Harry Potter 8

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1 CAPITOLO 19 TROVA TU IL TITOLO AL 19° CAPITOLO! Appena terminata la lettura vai nel forum e posta il tuo titolo “ideale” per questo capitolo, il titolo più gradito sarà usato per la pubblicazione ufficiale! Q uindi, secondo te, dovrei chiudermi nello stanzino delle scope e non uscirne più?» chiese Harry stizzito. Hermione gli lanciò un’occhiataccia. «Quando vuoi sai essere davvero stupido, Harry». «Lo dico da sempre, io! Ma nessuno mi ascolta …» sdrammatizzò Ron, allentando così la tensio- ne che si era creata in sala comune. Da qualche giorno, ormai, stavano tentan- do di venire a capo dell’increscioso problema di cui Harry si era reso conto durante il duello. «Non so come ti sia venuta in mente quella sce- netta durante l’esercitazione con Willis, ma per fortuna te la sei cavata. La prossima volta potreb- be non andarti così bene però» rincarò Hermione, che insisteva con questa faccenda. «

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Capitolo 19

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CAPITOLO 19

TROVA TU IL TITOLO AL 19° CAPITOLO!

Appena terminata la lettura vai nel forum e posta il tuo titolo “ideale” per questo capitolo, il titolo più gradito sarà

usato per la pubblicazione ufficiale!

Quindi, secondo te, dovrei chiudermi nello stanzino delle scope e non uscirne più?» chiese Harry stizzito.

Hermione gli lanciò un’occhiataccia. «Quando vuoi sai essere davvero stupido, Harry».

«Lo dico da sempre, io! Ma nessuno mi ascolta …» sdrammatizzò Ron, allentando così la tensio-ne che si era creata in sala comune.

Da qualche giorno, ormai, stavano tentan-do di venire a capo dell’increscioso problema di cui Harry si era reso conto durante il duello. «Non so come ti sia venuta in mente quella sce-netta durante l’esercitazione con Willis, ma per fortuna te la sei cavata. La prossima volta potreb-be non andarti così bene però» rincarò Hermione, che insisteva con questa faccenda.

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Harry non voleva ammetterlo, ma non poteva darle torto dato che non riusciva a risolvere il pro-blema.

«Hermione ha ragione, Harry» disse Ginny scambiando uno sguardo d’intesa con la ragazza.

«Dovremmo pensare ad una soluzione. Non possiamo permettere che la fedeltà della Bacchet-ta di Sambuco passi ad altri. Purtroppo, metterla in un posto sicuro non basta» continuò, cercando di far ragionare il ragazzo.

Harry guardò Ginny e tirò un lungo sospiro.«Lo so. Chiunque potrebbe sfilarmi la bacchet-

ta di mano e diventarne il nuovo padrone. Tutto quello che sta accadendo quest’anno è dovuto a quella maledetta bacchetta e sono stufo di tutto questo. Perciò scusatemi se scarico la tensione su di voi, ma non riesco a venirne a capo» recitò tut-to d’un fiato il ragazzo, passandosi una mano tra i capelli già scompigliati, quasi a volersi liberare di un peso.

In sala comune calò il silenzio. Era molto tardi e la sala era vuota, ad eccezione dei quattro amici seduti davanti al camino. Vicino a loro qualche piuma autoinchiostrante continuava imperterrita a fare il suo lavoro, imbrattando tutte le superfici che le capitavano a tiro.

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Restarono immersi ognuno nei propri pensieri, alla ricerca di possibili soluzioni, fino a quando Ron interruppe il silenzio.

«Non credete sia meglio procedere un passo per volta?».

Gli altri lo guardarono interrogativi. «Cioè… abbiamo già quelle parole strambe

dette dal cappellaccio su cui lambiccarci, giusto?» spiegò il ragazzo impacciato. «Cominciamo col risolvere quello, poi penseremo alla Bacchetta. Non mi pare tu abbia duelli in programma, no?» concluse rivolgendosi a Harry.

Conscio che il problema andasse ben oltre il pericolo di un semplice duello, Harry guardò l’a-mico con fare rassegnato. In fondo aveva ragione: la partenza di Willis di quella mattina era stato un vero colpo di fortuna che Ron aveva giustamente commentato dicendo : «Una gran botta di…» e terminando la frase con un eloquente gesto del-le mani. Il professore infatti era dovuto partire in fretta e furia per l’America, rimandando così gli addestramenti che sarebbero dovuti comincia-re proprio quel giorno.

«Per una volta do ragione a Ron» disse Her-mione guardando Harry.

Ron mimò un’importante vittoria, gonfiando

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il petto e i muscoli delle braccia e beccandosi un meritato ceffone dietro la nuca dalla sorella.

«Ora andiamo a letto, domani penseremo alla faccenda del cilindro. Magari riusciremo a cavare qualcosa di utile dalle sue parole» continuò Her-mione pratica.

Harry annuì e, salutate le ragazze, si avviò ver-so il dormitorio con Ron.

*

Il mattino dopo fu svegliato di buon’ora da Hermione, che lo trascinò giù dal letto e lo portò in un’aula vuota.

«Allora Harry, hai capito cosa devi fare?».«Sì... credo di sì!».«Credi? Come credi? Anche se voi maschi sot-

tovalutate questo organo credo che ti servirà an-cora in futuro, quindi devi essere sicuro di quello che stai facendo!».

Una goccia di sudore freddo si formò sulla fronte del ragazzo e, seguendo la linea della cica-trice, scese rigandogli il volto.

«Devi solo rimanere concentrato sul ricordo... il resto dovrebbe venire facile».

