Hannah Arendt Teoria Del Giudizio Politico - Lezioni Su Kant

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Hannah Arendt Teoria Del Giudizio Politico - Lezioni Su Kant Lessons on kant

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Giudicare dm•eva costituire la ter:ca e conclusiva parte di La vita della mente di Hannah A rendi. Tzllto ciò che riuscì ascriverne è rapprcselllato da questa pagina. con le due epigrafi. trovata nella macchina da scrin'l'e poco dopo la sua morte.

Hannah Arendt

Teoria del giudizio politico Lezioni sulla

filosofia politica di Kant

Con un saggio interpretativo di Rrma!d llcmcr

Edizione americana a cura di Ronald Beinn

ilmelangolo

Page 2: Hannah Arendt Teoria Del Giudizio Politico - Lezioni Su Kant

Titolo originale IA'CfliiTS 011 Kan/ :v

Politica! Philosoph1·

Traduzione di Pier Paolo Portinaro

Per il saggio di Ronald Bcincr

Titolo originale Interpreta/in: Essar.

H anna h A rendi 011 Juc~~ing

Traduzione di Carola Cicogna c Maurizio Vento

Copyright i; 19~2. The University ofChigaco Copyright(<: 1990, ilmclangolo s.r.l.

Copyright ·o 2005, il nuovo melangolo s.r.l. 16123 Genova, Via di Porta Soprana 3-1

www.ilmclangolo.com

ISBN XX-7018-56X-O

NOTA DEL TRADUTTORE

La traduzione è stata condotta sulle Lectures on Kant .i· Politica! Phi­losophl' curate da Ronald Bcincr, e collazionata all'edizione tedesca Das Urteilcn. Tcxtc ::.u Kanls politischcr Philosophic, trad. di Ursula Ludz, Piper, Miinchcn 19X5. Ci si è attenuti al principio della massima !cdcltà al testo, anche quando questo rivela fin troppo scopcrtamente la sua originaria de­stinazione didattica. Si è naturalmente tenuto conto (c talora non si sono po­tute evitare sovrapposizioni letterali c hrevi estrapolazioni) della traduzione di tì·ammcnti di queste Lcc!urc.1· già apparsa come "Appendice: Giudicare" in Il. Arendt, La l'ila della mente. a cura di A. Dal Lago, Il Mulino. Bologna 19X7, pp. 549-567. Tale traduzione è opera di Giorgio Zanctti. Anche il Po­stsaitJ/um al primo volume di The Ll{è o/the Milzd, che Ronald Beiner ha voluto inserire. fatta salva l'omissione di tre capoversi, come introduzione

alle /,eclurcs da lui così scrupolosamente curate. è riprodotto qui con il titolo Pos/scriptum a Pensare nella traduzione di Giorgio Zam:tti dell'opera H. Arendt, La l'ila della mente. a cura di A. Dal Lago, Il Mulino. Bologna 19X7,

pp. 30X-312, per gentile concessione dell'editore.

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PREFAZIONE ALL'EDIZIONE AMERICANA

Hannah Arendt non ha vissuto abbastanza per scrivere "Giudicare'', che doveva essere la terza c conclusiva parte del suo lavoro La vita della mente. Tuttavia gli studiosi del suo pensiero hanno buoni motivi per credere che, se questa opera fosse stata scritta avrebbe rappresentato il coronamento del suo pensiero. Lo scopo del presente saggio è quello di riunire i pricipali testi disponibili della Arendt su questo importante argomento. Ovviamente, questi testi non possono sostituire l'opera incompiuta, penso possano però offrire una traccia della direzione che il pensiero della Arcndt avrebbe pro­babilmente assunto nei contì·onti di questo tema, specialmente se li collo­chiamo nel contesto del suo lavoro considerato complessivamente. Nel mio saggio interprctativo spero di mostrare come da questi testi si possa ricavare qualcosa di coerente c aiutare il lettore ad attribuire loro il giusto rilievo. Non chiedo altro alla mia ricostruzione congetturale.

Il primo saggio è il Postscriptum della Arcndt alla prima parte della Vita della mente (Pensart.:). Esso forma l 'introduzione di "Giudicare", poiché offre un piano conciso del lavoro che la Arendt si propone e indica sia i temi fondamentali che l'intenzione principale. (Il Postscriptum, essendo l'ultimo capitolo di Pensare, costituisce il punto di transizione tra le due parti della Vita della mente, c annuncia gli argomenti principali che intenderà trattare nella seconda parte.) Le lezioni sulla Filosofia Politica di Kant, parte centrale del presente volume. sono un 'esposizione degli scritti politici cd estetici di Kant, scelti per mostrare come la Critica del Giudizio contiene in nucc l'ab­bozzo di una tllosotìa politica poderosa c importante - tìlosotia che lo stesso Kant non sviluppò esplicitamente (c di cui egli non era forse del tutto con­sapevole) ma che può, nondimeno, costituire il suo più grande lascito ai fi­losofi della politica. Hannah Arendt ha tenuto queste lezioni su Kant per la prima volta alla New School for Soci al Rcsearch, durante il semestre autun­nale del 1970. Ne aveva presentato una versione precedente nel 1964, al-

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l 'Università di Chicago, cd il materiale sul Giudizio era incluso anche nelle lezioni sulla filosofia morale tenute a Chicago c alla Ncw Schoolncl 1965 c 1966. La Arendt doveva tenere un altro corso di lezioni sulla Critica del Giudizio nel semestre primaverile del 1976 alla Ncw School, ma morì prima, nel dicembre 1975. Le note sull'Immaginazione sono tratte da un seminario sulla Cri fica del Giudizio tenuto alla Ncw School durante lo stesso semestre delle lezioni su Kant nel 1970. (La Arcndt teneva di solito i seminari in con­cordan~a con le lezioni su argomenti fortemente correlati, in modo da esplo­rare più profondamente determinate idee.) Questo seminario aiutava ad elaborare le lezioni su Kant dimostrando che la nozione di validità esemplare che emerge nella terza Crilica c la dottrina dello Schcmatismo della prima Critica sono correlate dal ruolo dell'immaginazione, che è fondamentale per entrambe, dato che provvede gli schemi cognitivi come esempi per il giudi­ZIO.

