Harry Potter 8 - capitolo 17

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1 CAPITOLO 17 TROVA TU IL TITOLO AL 17° CAPITOLO! Appena terminata la lettura vai nel forum e posta il tuo titolo “ideale” per questo capitolo, il titolo più gradito sarà usato per la pubblicazione ufficiale! A llora squadra,» esordì Harry mentre pren- deva la sua scopa in mano, «oggi dobbia- mo assolutamente dare il meglio di noi» continuò meccanicamente. «Dovete stare attenti a seguire gli schemi che abbiamo provato durante gli allenamenti: Ron, tu ricordati di stare al centro tra i tre anelli; Ginny, Demelza e Ben, cercate di volare bassi e fate più passaggi di Pluffa possi- bili, e voi due» disse rivolgendosi a Rosy e Jim- my, «state attenti a quei maledetti bolidi e cercate di...». «Harry! Non è la prima volta che giochiamo a Quidditch» sbottò Ginny, interrompendo il ra- gazzo. «Piuttosto, chi sono i giocatori dell’altra squadra?». «

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Il nuovo capitolo di Harry Potter 8

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CAPITOLO 17

TROVA TU IL TITOLO AL 17° CAPITOLO!

Appena terminata la lettura vai nel forum e posta il tuo titolo “ideale” per questo capitolo, il titolo più gradito sarà

usato per la pubblicazione ufficiale!

Allora squadra,» esordì Harry mentre pren-deva la sua scopa in mano, «oggi dobbia-mo assolutamente dare il meglio di noi»

continuò meccanicamente. «Dovete stare attenti a seguire gli schemi che abbiamo provato durante gli allenamenti: Ron, tu ricordati di stare al centro tra i tre anelli; Ginny, Demelza e Ben, cercate di volare bassi e fate più passaggi di Pluffa possi-bili, e voi due» disse rivolgendosi a Rosy e Jim-my, «state attenti a quei maledetti bolidi e cercate di...».

«Harry! Non è la prima volta che giochiamo a Quidditch» sbottò Ginny, interrompendo il ra-gazzo. «Piuttosto, chi sono i giocatori dell’altra squadra?».

«

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Harry venne colto alla sprovvista. «Be’... ehm... immagino che sicuramente ci saranno Mal-foy e Goyle ...» continuò un po’ imbarazzato, «e poi ho sentito dire che hanno deciso di ingaggiare due americani».

«Davvero? Due americani?» chiese Ben ab-bastanza sbalordito. «Draco ha lasciato che due americani entrassero nella sua squadra? Non pos-so crederci! Lui li odia! Devono proprio esser messi male per averli reclutati».

«Secondo te perchè Malfoy l’ha fatto?» chiese pensieroso Ron, infilandosi la casacca.

«Non lo so, ma pare che siano ottimi giocatori, e lui non se li è fatti sfuggire; forse ora è convinto di avere qualche possibilità di batterci, anche se devo ammettere che è strano» replicò Harry men-tre passava il pollice sulla sua Firebolt Millennium per controllare che fosse in perfetto stato.

«Secondo me è rimasto un po’ tocco! Dopo la storia di Tu-Sai-Chi non è più lo stesso» riprese Ron facendo una smorfia.

«Sì, è vero. L’ho notato anch’io!» intervenne Demelza guardandoli.

«Non importa» si affrettò a replicare Harry. «Chiunque sia il nostro avversario dobbiamo dare il meglio e portare a casa la vittoria!». Detto que-

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sto uscì dallo spogliatoio, seguito dai compagni.Giunse in mezzo al campo e, finalmente, si trovò

di fronte i membri della squadra avversaria: Milli-cent Bullstrode, la ragazza corpulenta ed aggressi-va che al secondo anno si era accapigliata con Her-mione al Club dei duellanti, era in testa; seguivano: Goyle, più grosso che mai; Blaise Zabini; Theodo-re Nott, che era stato membro della banda di Mal-foy negli anni precedenti; e un altro Serpeverde del terzo anno che Harry non aveva mai visto. Dietro di loro apparve il primo studente americano: un ra-gazzo alto e robusto, dai capelli rossi, che armeg-giava aggressivo con una mazza e, viste la stazza e l’espressione, ad Harry sembrò fosse proprio adat-to per il loro piano; in fondo aveva decisamente l’aspetto del tipo che non faceva grossa differenza tra un cranio ed un bolide. Al suo fianco c’era una ragazza alta più o meno come lui e probabilmente avrebbe giocato da cacciatrice.

C’era qualcosa che non quadrava: cinque in-glesi e due americani, sette giocatori in tutto. Ma non era Malfoy ad indossare la spilla da capita-no, bensì Millicent Bulstrode. Harry ne rimase sorpreso ma non ebbe il tempo di pensare anche a quello: la partita stava per cominciare e voleva dare il meglio di sé.

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A quel punto una voce conosciuta iniziò a pre-sentare le squadre. Harry si volse verso il podio del cronista. Un ragazzo piccolo coi capelli co-lor topo che riconobbe subito come Dennis Ca-non iniziò a parlare. «Buongiorno studenti e pro-fessori, benvenuti alla prima partita di Quidditch dell’anno. E dunque presentiamo le squadre: per i Grifondoro ...».