«Dovrebbe... così non mi aiuti Hermione» con-

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tinuò il ragazzo. «Tra l’altro devo anche sbrigar-mi, devo andare da Andromeda».

Hermione si alzò dalla sedia di fronte a lui, gli camminò intorno portandosi alle sue spalle e

gli raccomandò: «Concentrati! A Teddy pense-rai dopo!».

Poi posò una piccola ampolla di vetro sul tavo-lo e uscì dalla stanza lasciandolo solo.

Harry prese coraggio, afferrò sicuro la sua bac-chetta portandola alla tempia per estrarre il ricor-do.

...Willis entrava nella stanza...No, non da qui.... il cilindro piroettava su se stesso...Ancora un po’....Harry che entrava nell’ufficio del professo-

re...Ecco, era arrivato al punto giusto.Pronunciò l’incantesimo che Hermione gli

aveva pazientemente insegnato e subito sentì il flusso di pensieri che cominciava ad uscire. Al-lontanò lentamente la punta della bacchetta dalla testa percependo la resistenza che il filamento ar-gentato opponeva ai suoi movimenti; ma, con più naturalezza di quanto si sarebbe aspettato, tutto il fluido fuoriuscì con facilità. Lo guidò con la bac-

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chetta verso la boccetta di vetro e lo calò al suo interno.

A quanto pareva, aveva ancora tutte le sue fa-coltà intellettive intatte.

Si asciugò la fronte e si alzò in piedi. Raccolse l’ampolla e la portò ad Hermione che lo attendeva nella stanza accanto.

«Ecco qua!» disse sorridendo mostrando il li-quido argentato che si muoveva nella boccetta di vetro.

«È andato tutto bene?».«Certo! Non sono neppure diventato cieco!».«Idiota! Lo vedi che non era poi così diffici-

le?».«A parte gli scherzi, hai ragione. È stato più fa-

cile di quanto credessi e, se non fosse sufficiente, credo che potrei fare il bis!».

«Ora vado ad analizzare il ricordo, ci vediamo a pranzo» lo salutò Hermione. «Buon viaggio, sa-lutami Andromeda».

Harry la osservò sparire oltre la porta, poi si avvolse bene nel mantello pesante e uscì dal Ca-stello.

In quanto studente del settimo anno poteva la-sciare la scuola per qualche ora quando non c’e-ra lezione, dando comunque comunicazione alla

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Preside. Si incamminò verso Hogsmeade e, appe-na possibile, si smaterializzò.

Nonostante fosse solo fine novembre, la neve imbiancava i tetti e le strade ed il precoce freddo invernale faceva rimanere tutti chiusi nelle loro case. Era anche domenica mattina e sicuramente molti dormivano ancora; Harry ricordava perfet-tamente la burrascosa caduta avvenuta nei pressi di casa Tonks, nella palude. Tuttavia, quando si materializzò, si trovò di fronte ad un paesaggio uniformemente bianco che gli rese difficile rico-noscere la casupola arroccata nelle campagne lon-tane dalla cittadina.

Si guardò intorno, spaesato, temendo di essersi materializzato più in là del dovuto e si addentrò perplesso in un giardino, coperto da una spessa coltre di neve.

Affondando con gli stivali, si avviò verso la porta, titubante; poi vide che poco più in là era poggiato un piccolo slittino colorato e Harry fu certo che il pupazzo di neve gli avesse fatto l’oc-chiolino. Sorrise: ora era sicuro di trovarsi nella casa giusta.

La porta della villetta si aprì e Andromeda lo salutò affettuosamente mentre il piccolo Teddy giocava con le ciocche dei capelli di sua nonna.

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Quando si accorse di lui, i suoi capelli divennero rosso fuoco e si nascose tra il viso e la spalla di Andromeda.

«Harry, prego accomodati. Sono conten-ta che tu sia riuscito a raggiungermi così pre-sto, lo so che ti ho avvertito solo all’ultimo». «Nessun problema, spero solo che non si tratti di nulla di grave».

«No, no, non preoccuparti. Solo una piccola formalità da sbrigare».

Harry si fece avanti e seguì la signora Tonks nel salotto, verso un sofà cremisi davanti a due piccoli tavolini delicati.

Sedendosi sul divano, Harry osservò il suo fi-glioccio che, passato l’iniziale imbarazzo, comin-ciava a fissarlo a sua volta, con curiosità. Si rese conto che anche il piccolo, come era accaduto a lui, era destinato a non conoscere i propri genitori se non nei racconti di chi era stato loro amico o nella propria immagine riflessa nello specchio.

«Come stai caro? E’ da un po’ che non ti vedo! Ti posso offrire un tè con qualche biscotto?» disse Andromeda.

«Più o meno bene, grazie! Accetto volentieri: fuori si gela e poi non ho fatto colazione stamatti-na» disse lui.

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Con un colpo di bacchetta apparvero dal nulla una teiera con due tazze e un piatto di biscotti.

«La scuola come procede?» gli chiese lei gen-tilmente, girando il cucchiaino nella tazza. «Ho letto qualcosa sulla Gazzetta del Profeta, ma or-mai mi fido ben poco di quel giornale».

«Bene, è sempre Hogwarts. Americani a parte» spiegò Harry staccando lo sguardo dal bambino e guardandosi attorno; tutto era come se lo ricor-dava, dalla sua visita di un anno prima nulla era cambiato in quella stanza. Da quando la guerra era finita non aveva mai avuto modo di parlare da solo con Andromeda di tutto quello che era successo nel frattempo, ma soprattutto del futuro di Teddy. Fu proprio lei a toglierlo dall’imbarazzo.

