Hb block notes cooperazione smart

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breve riflessione sull'esigenza dl rilancio di un forte ed autonomo pensiero cooperativo in questa fase di profonda crisi dell'economia tradizionale e di bisogno di un nuovo modello di sviluppo più e quo e partecipato

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Uno spazio per scritti brevi, annotazio-ni non sistematiche, riflessioni aperte, provocazioni non necessariamente me-ditate.In ogni caso su block-notes possono trovare ospitalità testi e documenti con l’obiettivo di proporre piste di esplora-zione e di ricerca su personaggi e pro-blemi della comunità locale.Senza la pretesa di affrontare esausti-vamente i diversi temi di interesse, con i block-notes si intende promuovere un confronto diretto tra i protagonisti della vita politica e sociale.

Edizioni Homeless Book, Faenzahomelessbook.it

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Per una cooperazionesmart

Di fronte alla crisi di sistemadell’economia occidentale ed all’avvio

del processo di unificazione del movimento cooperativo italiano

di

Walter Williams

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“Bisogna convincersi che le cose non solo si possono cambiare, ma che la rivoluzione di cui ci facciamo portatori è una imprescindibile necessità”

Papa Francesco

“Una cooperativa isolata presto o tardi è destinata a corrompersi o a morire”

Charles Gide

“L’unica realtà che conta è la percezione che la gente ha della vostra organizzazione: vero o falso che sia, questo è l’unico punto di partenza praticabile se volete riposizionare la vostra cooperativa nella mente della gente.

… Troppe persone operanti in ambito cooperativo hanno il timore di affrontare ciò che non è stato fatto prima; vogliono essere confortati dal fatto che qualcun altro ha raggiunto la cima della montagna prima di loro. Sfortunatamente un approccio del tipo “seguiamo la guida” non ba-sta, se si vuole che ci sia un futuro per le cooperative.”

Edgar Parnell

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Premessa

È un po’ forte parlare per la cooperazione di “rivoluzione”, anche se, guardando alla nostra storia, ne abbiamo realizzate già, seppur silenziose (basterebbe pensare al processo di modernizzazione ed industrializza-zione in agricoltura ed al riscatto di una categoria storicamente debole ed emarginata come quella dei contadini, oppure alla riforma realizzata nel welfare…); è però quello spirito (come ci sollecita più in generale il papa) che oggi ci serve per non perdere l’occasione di essere protagonisti di quel cambiamento e di quelle soluzioni che servono per cominciare ad uscire (e per non ricaderci…possibilmente) da una crisi che ha travolto le strutture tradizionali dell’economia occidentale e le vecchie certezze sui modelli di sviluppo e gli strumenti per favorirlo, così come ha reso obsolete le tradizionali “ricette” per risolverla.

Non è un’aspirazione più utopica, credo, di quella che ha spinto i pa-dri cooperatori nei primi venti/trenta anni del dopoguerra a promuovere quelle iniziative che oggi sono il nostro fiore all’occhiello anche sul piano imprenditoriale.

Del resto, una conferma della tendenza a cercare soluzioni per la ripre-sa globale attraverso le cooperative è già stata fornita dall’iniziativa delle Nazioni Unite di dichiarare il 2012 come l’Anno Internazionale ONU del-le cooperative. Ed altri organismi internazionali, come la Banca Mondiale e l’FMI, avevano in precedenza riconosciuto l’importanza del ruolo della cooperazione per lo sviluppo rurale mondiale ed in campo finanziario. La novità sta nel fatto che oggi non si pensa solo alle economie dei Paesi del terzo e quarto mondo, ma anche di quelli più sviluppati.

È assodato da tempo che le cooperative riescono meglio ad affrontare le crisi, occorre ora dimostrare (e comunicare…), risultati ed esperienze alla mano, che non sono solo uno strumento congiunturale, ma che anzi possono essere imprese di successo qualunque sia il ciclo economico che

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vivono. Sono, infatti, in grado di affrontare meglio le crisi grazie al fatto che sono cresciute e si sono attrezzate nei periodi di “vacche grasse” (la vecchia storia della cicala e della formica…) e poi rappresentano un “anti-doto” agli squilibri ed alle degenerazioni indotti dalla deriva della finanza ed al capitalismo senza regole, contribuendo al processo di democratizza-zione della economia e di riequilibrio della distribuzione della ricchezza sotto ogni latitudine.