Un boato di voci e di applausi si alzò della tifo-seria dei Grifondoro.

«Il capitano, nonché cercatore, Harry Potter, il portiere Ronald Weasley, i cacciatori Ginny Wea-sley, Delmeza Robins, Ben Willar e infine i batti-tori Jimmy Peakes e Rosy Bladger! Ora passiamo all’altra squadra, per i Serpeverde ...». Di nuovo un gran vociare echeggiò nell’aria, questa volta erano i Serpeverde che sovrastavano i Grifondoro. «... abbiamo il capitano nonché portiere Millicent Bulstrode ...».

«Capitano quell’armadio?» commentò Ron in-credulo.

«... i cacciatori Chase Turner, Theodore Nott e Shirley Powell; il cercatore Blaise Zabini; infine i battitori: Gregory Goyle e John Headwood».

Una volta finita la presentazione, Madama Bumb si diresse verso il centro del campo strin-

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gendo il suo manico di scopa. «Bene Capitani. Visti i precedenti delle due squadre vi chiedo un gioco pulito, non voglio che nessuno finisca in in-fermeria questa volta. Stringetevi le mani».

Harry e Millicent Bulstrode si avvicinarono con le rispettive braccia destre tese. Harry, allar-mato, notò che la ragazza era davvero enorme, ma si sforzò di sorridere.

Madama Bumb diede il fischio d’inizio e la partita cominciò. Harry scattò in aria prendendo quota e iniziò a scrutare il cielo.

«Ecco Powell con la pluffa, evita un bolide, ne evita un altro, gran passaggio per Nott che dribbla Robins, ripassa la pluffa a Powell che schiva an-cora un bolide, è davanti a Weasley... serpeverde ha segnato! E che finta! Che gran giocatrice! Die-ci a zero per Serpeverde».

Harry si rese conto che quella ragazza aveva davvero straordinarie capacità, ma fu un pensiero fuggente. L’ansia che cresceva dentro di lui col passare dei minuti gli stava togliendo il respiro. Era giunto il momento di provare quella Finta Wronsky che aveva visto fare a Krum alla Coppa del Mondo.

La partita si stava protraendo da parecchio tem-po e, fortunatamente, del boccino neanche l’ombra.

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Aveva già provato anche a mettere in atto il piano un paio di volte, ma Headwood era sempre stato poco tempestivo.

Mentre Shirley si dirigeva verso gli anelli, Har-ry rivolse uno sguardo attento tra gli spalti. Quan-do incontrò gli occhi di Hermione, una scarica di adrenalina gli percorse le membra svegliandolo più del vento gelato che tormentava il suo viso.

Una strana lucidità si impadronì di lui: stavolta niente doveva andare storto. Cercò con lo sguardo Zabini: il Serpeverde non gli staccava gli occhi di dosso. Harry pensò che fosse proprio il momento giusto.

Virò alla sua destra e si diresse verso le porte di Grifondoro, fingendo un’eccitazione improvvi-sa. Zabini abboccò, planò tra i suoi compagni e puntò dritto filato verso Harry che, guardandolo con la coda dell’occhio, diede inizio alla picchiata suicida.

Mentre la eseguiva, Harry cercò di percepire quello che stava accadendo sopra di loro. Il batti-tore, Headwood, stava per fare esattamente quello che lui si aspettava, così continuò la sua azione diversiva.

All’ultimo si scansò alzando il manico di scopa con abilità, mentre Zabini, preso alla sprovvista,

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si schiantò sul terreno erboso. Poi un sibilo assor-dante squarciò il vento ed Harry sentì un violento colpo al capo.

Un bolide l’aveva colpito in piena nuca.Mentre cadeva per terra sull’erba folta capì che

aveva raggiunto il suo scopo.Poi i pensieri si fecero confusi, uno strano tor-

pore lo avvolse. Non vedeva più niente, non sen-tiva la terra sotto di sé. Voci allarmate lo circon-davano. Un fischio, piedi che si appoggiavano a terra, scope che strusciavano sull’erba.

«Harry! HARRY!». Sentì la voce di Hermione, rotta dal pianto. «Portate una barella! Chiamate Madama Chips!». I suoi singhiozzi gli riempiva-no le orecchie rendendo la situazione terribilmen-te reale. Per un attimo pensò che qualcosa fosse andato storto. Poi non riuscì più neanche a pen-sare. Le forze lo stavano abbandonando. Si limitò ad ascoltare. Riconobbe la voce autoritaria, solo screziata da un filo di ansia, di Madama Bumb.

«Molto bene, che ci fate voi qui? Signorina Weasley, torni a giocare! Potter sta bene, ha la te-sta dura. Salite sulle scope! Rigore per Grifondo-ro! Il cercatore di riserva! Maledizione, dov’è il cercatore di riserva?».

«Eccomi» rispose Hyde sicuro di sé.

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«Bene. Tutti in sella, e aspettate il mio fischio. Headwood, che non si ripeta mai più!».

Harry sentì il rumore inconfondibile di scope che si staccavano dal suolo e capì che il gioco sta-va riprendendo.

«Signorina Granger, signorina la prego! Lasci stare, stia tranquilla, me ne occupo io. Ora lo por-tiamo in Infermeria». La voce calda e sicura di Madama Chips gli infuse un po’ di sollievo.

