato civile v  livello d’istruzione

Caratteristiche di personalità

v  ansia nevrotica v  personalità di tipo A v  locus of control v  flessibilità v  introversione

Motivazione individuale

Idealizzazione del lavoro

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Struttura di ruolo: distribuzione dei compiti e delle funzioni all’interno di una organizzazione

Le tensioni sono generate da:

ambiguità di ruolo: insufficienza di informazioni in relazione ad una determinata posizione.

conflitto di ruolo: esistenza di richieste che l’operatore ritiene incompatibili con il proprio ruolo professionale.

sovraccarico: quando all’individuo viene assegnato un eccessivo carico di lavoro o un’eccessiva responsabilità, che non gli permettono di portare avanti una buona prestazione lavorativa.

mancanza di stimolazione: si riferisce alla monotonia dell’attività lavorativa .

Cause – Struttura organizzativa

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Struttura di potere: riguarda il modo in cui si stabiliscono i processi decisionali e di controllo nell’ambito lavorativo, ovvero la possibilità dell’individuo di partecipare alla presa di decisione

Struttura normativa: le ideologie, gli obiettivi e le norme presenti all’interno di un’organizzazione

Altri fattori rilevanti dell’organizzazione che potenzialmente inducono burnout sono: v  clima organizzativo

v  caratteristiche dello staff v  retribuzione v  turnover

Cause – Struttura organizzativa

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Maslach e Leiter (2000), hanno sottolineato come i cambiamenti economici e sociali avvenuti negli ultimi anni nei paesi occidentali a tecnologia avanzata, abbiano portato allo

sviluppo di condizioni che molto probabilmente causano l’insorgenza del burnout.

MINOR VALORE INTRISECO: le organizzazioni hanno cambiato i loro valori, la loro priorità è diventata quella di ottenere un rendimento finanziario a breve termine

ECONOMIA GLOBALIZZATA: il lavoro può essere eseguito ovunque si ha dunque un aumento della competitività che si traduce in un aumento delle richieste ai lavoratori

TECNOLOGIA: Le nuove tecnologie permettono alle aziende di aumentare i profitti, ma provocano una diminuzione dei contatti interpersonali a scapito degli individui che risultano sempre più isolati e insoddisfatti

DIMINUZIONE DEL SENSO DI APPARTENENZA

Cause – Fattori culturali

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Sintomi del bourn out

La sintomatologia è varia e dimostra la molteplicità degli aspetti problematici del burnout, infatti a disagi di tipo

fisico si affiancano disturbi di tipo psicologico

Segni fisici v  senso di esaurimento e fatica v  mal di testa v  disturbi gastrointestinali v  insonnia v  respiro corto v  raffreddori e influenze v  perdita di peso

Sintomi psicologici v  isolamento v  negativismo v  senso di colpa v  rigidità v  paranoia v  alterazione dell’umore v  perdita dell’ideale

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Modelli esplicativi MODELLO DI CHERNISS

Cary Cherniss nel 1980 sviluppa un modello sulla base di alcune indagini conoscitive compiute su operatori dei servizi socio-sanitari, notando che questi subivano una progressiva perdita di motivazione,

diventando freddi e distaccati nei confronti dell’attività lavorativa

Il burnout si svilupperebbe in un processo transazionale suddivisibile in tre fasi:

Fase dello stress: uno squilibrio tra richieste e risorse disponibili; il disagio inizia a presentarsi sotto forma di stress lavorativo.

Fase dell’esaurimento: l’organismo produce una risposta emotiva immediata e di breve durata contro lo stress, caratterizzata da una sensazione di tensione, ansietà, fatica ed esaurimento.

Fase di difesa: caratterizzata da cambiamenti di atteggiamento e di comportamento dell’operatore; per far fronte alla tensione accumulata, egli sviluppa atteggiamenti di rigidità, cinismo e distacco emotivo.