«Sono davvero contenta che tu sia qui, Harry» ripeté questa volta con più fervore. «Era da tempo che temevo - e desideravo - di poter discutere con te di alcune cose...».

Si interruppe a disagio, stringendo poco più forte Teddy a sé.

«Dimmi pure...» rispose Harry ansioso di co-noscere il motivo per cui l’aveva invitato, osser-vando con attenzione quello che faceva il bambi-no.

«Vorresti tenerlo un po’ in braccio?»

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Harry annuì e tese le braccia. Non sapeva mol-to bene come tenerlo, ma lo afferrò saldamente come aveva visto fare ad Andromeda e lo fece se-dere sulle sue ginocchia.

«Ma... è cresciuto davvero tanto dall’ultima volta».

Il bambino per tutta risposta cercò di afferrare gli occhiali di Harry. Lui rise e si fece torturare da Teddy lasciando che tutte le preoccupazioni che gravavano su di lui si allontanassero per un istan-te.

«Harry... Teddy è tutto ciò che è rimasto della mia e della tua famiglia...».

Lui guardò con attenzione Andromeda, e lei ri-prese a parlare.

«... Remus e Dora hanno scelto te come suo pa-drino ma...» continuò con una strana espressione incerta.

Harry si bloccò imbarazzato.«Andromeda, aspetta!» disse subito, ipotizzan-

do quello che lei volesse dirgli. «Io sono il suo padrino ma tu sei sua nonna. Io

non ho neanche vent’anni, né la più pallida idea di come crescere un bambino. Sei tu che devi oc-cuparti di lui... ma non devi credere che a me non interessi! Io vorrò sapere sempre tutto di lui, e

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contribuire alla sua educazione, a tutte le sue spe-se, e stai certa che in qualunque momento tu o lui doveste aver bisogno, io ci sarò!» disse, con tutta la sicurezza che riusciva a mettere nella sua voce.

«Harry, stai tranquillo! Non dubito certo di te e del tuo affetto! Il punto è che... serve la Cerimonia di Attribuzione per rendere ufficiale il tuo legame con Teddy».

Harry cadde dalle nuvole. «Io pensavo di esse-re già il padrino di Teddy, che vuol dire che ci sarà una cerimonia?».

«Funziona così, Harry» spiegò lei, «non basta che i genitori del bambino ti nominino padrino perché la cosa sia valida. C’è una vera e propria cerimonia e di solito si svolge il giorno dell’equi-nozio di Primavera. Pensavo di parlartene prima, ma quando ho saputo che saresti tornato a scuola, ho immaginato che avresti avuto altro a cui pen-sare. Poi però mi sono resa conto che il tempo è passato velocemente». Adesso Harry le leggeva negli occhi un po’ di preoccupazione. «Insomma, se dovesse capitarmi qualcosa... voglio che tutto sia a posto. Mi capisci, no?».

«Che succede Andromeda? Così mi fai preoc-cupare» chiese Harry.

«Niente di particolare, Harry. Solo che voglio

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essere sicura che nel futuro di Teddy ci sia sempre qualcuno che si occupi di lui» rispose la donna cercando di tranquillizzarlo.

«Andromeda...» riprese Harry iniziando a fis-sarsi i piedi e maledicendosi di non essere come Hermione che sapeva sempre qual era la cosa giu-sta da dire.

«Sappi che, con o senza cerimonia, io mi occu-però sempre di lui! E... insomma, se c’è qualcosa che posso fare...»

Teddy stava cominciando ad agitarsi, così lo mise giù: il bambino puntò i piedi e si afferrò al cuscino di fianco a Harry rimanendo in equilibrio precario mentre guardava il ragazzo con un sorri-so birichino sul volto. Harry gli accarezzò la testa e rivolse nuovamente la sua attenzione alla donna.

«Harry, non ho molte informazioni precise, ma le voci si fanno sempre più insistenti. Ho letto dell’attacco a Hogwarts di settembre e la cosa mi ha allarmata».

Harry si stupì dell’interesse con il quale An-dromeda gli chiedeva informazioni; data l’ansia che aveva appena dimostrato, però, decise di non farla preoccupare ulteriormente, e di non comu-nicarle il suo impegno come Auror.

«Hai ragione. Al Ministero c’è molta agitazio-

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ne per quello che è accaduto, soprattutto perchè si sono verificati anche altri fatti incresciosi...»

«So che sono morti alcuni Auror. Il Ministero non ha fatto dichiarazioni ufficiali ma la moglie di Cooper, che abita qui vicino, mi ha raccontato tutto».

«E’ vero, sembra non si possa mai stare tran-quilli» sospirò Harry. «Ancora non hanno capito cosa cercano, ma ci sono molti Auror che stanno indagando su questa faccenda».

«A scuola cosa cercavano?» chiese la donna curiosa.

«Non sappiamo bene... l’intruso si trovava vi-cino alla presidenza. Fortunatamente i professori sono riusciti a farlo allontanare.»

Teddy cominciava ad essere nervoso. «Scusami tanto» riprese la donna. «Per Teddy

è arrivata l’ora di pranzo».Si diresse in cucina; si avvicinò al tavolo e si

voltò verso Harry.«Vuoi rimanere a mangiare con noi?» gli chie-

se.«Ti ringrazio tanto Andromeda» rispose Harry

«ma devo tornare a scuola. Sai, tra lezioni e alle-namenti, sono rimasto un po’ indietro con i com-piti.»

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«Immagino che l’ultimo anno sia impegnati-vo!» sospirò lei.

Annuì. C’era ancora una cosa di cui desiderava parlare

alla donna, anche se aveva timore della sua rea-zione. Si fece coraggio e le disse tutto d’un fiato: «Ci sarebbe una cosa di cui vorrei parlarti... e che non ho rivelato mai a nessuno... riguarda tua so-rella Narcissa».

