HorsesLipicanec OskarKogoj SergioPausig 2012

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Omaggio a Giuseppe Mazzariol (1922-1989)

«… e tolte in mano le redini, il rivolse alla parte del sole avendo, per quello che appare, osservato che il cavallo mettevasi in agitazione mirando la propria sua ombra, che cadeva e balzava al dinanzi di lui medesimo. Andandolo quindi bel bello acchetando, e palpatolo e accarezzatolo finché cessò d’essere così feroce e sbuffante; gittata poi via quietamente la clamide e sollevandosi d’un salto in aria, gli balzò sopra senza pericolo alcuno, e ritraendo alquanto con le redini il freno, senza batterlo punto e senza pungerlo, il teneva raccolto. Ma veggendo alfine che il cavallo deposta aveva affatto quella sua ferocia, e che pieno era di ardenza per correre, rallentogli allora la briglia e lasciollo andare, usando voce più risoluta e più franca, e percotendolo col piede.»

(Plutarco, Le Vite parallele, Francesco Rossi-Romano ed., Napoli 1857, “Vita di Alessandro”, libro II, , § V, p. 292)

L’arte è santa non foss’altro per la sua capacità di proiettare. Ciascuno raffiguri ciò che più tiene in cuore. Le vergini, i martiri, le maestà, le dame, una lattina, il disfacimento della vecchiaia o semplici ninfee. Non meno letteraria e santa è l’arte di raffigurare il destriero, il compagno più intimo e forte del gentiluomo nella lunga stagione della cavalleria. Una frequentazione di accesissimi accenti, dalle prime testimonianze paleolitiche ai giorni nostri, senza soluzione di continuità.

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I cavalli d’Oskar Kogoj e Sergio Pausig nella mostra HorsesLipicanec fanno collezione di disegni, di incisioni a basso rilievo e di maioliche sul tema del cavallo lipizzano, razza d’origine slovena (dalla località carsica di Lipizza) dal mantello grigio chiaro, di frequente impiego negli esercizi di alta scuola di equitazione, razza prescelta dalla famosa Scuola di Equitazione Spagnola (Spanische Hofreitschule) di Vienna. Una forma familiare è stata dunque scelta, in reminiscenze di bambino, tuttavia, che ricordano i corridori grafiti sulle pareti preistoriche. Un bucefalo che sia prossimo a climi e retaggi popolari; un cavalluccio in terraglia che parli la lingua schietta e contadina di Esenin (“... soffiano con le nari una patina d’oro”, da La Mandria di cavalli, 1915), la visione onirica di Chagall (Sogno di una notte d’estate, 1939), le volumetrie solide di Picasso (Ragazzo con cavallo, 1905-1906). Cavalluccio nobilitato dal terzo fuoco di gente di confine – Pausig, Kogoj -, ma d’un confine anomalo, per noi inusuale perché, abituati come siamo ad una percezione ostile dell’attraversamento, mal ci si attaglia lo stare di qua o di là d’una linea marcatamente astratta qual’è la reseca che separa (sic) Italia e Slovenia. Frequentarsi, essere familiari. C’è prossimità fra Oskar Kogoj e Sergio Pausig. Frequentazione che sedimenta da secoli, come certi colori che vogliono lunghe macerazioni e la cui sola amistà crea i migliori chiaroscuri. Il confine è perciò labile. Prossimità geografica versus prossimità culturale nell’utilizzo dei mezzi, nell’utilizzo del metodo, tutto mitteleuropeo, che discende ad entrambi dalle Secessioni.

In HorsesLipicanec è possibile leggere il canone antico:

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Un classicismo dunque, nei bianchi purissimi che Kogoj usa, negli ori suoi bizantini, e un riscatto. Riscattare il cavallo dalla visione negativa che per qualche strana ragione pervade l’immaginario scolastico cristiano. Per esso il cavallo è sinonimo di scarsa intelligenza, di orgoglio, di sfrenata lussuria, quando non del tutto demoniaco (Animali simbolici. Alle origini del bestiario cristiano I (agnello-gufo), a cura di Maria Pia Ciccarese, EDB, Bologna 2002, cap. XIV, pp. 287-311, ad vocem: Cavallo). A nulla vale la qualifica pagana di attributo di Poseidone, di Apollo e Demetra: nella tradizione giudaico-cristiana il cavallo è dannato; almeno su di un piano patristico ed ecclesiale, perché nella diacronia della vita vissuta e della cavalleria, s’è detto, il destriero è pressoché tutto, come tutto è la sua livrea da combattimento, da giostra, da parata, al punto che il connubio cavallo-cavaliere diventa, nel Rinascimento europeo, “una poderosa macchina rappresentativa, una scrittura esposta, un multiplo figurativo che intende comunicare senso a chi ne osserva lo splendore” (Amedeo Quondam, Cavallo e cavaliere. L’armatura come seconda pelle del gentiluomo moderno, Donzelli, Roma 2003, p. 7).

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Pausig fa il resto, e che resto! La scrittura è ancora esposta, ma il segno differente. La sua frequentazione con le zoomorfie è lunga e lungamente sedimentata. I suoi quadri pullulano, oltre che di piante carnali, di animali onirici che a quella vegetazione si fondono. L’emblematica che ne deriva è spesso un omaggio alle città che più ama, come l’elefante liotru' di Catania, al suo stesso cognome d’uccello, retaggio poetico di tutta l’area che egli vive e respira da ragazzo, tra Friuli, Slovenia , o solamente al suo orizzonte metafisico e surreale, pullulante di libellule su orizzonti e tessimenti “ganzi”, come si sarebbe detto a Venezia tra Sei e Settecento. Il segno è dunque differente: non è qui in gioco la natura marziale del cavallo, ma il suo tratto poetico e confidenziale. Su i bianchi di Kogoj è steso, velatura su velatura, un sentore fanciullesco di colori pastello. Briglie e redini non imbrigliano nulla, ma indirizzano lo sguardo verso un personale microcosmo. La gualdrappa è di marzapane, le sue volute sono i cirri di una torta cassata. Quasi una giostra, vien da dire, che avvicina i piccoli cavalli di Pausig ai “pupi di zuccaru” della sua amata Palermo; dunque alla vulgata più longeva delle antiche chanson de geste, locus immaginario in cui la tradizione franca e longobarda si fonde all’universo arabo, pronto ad esser spezzato e mangiato dalle mani di un bimbo.

Gli autori hanno sperimentato scegliendo il cavallo perché riassuntivo delle qualità umane e intellettive di Giuseppe Mazzariol (1922-1989), già docente d’Arte contemporanea, Preside della Facoltà di Lettere e Filosofia, primo Direttore del Dipartimento di Storia e Critica d’Arte ora intitolato a suo nome, dell’Università degli studi Ca’ Foscari di Venezia. Allo storico dell’arte veneziano, di cui Sergio Pausig e Oskar Kogoj sono stati allievi e amici affezionati e riconoscenti, il progetto e la mostra sono dedicati.

12 maggio 2012 Vittorio Ugo Vicari

http://www.wix.com/sergiopausig/lipicanec

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