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Edelwich e Brodsky vedono nel burnout la diminuzione degli ideali e degli interessi che in principio avevano spinto l’operatore a svolgere una

attività per gli altri ed elaborano un articolazione del processo con che descrive lo sviluppo della sindrome in cinque fasi:

Modelli esplicativi MODELLO DI EDELWICH E BRODSKY

Entusiasmo idealistico: prevalgono idealismo, elevate aspettative, scarsa capacità di valutazione della realtà

Stagnazione: vengono meno l’entusiasmo iniziale e vi è la percezione che i propri investimenti energetici non sono utili ad ottenere i risultati attesi

Frustrazione: è la fase centrale del processo, il momento in cui il soggetto può andare verso un cambiamento evolutivo e una maturazione o incorrere nel burnout

Apatia: è la fase del graduale disimpegno emozionale conseguente alla frustrazione; si passa dall’empatia all’apatia . Intervento: il burnout non è un processo irreversibile dunque si può intervenire per ridurre gli effetti della sindrome. La progressione delle fasi è ciclica e dunque si possa interrompere in qualsiasi momento.

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Modelli esplicativi

MODELLO DELLA MASLACH

Tale modello scompone la sindrome del burnout in tre dimensioni:

Esaurimento emotivo: caratterizzato da un coinvolgimento emotivo ed un utilizzo eccessivo delle proprie risorse affettive ed emotive, con conseguente sovraccarico ed esaurimento emozionale.

Depersonalizzazione: caratterizzata da un atteggiamento di indifferenza e di distacco verso l’utenza e verso lo stesso lavoro.

Ridotta realizzazione personale: caratterizzata da un senso di inadeguatezza e dall’incapacità di stabilire un efficace relazione d’aiuto con l’utenza da parte dell’operatore.

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Modelli esplicativi MODELLO DELLA MASLACH

La Maslach, inoltre, ha preso in esame alcune caratteristiche di personalità ed ha tentato di tracciare un profilo psicologico del

soggetto a rischio di burnout.

Si è potuto evidenziare che colui che è predisposto al burnout:

- è tendenzialmente una persona debole e remissiva nei rapporti con gli altri

- è incapace di controllare la situazione, tende a cedere alle richieste dell’utente

- è impaziente e intollerante, di fronte agli ostacoli manifesta difficoltà a controllare impulsi ostili

- è priva di fiducia in se stessa, con scarse ambizioni, piuttosto riservata e convenzionale

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Dall’inglese ‘ to mob’, ‘attaccare’, ‘accerchiare’ Termine coniato per indicare un meccanismo di difesa

collettivo che si attua nel mondo animale e mediante il quale un branco mantiene la sua omogeneità espellendo “il non simile” attraverso comportamenti di isolamento e lesivi.

Il mobbing

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-  lavoratori con elevato coinvolgimento nell’attività svolta, o con capacità innovative e creative

-  soggetti con ridotte capacità lavorative o portatori di handicap collocati obbligatoriamente nel posto di lavoro

- "diversi" (provenienza geografica, religione, abitudini di vita, preferenze sessuali)

- lavoratori rimasti estranei a pratiche illecite di

colleghi

Il bersaglio

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Quale è la tua "soglia individuale di resistenza alla violenza psicologica" capace di indurre una condizione di mobbing?

•  Intensità della violenza

•  Tempo di esposizione

•  Personalità

Il bersaglio

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Intenzione del diretto superiore (mobber) mirata ad estromettere il

soggetto dal processo lavorativo. L’obiettivo è quello di isolare la persona che si ritiene rappresenti

un pericolo o una minaccia, bloccargli la carriera, togliergli potere.

Il conflitto iniziale può nascere anche da banali divergenze di opinione, da gelosie o rivalse, da differenze di razza, religione o cultura.

La competenza sociale e le caratteristiche di personalità del mobber e della vittima giocano un ruolo importante.

I colleghi (gli spettatori) in genere prendono le distanze nel timore di compromettere i loro rapporti col capo .

Il bossing

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Alcuni fattori favoriscono una forte competizione in grado di attivare alti livelli di aggressività e destrutturare i rapporti interpersonali.

- Le difficoltà del mercato del lavoro - L’alto tasso di disoccupazione - Gli esiti lavorativi incerti dei contratti atipici - La mancanza di trasparenza nello sviluppo di carriera

Il mobbing orizzontale

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Pressioni psicologiche esercitate strategicamente dalle imprese (prevalentemente private), per promuovere l’allontanamento dal mondo del lavoro di soggetti diversamente scomodi

Soggetti appartenenti a gestioni precedenti o assegnati a reparti da

dimettere o anche di soggetti da riqualificare professionalmente Dipendenti divenuti troppo costosi (seniores) o che non corrispondono

più alle attese dell’organizzazione (lunghe assenze per congedi parentali, malattie serie, portatori di handicap, ecc.).