Il mio proposito è stato quello di operare una prima selezione tra i testi necessari al lettore per intravedere quali riflessioni di Hannah Arcndt emer­gano sul giudizio. Ho tralasciato invece altro matt:rialc disponibile, c riguar­dante anch'esso le lezioni pcrchè la sua considerazione avrebbe comportato una certa ripetitività nei confronti degli argomenti verso i quali il pensiero della Arendt si era mantenuto costante; sotto un altro aspetto tale materiale poteva rivelarsi irrilevante rispetto agli sviluppi assunti :,uccessivamente dal pensiero dell'autrice, ne ho liHto uso invece. dove necessario, solo nel mio commento.

l saggi raccolti in questo volume sono, per la maggior parte, annota-7ioni sulle lc~ioni, non pensate quindi ai tini di un 'eventuale pubblica7ione. Sebbene siano stati t~1tti alcuni cambiamenti dove l'espressione o la punteg­giatura sembravano sgrammaticate o poco chiare, la sostanza non è stata al­terata cd esse mantengono così la loro forma di annotazione. Il contenuto di questo libro non deve essere quindi frainteso in alcun modo c confuso con una composizione finita. La ragione che ci ha indotto a pubblicare queste fc::ioni è semplicemente quella di render note idee di notevole importanza, idee che l'autrice non sviluppò nel modo desiderato a causa della morte.

Le citazioni arendtianc delle f(mti nelle note alle lezioni cd al seminario erano spesso abbozzate, alcune invece piuttosto curate. La responsabilità delle note al testo della Arcndt è, quindi, interamente mia.

Sono protè:mdamente in debito verso Mary McCarthy per il suo costan­te aiuto e la sua gentilezza, senza la quale questo libro non sarebbe stato possibile. Sono anche debitore verso lo stafT del Manuscript Dìvision ofthe Library of Congress per la sua utile cooperazione.

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Post-scriptum a Pensare*

La seconda parte del nostro lavoro tratterà della volontà c del giudizio, }c altre due attività spirituali. Se le si guarda dalla pro­spettiva di queste speculazioni sul tempo, esse concernono cose che sono assenti, o perché non sono ancora o perché non sono più; a differenza dcii 'attività di pensiero, però, che in ogni sua espe­rienza frequenta ciò che è invisibile c tende sempre a gcncrali7Zarc, esse hanno sempre a che fare con ciò che è particolare c sotto que­sto profilo si tengono molto più strette al mondo delle apparenze. Se si desidera riconciliarsi con il senso comune, così profonda­mente ofTcso dal bisogno della ragione di perseguire la sua ricerca senza scopo, la ricerca di significato, si è tentati di giustificare tale bisogno esclusivamente su questa base, che pensare costituisce l'indispensabile preparativo per decidere ciò che sarà c valutare ciò che non è più. Siccome poi il passato, essendo passato, si rende soggetto al nostro giudizio. il giudizio costituirebbe, a sua volta. un semplice prcparativo per il volere. Tale è innegabilmente la pro­spettiva. nei suoi limiti legittima, dell'l[on1o in quanto essere che agisce.

Tuttavia questo tentati\ o estremo di difendere l'attività di pcn-

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siero dal rimprovero di non essere pratica, di essere inutile, non funziona. La decisione cui perviene la volontà non si può in nessun caso far derivare dal meccanismo del desiderio o da eventuali, pre­cedenti deliberazioni dell'intelletto. O la volontà è l'organo della libera spontaneità che spezza tutte le concatenazioni causali di mo­tivazione da cui verrebbe vincolata, o non è altro che un'illusione. Rispetto al desiderio da un lato, alla ragione dall'altro, la volontà agisce come "una specie di coup d 'état'', com'ebbe a dire Bergson, c ciò implica, naturalmente, che "gli atti liberi sono eccezionali": "benché siamo liberi ogni qual volta vogliamo rientrare in noi stes­si, ci capita raramente di voler/o" (corsivo mio). In altre parole, è impossibile trattare dell'attività della volontà senza toccare il pro­blema della libertà.*

La seconda parte del volume si concluderà con un 'analisi del­~a tàcoltà di giudizio: qui la difficoltà principale consiste nella pe­nuria singolare delle fonti in grado di produrre una testimonianza autorevole. Si dovette aspettare la Critica del giudizio di Kant per­ché tale facoltà divenisse il tema di primo piano di un pensatorc di pnmo pwno.

Diverrà palese come il presupposto da cui ho preso le mosse nel l 'isolare il giudizio come distinta facoltà della mente sia stato che non si perviene a giudizi né mediante deduzione né mediante induzione; i giudizi, insomma, non hanno nulla in comune con le operazioni logiche-- con enunciati del tipo: "Tutti gli uomini sono mortali; Socratc è un uomo; quindi, Socratc è mortale". Ci trove­remo allora sulle tracce di quel "senso silenzioso" che - quando pure lo si affrontasse è stato sempre, persino in Kant, pensato come "gusto", come pertinente perciò alla sfera d eli' estetica. N elle questioni etico-pratiche lo si chiamava "coscienza" (conscience). c la coscienza non giudicava; come voce divina di Dio o della ra-

*Sono stati qui omessi tre capoversi relativi alla facoltà di m/ere. seconda parte del volume La vita d<'lla mente. [N.d.C.]

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gionc, diceva bensì che cosa fare c che cosa non fare, di che cosa pentirsi. Qualunque cosa sia questa voce della coscienza, di essa non può certo dirsi che sia "silenziosa", e la sua validità dipende da un'autorità al di là c al di sopra di tutte le regole e le leggi me­ramentc umane.

In Kant il giudizio emerge come "un talento peculiare, che non si può insegnare, ma soltanto esercitare". Il giudizio ha a che fare con ciò che è particolare, e non appena l'io che pensa, che si muove fra generalizzazioni, riemerge dal suo ritiro c fa ritorno al mondo delle apparenze particolari, ecco che la mente, per affron­tarle, ha bisogno di un nuovo "dono". "Una persona ottusa e limi­tata", diceva Kant, " ... si può ben armare mediante lo studio, fino magari a farne un dotto. Ma poiché anche in tal caso a simili per­seme avviene di solito di essere in ditètto di giudizio, non è aftàtto raro incontrare uomini dotti, i quali nell'applicazione del loro sa­pere scientifico tradiscano quel difetto d'origine, che non si lascia mai correggere". In Kant, è la ragione con le sue "idee regolatrici" a venire in aiuto del giudizio·;· ma se è vero che si tratta di una fa­coltà distinta dalle altre facoltà della mente, si dovrà attribuirle il suo autonomo modus opcrandi. un proprio, specifico modo di pro­cedere.

