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RIVISTA TRIMESTRALEDI CULTURA, STORIA,POLITICA ED ECONOMIA

i QUADERNIDEL TICINOi QUADERNIDEL TICINO

Spedizione in abbonamentopostale - 70% Filiale di Milano

47i QUADERNIDEL TICINO

IV° trimestre 2003

2I Q U A D E R N I D E L T I C I N O

Il Centro Studi Politico-Sociali “J.F. Kennedy” detiene e tratta i dati relativi a ciascun socio - nome, cognome, qualifica, indi-rizzo e recapito telefonico - ai soli fini di attività associativa (invio di materiale informatico relativo alle nostre iniziative edella rivista i Quaderni del Ticino). Da parte di chi non è socio, il conferimento dei dati, utilizzato con identiche finalità, èfacoltativo: è possibile in qualunque momento richiedere l’aggiornamento o la cancellazione, così come è possibile oppor-si all’invio del materiale scrivendo al Centro Studi Politico-Sociali “J.F. Kennedy”, Via Colombo 4, 20013 Magenta

Rivista trimestrale di cultura, storia, politica ed economiaNuova Serie - Anno X - Numero 47Reg. Tribunale di Milano n. 47 del 7-2-1981Spedizione in abbonamento postale - 70% Filiale di Milano

Direttore Responsabile: Fabrizio GaravagliaDirettore Editoriale: Massimo Gargiulo

Redazione: Valeriano Castiglioni, Marco Cozzi, Elio Fontana, Antonio Parini, IgnazioPisani, Fabrizio Berto Provera, Teresio Santagostino, Fabrizio Valenti

Hanno dato la loro disponibilità alla collaborazione:Piero Airaghi, Antonio Airò, Marco Aziani, Abele Baratté, Francesco Bigogno, SergioBoroli, Sergio Calò, Angelo Caloia, Giovanni Cassetta, Vittorio Castoldi, PiercarloCattaneo, Gaetano Ceriani, Luigi Ceriotti, Giovanni Chiodini, Mario Comincini,Roberto Confalonieri, Adriano Corneo, Aurelio Cozzi, Achille Cutrera, Giuseppe DeTommasi, Gigi De Fabiani, Mario Di Fidio, Carlo Ferrami, Romano Ferri, AlessandroGrancini, Franco Grassi, Davide Graziani, Giuseppe Leoni, Marco Marelli, MariaGiovanna Martines, Paolo Musazzi, Francesca Piragine, Giovanni Pozzi, FrancescoPrina, Carlo Ravazzani, Luigi Rondena, Silvio Rozza, Luciano Saino, Silvano Santucci,Giuseppe Segaloni, Maurizio Spelta, Carlo Stoppa, Carmelo Tomasello, EmanueleTorreggiani, Mauro Valenti, Luciano Valle, Gianni Verga.

Editore:

Presidente: Ambrogio Colombo

Redazione ed Amministrazione: Via C. Colombo, 420013 Magenta (MI) - Tel.-fax 029792234

Prezzo di copertina: €5Arretrati Ia serie : €7, numeri monografici: €10Abbonamento annuo: €15, da versare su C.C.P. n. 14916209 intestato a:Centro Studi Kennedy - Via Colombo, 4 - 20013 Magenta (Mi)

Progetto grafico, impaginazione e stampa: Agenzia Agorà Via Pretorio, 30 -Magenta - Tel.-Fax 0297295339 - [email protected]

Foto di copertina: Naviglio di Boffalora T. “Al Barchett” - Foto Archivio Parco del Ticino

Finito di stampare nel mese di Gennaio 2004

Marco
Typewritten Text
ISSN 2038-2545

• Il Punto Le bande dei bond . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .p. 4di M. Gargiulo

• TerritorioConvegni: in prosecuzione dellacollaborazione con l’Università Cattolica . . . . .p. 8di M. Cozzi

Il sogno di un Parco Agricolo Metropolitano . .p. 9di A. Villani

Quello che vorremmo nella nostra città,sul nostro territorio e come realizzarlo . . . . . . . .p. 12di A. Villani

Piano Territoriale di CoordinamentoProvinciale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .p. 24di F. Valenti

Mobilità e trasporti nel Magentino . . . . . . . . . . .p. 27di F. G.

• Centro KennedyCentenario della Basilica di S. Martino . . . . . . . p. 30di F. V.

www.centrostudikennedy.it . . . . . . . . . . . . . . . . . .p. 32di M. Cozzi

La difficile evangelizzazione dei giovani, oggi . .p. 36di S. Lovati

In sofferenza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .p. 40di T. Santagostino

Un Cattolicesimo scomodo . . . . . . . . . . . . . . . . . .p. 42di P. Cattaneo

Servizi Sociali - SanitàFamiglia ideale, famiglia attuale . . . . . . . . . . . . . .p. 45di A. Colombini

I gruppi di cure primarie e nuoveprospettive della Medicina Generale . . . . . . . . .p. 48di C. Turri

• LavoroCrescita economica, tutela di salari epensioni, le priorità del sindacato . . . . . . . .p. 55di S. Pezzotta

Bilancio di un anno:lavoro ed occupazione in forte difficoltà . .p. 58di A. Grancini

L’incerto futuro dei Centri Lavoro dellaProvincia di Milano . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p. 61di I. Pisani

Il Decreto legislativo n. 228/2001 . . . . . . . . . p. 66di S. Moroni

Centro Territoriale Permanente:passato e presente . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p. 69di G. Urcio, G. Tuttoilmondo

API Milano: la questione energetica . . . . . . p. 81di F. V.

API: situazione congiunturale . . . . . . . . . . . p. 82di Fabrizio Valenti

• Le nostre contradeUn secolo di energia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p.84di F. V.

L’eco della Battaglia nella Basilica di Magenta. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p.88di A. Cislaghi

• Cultura del TicinoAnnunciazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .p.106di C. Fornasieri

Leonardo: 500 anni fa nel Ducato Sforzesco, oggi nel cuore della Lomellina . . .p.110di L. Cerri

Museo di Arte e Tradizione contadina . . . .p.112di L. Chiesa

La Valle del Ticino, culla di civiltà . . . . . . . .p.116di M. Cozzi

3S O M M A R I O

Fino all’esplodere dellevicende Argentina, Cirioe Parmalat i bond,

meglio noti al pubblico deirisparmiatori come obbliga-zioni, erano utilizzati esclusi-vamente da istituzioni eimprese per finanziare, leprime, il debito pubblico, leseconde, gli investimenti. Cosìalmeno sembrava. La misuradella rischiosità di tali obbli-gazioni era data dal “rating”attribuito a ciascuno di essi daapposite società specializzatesulla base di dati di bilanciocertificati da apposite societàdi revisione.Dal caso Cirio, ma soprattuttodopo il caso Parmalat, i bond,soltanto alcuni beninteso,sembrano servire a tutt’altro.Non è qui il caso di richiamarele responsabilità, a secondadei casi citati, delle istituzionidi vigilanza: Banca d’Italia,

Consob e Borsa; o quelle deiconsiglieri d’amministrazione,dei sindaci e dei revisori deiconti delle singole società odel sistema bancario italiano odi singole banche italiane edestere.Ci sono indagini in corso daparte della magistratura, cheserviranno per accertare, oltrealle frodi, se qualcuno abbiatratto illeciti profitti da infor-mazioni delle quali in mercatonon sia stato portato a cono-scenza (insider trading), se siastato fatto dell’aggiotaggio ose qualcuno abbia alleggeritole proprie esposizioni sullabase, appunto, di notizie riser-vate. A giorni si apriranno ilavori delle commissioni d’in-chiesta parlamentare.Ci limitiamo, qui, a registrarelo sconcerto che è calato sututti noi proprio durante lefestività natalizie e che ha tur-

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Le bande dei bond

Dialogo aperto con i lettori

bato i sonni dei molti rispar-miatori e lavoratori coinvoltinella vicenda Parmalat e levacanze di tutti noi.“Pensavamo di trovare 4miliardi e 200 milioni di attivoche invece non ci sono”. Inquesta battuta, raccolta tra icomponenti dello staff diEnrico Bondi, Commissariostraordinario del GruppoParmalat, è riassunto tutto losconcerto di chi sta mettendoordine a quello che si prospet-ta non soltanto come uno deipiù grossi scandali finanziari alivello mondiale, ma soprat-tutto come il più grossoimbroglio perpetrato nei con-fronti di risparmiatori, lavora-tori e istituzioni.E non è tutto. A distanza diquasi un mese dall’esplosionedel caso, nonostante le nume-rose inchieste giornalistiche etelevisive che ci hanno accom-pagnato per giorni e giorni, c’èancora spazio per nuove sor-prese e per nuovi scoop per lecaratteristiche che la vicendaParmalat assume giorno pergiorno.La sorpresa maggiore è sapere

che quest’andazzo è andatoavanti per anni, mentre leintraprese del CavaliereCalisto Tanzi e compagnisuscitavano elogi ed ammira-zione. Un andazzo nel quale ilfatturato, in buona misuraparte fittizio delle aziende delGruppo, facendo figurare pro-fitti fittizi, consentiva emissio-ni miliardarie di bond, finaliz-zate, nei migliori dei casi, aripianare le perdite di una follepolitica di acquisizioni, neipeggiori, a generare guadagniilleciti per una ristretta cerchiadi persone.Persa la chimica, l’informaticae la grande distribuzione, ridi-mensionato l’auto, compro-messa la competitività delMade in Italy, l’industria italia-na conquistava attraversoParmalat una delle pocheoccasioni di riscatto, attraver-so una tumultuosa crescita alivello nazionale e internazio-nale.Oggi questo sogno è svanito.Esso lascia il posto al timoreche la vicenda Parmalat noncostituisca un fenomeno iso-lato e che la credibilità genera-

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le del Paese risulti irrimedia-bilmente compromessa. Iltutto in una fase delicatissimadell’economia internazionalee ancor di più della nostra eco-nomia.Saremo in grado di reagire atutto ciò. Saremo in grado diriconquistarci la fiducia deirisparmiatori, dei lavoratori,della pubblica opinionenazionale ed internazionale ?Io credo di sì. Non soltantoperché rimango un inguari-bile ottimista, ma perchéquesta volta, veramente, ilPaese sembra aver presocoscienza delle iniquità allequali si deve porre riparo edei rischi ai quali andrebbeincontro se ciò non dovesseavvenire.Tutto ciò presuppone però ilriemergere di un forte sensodello Stato e una intransigentedifesa della legalità che inve-sta le istituzioni, le forze poli-tiche e sociali, i cittadini.Il 2004 si presentava, prima diquesti fatti, come l’anno dellaresa dei conti tra maggioranzae minoranza. Entrambe, infat-ti, sembravano più alla ricerca

di occasioni di scontro in vistadelle elezioni europee edamministrative (rinnoverannocirca la metà dei comuni ita-liani assieme a numerose pro-vince, tra queste la Provinciadi Milano) che di convergenzanella ricerca di soluzioni per iproblemi del Paese.Ora tutto ciò sembra privo disignificato. Soprattutto se localiamo nel difficile climasociale che stiamo vivendo.Basta pensare, a questo pro-posito, al primato raggiuntodall’Italia in Europa per ore disciopero effettuate nel 2003 oal peggioramento della crisidei consumi registratasi a fineanno.Se le forze politiche e socialisaranno sorde a questi richia-mi della realtà, se non si met-teranno d’accordo, ancheattraverso aspri confronti, suprovvedimenti equi ed efficaciper risolvere le difficoltà eco-nomiche e sociali del Paese,assisteremo ad un’ulteriorefuga dal voto. E forse anche daPorta a Porta.

Massimo Gargiulo

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Itre Convegni organizzati loscorso anno, “Sviluppo egoverno dell’Est Ticino:

Realtà e Progetto”, “Il ParcoAgricolo del Sud Milano.Problemi e Prospettive” e “LaLegislazione Urbanistica tra-dizionale e i suoi esiti; lan u o v a L e g i s l a z i o n eUrbanistica: obiettivi, attese,difficoltà”; hanno rappresen-tato per il nostro Centro Studil’inizio di una importante col-laborazione con l’IstituzioneAccademica milanese. Dalcanto dell’Università sonorisultati la continuazione di

un processo di analisi delleproblematiche che riguardanoattualmente l’area metropoli-tana milanese. Questo proces-so di analisi portato avantidall’istituzione accademica èbasato su diversi ConvegniStudio tenutisi nella sededell’Università durante ilcorso del 2002 e 2003, la cuipubblicazione degl’atti haportato alla realizzazione dellacollana di libri “Sulla Città,Oggi”, di cui già si è parlato edata recensione di alcuninumeri sullo scorso numerodei Quaderni - p. 36 -. In que-

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Convegni: in prosecuzione della

collaborazione conl’Università Cattolica

L’area dell’Est Ticino�

sto modo, quindi, vi è per ilnostro centro la possibilità diun importante collaborazio-ne, e per l’Università l’occa-sione di coinvolgere – i tre con-vegni si sono tenuti non nellas e d e d e l l ’ a t e n e o m a aM a g e n t a , G a g g i a n o eMorimondo - e portare mag-giormente sul territorio i risul-tati dei suoi lavori.E’ in base a ciò che, nella pro-secuzione della pubblicazionedelle sua attività, gli atti dei treConvegni dello scorso annosaranno oggetto del prossimonumero della collana “SullaCittà, Oggi” ora in pubblica-zione e disponibile dalla pros-sima primavera.Ad ogni modo, si è deciso dipubblicare in anteprima sullanostra rivista i due contributirealizzati dal moderatoredegl’ultimi due Convegni ,quelli sul Parco Agricolo esulla Legislazione Urbanistica,in cui è possibile trovareimportanti riflessioni e consi-derazioni in attesa della pub-blicazione del libro contenen-te gli atti integrali.Proponiamo quindi di seguito,ma anche sul nostro sito -

www.centrostudikennedy.it -,le due “introduzioni” del pro-fessor Villani dell’UniversitàCattolica.Tutti i libri della collana “SullaCittà, Oggi”, sono disponibiliper gli interessati, oltre che inlibreria, in consultazione pres-so la sede del nostro CentroStudi.

Marco Cozzi

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II LL S O G N OS O G N O D ID I U NU NPA R C OPA R C O A G R I C O L OA G R I C O L OM E T R O P O L I TA N OM E T R O P O L I TA N O

L’incontro di oggi riguarda iltema del Parco agricolo del

Sud-Milano, che è una realtà,ma che è sottoposto - cometutti gli altri parchi - oltre chea entusiastiche adesioni daparte di coloro che apprezza-no le politiche del verde e uncerto modo di fare urbanisti-ca, anche a forti pressioni perlimitarne il significato, l’effica-cia, il mantenimento nella

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forma, nelle dimensioni, enelle regole che lo governano,in vista di trasformazioni più omeno profonde e varie, chehanno come obiettivo sostan-ziale l’inserimento di altrefunzioni, certamente impor-tanti, ma che portano a modi-ficare la situazione esistente.Noi non siamo qui a sostenerein modo asseverativo soluzio-ni predefinite. Siamo qui adaffrontare con rigore – coin-volgendo studiosi e operatoriche hanno pensato e progetta-to e gestito il parco, e studiosie tecnici e amministratori cheprofessionalmente si sonointeressati a questo tema,insieme con urbanisti che sisono dedicati in modoapprofondito alla cura, allaconservazione e allo sviluppodel territorio – i problemi cheoggi si presentano sul tappetocon riferimento a questoparco. E questo in un momen-to di grandi trasformazioninelle leggi, negli orientamenti,nelle politiche territoriali ingenerale in tutto l’Occidente, eanche in Italia, e nella RegioneLombardia in particolare.La questione di fondo che sipresenta è: si può non solo

progettare e concretizzare inun certo momento storico, maanche mantenere in vita unparco in un’area metropolita-na come quella milanese? e siintende un parco che non siaun pezzetto di territorio da“destinare a verde”, e magarida trasformare in un giardino:cioè in qualcosa come HydePark e Regent’s Park di Londra,o p p u r e c o m e i l P a r c oSempione di Milano. E’ pensa-bile che si possano includere emantenere in un parco intieripaesi e città con tutto il loroterritorio, e pensare di lasciarequesto grande parco inaltera-to nel tempo?E quale è mai il senso di unparco agricolo che dovrebbeconservare l’eredità del pas-sato, e quindi anche le atti-vità agricole, quando le atti-vità agricole sono svolte oggicon tecniche avanzate, enor-memente diverse dal passa-to, con processi e metodiindustriali che non hannonulla a che vedere con quellitradizionalmente svolti nelpassato? Con una specializzazioneproduttiva che è totalmentediversa dalla varietà di culture

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praticate fino a pochi decennior sono?L’area metropolitana milane-se è un territorio dalle trasfor-mazioni profonde e continue. Non credo proprio sia possi-bile pensare che una grandis-sima area di questo tiporimanga inalterata per sem-pre; non ritengo possibile noncostruire nuove strade, se itraffici di camion e di autocontinuano a crescere adismisura; se la paralisi nellamobilità è la regola. Non èpossibile non costruire nuovecase se continuano a giungerepersone a centinaia dimigliaia; persone che voglio-no vivere in città, non nellacampagna del Lodigiano; nonin quella del Piacentino oancora più lontano.In una simile situazione, dob-biamo batterci per manteneretutto com’è, salvo sapere chetutto cambierà per una infi-nità di azioni graduali o vio-lente nel tempo, per affermareche noi abbiamo fatto concoraggio la giusta e doverosabattaglia, pur sapendo chesaremmo stati sconfitti?O invece dobbiamo sostenereche si deve cercare di vincola-

re in modo preciso quantoappare essenziale; dobbiamobatterci per fare in modo chele strutture che si dovrannoineluttabilmente venire a pro-gettare debbano essere pro-gettate e realizzate con altaqualità, senza trabordamentinon previsti?Sarà dunque possibile fare inmodo che anche il Sud-Milanoun po’ per volta non diventicome la Brianza, o anche qual-cosa di peggio? Sarà possibile,e per azione di chi, fare inmodo che isole di eccezionalibellezza come Chiaravalle,Viboldone, Mirasole - anticheabbazie create dagli Umiliatiun tempo lontano nella terradi marcite - non abbiano a tro-varsi circondate da quartieri-giardino nient’affatto eccezio-nali per architettura e urbani-stica?C’è spazio o non c’è spazioqui, come in San Xavier delBac, alle porte di Tucson,inArizona, per una riserva distoria e di bellezza? Ma inItalia, e nel Milanese - verreb-be da sottolineare con lucidorealismo - non esistono riserveindiane.

Andrea Villani

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QQ U E L L OU E L L O C H EC H EV O R R E M M OV O R R E M M O N E L L AN E L L A

N O S T R AN O S T R A C I T T ÀC I T T À , , S U LS U L N O S T R ON O S T R O

T E R R I T O R I OT E R R I T O R I O EEC O M EC O M E R E A L I Z Z A R L OR E A L I Z Z A R L O

IntroduzioneOggetto di questo incontro,come di quello tenuto aGaggiano il 27 settembre, è ilgoverno della città e del terri-torio. Anche in questo caso,come nell’incontro di aprile inMagenta, e di Gaggiano in set-tembre, non veniamo con tesipredefinite da proprorre comedogmi, come se possedessimodelle verità indiscutibili.Ognuno di noi, ognuno deirelatori come ognuna dellepersone qui presenti, portato-ri di esperienze tecniche eamministrative, e di una rifles-sione su un’esperienza con-cretamente vissuta nel tempo,ha delle idee che sono frutto distudio, passione, esperienza,confronto con gli altri, fruttodi giudizi di valore e di un con-fronto con i giudizi di valoredegli altri, frutto delle proprieelaborazioni teoriche e appli-

cate, ma anche di un confron-to con la lezione della storia,cioè delle realtà concrete concui ci si è dovuti misurare.Per introdurre il nostro lavoroe il nostro dibattito, che si svi-lupperà oggi ma continuerànel tempo – quanto ce ne saràdato,. e finchè resista la nostrapassione e la sollecitazione el’impegno degli amici qui pre-senti – ritengo di presentarealcune schegge di riflessione,su punti diversi che toccanotutti i temi della città e del ter-ritorio, quale elemento di sti-molo su cui qui o negli svilup-pi futuri potremo e dovremonecessariamente confrontarci,e c o m p i e r e r i f l e s s i o n i ,approfondimenti, dibattiti.

1. La città vista dall’alto, e lacittà vista dal basso, dallaparte dei comuni abitantiMolti architetti-urbanisti, egeografi, e politici, guardano efanno vedere la città e il terri-torio dall’alto, e si vede unagran macchia di aree costrui-te; si vedono aree verdi ditanto in tanto. Questa conur-bazione gigantesca è presen-tata come uno scandalo; ma lagente vive la città, guarda la

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città dal basso, dalle stradeche concretamente percorreogni giorno; dal cortile o dalterrazzino di casa; .insiermecon le persone che incontra, eche conosce, o che dividonocon lui l’enorme solitudinedella grande città.

2. Che cosa rende città lacittà? Cosa è necessario oggiper rendere città una città?ma cos’è una città? cosa èbene che sia una città? e sipuò fare quello che riteniamosia bene?Per chi si trova ogni mattina eanche in altre ore del giornoimbottigliato sulle strade ilproblema fondamentale nellacittà di oggi è potersi muovere,poter accedere - come si suoldire - alle molte funzioni urba-ne. Potersi muovere significaanche potersi fermare quandosi giunge alla meta.Questo è, per me e per molti,un fondamentale problemaurbano del nostro tempo. Peraltri nella città, il problemafondamentale è trovare casa,perché non hanno una casa onon l’hanno accettabile,decente. Per altri ancora il

problema è trovare un postoalla scuola materna per i pro-pri bambini; per altri l’ambu-latorio per la dialisi; per altritrovare un lavoro; per altriavere il verde dei giardini e deiparchi; per altri ancora quelloche fa città la città non è lapresenza di tutte le cose ovve-ro “funzioni” elencate, ma ilmodo in cui queste cose o fun-zioni sono realizzate. Modoche deve essere bello, deveessere accogliente, deve essereconfortevole, deve esserecapace di esprimere la capa-cità creativa dei cittadini diadesso, e anche la loro storia.Ecco, certamente tutte questecose fanno la città.

3. Arte e cultura nel cuoredella cittàSi pensa adesso da planners eadvisers che per far sviluppareil cuore derelitto - cioè ledowntowns - delle città ameri-cane si deve investire in cultu-ra, si devono creare musei,concert halls, sale per exhibi-tions e altri elementi cheabbiano a che fare con l’arte,le performing arts, le visualarts e ogni forma dell’arte ingenerale.