La crisi sistemica in atto del modello tradizionale dell’economia di mercato richiede riforme e proposte davvero innovative, non effimere, ma strutturali. Non può allora mancare il recupero ed il rilancio di un “pensiero forte” ed autonomo del mondo cooperativo, se si crede che ciò che occorre per il futuro è riportare al centro dei processi di sviluppo la persona umana, l’equità e la giustizia sociale.

Per il cambiamento ed il rilancio di un importante ruolo politico e “riformista”

Per l’Italia – certamente tra i Paesi più “problematici” nell’ambito di quelli sviluppati – c’è un fatto molto importante che ci dà, credo, delle buone carte da giocare, e cioè il finalmente avviato processo di unifica-zione del movimento cooperativo. Rappresenta – almeno potenzialmente – una delle notizie e delle novità più importanti di questi ultimi anni sul piano economico e su quello sociale…ma anche su quello “politico” (in senso lato) per fare le riforme che nascono dal basso e non per “decreto legge”. Sul piano dei numeri, la semplice sommatoria sia dei fatturati delle imprese associate e sia del possibile mercato interno di compravendita di beni e servizi fa della cooperazione uno dei soggetti più interessanti ed importanti del quadro nazionale, in grado di incidere significativamente

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e di orientare quel cambiamento di cui c’è così grande bisogno nel nostro Paese per ridefinire la sua struttura economica ed attrezzarlo meglio (e stabilmente) alle nuove sfide sociali ed economiche… potremmo anche dire per impostare una economia di mercato meno condizionata dalla finanza, dalla influenza dei poteri forti e dai ritardi della politica.

La cooperazione rappresenta il maggior aggregato di imprenditoria “sociale” (concetto che, peraltro deve essere adeguatamente rivisto e ri-aggiornato) di questo Paese, ma, per “ottimizzare” la sua (oggettiva) forza economica deve accelerare il processo in corso da tempo di definitivo passaggio da un insieme variegato di imprese ad un organico ed originale sistema imprenditoriale.

In proposito, siamo ancora sul piano della possibilità più che di un’ef-fettiva realtà: quel sistema integrato ed intersettoriale di cui spesso si parla come propria caratteristica (e che in genere viene accreditato dai mass media e dall’opinione pubblica) è in gran parte ancora da costruire. E so-prattutto richiede – da parte delle principali “componenti” storiche del movimento cooperativo italiano – un notevole e capillare impegno cultu-rale, politico ed organizzativo in termini di costruzione e condivisione di un unitario progetto strategico di ampio respiro e di un sistema di regole basato sull’attenzione al bene comune del movimento cooperativo italia-no nel suo complesso, piuttosto che su quello individuale delle singole aziende o componenti … perché questo “bene comune” non è la semplice sommatoria degli interessi di questi ultimi.

Ci sono sicuramente da valorizzare ancora ampi spazi di razionaliz-zazione e di integrazione all’interno della cooperazione organizzata, ma occorre un consenso espresso dal basso, che sarà possibile maturare e dif-fondere solo se si condividerà, appunto, un progetto politico-culturale ed un’unitaria idea di sviluppo economico e sociale della cooperazione, coe-renti con il disegno di affermazione e diffusione di alcuni valori e principi da ricercare, selezionare condividere e declinare.

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Non si può, quindi, prescindere – oggi – dalla ridefinizione comples-siva della strategia di promozione e sviluppo della cooperazione italiana, in gioco non c’è solo o tanto un maggior potere politico, economico e di rappresentanza di interessi, quanto piuttosto l’effettiva possibilità di es-sere uno dei principali soggetti aggregati di un nuovo progetto globale riformista in grado di incidere sulla qualità (e non solo sulla dimensio-ne) di uno sviluppo da ritrovare ed alimentare, nel quadro europeo ed in quello mondiale.

Diversamente, c’è il rischio che il processo di unificazione del movi-mento cooperativo si riduca ad un semplice restyling politico-sindacale ed organizzativo ed al riposizionamento e selezione dei poteri forti (…più o meno corporativi) al suo interno - con conseguenti arroccamen-ti in difesa delle singole realtà territoriali e settoriali - risultando così e trasmettendo l’immagine di una semplice operazione di facciata senza alcuna contributo reale al cambiamento per questo Paese ed al “salto di qualità” del ruolo e delle funzioni della cooperazione per il suo rilancio.