A quel nome Andromeda si immobilizzò. Sem-brava pietrificata.

«Non ho sorelle, non più...» spiegò gelida.«Narcissa Black ha mentito a Lord Voldemort

per me. E senza quella bugia molto probabilmente ora non saremmo qui».

Andromeda sembrò vacillare e stupirsi per po-chi istanti, prima di riprendere la sua postura al-tera.

«Contano tutte le cose non dette in più di vent’anni, Harry» disse lei sorridendo debolmen-te, una ruga contratta sul volto.

«Lo so... ma dopo tutto quello che è accadu-to... beh, era giusto che tu venissi a conoscenza di questo particolare che ha fatto la differenza tra vittoria e sconfitta» spiegò Harry abbozzando un debole sorriso.

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Andromeda lo fissò senza parlare, ma qualcosa del suo volto, ora più rilassato, fece capire a Harry che la donna si sentiva meglio, più sollevata. Fece per dire qualcosa ma Teddy emise un urlo che esprimeva tutta la sua fame e la donna si riscosse.

«Devo proprio dare da mangiare a questo pic-colo lupacchiotto affamato» disse, dando un buf-fetto sulla guancia del nipotino che la guardò esta-siato.

«Allora io vado...» riprese Harry.«Certo caro. E torna a trovarci quando vuoi»

esclamò la donna tenendo una mano appoggiata sulla spalla di Teddy. Si avvicinò per fare una ca-rezza al suo figlioccio prendendogli di mano un galeone che cercava di mettersi in bocca.

Il bambino lo guardò contrariato e per un mo-mento il suo naso prese una forma molto simile a quello di un cane. Il ragazzo si ritrasse sorpreso e Andromeda gli sorrise.

«Non sapevo riuscisse già a mutare così!» esclamò gettandole un occhiata.

Lei continuò a sorridere e spiegò: «Certo. An-che Ninfadora cambiava tratti già alla sua età. Devo dire che lui però preferisce le forme anima-li». Harry si incupì per un attimo, pensando a Lu-pin. Poi però tornò a sorridere.

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«Allora... ci vediamo!» disse avviandosi verso la soglia.

«A presto Harry!» Con un cenno della mano Harry uscì dalla

porta e si incamminò lungo il vialetto. Si voltò a guardare per alcuni secondi la casetta e lo stagno lì vicino. Poi, girò su se stesso e sparì.

Al suo rientro erano già tutti in Sala Grande per il pranzo; varcando la soglia individuò subito i suoi amici, ma dopo alcuni passi fu bloccato dalla Preside, che accorse.

«Potter, è vero che voi studenti del settimo anno avete il permesso di uscire la domenica, ma non potevi evitare di andare da solo?».

Harry le fece un sorrisetto stiracchiato e lei, al-zando gli occhi al cielo, si allontanò per andare a rimettere in riga un ragazzino del primo anno che stava tirando del purè di zucca sui capelli di una compagna poco distante. Harry entrò sedendosi a fianco di Ron che lo salutò con un cenno del capo, dato che la bocca era piena di costolette di agnello fritte

«Allora? Cosa voleva Andromeda?» chiese curiosa Ginny facendosi di lato per fargli posto.

«Parlare della cerimonia per diventare ufficial-mente il padrino di Teddy» rispose Harry mentre

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si serviva un’abbondante porzione di pasticcio di broccoli. Si era reso conto solo allora di quanta fame avesse.

«Ah, già! Si terrà a primavera, la mamma ave-va accennato quest’estate che l’avrebbero orga-nizzata insieme. Ricordi Hermione?» chiese Gin-ny all’amica, ma lei non li stava ascoltando ed era stranamente silenziosa.

Harry la fissò per un po’, curioso, ma la ra-gazza lo ignorò abbassando lo sguardo sul piatto. Quando ebbe concluso poggiò le posate e si alzò. «Scusatemi ho la mente altrove, quando avrete fi-nito, raggiungetemi in Sala Comune. C’è molto di cui parlare»

Harry e Ron si guardarono per un secondo, poi tornarono a occuparsi dei loro piatti; solo dopo che Harry ebbe finito la sua seconda porzione di budino al cioccolato e si dichiarò sazio, si alzaro-no e uscirono dalla Sala Grande.

Quando salirono Hermione li attendeva di fronte al caminetto, si sedettero e lei aspettò che il suo pubblico fosse ben attento.

«Allora, ho trascritto le parole della filastroc-ca. Alcune cose le ho già capite, ma ci sono ancora dei punti oscuri» abbassò lo sguardo su una per-gamena che teneva in mano e cominciò a leggere:

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«I congiunti doppi e da odio legati,Li hanno per l’eternità condannati.Intelletto d’uomo e forza bestiale,lo rende pericoloso e mortale.Ad Hogwarts dimora e custodisce,ciò che allo stregone il sangue unisce.inchiodato sempre sta nel suo posto,non si può di certo abbatterlo tosto.» «Non capisco proprio cosa possano essere i

congiunti doppi» iniziò a spiegare Hermione. «Potrebbero essere una coppia, o due fratelli, ma perchè doppi? Due coppie?».

Nessuno rispose.«Quello che sembra chiaro è che c’è di mezzo

un conflitto, un odio che probabilmente deve aver portato ad una qualche maledizione».

«Ma cosa ha a che fare questo con Hogwarts? Dice che qui è costudito qualcosa» ragionò Ginny.