Si tratta innanzitutto di crearemagnifiche strutture in luogodelle dilapidated houses. Inquelle poi performers famosicreeranno eventi clamorosicapaci di richiamare l’atten-zione dei media che dicanol’importanza di essere lì, divedere quelle cose, di parteci-pare a quegli eventi, al modoche è importante mettersiabiti griffati, essere elegantisecondo i criteri predicati epraticati dagli stilisti famosi edai loro supporters.Se quelle operazioni funziona-no, se hanno un clamorososuccesso, come il GuggenheimMuseum di Bilbao, quell’unicaoperazione divenuta famosa eattrattiva allascala mondia-l e p o r t e r às o f i s t i c a t iintellettualia m m i r a t o r idell’architet-tura moder-n a , d e l l em o d e r n ee s p re s s i o n id e l l ’ a r t e ea n c h e u ng r a n d en u m e r o d i

persone che cercherà - insie-me con quel la esoter ica,ermetica visione - altre piùcomuni, tradizionali, ma sem-pre apprezzate espressioni divita che non sto a raccontare eche acquistano particolaresignificato e valore per il fattodi essere consumate e vissutein quei luoghi d’eccezione.A volte, anzi quasi sempre,operare negli slums, nelledowntowns o comunquequartieri squallidi, di miseria -possiamo dire quanto menosenza qualità? -comportademolire, e demolire compor-ta far sloggiare migliaia di per-sone; comporta anche magariabbattere alberi piantati da

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bambini di scuole elementaricome espressione concretad’amore per una natura cheappare abitualmente assentenell’artificio della città. C’èdunque di solito - quando sitocca un “cuore di città” - unarealtà di esseri umani cheviene toccata, e quindi questorinnovo urbano non è maioperazione neutrale, senzasofferenza, senza dolore.Che dire allora di una similetendenza? di una simile ten-sione creativa volta a trasfor-mare modi di essere dellecittà, delle persone in un gran-de numero? sarebbe da rifiuta-re perché il business nonpotrebbe mai generare arte,generare cultura? Io penso che se il denaro è losterco del diavolo, è uno stercoche può far crescere creazioniumane splendide e mirabilicapaci di durare nel tempo.Penso – e l’ho detto e scrittotante volte, e lo ripeto - chesenza il denaro non sarebberonate opere famose, oggi partenon solo del nostro patrimo-nio materiale, ma parte delnostro spirito, sangue delnostro sangue, carne dellanostra carne, nostra vita.

Senza il denaro, e il suo potere,progetti di cattedrali, palazzi,cuori di città elaborati daarchitetti famosi sarebberorimasti puramente e sempli-cemente disegni, nella miglio-re delle ipotesi conservatinegli archivi.Amici idealisti, questa regolaterribile non è cambiata neltempo.

4. Demolire i quartieri di edi-lizia popolare?Come noto, un disgraziato -drogato e spacciatore - haucciso in Rozzano un bambi-no di tre anni e - certo diminore importanza nell’atten-zione e giudizio collettivo - unpensionato di sessanta; eancora - di nessuna importan-za per la comunità civile - undisgraziato come lui drogato espacciatore abituale.Questa vicenda ha suscitatoun enorme clamore, e in giocosono entrati non solo teppistie piccoli e grandi delinquentiche in generale fioriscononella grande città quanto piut-tosto è diventata oggetto di unintenso, feroce dibattito, laperiferia in generale e in parti-colare i quartieri milanesi di

edilizia popolare.È una storia vecchia dare agliedifici architettura e urbani-stica la colpa di ciò che nonfunziona nelle case dellagente. Perché non c’è possibi-lità di incontro? perché man-cano i servizi? perché la genteche abita lì non si ritrova inquel tipo di edifici? I grossiedifici della periferia milanesecome a Torino, Napoli e Roma- definiti casermoni in modosbrigativo - sono visti comefrutto anch’essi di una stagio-ne infelice della PrimaRepubblica, dove anche inquesto amministratori politici

e tecnici al loro servizio avreb-bero compiuto errori clamo-rosi in un tempo di urbanisti-ca di basso profilo con archi-tetture di bassa qualità.Una grande ira mi è sorta nelprofondo nel leggere tesi tantostupide, false e sciagurate.Credo di poter dire che mai,c o m e n e l l ’ i m m e d i a t oSecondo Dopoguerra si prestòtanta attenzione al modo difare buona urbanistica ebuona architettura come neltempo che fiorì nel nostrop a e s e l a l e z i o n e d e lMovimento Moderno. Anchese si era molto poveri, e non

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era facile tradurrue in concre-to in modo diffuso le buoneintenzioni. Forse qualcuno non sa che laspecializzazione funzionale, iquartieri residenziali, separatidalle zone industriali, separatidalle zone commerciali ecce-tera erano espressione delrazionalismo più puro, e iquartieri milanesi erano previ-sti nel famoso PRG del 1953,considerato in quel tempo ilpiano più moderno d’Italia, ilpiù avanzato, il più coerente erigoroso.Devo anche dire che in queltempo, di fronte alla mancan-za di case, di fronte a immigra-ti che dal Meridione d’Italiagiungevano a migliaia ognigiorno nella grande città, larisposta non fu di lasciarlinelle baracche e anche di peg-gio come si fa oggi con popoliche arrivano dal Meridionedella Terra. Lo sforzo enormedi una classe politica rigorosae capace fu costruire subito lecase necessarie coi progetti dicui si era capaci, con le tecni-che migliori disponibili almomento; e fu così che nac-quero Gratosoglio e Rozzano,il Quartiere degli Olmi a

Baggio, e Chiesa Rossa, Feltree il Gallaratese, il QuartiereAmbrosiano e Quarto Oggiaroe Via Forze Armate e altriancora.E sorsero anche quartieri ecittà realizzate dalla coopera-zione edilizia su iniziativa cat-tolica così come su iniziativacomunista. Forse che qualcu-no di questi quartieri non èformato di grosse case? forseche in Italia da qualche partele periferie urbane sono com-poste da casette con giardinocome a Londra, Los Angeles oNew York? forse qualcunoavanzò mai per l’area milane-se una simile proposta, altempo della grande migrazio-ne, al tempo del grande com-pletamento della città indu-striale, al tempo della forma-zionedell’area metropolitana?E ancora: forse che le casedove abitano tutti i cittadinimilanese, la casa dove abitada più di trent’anni AndreaVillani, non è definibile -anche se ottima architettura- un casermone per il suovolume?Il fatto è che in gioco non sonosolo o tanto l’architettura el’urbanistica. La storia è che

nella grande città non sonovenute soltanto famiglie dili-genti e operose; non sono cre-sciute soltanto generazioniordinate e tranquille, deside-rose di apprendere e di lavora-re con impegno per costruireuna nuova città in una societàsconvolta dall’odio e dallerovine della guerra. Nellagrande città sono venuti manmano - con la grande migra-zione – anche mafiosi ecamorristi e criminali di gran-de e piccola stazza. Il sindacodi Rozzano denomina questicon termini gentili “persone di

diversa tradizione culturale”, egli esiti sono davanti agli occhiIl male della periferia italiananon è grave come il male delleDowntowns americane, o delcuore di città francesi del sudoccupate dai maghrebini, main qualche modo il male è lostesso. Il male è nasceredisgraziati in famiglie scombi-nate; magari figli numerosicon la madre soltanto, in uncontesto dove non vengonopremiati onestà, impegno,ordine, pulizia, desiderio diapprendere, e dove c’è possi-bilità di tutto questo, dove c’è

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una famiglia che ti segue esostiene, dove ci sono modelliumani di riferimento che nonmostrino soltanto sofferenza efatica, ma anche successoonestamente ottenuto, e posi-tivi, riconosciuti, bene accoltirisultati. In molti luoghi, permolte persone il modello diriferimento è tutto il contrario,e se nasci male nel posto sba-gliato, sei finito.Chi ti presenta oggi come illuogo dove andare ad appren-dere a vivere la chiesa e l’ora-torio? chi valori di impegnocivile?Non ho qui risposte da fornire;non credo proprio che esista-no ricette di sicuro risultato.Ho davanti agli occhi uncumulo di libri sui tentativiamericani per rendere accet-tabile l’unheavenly city, lacittà terrestre, la “città umana”(contrapposta alla città cele-ste, alla heavenly city) ma nonsono fioriti; non hanno dato ilfrutto atteso centinaia di ten-tativi, decenni di sperimenta-zioni. Il Welfare State urbanonegli Stati Uniti, in GranBretagna, in Francia, è statoun ampio fallimento.E per concludere faccio riferi-

mento all’ultima azione pro-posta, all’ultima azione speri-mentata da tempo: l’urbanrenewal nelle downtows ame-ricane, o nelle banlieux fran-cesi, o nelle periferie indu-striali delle città inglesi, e chequalcuno vorrebbe proporreanche nella periferia milane-se. Il rinnovo urbano intesocome rinnovo fisico, da attuar-si con la demolizionedegli edi-fici malfamati e fatiscenti. Làdove attuato, questo ha creatoquartieri nuovi, soprattutto diuffici pubblici e privati, einsieme anche residenze,alberghi, luoghi di entertain-ment.Per questi edifici, ben sorve-gliati tutto il giorno, e per lagente che vi abita, possiamodire esista ordine e sicurezza.Però è stato trasformato lospazio. Chi abitava in queiluoghi se n’è andato (se ne èdovuto andare) da altre particon la propria storia, il propriostile di vita, a ripetere e rivive-re il proprio modello culturale.Non a caso – come mi è statoinsegnato da urbanisti ameri-cani più di trent’anni fa -urban renewal, negro removal.

5. Dopo l’urbanistica dellostandardC’è in Italia la pianificazioneurbanistica? mi ha chiesto unprofessore di UrbanEconomics all’Università diAkron, nell’Ohio. Ho cercato dispiegargli che cosa c’è stato esi è fatto nel passato, e checosa si tenta di fare oggi inItalia, su questo argomento.Già: cosa c’è stato in Italia?Adire il vero io conosco meglioquello che c’è stato che nonquello che c’è ora; e intendo intermini di regole, perché gli

esiti - di ieri e di oggi - sonosotto i nostri occhi. Dopo l’at-tribuzione della funzioneurbanistica in toto alle regioni,si dà il fatto che ogni regioneitaliana si sia date sue regole; euno che conosce il modo diprocedere del Piemonte sit r ov a i n d i f f i c o l t à i nLombardia; e chi conosce leregole e le prassi dellaLombardia si trova in difficoltàper quanto riguarda il Veneto eogni altra regione italiana.Si è in assenza di linee-guida, di una legge quadro di

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riferimento.Una simile situazione potreb-be essere definita una Babele,o un caos, da un certo puntodi vista. Da un altro punto divista, più ottimistico, potreb-b e e s s e r e d e f i n i t a u n aPentecoste. In cui ciascuno parla la sualingua, ma ci si comprendebenissimo lo stesso.A dire il vero quella straordi-naria circostanza fu miracolo-sa; attribuita all’azione delloSpirito Santo. Da noi abitual-mente quando si parlano lin-gue diverse si è in una situa-zione di Babele. Ma è nostrosforzo, come persone chehanno un obiettivo di impe-gno civile come regola di vita,cercare di comprendere checosa sta accadendo, e impe-gnarsi perchè le cose cheriguardano tutta la collettivitàabbiano a realizzarsi in modoaccettabile, e a migliorare neltempo rispetto al passato.Abbiamo sentito proclamareadesso da varie parti da politi-ci, amministratori, tecniciurbanisti, studiosi d’architet-tura, pianificatori professio-nali che è finito il piano e ilpianificare come era d’uso un

tempo. Sarebbe dunque finitoil piano razionalista, il pianodalle distinte destinazionid’uso del suolo; il piano basa-to sullo zoning, cioè in cui l’in-dustria deve stare da unaparte, le residenze dall’altra; ecommercio, alberghi, verde,attrezzature sportive, da altreparti ancora.Non ho capito bene se questosistema non funziona nellavisione di critici perché non vabene in generale tracciare lezone ovvero“mettere i retini”sulle mappe - che sarebbecome mettere paletti sul con-creto territorio - o invece nonvanno bene le concrete indi-cazioni delle zone perchétroppo grandi, perché troppopiccole, perché individuate alposto sbagliato, perché senzatener conto della realtà fisica estorica di quello che esiste, operché non sta bene che ilmomento pubblico (il comu-ne? la provincia? la regione?)stabiliscano in anticipo ex-ante come se avessero il dirittodi decidere cosa fare o cosanon fare, senza in realtà ilpotere effettivo di realizzare inconcreto le previsioni delpiano.

O non va bene perché ognivincolo sul territorio stimolaa modificarlo, e si suscita inchi è vincolato - o prima chesi stabiliscano vincoli - pres-sioni concrete di ogni forma etipo per modificarli per ren-derli aderenti agli interessiconcreti?Quanta ironia sull’urbanisticadello standard! sull’”urbanisti-ca quantitativa”! E però: quan-do mai un piano regolatore èstato soltanto quantità? eadesso, che cosa si proponealdilà dei vincoli, come tale danon porre vincoli, allo stessotempo pionendo l’obiettivo direalizzare una città “buona daviverci”? Ho sentito dire: “non ci saran-no più retini”, con riferimentoall’attività di elaborazione deipiani urbanistici locali. Chesignifica? che ognuno come inTexas potrà costruire sul suoterreno quanto e come vorrà?ci dovranno pur essere pianidelle strade, piani dei parchi,degli aeroporti, degli autopor-ti; e poi vincoli di rispetto deibeni culturali rilevanti. Giàtutto questo - definito da qual-cuno - fa parte di un piano, epassare con una strada da una

parte o dall’altra, fare uncasello o una stazione; stabili-re i confini di un parco da unaparte o dall’altra fa certamen-te differenza e l’insieme ditutto questo in qualche modoè già un piano territoriale.E anche se in ogni comuneproprietari di aree vorrannocostruire tenendo conto deiservizi necessari - che qualcu-no dovrà pur decidere di met-tere da qualche parte - nonsignifica forse “mettere reti-ni”? E’ stato detto: i comunisaranno responsabili; se sba-glieranno sarà evidente difronte a tutti la loro cattivaurbanistica. Ma poi? riguardasolo quel comune l’urbanisti-ca di quel comune? e se toccaanche gli altri, che serviràlamentarsi dopo eventualierrori commessi? Sono forseriparabili?sarebbe forse cosafattibile e semplice magaridemolire edifici già realizzati?non sono forse da stabilire ex-ante le regole (difficili regole: èfuori discussione!) di compor-tamento sull’uso del suolo? emagari sul concreto progetto?E’ mai possibile che non ci siaun piano di vasta area, regio-nale e provinciale, con specifi-

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cazioni funzionali quantooccorra, e regole?Non ho il minimo dubbio: ècertamente un grave proble-ma teorico e pratico fare ilpiano e non fare alcun piano.Non esistono nemmeno inquesto caso decisioni senzarischi; decisioni senza possibi-li conseguenze negative; ma

dunque mettiamo bene sultappeto con chiara evidenza irischi di ogni scelta, i rischidelle grandi alternative, e afronte di questi i probabiliesiti, i probabili esiti positivi enegativi della nuova urbanisti-ca liberata.

Andrea Villani

Con questo numero deiQuaderni avviamo unconfronto con gli ammi-

nistratori locali in rapportoall’approvazione del PTCP edelle ricadute sui nostri territori.Iniziamo, in questo numero,con sentire la voce di un espo-nente del Consiglio provincialee rappresentante di questi ter-ritori. Dal prossimo numerosentiremo Sindaci ed Assessoridei nostri Comuni.

Lo scorso 14 ottobre, dopoaver svolto un lavoro lungo treanni e mezzo e aver dedicatoall'argomento dieci sedute, dicui molte doppie e notturne,diverse ore di dibattito moltocorposo per numero d'inter-venti e per i contenuti emersi,la Casa delle Libertà chegoverna la Provincia diMilano, ha approvato definiti-vamente il Piano Territorialed i C o o r d i n a m e n t oProvinciale. Il cinque novem-bre, con la pubblicazione sulBollettino Ufficiale dellaRegione Lombardia (BURL), ilprovvedimento è entrato invigore con ricadute importan-tissime in materia urbanistica.Infatti, d'ora in avanti, i 188Comuni di Milano e dell'hin-terland potranno "auto appro-varsi" il Piano RegolatoreGenerale senza più dover pas-sare per la lunga trafila regio-

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Piano Territorialedi Coordinamento

Provinciale

nale. Servirà soltanto un pare-re di compatibilità dellaProvincia rispetto al PTCP."Una svolta epocale - comel'ha definita Piero Bonasegale,consigliere provinciale diForza Italia, nonchè membrod e l l a C o m m i s s i o n ePianificazione Territoriale cheha seguito passo a passo tuttol'iter - I Comuni, dopo l'ado-zione dei rispettivi Prg, si limi-teranno a trasmetterli aPalazzo Isimbardi che, entro90 giorni, è tenuto a formulareun parere di compatibilità,ovvero, affermare se vi sia omeno coerenza con le diretti-ve dettate dal PTCP". Non solouna procedura meno articola-

ta, ma anche tempi più brevic o m e h a r i c o r d a t oBonasegale: "Per ottenere ilvia libera, adesso, servirannosolo tre mesi contro l'anno emezzo mediamente necessa-rio per il passaggio alPirellone". Il PTCP licenziatodalla Provincia di Milano rap-presenta anche una grande"vittoria politica" per il centrodestra che ha saputo tagliareun traguardo che si era posto,senza successo, anche la pre-cedente maggioranza di colo-re politico opposto. E in que-sto senso - è doveroso ricorda-re - che in Lombardia solole province di Mantova eCremona avevano già raggiun-

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to questo obiettivo. "Naturalmente - ha dichiaratoancora Bonasegale - insieme allasoddisfazione per vedere final-mente coronati gli sforzi profusilungo questi tre anni e mezzo,non posso non rivendicare conorgoglio la consapevolezza diaver partecipato e contribuito inmodo fattivo all'assunzione ditale provvedimento". Se, appa-rentemente, il tema del PTCPpuò sembrare un argomento daaddetti ai lavori, in realtà, leimplicazione nella vita quotidia-na dei cittadini - pensiamo,appunto, al Prg - sono notevoli. "Per questa ragione abbiamoritenuto doveroso rendere taleavvenimento amministrativo ilpiù pubblico e partecipato pos-sibile, specie per quanto concer-ne la programmazione dal puntodi vista delle infrastrutture". Tra le caratteristiche principalidel PTCP, non si può fare a menodi sottolineare il clima di "frut-tuosa collaborazione" instaura-to con tutti i Comuni dellaProvincia durante la fase diredazione sia cartografica ched e l l e N o r m e T e c n i c h ed'Attuazione)."Un atteggiamento fortementericettivo delle istanze e delle

osservazioni provenienti dallerealtà locali - ha aggiunto il con-sigliere provinciale - quindi, nonun atto impositivo e con velleitàin qualche modo dirigistiche, inquanto siamo consci del fattoche il territorio è di 'tutti', indi-pendentemente dal colore poli-tico delle Amministrazioni chelo guidano".E secondo questa prospettiva diforte attenzione per quantoviene dal basso va l'emenda-mento di cui si è fatto portavoceproprio Bonasegale. In partico-lare, si tratta dell'emendamenton°1 di Forza Italia proposto e poiaccolto, che ribadendo una filo-sofia lontana da certe formetroppo accentratrici, inseriscenelle norme tecniche d'attua-zione la possibilità per i Comuniche si trovano con delle scelteurbanistiche preliminarmente"confezionate" da maggioranzediverse rispetto a quelle in cari-ca attualmente - è il caso specifi-co di Magenta - di apportaredelle varianti parziali al Prg indi-pendentemente dal raggiungi-mento o meno di un determina-to indice di copertura (il 75%)previsto".

Fabrizio Valenti

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In occasione dello studio edell’elaborazione del PianoT e r r i t o r i a l e d i

Coordinamento della Provinciadi Milano, i comuni del magenti-no diedero vita ad un “TavoloInteristituzionale” con il compi-to preciso di avviare un labora-torio di ricerca, sperimentazio-ne e pianificazione territorialedell’area del magentino.A questo “Tavolo Interistituzionale”hanno aderito: Provincia diMilano, comuni di Arluno,Bareggio, Boffalora, Casorezzo,Corbetta, Magenta, Marcallo,Mesero, Ossona, Robecco, S.Stefano T., Sedriano e Vittuone. Nell’anno 2002 si è costituitoq u e s t o L a b o r a t o r i oSperimentale attraverso unaccordo programmatico tra il“Tavolo Interistituzionale” stesso e ilDipartimento di Progettazionedell’Architettura del Politecnicodi Milano.Coordinatore del “Tavolo” e delLaboratorio è l’arch. FrancescoPrina, Sindaco di Corbetta.Coordinatore scientifico delLaboratorio il prof. GiancarloConsonni.

Nel corso del periodo 2002-2003il Laboratorio ha prodotto la suaprima ricerca dal tema “Mobilitàe Trasporti nel Magentino”.La ricerca sarà presentata uffi-cialmente sabato 31 gennaio2004 dalle ore 9,30 presso la salaconferenze della Fondazione “S.Ambrogio” (ex Caripo) in viaCasati, 52 a Magenta.Nel prossimo numero de “iQuaderni” daremo ampio spa-zio a questa giornata e ai risulta-ti di questa ricerca.

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Mobilità

e trasporti nel Magentino

Già da ora anticipiamo qualchepassaggio che riteniamo merite-vole di riflessione.La ricerca ha messo in lucecome la rete infrastrutturale delmagentino abbia risposto abba-stanza bene alla domanda dimobilità delle persone: i costiindividuali e sociali sembranotutto sommato ancora contenu-ti entro limiti accettabili, soprat-tutto se sull’altro piatto dellabilancia si pongono i vantaggiofferti dall’appartenenza a unsistema di relazioni metropolita-ne che è il più articolato e riccodel paese.Sulla efficienza della rete a sup-porto delle relazioni casa-lavoro,casa-studio e casa-servizi certoancora molto si può fare. I miglioramenti più significativipassano, è ovvio, per il trasferi-mento di quote della mobilità dalmezzo privato al mezzo pubbli-co. Decisiva per il rafforzamentodegli scambi intermodali è inogni caso l’intensificazione dellefrequenze dei mezzi pubblici.Un’altra attenzione che emergedalla ricerca è certamente lanecessità di promuovere forme ditrasporto di qualità a basso impat-to ambientale, principio d’altrocanto, accolto anche dal Ptcp.Altro aspetto importante è l’o-biettivo di ridurre la domanda dimobilità obbligata. Questo puòavvenire attraverso un riequili-

brio nella distribuzione geogra-fica di alcune funzioni sovraco-munali che maggiormente ali-mentano la domanda di traspor-to. I rapporti casa-scuola e casa-servizi sono quelli su cui il sog-getto pubblico può incideremaggiormente.Per il Magentino, ma non solo, laprogrammazione alla scalametropolitana e la concertazionefra i vari livelli decisionali, maanche fra le varie realtà territoria-li, si rendono necessarie peraffrontare in modo adeguato lericadute prodotte da nodi funzio-nali di importanza sovraregionale(Aeroporto di Malpensa e Fiera diRho-Pero). Lo stesso vale per altrescelte rilevanti che si profilanoall’orrizonte sia sul versante delleinfrastrutture di trasporto sia suquello di funzioni –quali le strut-ture della grande distribuzionecommerciale e della logistica-che solitamente perseguono inmodo unilaterale economie discala scaricando sulla collettivitàlarga parte dei costi infrastruttu-rali ed ambientali.Lo studio ha quindi cercato dioffrire stimoli ai vari “attori” ter-ritoriali, utili a risolvere proble-mi concreti e insieme a far cre-scere la riflessione sui caratteri esui destini del Magentino.