Il mobbing strategico

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• Attacchi alla possibilità di comunicare - limitazione della possibilità di esprimersi; - rifiuto del contatto con gesti o sguardi scostanti; - critiche continue al suo lavoro e alla sua vita privata;

• Attacchi alle relazioni sociali - costante isolamento; - il soggetto non esiste (non lo si invita né gli si fa compagnia in tutte le occasioni sociali come andare al bar, a mensa,ecc.); - trasferimento in ambienti lontani da quelli dei colleghi;

• Attacchi all’immagine sociale - si parla alle spalle della vittima; - la si ridicolizza; - la si costringe a lavori umilianti;

• Attacchi alla qualità delle condizioni e delle mansioni lavorative - affidati compiti lavorativi al di sotto o al di sopra della sua preparazione per indurlo in errore; - affidati compiti senza senso e sganciati dal ciclo produttivo; - trasferimento da un posto all’altro, da una mansione all’altra, senza motivo.

Principali azioni mobbizzanti

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Sindrome da stress, facilmente assimilabile al “disturbo post traumatico da stress” che interessa l’intero organismo, con sintomi psichici e psicosomatici:

Disagio profondo, ansia, depressione, disistima, panico, paura di

“affrontare” la giornata, vuoti di memoria, vertigini, perdita di identita’, pensieri autolesionistici e/o suicidi, irritabilità, insonnia improvvisa, incubi, cefalea, dermatosi, perdita capelli, gastriti, ulcera, impotenza sessuale, tachicardia etc…

Le conseguenze psicologiche

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La persistenza dei disturbi psicofisici porta ad assenze dal lavoro sempre più prolungate, con "sindrome da rientro al lavoro" sempre più accentuata, fino alle dimissioni o al licenziamento.

La perdita dell’autostima e del ruolo sociale comporta

insicurezza, difficoltà relazionali e, per le fasce d’età più avanzate, l’impossibilità di nuovi inserimenti lavorativi.

Il soggetto porta all’interno dell’ambito familiare il

proprio stato di grave disagio, e non sono rari i casi di separazioni e divorzi, disturbi nello sviluppo psicofisico dei figli e disturbi nelle relazioni sociali

Le conseguenze sociali

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Lunghi periodi di malattia e in continui interventi del servizio del personale, con costi esorbitanti per le aziende, per il soggetto e per la collett ività in termini di produttività e investimenti nella formazione, perdita di professionalità e deterioramento della qualità della vita, costi sociali.

Le conseguenze economiche

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L’analisi delle situazioni lavorative di mobbing e delle malattie mobbing-correlate è particolarmente critica

1.  la fonte d’informazione è rappresentata,

quasi esclusivamente dalla raccolta anamnestica diretta;

2.  la possibilità di verifica è scarsa, in quanto la collaborazione dell’ambiente di lavoro è carente.

Diagnosi

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Universita’ per gli stranieri DANTE ALIGHIERI

LA PSICOLOGIA SOCIALE Social netowork e

conseguenze sociali

Prof. Vincenzo Maria ROMEO

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Comunicazione Collegare le persone significa farle comunicare: per questo c’è bisogno di un’interfaccia = connessione tra uomo e organismo tecnico consente l’azione e la ricezione di un “messaggio” in senso ampio Lo schermo diventa una nuova porta di confine tra mondi in cui è possibile coabitare L’interfaccia è il punto di mediazione in una re laz ione complessa a p iù dimensioni

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La cittadinanza virtuale

Siamo gli abitanti della Rete, uno spazio che è un non luogo (perché non è uno spazio fisico) ma che nello stesso tempo è ovunque (perché in Rete possiamo trovare/fare tutto e incontrare tutti, almeno potenzialmente). Siamo compagni di viaggio, nomadi contemporanei che per tempi più o meno lunghi possono diventare vicini di casa (di tenda), abitanti dello stesso luogo, secondo forme di socialità nuove, diverse da quelle sperimentate nella vita reale che però stranamente ci consentono di comunicare anche con sconosciuti, di condividere avventure cognitive, di sentirci parte della stessa collettività. iperpersone (Hyperpeople – def. di Mark Pesce)

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Che tipo di cittadinanza?