«Un altro Fuffy?» ipotizzò Ron.«Non lo so... è troppo vago per poter fare ipo-

tesi precise, dobbiamo saperne di più».«Se almeno Willis non fosse partito» com-

mentò Ron «Avremmo potuto tentare di estorcere qualche informazione in più a quel cappellaccio!».

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«Dubito che ne avremmo cavato qualcosa... quel Cilindro sa il fatto suo...».

Ci fu un momento di silenzio.«Io ci rinuncio. Se non riesci tu, che possibilità

abbiamo noi?» aggiunse Ron stiracchiandosi sul divano. «Harry, che ne dici di una partita a scac-chi?»

* Erano passati parecchi giorni da quando Her-

mione aveva promes so di scoprire qualcosa di più sulla filastrocca, e quella era stata la cosa più emo-zionante successa da allora. Tra gli allenamenti di Quidditch, sempre coinvolgenti, e la marea di compiti assegnati da tutti i professori, la vita sco-lastica si svolgeva noiosa, assillante e senza la mi-nima speranza di poter venire a capo di una sola delle domande che ingombravano senza sosta la mente di Harry.

Mancava poco a Natale e stava di malavoglia cercando di seguire una noiosissima lezione del professor Lumacorno, quando Ginny richiamò la sua attenzione, distogliendolo dalla pozione che dovevano preparare.

«Che ne dici se dopo facciamo un salto da

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Hagrid, è da un po’ che non lo vediamo. Così puoi anche chiedergli un consiglio per Snitch». Harry ci pensò un attimo. «Hai ragione, Hagrid sa tutto di bestie e animali vari... potrebbe dirci cosa le sta capitando.»

«E poi, fuori c’è il sole, e non ho molta voglia di mettermi a studiare dopo questa lezione così entusiasmante!» disse Ginny ironica.

«E’ solo in questi momenti che mi accorgo che sei la sorella di Ron» rise Harry.

«Cosa c’entro io?» fece una voce alle sue spal-le: Ron e Hermione erano dietro a loro.

«Pensavamo di fare una visita ad Hagrid» spie-gò Ginny.

«Io ci sto, è da molto tempo che non lo andia-mo a trovare. Propongo di andarci dopo pranzo, però» rispose Ron, deciso.

«Buona idea» rispose Harry, ormai la lezione era conclusa; «vado su a prendere Snitch. Ci ve-diamo in Sala Grande».

Pranzarono in tutta fretta e subito dopo usciro-no dal castello; respirarono a pieni polmoni l’aria fredda e pulita lasciandosi accarezzare dai tenui raggi del sole.

«Finalmente!» esclamò Ron stiracchiando-si «E Snitch, dov’è? Non eri salito a prenderla?» chiese curioso.

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«Nella tasca. Dormiva e non volevo svegliarla». Arrivati da Hagrid, bussarono e lui li accolse con il consueto calore, anche se era tutto imbacuccato. «Stai male Hagrid?» chiese Harry preoccupato. «No, stavo per uscire. Sapete questa notte c’erano molti animali spaventati nella foresta e volevo an-dare a controllare cosa era successo.»

«Se vuoi torniamo un’altra volta» intervenne Hermione.

«No, no! rimanete, mi fa piacere vedervi.» ri-spose Hagrid, togliendosi il gigantesco imperme-abile rosso. «E’ da tanto che non venite a trovar-mi. Sedetevi, vi preparo il té».

Tirò giù una teiera dallo scaffale alto.«E poi, lo sapevo che venivi, Harry! Appena

ho letto la Gazzetta, stamattina, mi sono detto: ve-drai che Harry viene a dircelo, a me e Thor, che deve andare a Londra al più presto»

«Cosa dici Hagrid? Perchè dovrei andare a Londra?» chiese Harry stranito, lanciando un’oc-chiata interrogativa alle ragazze.

L’allenamento supplementare di Quidditch di quella mattina li aveva costretti a saltare la co-lazione, ma Hermione fino a quel momento non aveva accennato a niente.

«Io e Ginny non siamo scese a colazione perchè

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volevamo finire di ripassare Pozioni. Tra pochi gior-ni ci saranno le verifiche per la fine del trimestre». «Perbacco, Harry! E’ per il processo a Piton, no? Ci sarà l’udienza d’apertura a breve e tu sei il testimo-ne chiave della difesa! » continuò il mezzogigante «Ma Kingsley non ti ha avvertito?» chiese perplesso. «Ehm... forse si» ammise con riluttanza. In effetti era da un po’ che non dava un’occhiata al suo can-guro portamessaggi.

«Toh, leggi il giornale».Sulla prima pagina della Gazzetta del Profeta

campeggiava un titolo a caratteri cubitali: “PAR-TE LA RIABILITAZIONE DI PITON”.

«Comunque era l’ora. Io ce l’avevo sempre detto che era una brava persona. Anche voi non ci avete mai voluto credere. Visto che ci avevo ragione?» continuò il mezzogigante appoggian-do sulla tavola una ciotola piena di caramelle mou.

Ron allungò la mano per prenderne una, ma Hermione glielo impedì. «Vuoi strozzarti?» gli bisbigliò all’orecchio.

Snitch, che fino a quel momento aveva riposa-to placidamente nella tasca del proprietario, co-minciò a muoversi e raggiunse il tavolo a saltelli, tuffandosi nel piatto delle caramelle.

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«Chi l’avrebbe mai detto? C’è qualcuno che apprezza i dolci di Hagrid» disse Ron in un bisbi-glio.

Harry non badò al commento dell’amico, si fece passare il giornale e cominciò a leggere.

Quando ebbe finito lo passò a Ron, sconfortato.«In realtà Hagrid siamo qui per Snitch» disse Har-

ry indicando la puffola che rosicchiava la caramella. Hagrid la scrutò da sotto le sue folte ciglia. «Ci ha qualche problema?».