F. G.

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Presentato il prestigioso volume

Centenario dellaBasilica di S. Martino

in Magenta"Il centenario di fondazionedella basilica di San Martino sideve ridurre alla nuda comme-morazione di questo edificiocosì imponente o dietro c'èdell'altro?". Si potrebbe partireda qui - dalla domanda cheTeresio Santagostino, uno degliautori del libro, pone all'inter-no delle oltre 200 pagine di"Lume di Chiesa e d'Officina" –per comprendere il significatodi quest'opera realizzatadurante quasi un anno di lavo-ro da un gruppo di studio for-mato da circa una ventina dipersone che ha presentato alCentro Paolo VI la sua fatica.Con loro c'era AmbrogioColombo, presidente delCentro Studi J.F. Kennedy, cheha patrocinato l'evento, insie-

me al professor Sergio Zaninelli, exrettore dell'Università Cattolicadi Milano e al parroco donFausto Giacobbe. Zaninelli, che ha curato la pre-fazione, ha preso a prestito l'in-terrogativo di Santagostino perspiegare la portata del libro. "E'importante - ha detto - che untesto faccia nascere delledomande e, possibilmente,sappia dare anche delle rispo-ste". Una risposta che nel casodi "Lume di Chiesa ed'Officina" è articolata e, mettein luce, quel mondo operosoche si ritrova intorno a SanMartino inteso come puntod'aggregazione per un'interacomunità. Così ecco che "Il Tempo" - valea dire lo scenario economico e

sociale di quegli anni - "IlTempio" - ossia la chiesa in sé -e "Le pietre vive" - i parroci checon il loro impegno hanno ani-mato questo primo secolo divita della Basilica - sono lechiavi di lettura per una realtàcresciuta e sviluppatasi intor-no alla figura carismatica didon Cesare Tragella. Dunque, "Il cosa c'è dietro lafacciata?" sta tutto qui. In que-sta "formula ben assortita",dove i cittadini e la loro basilica,rappresentano un "unicum". "La società di quell'epoca - hacommentato l'ex rettore dellaCattolica - era fortemente tra-vagliata dai cambiamentisociali in corso, avrebbe potutodisgregarsi, invece, ha saputocompattarsi intorno al suotempio". Un fatto certamente degno dinota, ma non isolato inquell'Italia a cavallo tral'Ottocento e il Novecento,dove il principio di sussidia-rietà - concepito come impe-gno attivo del mondo laico -cominciava ad albeggiare. La chiosa finale di Zaninelli èstata tutta incentrata sulla pos-sibilità di riproporre nel conte-sto attuale questo stesso

modello. "E' necessario che sia mante-nuto vivo il senso della tradi-zione, che allo sviluppo econo-mico si accompagni anchequello culturale e, infine, cheun territorio abbia un suo cen-tro fisico, (ma non solo), doveritrovarsi". Condizioni questetutte ancora rintracciabili nellaMagenta del terzo millennio –a parere di Zaninelli - e chefanno di "Lume di Chiesa ed'Officina" uno strumentoutile da cui prendere spuntoper fare rivivere i fasti dell'epo-ca tragelliana.

F. V.

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Nella sua missione di ana-lisi, riflessione e divulga-zione su problematiche

ed aspetti di interesse locale,provinciale e regionale, il CentroStudi J.F. Kennedy ha semprecercato di creare rapporti strut-turati e di collaborare proficua-mente con tutti i soggetti e le isti-tuzioni che, in vario modo ed avario titolo, condividono lo stes-so focus sul territorio o possonoavere su di esso importanti rica-dute o interrelazioni.Tra questi soggetti, come peral-tro suggerisce il nome, si puòincludere il sito internetSpondeticino. Infatti, come sipuò constatare andando al rela-tivo indirizzo www.spondetici-no.it, Spondeticino risulta essereun portale che, gestito in modovolontario, permette la codifica

del territorio in un modo chesfugge alle normali logiche e cir-coscrizioni amministrative peraffondare le proprie radici in sferedi significati più propriamenteconnesse alla omogeneità morfo-logica del territorio e, in una certamisura, alla comune cultura loca-le. Spondeticino esegue infattiuna codifica del territorio basatain parte sul territorio lombardo,ed in parte sul territorio piemon-tese, sulle due sponde del Ticino,est ed ovest, offrendo i propri ser-vizi, gratuiti, e trattando questecome un’area omogenea.Il sito risulta una concentrazioneorganizzata funzionalmente diinformazioni, link e servizi frui-bili e focalizzati sul territorio,sulle sue istituzioni, associazio-ni, imprese, e su tutte le attivitàche su questo si svolgono e che

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Da una preziosa collaborazione conwww.spondeticino.it

nasce il nuovo sito del Centro Kennedy

www.centrostudikennedy.it

ne permettono una valorizzazio-ne dei tratti caratteristici oltreche, attraverso la loro fruizione,lo sviluppo di un più marcatosenso di appartenenza.Concretamente si possono tro-vare sul sito i link dei comuni checostituiscono quest’area, delleimprese ed istituzioni piùimportanti di carattere sia eco-nomico che naturalistico, non-ché delle principali associazioniculturali e di volontariato.Inoltre, è possibile trovare unaserie di link organizzati per lafruizione di alcuni dei più comu-ni servizi offerti dai normali por-tali generalisti, come il meteo,l’elenco telefonico, le mappe,ecc.. Il servizio più interessante,e che porta un notevole valoreaggiunto, sono però, forse, lenewsletter basate principalmen-te sullo spoglio dei principaliperiodici territoriali di cronaca(Settegiorni, CittàOggi, L’Altomilanese,ecc.), che i webmaster si prendo-no l’onere di realizzare e spedirea tutti coloro che si iscrivono aquesto servizo. In queste vengo-no raggruppate per categoria(corsi, eventi, gite, attività ricrea-tive e culturali, istituzionali elavorative), o per comuni (la ras-

segna stampa), le notizie ed atti-vità inerenti al territorio, che per-mettono ai residenti ed anche acoloro che si trovano distanti, diavere una visione organica, velo-ce e funzionale delle opportunitàpresenti nella nostra zona.E’ ora chiaro di come sia presen-te da un lato una coincidenza diinteressi, e dall’altro una com-plementarietà delle attività e ser-vizi svolti tra il nostro Centro e lanostra Rivista, e Spondeticino.Ed è alla luce di ciò che, con ilfinire di quest’anno e l’inizio delnuovo, parte una stretta e profi-cua collaborazione pur nell’au-tonomia delle linee editoriali edelle rispettive redazioni.Nella sostanza Spondeticino hala possibilità di rendersi visibilesu di un importante strumento diapprofondimento su carta stam-pata quale è la nostra rivista, diessere visibile quindi a tutta l’im-portante rete di nostri utenti, col-laboratori e sostenitori, oltre chedi disporre delle importanti atti-vità svolte dal Centro Studi cherappresentano un enorme baci-no di rilevanti contenuti prontiall’uso e che portano in dote ungrande valore aggiunto.Dal canto del nostro Centro, oltre

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che confrontarci con la stimolan-te codificazione del territorio daloro offerta che esce da quella sucui tradizionalmente si concen-tra la nostra rivista, vi è l’implici-ta possibilità di usufruire deirelativi servizi, come per esem-pio le newsletter sopr’accennate,ai fini della pubblicità delle atti-vità (convegni, riunioni, promo-zioni, ecc.), da noi organizzate.Inoltre, altrettanto importante, viè la volontà di sfruttare le reci-proche competenze al fine direalizzare e supportare una rin-novata presenza on-line delCentro e della Rivista. Infatti, ènavigabile al nuovo indirizzowww.centrostudikennedy.it, ilrinnovato sito del nostro CentroStudi con il link alle pagine dedi-cate alla nostra Rivista.La home page del sito del CentroKennedy dà la possibilità di fami-liarizzare con la nostra sede attra-verso delle foto digitalizzate, diconsultare le attività svolte dalcentro, di verificare la program-mazione di quelle a venire, e,appunto, di accedere alla paginadedicata ai Quaderni del Ticino.Quest’ultima da un immediatoriferimento alla rivista grazie allapubblicazione della copertina, e

struttura il relativo indice dalquale si può accedere agli artico-li, in genere per un dieci percento di quelli contenuti nellarivista, che la redazione decidedi pubblicare on-line. Tra questive ne sono alcuni che possonoessere consultati integralmente,ed alcuni per i quali è pubblicatasolo la prima parte con la riservadi una consultazione integralecontattando la redazione oabbonandosi alla rivista o al cen-tro. E’ stato deciso, inoltre, conappositi link sulla pagina deiQuaderni, di rendere disponibiliallo stesso modo i numeri arre-trati dello stesso anno che vannocosì a costituire un’importantepatrimonio a disposizionedegl’utenti tutti.Resta inteso che da ognuna dellepagine, del Centro Kennedy, deiQuaderni del Ticino, diSpondeticino, vi sono dei link daiquali è possibile accedere allealtre. Raggiungendo il vecchiosito del Centro kennedy, fino almomento della sua scadenza, laconnessione sarà automatica-mente reindirizzata alla nuovaversione.

Marco Cozzi

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C E N T R O K E N N E D Y

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Da una precedenteintervista (Quaderni n°45 pp. 70-72) emerge-

va quanto profonda sia la crisidi fede che attraversa il nostroterritorio, anch’esso piccoloma significativo specchio diun mondo che, spesso, “ignoraCristo e rifiuta il suo Vangelo,ma che ha dentro di sé uninsopprimibile bisogno di Dioe della sua salvezza”(Tettamanzi).Contemporaneamente si rileva-va come la trasmissione dellafede alle giovani generazioni siauna preoccupazione fonda-mentale nella Chiesa di oggi. Don Flavio, ordinato sacerdo-te diocesano nel 2002, ci haaiutato nell’approfondimentodel tema, permettendoci difocalizzare difficoltà e tentati-vi in atto laddove il problema

“evangelizzare i giovani” èaffrontato quotidianamente:l’oratorio. Molte difficoltà, afferma il gio-vane coadiutore di SanGaetano in Abbiategrasso,nascono dall’incontro-scontrocon le famiglie. Proprio così:sovente sono le famiglie che,mentre chiedono per i figli uncammino di iniziazione cri-stiana senza appartenere con-cretamente alla vita dellaComunità, rendono difficile aifanciulli il comprendere comeil percorso proposto non siesaurisca nell’apprendimentodelle verità di fede, bensì miria costruire una persona piena-mente umana, prima ancorache cristiana. Il Cristianesimo,infatti, ha interesse per tuttol’uomo e promuove una cre-scita globale della persona,

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La difficile evangelizzazione dei giovani, oggi!

non dunque limitata all’ambi-to parziale della catechesi.La proposta cristiana ha persoil fascino di un tempo ancheperché, spesso, il contestofamiliare non sente vero per séil cammino del figlio all’inter-no della Comunità. Vi è, infat-ti, molto più di prima, una“dissociazione tra la fede pro-fessata-celebrata-vissuta nellacomunità ecclesiale e la vitaquotidiana, condotta in fami-glia, al lavoro e a scuola,durante il tempo libero e neldivertimento” (Tettamanzi).La tensione al bene ed il pro-pendere verso il male hannoda sempre caratterizzato lacondizione umana per cuinon è corretto affermare l’esi-stenza di un’epoca d’oro nelpassato contrapposta all’at-tuale, quasi prima si vivesse inun tutto positivo ed ora ci sitrovi in un tutto negativo. Difatto, il contesto odierno, incui siamo immersi, caratteriz-zato dalla tendenza ad assolu-tizzare solo il presente, irto didifficoltà nell’aprirsi ad unproficuo dialogo cogli altri,tendente a ridurre l’uomo alla

sola dimensione naturalistica,rende oggettivamente più dif-ficile e complesso il diventaree l’essere cristiani coerentinella società attuale.Il male, sovente, viene con-trabbandato per bene, ilbenessere elevato in cui lastragrande maggioranza di noie dei giovani vive, ha plasmatole mentalità, ad esempio ren-dendoci meno disposti adattuare la “logica della gra-tuità” su cui si sostiene undiscorso umano prima ancorache cristiano. Questa “monda-nizzazione” è entrata, pur-troppo, anche all’interno dellacomunità cristiana – aggiungedon Flavio – tanto che spessodico ai genitori che, nellarichiesta dell’iniziazione cri-stiana per i figli, si applica la“logica del supermercato”,vale a dire si vuol arrivare adottenere ciò che interessa(Santa Comunione e Cresima)al minor costo e nel più brevetempo.Occorre quindi trovare nuovemodalità di trasmissione dellafede, lavorare per attuareun’inversione di tendenza,

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smascherare la falsità di moltimessaggi proposti dai mass-media affinché coloro tra i gio-vani, sicuramente “pochi”rispetto al passato, che ci stan-no, possano diventare “sale”per i molti che, inconsapevol-mente e magari attraversoscelte sbagliate, sono allaricerca di un significato verodella vita. La lettura attenta del messag-gio “Mi sarai Testimone” chel’arcivescovo di Milano,Dionigi Tettamanzi, ha inviatoai fedeli della nostra diocesi il14 settembre 2003 è un invito

appassionato a porre i nostriocchi “sul volto di GesùCristo”. Il Papa al n° 16 della“Novo Millennio Ineunte”afferma che la nostra testimo-nianza sarebbe insopportabil-mente povera se noi, per esse-re testimoni della “lieta novel-la”, non fossimo contemplato-ri del volto di Gesù. Ecco per-tanto che l’oratorio divieneluogo d’eccellenza in cui poterannunciare questa verità cen-trale: Gesù Cristo è salvatoreieri, oggi e sempre.Certamente ciò non è né facilené semplice, essendo l’orato-

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rio una struttura molto aperta,con iniziative che magari noncompeterebbero alla comu-nità cristiana in quanto tale epresuppone che il camminoproposto venga sovente ridi-scusso e ricalibrato.Vedo tuttavia percorribile –incalza il giovane sacerdote –invitare gli adolescenti a per-corsi di “vita comune” com-prendenti momenti di cate-chesi uniti a convivenza signi-ficativa di due-tre giorni,all’interno degli oratori se lestrutture lo permettono oaltrove, in luoghi ricchi di cul-tura e d’arte riscoperti dentrouna visione cristiana. Ciò per-metterebbe di coinvolgere lefamiglie sulle motivazionidella scelta e di far intuire airagazzi come esperienze divita comune, in cui sia vivibilela presenza del Signore attra-verso la preghiera e in formealternative di conoscenza,possano educare ad una quo-tidianità diversa e far sentirepossibile, bella ed affascinanteanche la proposta cristiana.A livello giovanile non bisognadar per scontato che l’incon-

tro personale sia sufficiente, alcontrario momenti di vitacomune qualitativamentediversa potrebbero smantella-re la convinzione di molti percui “quello che dice e proponeil Vangelo è proprio bello, ètroppo bello…, ma la vita,quella concreta, è un’altracosa” (Tettamanzi).Non si tratta, dunque, di con-vivenza continuativa e fine ase stessa ma occasioni prezio-se per verificare che l’annun-cio cristiano calato nelledimensioni più concrete del-l’agire quotidiano può pro-muovere innanzitutto un’u-manità più completa, più feli-ce e più affascinante.Una sfida difficile ed impegna-tiva ma entusiasmante atten-de chi fra noi crede in Cristomorto e risorto: chiede passio-ne per l’uomo in generale ed igiovani in particolare nellaconvinzione che “occorre farloper amore di Dio e per amorevero a questo mondo e aq u a n t i l o a b i t a n o ”(Tettamanzi).

Silvana Lovati

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Oggi la parrocchia (quell’in-sieme di “ croci, campani-li e chiese” che è stato l’og-

getto di una serie di articoli) è insofferenza.Per dirla in due parole, il mondoin cui la parrocchia è inseritaquale “campo di quei che spera-no, Chiesa del Dio vivente”, ècambiato, tanto da non esserepiù in sintonia con questa realtàecclesiale.Senza mezzi termini lo afferma ilVescovo di Milano” Viviamo in unmondo che non poche volteignora Cristo e rifiuta il Vangelo”.Il Card.Tettamanzi legge i nume-ri senza occhiali mistificatori : incalo i matrimoni in chiesa e larichiesta dell’insegnamento dellaReligione nelle scuole, in caloanche il numero dei battesimi,ma, soprattutto, in netta diminu-zione la partecipazione allaMessa domenicale.Praticamente quasi a zero la fre-quenza alla Confessione. Quelloche poi è totalmente scomparsaè l’Estrema Unzione che untempo accompagnava il distac-carsi dalla vita terrena.Questo è un mutamento antro-pologico di massiccia entità ed èavvenuto nell’arco di qualchedecennio (il tempo di una gene-razione o poco più).Era stato anticipato, ma anche

provocato, dai referendum suldivorzio e sull’aborto, due que-stioni vitali per l’uomo e per laChiesa. Quasi fosse cadutoall’improvviso un velo si scoprìallora che il popolo italiano equello che, fino a quel momento,era stato il suo universo di riferi-mento, la Chiesa, si erano divisi.Ci furono – al solito – gli ottimistid’ufficio “ Ma no, è solo un voto”.Non era un voto; era una scelta divita.Eppure ancora oggi ci sono iPapaboys (quei ragazzi che amilioni si muovono per incontra-re un uomo vestito di bianco);ancora oggi i parroci (li distinguiper una piccola croce al baverodella giacca) passano per le viedei paesi e quando chiedonoofferte per i restauri della chiesao per opere di assistenza sociale iportafogli si aprono e la gente dà;ancora oggi a Natale e a Pasqua(più a Natale che a Pasqua) lechiese si affollano e ancora oggi imorti vengono accompagnati daun prete al cimitero.E, tuttavia, nonostante il Credorecitato ogni domenica affermiche “…..è risuscitato il terzo gior-no”, che c’è “ la remissione deipeccati e la vita eterna”, sonomolti quelli che dubitano o addi-rittura negano che Lui, Cristo èrisuscitato (verità centrale da cui

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In sofferenza

dipende tutto), che noi abbiamoun destino ultraterreno, che,insomma, la Chiesa sia “Mater etMagistra”.Una recentissima inchiesta (IlMulino) nella parte finale dice“Dio,Cristo,la Bibbia sono diven-tati, anche per alcuni fedeli,degliincerti oggetti di fede”. Oggi moltipercepiscono la Chiesa comecentro di potere, come incapacedi parlare all’uomo d’oggi, comeavviluppata su se stessa.Oggi, accanto ad un rispetto for-male per preti e Vescovi, c’è unpensiero diffuso che ritiene chela Chiesa non si preoccupi dellemiserie umane (materiali e spiri-tuali), che non si curi di argo-mentare la credibilità del suomessaggio (viene in mente il“rendete conto delle ragioni dellavostra speranza” di San Pietro).Cioè, la Chiesa, la parrocchia è insofferenza.Ma è forse un caso se l’indiffe-rente o il non credente si trovanod’accordo col Card. Tettamanzi“…. spesso l’azione pastorale siesaurisce dentro la comunità cri-stiana, ma Cristo ha detto <Andate in tutto il mondo > (aicatechisti),”….dire il Vangelooggi….è in questo che si gioca laragione stessa della Chiesa e ilsuo futuro” (lettera pastorale)?E’ forse un caso se, mentre sinota sempre più una nostalgiaper una dimensione religiosadella vita (e nostalgia significa

ricordo di qualcosa, ma ancheaspirazione a qualcosa), se, dun-que, contemporaneamente aquesta nostalgia, la Chiesa diMilano (il suo Vescovo e le suemille parrocchie) si stanno impe-gnando per un triennio di mis-sione?“Missione” è una parola che untempo attribuivamo a terre daevangelizzare. Oggi qui, questaparola ha un significato ben pre-ciso che non si presta a mistifica-zioni.Questa terra, la nostra, è terra daevangelizzare.Croci, campanili e chiese pun-teggiano tuttora i nostri paesi e lenostre città: tuttora adAbbiategrasso c’è Santa MariaNascente e a Magenta SanMartino. Ma….L’anno scorso al Centro Kennedyil prof. Zaninelli parlando dellaBasilica di Magenta (grande, son-tuosa di marmi e carica di storia)disse “Se questa chiesa non è piùdi un monumento,diventerà unmagazzino di ricordi”.Per impedire che “croci, campa-nili e chiese”diventino magazzinidi ricordi la Chiesa di Milano“riprende il discorso su se stessae sulla sua presenza a partire daisacramenti che essa custodisce edai quali è custodita”.Sì, è questa la strada. Un’altranon c’è.