E ciò non è senza importanza per tutto un insieme di problemi che assillano il pensiero della modernità, in spccial modo per il problema della teoria c della pratica,_Ilonché per tutti i tentativi di pervenire a una teoria dell'etica almeno parzialmente plausibile. Dopo Hcgcl c Marx, si sono affrontate tali questioni nella prospet­tiva della Storia e nella supposizione che questa idea, il Progresso del genere umano, sia ctlèttivamcntc una realtà. Alla fine, ci ritro­veremo solo con l'unica alternativa possibile in tali questioni: si può affermare, con H egei, Dic Weltgcschichte ist das Weltgericht. lasciando che sia il Successo l'ultimo a giudicare, oppure si può sostenere, con Kant, l'autonomia della mente degli uomini c la loro indipendenza virtuale dalle cose così come sono o come sono di­ventate.

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A questo punto dovremo occuparci, del resto non per la prima volta, del concetto di storia; possiamo essere in grado, però, di ri­flettere sul signitìcato più antico di questa parola che, come molti

altri termini del nostro linguaggo politico e filosofico, è di origine

greca e deriva da historcin, indagare per poter dire "come fu"- in Erodoto, !egei n t a conta. Ma l'origine di questo verbo è ancora

una volta in Omero (Iliade, XVIII), ove s'incontra il sostantivo hi­stor (se si vuole, lo "storico"): ora, questo storico omcrico è il giu­dice. Se il giudizio è la facoltà che in noi si occupa del passato, lo storico è l'indagatorc curioso che, raccontandolo, siede in giudizio sopra di esso. E se è così, è torse possibile riscattare la nostra di­

gnità umana, strappandola, per così dire, a quella pscudo-divinità

dell'epoca moderna chiamata Storia, senza negare l'importanza della storia, rna negando il suo diritto, a costituirsi giudice ultimo.

Catone il Vecchio, con il quale sono cominciate queste riflessioni - "Non sono mai meno solo di quando sono con mc stesso, non sono mai più attivo di quando non bccio nulla"- disse una frase

singolare che compendia nel modo più adeguato il principio poli­tico che è implicito in tale opera di riscatto. Egli affermava: "Vic­trix causa d cis p/acui t, scd l'icta Catoni" (La causa dei vincitori piacque agli dci, ma quella dci vinti a Catone).

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TEORIA DEL GIUDIZIO POLITICO

Lezioni sulla tìlosofia politica di Kant tenute alla New School For Social Rescarch

nell'autunno I970

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PRIMA LEZIONE

Discutere c studiare la filosofia politica di Kant è cosa che presenta le sue difficoltà. A differenza di molti altri filosofi- Pla­tone, Aristotele, Agostino, Tommaso, Spinoza, Hcgcl e via dicendo ·- Kant non ha mai scritto una filosofia politica. La letteratura su di lui è enorme, ma sono molto pochi i libri sulla sua filosofia po­litica e, fra questi, ve n'è uno solo meritevole di essere letto: Kants Weg vom Krieg zum Frieden (1/ cammino di Kant dalla guerra alla pace) di Hans Sancr'. In Francia è recentemente apparsa una rac­colta di saggi dedicati alla filosofia politica di Kant2: alcuni di essi sono interessanti, ma anche in questo caso non tarderete a notare che, per quanto concerne lo stesso Kant, il problema viene relegato ai margini. Fra tutti i libri che espongono globalmente la sua tilo­sotia, soltanto quello di Jaspcrs riserva almeno un quarto delle sue pagine a questo tema specitìco (Jaspcrs, l'unico allievo che Kant abbia avuto; Sancr, l'unico allievo che Jaspcrs abbia avuto). I saggi contenuti nel volume On flistorv3 o nella recente raccolta intitolata Kant :1· Politica! Writing.\.4, non possono essere paragonati per qua­lità e profondità agli altri scritti kantiani; e certamente non costi­tuiscono una "quarta critica", come ha ritenuto un interprete desideroso di rivendicare loro quel rango, semplicemente perché

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erano oggetto delle sue ricerche'. Kant medesimo ha definito tal uni di essi un semplice "gioco d'immaginazione" o un "mero viaggio di piacere"6

. E il tono ironico di Zum ewigen Frieden (Per la pace perpetua), fra quelli di gran lunga lo scritto più importante, mostra chiaramente che egli non li prendeva troppo seriamente. In una let­tera a Kicscwetter ( 15 ottobre 1795) parla delle sue "reverics «per la pace perpetua»" (quasi che pensasse alla sua precedente burla indirizzata a Schwedenborg, i suoi Triiume cincs Geistersehers. crlautcrt durch Traumc der Metaphysik (Sogni di un visionario chiariti con i sogni della mctafìsica) [ 1766]. Per quanto concerne la Dottrina del diritto (o della legge) [prima parte della Metafìsica dei costumi]- che è contenuta soltanto nel volume curato da Rciss c che, leggendola, troverete probabilmente piuttosto noiosa c pc­dante -. è difficile non concordare con Schopcnhauer, che soste­neva: "essa sembrerebbe non l'opera di questo grande, ma il prodotto di un comune mortale". Il concetto di legge riveste una grande importanza nella filosofia pratica kantiana, dove l'uomo è concepito come un essere legislatore. Ma se vogliamo studiare la tìlosotìa del diritto in generale, dobbiamo rivolgerei non a Kant, ma a Pufcndorff o a Grozio o a Montcsquieu.

Infine, se prendete in considerazione gli altri saggi del volume di Reiss o della silloge On History, vedrete che molti di essi hanno per tema la storia, così che, a prima vista, si direbbe quasi che Kant, al pari di tanti dopo di lui, abbia collocato al posto della filosofia politica una fìlosotìa della storia. Ma poi, a ben vedere, nemmeno il concetto di storia, per quanto scnz'altro importante se preso in sé, sta al centro della filosofia kantiana, c noi dovremmo rivolgerei a Vico o a Hcgel o a Marx se volessimo assumere la storia a og­getto d'indagine. Per Kant la storia è parte della natura; il soggetto storico è il genere umano inteso come parte della creazione, anche se, per così dire, come il suo scopo tìnale, come il coronamento della creazione.