È possibile che le mire egemoniche (reali, temute o comunque vissute come tali) di questo o quel gruppo di cooperative o settore o area geogra-fica siano tra gli ostacoli con i quali maggiormente ci si deve confrontare per avviare (ed accelerare!) il processo di unificazione del movimento cooperativo italiano e che esse generino diffidenze reciproche davanti ad ogni scelta o proposta (di riorganizzazione, integrazione e sviluppo), non per niente si viene da decenni di contrapposizioni ideologiche culturali e politiche e forse anche nel modo “tattico” di concepire la funzione del modello cooperativo ed il ruolo da esercitare come e con quale coopera-zione nel Paese.

Due mi sembrano allora le strade più immediatamente percorribili per “testare sul terreno” un lavoro ed un’azione fatti di collaborazione, inte-

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grazione e amalgama: costruire un programma di armonizzazione cultu-rale (che non significa ovviamente mettere in soffitta le originarie diverse identità) e di promozione di nuova cooperazione e puntare ad alcuni progetti strategici (sul piano imprenditoriale e non solo sociale) per nuovi obiettivi ed aree di intervento, che richiedano apporti ed esperienze di più settori e non vadano, quindi, ancora ad intaccare i tradizionali campi di intervento ed i consolidati “pascoli” delle imprese e dei comparti più consolidati nell’una o nell’altra organizzazione.

Sul primo piano, occorre diffondere la consapevolezza della centralità della sfida culturale e quindi valoriale che deve essere alla base del pro-cesso di unificazione del movimento cooperativo italiano per la coope-razione anche, se non prima di tutto, per il suo successo e nei tempi più accelerati possibili.

La ricerca del “massimo comune denominatore (che deve diventare, forzando la matematica, anche il “massimo comune moltiplicatore”…) parte, a mio avviso, dall’opportunità sopra ricordata di rilanciare un “pen-siero forte” autonomo della cooperazione sulla sociètà e sull’economia.

In proposito, ciò che serve in “primis” è un impegno diretto degli uo-mini della cooperazione anche sul piano di una riflessione ed elabora-zione che non possono essere semplicemente ed acriticamente delegate alla ricerca accademica ed all’università, che rischiano di essere troppo distaccate, asettiche e “teoriche”. Queste ultime, oltretutto, finora non pa-iono avere colto la centralità della dimensione del movimento e quindi i risvolti “politici” (nel senso più ampio e migliore del termine) dell’agire cooperativo (riformista e per la democrazia economica) e/o nella costru-zione, dimensione e caratterizzazione del “sistema di imprese”.

In questa riflessione comune non si parte da zero, già una dozzina d’anni fa un gruppo di lavoro paritetico, composto da componenti di Confcooperative e Legacoop designati dalle rispettive segreterie generali,

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si confrontò sui principi della cooperazione e sulle esperienze interne di approfondimento dei patti associativi per tentare una prima stesura di una “Carta dei Valori” comune per le due Organizzazioni. Il progetto era quello di arrivare alla stesura di un comune codice di autoregolamenta-zione delle cooperative. Il progetto fu poi interrotto, ma almeno i risultati del lavoro comune svolto furono pubblicati in un volume, “Il libro del buon governo” edito da Elabora (2001).

La questione (ed anche l’opportunità) diventa, però, ben più ampia e complessa se le domande da porsi riguardano anche il “cosa fare” per un’Italia ed un’Europa più “cooperative” e, quindi, per essere ancora più protagonisti nel portare l’economia del Paese fuori dal baratro verso un futuro che deve essere pensato e realizzato.

Si tratta di dare un senso ed una direzione (chiari e precisi anche sul piano della qualità) ad un nuovo, comune disegno di sviluppo, che è eco-nomico-sociale, ma anche politico, e di promuovere e raccogliere consen-so e speranza su di esso. E quella dimensione non appartiene all’azione delle singole imprese cooperative (se non indirettamente…), ma a quello del movimento, questo disegno richiede, infatti, un’adeguata “regia”.

Ed in proposito c’è un ulteriore elemento da tenere in considerazione: è il necessario coinvolgimento - contemporaneo o successivo a seconda delle difficoltà che si incontreranno sul piano della maturazione/condi-visione di una comune visione strategica del ruolo della cooperazione nell’economia globalizzata – del movimento cooperativo a livello interna-zionale, a cominciare da quello degli altri Paesi della Comunità europea.