Teresio Santagostino

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Due sono gli eventi cultu-rali e politici di questigiorni passati quasi

inosservati dalla grande stam-pa: la pubblicazione di “La vio-lenza e l’ordíne’” di Alvaro d’Orse il centocinquantesimo anni-versario della morte di JuanDanoso Cortès. Due esponenti (guarda caso,spagnoli!) di un cattolicesimoche non esiste più,almeno uffi-cialmente.Un cattolicesimo non più dimoda, che possiamo definire inmodo non dispregiatívo, reazío-nario.Alvaro d’Ors, novantenne,ancora vivente, professore dìDiritto Romano alla Universitàdi Coimbra é un íntelletuale chenon si vergogna di considerarela Guerra civile spagnola unapropria e vera crociata.Dìfatti nella prefazione di “Laviolenza e l’ordine”, in modolucidamente provocatorio e disfida dice testualmente: “...que-

sto libro é composto di tre parti,la prima spiega la necessità sto-rica della giusta reazione nazio-nale contro l’anarchia di unaRepubblica (1931-1936) chel’informazione giornalisticacerca di nascondere sotto il pre-testo della legalità. Inoltre que-sta non fù propiamente unaguerra civile, ma una nuovacrociata religiosa contro ilcomunismo e l’anarchia, cosìcome é stata l’antica crociataspagnola contro l’Islam.Come si vede parole forti chevanno contro l’attuale politicalcorrett. Ma ancora piú provoca-toriamente dice che dopo lacaduta del muro di Berlino si édefinitivamente cementata l’al-leanza dei vincitori del 1945: ilcapitalismo si é annessa l’eco-nomia, il marxismo e l’etica.Per Alvaro d’Ors quindi c’é unasostanziale equivalenza fracapitalismo-comunismo e con-sumismo-globalizzazione.Afferma inoltre, perentoria-

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Un Cattolicesimo scomodo

mente, l’inconciliabi.lità fra cri-stianesímo e pacifismo quandovengono messi in discussionel’ordine, la giustizia sociale e ildiritto naturale e di ques t’ultí-mo solo la Chiesa Cattolica ne édepositaria. Il cristiano ha ildovere di opporsi anche con laforza al disordíne e alla nega-zione del diritto naturale.Dice testualmente “non si puòavere dopo la Redenzione unapodestà legittima che si rico-nosca come delegazìone divinadi Cristo Re a cui compete l’u-nica sovranità di questomondo. Le altre podestà meri-tano solamente una obbedien-za provvisoria” e conclude“Devo riconoscere che il primostimolo di tutto quello che hopotuto dire e dico ancora suquesta materia é venuto daque1 grido “viva Cristo Re” concui morirono molti miei com-pagni di crociata”.Ora venìamo al secondo.Danoso Cortés nasce il 1809 inEstremadura da una famiglia diproprietari terrieri di anticafede cattolica. Dai giovaniliardori liberali passa alfine a unlucido e aggressivo conservato-rismo.Due sono i suoi librì di maggio-

re importanza: ”Díscorso sullasituazione d’Europa” del 1850 e“Saggio sul cattolicesimo, illiberalismo e il socialismo”sempre del 1850, considerato ilsuo capolavoro.Cortés é dominato da un unicaansia, rendere testimonianzadella ”verità” senza compro-messi e cedimenti. Polemistalucido e brillante appare quasiun profetico precursore dellastoria e della cultura europeaincamminata sulla strada del-l’ateismo. Al centro delle consi-derazioni danosiane sta il con-cetto di ordine divino fonda-mento della storia e del creato.Tale ordine é regolato da uncomplesso di leggi di dirittonaturale la cui rottura é la causadei mali che affliggono l’uma-nità. L’erroneità delle ideologie libe-rali, socialiste e comuniste édovuta al fatto che esse nonrispettano e non riconosconotale ordine. La libertà umanaraggiunge la sua pienezzaquando s i confor ma al lavolontà divina, mentre si per-verte quando compie il male.Scrive testualmente: “… l’ordi-ne consiste nella superioritàdella fede sulla ragione, della

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grazia e della provvidenza divi-na sul libero arbitrio; per dirlatutta della supremazia di Diosull’uomo...” e prosegue “... senell’ordine fissato inizialmenteda Dio risiede ogni bellezza, ese la bellezza, la giustizia e labontà sono una stessa cosaconsiderata da diversi punti divista, ne consegue che al difuori dell’ordine stabilito da Dionon esiste né bellezza, nébontà, né giustizia: e poichéqueste tre cose costituiscono ilbene supremo, l’ordìne chetutte le contiene é il Benesupremo. Dato che non esistenessun bene al di fuori dell’or-dine ne consegue che tutto ciòche esiste al di fuori dell’ordinenon può essere che male. Perquesto motivo, come l’ordine éil bene supremo, così il disordi-ne é il male per eccellenza...”.Come si vede parole forti, chìa-re e taglienti che stonano nelnostro panorama culturale,politico e morale, tutto dedito aicompromessi e agli ipocriti efalsi distinguo.Domenico Giuliotti uno deinostri (dimenticati!) cattolicitradizionalisti (la Firenze delprimo 900 ne ha forniti molti:Papini, Bargellini, La Pira,ecc..

Basti pensare alla temperie cul-turale di Strapaese e Stracittatutto armai colpevolmenterimosso e dìmenticato,ohimé),definisceDanoso Cortés “più formidabilecattolico reazionario della giàcattolica Spagna”. E qui i ter-mini “cattolico” e “reazinario”suonano in modo estremamen-te elogiativo.Concludo con l’auspicio chequeste tematiche come altre,anche di segno opposto, chefanno parte del bagaglio cultu-rale europeo vengano riprese edibattute per ravvivare il deso-lante panorama odierno, tuttodedito all’analisi e “fruizione” dibeni solo materiali e di consu-mo. Questo in ambito culturale;in ambito politico, come natu-rale conseguenza, all’aquisizio-ne SOLO del numero e dei con-sensi per il potere.

Piercarlo Cattaneo

Questo articolo é statotratto da due pregevoli e docu-mentati articoli di MaurizioSchaepflin su il ‘Domenicale’

Alvaro d’Ors “La violenzae l ’ordine” Marco E ditore(Lungro)-Cosenza

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Offrire un piccolo contri-buto nel creare neigenitori consapevolez-

za del proprio ruolo di educa-tori. E’ con questa finalità chequalche mese fa pensammo eorganizzammo un convegnosulla famiglia. Un’iniziativapromossa dell’assessorato allePolitiche sociali del Comuned i A b b i a t e g r a s s o , d a l l aF o n d a z i o n e p e r l aPromozione dell’Abbiatense, edella Provincia di Milano.

Era il 18 marzo e allo SpazioFiera di Abbiategrasso, larisposta fu superiore alleaspettative: quella sera la salaconvegni dello Spazio Fieraera affollata di coppie, venutead ascoltare gli esperti chia-mati a ragionare ad alta vocesul tema “Famiglia ideale,famiglia attuale: realtà e aspi-razioni nel primo luogo direlazione”. Quella fu la confer-ma che avevamo colto nelsegno, captando l’esigenza

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Famiglia ideale,

famiglia attuale:

uno strumento per

riflettere sul diritto dei

bambini ad essere educati

Un’iniziativa del Comune di Abbiategrasso

quanto mai reale dei genitoridi confronto e di supporto. “Inuna società che cambia, chediventa sempre più multietni-ca, che viene sempre più per-vasa dall’informazione media-tica e che sempre più valorizzail benessere materiale, la fami-glia… rimane saldamente ilfulcro sociale della colletti-vità”. E’ questa la premessadalla quale decidemmo di par-tire. A distanza di alcuni mesi daquel dibattito – al quale preseparte, accanto ad altri relatori,

Roberto Burgio, professoree m e r i t o d i P e d i a t r i aall’Università di Pavia – abbia-mo deciso di raccogliere gliatti del convegno in una pub-blicazione inserto di questonumero de “I Quaderni delTicino”. Mi auguro possa rappresenta-re uno strumento utile diriflessione per tutti coloro che,a vario titolo – genitori, inse-gnanti, operatori del sociale,responsabili di associazionigiovanili o di oratori – sonoogni giorno chiamati a con-

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frontarsi con i ragazzi, con iloro bisogni, desideri, proble-mi, aspettative. Riporto solo un passaggiodella riflessione proposta nellepagine che seguono: “Quantigenitori nella nostra societàdel consumismo, dell'econo-mia che deve girare, degli euroche non bastano per arrivarealla fine del mese, della tv che,se accultura, lo fa a modo suo(e comunque, di necessità, inmodo impersonale), dei com-puter, della elettronica ingenerale e di internet in parti-colare con rischi e pericoli die-tro ogni angolo... quanti geni-tori - dicevamo - sono dispo-nibili a supportare con sensi-bilità e intelligenza e, per iltempo dovuto, la fisiologicamaturazione della personalitàdei loro figlioli? Quanti genito-ri, invece, che questo "tempodovuto" non trovano "disedu-cano" appagando indiscrimi-natamente desideri e richie-ste, corrispondendo anzi agliuni e alle altre con "tutto esubito, prontamente", comedel resto da parte dei bambiniviene richiesto che avvenga,come se "dare", concedere,appagare, fosse la scelta eletti-

va di una pedagogia ispirataall' affetto... Il risultato saràche il bambino che chiede eacriticamente ottiene sarà,poi, l' adolescente che, magariarrogantemente, pretende (eguai se non gli si concede):"tutto e subito" (G. RobertoBugio).Ecco perché il cuore del mes-saggio che ho inteso lanciare,insieme agli altri relatori diquel convegno, è la vitaleimportanza di dedicare nonsolo più tempo, ma anche piùattenzione al bambino. Untempo della relazione, in cui ilgenitore si interessi di come sisente davvero il piccolo. Untempo in cui parlare, riflettereinsieme, cercare il perchédelle cose, senza l’assillantepreoccupazione di assolvere imille impegni della vita quoti-diana, senza necessariamentedare qualcosa di materiale, masolo mostrando reale interesseper il bambino e il suo mododi essere.

Angela ColombiniAssessore alle

Politiche Socialidel Comune di Abbiategrasso

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Lo scorso 25 ottobre, pres-so l’Università CarloCattaneo “LIUC” di

Castellanza, si è svolto un con-vegno organizzato da GST i nc o l l a b o r a z i o n e c o nl’Università e le ASL “Provinciadi Milano 1, Provincia diComo e Provincia di Varese” alquale hanno partecipato 250Medici di Medicina Generaledelle A.S.L. di Varese, Como eProvincia di Milano 1 sulleprospettive di un futuro pros-simo della Medicina diFamiglia alla luce delle nuoveforme associative. Illustri rela-tori degli Ordini dei Medici diV a r e s e , d e l l a R e g i o n eLombardia e della A.S.L. delcomprensorio interessato,hanno illustrato quanto si stafacendo e si intende fare neiprossimi anni nell’ambito

della Sanità Pubblica per poterconciliare il sempre crescentefabbisogno di risorse econo-miche e di mezzi con la dispo-nibilità di risorse sempre piùlimitate.Anche i Medici di MedicinaGenerale, che sono coinvoltiquotidianamente in primalinea in questa estenuantei n c o n c i l i a b i l e d i l e m m a ,hanno potuto esprimere il lorodisagio ed insoddisfazione nelproseguire in una professionedove vengono sempre più amancare punti di riferimentocerti nella gestione delle pato-

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I gruppi di cure primariee nuove prospettive

della Medicina Generale

logie che si devono affrontare.Ne è emersa la convinzioneche, per quanto studiata amisura d’uomo, così come èsempre stata svolta l’attivitàdel Medico di MedicinaGenerale, pare oggi nonrispondere più alle esigenzedella situazione e ancor primaa quelle del medico stesso,troppo solo nell’affrontareproblemi che spesso esulanoanche dalla mera professione.Le varie forma associative,prime fra tutte quelle che pre-vedono la riunione in una sola

sede più figure attive (ilMedico di Famiglia, l’infer-miere professionale, del per-sonale di studio, il Medicospecialista almeno per quellediscipline di più largo riscon-tro) possano meglio risponde-re alle esigenze degli operatoriper una effettiva integrazionee completamento professio-nale delle proprie prestazionie, di rimando, a quelle deipazienti che possono trovarerisposte certe e precise ai lorobisogni.Da parte nostra, la G.S.T., ha

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acquisito negli ultimi due anniuna discreta competenza inmateria specie per quantoriguarda progettazione, realiz-zazione e gestione di spazi damettere a disposizione digruppi di MMG. Infatti hannogià iniziato la propria attività icentri di Legnano uno eTurbigo e a breve seguirà ilcentro di Busto Garolfo, men-tre in avanzata fase realizzati-va appaiono quelli di CerroMaggiore e San Giorgio suLegnano. La filosofia che hasotteso alla progettazione di

questi ambienti è stata quelladi offrire spazi per la MedicinaGenerale con la coabitazionedi più medici negli stessiambienti insieme alla disponi-bilità di personale infermieri-stico e di studio per integrare illavoro dei medici: prenotazio-ne delle visite su appunta-mento, raccolta di richiesteper trascrizione di ricettazioniripetitive, medicazioni, atti-vità infermieristica comemisurazione della glicemiacapillare e della pressionearteriosa. In un futuro proba-

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bilmente non troppo lontano,se le vigenti norme lo consen-tiranno, sarà possibile ancheun centro prelievi per i pazien-ti dei Medici del gruppo, con lapossibilità di ritiro anche deireferti in loco (grande vantag-gio per i pazienti che non sidovranno recare presso levarie strutture per prenotazio-ne, effettuazione dell’esame,ritiro delle risposte) e la strut-turazione di ambulatori dedi-cati per patologie di largoimpatto sociale (diabete, iper-tensione, bronchite cronica)con la possibilità di richiama-re a scadenze adeguate ipazienti. Ciò renderà possibileun maggiore controllo dellamalattia, un forte richiamoeducazionale alla prevenzionemediante l’abolizione dei fat-tori di rischio, l’integrazionedelle competenze del propriomedico di famiglia con unsupporto specialistico ade-guato. E’ ovvio che questa trasforma-zione richiederà tempi più omeno lunghi dove, come sem-pre nei periodi di transizione,si potrà assistere a manovre di

ostruzionismo per rimanereancorati ad un passato chemostra tutti i segni del tempoche passa, come a pericolosefughe in avanti (ultimo esem-pio le proposte ministerialiUPAC che paiono quantome-no difficili da collocare inqualsiasi contesto: da quellodelle piccole realtà di paese,dove agiscono pochi Medici, aquelle di città dove non pareavere senso perdere la capilla-rità di un servizio per concen-trarlo in una struttura faraoni-ca che richiede adeguatispazi): resta il fatto che lanecessità di collaborare, diconfrontarsi, di lavorare fian-co a fianco e con l’aiuto di per-sonale di studio, porterà iMedici a scegliere sempre piùla soluzione dell’aggregazionee della coabitazione.Di fronte a questa che pareuna rivoluzione copernicana,il timore più consistente pareessere quello di perdere ilmarchio che da sempre hacontraddistinto la MedicinaGenerale: il rapporto diretto epersonale, basato sulla fidu-cia, tra il paziente ed il proprio

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medico. Nulla di tutto questodeve andare perduto e andràperduto. Anzi, proprio da unamigliore organizzazione dellapropria attività, il medicodovrebbe recuperare la possi-bilità di riappropriarsi dimansioni che oggi, per millemotivi, ha la sensazione sisentirsi sfuggire. Si tratterà difare in modo più organizzato erazionale quello che oggi ognimedico di famiglia tenta anco-ra di fare in modo sempre piùcaotico, affannoso e talvoltavelleitario. Una Medicina Generale svolta

in forma associativa (o permeglio dire di Gruppo in unastruttura complessa) non è enon sarà mai una sorta diambulatorio impersonaledove un paziente trova unmedico sconosciuto: conti-nuerà come sempre a dialoga-re con il medico che in fiduciasi è scelto il quale, proprio perla migliore organizzazione,potrà avvalersi, se necessario,di un supporto che meglio gliconsenta di valutare e risolve-re le richieste del paziente.

Cornelio Turri

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ATTIVITÀ POSSIBILI DEI CENTRI MEDICI

POLIFUNZIONALI

O GRUPPI DI CURE PRIMARIE

1) Medicina generale convenzionata (tre o piùMedici di famiglia ), con la possibilità di accede-re, in caso di urgenza non differibile, anchenegli orari degli altri Medici associati, qualora ilproprio Medico non sia al momento presente.2) Pediatria convenzionata3) Specialistica convenzionata, per le patologiedi più largo riscontro.4) Ambulatori per patologia, in base agli accor-di da definire con le ASL.5) Telemedicina (telecardiologia ecc..) 6) Servizi di infermeria (medicazioni, terapiainiettiva, vaccinazioni ecc.). 7) Centro prelievi per i pazienti dei Medici pre-senti nella struttura o associati.8) Servizi di Segreteria e front-office, telepreno-tazione e ricevimento referti telematici dallestrutture organizzate in rete.9) Possibilità di accedere ai servizi in fasce ora-rie più lunghe.10) Sede ed organizzazione di incontri per laformazione e informazione per MMG.11) Sede ed organizzazione di incontri per l’e-ducazione sanitaria rivolta agli utenti.12) Sede di incontri con gli operatori del serviziodi assistenza domiciliare.

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Aperto il sipario sul nuovoanno, lo scenario che sipresenta davanti a noi è

tutt’altro che confortante. Citrasciniamo dal vecchio annoquestioni problematiche ecomplesse: la vicenda dellepensioni, dell’Alitalia, dei tra-sporti pubblici. Irrompe, inol-tre, nel nostro orizzonte, giornodopo giorno, la situazione scon-certante della Parmalat, conpossibili conseguenze deva-stanti sul sistema paese e conriflessi che compromettonos e r i a m e n t e l ’ i m m a g i n e

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Crescita economica, tutela di salari

e pensioni, le priorità del sindacato

Intervento del Segretario Nazionale della CISL

dell’Italia sul piano internazio-nale. Con il rischio della deriva,dell’affidabilità del nostroassetto industriale produttivo,più che mai esposto anche aicontraccolpi di una competi-zione sempre più aggressiva.Incapace, di conseguenza, diattrarre investimenti esteri, asostegno di una dinamica dicrescita, necessaria e non piùrinviabile.Tutto ciò accresce il malessereprofondo che attraversa lanostra società, soprattuttonelle componenti più deboli,sottoposte ad una costanteerosione dei salari e delle pen-

sioni, che intacca la qualitàdella vita e che rende semprepiù complessa la quadraturadel bilancio delle famiglie. Loconferma lo stesso andamentodella curva dell’inflazione, chenon deflette nei suoi aggregatidi riferimento, contrariamentea quello che si verifica neglia l t r i p a e s i d e l l ’ U n i o n eEuropea. Quella avvertita, inoltre daiconsumatori, vale a dire datutti noi, è molto più elevata diquella del trend ufficiale, chepure si attesta a quasi il dop-pio del tasso programmato.Segni visibili che siamo in una

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situazione pesante, alla vigiliaperaltro del rinnovo di contrattidi lavoro, che interessano milio-ni di persone.Le questioni che si pongono inquest’avvio d’anno richiedereb-bero un cambiamento dellepriorità nell’agenda politica edeconomica del Paese. E’ oggiquanto mai necessario che sipongano al centro del dibattitoe del confronto politico e socia-le le questioni dello sviluppo,della crescita, della competiti-vità e della salvaguardia delpotere d’acquisto di salari epensioni. Dobbiamo spostarein avanti il baricentro della poli-tica economica e sociale pernon perdere il treno di unaripresa, europea e mondiale, icui pur timidi segnali iniziano afarsi sentire. E’ necessario riavviare un vir-tuoso circuito negli assetti pro-duttivi per sconfiggere la sta-gnazione e per alimentarenuovi flussi di reddito, da distri-buire equamente per invertirel’attuale linea di tendenza,ponendo le premesse solide diun miglioramento progressivodelle condizioni di lavoro e,quindi, di vita: in primo luogodei lavoratori e dei pensionati.E dare, così, sicure prospettive

alle giuste attese dei giovani apartire dal loro inserimento,duraturo e qualificato, nel mer-cato del lavoro.E’ su questo percorso, dunque,che è necessario attestare lanostra organizzazione, dasostenere attraverso un quadrocerto di riferimento che, accan-to ad un innovativo disegno dicrescita, ritrovi in strumentiefficaci - rilancio della concer-tazione e della politica dei red-diti, ripuntualizzazione delmodello contrattuale -, il qua-dro all'interno del quale inne-stare proposte e conseguentiiniziative.Avverto che il disagio sociale,così vasto e profondo, guardacon grande attenzione alla Cisl.Dobbiamo raccoglierlo ed esse-re capaci, come nel passato, diassicurare allo stesso sbocchipositivi e dare valenze concretealla prospettiva di un domanidavvero migliore. La nostra non è solo una testi-monianza di attenzione perché,per conseguire questo obietti-vo, vi è tutto il nostro impegno.

Savino Pezzotta Segretario Generale

CISL Nazionale

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Quello che si è da poco con-cluso è stato un anno, permolti aspetti, negativo sul

fronte del lavoro e dell’occupa-zione nella nostra provincia e, diriflesso, anche nell’area magenti-no-abbiatense. Un anno caratte-rizzato da un’economia stagnan-te (c’è stato un aumento delleimprese attive in minor percen-tuale rispetto agli anni passati) incui la produzione industriale hasegnato un andamento negativo.Sul fronte occupazionale il tassodi disoccupazione non è variatonel corso dell’anno, mantenen-dosi al 4,5% del totale della forzalavoro, ma c’è stato un incremen-to delle ore di cassa integrazione.La crescita del numero degliavviamenti al lavoro ha fatto regi-strare una forte impennata degliavviamenti atipici, dei part-timee dell’occupazione a tempodeterminato.Molte aziende che hanno sede inquesto territorio hanno risentitodi una crisi ormai latente ovun-que. C’è stata un’ulteriore perditadi posti di lavoro, con la chiusura

di realtà occupazionali significa-tive (è il caso dell’Abb Sace diVittuone), e un aumento delnumero dei lavoratori che sonostati posti in mobilità, o in cassaintegrazione. Inoltre restanolatenti possibili altre problemati-che in diverse aziende, chepotrebbero, nei prossimi mesi,trasformarsi in vere e proprieemergenze.Tutto questo rappresenta unimpoverimento dell’economiadel territorio, a cui bisogna farfronte con delle risposte adegua-te, in termini di progettualità,programmazione e servizi. I sin-daci, ma anche il sindacato, nonsi possono limitare ad esprimeresolidarietà ai lavoratori di volta involta interessati. Bisogna portareavanti delle azioni forti e concre-te sui temi delle infrastrutture edell’aspetto formativo, senzadimenticare il ruolo forte checompete all’imprenditoria locale:gli imprenditori sono i primi atto-ri dello sviluppo. Se viene a man-care lo spirito imprenditorialeanche ogni soluzione prospettata

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Bilancio di un anno:lavoro ed occupazione

in forte difficoltà

dalle istituzioni non potrà trovareapplicazione. Siamo difatti testi-moni di un paradosso: da unaparte le fabbriche che chiudono,dall’altra ci sono aziende che nonsono capaci di trovare manodo-pera preparata da inserire nelleproprie strutture. E’ chiaro che inun contesto del genere ci dev’es-sere un ripensamento della for-mazione professionale, con ilcoinvolgimento di tutte le strut-ture interessate.Il territorio magentino-abbiaten-se è caratterizzato dalla presenzadelle piccole e medie imprese:una rete molto importante che,per reggere alla concorrenza,dev’essere in grado di migliorarela propria specificità, la qualitàdei propri prodotti. Per questo èimportante che l’imprenditorelocale sappia trovare quei colla-boratori che sono in grado di farcrescere l’azienda: servono sì iservizi ma serve anche program-mare una formazione permanen-te in modo da supportare le esi-genze e le aspettative delle azien-de. Per l’immediato futuro c’è già unpreciso impegno del sindacato,della Provincia e delle rappresen-tanze imprenditoriali di dare vitaad un osservatorio sul lavoro perle aziende che si trovano in diffi-coltà. Ci dev’essere un precisoimpegno anche a sostenere ilCentro Lavoro o qualsiasi altra

struttura che abbia queste stessefinalità perchè i risultati di questoprogetto sono importanti. Dipositivo c’è il fatto che per tantidisoccupati il Centro Lavoro è giàdiventato un punto preciso diriferimento. Deve diventarlosempre più per tutte le personeche cercano una occupazione: igiovani che escono dalla scuola,le persone che perdono il posto dilavoro ma che hanno un’età taleda poter essere nuovamentereimpiegate, le donne che conpiù fatica trovano una soluzioneoccupazionale. E’ compito delleistituzioni, Comuni e Provincia inprimo luogo, mantenere attivaquesta struttura di servizio all’oc-cupazione. Forse numericamenteil bilancio dell’attività non è esal-tante (in termini di personeavviate al lavoro attraverso ilCentro) ma, in questi anni, si èconfermata la validità dell’impo-stazione con cui questi centrisono stati attivati. Molte personehanno potuto conoscere in questiuffici percorsi formativi, hannoimparato come presentarsi aduna azienda: non è certo un’atti-vità meno qualificante del trovareil posto di lavoro ad un disoccu-pato.Il 2003 è stato un anno particolar-mente intenso per la Cisl inambito locale, caratterizzato damomenti di lotta (per la difesa deiposti di lavoro e dei diritti acqui-

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siti da lavoratori e pensionati), diconfronto (in particolare con glienti locali) e di proposta (come loè stato il convegno sulla disabi-lità), con un’attenzione semprerivolta alle vertenze in atto a livel-lo nazionale. Siamo preoccupati per come èstata impostata la leggeFinanziaria, che non tutela affat-to lo stato sociale, oltre a nontutelare il costo della vita sia susalari e pensioni (vedi il non con-trollo dei prezzi).Rimane poi sempre aperta laquestione delle pensioni: quellaprospettata non è una riforma insintonia con le attese di chi haspeso una vita in fabbrica o inufficio.Il sindacato è sceso più volte nellepiazze, quest’anno, a tutela deldiritto alla salute.Lo abbiamo fatto a sostegno delleiniziative regionali, ma soprattut-to in ambito locale (vedi Ticket).La Cisl locale ha giocato un ruolorilevante, nell’interesse dei citta-dini, nella partita che ha portatoalla definizione dei Piani di Zona,fondamentali per la gestionedelle politiche socio assistenzialia livello locale: siamo stati impe-gnati su due fronti, quellomagentino e quello abbiatense.La fase sperimentale è stataavviata. Nei prossimi mesi biso-gna continuare a verificare se le

scelte adottate sono sufficienti afar fronte ai bisogni. Il buonosociale, ad esempio, può contri-buire a dare un aiuto ma nondeve rimanere fine a se stesso: unsindaco non può lavarsi le mani odimenticare il bisogno dopo averstaccato il buono. Bisogna esserein grado di far fronte ai reali biso-gni delle persone, in particolaredegli anziani, dei minori, deidisabili, degli immigrati e dellefamiglie povere costruendo deiprogetti mirati.Per il futuro ci sono già nuovi pro-getti che hanno come obiettivo illavoro. Si sta già pensando ad unconvegno, mirato ad evidenziarequelle che possono essere le pro-spettive di sviluppo dell’occupa-zione in questo territorio.Il 2004 sarà per la Cisl, a livelloorganizzativo, l’anno della svoltaper il Magentino-Abbiatense, cheandrà a fondersi con l’area delLegnanese e del Castanese. Ilnuovo gruppo dirigente, che sicostituirà in questi mesi avrà ilcompito di consolidare ulterior-mente la nostra presenza, peressere sempre pronti a far frontealle esigenze dei nostri associati edi tutte quelle persone che, attra-verso il sindacato, chiedono latutela dei loro diritti.