Harry non si accorse che Hermione gli tormen-tava il braccio finchè l’infermiera non l’allontanò da lui con la forza.

Lo trasportarono su una barella, e un dolore lancinante gli invase la testa, stordendolo.

«Lasciatemi venire con lui, vi prego». Riuscì a mala pena ad udire la supplica di Hermione.

«Va bene, andiamo».Harry percepì di essere stato sollevato da terra,

poi il dolore ebbe il sopravvento e perse definiti-vamente i sensi.

*«Innerva!». I raggi del sole ravvivarono le sue

palpebre. «Harry, Harry!».Harry aprì gli occhi, un po’ stordito, il dolore

alla testa era diminuito sensibilmente. Il viso di Hermione, sorridente, occupava il suo orizzonte.

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«Finalmente!» esclamò lei, porgendogli gli oc-chiali. «Tutto è andato per il verso giusto! Mada-ma Chips è nel suo studio, bisogna fare in fretta!». Tirò fuori dalla borsa una fialetta contenente un liquido color fango.

«Per il verso giusto? Hermione! Sei sicura di averlo sgonfiato per bene, quel bolide? Ho preso una bella botta, sai?» fece Harry, contrariato, mas-saggiandosi la testa.

«Ti avevo avvertito, è normale che un po’ ti sia fatto male vista la velocità con cui l’ha sca-gliato Headwood. È davvero un idiota! E, comun-que, meglio il mio bolide manomesso che quello di Dobby».

«Già, ti devo dare ragione!». Harry fece un mezzo sorriso, mentre scendeva dal letto.

L’imbarazzo gli macchiò le guance quando re-alizzò che indossava il pigiama e che forse era sta-ta Hermione a metterglielo, anche se in quel mo-mento era incosciente.

L’amica parve leggergli nel pensiero. «Non preoccuparti... è stata Madama Chips a cambiar-ti».

Tirò fuori dalla borsetta un paio di jeans e una felpa; sgattaiolarono in bagno, Harry si cambiò velocemente e poi aspettò che la ragazza indos-

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sasse il suo pigiama. Fortunatamente Madama Chips aveva da fare nel suo studio.

«Tutto sta andando secondo i piani, altrimenti Ron ci avrebbe avvisati». Gli agitò davanti al vol-to uno dei vecchi Galeoni dell’ES. «Okay, ora ho bisogno dei tuoi capelli, Harry!».

«Come se non lo sapessi» disse lui amareg-giato, strappandosi una piccola ciocca sulla nuca, «ormai siamo polisucco dipendenti».

Porse i capelli all’amica, che li lasciò cadere nella boccetta. Appena vennero a contatto con la superficie, il liquido fangoso fu sostituito da uno stupefacente e brillante color oro.

«Continuo a sostenere che sei più appetitoso di Goyle, ma non lo dire a Ron!» disse lei, ridendo. Era di buonumore. Certo, il piano era suo...

«Salute!». Hermione si tappò il naso e tracan-nò il contenuto della boccetta. Il suo volto assunse un’espressione disgustata e, quasi immediatamen-te, i suoi lineamenti divennero sfuocati, il volto si modellò come fosse di cera sciolta sul fuoco, si alzò di qualche centimetro, i suoi capelli si accor-ciarono e si scurirono.

Harry salutò con un sorriso il suo gemello, Hermione saltò nel letto e chiuse gli occhi, avvol-gendosi nelle lenzuola. «Sai Hermione» disse lui,

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scherzoso «se non dovessi passare i M.A.G.O., Hollywood ti accoglierebbe a braccia aperte. Sei un’attrice sensazionale!». Rise di gusto.

«Vai» lo incalzò lei, forse un po’ seccata per la stoccatina sui M.A.G.O., «e ricordati di controlla-re il galeone, ti prego!».

«Ho sempre detto che prendi la tua istruzione troppo sul serio» borbottò Harry, divertito.

Poi si voltò e varcò la soglia dell’infermeria, con la Bacchetta di Sambuco al sicuro nella tasca dei jeans e il mantello in mano. Hermione aveva pensato proprio a tutto.

*La porta era aperta e, senza bussare, entrò. Il

pub era tornato ad essere come lo ricordava: sudi-cio e deserto, non solo per l’ora. Il pavimento era incrostato dal ritrovato strato di luridume, i tavoli di legno erano miseri e disseminati disordinata-mente nel piccolo spazio angusto e opprimente.

Un uomo stava dietro al bancone: il viso rugoso che sembrava una prugna avvizzita, avvolto da quella che pareva una nuvola di cotone grigio; le sopracci-glia folte e aggrottate gli conferivano un’espressione di perenne disappunto, e la barba lanosa e aggrovi-gliata, lunga come quella del fratello, nascondeva al mondo la bocca sottile ed i suoi rari sorrisi.

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A guardarlo così da lontano, non dava certo una bella impressione. Se poi lo si conosceva, pensò Harry, era ancora peggio: tremendamente rude e trasandato, sempre pronto a rimproverare con la sua voce rauca e i suoi pungenti commenti sarcastici, pessimista ormai cronico.