Nell’era del web 2.0 il ruolo di “consumatore” e anche quello di utente finale e la distinzione tra produttore e utilizzatore di contenuti tendono a non avere più significato: è una comunità in cui tutti collaborano per la creazione, la modifica e lo sviluppo della conoscenza e in cui tutti possono essere nel contempo produttori o utilizzatori di contenuti (produser, termine che coniuga insieme le parole producer –produttore- e user –utilizzatore).

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Il web 2.0 ha potenzialmente questa capacità di riportare gli individui verso una partecipazione attiva nella costruzione della cultura, della società, della politica: chi ha accesso alla rete e sa come utilizzarla è molto più avvantaggiato rispetto a chi non ha questa possibilità, così come negli anni ’50 era privilegiato chi aveva la TV e poteva leggere i giornali rispetto a chi non poteva.

(G.Granieri, 2005).

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Social software Tutti quei programmi utilizzabili tramite il web che permet tono la co l laboraz ione , l’interazione e la condivisione di contenuti tra utenti.

Social network

Integrazione di diversi tool in un’unica piattaforma (chat, mail, pubblicazione contenuti, tag …)

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Fine/mezzo

I social software sono solo degli strumenti, i contenuti vanno creati da chi li utilizza: creano un equo ambiente collaborativo facendo superare i limiti che spesso i comportamenti sociali possono generare (limiti spazio-temporali, di lingua, di stato sociale, di genere, etc.), permettendo una personalizzazione del sistema stesso per meglio raggiungere gli scopi che la comunità si prefigge e dando così vita a delle reti sociali online, i social network.

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Uno, due, tanti Il social network rende possibile un nuovo modo di o rgan izzare la p roduz ione: decentra l izzato, collaborativo, non proprietario, basato sulla condivisione di risorse e di informazioni equamente distribuite e connette gli individui che liberamente collaborano senza che ci sia un comando dall’alto, una gerarchia. La “verità” diventa necessariamente non l’opinione (limitante) del singolo, ma la molteplicità dei punti di vista, delle prospettive, degli sguardi della collettività. Lo scopo non è tanto di raggiungere un’opinione comune, ma di tenere conto del le diverse rappresentazioni della conoscenza, della complessità della conoscenza e di formulare poi la propria interpretazione.

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Generazione C

C significa content (ma anche collaborazione, creatività, comunicazione, connessione) ed indica tutta quella parte della popolazione giovanissima (di solito nata a partire dagli anni ’90) che abitualmente utilizza la rete per creare contenuti di qualunque tipo (audio, video, di testo): produzione di contenuti per esprimere la propria creatività e perché le nuove tecnologie consentono non solo di guardare, ascoltare e utilizzare passivamente i contenuti ma anche di creare, produrre e partecipare.

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I rischi educativi Il rischio di confondere la realtà con il virtuale. L’equivoco dell’amicizia facile. Tante parole, molte banalità, spesso volgarità. Il confronto non è mediato e non vi sono valori di

riferimento.

I valori familiari rimessi in discussione implicitamente. Nuovi valori e disvalori incontrati e accettati in una

dinamica di gruppo/amicizia che è più importante di quella della relazione parentale.

Dall’etica dei valori all’etica del valore autoreferenziale (individualismo).

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Dentro  uno  specchio  

L’adolescente guarda al suo mondo di Facebook e dei social network come ad uno specchio dove lui si sente rappresentato liberamente.

Emozioni in libertà: dire tutto il mondo interiore. Un mondo che evita l’educativo. Si supera il limite del pudore senza rendersene conto. Facebook come riscatto relazionale, ma anche

come luogo di cyberbullismo. Sexyting: un fenomeno mondiale.

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I rischi «tecnici» Privacy

Furto dell’identità Mancanza di capacità tecniche di produrre password

solide. Tendenza a condividere tutto. Una sola chiave per cento serrature. Percezione carente dei rischi.

Impostazione dei livelli di riservatezza Scarsa conoscenza del funzionamento di facebook. Evoluzione rapida e mutazione sostanziale dei social

network. Fiducia eccessiva negli amici (salvo scoprire la delusione

del tradimento).

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Gli elementi «caldi» Le immagini

Problema della condivisione. Privacy.