È certamente una responsabilità in più, perché uno specifico “pensiero/progetto” cooperativo solo “italiano” nascerebbe già “zoppo” e indebolito sul piano delle possibilità operative, mentre uno degli scenari principali di azione sarà quello internazionale e quindi di un sistema cooperativo che si ponga l’obiettivo del suo dimensionamento “multinazionale” nel

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senso etimologico (e quindi più corretto) del termine e non certo come realizzato dalle grandi imprese di capitali.

Inoltre, la cooperazione italiana dovrà essere in grado di esercitare an-che un ruolo di stimolo nei confronti del resto del movimento coopera-tivo europeo e degli altri Paesi occidentali , che - specie il primo - appare spesso ancora bloccato da visioni nazionali che in realtà molto spesso sono solo settoriali…se non corporative. L’impressione è che resti diffusa in maniera insufficiente una condivisa visione di insieme “internaziona-le” della cooperazione sulle strategie di sviluppo e di integrazione intese come opportunità, ma anche come precise responsabilità vista la propria funzione sociale. A quest’ultima non si può abdicare senza perdere la pro-pria identità costitutiva che non ammette egoismi di sorta, né aziendali, né settoriali e nemmeno nazionali.

Certo il compito non sarà facile, quantomeno con riferimento ai part-ner europei, perché manca un forte background politico-culturale condi-viso (nel senso migliore del termine) e per lungo tempo (e forse ancora oggi…) c’è stata molta diffidenza all’estero per le “contaminazioni” con la dimensione politico-partitica che hanno caratterizzato l’esperienza ita-liana.

A fronte di ciò, però, l’emergenza sembra, piuttosto, avere spinto a con-centrare esclusivamente l’attenzione, il tempo e l’impegno mentale dei cooperatori italiani sui problemi immediati e le grandi urgenze pratiche, peraltro ineludibili. E resta il rischio di “navigare un po’ a vista”. Eppure, non si può dimenticare che si è alla vigilia di scelte epocali destinate a cambiare radicalmente le prospettive del nostro Paese e della cooperazio-ne al suo interno e rispetto alle quali (scelte) non si può restare semplici spettatori o comprimari nella ricerca ed applicazioni delle soluzioni alla crisi, anche per rispetto a quel ruolo politico e riformista faticosamente

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rivendicato ed almeno in parte conquistato. Sorge, allora, spontanea una domanda: c’è una sufficientemente diffu-

sa convinzione che oggi ci siano le condizioni interne ed esterne perché questo ruolo (della cooperazione) possa trovare ampio spazio di verifica positiva e più diffuso riconoscimento rispetto ai tradizionali strumenti di politica industriale e per lo sviluppo ed al ruolo degli altri tipi di imprese?

Ed ancora, quanta consapevolezza c’è – a livello di classe dirigen-te aziendale e politico-sindacale - della centralità della sfida culturale e quindi valoriale che deve essere alla base dell’avviato processo di unifica-zione del movimento cooperativo italiano anche, se non prima di tutto, per il suo successo e nei tempi più accelerati possibili?

Allargando gli orizzonti, é legittimo e ben argomentabile pensare che la cooperazione da riferimento strumentale (quasi “una ruota di scorta” per la soluzioni di problemi contingenti o comunque come strumento con-giunturale) possa divenire una grande occasione di cambiamento per i sistemi-Paese? E, conseguentemente, potrà rappresentare uno dei “perni” su cui investire nell’interesse generale e per il bene comune al fine di di-segnare un modello nuovo di sviluppo nell’economia di mercato, valido o almeno adattabile sotto ogni latitudine?

Se la risposta è positiva, o almeno “possibilista”, certamente servirebbe l’accelerazione di un cambiamento di passo e di prospettiva anche nel-la percezione (interna ed esterna), e cioè di analisi e di valutazione, del ruolo e della funzione del modello cooperativo. E ciò dovrebbe essere sia specifico per singola sua tipologia e sia generale come formula im-prenditoriale e associativa. Ed accanto a ciò servirebbe anche un’adeguata “ristrutturazione-riorganizzazione” concettuale (dall’idea di eguaglianza a quella di solidarietà, di merito, di responsabilità, di crescita morale, di mutualità esterna, di movimento cooperativo, di autogestione, di demo-crazia economica, di profitto, di competizione, di efficienza etc.), alla quale, comunque, non ci si potrà sottrarre prima o poi, se alla coope-

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razione si guarda non solo per quella che potrebbe essere, ma anche per quella che è (…o viceversa?), sulla base delle dinamiche interne e delle profonde trasformazioni che si sono registrate al suo interno soprattutto in questi ultimi venti anni.