Ciò che conta nella storia, la cui casuale, contingente malin­conia, Kant non ha mai dimenticato, non sono le storie, non sono

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gli individui storici, non è ciò che gli uomini hanno fatto nel bene o nel male, ma l'astuzia segreta della natura, che ha reso possibile il progresso della specie e lo sviluppo delle sue potenzialità nel succedersi delle generazioni. La durata della vita dcii 'uomo come individuo è troppo breve per consentire lo sviluppo di tutte le di­sposizioni c possibilità umane; la storia del genere umano è per­tanto il processo in cui "tutti i germi posti in essa dalla natura potranno conseguire un perfetto sviluppo e la sua destinazione qui sulla terra sarà pienamente adempiuta". 7 Questa è "storia univer­sale", vista in analogia allo sviluppo organico dell'individuo: in­fanzia, adolescenza, maturità. Kant non è mai interessato al passato; ciò che lo interessa è il futuro della specie. L'uomo è stato cacciato dal paradiso non a causa del peccato c non da un Dio ven­dicatore ma dalla natura, che lo ha espulso dal suo grembo materno c lo ha bandito dall'Eden, "dallo stato innocente e tranquillo dcl­l'int~mzia".' Questo è l'inizio della storia; il suo corso è il progres­so c il risultato di questo processo c chiamato talora "cultura"') talaltra "libcrtù" (''dalla tutela della natura allo stato di libcrtà"); 111

c solo una volta. quasi incidentalmente in una parentesi. Kant af. ferma che è in gioco il raggiungi mento dello "scopo supremo della destinazione umana", vale a dire, della "socicvolezza'· ( Gese!lig­keil)I 1 (Più avanti ne vedremo l'importanza). Il progresso stesso. il concetto dominante del diciottesimo secolo. è visto da Kant piut­tosto con malinconia: a più riprese egli ne sottolinea le deplorevoli conseguenze per la vita dell'individuo.

"'Anche se consideriamo lo stato fisico c morale dell'uomo. in questa vita. nella prospettiva migliore di un costante: progrc:.so c· avvicinamento al som­

nlo bene (a lui connaturato come scopo) egli 11011 può tultavia." ritenersi soddisf~ltlo .. in 1 i sta di un mutamcnto dellnitivo della sua condizione.

lnlùtti lo stato. nel quale ora si trova. rc·sta comunque un male. se confron­talo a quello migliore in cui è in procinto di cntrarc; c la rappresentazione

di un inccssanlé progresso verso lo scopo finale è comunque al tempo stes­so la prospctl~uionc di una serie interminabile di mali, che non lascia adito

alla soddist~uionc'". 1 "'

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Un altro modo, un po' indelicato ma certo non del tutto ingiu­stificato, di contestare la mia scelta tematica, sta nel rilevare che tutti gli scritti che solitamente vengono presi in considerazione -c che anch'io ho preso in considerazione- appartengono agli ulti­mi anni di Kant, agli anni insomma del declino delle sue tàcoltà intellettuali fino al rimbccillimento senile. Per replicare a questo argomento vi ho chiesto di leggere le molto anteriori Beohachtun­gen iiher das Gefùhl des Schònen an d Erhabenen (Osservazioni sul sentimento del bello e del suhlime).u Anticipo qui la mia opi­nione, che spero di rendere plausibile nel corso di questo semestre: se si conosce l'opera di Kant e si tiene conto delle circostanze bio­grafiche, si è piuttosto tentati di capovolgere l'argomento e soste­nere che Kant divenne consapevole del politico, come momento, distinto dal sociale, della condizione umana nel mondo, soltanto piuttosto tardi nella sua vita, quando ormai non aveva più né la for­za né il tempo di elaborare una sua filosofia su questo specifico ar­gomento. Con ciò non intendo dire che Kant a causa della brevità della vita non è riuscito a scrivere la "quarta critica" ma piuttosto che la "terza critica", la Kritik der Urteilskraft (Critica del Giudi­zio)- che a differenza della Kritik der praktischen Vernunji (Cri­tica della ragion pratica) fu scritta spontaneamente c non come risposta a osservazioni, interrogazioni c attacchi- avrebbe dovuto diventare in realtà il libro che appunto manca nel grande opus kan­tiano.

Ultimata l'impresa delle critiche, erano rimaste, dal suo punto di vista, due questioni, che lo avevano tormentato per tutta la vita e la cui soluzione era stata differita nel!' intento di chiarire prima quello che egli chiamava lo "scandalo della ragione": il fatto che la ragione contraddica se stessa 14 in quanto il pensiero trascende i limiti di ciò che possiamo conoscere e resta imprigionato nelle sue proprie antinomie. Sappiamo, per testimonianza dello stesso Kant, che la svolta della sua vita coincise con la scoperta (nel 1770) delle tàcoltà conoscitive della mente umana c delle loro limitazioni, sco­perta che gli richiese più di dieci anni per venire elaborata e pub-

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blicata come Kritik der reinen Vernunft (Critica della ragion pura). Sappiamo pure dalle sue lettere ciò che questo immane lavoro di tanti anni significò per gli altri suoi progetti ed idee. Egli scrive che questo "problema fondamentale" tratteneva c ostruiva come "una diga" ogni altro lavoro che avesse sperato di portare a termine c pubblicare; che era come una "pietra" posta sul suo "cammino", nel quale poteva procedere solo dopo averla rimossa. 15 Quando poi Kant si rivolse di nuovo ai suoi interessi del periodo prccritico, questi si erano un po' modificati alla luce di ciò che ora sapeva; ma non erano mutati così profondamente da risultare irriconosci­bili. Neppure possiamo affermare che avessero perso per lui la loro urgenza.