Alessandro Grancini Responsabile Cisl

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Sono passati ormai duea n n i d a q u a n d ol ’ A m m i n i s t r a z i o n e

Provinciale di Milano, cheaveva inizialmente contribui-to alla creazione dei CentriLavoro a partire dal 1997, confunzione di supporto e guidaal mercato del lavoro, e soprat-tutto all’incontro tra domandae offerta di impiego, ha ritiratola sua partecipazione ed hainterrotto il suo sopportofinanziario per il loro funzio-namento. Si ricorderà infatti che, conl’approvazione della legge469/1997, la legge stessa dele-gava alle Regioni il ruolo delcollocamento pubblico, lequali a loro volta venivanosupportate, per l’organizza-zione del corrispondentesistema dalle Province. In tale

occasione, la Provincia diMilano, in via sperimentale, eper consentire un atterraggiomorbido del nuovo sistema,aveva provveduto a creareAssociazioni senza scopo dilucro, con la partecipazione diComuni, di AssociazioniImprenditoriali e Organizzazionisindacali, appunto i CentriLavoro, per la sperimentazio-ne di politiche attive del lavo-ro, con specifico riguardo alcollocamento di aspirantilavoratori.Si ritiene superfluo soffermar-ci sui risultati di questa espe-rienza, della quale si è a lungoparlato anche su questecolonne: esperienza indub-biamente positiva, sia in ter-mini di risultati del processodi ricollocazione, sia soprat-tutto in termini di individua-

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L’incerto futuro deiCentri Lavoro dellaProvincia di Milano

zione di problemi da risolveree di elaborazione di metodolo-gie per una politica del lavoroaffrontata a 360 gradi. Resta ilfatto che, a distanza di dueanni dalla cessazione nell’ero-gazione del contribuito pro-vinciale - pari a poco più di100 mila euro all’anno per cia-scun Centro - la maggior partedei Centri Lavoro versa in dif-ficoltà finanziarie rilevanti.Allo stato attuale, le fonti dientrata, rispetto a un ammon-tare di spese sostanzialmenteimmutato a quello di due anifa, è rappresentato dai contri-buti comunali e, sia pure a

livello molto minore, dei part-ners rappresentanti le forzeeconomiche, nonché quellederivanti da Enti pubblici, inparticolare la Regione, in cor-rispondenza a misure di poli-tica attiva del lavoro, per la cuiattuazione sono state ampia-mente valorizzate le potenzia-lità degli stessi Centri Lavoro.Questo utilizzo non ha impe-dito tuttavia che il mancatoflusso di contributi da partedella Provincia di Milano sifaccia ancora pesantementesentire. Si è assistito alla chiu-siura di un Centro Lavoro,all’inserimento di un altro

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Centro Lavoro in un Centro diformazione: ma il problema èpiù generale, e riguarda il fattoche questa carenza di risorse,determinata dal ritiro dellaProvincia di Milano e non col-mata dal ricorso a strumentidi politica attiva dellaProvincia stessa e dellaRegione, trova fortissime diffi-coltà ad essere colmata dagliEnti locali, specialmente inquesti ultimi anni, in cui lerisorse relative hanno subitodrastici ridimensionamenti.D’altra parte i Centri Lavorosono rimasti gli unici stru-menti a disposizione deiComuni per un intervento dipolitiche attive del lavoro: chepossono riguardare fascedeboli del mercato del lavoro,orientamento ed accompa-gnamento al lavoro, specie alivello delle scuole superiori,monitoraggio permanente delmercato del lavoro, supportoal lavoro pubblico attraversostage e corsi di formazione; e,in linea più generale, indivi-duazione e proposte di mobi-litazione delle risorse umanenell’area in cui operano. Un

ulteriore elemento di forza èrappresentato dalla loro carat-teristica di operare a livellosovraccomunale, e di averepertanto una visione piùampia rispetto a quella relati-va alle singole Amministrazioni.A nostro parere, quello che sipone in discussione non ètanto l’utilità di questi Centri,che tra l’altro sono forse l’uni-co strumento a disposizionedei Comuni per una direttapolitica del lavoro così comeindicato nella legge 469/1997.Il problema è quello dellerisorse: può apparire parados-sale che un importo di 30 o 50mila euro, oltre tutto suddivi-so tra più Comuni, possa crea-re problemi. Il fatto è che,nella situazione attuale, nellaricerca affannosa da parte deiComuni di risorse aggiuntive,non solo non emerge la possi-bilità accrescere le risorsedestinate a questi organismi,ma la tentazione è quella di unrisparmio globale delle sia purmodeste risorse ad essi eroga-te, attraverso la loro soppres-sione.Si parla, da qualche parte, di

strutture inutili. In realtà, sonoinutili nella misura in cui iComuni aderenti non sannoutilizzarli. S e l e A m m i n i s t r a z i o n iComunali dovessero prendereatto del fatto che essi sono,come si è detto, i soli strumen-ti a loro disposizione per unapolitica attiva nel campo dell a v o r o, l ’ a t t e g g i a m e n t odovrebbe essere decisamentediverso.Ci si rende conto dei problemifinanziari degli Enti locali, nèsi intende sottovalutarli, Ma,allora, si tratta di studiare le

prospettive di azione. Le alter-native, o meglio le possibilitàdi scelta, sono molteplici. Undiscorso che potrebbe esseremolto interessante, e che giàalcuni Centri Lavoro stannoponendo in atto, sia pur nelmantenimento della loroautonomia funzionale, unreciproco coordinamentooperativo, con la la creazionedi un data base globale diutenti aspiranti lavoratori, alivello integrato e basato su ununico sistema informatico, perla formazione di un catalogospecializzato di profili profes-

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sionali a disposizione delleaziende. Nella legge 30/2003 e nel rela-tivo decreto di attuazione267/2003 viene attribuita aiComuni la possibilità di inter-venire nel campo della inter-mediazione del lavoro. Ovevenissero stabiliti gli opportu-ni accordi con i Centri lavoro,non sarebbe esclusa la possi-bilità che questi ultimi possa-no operare nel campo spe-cifico dell’incontro doman-da/offerta di lavoro, recupe-rando risorse aggiuntive,attraverso la tariffazione alleaziende.Le Amministrazioni Comunaliappaiono poi avere un ruoloimportante nel supportare iCentri Lavoro nella partecipa-zione ai bandi regionali nelcampo delle politiche attivedel lavoro, o comunque nelcollaborare con la Provincia diMilano, specie per quantoriguarda l’azione dei serviziper l’impiego, che richiedeancora un rilevante aiuto.Non è poi escluso che leAmministrazioni comunaliinvestano i Centri Lavoro di

compiti per la predisposizionedi studi o per l’elaborazione diproposte nel campo del lavoroe della formazione: tenutoconto dell’ambito sovracomu-nale degli stessi Centri.È da tenere in considerazione,infine, la possibilità dellacostituzione di società consor-tili o di aziende speciali con laProvincia di Milano e con lapartecipazione diretta deiCentri Lavoro, attraverso laindividuazione di processiintegrati di formazione, diorientamento e di accompa-gnamento al lavoro, con ilcoinvolgimento diretto diCentri di formazione profes-sionale.Si tratta di rapidi accenni: maci sembra essenziale che iComuni non disperdano unpatrimonio prezioso di espe-rienze e di potenzialità, e cheaffrontino invece un camminoper la relativa valorizzazione e,in definitiva, per la messa inluce del loro ruolo di interven-to diretto.

Ignazio Pisani

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La ridefinizione dellafigura dell'imprendito-re agricolo attraverso

l'approvazione da parte delGoverno del Dper l'eserciziodella delega per l'orienta-mento e la modernizzazionedel settore agricolo,cambia ilvolto del mondo agricolo ita-liano.Questa norma di eccezionaleimportanza politica,ridefini-sce le regole del gioco e final-mente risponde alle reali esi-genze di un settore in costan-te trasformazione, che dasemplice comparto primarioevolve al ruolo fondamentaledi garante della sicurezza ali-mentare e territoriale dellasocietà.

Per sostenere questo mes-saggio ,sfruttando l'interociclo produttivo dell'impre-sa, l'Organizzazione harecentemente promossonumerose iniziative tra cui dirilevante importanza c'è larecente campagna di raccol-ta delle firme di una propo-sta di iniziativa popolare (peruna etichettatura degli ali-menti che indichi la prove-nienza della materia primaimpiegata) intesa ad eviden-ziare alle Istituzioni,su comesu questa scelta, si realizziuna formidabile convergen-za tra produttori e consuma-tori.Convergenza sempre piùconvalidata e rafforzata dalle

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Il Decreto legislativo n. 228 del 18 maggio 2001:

la visione dellaColdiretti

politiche di marketing dellagrande distribuzione che ,forse più di altri, sente ilpolso del consumatore e neconosce le aspettative.Secondo una recente rileva-zione effettuata da Euriskoper Indicod ( la più ampiaassociazione italiana cheraggruppa 27.000 aziendeindustriali e distributive) il78% dei consumatori senteil bisogno di più informazio-ne sulla materia primaimpiegata negli alimenti cheacquista.Otto italiani su dieci conside-rano quindi necessario chedebba sempre essere indica-to in etichetta il luogo di ori-gine della componente agri-cola contenuta negli alimen-ti, così come il 68% dei con-sumatori sostiene che sull'e-tichetta dovrebbe sempreessere presente l'indicazionedi presenza, seppur minima,di ingredienti OGM.Quest'ultimo argomento, digrande attualità, necessita dialcune precisazioni in meritoalla posizione di Coldiretti.Trovo corretto ed importante

chiarire che non si è contra-ri in via di principio agliOGM, lo siamo di fatto per-chè non abbiamo alcuna cer-tezza che essi non siano dan-nosi per le colture, per i pro-dotti alimentari e per l'ecosi-stema.Siamo disposti asostenere ogni sforzo perchévi sia su questo problemaautentica chiarezza scientifi-ca con risultati inequivocabi-li che tutti possano conosce-re e giudicare.Non accettiamo invece nes-sun condizionamento deri-vante dalla fretta che le mul-tinazionali del biotechhanno di aggredire il merca-to per le loro motivazioni dicarattere economico e finan-ziario.Un solo italiano su dieci èdisponibile a consumare ali-menti contenenti ingredientiOGM ma a condizione peròdi ottenere uno "sconto" rile-vante nel prezzo di acquisto,mentre più della metà deiconsumatori non acquiste-rebbe alimenti biotech nean-che se costassero più del 20%in meno rispetto a quelli tra-

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dizionali.L'Italia è il paesedei primati nelle grandi pro-duzioni di qualità,tipiche ebiologiche ed ha la responsa-bilità di svolgere un ruolo daprotagonista nelle politichecomunitarie rivolte alla sicu-rezza alimentare ed ambien-tale.Il progetto Coldiretti quindi hatra i suoi principali obiettiviquello di valorizzare le produ-zioni "made in italy" difenderledalla omologazione e dalladelocalizzazione territoriale ma

anche ottenere chiarezza nel-l'informazione attraverso unsistema di etichettatura chiaroe trasparente.Per raggiungeretutto questo ci serviremo delleiniziative marchiate "CAMPA-GNA AMICA" con cui da Nord aSud Coldiretti stà lavorando percostruire un rapporto leale eindissolubile tra la campagna eil consumatore .

Simone MoroniResponsabile Coldiretti

di Abbiategrasso

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Pr e s s o l a S . M . S . F.Baracca-4 Giugno 1859 aM a g e n t a , i n v i a

F. l l i C a p r o t t i , o p e r ada alcuni anni il CentroTe r r i t o r i a l e Pe r m a n e n t e(C.T.P.), istituito con O.M. 455del 1997. I C.T.P. sono un’evoluzionedelle vecchie “150 ore”.Le cosiddette “150 ore” , corsidi licenza media per lavorato-ri, presero avvio nel 1973,grazie a una disposizioneinserita nel contratto deimetalmeccanici, in base allaquale i dipendenti potevanousufruire di 150 ore all’anno dipermessi retribuiti per motividi studio. Si era a ridosso dell’“autunno caldo” e tra le varieistanze portate avanti dalmovimento operaio non man-cava quella del diritto allo stu-dio , spesso disatteso nel

nostro paese nonostante lesolenni dichiarazioni costitu-zionali. Nei primi anni le “150ore” si caratterizzavano per ilproposito di soddisfare il biso-gno di acculturazione espres-so dagli elementi più avanzatidella classe operaia. Per essi laricerca del “pezzo di carta”,pur importante, passava insecondo piano rispetto all’esi-genza di orientarsi tra le com-plesse problematiche socio-economiche di una societàindustrializzata, soprattuttoin ordine ai meccanismi disfruttamento ed emarginazio-ne sociale tanto spesso speri-mentati sulla propria pelle.Molti protagonisti di quellastagione ricordano appuntoun modo particolarmenteincisivo, per non dire politiciz-zato, di interpretare quelladisciplina che nelle scuole

Centro TerritorialePermanente:

passato e presente

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medie "normali" viene defini-ta "storia ed educazione civi-ca": cioè generose razioni distoria del movimento operaio,questione meridionale, dirittoal lavoro e diritti dei lavorato-ri, emancipazione femminile evia dicendo. Non mancavanonaturalmente approcci didat-tici di tipo più operativo e per-tanto fruibili da una fascia piùampia di corsisti : essi mirava-no a potenziare le quattro abi-lità linguistiche fondamentalie le abilità di base nella sferalogico-matematica. Si puòdire che, in genere, la scuolamedia tradizionale accolse le150 ore con un misto di diffi-denza e fastidio.Persistenti inadeguatezzeorganizzative e forse ostilitàper una certa impostazioneideologica insita nei corsisono probabilmente alla basedi tale atteggiamento.Così nei primi anni furonosoprattutto i sindacati a forni-re assistenza logistica allascuola serale. Le trasformazio-ni sociali ed economiche degliultimi due decenni hannoridimensionato la consistenzanumerica della classe operaiae la combattività dei sindacati

tradizionali. Per quanto riguardale "150ore" questi cambiamentihanno avuto riflessi sullacomposizione sociale ed ana-grafica dell’ utenza, così comesulle sue aspettative: sonoaumentati i lavoratori precarie quelli in mobilità,i pensiona-ti, le casalinghe,i minori. Inconseguenza di ciò, mentrepassavano in secondo piano legrandi tematiche storico-sociali, si è accentuata la cen-tralità dell’alfabetizzazione“funzionale”.Diamo ora uno sguardo piùapprofondito ai corsi di licen-za media, nucleo originariodel CTP, dal quale dovrebbeemergere la loro specificità,sia in ordine agli aspetti logi-stici che a quelli propriamentedidattici. A chi in passatoabbia avuto un rapportoanche superficiale con le "150ore" saltava subito all'occhio ilmaggior coinvolgimento delpersonale docente per ciò checoncerne l'organizzazione deicorsi, cominciando dalla cam-pagna pubblicitaria per prose-guire con l'accoglienza deicorsisti, i rapporti con le istitu-zioni, il monitoraggio del terri-

torio .Questo, si badi bene,avveniva già prima che l'auto-nomia scolastica ridefinisse, adire il vero in modi non deltutto chiari, il profilo profes-sionale del docente. Infatti,considerata la scarsa collabo-razione delle scuole, a cui si èaggiunto il progressivo disim-pegno del sindacato, è statonecessario "fare di necessità"virtù per tenere in piedi i corsi.Certo, ormai l'educazionedegli adulti è stata "metaboliz-zata" dalla scuola tradizionale,un po’ per i mutamenti socio-

politici a cui si accennavasopra, un po’ per le prezioserisorse aggiuntive che essapuò apportare alle istituzioniscolastiche ospitanti. Tuttaviail particolare impegno deidocenti nelle diverse attivitàdi supporto a quelle didatti-che spicca ancora nell'odiernascuola media inferiore. Aggiungiamo anche che lapolitica dei tagli all'istruzioneportata avanti dallo statorende urgente per i CTP repe-rire altre fonti di finanziamen-to. Queste in genere sono indi-

viduabili negli entilocali, nell'UE, nelleimprese, ma per esseredisponibili richiedonoil rispetto di alcunistandard qualitativi acui i richiedenti devonoconformarsi .Attualmente, alla basedi ciò che viene definitaqualità sta la definizio-ne e il rispetto di proce-dure rigorose, sulmodello della gestioneaziendale. Ne consegueche lo sforzo organizza-tivo richiesto agli ope-ratori dei CTP è desti-nato ad aumentare,

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comportando per i docentil'acquisizione di una formamentis manageriale-azienda-listica spesso estranea allaloro formazione. Adesso qualche considerazio-ne sulla specificità didatticadelle 150 ore. Le già ricordatemutazioni sociali comportanouna più marcata eterogeneitàdelle classi rispetto agli anni70. Si possono infatti indivi-duare grossomodo tre catego-rie di utenti : gli adulti italiani,gli stranieri, generalmentegiovani e scolarizzati, i mino-renni che non sono riusciti aterminare la scuola media"normale" ovvero, per usareun anglismo alla moda, i"drop-out". Questa situazionesuggerisce un interventodidattico diversificato, alloscopo di aumentarne l'effica-cia. Abbiamo accennato allemotivazioni e aspettativeprettamente "pratiche" di cuisono generalmente portatorigli italiani che si iscrivono aquesti corsi. Innanzitutto simira a conseguire un titolo distudio che ormai è requisitoindispensabile per accederealle occupazioni meno quali-ficate. Inoltre queste persone

sentono il bisogno di acquisi-re gli strumenti operativiminimi per districarsi nellemille incombenze della vitaquotidiana (compilazione diun modulo, decifrazione diuna circolare, lettura di unacartina, presentazione di uncurriculum, necessità di fardi conto in assenza della cal-colatrice....). Tutto quanto non appareimmediatamente legato allaquotidianità e quindi anche ilversante "artistico-creativo"della cultura suscita solita-mente e di primo acchitomeno interesse, pertantoandrebbe proposto con gra-dualità. Del resto , a parte lo'zeitgeist' , cioè un generaliz-zato disinteresse per certitemi ,tipicamente postmoder-no, l'indagine su una realtàsempre più labirintica si scon-tra con le lacune oggettive dimolti corsisti, la cui padro-nanza delle 4 abilità linguisti-che è spesso modesta, per nonparlare della cultura generale.Fatto sta che di solito e sem-pre di più negli ultimi anni,discipline come storia, ed.civica, geografia, riscuotonoscarso successo, soprattutto

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se vengono presentate inmaniera troppo "frontale". In questo trentennio la rifles-sione psicopedagogica,masoprattutto l'esperienza sulcampo, ha consentito la pro-gettazione di percorsi didatticial tempo stesso realistici emotivanti. A tal proposito segnaliamo ilsagace impegno dell’ IRSSAElombarda . Cominciamo coldire che, rispetto all'educazio-ne linguistica, il corsista"medio" spesso sintetizza isuoi bisogni nel termine, inve-ro piuttosto generico, di"grammatica", riferendosi inrealtà a quelli che la linguisticamoderna definisce livelli infe-riori della competenza comu-nicativa, ossia il livello tecnicoe morfosintattico.Alcuni moduli strutturati dallaricerca didattica puntano alpotenziamento dei due livellisuperiori; ci riferiamo allacompetenza pragmatica, cioèalla " capacità di mettere inrelazione i messaggi da com-prendere e da produrre con larealtà esterna e con l'insiemedelle variabili che la caratte-rizzano”, e alla competenzatestuale, ovvero alla " capacità

di produrre testi coesi e coe-renti.... e di saper valutare talicaratteristiche in testi da com-prendere".Riguardo al primo caso esisteuna serie di unità didatticheche mirano a far riflettere icorsisti sul concetto di "giococomunicativo" e, all'interno diquesto, sull'importanza deglielementi contestuali e dell'im-plicito. Gli esercizi, scritti eorali, contenuti nelle unitàdidattiche non presuppongo-no un'elevata preparazione dibase, riproducono situazionicomunicative realistiche espesso si prestano al lavoro digruppo. Per stimolare la capa-cità di comprendere un testomolti consigliano di privilegia-re la modalità narrativa, piùvicina all'esperienza dei corsi-sti rispetto a quella espositiva,in quanto siamo tutti consu-matori-divulgatori-produttoridi "storie" fin dalla tenera età.E allora si possono selezionarebrevi testi letterari che, mentrenon presentano particolaridifficoltà di tipo linguistico nérichiedono il possesso di unaricca "enciclopedia", abbianoun “plot” narrativo caratteriz-zato da un certo tasso di ambi-

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guità. L'obiettivo è quello diattivare nel lettore quell'insie-me di inferenze e "sceneggia-ture" che lo guidino, con l'aiu-to dell'insegnante, verso unacorretta comprensione deltesto, “conditio sine qua non”di quella fase più avanzatadell'analisi di un'opera lette-raria che è l' "interpretazione”di quest'ultima. Dal "raccon-to", inteso come tipologia ditesto più “ordinaria”, prendespunto un'altra propostadidattica che tende a incenti-vare la produzione scrittamediante opportuni esercizidi espansione del programmanarrativo, comprensione e usodelle anacronie (soprattutto ilflash back), descrizione dioggetti e sensazioni, ricono-scimento e manipolazionedelle diverse prospettive nar-rative. Rimanendo in questocampo c'è da dire che l'ele-mento "autobiografico" puòrappresentare una solida baseda cui partire per superare il"blocco" nei confronti dellascrittura provato da moltialunni e di ovviare alle lorocarenze nei contenuti discipli-nari, dal momento che si puòscrivere solo su argomenti che

si conoscono. E' bene comun-que agire con cautela e delica-tezza: alcuni corsisti possonoinfatti vedere in attività delgenere un'indebita intrusionenella loro privacy; d'altra partealtri allievi sentono il bisognoopposto di sfogarsi, di aprirsi,a volte in modo persino imba-razzante per un docente riser-vato. Tra atteggiamenti cosìdiversi è dunque opportunomantenere una condotta equi-librata. Le riflessioni autobio-grafiche del corsista possonoessere guidate fornendo spun-ti di autoanalisi in relazione adaspetti, circostanze, momentiben definiti della vicenda per-sonale di ciascuno.C'è a questo proposito uninteressante lavoro di DuccioDemetrio che può essere uti-lizzato anche nei nostri corsi.A questo punto vogliamoanche aggiungere che è possi-bile ravvisare in tutte questeopzioni didattiche (tra le piùavanzate secondo noi, ma cene sono molte altre) una com-ponente ludica particolar-mente adatta a motivare i cor-sisti e a favorire nel contempoi processi di socializzazioneall'interno del gruppo-classe.