Nuovi progetti

Sul secondo piano precedentemente indicato, quello dei progetti (ten-denzialmente intersettoriali) per le imprese cooperative, prima di scen-dere effettivamente nell’agone del mercato, c’è ancora il tempo e lo spazio per verificare questa volontà di integrazione e collaborazione tra le com-ponenti del riunificato movimento cooperativo. Si può partire dall’indivi-duazione delle possibili aree di intervento sperimentale, ma di potenziale grande interesse in termini di sviluppo su temi “forti” in grado di caratte-rizzare anche sul piano della comunicazione e dell’immagine la specifica funzione “sociale” della cooperazione, pur avendo essi una indiscutibile valenza economica . In questi casi l’attività di studio e ricerca avrebbe l’obiettivo di approfondirne la fattibilità con indagini sul campo e racco-gliendo e rielaborando dati ed informazioni di vario genere all’interno ed all’esterno del movimento cooperativo (…e non solo quello nazionale).

In proposito, in primo luogo, si deve, a mio avviso, operare in manie-ra più decisa e consapevole a livello internazionale (oltre la Comunità Europea e l’Europa stessa), sia perché a quel livello è più facile inoltrarci nel “nuovo” per quanto riguarda l’azione unitaria della cooperazione ita-liana (senza inciampare troppo in poteri e leadership già consolidati..) e sia perché una delle nuove frontiere da valicare sul piano del sistema di imprese e della propria funzione sociale è quella della globalizzazione, che richiede anche il coinvolgimento delle varie organizzazioni nazio-nali (a cominciare dai partner europei!) della cooperazione, esportando

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il nostro modello di movimento (che resta il più evoluto in termini di intersettorialità, aggregazione ed integrazione) e promuovendo nuove partnership per comuni obiettivi di sviluppo.

Inoltre, è nella dimensione internazionale che si giocheranno le nuove grandi sfide sia sul piano imprenditoriale e sia su quello sociale e non c’è ancora una cultura di sistema in ambito cooperativo che superi i confini nazionali, nonostante la globalizzazione in atto. E sarà a quel livello che la cooperazione dovrà cominciare a giocare la sfida della sua diversità in-trinseca come modello d’impresa e per la sua funzione originale in termi-ni di costruzione del bene comune e di democratizzazione dell’economia.

Agro-alimentare, grande distribuzione e credito, andando ben oltre le singole e separate iniziative promosse finora, appaiono essere i settori più maturi per promuovere progetti integrati di cooperazione trans/interna-zionale per contribuire a riequilibrare i processi locali di sviluppo, com-battere lo sfruttamento e le diseguaglianze, accelerare i processi di riscatto morale, sociale ed economico di categorie e comunità deboli. Un caso da manuale e di grande valenza strategica potrebbe essere rappresentato dallo zucchero.

Sul piano interno, tra le grandi emergenze mai risolte del tutto del Pae-se, per quella della casa la cooperazione può essere protagonista per inno-vazione e opportunità di integrazione ed evoluzione di scopo tra differen-ti forme cooperative in un campo fondamentale come l’housing sociale.

Quest’ultimo nel nostro Paese manca di un quadro chiaro e definito di riconoscimento e regolamentazione giuridica, istituzionale, operativa e di rappresentanza “sindacale” riconosciuta. Qui l’integrazione inter-coo-perativa è richiesta anche dai limiti nomativi e di specifiche competenze tecnico-professionali e know-how disponibili che sia le cooperative di abitazione e sia quelle sociali hanno di fronte per poter efficacemente e diffusamente intervenire per affrontare una problematica così comples-sa e “pluriforme” come quella più generale dell’abitare e della coesione

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sociale che coinvolge necessariamente qualsivoglia politica di housing sociale.