La più importante trasformazione può essere indicata nel mo­do seguente. Anteriormente alla svolta del 1770 Kant aveva colti­vato l'intenzione di scrivere e pubblicare presto la Metaphysik der Sitten (Metafìsica dei costumi), un'opera che in effetti scrisse e pubblicò, ma soltanto trent'anni più tardi. Ma a quella prima data, il libro fu annunciato con il titolo Kritik des moralischen Ge­schmacks (Critica del gusto morale); 16 e quando infine si rivolse alla sua terza Critica, Kant la intitolò inizialmente ancora "Critica del gusto". Nel frattempo due cose erano accadute: dietro il gusto, argomento prediletto di tutto il diciottesimo secolo, Kant aveva scoperto una facoltà umana interamente nuova, vale a dire il giu­dizio; ma, allo stesso tempo, egli aveva sottratto le proposizioni etiche alla competenza di questa nuova tàcoltà. In altri tenninini: qualcosa di più del semplice gusto era ora chiamato a decidere sul bello c sul brutto, mentre il problema del giusto e dell'ingiusto non doveva esser deciso né dal gusto né dal giudizio, ma dalla ragione soltanto.

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SECONDA LEZIONE

Nella prima lezione dissi che per Kant, verso la fine della sua vita, due questioni erano rimaste aperte. La pritmÌ potrebbe essere sintetizzata o almeno indicata nella ·'socicvolczza" dell'uomo, vale a dire nel fatto che nessun uomo può vivere solo, che gli uomini sono intcrdipcndcnti non solo nei loro bisogni c nelle loro cure ma anche per quanto riguarda la loro somma facoltà, la mente, che non può funzionare al di fuori della società umana. La "buona compa­gnia" è "indispensabile per l'C'SI' C're pC'nsantc". 17 Questo concetto è una chiave per la comprensione della prima parte della Critica del CJiudi::.io. Che la Critica dC'! CJiudi::io. o del "gusto", fòssc stata scritta in risposta a una questione irnsolta del periodo prccritico, è evidente. Al pari delle Osscrl'll:::ioni anche la C 'rilica è ripartita se­condo le categorie del Bello e dd Sublime. F nella prima opera, che si legge come se fosse stata scritta da uno dci moralisti thm­cesi, la questione della "socicvolczza", della "buona compagnia". eta già. benché non nella stessa misura. una questione centrale. In quel testo Kant rende conto dell'esperienza effettiva che sta dietro al "problema": questa esperienza era a prescindere dalla vita so­ciale reale del giovane Kant una sorta di esperimento mentale, il seguente:

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Sogno di Carazan: "Quest'uomo ricco ed avaro aveva chiuso il cuore, via via che si accrescevano le sue ricchezze, alla pietà e all'amore per tutti gli altri. Eppure a misura che in lui si raffreddava l'amore per gli uomini. au­mentava l'assiduità delle preghiere e delle pratiche religiose". Compiuta questa confessione, egli prosegue dicendo: "Una sera, dopo che, presso alla lampada, ebbi tàtto i miei conti c calcolato i miei guadagni, fui sopra!~ làtto dal sonno. i\ questo punto, vidi piombare su di mc l'angelo della mor­te simile a una folgore; esso mi colpì prima che io potessi schivare la spaventosa percossa. Restai pietrificato appena mi accorsi che la mia sorte si decideva per l'eternità, che nulla poteva essere aggiunto a tutto il bene che avevo compiuto, e nulla poteva esser detratto da tutto il male che avevo operato. Fui condotto dinam•i al trono di Colui che abita nel sommo dci cicli. La luce che splendeva di fronte a mc mi disse allora: «Carazan, la tua devozione è maledetta. Hai chiuso il tuo cuore all'amore degli uomini, c hai stretto i tuoi tesori entro un pugno di ferro. Vivesti solamente per te stesso: d'ora in avanti vivrai in solitudine per l'eternità, tagliato fuori da ogni contatto con tutta la creazione». In quell'istante fui trascinato da una forza invisibile. c sospinto attraverso lo splendente sistema del creato. To­sto lasciai dietro di mc innumerevoli mondi, e, non appena fui vicino alli­mite estremo della natura. mi accorsi che le ombre del vuoto sconfinato si ritraevano nell'abisso al mio cospetto. Un regno spaventoso di silenzio eterno, di ekrna solitudine c oscurità' Indicibile l'orron: che mi colse a questo spettacolo. Piano piano pcrdetti di vista le ultime stelle, c finalmente anche l 'ultima ii oca parvenza di luce si spense nell'oscurità circostante. L'angoscia mortale della disperazione cresceva ad ogni istante, come ad ogni istante aumentava la mia lontananza dall'ultimo dci mondi abitati. Pensavo con intollerabile ambascia che. se per altre diecimila volte mille anni mi avessero portato di là dci contini di tutta la crea? ione, sempre avrei guardato innanzi nello smisurato abisso dell'oscurità, scn7a aiuto né spe­ranza di un qualche ritorno ... In questo stordimento, allungai le mani con tanta vcemcnnr verso gli oggetti reali, da vcnirnc destato. Ed ora ho impa­rato ad apprcnare gli uomini: ché anche il più umile di loro. quello che nella superbia della mia IC!icitù avevo scacciato dalla mia porta, in quella spavcntevole desolazione sarebbe stato da mc preferito a tutti i tesori di

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La,scconda questione, che era rimasta aperta, é centrale per la seconda parte della Critica del Giudizio che si distingue dalla prima così marcatamcntc che la mancanza di unità del libro ha fi­nito sempre per dar adito a commenti (Baeumler ad esempio si

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chiedeva se esso fosse qualcosa di più che la "stramberia di un vec­chio").19 Questa seconda questione, sollevata nel § 67 della Critica del Giudizio. recita: "Perché è necessario che esistano uomini?". An eh' essa era stata lasciata in sospeso. Tutti voi conoscete le tà­mose tre domande, rispondere alle quali rappresenta secondo Kant il vero e proprio compito della filosofia: Che cosa posso sapere? Che cosa debbo fare? Che cosa mi e lecito sperare? Nelle sue le­zioni Kant era solito aggiungere a queste tre domande una quarta: Che cosa è l 'uomo? E specificava: "Alla prima domanda risponde la metafisica, alla seconda la morale, alla terza la religione e alla quarta l'antropologia. Ma, in fondo, tutta questa materia potrebbe essere ascritta ali' «antropologia», perché i primi tre problemi siri­feriscono al quarto". 20 La domanda rimanda con evidenza ad un'al­tra, posta da Leibniz, Schelling, Heidegger: perché dovrebbe esserci qualcosa e non piuttosto nulla? Leibniz dice che questa "è la prima domanda che abbiamo diritto di porre" e aggiunge: "Car le rien est plus simplc et plus facile que quclque chose".21 Dovreb­be essere chiaro che, comunque voi formuliate questi «perché?», qualsiasi risposta che cominciasse a sua volta con un «perché» suo­nerebbe e sarebbe ridicola. Intàtti il «perché?» non va in realtà alla ricerca di una causa. domandando, ad esempio, "come si sia for­mata la vita", oppure "come sia sorto l'universo" (con o senza esplosione?). Si chiede piuttosto a quale scopo tutto ciò sia acca­duto, posto che "lo scopo dcll 'esistenza della natura stessa deve essere cercato al di sopra della natura"/2 lo scopo della vita al di là della vita, quello dell'universo al di là dell'universo. Questo sco­po, al pari di ogni altro, deve essere più che natura, vita o universo, che a loro volta, sulla base di questa problematica, vengono degra­dati a mezzi rispetto a qualcosa di superiore. (Quando Heideggcr, nella sua filosofia tarda, insiste nel cercare di stabilire una relazione tra l 'uomo e l'essere, in base alla quale entrambi si presuppongano c si condizionino reciprocamente ·- l'essere che richiede l 'uomo; l'uomo che diventa custode o "pastore" dell'essere; l'essere che ha bisogno dell'uomo per il suo proprio apparire; l 'uomo che ha