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Sul versante delle dinamicherelazionali un atteggiamentoche cerca di coniugare lievitàsdrammatizzante e approcciocritico ai problemi appare ilmodo più efficace per affron-tare una certa "rigidità cogni-tiva" frequente nell'età adulta,quella che non consente dimettere in discussione facil-mente i propri abiti mentali epregiudizi. Chiaramente quando si parladi “rigidità cognitiva” gli alun-ni minorenni e anche i giovaniadulti appaiono avvantaggiati,tra l'altro essi hanno una pre-parazione di base di solito più

accettabile, poiché general-mente il loro insuccesso scola-stico va attribuito a problemidisciplinari piuttosto che adifficoltà di apprendimentovere e proprie (non sempre ledue circostanze sono collega-bili). Questa categoria di iscrit-ti sembra dunque averepotenzialità maggiori, sebbe-ne la componente "under 18"assuma a volte, soprattuttoall'inizio, un atteggiamentopoco collaborativo. L'obiettivodegli stranieri, quasi semprepiù istruiti dei corsisti italiani,è (diploma a parte) quello diperfezionare la conoscenza

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della nostra lingua, passandodalle situazioni comunicativetipiche della loro esperienzaquotidiana, e riprodotte delresto nei corsi di italiano perstranieri, ad ambiti più astrat-ti, propri delle discipline sco-lastiche e caratterizzati dall'u-so di un italiano meno collo-quiale. Va tuttavia precisatoche, riguardo ai corsisti stra-nieri, in molti casi l'interventodell'insegnante di lettere, difatto, non può differenziarsimolto da quello del collegache si occupa dei corsi italianoper stranieri. Se è consentitoesprimere qualche considera-

zione più personale sullascuola media per adulti cisembra che alcuni suoi aspettipeculiari, quali la maggiorematurità dell’ utenza, la mino-re incidenza di interferenzeambientali, una consolidataprassi ”autogestionaria”cheprecede perfino le grandiriforme degli anni 70, favori-scano la sperimentazionedidattica, i cui risultati posso-no essere estesi anche ad altriambiti scolastici. Insommaaliti di rinnovamento che arri-vano dalla ”frontiera”. In quest'ottica si colloca ilsempre maggior ricorso a stra-

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tegie formative di tipo "labo-ratoriale"; attraverso esse ci sipropone di conferire al corsi-sta un ruolo più attivo ecosciente nel processo diapprendimento, valorizzan-done per quanto possibile ilpotenziale creativo ed il sensocritico.I l Centro terr i tor iale diMagenta, per esempio, sista muovendo in questadirezione.Nell’ultimo decennio daldibattito pedagogico è emersal’opportunità di inquadrarel’educazione degli adulti inuna prospettiva più ampia.Infatti, se si ritiene che ilmutamento sia una caratteri-stica peculiare della civiltàpost-moderna, allora l’istru-zione, più che nel passato, siconfigura come un processopermanente, che dovrebbecoinvolgere anche chi ha com-pletato un percorso formativo,più o meno lungo. Come nonpensare all’impatto della rivo-luzione informatica e all’onni-presenza dell’inglese comelingua “imperiale”?E poi ci sarebbero tutti queidiscorsi sul fatto che le tecno-logie diventano obsolete ogni

cinque anni. Aggiungiamo cheda circa tre lustri il nostropaese, per la prima volta nellasua storia e buon ultimorispetto alle altre nazioni occi-dentali, è divenuto meta diimportanti flussi migratori,attribuibili in buona parte allafine della guerra fredda, odella storia che dir si voglia.Come risposta, forse l'ultimoconato "progressivo", datadalla scuola italiana ( ed euro-pea) alle nuove esigenze diuna società in evoluzione (oinvoluzione per certi aspetti)nascono nel 1997 i CentriTerritoriali Permanenti, orga-nismi scolastici creati aumen-tando di un’unità l’organicodelle vecchie “150 ore” edaffiancando ad esso tre inse-gnanti elementari, prepostinon solo all’alfabetizzazioneprimaria ma anche all’inse-gnamento della lingua italianaagli stranieri. A parte questicompiti, per così dire istituzio-nali, i CTP hanno ampialibertà di organizzare i corsipiù svariati dopo un attentomonitoraggio del territorio peranalizzare i bisogni formatividei potenziali utenti. Ciò puòavvenire facendo ricorso a col-

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laborazioni esterne o/e valo-rizzando eventuali competen-ze extradisciplinari dei docen-ti ”interni”. I CTP presentanouna gamma piuttosto ampiadi proposte formative;prevalgono comunque i corsidi alfabetizzazione informati-ca e di lingua inglese; si puòinfatti dire che essi sono pre-senti in tutti i centri. Il caratte-re pubblico di queste organiz-zazioni ha finora reso possibi-le praticare prezzi particolar-mente vantaggiosi per l’uten-za; ovviamente i corsi per il

conseguimento della licenzamedia e per l’alfabetizzazioneprimaria sono gratuiti. Il Ctpdi Magenta organizza corsi dilingue straniere ( inglese, fran-cese, spagnolo, tedesco) e diinformatica, tutti articolati invari livelli a seconda dellecompetenze in ingresso degliiscritti. I corsi di licenza mediae di italiano per stranieri-alfa-betizzazione, s i tengonoa n c h e n e l c o m u n e d iAbbiategrasso , dove operauna succursale del Centroospitata dalla scuola media

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Carducci. Per concludere,ancora qualche valutazionesulle finalità dei CentriTerritoriali Permanenti e ingenerale sulla L.L.L.(long lifelearning). In verità della formazione per-manente, in quanto businessche "tira" , si occupano diver-se "agenzie" formative, pub-bliche, parastatali e soprattut-to private. Forse i Ctp si segna-lano, seguendo le orme dellevecchie "150 ore", per unamaggiore attenzione, seppurenon esclusiva, verso le fascemarginali della popolazione,vittime predestinate "dell'ob-solescenza permanente".Teniamo altresì a sottolineareche tale attenzione si distin-gue dall'approccio pietistico aldisagio sociale così in voga inquesta fase storica.D'altronde si dovrebbe ricor-dare che la "domanda forma-tiva" non è necessariamentefinalizzata all'inserimento nelmondo del lavoro o alla riqua-lificazione professionale. C'èancora nel nostro ambienteuna certa resistenza nel consi-derare la scuola un "servizio"di supporto all' "impresa".

Il desiderio di apprendere, diconoscere "nuovi orizzonti"ha spesso una connotazionesquisitamente "espressiva" ecomunque le stesse finalità"pratiche" non andrebberovalutate secondo i parametridella produttività e della resaeconomica immediata. Ancheil pensionato dinamico, lacasalinga inquieta, l'impiega-to vagheggiante saperi più"esotici", sono soggetti porta-tori di bisogni a cui si puòcominciare a dare una rispo-sta non necessariamenteesosa e/o ultraspecialistica. Pertanto sarebbe auspicabilerendere il più ampio possibi-le lo spettro dell' offerta for-mativa. Un centro territoriale che daun lato formasse magazzinierie dall'altro iniziasse al tantri-smo o al metodo dialetticooffrirebbe un bell'esempio dicreatività progettuale e aper-tura mentale, doti che di solitonon vengono in mente quan-do si pensa alla "scuola".

Giuseppina Urcio Gaetano Tuttoilmondo

docenti C.T.P - A.T.A.

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Per uscire dal tunnel dellarecessione che da più didue anni attanaglia anche

la media e piccola impresadell'Ovest Milano, servonodegli interventi strutturaliaccompagnati da nuove politi-che industriali, anche attraver-so una diversificazione dellefonti energetiche e un attentoripensamento rispetto all'utiliz-zo del nucleare. E' quanto emerso da un’indagi-ne di Api Milano.L'analisi ha preso spunto dalback out dello scorso 28 settem-bre che provocato qualche diffi-coltà - il guasto si è verificato lanotte di sabato su domenica -anche al normale ciclo produt-tivo delle aziende del territorio.Una cinquantina in tutto leimprese coinvolte con undanno economico medio di3.500 euro. Non molto, beninte-so, ma quanto basta - anchesecondo Ambrogio Locatellipresidente della delegazioneabbiatense - per tornare adiscutere della questione ener-

gia. Dal forum aperto da Apicon i suoi associati si delineaa b b a s t a n z a c h i a r a m e n t e(58,27% del campione) laresponsabilità del gestore dellarete di trasmissione nazionalegiudicato "incapace di governa-re il sistema elettrico nazionalee di garantirne la distribuzio-ne". Ma alla luce del contesto diforte stagnazione, particolar-mente interessanti risultano idati inerenti "al come risolvereil problema". Qui il 48,03% degliintervistati afferma che nelnostro paese "è mancata unaseria politica energetica".L'abbandono del nucleare èvisto come l'errore più grave(40,16%) tanto che il 55,12%degli imprenditori non hadubbi sulla necessità di tornareall'antico. Quasi tutti d'accordo,infine, sulla scelta di liberalizza-re il mercato (80,4%) anche se aifini di un vero rilancio dell'eco-nomia sul territorio occorrepazientare.

F. V.

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API Milano:la questione energetica

Il malato è grave, e di questopasso la situazione potrebbeprecipitare drammaticamen-

te. Abbiamo scelto di adoperarequesta metafora per spiegare lostato di salute dell’economiadell’Ovest Milano. Uno stato disalute che, purtroppo, rispecchiafedelmente il quadro di forte cri-ticità che caratterizza l’anda-mento delle imprese italiane dapiù di due anni a questa parte. Laconsueta indagine congiunturaledi fine trimestre, presentata dalladelegazione Sud Ovest di ApiMilano lunedì scorso nella sedevia Mazzini a Abbiategrasso, èservita essenzialmente a confer-mare questo preoccupante dato.Per la verità i sentori di unarecessione alle porte si respirava-no già da parecchio tempo maadesso, ormai, si tratta di crisiprofonda. Sono i numeri, quantomai eloquenti, a dimostrarlo. “Servono degli interventi struttu-rali urgenti e una nuova politicaindustriale” è stato il commento

al lar mato del la dottoressaP o l l e d r i d e l l ’ U f f i c i oComunicazione. Perché il trend,come dicevamo, è in picchiata sututti i fronti. Una “Caporetto”della piccola e media impresache nei mesi da luglio a settem-bre per la prima volta vede scen-dere l’occupazione (a Milano ehinterland si registra un meno0,5%). La percentuale di aziendeche hanno aumentato il proprioorganico è sotto il 10% mentrequelle che lo hanno diminuitosono il 24%. Così in un contestodi grande incertezza tiene soltan-to il cosiddetto atipico (28%) conun aumento dei lavoratori coin-volti per ogni singola realtà pro-duttiva (ben 5,14%). Una cifra che merita un’attentariflessione in quanto foriera didue conseguenze: le aziende nonse la sentono d’investire – infattinella maggior parte dei casi l’in-terinale non si concretizza mai inuna qualche forma d’assunzione– secondariamente le professio-

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API:situazione

congiunturale

nalità e le competenze di chiviene reclutato attraverso questaforma moderna di caporalatosono livellate verso il basso. “Siamo a limiti storici – ha com-mentato Ambrogio Locatellipresidente del la delegazio-ne Abbiatense – in assenza diinterventi significativi, la norma-le competizione tra imprese sitrasformerà in una guerra senzaesclusioni di colpi”. Il sintomo principale di questocoma profondo viene dalladomanda e dal fatturato chefanno registrare l’ennesimo calo:il 36% delle aziende segnala unadiminuzione degli ordinativicontro il 12% che dichiara unaumento, mentre nel 42,9% deicasi la crisi coinvolge anche ladomanda europea. Dulcis infundo il fatturato cala per il 44%del campione intervistato e gliinvestimenti, ormai, riguardanounicamente l’ordinaria ammini-strazione; quindi ammoderna-mento degli impianti e opere dimanutenzione. Le somme stan-ziate, dunque, per il 66,7% deicasi non vanno mai sopra i 50mila euro. Come se non bastasse ad accre-scere il malcontento degliimprenditori vi è il “fenomenoCina” che sta prepotentementeaggredendo il nostro mercato.

Un fatto che vede la piccola emedia impresa in grossa diffi-coltà tanto che Api Milano ha allostudio un’analisi di questo nuovoconcorrente. “Nella stragrande maggioranzadei casi – è stato il commentodegli addetti ai lavori presentiall’incontro con la stampa – citroviamo di fronte a forme divera e propria concorrenza slealecon prodotti che costano il 50%in meno dei nostri. Tutto questocomporta delle ricadute pesantianche per l’indotto che gravitaattorno alle nostre aziende”. Le speranze di ripresa per il pros-simo trimestre sono ridotte allumicino, tanto che la leggeracrescita intravista dal 30,4% cheprevede un aumento degli ordi-nativi, assomiglia più che altro aun atto di fede. Un dato confer-mato dal fatto che solo l’8% delleimprese prevede la possibilità diampliare il proprio organico. “Facciamo partire rapidamente –ha concluso Locatelli – gli inve-stimenti pubblici, gli unici, in unmomento come questo, che pos-sano fare da vero volano dell’eco-nomia, interveniamo concreta-mente e in modo mirato persostenere l’accesso al credito el’aggregazione tra imprese”.

Fabrizio Valenti

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La centrale termoelettrica di Turbigo

Un secolo di energia

Abbiamo chiesto all'au-tore qualche anticipa-zione sulla storia della

più grande centrale termoe-lettrica della Lombardia che,in occasione del black-out del26 giugno 2003, ha messo adisposizione tutta la suapotenza: 3,4% dell'interoparco nazionale!.

Com'è nata questa "storia"?Ho cominciato a lavorareall'Enel nel 1963, anni in cuialla domanda di assunzionebisognava allegare il certifica-to di buona condotta. E cosìandai dal parroco il quale, purnon conoscendomi partico-larmente, me lo concesse.Avevo 16 anni. I miei genitori(operai) sapevano che, se fossiriuscito ad entrare all'Enelavrei avuto il pane in vita. Ionon avevo lo stesso entusia-

smo, ma mi andò bene. Nonsolamente dal punto di vistaeconomico. La qualità dellamaggior parte delle personeche ho conosciuto all'Enelavevano una marcia in più daquella con la quale avevo vis-suto. Inoltre, l'ambiente eramolto dinamico e stimolante ec'erano un sacco di cose daimparare, per cui bisognavastudiare. E così ripresi inmano i libri perché non sop-portavo l'idea che altri capis-sero che cosa fosse la correnteelettrica ed io no...

Perché "La centrale termoe-l e t t r i c a d i T u r b i g o -Robecchetto con Induno"quando la titolarità è semprestata di Turbigo?E così ancora, ma negli anniNovanta è stato realizzato ilpotenziamento (4 turbogas)

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con risanamento ambientaleil quale ha occupato una fettadel territorio di Robecchetto. Idue Comuni, come compen-sazione ambientale, hannoricevuto un contributo parita-rio pari ad un totale di 27miliardi di vecchie lire...

Cosa l'ha spinto verso una talee inusuale ricerca storica ?Alla fine dell'Ottocento sichiude l'epoca delle cattedrali.Con la rivoluzione industrialedel XX secolo l'uomo si orien-ta verso altre grandi opere e lecentrali, a mio avviso, rappre-sentano dei veri e proprimonumenti della modernità.Non conosciamo i nomi deiprogettisti di un impiantoindustriale, ma credetemi

tutto viene studiato nei mini-mi dettagli, da come orientaregeograficamente i fabbricati adove scaricare le acque piova-ne.

L'iniziativa e stata patrocina-ta dal Comune in occasionedell'anno internazionale del-l'acqua...Sì. nella prima parte vengonoillustrati i primi impiantiidroelettrici della nostra zona,dal primo - quello di VizzolaTicino - inaugurato dal Red'Italia il 20 ottobre 1901, agliultimi e a quelli futuri (l'im-pianto previsto a Castellettoche sarà realizzato daiComuni di Cuggiono eBernate Ticino). Ma anche lacentrale termoelettrica non cisarebbe se non ci fossero leacque del Naviglio Grande...

Un capitolo ha il titolo "Ancheuna storia di paese...."Sì. La centrale ha fatto cresce-re gli abitanti del territorio. Aldi là della tecnologia d'avan-guardia, sempre presente inuna centrale termoelettrica, ilfatto che centinaia di persone(il numero massimo è stato413, oggi sono 160) lavorasse-

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ro insieme per decenni hafatto nascere nella realtà loca-le un "gruppo" che si è distin-to nella vita politico sociale.Nel secondo dopoguerra idipendenti erano quasi tuttidella zona, ma i successivistadi tecnologici della centraleobbligarono l'Enel a cercaregiovani con una maggiore sco-larizzazione che, allora, nonerano presenti nei nostripaesi. Da qui l'immigrazionedi qualità...

Un ricordo?Quando si asciugavano i cana-li interni delle acque di raf-freddamento per manuten-zione. I più esperti sapevanodove si raccoglievano i pescied era una festa. Veniva fuoril'anima "selvatica" degliuomini della valle del Ticinoche avevano vissuto per gene-razioni proprio di caccia e dipesca.

F. V.

Via Rosolino Pilo, 2920013 Magenta (MI)Tel. 02/97298625Fax 02/9793156

PAVIMENTIR IVEST IMENTI

ELEMENTID ’ A R R E D O

1. LA CAPPELLA ESPIATORIA

PER TUT TI I SOLDATI

MORTI A MAGENTA

Don Cesare Tragella, Prevostoa Magenta dal 1884 al 1910,all’atto della fondazione dellanuova chiesa parrocchiale(l’attuale Basilica di S.Martino) 1, concepì l’idea didedicare in essa una cappellacome atto espiatorio nei con-fronti di tutti i caduti della bat-taglia risorgimentale del 4 giu-gno 1859 2: vi avrebbe raccoltoaltri resti mortali di soldati 3 e,nel coro, avrebbe collocato ibusti di re, regine, imperatori eimperatrici che avevano con-corso alla battaglia, alcuni deiquali erano ancora viventi 4.

Nella prospettiva di una nuovachiesa parrocchiale (la posadella prima pietra fu nel1893)5 che fosse contempora-neamente un monumentosacro e civile, intempestiva-mente, perché poi le autoritàreligiose gli negarono il per-messo di attuare quella cap-pella, aveva già fatto predi-sporre con entusiasmo, primaancora che la cappella fosseallestita al suo interno, seibusti in bronzo di regnanti.La concezione di accomunarevincitori e vinti, pur ricono-scendo agli uni di aver com-battuto per il compiersi degliideali risorgimentali e agli altril’onore dovuto all’avversario

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L’eco della Battaglia nella

Basilica di Magenta.

Un’idea del Prevosto

Tragella ispirata alla pace

leale, era innovativa, andandoal di là della pur comprensibi-le, ma facile retorica bellica oantibellica 6.A tutti era dovuto rispetto peril sangue versato, in nome delquale, con l’espiazione neces-saria, innalzare gli animi aibenefici sempre possibili conla pace, ma non sempre con laguerra. Vedremo più avanti,parlando dell’arredamento diquesta cappella, come donCesare avrebbe attuato questoinnalzamento degli animi. Il progetto però non fu appro-vato, malgrado l’insistenza didon Cesare. Non solo. Vista lacapacità inventiva delPrevosto e la sua intempesti-vità e dubitando che, a consa-crazione avvenuta (24 ottobre1903), non essendo ancoracompletamente arredata laBasilica al suo interno, donCesare potesse comunqueattuare il suo intento,l’Arcivescovo Cardinal Ferrari,proprio mentre era a Magentaper la consacrazione, gli riba-disce la proibizione 7.Il concatenarsi cronologico diquesti fatti ci permette di pre-

cisare quale delle sei cappellelaterali della Basilica – cinque,nel 1903, terminate solo nellaparte muraria e architettonica– avrebbe dovuto custodirequeste memorie. Una voltapoi identificata, il manteni-mento in essa almeno di unaparte del progetto del PrevostoTragella – come vedremo par-lando della statua dellaMadonna che egli vi collo-cherà – dimostra ulteriormen-te la concezione originale diquel progetto.Al momento della consacra-zione della nuova chiesa, l’u-nico altare completo in ognisua parte era quello di SantaCrescenzia, così come lovediamo ancora oggi inBasilica 8. Gli altri non c’erano,anche se don Cesare ne indical’intitolazione 9, che sarebbepoi effettivamente coincisacon gli altari che vi sarebberostati inseriti e con la loro orna-mentazione.Ebbene, se escludiamo ovvia-mente la cappella di SantaCrescenzia (entrando inBasilica, nel transetto adestra), l’unica cappella che

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avrebbe potuto, per grandez-za, contenere ciò che donCesare voleva collocarvi, nel-l’ottica della cappella espiato-ria, era quella del transetto, asinistra, cioè la cappella dellaMadonna, come già la indicanel 1903, per l’intitolazioneliturgica, il Prevosto.Per questa cappella donCesare sceglierà volutamente,fra gli altari e l’ornamentazio-ne che aveva a disposizionedalla vecchia San Martino,non ciò che era consono conla bellezza artistica, pur ricer-cata nella nuova chiesa, maciò che risultava omogeneotematicamente, quindi dicoronamento, all’idea di faredi questa cappella, liturgica-mente intitolata allaMadonna, la cappella espiato-ria della quale s’è detto.Don Cesare, mentre attingevaalla vecchia San Martino perriutilizzarne al meglio mobili earredi liturgici 10, nel 1903lascia intendere di aver giàfatto una scelta importanteper l’altare della Vergine inBasilica, dal punto di vista deltema religioso e liturgico che

vi sarebbe stato svolto: nonsarebbe più stato l’altare delRosario o della Madonna delRosario, come nella vecchiaSan Martino, ma indicativa-mente, per ora (1903), l’altaredella Madonna, senza titolospecifico, che, come vedremo,avrebbe potuto essere indica-to in un secondo tempo, acose fatte 11.Il Prevosto infatti aveva adisposizione, dalla vecchiaSan Martino, due altari intito-lati alla Vergine: uno tematica-mente dedicato al Rosario,artisticamente importante, deip r i m i s s i m i a n n i d e lSettecento, con la sua bellissi-ma statua della Madonna; l’al-tro, comunemente ma erro-neamente detto del Rosario,d e l l a p r i m a m e t àdell’Ottocento, pure con la suastatua della Madonna, artisti-camente però poco valida enon bella. Per la Basilica fuprescelta quest’ultima statua,mentre l’altra, con tutto il suoa l t a r e , f u d e s t i n a t a a lSantuario dell’Assunta.