Eppure ogni volta, perdendosi nei suoi occhi color del vetro, Harry provava una strana sensa-zione alla bocca dello stomaco, e sentiva raffor-zarsi dentro di sé la profonda convinzione che, sotto quel groviglio grigio e quelle lenti spesse ed appannate, ci fosse un uomo fondamentalmente buono.

Ed allora tutti i suoi difetti passavano in secon-do piano.

Harry si tolse il mantello con un gesto svelto, ed esclamò: «Un succo di zucca, per favore!».

Aberforth alzò la testa dal boccale e dallo strac-cio con il quale lo stava lucidando, e le sue lenti brillarono mentre sfoderava la bacchetta. Quando lo riconobbe, emise una specie di grugnito e bor-bottò: «Potter... per quale maledettissimo motivo piombi nel mio pub a quest’ora?».

«Salve Aberforth, volevo un succo di zucca» ripeté Harry.

«Non dovresti essere a scuola?» sputò secco Aberforth.

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«Siamo in gita» mentì Harry.Il vecchio barista rivolse lo sguardo fuori. La

via era deserta. Alzò un sopracciglio, interdetto, e lo guardò interrogativo.

Harry si limitò a sorridere e, avvicinatosi al bancone, si sedette.

Aberforth lo squadrò dalla testa ai piedi, poi si arrese e lo servì. Due minuti dopo, Harry ave-va davanti una brodaglia color arancione. Iniziò a sorseggiarla incerto, sentendosi addosso gli occhi indagatori del vecchio.

«Molto bene, stendendo un velo pietoso sulla tua strafottenza, ora che ti sei rifocillato, mi fai il favore di spiegarmi perché sei qui?».

«Visita di cortesia ...» mugugnò Harry tra un sorso e l’altro.

«Sì, certo; e hai pensato bene di coprirti con quella diavoleria di mantello invisibile. Cos’è, fa freddo fuori, o volevi evitare la calca?».

«Mi dispiace essere piombato qui così all’im-provviso, ma ho usato il mantello perché nessuno deve sapere che sono venuto» iniziò Harry.

«Ma non mi dire... cos’è che vuoi?».«Be’... volevo farle un saluto... stavo pensando,

non l’ho mai ringraziata come si deve per quello che ha fatto per me e i miei amici». Possibile che

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si sentisse sempre così ingessato quando parlava con Aberforth?

«Sai che non mi piacciono i convenevoli Potter. Ma ho fatto quello che ritenevo giusto fare, niente di più, niente di meno. Anche se, senza dubbio, la tua insistenza è stato un fattore importante». Sor-rise debolmente e la sua barba si increspò.

«Perlomeno non avrà più problemi a far usci-re il gatto» si scusò Harry scherzando. Sapeva di essere stato la causa di tanti inconvenienti, e di avergli fatto tornare a galla tanti brutti ricordi.

Aberforth scoppiò in una roca risata. «Sì, devo ammettere che è un vantaggio notevole, e il mio gatto è molto più felice. E anche non avere più intorno quei brutti ceffi e i loro intrugli ...». Storse il naso. «Alla fine ha vinto il bene superiore, non è così?» concluse amaro.

Il cambio di tono paralizzò Harry, che non sep-pe dire niente se non un vuoto “già”.

Il silenzio tra loro era opprimente, le cose non dette erano incastrate nelle loro gole e si rifiutava-no di uscire.

Harry avrebbe voluto parlare, ma, in fondo, lui e Aberforth erano poco più che due estranei che ave-vano voluto bene alla stessa persona, e che, forse, erano anche stati delusi, dalla stessa persona.

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Harry aveva già da tempo capito e perdonato Silente per tutte le verità che gli aveva tenuto na-scoste. Anche perché, alla fine, come sempre, il Preside aveva dimostrato di avere ragione e, cosa più importante, gli aveva dimostrato anche il suo affetto. Quell’affetto su cui Harry tanto aveva contato, e di cui tanto aveva dubitato.

Ma il perdono di un fratello richiedeva molto più tempo, molti più dubbi, molte più lacrime.

«So a cosa stai pensando. Te lo leggo negli oc-chi, ma non ti devi preoccupare di questo. Non è distruggendo il più grande Mago Oscuro di tutti i tempi che puoi risolvere un vecchio litigio tra fra-telli. So che vuoi una rassicurazione, Harry, e io te la darò. Albus è stato spesso tanto generoso con le altre persone quanto è stato egoista e stupido con me, ma gli voglio bene. Però le cose sono compli-cate e non puoi tentare di risolvere tutto, anche se sei il prescelto».

Gli occhi di Aberforth brillavano, Harry sape-va che questo sarebbe stato il massimo che avreb-be ottenuto da lui.

«Non sono venuto qui per risolvere le cose» borbottò Harry, abbassando gli occhi. Ora più che mai, temeva la reazione del vecchio. Non erano nemici, e non voleva che lo diventassero.

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Aberforth lo squadrò con i suoi occhi azzurri ed Harry provò sempre la stessa, stranissima sen-sazione di vulnerabilità che percepiva ogni volta che Silente posava il suo sguardo su di lui.

«Cosa devi chiedermi Potter?» fece Aberforth, ritornando al suo tono decisamente brusco mentre si accomodava su uno degli sgabelli.