Problema dell’opportunità. Sexyting.

Problema della «disponibilità». Disseminazione. Proprietà e diritti sulle immagini. Gruppo e amici che fotografano.  

I video Problematiche simili a quelle delle immagini Dimensione del parlato: la voce e le parole. Porno Diritti d’autore e Youtube.

 

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Elementi «critici» Le applicazioni

Accedono a dati legati all’account di facebook senza specificare, al momento della sottoscrizione, quali siano questi dati.

Applicazioni che leggono i nostri log e da dove ci connettiamo: problemi di tracciabilità.

Applicazioni malevole che inviano dati a terzi senza il nostro consenso.

Applicazioni che si comportano da virus informatici e che possono interferire con il funzionamento dei computer con cui ci si connette.

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Elementi «critici» Le applicazioni

Modelli interpretativi della realtà Goliardia sulla scuola e demotivazione Approccio light ai temi del sesso e delle

sostanze

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Social network per … •  Informazione (sapere)

o  alfabetizzazione di base: utilizzo critico delle informazioni e dei contenuti presenti nei nuovi media (lettura, analisi …)

•  Costruzione (saper fare) o  costruzione della cultura e costruzione sociale delle

conoscenze: educare a diventare produttori di contenuti ◊ partecipazione attiva

•  Espressione (saper essere) o  valorizzazione ed espressione del soggetto che apprende:

stimolare una produzione e un uso dei contenuti e degli strumenti dei social network di tipo creativo e soggettivo

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L’informazione (il sapere)

•  educare a saper leggere nel modo corretto. •  saper tener conto delle diverse rappresentazioni della

conoscenza, della molteplicità dei punti di vista, della complessità della conoscenza e a formulare poi la propria interpretazione (della realtà, di un concetto, di una teoria)

•  educare a saper valutare e comparare i diversi contenuti

•  educare a saper ricercare in modo critico, consapevoli della necessità di filtrare le informazioni, di selezionarle

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La costruzione (il saper fare) •  educare a a saper descrivere e saper esprimere le

proprie idee

•  educare a saper organizzare/riorganizzare i contenuti (testuali, di immagini, di video), a saper utilizzare i tag

•  educare a saper comunicare in modo comprensibile ed efficace (e, a volte, anche sintetico)

•  educare ad utilizzare mappe concettuali •  significa allenare all’uso della ragione, al pensiero

critico, a ragionare per obiettivi, a saper anche riutilizzare contenuti esposti da altri alla ricerca di nuovi significati a patto, però, di saper utilizzare e citare correttamente le fonti

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La costruzione (il saper fare)

Una didattica metacognitiva, attenta al processo di costruzione della conoscenza, dovrà anche formare all’ascolto attivo dell’altro, a saper negoziare ruoli e metodologie nel processo di produzione della cultura e nell’ambiente collaborativo del social network, a saper porre e porsi domande sollecitando una partecipazione attiva e una collaborazione che sia rispettosa del singolo e della comunità.

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La costruzione (il saper fare)

Sostenere un processo di comprensione dei possibili modelli per la creazione di contenuti innovativi (che possono variare secondo gli obiettivi che vogliamo raggiungere) e nell’assunzione forte di responsabilità di quanto prodotto (poiché divento autore)

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L’espressione (saper essere)

•  educare alla flessibilità sia come utilizzatore, sia come produttore (produser)

•  educare a saper dosare l’alternanza di questo duplice ruolo senza mai assumere il ruolo gerarchico di chi vuole imporre le proprie idee, ma, al contrario, di saper indossare l’abito creativo di chi sa collaborare, di chi mantiene alta la propria curiosità intellettuale ed è capace di mettersi in gioco con gli altri pur mantenendo una sua singolarità e unicità

•  educare alla condivisione con gli altri (di cultura, competenze, conoscenze, abilità) e all’utilizzo di propri modelli di produzione collaborativa

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Cooperative learning

Chi è abituato a lavorare in gruppo è capace di comprendere come la differenza arricchisce e genera un valore aggiunto perché si abitua a negoziare e a mediare la propria opinione in mezza a quella di altre persone. La Rete ci consente di sviluppare queste capacità di lavorare in gruppo e di considerare la diversità come un valore aggiunto e l’ incontro/ la connessione con l’altro come un’opportunità di crescita.