Il tema della casa richiama quello più generale della accoglienza ed integrazione degli immigrati nel nostro Paese, altra “frontiera” finora affrontata singolarmente ed in qualche area territoriale e con i limiti di funzionalità delle singole tipologie cooperative (di lavoro, di utenza, di servizi, sociale). Serve, invece, per la costruzione del bene comune (ed è alla portata forse solo della cooperazione, ovviamente assieme al “pub-blico” ed al volontariato), un integrato progetto nazionale di riferimen-to che colga tutti gli aspetti del processo di inserimento stabile sociale e lavorativo dell’immigrato ed accompagni la persona e la famiglia in ogni sua tappa: dall’accesso al lavoro, alla casa ed agli altri beni e servizi fondamentali, alla formazione culturale e civica, alla tutela delle singole tradizioni culturali, all’assimilazione del sistema di regole condivise della convivenza civile e dei diritti individuali da rispettare etc.

Sullo sfondo resta, infine, il grande tema dei livelli di qualità della vita e del benessere (materiale ed immateriale) assicurabili o accessibili ai singoli, ai gruppi, alle comunità locali, che richiamano conseguenti stili comportamentali e relazionali.

Che si parli di cultura alimentare, di consumo responsabile, di salva-guardia dell’ambiente, di uso responsabile delle sue risorse (a cominciare da quelle energetiche), di solidarietà con i più deboli, di sussidiarietà, di coesione sociale, di autogestione dei bisogni etc. non c’è dubbio che si possa indicare non una ma svariate esperienze cooperative. Ma, in propo-sito, il movimento cooperativo in quanto tale sarà prima o poi in grado di parlare con una voce ed una lingua sola…e di esprimere un solo pensiero ( che non è il “pensiero unico”…), nonché di promuovere un unico mar-chio nazionale di qualità cooperativa dei beni e servizi?

Ed a proposito di tipologie cooperative da aggiornare o reinventare, di fronte a bisogni che cambiano e diventano più complessi ed a comunità

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che intendono tutelare la propria autonomia nell’epoca della globaliz-zazione, una delle nuove frontiere della promozione e sperimentazione cooperativa su larga scala non potrebbe diventare quella della pluralità mutualistica interna (utenza, lavoro, servizi etc.) ben oltre l’esperienza della cooperazione sociale?

Considerazioni finali

Come la storia ampiamente documenta, tutti i processi di trasforma-zione socio-economica sono destinati a fallire se essi non vengono so-stenuti ed alimentati da un intenso e coordinato sforzo di elaborazione a livello culturale.

La cooperazione, che è essenzialmente storia di un movimento sociale ed economico di carattere popolare, ha necessità di una forte ed estesa azione di recupero e di salvaguardia della sua memoria storica per riat-tualizzare i suoi fondamenti di mutualità e di solidarietà, ma anche per rileggere e verificare quelle scelte strategiche nei rapporti tra le coopera-tive e la propria associazione (territoriale e/o federale) che restano valide nel tempo e rappresentano un elemento di continuità dell’evoluzione a sistema del fenomeno cooperativo. E può altresì recuperare e valorizzare esperienze di grande valore ed interesse che certamente andranno ana-lizzate alla luce della realtà odierna, ma che almeno hanno lasciato utili insegnamenti validi in ogni tempo e significative sperimentazioni.

Cambiano, almeno in parte, i problemi ed il contesto di riferimento, ma non le caratteristiche delle risposte date dalla cooperazione, sempre basate sul metodo partecipativo e mutualistico, quando non solidaristico, della rete, dell’inclusione almeno tendenziale, della responsabilizzazione, della ricerca del consenso dal basso, dell’autogestione, etc.

L’accento così cade su di un suo aspetto che viene prima del suo statuto

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come impresa e di cui si è dimostrata la percorribilità nel mercato e di fronte alla concorrenza in tanti settori e comparti di attività: esso indica il carattere umano, di libera associazione di uomini che ha fatto e continua a fare della cooperazione un’esperienza umana completa, non limitata alla soddisfazione di bisogni economici o materiali.

Il punto di partenza della riflessione interna dovrebbe essere la verifica del rispetto della coerenza nei confronti della propria identità distintiva, che comunque va aggiornata e riscontrata nella sua declinazione concreta e pratica.