«Si, con la pelliccia... è da un po’ di giorni che perde peli ovunque».

«È la prima volta che succede qualcosa di stra-no?».

«Be’ no... è successo che qualche volta non aveva una bella cera... ma nelle occasioni in cui stavo male anche io».

«Si chiama empatia Harry» spiegò Hermione.«Snitch si identifica in te e prova quello che tu

provi».«Si Hermione ci ha ragione... è empatetica».Em-pa-ti-ca».«Quella roba lì» tagliò corto Hagrid. «Ma non

c’entra con il pelo. Non preoccuparti Harry , si prepara solo alla primavera e cambia la pelliccia, è una cosa normale».

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«Ma Arnold non ha mai avuto di questi problemi, sarà che è una puffola americana?» chiese Ginny.

«Le puffole son puffole! Ma Arnold è... come dire... un puffolo! Questa invece è una... signori-na, e come tutte le puffole femmine ci ha la sua muta invernale» spiegò Hagrid con il tono che usava durante le lezioni.

«Di animali magici sai sempre tutto tu, vero?» fece Ron mentre tentava con un coltellaccio di sbriciolare un grosso biscotto.

«Animali e bestie non hanno misteri per me!» esclamò Hagrid tutto orgoglioso per il complimento. Hermione, a quel punto si fece pensierosa, alzò lo sguardo sul guardacaccia e tirò fuori dalla tasca una pergamena.

«Hagrid, a proposito di draghi e altri animali, forse tu potresti aiutarmi a capire una cosa. Ecco... sai mica dirmi se queste parole ti fanno pensare a qualcosa?».

Il guardiacaccia abbassò lo sguardo sulla per-gamena spiegazzata e si mise a leggere; ad un tratto alzò la testa pensieroso «intelletto d’uomo e forza bestiale» disse tra sè «mmm... questo mi ricorda qualcosa» poi scosse la testa. «No, non mi viene proprio in mente...» ma se mi lasci quella pergamena, magari li rileggo con calma.»

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«Certo, Hagrid. Te la lascio volentieri, sei la nostra ultima possibilità. Anche la biblioteca mi ha tradito» ammise Hermione malvolentieri.

Ormai il sole stava calando, quindi finirono di bere il té e si congedarono dall’amico.

Quando erano già a metà strada verso il castel-lo Harry si fermò improvvisamente.

«Che succede?» chiese Ginny guardandolo cu-riosa.

«Niente, scusate» disse Harry frugando a fondo nelle tasche «non trovo più Snitch. Ero convinto che fosse di nuovo nella mia tasca. Torno da Hagrid a ve-dere se è rimasta lì. Avviatevi, vi raggiungo subito.» «Harry, tra poco tramonta il sole, fai presto.» Bussò alla porta del guardiacaccia che nel frattempo si era di nuovo imbacuccato per andare nella Foresta. «Harry!» esclamò sorpreso. Il ragazzo entrò e co-minciò a muoversi agitato in giro per la capanna.

«Che cerchi?» chiese il mezzogigante.«Scusa Hagrid, non trovo più Snitch, pensavo

fosse qui, ma non la trovo»«Se fosse stata qui Thor l’avrebbe sicuramente

scovata.»«Allora deve essere caduta mentre salivo al ca-

stello. Vado a cercarla. Ciao Hagrid, buon diverti-mento nella foresta!»

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Uscì e si mise a cercare la puffola fuori dal-la capanna poi continuò a chiamarla risalendo il sentiero verso il castello.

«Harry Potter». Il ragazzo si girò verso una voce che gli sembrò familiare.

Nonostante fosse un insegnante, non gli capi-tava spesso di vederlo, anche perché aveva abban-donato la sua materia. Eppure, se ci fosse stato lui fin dal principio, forse avrebbe continuato a stu-diarla.

«Fiorenzo» salutò Harry. Il centauro si avvicinò al ragazzo, con la sua

solita espressione pacata accarezzando una picco-la palla di pelo arancione.

«La stavi cercando». Non era una domanda. «E’ un bellissimo esemplare» commentò porgen-dogliela.

«Grazie» disse Harry assicurando in tasca Snitch.

Poi calò il silenzio. «Non abbiamo ancora avuto modo di parlare»

riprese Fiorenzo. «Purtroppo devo adempiere ai miei incarichi di professore e non ti nascondo che ciò è decisamente tedioso.» Si avviò verso il lago e continuò: «Per noi centauri, da sempre educa-ti all’arte oratoria e alla meditazione, le banalità

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umane sono un motivo di profonda noia. Il dia-logare con alunni dalla mente chiusa, e con que-sto non mi riferisco a ciò che voi chiamate intelli-genza, bensì al modo di rapportarsi con ciò che ci circonda e poter esprimere una propria opinione basata sulla coerenza, è avvilente. Alla fine non è più un dialogo, ossia un discorso tra due, ma un monologo in cui io parlo e la maggior parte della gente ascolta, senza però riuscire ad afferrare il nocciolo della questione. Umani e centauri sono due razze alquanto diverse, Harry Potter».

Harry, che si sentiva perfettamente descritto dalle parole di Fiorenzo, non poté che essere d’ac-cordo con quest’ultima affermazione.

«Ho incontrato pochi umani che riuscissero a comprendere la cultura e la sapienza dei centauri. Uno, naturalmente, era Albus Silente. Il migliore umano, sia come persona che come mago, che ab-bia mai conosciuto. Un altro è il vostro docente di Trasfigurazioni...».