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bisogno dell'essere non solo come condizione della sua esistenza ma interessandosi al suo proprio essere come nessun altro ente o cosa viventc23 etc. -, lo fa per sfuggire più che ai paradossi di una riflessione sistematica del nulla, alla reciproca degradazione di tutti quei "perché").

La risposta di Kant a questo intricato problema, stando alla seconda parte della Critica del Giudizio, sarebbe stata: noi ci do­mandiamo "Qual è lo scopo della natura?" semplicemente perché siamo noi stessi esseri teleologici che continuamente si propon­gono scopi e fini e appartengono, nella loro intenzionalità, alla natura. Nello stesso spirito si potrebbe rispondere alla domanda "Perché ci tormentiamo con problemi manifestamente insolubili quali quello del!' origine dcii 'universo o della sua eternità?", os­servando che è inerente alla nostra autentica natura essere degli iniziatori e pertanto costituire dei cominciamenti lungo il corso della nostra vita. 24

Ma torniamo alla Critica del Giudizio. Le corrispondenze tra le sue due parti sono deboli ma, così come sono vale a dire così come prcsumibilmente sono state percepite dallo stesso Kant , si connettono più strettamente al politico che a qualsiasi motivo delle altre Critiche. Ci sono due importanti corrispondenze. La prima è che in nessuna delle due parti Kant parla dell'uomo come di un es­sere capace di intelletto c di conoscenza. La parola verità non vi compare, salvo una volta in un contesto particolare. La prima parte parla di uomini al plurale, come effettivamente sono vivendo in società, la seconda parla del genere umano (Kant sottolinea ciò nel passo appena citato, osservando a proposito del "perché è neces­sario che esistano degli uomini": "al che non sarebbe tanto facile rispondere se si pensa agli abitanti della Nuova Olanda" o ad altre tribù primitive )_25 La differenza fondamentale tra la Critica della ragion pratica c la Critica del Giudizio consiste nel fatto che le leggi morali della prima sono valide per tutti gli esseri capaci di intelletto, mentre la validità delle regole della seconda è stretta­mente circoscritta agli esseri umani sulla terra. La seconda corri-

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spondenza risiede nel fatto che la facoltà del giudizio concerne il particolare che, "come tale, rispetto ali' universale contiene qual­cosa di contingente,26 mentre è con l'universale che di norma ha a che fare il pensiero. Il particolare è a sua volta di due tipi. La prima parte della Critica del Giudizio tratta degli oggetti del giudizio in senso proprio, come l'oggetto che diciamo "bello" senza essere in grado di sussumerlo sotto una categoria generale. (Se dite "Che bella rosa!" non giungete a tale giudizio col dire "Tutte le rose sono belle, questo fiore è una rosa, quindi è bello" oppure al contrario "La bellezza appartiene alle rose, questo fiore è una rosa, quindi è bello"). L'altro genere del particolare, di cui tratta la seconda parte della Critica del Giudizio. concerne l'impossibilità di derivare un qualsiasi prodotto particolare della natura da cause generali: "as­solutamente non v'è nessuna ragione umana (ed anche nessuna ra­gione finita molto superiore alla nostra per grado, ma simile per la qualità), che possa sperare di comprendere semplicemente secondo cause meccaniche la produzione sia pure di un filetto d'erba"Y (Nella terminologia kantiana, il termine "meccanico" designa le cause naturali; in opposizione a "tecnico", che per lui significa "ar­tificiale", cioè fabbricato in vista di uno scopo. La distinzione è tra cose che si formano da sé c cose che sono prodotte per un fine o scopo particolare). L'accento cade qui su "comprendere": "come posso comprendere (c non soltanto spiegare) perché mai ci sia dell'erba e poi questo particolare tìlo d'erba?", La soluzione di Kant consiste nell'introdurre il principio telcologico, "il principio dei tini nei prodotti della natura", come un "principio euristico" per "ricercare le leggi particolari della natura"~ anche se esso "non ci fa meglio comprendere il modo di formarsi" dei prodotti della natura". 2x Noi non ci occupiamo qui di questa parte della filosofia kantiana, che, a ben vedere, non tratta del giudizio sul particolare quanto piuttosto della natura. Benché, come vedremo, Kant con­cepisca la storia come parte della natura ~la storia del genere uma­no è parte della storia delle specie animali sulla terra, i suoi sforzi tendono all'individuazione di un principio della conoscenza piut-

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tosto che del giudizio. Cionondimeno dovrebbe esservi chiaro che, come potete porre la domanda: "Perché mai è necessario che esi­stano uomini'?", così potete anche chiedere perché è necessario che esistano alberi o ti li d'erba e così via.