«Ho bisogno di un favore». Esitò, prima di but-tarsi definitivamente nel precipizio. «Ha sentito dell’attacco sul treno e dell’intrusione a scuola?» buttò lì, quasi casualmente.

«Sì, ho sentito, gli Auror brancolano nel buio. Baggianate secondo me, da quando ci sono gli americani, si sono tutti un po’ rammolliti. Non sanno cosa cercano, eppure la questione va avanti da mesi» rispose il barista, la voce macchiata da un velato disprezzo.

«Io so cosa cercano. Cercano me» affermò sec-co Harry.

«In che guai ti sei cacciato ancora Potter?». L’espressione di Aberforth era confusa ed esaspe-rata.

Harry prese un respiro profondo. «Be’, in real-tà non cercano me, ma una cosa che io possiedo: vogliono la bacchetta di Sambuco».

Solo al sentir pronunciare quel nome, Aber-

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forth quasi cadde dallo sgabello. Le vene dei suoi polsi tremarono tanto che Harry potè qua-si sentire il sangue affluire alla testa, il viso del vecchio era più bianco e pallido della sua barba. I suoi occhi azzurri diventarono umidi e i ricordi lo catturarono, travolgendolo come un fiume in piena.

«Sei un incosciente! Come puoi portare con te quell’abominio? Scommetto che è lì, nella tua ta-sca. Esci subito da questo locale! SUBITO!».

Harry rimase spiazzato, ma non si mosse. Aspettò che l’agitazione sul volto di Aberforth si consumasse.

Dopo un po’, la sua collera scemò e il vecchio barista sembrò recuperare la sua abituale calma.

«Mi dispiace, Potter. È un argomento delica-to... Hai intenzione di distruggerla, non è così?» domandò, le mascelle serrate.

Harry prese il coraggio a due mani e disse: «No, veramente no. Non conosciamo quali sono i suoi poteri, e non penso che solamente spezzandola la bacchetta lì perderà. Ci ho pensato seriamente e la soluzione migliore è nasconderla».

«Suppongo che tu abbia già in mente dove ...» borbottò Aberforth. Il blu nei suoi occhi si era so-lidificato come se avesse capito tutto.

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«Sì. E sono qui per questo. Mi permetterà di affidare la bacchetta ad Ariana?».

Le dita di Aberforth si serrarono ad afferrare l’aria, tanto che le sue unghie si conficcarono nei palmi. Questa volta non urlò, si limitò a dire, con voce tremante di rabbia: «Esci. Subito Potter». La sua voce era rotta e flebile, il suo corpo scosso da tremiti.

Harry ne approfittò per parlare e d’un fiato disse: «Ma perché? Non capisce? È la soluzione migliore... nessuno potrebbe sospettare e, se mo-rirò di morte naturale, la bacchetta perderà i suoi poteri. Il cerchio si chiuderà! Non è questo che vuole?».

«Certo che lo voglio, Potter» riuscì a dire Aber-forth. «Ma non puoi. Non puoi chiedermi una cosa del genere. Quella bacchetta è stata la causa delle morte di Ariana. Albus la desiderava tanto che l’ha preferita a sua sorella. Non te ne rendi conto?».

«Capisco quello che prova... anzi, forse non posso capirlo ma so per certo che in quegli anni ed in quella situazione, anche suo fratello fu una vittima. Una vittima di Grindelwald, esattamen-te come Ariana. Silente subì tutto il fascino della sua follia. Era debole, come lo era Ariana, ed ha ceduto. Non se lo è mai perdonato. Ma lui vole-

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va i doni per una ragione molto diversa da quella che animava Grindelwald. Sì, lui voleva la pietra, ma per far tornare indietro i suoi genitori. Vole-va il mantello, ma per nascondere Ariana. E se lei si ostina e si obbliga a pensare che lui bramasse il potere più di quanto amasse la sua famiglia, è solo uno sciocco che tenta di soffocare una verità che conosce benissimo. E io non voglio più avere niente a che fare con lei».

Harry si girò, stizzito e schiumante di rabbia, e si diresse verso la porta, mentre la speranza lo ab-bandonava lasciando spazio al crudo risentimento.

«Potter, aspetta».Harry si voltò, sorpreso.«Vieni di sopra» disse Aberforth secco. Si av-

viò verso la scala, ed Harry lo seguì in silenzio.Salendo Harry si affacciò ad una delle finestre

lungo la scala e si accorse che era buio, all’esterno di ogni casa di Hogsmeade c’erano zucche inta-gliate; la luce balenante delle candele al loro inter-no fuoriusciva dai raccapriccianti lineamenti.

Entrambi arrivarono nella stanzetta scarna che era stata il loro rifugio tempo prima, e lo sguar-do di entrambi si posò sul grosso quadro sopra il camino spento. Una ragazza bionda ed eterea li guardava con occhi benigni.

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Harry rimase in disparte, mentre Aberforth si avvicinava a sua sorella. Li sentì bisbigliare: pro-babilmente Aberforth le stava spiegando la richie-sta di Harry. Solo quando vide Ariana annuire pia-no, e suo fratello girarsi verso di lui facendogli cenno di avvicinarsi, Harry li raggiunse.