Quello che serve è una reale rivisitazione e ri-attualizzazione dei prin-cipi originari e degli elementi fondamentali che hanno determinato il successo dell’invenzione originaria, fatte con la consapevolezza che, se per ogni impresa l’orientamento strategico di fondo è certamente il por-tato della sua storia, l’importanza delle origini - un vero e proprio im-printing (marchio) – è ancora più evidente nel caso delle cooperative. La loro nascita ha dato risposta a precise esigenze, in parte storiche e quin-di datate ed in parte declinabili diversamente a seconda dell’epoca, del contesto e delle sue evoluzioni, e questo è lo spartiacque da trovare e da non sacrificare per farne una solida base di cambiamento, partendo dalla riscoperta delle ragioni dei successi (non temporanei od episodici) della formula cooperativa.

Detto questo, per l’elaborazione di un “pensiero forte” della coopera-zione occorre innanzitutto superare eventuali nostalgie da “terza via” (tra capitalismo e collettivismo) per concentrarsi sulle possibilità di azione specifica all’ìnterno dell’economia di mercato, come soggetto in grado di “umanizzarla” e di diffondere democrazia, autogestione e protagonismo di tutte le categorie sociali e riequilibrio nella creazione e redistribuzione della ricchezza.

È poi fondamentale entrare a pieno diritto nel dibattito politico ed eco-

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nomico in corso ai vari livelli (teorico, dottrinale, culturale e di ricerca e definizione degli strumenti e delle scelte operativi) per l’individuazione delle diagnosi e delle soluzioni macro e micro alla grave crisi mondiale in atto, la più grave dall’ultimo dopoguerra e quella che ha generato i più pesanti interrogativi sul futuro dello sviluppo e sui suoi modelli tradizio-nali, nonché sui costi sociali umani che si porta dietro e sull’incertezza esistenziale che sta diffondendo in tanti parti del mondo, ivi compreso quello cd “sviluppato”

Da una parte, ciò è fondamentale per poter esprimere e divulgare le proprie analisi e proposte di soluzione e, dall’altra, lo è per sviluppare un più diretto e costante rapporto con la scienza economica, giustamente criticata di essere poco utile se poi non si occupa dei problemi delle per-sone e della società e se non aiuta a migliorare le condizioni e gli stili di vita.

Secondo l’economista Stefano Zamagni (2005) occorre “comprendere quanto importante sia la riflessione teorica per un tale ambito di attività economica (le cooperative NdR). Molti errori di strategia e parecchi in-successi il movimento cooperativo avrebbe evitato se avesse potuto con-tare su un robusto corpus di conoscenze in ambito teorico-economico”.

La costruzione di un pensiero forte autonomo e distintivo del movi-mento cooperativo deve, allora, trovare innanzitutto i suoi caposaldi:

• sia in caratteristiche che vengano sempre più apprezzate dal mer-cato/mercati e dalla collettività (e riconosciute anche dalla dottri-na come di interesse generale), o che comunque hanno contribui-to a forgiare la sua competitività;

• sia nella capacità di risposta o soluzione a problemi e conseguenze negative prodotte dall’economia capitalistica tradizionale e causa o effetto della grave crisi epocale sopraggiunta;

• sia in fattori e dati che possono contribuire a dare senso, contenuti

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e “anticorpi” (per non ricadere negli errori recenti o almeno per ridurre il rischio in proposito!) di fronte a eventuali nuove crisi dell’economia.

Dovrebbe essere chiara la scelta di campo della cooperazione nella “querelle” (peraltro storica…) che contrappone progressisti e liberal, da una parte, a conservatori e “liberisti”, dall’altra, e sulle diverse concezioni della promozione dello sviluppo, anche in termini di intervento pubblico in economia.

Può apparire paradossale di fronte alla grande domanda di cambia-mento che emerge ad ogni livello nella società e nell’economia, ma, se ci pensiamo bene, mutatis mutandis, si stanno riproponendo problemi situazioni e scenari che sono stati all’origine della scelta e dello sviluppo della cooperazione, nata per combattere diseguaglianze emarginazioni, disoccupazione e difficoltà di accesso al mercato, sia all’interno degli stes-si Paesi e sia tra Nord-Sud e Ovest-Est del mondo.

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Avete idee e proposte per iBlock-Notes?

Tutti coloro che intendono proporre testi, documenti, interviste a perso-naggi della comunità locale da desti-nare ai Block-notes, possono farlo in piena libertà. Saranno ben accetti.

Potrete inviare i testi via e-mail a que-sto indirizzo di posta elettronica:

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