In altri termini, i temi della Critica del Giudizio - il partico­lare, sia esso un fatto della natura o un evento della storia; il giu­_cJiJ:iQ, come facoltà della mente umana che lo concerne; la socievolezza dell'uomo come condizione del funzionamento di

--qÙesta facoltà, cioè l 'idea che gli uomini dipendono dai loro simili non soltanto perché hanno un corpo e dei bisogni fisici ma proprio in virtù delle loro facoltà mentali ~ questi temi, tutti di eminente signitìcato politico, vale a dire rilevanti per il politico, avevano oc­cupato Kant ben prima che egli, ormai vecchio, si volgesse ad essi avendo portato a compimento la sua "tàtica critica". Proprio nel­l'interesse di quei temi si lasciò indurre a differire la stesura della parte "dottrinale" della sua opera, a cui avrebbe voluto dedicarsi "per strappare, se possibile, alla mia crescente vecchiezza il tempo che potrebbe essere ancora in qualche modo favorevole a tale la­voro".29 Questa parte "dottrinale" doveva contenere la "metatìsica della natura e dei costumi": in essa non ci sarebbe però stato alcun posto, "alcuna sezione speciale" per la facoltà del giudizio. E infàtti il giudizio del particolare~ questo è bello, questo è brutto, questo è giusto, questo è sbagliato non trova posto nella tìlosofia morale kantiana. Il giudizio non è la ragion pratica; la ragion pratica "ra­giona" e mi dice che cosa tàre c che cosa non tàrc; essa prescrive la legge c s'idcntitìca con la volontà, che impartisce comandi e sentenzia imperativi. Il giudizio, invece, nasce da un "piacere pu­ramente contemplativo" o da "soddisfazione inattiva" (untatiges Wohlgefallen ). 10

Il "sentimento del piacere contemplativo" si chiama "gusto" c la Critica del Giudizio doveva originariamente intitolarsi "Critica del gusto". Del gusto "una filosofia pratica non deve occuparsi co­mc di parte integrante, ma al caso trattame soltanto in modo epi­sodico".31 Non suona forse plausibile? Come potrebbero "piacere

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contemplativo" e "soddisfazione inattiva" aver qualcosa a che fare con la pratica? Non è questa la convincente dimostrazione che Kant, nel momento in cui si rivolse alla fatica dottrinale, aveva de­ciso che il suo interesse per il particolare e il contingente era una cosa del passato c niente di più che un episodio marginale? Eppure, come vedremo, la sua posizione definitiva nei confronti della Ri­voluzione francese, un evento che rivestì un ruolo centrale nei suoi ultimi anni, allorché ogni giorno attendeva con grande impazienza l'arrivo dci giornali, fu determinata da questo atteggiamento del semplice spettatore, di chi "non è coinvolto personalmente nel gio­co", ma si limita a seguirlo con "partecipazione benevola, talora quasi entusiastica" il che certamente non significa (e meno che mai per Kant) la volontà di fàre una rivoluzione. La sua partecipazione nasceva dal "piacere puramente contemplativo" e dalla "soddistà­zione inattiva".

C'è solo un elemento negli scritti dell'ultimo Kant su questi temi che non possiamo rintracciare già nel periodo precritico. Per questa tàsc non vi è nessun indizio di un suo interesse per questioni costituzionali e istituzionali in senso stretto. Ma proprio questo in­teresse divenne dominante negli ultimi anni della sua vita, dopo il 1790, anno di pubblicazione della Critica del Giudizio, quando vennero scritti quasi tutti i suoi lavori propriamente politici, anzi, il che è ancor più significativo, dopo il 1789, l'anno della Rivolu­zione francese, in cui aveva compiuto 65 anni. A partire da questo momento il suo interesse non si orientò più esclusivamente verso il particolare, la storia o la socicvolezza umana, ma si concentrò su quel che noi oggi chiameremmo diritto costituzionale- il modo in cui dovrebbe essere organizzato costituzionalmente il corpo po­litico, il concetto di governo "repubblicano", cioè costituzionale, la questione delle relazioni internazionali etc. La prima avvisaglia di questo mutamento può forse essere trovata nella nota al § 65 della Critica del Giudizio. dove Kant si riferisce alla Rivoluzione americana, per la quale aveva già mostrato molto interesse. In essa scrive:

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Così, trattandosi deirimpresa di una totale trasforma7ione di un grande popolo in uno stato, si è adoperata spesso e molto opportunamente la parola organizzazione per designare l'assetto delle magistrature, etc., c pcrtìno di tutto il corpo dello stato. Perché in un tutto come questo ogni membro dev'essere non soltanto mezzo, ma anche scopo; e, mentre concorre alla possibilità del tutto, è determinato a sua volta dall'idea del tutto, relativa­mente al suo posto c alla sua funzione.

Proprio questi problemi dell'organizzazione di un popolo in uno stato, della costituzione dello stato, dc11afòndazione di una comunità politica, con tutte le connesse implicazioni giuridiche, sono stati al centro del lavoro di Kant nei suoi ultimi anni. Non che il precedente interesse per l'astuzia della natura o per la socie­volezza degli uomini fosse interamente scomparso. Esso veniva però sottoposto ad un certo mutamento o, meglio, si ripresentava in nuove c inattese formulazioni. Così troviamo in Per la pace per­petua il sorprendente articolo che prevede un diritto di visita (Be­suchsrecht), il diritto cioè di visitare paesi stranieri, il diritto di ospitalità (Recht auj' Hospitalitat) e di temporaneo soggiorno. 32

Nello stesso saggio incontriamo di nuovo la natura come la "gran­dc artefice", che fornisce la "garanzia della pace pcrpetua".33 Ma senza quei nuovi interessi sembra piuttosto improbabile che Kant avrebbe iniziato la Metafìsica dei costumi con la "dottrina del di­ritto"; così come non si spiegherebbe una delle sue ultime enun­ciazioni (nella seconda sezione di Der Sfl·cit der Fakultiiten (Il conflitto dellefacoltà), la cui ultima sezione mostra già chiari segni del suo declino intellettuale): "È piacevole progettare costituzioni" -un "dolce sogno", il cui esaudimento è "non soltanto pensabile, bensì. .. dovere, [comunque l non del cittadino, ma del sovrano". 34