Sfilò la bacchetta dalla tasca dei jeans e gliela porse esitante. Era leggermente luminosa; Harry guardò Aberforth sorpreso.

«Stasera Minami brillerà di nuovo» mormorò l’uomo indicando con la mano il cielo.

«Come?».«Minami, la stella. Oggi è il giorno della se-

conda apparizione, per questo la bacchetta brilla».Harry alzò la bacchetta soppesandola con le

dita e ammirando il leggero bagliore. Poi la porse all’uomo.

Il vecchio la prese tra le mani, incerto. La guardò, con occhi duri e tristi, tanto che per un attimo Harry pensò volesse spezzarla. For-tunatamente parve non lasciarsi dominare da tutto l’astio che nutriva verso quell’oggetto. Ripresosi, Aberforth tese la mano verso la tela ed appoggiò il palmo con sotto la bacchetta sul quadro. Bisbigliò qualche parola, e accad-de qualcosa che Harry non aveva mai visto. La

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bacchetta passò attraverso la tela, ed Ariana la afferrò.

«Credevo che fosse necessario aprire il passag-gio ...» fece Harry, sorpreso.

«Pensavo avessi intuito che questo quadro è molto speciale... e poi, cosa credi Potter? Mio fra-tello era un genio, ma io non faccio magie solo sulle capre ...».

Sorrisero entrambi e guardarono Ariana che la nascondeva nella tasca del suo vestito: la bacchet-ta era al suo posto, ed era al sicuro. Il cerchio si sarebbe finalmente chiuso?

*Rientrò al castello; gli doleva la testa nel punto

in cui il bolide l’aveva colpito: gli era spuntato un bel bernoccolo.

Appena varcata la soglia del grande portone notò subito una luce diversa dal solito provenire da due grandi zucche posizionate ai lati della sca-linata: accoglievano i visitatori con occhi maligni e un ghigno disegnato dalla luce che le animava. Si guardò intorno. Ce ne erano altre più piccole, colme di caramelle e dotate di ali aggraziate, che svolazzavano festose per i corridoi in cerca di studenti a cui regalare il loro ghiotto contenuto: quest’anno Vitious aveva superato se stesso. Har-

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ry, in tutti i suoi anni ad Hogwarts, aveva sempre aspettato questa festa con ansia, ma questa volta aveva dovuto pensare a questioni più importanti, più urgenti.

Per i corridoi non c’era nessuno, erano tutti a gustarsi il banchetto che, sicuramente, era ma-gnifico come sempre. Un brontolio gli riecheggiò nello stomaco vuoto, il profumo di costolette di agnello che giungeva dalla Sala Grande era irresi-stibile, ma non poteva nemmeno avvicinarsi, teo-ricamente lui era in infermeria.

Decise di nascondersi in una nicchia dietro ad un’armatura al primo piano; doveva essere un na-scondiglio molto usato dagli studenti perchè vi trovò alcuni libri, qualche piuma rotta e pergame-ne usate. Agguantò uno dei libri: Trasfigurazio-ne; l’immagine di Uglick che svaniva nel camino gli apparve nella mente. Le sue parole durante la prova di Ginny avevano scatenato la frenesia per trovare un modo per nascondere la bacchetta, ma ora che questo era fatto dovevano dedicarsi a Ci-nereus: lo stesso nome che aveva sentito nella sua visione del vecchio... Hermione se ne stava già occupando, ora l’avrebbe aiutata anche lui.

Proprio in quel momento sentì il galeone ri-scaldarsi tra le dita e seppe che era ora di salire

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sulla Torre di Astronomia. Uscì dal nascondiglio e percorse frettolosamente il tratto fino alle sca-le. Bruciava dalla curiosità di sapere il risultato della partita, ma se fosse passato in Sala Comune avrebbe corso il rischio di ritrovarsi davanti un altro sé stesso. Hermione era già sulla torre, o sa-rebbe arrivata a breve così da potergli “restitui-re” la sua identità. Quando aprì la porta che dava all’esterno una brezza fredda, preludio dell’ac-quazzone che stava per scatenarsi, scompigliò i suoi capelli.

Si guardò intorno: anche la torre era stata ad-dobbata con alcune zucche decorate che rischiari-vano il buio della notte nuvolosa e senza luna.

L’amica non era ancora arrivata; si diresse ver-so la murata che dava sul lago e, appoggiandosi ai merli, iniziò a fissare un punto indefinito della distesa d’acqua scura. I nuvoloni scuri carichi di pioggia si stavano ammassando nel cielo; in uno dei pochi sprazzi ancora liberi il suo sguardo ven-ne attratto quasi con forza da un alone rosso: una stella speciale e bellissima, dominava la scena notturna con la sua magnificenza; le nubi gonfie di pioggia sembravano trattenersi con reverenza per dare modo alla stella Minami di illuminare la terra.

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Sentì dei passi e si girò di scatto. «Ginny! Che ci fai qui? Aspettavo Hermione ...».

«Madama Chips non ha voluto assolutamen-te lasciarla alzare, e le ha somministrato qualcosa per riposare. Poi mi ha detto di andarmene».

«Che guaio! Se riprende il suo aspetto natura-le...».

«Non preoccuparti, mentre la salutavo ho so-stituito la polisucco al calmante che le aveva pre-scritto Madama Chips».