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NOTE

1. Chiamerò semprequesta chiesa“Basilica”, semplifi-cando, per non defi-nirla ogni volta“nuova chiesa par-rocchiale di SanMartino”. Basilicainfatti lo divenne solonel 1948.

2. Biografia e opere in“Natalia Tunesi eCarlo Morani, Le sta-gioni di un prete,Graffiti, 1993”.

3. Esisteva già infatti,dal 1872, l’attualeOssario dedicato aicaduti francesi(Ambrogio Viviani,Magenta 4 giugno1859, Zeisciu, 1996).

4. Per esempio, addi-rittura l’imperatoreFrancesco Giusepped’Austria, che moriràsolo nel 1917, o l’im-peratrice Eugenia diFrancia, morta nel1920.

5. AAVV, L’arte delSacro, Parrocchia diSan Martino, 1990.

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6. Riduttivamente denigratoria, aesempio, la lapide di Robecco sulNaviglio, all’ossario dei caduti suquel campo (pubblicata dal Viviani,op. cit.): “Ossa di soldati spenti nellagiornata 4 giugno 1859: Francesi,Austriaci, Italiani. Cristiani creati peramarsi, si trucidarono negli orroridella guerra, vittime di superstitebarbarie”.Riduttivamente giubilatoria, invece,quella posta all’interno della Basilicadi Magenta: “Nella fausta ricorrenzadel primo centenario della battagliadi Magenta, l’EminentissimoCardinale Giovanni BattistaMontini, Arcivescovo di Milano, hainaugurato la facciata di questo tem-pio eretto in memoria di tutti i solda-ti gloriosamente caduti”.

7. APSM (Archivio Parrocchiale di S.Martino a Magenta), 19.1, VisitaPastorale del 1903.

8. Ivi

9. Ivi

10. Per fare solo degli esempi: l’attua-le altare del Crocifisso fu trasportatotal quale in Basilica dalla vecchiaSan Martino; gli altari di legno deltransetto sono un riassemblaggio dialcuni di quelli che già esistevano là.Poiché possediamo le fotografie difine Ottocento di alcuni altari dellavecchia San Martino (pubblicate inparte sull’Arte del Sacro, citato), èpossibile, per mezzo anche delladocumentazione d’archivio, seguirne

le traversie.Se approfondiamo il discorso atti-nente agli esempi indicati, l’altare delCrocifisso della Basilica risulta esserestato fatto in marmo per lla vecchiaSan Martino nel 1838 (APSM, cartel-la 12 dei “Legati consumati”, fascico-lo 3, Legato Ravizza), al posto di unoprecedente di legno. Se poi prendia-mo in considerazione quanto emergedalle visite pastorali settecentesche(ASDM, Archivio Storico Diocesanodi Milano, partendo da quella minu-ziosa di Mons. Corradi:sezione X,Corbetta, XXXIX, 16, visita a Magentadel 1706), veniamo a sapere che lacappella del Crocifisso occupò l’unicoandito libero, sotto l’organo, che eralaterale (terza cappella, entrando, adestra, di fronte all’altare delRosario).Parimenti scopriamo che i due angeliche oggi si trovano sull’altare di SantaCrescenzia, in Basilica, nella vecchiaSan Martino si trovavano invece sul-l’altare della Madonna .Precedentemente, però, erano ai latidel ciborio dell’altare maggiore (“adcornua altaris – scrive il Corradi –gemini caelestis generis, lignei etinaurati, omnia elegantis struttu-rae”), prima che questo fosse sostituitonel 1808 (APSM, cartella 14, “Atti dellaFabbriceria”, fascicolo 2, Altare dimarmo comprato e sue conseguenze).

11. Nel 1896, comunemente, per ciòche sembrava, don Cesare chiamal’altare nella vecchia San Martino“altare della Madonna del Rosario”.Nel 1903, considerata più attenta-

L E N O S T R E C O N T R A D E92

mente la statua che aveva di fronte edestinandola alla Basilica, parleràsemplicemente di cappella dellaMadonna (APSM, 19.1, VisitePastorali del 1896 e del 1903).L’attribuzione comune era dovuta alfatto che, nella vecchia San Martino,non si distinse più, a un certo punto,tra Confraternita del Rosario e l’alta-re della Madonna presso il qualeaveva sede la Confraternita. QuellaMadonna avrebbe dovuto esserechiamata con un altro titolo, perché,come vedremo, non porgeva il rosa-rio. Ciò nonostante, per sovrapposi-zione tra la Confraternita e il suoaltare, la si chiamava, semplificando,Madonna del Rosario.Nella vecchia San Martino abbiamoun altro caso significativo di questotipo.La Confraternita del SantissimoSacramento, già a partire dalle indi-cazioni delle Visite Pastorali settecen-tesche (ad esempio quella di Mons.Corradi, citata), non ha sede all’alta-re dell’Eucaristia, ma a quello deiSanti Simone e Giuda.

2 . LE DUE STATUE DELL A

MADONNA DISPONIBILI PER LA

CAPPELLA ESPIATORIA

L’altare dei primissimi annidel Settecento dedicato alRosario, o altare della BeataVergine del Rosario, comeviene chiamato nella minuzio-sa descrizione che possedia-mo 1, precedette, nella mede-sima cappella in San Martinovecchio, l’altare ottocentescoche più fu oggetto di interesseda parte di don Cesare. Quellosettecentesco, smontato etenuto in serbo, una volta cheil Prevosto ebbe fatto la suascelta per la Basilica, fu rimon-tato nel Santuario dell’Assunta(seconda cappella a sinistra,entrando) tra il 1896 e il 1903 2.Tutti i particolari di questoaltare settecentesco, balaustracompresa, sono quelli chevediamo ancora oggi, origina-li, fatta eccezione per la statuadella Madonna, accomodatadiversi anni dopo il 1903 nellavecchia nicchia dell’altare.Era propriamente l’altare delRosario perché, come si puòconstatare, presenta, dipintisu piccole tavole tutto intorno

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alla statua della Madonna, imisteri del Rosario stesso.Però queste tavole sono ederano 14, non 15, dato che l’ul-timo mistero glorioso, tradi-zionalmente dell’incoronazio-ne di Maria regina degli Angelie dei Santi, era rappresentatodall’antica, originaria statuadella Madonna (non quella dioggi) che, per come venivadescritta, non teneva tra lemani il rosario.Questa statua, come abbiamogià detto, era artisticamentepregevole. Ed è strano che donCesare non l’abbia utilizzata

per la Basilica, tanto più che,di legno, meglio si adattava alpolicromo altare, pure inlegno, che lì sarebbe stato alle-stito per la Madonna. Inoltre,considerando lo spazio cheessa occupavava nella sua nic-chia al Santuario dell’Assunta,era all’incirca delle stessedimensioni di quella che effet-tivamente è stata utilizzata perla Basilica. La ragione non può esserericercata nell’intento di man-tenere assemblato come inorigine l’altare, così come erastato fino ad allora sotto gli

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occhi di tutti (l’altare era statorimosso dalla vecchia SanMartino e custodito già daqualche decennio; e poi, comeho già dimostrato, un certoriassemblamento casuale eradi fatto in atto nel riutilizzare,in Basilica, il vecchio materia-le ornamentale ). Tanto piùche l’interesse per il valoreartistico e artigianale di questastatua settecentesca, non lasalvò da una inammissibiledispersione: rimossa dopo il1903 dal Santuariodell’Assunta, non se ne ha piùtraccia, essendo stata poisostituita con l’attualeMadonna Regina del Rosario,in gesso 3.La ragione va ricercata nelfatto che la statua dellaMadonna ottocentesca, alloranella vecchia San Martino,anche se brutta, anche semeno adatta a quello chesarebbe stato in Basilica il suoaltare di legno policromo (lastatua infatti è di gesso bian-co), si prestava meglio per lacappella espiatoria che ilPrevosto Tragella aveva inmente di costituire in Basilica

all’altare della Madonna.La particolarità di questa sta-tua dovette meravigliare lostesso don Cesare e dovetteconfermarlo nella sua ideadella cappella espiatoria.Questa statua, col suo altare,era stata collocata in SanMartino vecchio, al posto delsettecentesco altare delRosario, tra il 1808 e il 1859 4.Potremmo anche dire che talesostituzione fosse dettata daesigenze di rinnovo o adegua-mento stilistico interno allavecchia San Martino, ma, con-siderati i tempi (le vicissitudi-ni napoleoniche e i primimotti risorgimentali), consi-derato il tema proposto conquesta statua della Madonna,rispondeva piuttosto ai biso-gni legati alle incertezze dellaguerra e a quelli dell’aspira-zione alla pace.La statua della Madonna,infatti, non porge, come sem-bra, e come sembrò anche adon Cesare nel 1896 5, il rosa-rio, ma un collare con unamedaglia sulla quale laMadonna stessa è effigiatacome colei alla quale affidarsi

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per avere la pace.Insomma essa rimanda, cosìcom’è rappresentata, al temadella Madonna Regina dellaPace. Inoltre l’effigie di GesùBambino, che la statua reggecon un braccio, a conferma diquesto rimando al tema dellaRegina della Pace, porge uncollare identico con un’identi-ca medaglia.

NOTE

1 . Così Mons. Corradi nel 1706(ASDM, citato).“Ascenditur ad hanc cappellam perlapideum gradum ex crocatello,super quem consimiles cancellaeatque valvulae. Super altare gradusunus ligneus et ampla cornix qua-tuor ornata columnis partim inaura-tis, et celata, in qua quindecimSanctissimi Rosarii Misteria in tabu-la espressa. In medio cornicis dictaevidetur amplus pictus lateritius men-sura sua trulli, et geminis fenestrisrecentibus instructis; in quo simula-crum ligneum pulcherrimumDeiparae cum Domino Infante.Sericis vestibus aureo argentoqueinduitur cum geminis argenteis coro-nis. Videntur amplissimis cristallisplumbo inaurato connexis et bra-chium velo tegitur ".Viene evocato davanti ai nostri occhi,leggendo, proprio l’altare che ora sitrova all’Assunta, perfino nel colorezafferano della balaustra.Le due corone d’argento incastonatecon grandi cristalli furono rubate dilì a poco nel 1708 (Archivio Plebanodi Corbetta, Sezione storica, Fondo: laPieve, cartella XI, fascicolo 2°,Parrocchia di Magenta), ma nell’al-tare ora all’Assunta è rimasta tracciadi questo uso ornamentale con cri-stalli: ce ne sono quattro inseriti agliangoli del paliotto.Si arriva a descrivere il particolare diun braccio della statua dellaMadonna, quello che non reggeva ilBambino, coperto dal velo, ma non siaccenna all’eventuale rosario.

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C’è tuttavia una imprecisionedescrittiva. Le formelle coi misterinon sono 15, come afferma Mons.Corradi, ma 14: basta contarleall’Assunta; anche perché, come si èdetto, il 15° mistero era rappresentatodalla statua della Madonna.Il fatto che la nicchia contenente lastatua risulti illuminata da due fine-stre aperte di recente, a prescinderedalla datazione stilistica dell’opera,fa pensare che l’altare sia stato messoin opera appena prima del 1706.

2 . Al Santuario dell’Assunta, ancoranel 1896 (APSM, visita pastorale cita-ta), esistevano solo quattro altari

laterali (Natività di Maria, Re Magi,S. Mauro, Crocifisso). Tra essi nonc’era un altare del Rosario o dellaMadonna del Rosario. Nel 1903 inve-ce (APSM, visita pastorale citata) nonsolo esiste, ma sollecita anche unadisposizione severa dell’ArcivescovoCard. Ferrari:

“Si levi l’attuale statua dellaMadonna del Rosario, perché vestita”.L’Arcivescovo raccomanda di fare l’o-perazione con cautela, rendendosiconto, probabilmente, dell’antichitàdell’altare, ma non si esime dal giu-dicare quella statua, così come gli sipresenta, non più liturgicamenteadatta.

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3 . Era la statua fatta fare dalPrevosto Tragella per il suo Ricovero(1908) e qui collocata nell’annessacappella della Madonna delSoccorso. Presso tale struttura, ridot-ta ormai a sua abitazione, il Prevostoemerito, allontanato in un primotempo da Magenta e poi ritornatovi,visse fino al 1934 (Tunesi e Morani,op. cit.).

4 . Dalla comparazione fra i dati for-niti dalle Visite Pastorali settecente-sche (prima fra tutte quella di Mons.Corradi, citata), relativi alla colloca-zione degli altari laterali nella vec-chia San Martino, e quelli di fineOttocento, si ricava che il nuovo alta-re prende effettivamente il posto del-l’altare del Rosario (terza cappella asinistra, entrando).La fotografia di fine Ottocento (pub-blicata sull’Arte del Sacro, op. cit.) ciconsente di dire che, complessiva-mente, il nuovo altare, con la sua sta-tua, era in stile neoclassico, anche seriutilizza elementi dell’altare mag-giore di San Martino vecchio, comevisto, smontato nel 1808.D’altra parte non può essere statomesso in opera dopo il 1859, ma nep-pure troppo vicino a questa data,perché, come vedremo, la statua dellaMadonna ostenta ben due ricordiabsburgici. Lo stile di questo altarerichiama molto da vicino quello chegli stava di fronte nella vecchia SanMartino, cioè l’altare del Crocifisso,costruito nel 1838, come visto.La committenza per il nuovo altaredella Madonna in San Martino vec-chio non venne dalla Parrocchia

(nessuna indicazione nei conti, neilegati e nelle altre carte della sezioneottocentesca dell’APSM, peraltro ric-chi di notizie relative ad altri lavori).Probabilmente l’altare fu commissio-nato dalla Confraternita del Rosario.

5 . APSM, Visita pastorale 1896,citata.

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3 . I COLLARI DELLA STATUA DI

S. MARIA, MADRE DI DIO,REGINA DELLA PACE

Se passiamo ad analizzare neiparticolari le medaglie, pos-siamo immaginare lo stuporedel Prevosto Tragella quandoebbe modo di considerareeffettivamente ciò che aveva adisposizione (due diverse sta-tue della Madonna, apparen-temente legate al Rosario,però una molto bella e l’altracerto non bella). E poi possia-mo immaginare la scelta para-dossalmente risoluta per la

statua meno antica e decisa-mente meno pregevole, maadattissima a dire, nell’otticadella cappella espiatoria, alcospetto simbolico dei gover-nanti del tempo e inoltre per latradizione locale che essa rap-presentava, che le esigenzedella pace vanno sempre ono-rate in nome di un idealesuperiore agli interessi parti-colari e che non sussiste vera-mente un ideale superiorerescisso da Dio, conosciuto ecreduto come Padre di tutti.Si tratta di due medaglie

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ungheresi di 41 millimetri dimodulo, ma coniate in annidiversi. Diversa anche la con-servazione, quantunquemedio-buona per entrambe.Furono collezionate simulta-neamente per farle porgerecontemporaneamente dallaMadonna e da Gesù Bambino.Ne fanno fede i due collari(uno più grande, porto dallaMadonna, e l’altro più piccolo,porto dal Bambino) che, per iltipo di intervento artigianalevoluto per crearli, diconosimultanea derivazione daun’unica collana femminileformata da 96 sfere ellissoidalidi 10x8 millimetri, in filigrana,legate tra loro e caratterizzateda uno stile ornamentalemagiaro 1. Il diritto delle medaglie recala figura a mezzobustodestro dell’ImperatriceMaria Teresa d’Absburgo,con la seguente impronta:Maria Thereresia, Dei GratiaR e g i n a , I m p e r a t r i xG e r maniae, Hu ngar iae,B o h e m i a e , R o m a e ,Archiduchissa Austr iae,D u c h i s s a B u r g u g n a e ,Comitissa Tyroli. Cioè: Maria

Teresa, per Grazia di DioR e g i n a ( s i i n t e n d e“d’Ungheria”), Imperatrice diGermania, Ungheria,Boemia, Roma (quest’ultimoriferimento era puramentenominale), Arciduchessad’Austria, Duchessa diBorgogna (si intendeva“Paesi Bassi Austriaci”, cioè ilBelgio), Contessa del Tirolo.Mancano alcuni titoli e terre,per esempio quello diDuchessa di Milano.Il contorno delle medagliereca il motto “Iustitia et cle-mentia”:Giustizia e Clemenza.Il rovescio delle medaglie recala figura per intero, frontale,della Madonna come Regina(quindi con corona e scettro eGesù Bambino retto da Maria,mentre a sua volta regge ilglobo regale, perché la regalitàdi Maria è partecipazioneall’unica regalità di Cristo). Lafigura della Vergine è tuttaviaispirata al capitolo 12dell’Apocalisse: la Madonnaha la luna sotto i suoi piedi edè contornata da una raggieraceleste.In esergo c’è lo stemmadell’Ungheria, uguale a quello

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attuale, affiancato dalle sigle Ke B dell’incisore.L’impronta del rovescio è laseguente: Sancta Maria MaterDei Patrona Hungariae. Cioè:Santa Maria, Madre di Dio,Patrona (o Protettrice)d’Ungheria.Concludono l’impronta le duediverse date di conio: 1754, suuna medaglia, e 1763 sull’al-tra. Queste sono poste in rela-zione con l’effigie dellaMadonna perché, proprio inriferimento a quegli anni, ci sirivolgeva alla Vergine comePatrona d’Ungheria per averela pace. Ma qui dobbiamospiegarci con una brevedigressione storica .L’Imperatrice Maria Teresa(1717-1780), succeduta appe-na ventitreenne al padre,dovette affrontare quella cheviene definita Guerra diSuccessione Austriaca (1740-1748): le si contestava, inquanto donna, il diritto aregnare, ma, di fatto, si tratta-va, da parte di altri sovranieuropei, di poterne approfitta-re per acquisizioni territoriali.Soprattutto la Prussia, milita-rista e insofferente del proprio

ruolo subalterno, mirava ascompaginare lo scacchiereeuropeo al fine di affermare lapropria supremazia inGermania.Fu una guerra, anche per gliinteressi coloniali delle potenzein gioco, di vastissima portata.Ai vertici, tuttavia, per la cul-tura politica della quale eranoportatori i più importanti con-tendenti, si trattò dello scon-tro tra la concezione dell’im-pero proprio di Maria Teresa,inteso medievalmente comeuna confederazione di popolidei quali Maria Teresa si senti-va responsabile di fronte aDio, anche rispetto alle loroaspirazioni autonomiste, e laconcezione dell’impero diFederico II di Prussia, una veramacchina da guerra checostrinse l’Europa a ricono-scere e ammirare la sua forzamilitare, imponendosi, conscetticismo in religione esenza scrupoli in politica,quale dispotico accentratoreilluminato, cioè più moderno.Maria Teresa era tutto l’oppo-sto. Profondamente ed equili-bratamente religiosa, lasciatacompletamente sola, la soste-

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neva la forza ideale che lei,con l’aiuto di Dio, avrebbefatto tutto il suo dovere,offrendo al mondo un esem-pio della buona guida che puòfornire una persona di tempe-ramento moderato, pacifico ebenevolo, in contrapposizioneall’avidità di uomini violenti eambiziosi e all’impazienzadegli idealisti dottrinari, chetendevano a far coincidere lamoderna efficienza del dispo-tismo con le esigenze illumini-stiche.La guerra terminò nel 1748,lasciando sostanzialmenteintegro l’Impero, tranne qual-che perdita territoriale a favo-re di Federico e dei suoiopportunistici alleati. A MariaTeresa si riconosceva, comun-que, il diritto alla successione.In questi frangenti, fu essen-ziale all’Imperatrice, fin dal1741, la lealtà degli Ungheresiche, avendola subito consa-crata e incoronata Regina, purnon derogando al loro spicca-to sentimento nazionale, levennero in aiuto.Era tuttavia evidente a tuttiche la pace, per quanto riguar-

dava il confronto fra MariaTeresa e Federico II, era daconsiderare solo come unatregua.Il Re di Prussica non era statoneutralizzato. La Cancelleriadi Maria Teresa lavorava quin-di per legare la Francia allacausa imperiale con un rove-sciamento delle precedentialleanze.Il 1754 è l’anno nel qualeancora tutti i sovrani volevanola pace, ma anche l’anno nelquale il Cancelliere imperialeKaunitz stava preparando unaguerra per riconquistare laSlesia all’Impero.In questo contesto assume ilsuo significato profondo laprima delle medaglie dellaMadonna della Basilica diMagenta, coniata appunto nel1754.Essa ha in sé alcuni elementifondanti la storia ungherese:la Madonna riconosciutacome Patrona dell’Ungheria,sua salvaguardia fin dai tempidella dominazione turca; lalealtà nei confronti di MariaTeresa, Imperatrice Absburgosì, ma indicata innanzitutto

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come Regina d’Ungheria; l’af-fidamento alla Madonna perla pace, da tutti invocata, madi fatto minacciata.La guerra scoppiò di nuovo nel1756, generalizzata come laprecedente e come sua conti-nuazione, fino al 1763: è laGuerra dei Sette Anni, comeviene definita dagli storici.Quando essa terminò, la situa-zione di partenza non eramutata. Rimaneva solo il disa-stro rappresentato dalla guer-ra stessa.In questo contesto postbellicoassume significato la secondamedaglia della Madonna dellaBasilica di Magenta, coniataappunto nel 1763.Ha in sé i medesimi elementidella precedente, però con unpiù forte anelito alla pace affi-data all’intercessione diMaria.

NOTE

1 . Non esiste traccia alcuna di comele medaglie e la collana siano perve-nute a Magenta nella vecchia SanMartino. Certamente si può pensareal dono di qualche privato, ma sideve scartare l’ipotesi di una offertavotiva intervenuta dopo l’ideazione ecostruzione della statua, perché,assurdamente, o sacrilegamente, citroveremmo di fronte a una offertavotiva, cioè di affidamento allaMadonna per mezzo di una sua sta-tua che già deteneva un certo titolodevozionale, imponendo a quellastatua un titolo deciso dall’offerentestesso.Altrettanto assurdo, o sacrilego,sarebbe pensare a una statua cheprima porgeva, per indicarlo ai fede-li, un rosario, poi casualmente sosti-tuito con qualcosa che , da lontano,poteva anche somigliargli.