«Uglick?» lo interruppe Harry, sorpreso.«Ero presente quando hanno comunicato che

il suo posto verrà ricoperto dalla professoressa McGranitt in attesa del suo ritorno, e non sono mancate le polemiche» disse Fiorenzo.

«Perchè? » disse Harry.

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«Un umano del Ministero Americano» spiegò il centauro, «un certo Larry Brown, ha insistito personalmente per portare a scuola un loro inse-gnante».

«E alla fine cos’è successo?» chiese Harry, chiaramente interessato.

«L’americano e il mago da lui proposto non avevano con loro il mandato ufficiale del Ministe-ro e perciò non se ne è fatto nulla. Ad ogni modo» si interruppe, «le nostre voci e i nostri piedi ci stanno deviando dalla retta via, e il tempo non sempre è galantuomo».

Harry si fermò. Camminando erano giunti qua-si al limitare del lago, il sole stava sparendo dietro alle montagne all’orizzonte.

«Questo» iniziò, «come tu ben sai, è un anno molto importante».

«In che senso?» chiese Harry curioso.«Noi centauri stiamo avvertendo grandi cam-

biamenti per quanto riguarda il futuro».«Lo so» disse Harry. «Ho seguito gli svilup-

pi della vicenda del CIOcCoCreMa e sono molto contento che i centauri possano dare il loro con-tributo alla comunità magica. Era ed è un vostro diritto».

«Hai ragione. Se pensi poi che all’iniziativa

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ha aderito anche Cassandro si può dire che è un evento eccezionale... ma le mie preoccupazioni ri-guardano altro».

Lo sguardo di Fiorenzo si indurì. Se per qual-che istante era sembrato più “umano”, più incline al riso e al dialogo, adesso era tornato l’enigmati-co e mistico centauro di sempre.

«Questo è un anno molto luminoso. Al-Nasl ri-splende come mai da settecento anni e presto bril-lerà per la terza volta».

Le orecchie di Harry, seppur già aperte, si spa-lancarono.

Ecco di cosa voleva parlare Fiorenzo. Come era stato stupido a non pensarci prima: fatti come il CIOcCoCreMa avevano un interesse molto re-lativo e marginale per creature come i centauri. Erano altre le situazioni veramente importanti per loro.

«In effetti si è parlato molto di Minami, o Al-Nasl come la chiami tu, ma non capisco cosa mi vuoi dire» disse Harry.

«Al-Nasl è la più luminosa di tutte le stelle primigenie» spiegò Fiorenzo. «Il suo potere è im-menso. In essa è presente la Grande Magia, una magia di cui le vostre bacchette sono solo una pal-lida imitazione. È per questo che ho paura. Dopo

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settecento anni Al-Nasl è tornata a risplendere e lo farà per ben sette volte. Sette volte dopo sette-cento anni. Il numero magico più potente seguito da un numero di anni pari a se stesso moltiplicato per il numero della perfezione, il dieci, a sua volta moltiplicato per sé» s’interruppe, perdendosi per qualche secondo con lo sguardo tra gli alberi della foresta. «E sarà allora che le stelle indicheranno la via, sette volte annunciando, sette volte brillan-do» concluse nitidamente.

Harry lo fissò con sguardo vacuo.«Non c’è bisogno che tu mi comprenda, Har-

ry Potter. Non so cosa potrebbe succedere se mai qualche essere riuscisse a controllare quell’im-menso potere. Noi non siamo in grado di impa-dronirci della forza della Natura. Possiamo cerca-re di capirla, ma non di... Harry?».

Mentre le parole e i contorni si facevano d’un tratto nebulosi, sinuosi cerchi iniziarono ad allar-garsi nello stupefacente blu degli occhi di Fio-renzo, come pozzi di acqua sorgiva increspati da sassolini, fino a sciogliere le sue pupille. Harry fu improvvisamente preda di un formicolio ormai fa-miliare, le palpebre si fecero pesanti.

«Harry Potter... va... tutto... bene? Riesci a...».Parole. Slegate, prive di significato...

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Lottava contro quella spossatezza con tutte le sue forze, con gli occhi semichiusi coglieva spira-gli dei capelli biondo grano del centauro, e poteva solo percepire i suoi zoccoli agitarsi vicino a lui.

Poi, uno strano sonno lo vinse.Quando, senza alcun preavviso, a quell’esteso

nulla si sostituì un bruciante profumo di salsedine e le sue orecchie si riempirono del suono di fu-riose onde, Harry si sentì disorientato. Sentiva di-spettosi granuli infilarsi nelle scarpe... stava cam-minando? Stava correndo? Non riusciva ad aprire gli occhi.

Nella sua mente sbigottita si formò un imma-gine di un vecchio chino su di un libro, intento a leggere. La rugosa mano corse lungo il dorso afferrandolo e sollevandolo. Sulla copertina svet-tava una asta avvolta da fiamme cremisi, una bac-chetta forse...

Poi qualcosa di etereo gli sfiorò la guancia cal-da per l’agitazione: si arrese a quel piacevole con-tatto.

La sorpresa fu intensa come una scarica. Im-provvisamente una stretta ferrea gli mozzò il re-spiro e qualcosa lo schiaffeggiò.

Urla agghiaccianti, incomprensibili, squarcia-rono il silenzioso sottofondo: grida conosciute,

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ma irriconoscibili da quanto erano straziate, fece-ro provare a Harry brividi di pietà ed orrore.

La sofferenza fu così forte che ordinò alle pal-pebre di spalancarsi, quasi obbligandolo ad assi-stere impotente a quella scena.

Orde di neri tentacoli assalirono il suo orizzon-te, lo avvinghiarono e Harry si arrese a lunghi, in-tensi spasimi.