«Ingegnoso! E poi sei venuta qui ...».«Sono venuta ad avvertirti, non puoi andare in

giro per il castello mentre tutti sanno che sei in infermeria! Ti dispiace?» concluse sarcastica.

«No, anzi...» rispose Harry mostrando un gros-so sorriso. «Piuttosto... com’è andata la partita?».

«È andata benissimo, abbiamo vinto alla gran-de! E la tua missione? È riuscita?» gli chiese lei ammiccando felice.

«Ho nascosto la bacchetta, è tutto a posto». Rimase in silenzio per alcuni attimi guardando il cielo. «Così mi toccherà passare la notte nascosto quassù ...». Poi qualcosa attirò la sua attenzione.

«Guarda il cielo: ogni tanto tra le nuvole si vede apparire Minami».

Ginny alzò lo sguardo, i suoi occhi brillarono

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alla luce delle candele e Harry ne approfittò per tirarla a sè e abbracciarla dolcemente.

«Ora mi sento più leggero, era una cosa che andava fatta ...».

«Anche io mi sento più leggera ...» iniziò in un sospiro. «A che ora abbiamo Difesa lunedì?».

Solo allora Harry si ricordò dell’esame della ragazza... la tensione per la sua missione l’aveva fatta passare in secondo piano. Fu talmente spiaz-zato da quella domanda che non dovette sforzarsi molto a fingere il necessario stupore. «Cosa inten-di? Noi abbiamo Difesa le prime due ore, ma tu ...».

«Ah bene, allora scendiamo insieme subito dopo colazione!».

«Non capisco ...». Harry assunse un espressio-ne imbarazzata.

Ginny sorrise e gli scompigliò dolcemente i capelli.

«Scemo!» lo canzonò. «Ti sto prendendo in giro. Credevi non mi fossi accorta che durante l’e-same mi stavi seguendo? Ti ho visto troppe volte in azione con il Mantello perchè potessi riuscire ad ingannarmi».

«Ecco io... non volevo... lo giuro! Il patronus, l’Artiglio ...».

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La ragazza sorrise di nuovo e gli posò le labbra sulla guancia. «Grazie. Saperti vicino mi ha dato forza».

«Mi fai sentire un imbecille».«Lo sei!» scherzò lei. «Comunque domani

mattina usciranno i risultati in bacheca».«Come? Non sei ancora sicura di essere passa-

ta?».«Vuoi dire che dubiti del mio esame?» sorrise

lei.«No... sei stata brava. Anche se avrei preferito

che mi avessi chiesto di aiutarti invece di tenermi all’oscuro di tutto ...».

«Hai ragione, forse ho sbagliato a non dirti niente. È stata dura starti lontano e mentirti per così tanto tempo».

«Effettivamente... mi hai fatto penare un bel po’» rispose con un sorriso Harry fissandola negli occhi e accarezzandole i capelli.

«Mi dispiace per questo... mi sei mancato».«Anche tu ...».Harry sentiva il suo cuore martellare, parlare

a Ginny così vicina lo coinvolgeva quasi doloro-samente, l’aria stessa che respirava era carica di emozione.

«Sai, a volte ripenso a quanto ti desideravo

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mentre tu non mi vedevi o a quando eri troppo preso dalla tua lotta contro Voldemort e tutto il suo mondo» iniziò la ragazza.

«Erano altri tempi ...».«Ormai ci avevo quasi rinunciato e quando mi

hai baciato la prima volta io sono quasi impazzita dalla gioia. Non sai quanto ho sofferto quando mi hai detto che dovevamo lasciarci ma... sono stata costretta a farlo. Quell’ultimo bacio che ti ho dato al tuo diciassettesimo compleanno mi ha dato la forza di tirare avanti per mesi ...».

«Sì, è stato un bacio fantastico» disse perden-dosi nei ricordi. «E quando Ron ha spalancato la porta?» continuò Harry, poi abbassò lo sguardo e vide il volto di Ginny: era luminoso e candido . Voleva dirle quanto fosse bella ma la voce gli ven-ne meno.

Il chiarore che proveniva dalle candele, mesco-lato all’alone rossastro di Minami che oscillava da dietro le nuvole esaltava la bellezza della sua ra-gazza conferendole un’aura sovrannaturale, tanto che sembrava risplendere di luce propria: era ve-ramente stupenda.

Le si avvicinò e la baciò con trasporto.Poi il suo profumo, dolce e sensuale, il profu-

mo che lei usava e che gli faceva venire in mente i

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fiori selvatici che crescevano intorno alla Tana, lo assalì arrivando alle sue narici, inebriandolo, re-galandogli le stesse sensazioni che provava quan-do faceva qualche acrobazia con la sua Firebolt o catturava il boccino d’oro. Solo che questa volta era amplificato al massimo.

«Ginny, pensavo al tuo profumo».«Ma che dici?» chiese lei imbarazzata.«Ti spiego» rispose preoccupandosi che lei po-

tesse spezzare l’atmosfera che si era creata.Per Harry, quella era magia, la magia di cui

parlava Silente: la più grande di tutte.Sai, questo non l’ho detto mai a nessuno» affer-

mò tentennante, «ma quando Lumacorno ha fatto la sua prima lezione, ha preparato diverse pozio-ni; io, che non avevo la più pallida idea di cosa ci fosse nei calderoni, mi sono posizionato vicino a quello che il professore, o meglio, Hermione, ci ha detto contenere Amortentia ...».