2 . Riferito alla figura e all’azionedella grande Maria Teresa.La bibliografia è sterminata. Qui ci sipuò accontentare di EdwardCrakshaw, “Maria Teresa d’Austria”,Mursia.

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3 . CONCLUSIONE

Per come ho imparato a cono-scere don Cesare, egli, alla pre-senza di una Madonna e di unGesù Bambino che porgonoquelle due medaglie, con l’e-semplare significato religioso enazionale che esse rappresen-tano, ne aveva abbastanza perentusiasmarsi e per confer-marsi nell’idea della cappellaespiatoria per i morti dellaBattaglia del 4 giugno 1859,indicativa per i vivi delle esi-genze legate a una pace vera.La cappella espiatoria non glifu tuttavia possibile – anche, aonor del vero, per le giusteopportunità pastorali chel’Arcivescovo Cardinal Ferrarideve aver sottolineato: unachiesa parrocchiale è unachiesa e basta. Ma almenoquella Madonna, in Basilica, ilPrevosto Tragella la volle col-locare.Avesse avuto il tempo, avrebbetrovato il modo di spiegarceneil significato simbolico, attri-buendole il titolo che propria-mente le spetta di Regina dellaPace. Non fu così.

Nel 1903 l’altare della cappellanon era ancora stato predispo-sto. Quando lo fu successiva-mente, don Cesare tenne inserbo i busti dei sovrani, spe-rando forse di poterne piùavanti usufruire. Ma più avan-ti avvenne che nel 1910 giànon era più Prevosto diMagenta.La sua idea andò dimenticatae quella statua, che porgevaapparentemente, vista da lon-tano, un rosario, nel 1911viene chiamata Madonna delRosario (APSM,Visite pastora-li, citato) e poi, ancora piùavanti, il suo altare fu sempli-cemente l’altare dellaMadonna.E’ per questo che, a cento annidi distanza, in occasione deifesteggiamenti per il giornoanniversario della consacra-zione della Basilica, compien-do un atto che don Tragellanon aveva potuto fare, quellastatua della Madonna dellaBasilica è stata solennementeincoronata col titolo di Reginadella Pace.

Ambrogio Cislaghi

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In occasione dei festeggia-menti per il suo centesimoanniversario la Basilica di S.

Martino di Magenta arricchirà ilcorredo artistico di una dellecappelle con un grande quadroraffigurante l’Annunciazione.L’opera, datata novembre 2002,raffigura, in una grande tela di60 centimetri di base per 210 dialtezza, uno dei momenti chia-ve della storia del cristianesi-mo e sarà presentata ai fedelidurante una solenne cerimo-nia domenicale la cui data, fis-sata per la primavera 2004, nonè del tutto certa a causa delprotrarsi dei lavori di restaurodella basilica.Due sono le date possibiliauspicate dal parroco DonFausto Giacobbe: domenica 28

marzo, successiva alla festaliturgica dell’Annunciazione(che cade ogni anno il 25marzo), oppure domenica 25aprile, giorno di festa dedicatoagli anniversari di nozze.Circostanza - quest’ultima -altrettanto significativa inquanto ricollegabile alla SacraFamiglia, di cui l’Annunciazionealla Vergine è appunto l’inizio.Tutto dipenderà dall’andamen-to dei lavori, ma a primavera ilnuovo dipinto sarà sicuramentecollocato in Basilica.Il dipintoQuello che colpisce è l’assolutaausterità ed essenzialità dellascena che circonda l’incontrotra l’angelo e la Madonna.L'Evento destinato a cambiarela storia del mondo si compie

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Un dono per i 100 anni della Basilica S.Martino

Annunciazione

Olio su tela del pittore Sergio Gianniniper la Cappella della Madonna

all'interno di una dimora diassoluta, umile austerità: unapiccola finestra appena abboz-zata nella parete di destra fa dacontrappunto ad una mensola-inginocchiatoio nell'angolo inbasso illuminato dalla luce del-l'apparizione. Il tutto espressocon un sapiente uso delle terreche crea una mistica penombrain simbolico contrasto con ilfulgore centrale dei protagoni-sti: Maria e l'angelo.L’apertura permette al bustodell’arcangelo Gabriele di pro-tendersi nella stanza, circonda-to da una luce soffusa dellastessa tonalità cromatica delfondo. La Vergine Maria è raffigurata inposizione eretta dinanzi al mes-saggero celeste, vestita dei colo-ri puri propri della tradizione: ilrosso della veste, il bianco delvelo, l’azzurro del manto. Le fattezze del volto sono rac-colte in un’espressione fiducio-sa e fresca di accoglienza consa-pevole del Dono.La collocazioneLa tela, completa di cornicelignea dorata, raggiunge le stes-se dimensioni del quadro diSanta Crescenzia posto nellacappella a destra dell'altare,creando un’adeguata simmetriadi proporzioni tra le due cap-

pelle e andrà inoltre a comple-tare l’arredo della cappella disinistra, dedicata alla Madonna.Don Fausto ha infatti accoltovolentieri l’offerta del pittoreper la creazione di un’opera sultema dell’Annunciazione, sino-r a n o n r a p p r e s e n t a t o i nBasilica.Le motivazioniLa raffigurazione dell’annuncioa Maria non è argomento nuovoper Sergio Giannini, che da annisi dedica alla pittura sacra conprofonda e sincera passione. Ma per l’Annunciazione dedi-cata alla Basilica di S. Martinoc’è stato un coinvolgimentodiverso, molto più profondo,come lui stesso afferma.“All’inizio del mio percorso pit-torico l'Arte Sacra era ben lon-tana dai miei programmi perl'assoluto rispetto che portavo eporto tuttora a questo genere dipittura". Racconta. “È nel lonta-no 1983, a seguito dell’invito alconcorso indetto dai FratiMinori del Convento diSabbioncello di Merate sullafigura di San Francesco, che miaccostai al sacro”. “Vinsi ilprimo premio - prosegue conemozione - e il mio quadrovenne collocato nella collezionedel Convento”. “Per questofatto, ogni volta che mi accosto

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ad un tema sacro per dipinger-lo, sento una strana sensazione,come se qualcosa di superioremi guidasse la mente e lamano.”Il donoL' idea del dono dell’opera allaBasilica per il suo centesimocompleanno nasce da GalleriaMagenta, la galleria d'arte dellaCittà, già promotrice di diverseiniziative culturali benefiche afavore di associazioni e operecittadine.

S E R G I O G I A N N I N I

C E N N I B I O G R A F I C I

Nato a Milano nel 1927, SergioGiannini non si è dedicato subitoalla pittura. Per anni ha fatto iltagliatore di pietre preziose. Emolto probabilmente da quest’ar-te fatta di tecnica, pulizia e preci-sione ha sviluppato dagli annisessanta in poi una solida profes-sionalità nella pittura.Presidente dal 1966 del CircoloCulturale Rosetum, ottiene inquegli anni riconoscimenti invari concorsi e manifestazioni,molti dei quali riguardantiMilano, tanto che il Comune gliconferisce l’Ambrogino d’oro nel1978. Negli anni settanta fa unaprima esplorazione nel mondodell’incisione e della grafica, espe-rienza che riprenderà nei primi

anni Novanta collaborando all’il-lustrazione di alcune opere per leEdizioni Paoline.Gli anni Ottanta sono decisivi perla presenza dell’artista in manife-stazioni di respiro nazionale checulminano, nel 1988, nella parte-cipazione alla prima rassegna“Milano Arte” al Palazzo dellaPermanente.Nel 1990 tiene un’importante per-sonale alla Galleria Ponte Rossodi Via Brera, seguita da quella del1993 al Museo di Milano, patroci-nata dal Comune, con prefazionein catalogo dell’allora sindacoGian Pietro Borghini.Gli anni Novanta vedono ancheun Giannini che scopre e si dedicacon passione al tema del Sacro.Sono di questo periodo la grande“Deposizione”, un olio dipinto peril Centro francescano Rosetum, ilgrande “Volto di Cristo”per l’alta-re della Chiesa di CiniselloBalsamo, la “Sacra Famiglia” perla Chiesa di S. Alessandro aBarzio.E’ suo il disegno della pis-side e del calice donati al cardina-le Carlo Maria Martini per la cele-brazione della Messa di Natalenel Duomo di Milano a chiusuradell’anno giubilare.

Cecilia FornasieriUfficio Stampa e Relazioni

Esterne Galleria Magenta

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“Adì 2 febbraio 1494 allaSforzesca ritrassi scalini25 di 2/3 l’uno larghi brac-

cia 8….” nel 1494 [ MS. H,f.65v.] e più tardi nel 1506-1510 [COD. Hammer, f.32v.] lafrase che Leonardo annota neisuoi scritti, poiché, durante unrilevamento territoriale neidintorni della città diVigevano, si accorge della pre-senza nel terreno di scale chesperimenta come mezzo ditrasporto dell’acqua per l’irri-gazione ed anche come mezzodi bonifica. Infatti le scaled’acqua, trasportando unaabbondante quantità di terra,possono colmare le paludi cir-costanti e Leonardo ne capi-sce l’importanza per assolvereagli incarichi che Ludovico il

Moro gli commissiona, affin-ché si sperimentino nuovetecniche agricole.Il breve commento della cita-zione vuole sottolineare ilvalore che l’Associazione cul-turale “La città ideale – theideal town” di Vigevano, inten-de attribuire alle testimonian-ze di Leonardo legate allanostra zona nell’anno dedica-to alle acque il 2003.Un’occasione per sottolineareche l’importanza di questanostra terra accresce quandola si nomina patria territorialedegli studi di Leonardo.Sicuri che il riconoscimentodiventi unanime, ci avvaliamoanche dell’approvazione delProfessor Cianchi, esperto estudioso di Leonardo, che, in

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Leonardo:500 anni fa nel Ducato

Sforzesco, oggi nelcuore della Lomellina

visita a Vigevano il 16 maggioscorso, ha tenuto una straordi-naria conferenza sul tema:“Leonardo e le acque” ( orga-nizzata in collaborazione conl’ Associazione “Leonardo” diMortara) e durante la quale hadefinito i nostri luoghi “ leo-nardeschi”.Nella quattrocentesca splen-dida dimora storica denomi-nata “Mulino di Mora Bassa”che fu regalo di Ludovico ilMoro alla Moglie Beratriced’Este per le nozze, e che oggiè d i p r o p r i e t à d e l l ’Associazione Irrigazione EstSesia di Novara , è in corso lamostra delle “Macchine diLeonardo”, attiva dal 29 set-tembre 2002,La base reale già funzionante eoperativa di un progetto terri-toriale tematico con promo-zione e creazione di una retedi luoghi dove riconoscere leimpronte del grande genio; unitinerario leonardesco che dalMuseo di Vinci, patria nataledel grande genio, arrivi fino adAmboise, dove Leonardo hatrascorso gli ultimi anni dellasua vita.Naturalmente all’interno di

questo itinerario, Vigevano èuna tappa nuova per chi vaalla ricerca di luoghi leonarde-schi in Lombardia, dove ilgenio ha vissuto per 25 anni,lasciando tracce che riemer-gono grazie alla ricerca ed allostudio dei suoi codici e mano-scrittiLa mostra “Leonardo: Il miste-ro e le acque” svoltasi aMortara dal 27 aprile 2003 al 2giugno 2003 è stato un proget-to che ha visto impegnate ledue associazioni culturali, “Lacittà ideale” di Vigevano e“Leonardo” di Mortara, con loscopo comune di promuovereil territorio della Lomellinache conserva un enormepatrimonio artistico, culturalee di tradizioni, ma che deveessere valorizzato.

Luisella Cerri Ricercatrice storica

Per Informazioni e Prenotazionichiamare il numero 0381 693098

oppure visitare i siti:www.vigevano.org -

www.lacittaideale.org

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Può avere ancora senso,all’alba del terzo millen-nio, parlare della vita e

del lavoro dei contadini?Agli animatori del museo“Museo di Arte e Tradizionecontadina” di Olevano pare disì.Il lavoro pregevole di raccoltadi attrezzi e strumenti di lavo-ro recuperati in questi anni èstato valorizzato da unasapiente opera di divulgazio-ne. Infatti sono stati stampatilibri e diffuse videocassetteche testimoniano la scientifi-cità con cui i responsabili delmuseo hanno operato.Da una delle tante e pregevolipubblicazioni –LE STAGIONIDEL CONTADINO- abbiamoestrapolato il racconto dicome ci si preparava al Natalee lo si festeggiava, più dimezzo secolo fa, nei paesinidella campagna lomellina.La “voce narrante” è di CarloArrigone, un “ragazzo” del ’35che dimostra una memoria

eccezionale. I suoi ricordisono stati raccolti da MarcoSavini, uno studioso di tradi-zioni popolari, tanto riservatoquanto competente.Sono onorato di conoscerealcune delle persone chehanno realizzato il museo e diricambiarne l’amicizia. Li rin-grazio per l’opportunità che cihanno offerto di far conoscerequanto essi, conpassione – e non senza fatica –hanno nel tempo realizzato.

Luigi Chiesa

… Nei paesi c’era un fervore reli-gioso che oggi ormai è scompar-so, e il prete del paese invitava,prima di Natale, due predicatorie le loro prediche-commedieerano molto seguite dalla gentedella parrocchia. Uno si fingevaignorante e paesano, mentre l’al-tro faceva la parte di quello chesapeva tutto.…

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Museo di Arte eTradizione Contadina

Dopo poco tempo, giungevano lefeste natalizie, con la loro corni-ce di magia irreale.Ricordo la novena, con tanti gio-vani e ragazze, con la neve, icanti e il presepe in chiesa e lecampane che per il tempo dellanovena suonavano un motivettoscandito a martello, e ciò ci face-va vivere un’atmosfera veramen-te commovente e magica.In questo periodo venivano afare il giro per il paese gli zam-pognari. A me piacevano tanto,ma a mia madre no, perchédiceva che erano portatori dicarestia; era questa una supersti-

zione ereditata.I pastori scendevano dai monti:erano biellesi o bergamaschi.Noi ragazzi sentivamo arrivarele greggi avvertiti dai belati ecorrevamo tutti a vedere. A mepiacevano i cani dei pastori:ubbidivano in modo perfettoagli ordini secchi, quasi taglientiche erano loro imposti, riportan-do nel gruppo le pecore, le capre,o gli asini che si erano allonta-nati. I pastori avevano anchequalche asino, sempre carico diquelle poche cose che servivanoper la transumanza.Dai marsupi di tela portati dagli

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asini uscivano le testoline diagnellini appena nati, che nonsapevano ancora seguire ilgregge.

… Inutile dire che, come tutti iragazzi, anch’io aspettavo contrepidazione la mattina diNatale, per vedere cosa mi avreb-be portato Gesù Bambino. Lasera della Vigilia la mamma nonlasciava spegnere la stufa e, dopoaver messo “al scaldin” con labrace nel “pref” nel suo letto e inquello di mio fratello Luigi,rimetteva la legna nella stufa,poi andavamo come semprenella stalla.Ciò che rendeva suggestivo iltutto erano i particolari che miamadre, per riscuotere maggior-mente il mio interesse, non man-cava di curare. Per esempio: sultavolo c’era il tappeto bello,quello delle feste, con una fran-gia lunga, con la quale giocava ilgatto… almeno fino a quandonon lo si metteva fuori dallaporta.Mia madre appoggiava unasedia con lo schienale verso iltavolo e vi metteva sopra uncuscino dell’ottomana perché,mi diceva con dolcezza, GesùBambino sarebbe salito a pirdinudi sul cuscino per mettermi i

regali sopra il tavolo, e si sarebbefermato un po’ nella nostra casaperché era bella calda. Quindiera giusto tenere la stufa ardentecon altra legna.Dopo essermi estasiato a pensaree fantasticare sulla scena illu-stratami dalla mamma, entravain scena papà, che dopo avermesso tutto a posto nella stalla,rientrava in casa e mi dava unfascetto di fieno buono legatocon uno spago, perché lo mettes-si sul tavolo.Questa fascina sarebbe stato unomaggio molto gradito da Gesù,perché l’avrebbe dato al suo asi-nello, che trascinava il carrettinocon i doni per i bambini buoni.Fatto questo si andava a letto.Al mattino mi svegliavo prima;ricordo vagamente che un anno,troneggiava sul tavolo un belcavallino in cartapesta.Dopo si andava a messa; all’oradi pranzo mettevo sotto il piattodi papà la letterina preparata ascuola, con l’aiuto della maestra,recante disegni della capanna escene della Natività con unastella fatta di lustrini.Al pranzo di Natale c’era il cap-pone, gli agnolotti in brodo e perdolce la torta margherita fattadalla mamma e cotta nel fornodella stufa economica.

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Co n o s c e re i lCo n o s c e re i lproprio territorio.proprio territorio.

Con la Con la

S E R M A S E R M A é una realtà.é una realtà.

La SERMA srl MisureAmbientali é una moderna impre-sa operante nell’ambito delle“Scienze del Territorio”.

In particolare, svolge la pro-pria attività nei settori: geotopo-grafico, fotogrammetrico, cartogra-fico, ambientale.

L’esperienza pluriennaledei soci con la collaborazione deitecnici altamente specializzati econ l’ausilio di strumentazioni esoftware modernissimi, pone laSERMA tra le aziende leader delsettore fotocartografico.

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E’questo il titolo del nuovolibro edito dal CentroStudi Zeisciu con cui l’au-

tore, Il prof. Antonio Parini,propone dieci itinerari per vive-re e visitare, oltre che perapprendere e studiare, l’impor-tante valle fluviale. Il libro,infatti, permette da un lato l’ac-quisizione di un importante edapprofondito bagaglio cultura-le, e dall’altro di visitare e vivereconcretamente il fiume e la suavalle attraverso i dieci itinerariconsiderati.Dimensione nozionistica espunti concreti per la fruizionedel territorio rendono possibile

la costruzione, o definizione, diun’identità territoriale e cultu-rale e di un senso di apparte-nenza e di radicamento, da cuinon è possibile prescindere perbeneficiare della ricchezza cheil mondo globalizzato ci mette adisposizione.Identità, appartenenza e radi-camento, costruiti, anche inquesto caso, su di un dupliceversante. Da un lato attraversola dimensione ambientalisticache naturalmente traspare dallabellezza ed importanza dei luo-ghi considerati, dall’altro attra-verso la storia delle Comunitàche, con la realizzazione delle

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La Valle del Ticino,Culla di Civiltà

opere testimoniate nel libro,hanno modificato e caratteriz-zato il territorio. Ed è proprio inbase a questa duplicità chesembra corretto in quadrare iltitolo dell’opera: “La Valle delTicino” che attraverso i suoiaspetti caratterizzanti, le suericchezze e risorse, è stata una“culla” che, come bene rico-struisce l’autore, ha accompa-gnato lo sviluppo della civiltà daquella più lontana di Golasecca(VII a.C.), fino ai giorni nostricon la costituzione del Parco delTicino. Ed è questo secondoaspetto, della civiltà e delle suerealizzazioni, che ci accompa-gna per ogni itinerario “in que-sto “pellegrinaggio”…… pren-dendo come punto di partenzao di arrivo un “monumento”,un’abbazia, un castello o unborgo sui navigli”.

Anche circa la modalità con cuil’opera è articolata si può pen-sare ad una duplicità di “itinera-ri” che rispecchia e bene si con-cilia, con la duplice valenza cul-turale e per una visita sulcampo. Da un lato, infatti, biso-gna dare atto alla valenza deitesti che ricostruiscono e con-testualizzano ogni itinerario,dall’altro quella delle numerosee varie fotografie, scattate tuttedall’autore, che bene ci tra-smettono quegli “stimoli emoti-vi” in grado di farci sentire, oquasi di vivere, i luoghi rappre-sentati.Nel complesso, non si pensa disbagliare nell’affermare che illibro permette una conoscenza,o consapevolezza – che aggiun-ge alla conoscenza l’esperienzadi tipo reale e vissuto-, di carat-tere sia ampio - in relazione alla

c o p e r t u r a d itutta la valle daSento Calende aPavia oltre chealle diverse sfereconsiderate (sto-ria, architettura,n a t u r a ) - c h eapprofondito.A m p i e z z a ep r o f o n d i t àc he affondan o

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le radici in un’esperienza radi-cata anche dal punto di vistatemporale dagl’anni in cui sicostituì, ed alla cui costituzioneil nostro autore ha preso parte,il Parco del Ticino, e che per-mette di ricostruire le diverseproblematiche che riguardanoquesta realtà, dalla quantità equalità delle acque, al prolifera-re dei motoscafi, al fragile rap-porto con la realtà di Malpensae la sua crescita.Come si suol dire, “tra il dire edil fare c’è di mezzo il mare”, ed atal proposito, per conciliare gliaspetti di conoscenza edapprofondimento con la possi-bilità di visite concrete sulcampo, è stata realizzata unabreve guida pratica ai dieci iti-nerari fisicamente separata daltesto principale. In questa, rea-lizzata in carta plastificata inmodo da risultare pratica sulcampo, per ogni itinerario è

dedicata una pagina in cuidiscorsivamente se ne danno leindicazioni “topografiche”, indi-cazioni generali, parcheggi,strade, sentieri, punti di riferi-mento, ubicazione dei monu-menti ecc., una pagina di infor-mazioni utili, come gli orari diapertura per le visite, ristoranti,punti di informazione, di sog-giorno, ecc., ed una pagina conuna mappa in cui graficamentesi identifica il percorso.Non ultimo in ordine di impor-tanza vi è da riportare una fina-lità concreta che questo lavorosi propone di agevolare, ossia ilrecupero degli edifici storicipresenti nel Parco del Ticino

attraverso la devoluzione a que-sto scopo dei proventi derivatidalla pubblicazione del libro. Inparticolare sono stati identifica-t i t r e o b i e t t i v i : i l m u s e o

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Archeologico di Sesto Calende,la Parrocchia di Morimondo e laparrocchia di Bernate Ticinoche, ad avviso del nostro autore,necessita di una speciale atten-zione.Concludendo vi è da riportare, atestimonianza del valore dell’o-pera, il patrocinio dato dainumerosi enti quali la RegioneLombardia, la Provincia diMilano, Il Parco Lombardo dellaValle del Ticino, la Città diMagenta, la società TutelaAmbientale del MagentinoS.p.a. e l’Associazione “Amicidel Ticino”.

Marco Cozzi

L’opera è consultabile, oltreche acquistabile presso le principalilibrerie, presso la sede del nostroCentro Studi.

Si riportano i dieci Itinerariproposti: La Cultura di Golasecca,Santa Maria “In Binda” di Nosate, LaCanonica di Bernate Ticino, IlNaviglio Grande, La Fagiana,L’Abbazia di Morimondo, Le“Marcite”, “El Navigliett”, la CulturaContadina della “Bassa”, Il Castello diBereguardo.

Le foto rappresentano inordine: Bernate Ticino, palazzoVisconti con alle spalle la cinquecen-tesca Chiesa di San Giorgio;grand’angolo sul Ticino e la sua vallein località Tornavento; un particola-re dell’Abbazia di Morimondo; IlTicino ed i suoi “cogoli” (i grossi sassibianchi), ancora in localitàTornavento.

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