La stretta cessò come era venuta, arrendendo-si docile ad un ritrovato silenzio. Stordito, Harry non ebbe il tempo di inumidirsi le labbra secche con la lingua, che un urlo di donna - un urlo di amica, gli suggerì la sua mente - squarciò di nuo-vo quel silenzio innaturale.

«NO... LASCIALO ANDARE!».Uno sprazzo di luce.Un sospiro; un urlo.Uno scintillio arancione ed un’inquietante sen-

sazione di perdita. Poi, più niente.«Riesci a sentirmi?». Quella voce calma fu

come balsamo contro le urla che ancora echeggia-vano intorno a lui facendo rimbombare la campa-na di vetro che era il suo corpo inerme.

Aprì gli occhi: gli alberi al limitare della fore-sta, il lago illuminato dagli ultimi raggi del sole ormai al tramonto, il viso di Fiorenzo, composto

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ma screziato da una sincera vena di preoccupazio-ne. La familiarità ritrovata di colori, suoni, volti, odori, fu come un fiotto di miele per la sua gola, che sentiva in fiamme come un tizzone ardente.

Harry abbracciò quella ritrovata lucidità come una vecchia amica e, accorgendosi di essere a ter-ra, si alzò, accettando di buon grado la mano che Fiorenzo gli porgeva. Si asciugò sulla divisa le mani sudate.

Il gesto gentile fu presto dimenticato quando notò che, nell’altra mano, il centauro custodiva tra le lunghe dita affusolate la puffola.

«Snitch» sussurrò il ragazzo.«È caduta dalla tua tasca quando ti sei acca-

sciato » disse Fiorenzo. «Prima avevo percepito che era agitata, ma adesso è proprio molto spa-ventata». Porse la bestiola tremante a Harry che la prese e cercò di calmarla.

«La tua mente si è affacciata su un varco agli altri impercettibile?» chiese in uno scalpitio di zoccoli.

«Diciamo di si... » mormorò massaggiandosi la nuca preoccupato ma con gli occhi fissi sulla puffola. Anche Fiorenzo osservava i suoi movi-menti nervosi.

«Sei molto fortunato, Harry Potter».

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Harry lo guardò interrogativo.Gli occhi del centauro sorridevano. Era com-

pletamente assorto, affascinato dal piccolo essere che Harry teneva in mano.

«È molto più intelligente di quanto tu creda» continuò il centauro, enigmatico. «Si tratta di cre-ature molto sensibili che talvolta creano un lega-me speciale con il loro padrone. In casi rari rie-scono a captare le onde negative che stanno per rivolgersi contro di lui e in qualche modo cercano di avvertirlo» spiegò Fiorenzo continuando a fis-sare la puffola. «È la prima volta che si comporta così?».

«Vuoi dire che è a causa sua che ho queste vi-sioni?».

«Non direi “a causa”, e nemmeno “per meri-to”, ma la risposta è sì, è lei il mezzo con cui riesci ad aprire il tuo occhio interiore».

«Avevo sempre pensato che fosse spaventata per il mio malore, non che fosse lei a provocarmi quelle visioni».

«In effetti, devo correggermi, non si trat-ta proprio di visioni. Non credo che possa mo-strarti quello che realmente accadrà, il libero ar-bitrio umano glielo impedisce, ti avverte solo di un imminente pericolo» continuò il centauro.

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Ora tutto quadrava, aveva sempre confuso la causa con l’effetto. Snitch non era empatica come aveva suggerito Hermione, semplicemente aveva quella reazione quando infondeva a Harry quelle immagi-ni. Ma allora era sempre stata lei ad aiutarlo in tut-te quelle situazioni. La guardò con riconoscenza. «Di solito mi mostra qualche particolare da cui posso capire...» intervenne Harry mentre cer-cava di ricordare cosa aveva appena visto. «Allora avete davvero una bellissima intesa...» continuò il centauro, ma si interruppe improvvisa-mente e guardò oltre le spalle di Harry. «Scusa, al-tri impegni mi chiamano, riprenderemo il discorso un’altra volta» concluse sbrigativamente mentre già si avviava verso la foresta.

Harry si voltò, seguendolo con lo sguardo, cu-rioso di capire cosa avesse attratto l’attenzione del centauro. Le labbra si curvarono in un sorriso amaro quando scorse Cassandro stagliarsi impo-nente al limitare della foresta; gli occhi scolpiti nel viso marmoreo scintillavano in un severo se-gno di avvertimento.

Aveva perdonato Fiorenzo, tra umani e centau-ri i rapporti erano migliorati incredibilmente, tut-tavia sembrava non voler rinunciare del tutto al suo antico atteggiamento prevenuto. Forse era

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un’abitudine troppo radicata in lui per poterla ab-bandonare in così poco tempo... Comunque stes-sero le cose, Harry era grato a Fiorenzo; non era la prima volta che sfidava gli altri centauri dispen-sando preziosi consigli e dimostrandogli che, per quanto fossero diversi, stava dalla sua parte.

Harry si avvicinò alle sponde del lago, scru-tando pensieroso l’acqua su cui si specchiavano le luci del castello. La conversazione con Fioren-zo lo aveva lasciato perplesso; lui aveva sempre pensato che il risplendere di Minami e l’assalto al castello fossero stati una coincidenza, mentre il centauro gli aveva dato un altro spunto di rifles-sione: se avesse avuto ragione?

Ricordò la visione agghiacciante... cercò di rammentarne i particolari, ma tutto era così sfoca-to, non riusciva a capire. Un pericolo era vicino, ma chissà quale.

Accarezzò Snitch, stupito e grato di meritare quel legame di cui aveva parlato Fiorenzo.