«... il filtro d’amore più potente al mondo!», continuò lei con una voce che era un misto di sor-presa ed enorme curiosità.

«Sì, proprio quello.» continuò lui. «Ma la cosa che volevo dirti è che poi, Hermione, su richiesta di Lumacorno, ha descritto le sue caratteristiche. La più importante è che chiunque, davanti a quella pozione, sente un profumo diverso a seconda di

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quello che più lo attrae e io ...», tacque un attimo fissandola negli occhi, «io, anche se ancora non ne ero cosciente, ho sentito il tuo».

«Il mio ...» ripeté lei tentennando, con gli occhi umidi e le guance rosse.

«Sì, il profumo della tua pelle; lo stesso che sento ora e che mi sta facendo impazzire».

Quando Harry pronunciò quelle parole vide Ginny quasi tremare dall’emozione, mentre si stringeva più forte al suo corpo, Harry vide qual-cosa di diverso nei suoi occhi e anche lei sembra-va diversa, aveva assunto un nuovo atteggiamento più sicuro e deciso e in quel momento si rese con-to che erano diventati parte l’uno dell’altro.

Tutto ad un tratto iniziò una pioggerella legge-ra che portava il profumo della foresta. Harry qua-si si destò quando l’acqua tocco la pelle del suo viso. «Dai, torniamo dentro». Fece per muoversi, ma Ginny non si spostò di un passo. «Rimaniamo, non mi da fastidio e io... io sto bene qui con te».

Harry non seppe cosa fare: il desiderio che quel momento non finisse era troppo forte, ma la piog-gia aumentava e rischiava di diventare un diluvio.

Prese la bacchetta. «Impervium protego!». Su-bito una cappa trasparente, come un ombrello gi-gante, si frappose tra loro e la pioggia.

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«Come hai fatto?» chiese stupita Ginny.«Vitious una volta ha detto “quando non sai,

improvvisa”, come sono andato?».La ragazza sembrò colpita e scattò verso di lui,

che rimase sorpreso dal gesto; poi pian piano gli infilò le braccia sotto la camicia e sfiorò dolce-mente la sua pelle.

Harry si irrigidì «Cosa fai?».«Ssshh ...» sussurrò lei premendogli un dito

sulle labbra.Lo provocava e lui, rigido e impacciato, non

muoveva un muscolo; ad un tratto, gli occhi della ragazza ebbero un guizzo malizioso ed esclamò: «Questa pioggia fa troppo rumore». Estrasse una mano dalla camicia del ragazzo, prese la sua bac-chetta e mormorò: «Acuisces».

La torre divenne subito silenziosa.Harry rimase imbambolato mentre Ginny lo

guardava con occhi sornioni allontanandosi da lui; un brivido gli percorse la schiena, la ragaz-za esibiva un sorriso malizioso. Si chiese cosa le stesse passando per la testa.

Ginny fece un movimento con la bacchetta e la camicia di Harry si sfilò dal suo corpo.

«Che fai? Così giochi sporco, stai usando in-cantesimi non verbali!».

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Lei sorrise e gli mostrò la lingua; poi, con un altro abile movimento, gli levò anche la maglia: rimase a torso nudo.

Harry, a quel punto, stette al gioco e brandì an-che lui la bacchetta. «Accio blusa di Ginny!».

Ma lei fu più veloce. «Protego» replicò, man-dando a vuoto l’attacco poco convinto di Harry.

«Allora è la guerra che vuoi?» disse lui e con una fulminea mossa senza dir niente sfilò sia la veste che la camicia a Ginny.

«Harry!» esclamò lei, ma lui la fissava inebe-tito come se fosse stato colpito dal “Petrificus To-talus”; ai suoi occhi era semplicemente stupenda: fine e gentile nelle forme, il suo corpo seminudo era perfetto, il colore chiaro della sua pelle la fa-ceva sembrava una ninfa, tanto era candida. Il suo corpo risplendeva nonostante i nuvoloni avessero oscurato Minami e le altre stelle nel cielo.

Lei arrossì, abbassò lo sguardo e, senza dire nulla, lo abbracciò.

Il contatto della loro pelle fece provare a Harry un brivido di piacere: le loro labbra si sfiorarono, lui l’accarezzò dolcemente poi la passione li vinse, e lei posò delicatamente la mano sulla cintura del ragazzo.

«Ti desidero Harry, come non ho mai desidera-to nessun’altro».

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«Anche io, Ginny... ma sei davvero sicura?» chiese Harry con un brivido.

«Sì. Non so cosa accadrà domani. Voglio che tu sia mio per sempre.» gli disse guardandolo ne-gli occhi.

«Non dire cosi... io ti amo e impazzirei se non ti avessi al mio fianco» rispose Harry fissandola a sua volta.

Lei sostenne il suo sguardo e poi, in risposta, gli accarezzò il viso. «Harry, sono sicura» gli sus-surrò all’orecchio facendolo fremere ancora di più.

Harry non seppe resistere, la baciò appassiona-tamente e la strinse a sé.