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TERZA LEZIONE

Si sarebbe indotti a pensare che il problema di Kant nell'ulti­mo periodo della sua vita- allorché la Rivoluzione americana e, ancor più, quella francese, lo avevano per così dire destato dal suo sonno politico (come in giovinezza Humc lo aveva strappato al sonno dogmatico c negli anni della maturità Rousseau a quello mo­rale) riguardasse il modo di coniugare la questione dell'organiz­zazione dello stato con la sua filosofia morale, cioè con il dettame della ragion pratica. (Ma non è così). E il fàtto sorprendente è che Kant sapeva che qui la sua filosofia morale non poteva soccorrere. Perciò si teneva alla larga da ogni moraleggiare, riconoscendo che il problema era come poter costringere l'uomo a "essere un buon cittadino" anche quando moralmente buono non è, e che non dalla moralità ci si deve attendere "la buona costituzione dello stato; an­zi, è soprattutto da una buona costituzione dello stato che c'è da aspettarsi la buona educazione morale di un popolo". 35 Questo può richiamare l'osservazione di Aristotele, secondo cui un uomo buo­no può essere un buon cittadino solo in uno stato buono, se si pre­scinde dal fatto che Kant (il che è assai sorprendente e va, nel separare moralità e buona cittadinanza, ben oltre Aristotele) giunge alla conclusione:

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"Il problema della costituzione di uno stato è risolvibilc, per. quanto l'espressione possa sembrare dura, anche da un popolo di diavoli, purché siano dotati di intelligenza. TI problema si riduce a questo: come ordinare una moltitudine di esseri ragionevoli, che desiderano tutti assieme di sot­toporsi per la loro conservazione a pubbliche leggi, alle quali ognuno nel segreto del suo animo tende a sottrarsi, c come dare a esseri di questa sorta una costituzione tale che. malgrado i contrasti derivanti dalle loro private intenzioni, queste si neutralizzino l'una con l'altra, di maniera che essi, nella loro condotta pubblica, vengano a comportarsi come se non avessero

affatto cattive intenzioni"36

Questo passo è cruciale. Quel che in sostanza Kant dice è che - variando la formula aristotelica- un uomo malvagio può essere un buon cittadino in uno stato buono. La sua definizione di "mal­vagio" è qui in sintonia con la sua filosofia morale. L'imperativo morale ti dice: agisci sempre in modo che la massima del tuo agire possa diventare una legge universale, il che vuoi dire: "mi debbo comportare in modo da poter anche volere che la mia massima di­venga una legge universalc". 37 L'idea centrale è molto semplice. Nelle parole stesse di Kant: io posso volere una menzogna parti­colare, ma in nessun modo posso volere "una legge universale che comandi di mentire": "perché, stabilita questa legge, non ci sarebbe più propriamente alcuna promessa".3s Ovvero: io posso desiderare di rubare, ma non posso volere che il furto venga elevato a legge universale, perché in presenza di una simile legge non ci sarebbe più proprietà. L'uomo malvagio è, secondo Kant, colui che tà un 'eccezione per sé, c non colui che vuole il male, giacché questo è a suo parere impossibile perciò il "popolo di diavoli" non è com­posto veramente da diavoli, bensì da individui che "segretamente inclinano a esentare" se stessi. La chiave sta in quel "segretamen­te": non possono farlo pubblicamente, perché in questo modo ver­rebbero evidentemente a porsi contro l'interesse comune -diventerebbero nemici del popolo, anche se questo popolo fosse un popolo di diavoli. E in politica, a differenza che nell'ambito morale, ogni cosa dipende dalla "condotta pubblica". Sembrerebbe

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pertanto che questo passo abbia potuto esser scritto soltanto dopo la Critica della ragion pratica. Ma tale conclusione sarebbe un er­rore. Infatti anche questa è un'idea ereditata dal periodo prccritico: solo che ora viene formulata nei termini della filosofia morale kan­tiana. Nelle Osservazioni sul sentimento del bello e del sublime leggiamo:

"quelli fra gli uomini che si comportano secondo principi, sono hcn pochi, ed è bene, del resto, che sia così, dal momento che può accadere con tanta facilità che uno sbagli a proposito di tali principi ... quelli che agiscono per motivi d'affetto sono assai più numerosi, e questo è molto vantaggioso, benché non uno di tali motivi possa essere ascritto a particolare merito della persona: ché codesti istinti virtuosi a volte sono manchevoli, eppure, in generale, essi attuano la grande intenzione della natura così bene come gli altri istinti, i quali con tanta regolarità muovono il mondo degli animali. La maggior parte degli uomini è composta di gente che davanti a sé ha fisso il proprio carissimo io come solo punto di riferimento nel proprio operare, e che cerca di far girare tutto intorno al proprio utile come intorno ad un asse: c anche considerando costoro, non può darsi nulla di più van­taggioso, in quanto essi sono i più assidui, i più puntuali, i più prudenti, danno contegno, solidità a ogni cosa, e al tempo stesso, sia pure senza in­

tenzione divengono utili a tutti"39

Qui si direbbe che un "popolo di diavoli" sia necessario per provvedere ai bisogni necessari c approntare "gli clementi sopra i quali le anime più delicate possano profondere bellezza e armo­nia".40 Abbiamo qui la versione kantiana della teoria dell'egoismo illuminato. Questa teoria presenta difetti molto rilevanti. Ma gli aspetti principali della posizione kantiana, nella misura in cui con­cerne la filosofia politica, sono i seguenti. In primo luogo è chiaro che questo schema può funzionare solo se si suppone che alle spal­le degli attori umani opera "un grande scopo della natura". In caso contrario, il popolo di diavoli distruggerebbe se stesso (per Kant il male è in generale autodistruttiva). La natura vuole la conserva­zione delle specie c tutto quello che richiede ai suoi figli è che essi abbiano cura di sé e agiscano con senno. In secondo luogo è prc-

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sente la convinzione che nessuna conversione morale dell'uomo, nessuna rivoluzione nel suo modo di pensare, è necessaria e deve essere richiesta o auspicata per promuovere un cambiamento po­litico verso il meglio. E in terzo luogo c'è l'enfasi sulle costituzio­ni, da un lato, e sulla pubblicità dall'altro. "Pubblicità" (Puhlizitat) è uno dci concetti-chiave del pensiero politico kantiano; nel nostro contesto denota la sua convinzione che i pensieri malvagi sono, per definizione, segreti. Così leggiamo in uno dei suoi ultimi scritti,

Il conflitto dellcfàcoltà:

"Come mai ancora nessun governante ha osato dichiarare apertamente di non riconoscere alcun diritto del popolo contro di lui ... '1 La ragione consiste nel fatto che una tale pubblica dichiarazione gli solleverebbe contro tutti i sudditi: anche qualora, come docili pecore, guidate, ben nutrite c protette da un benevolo e comprensivo signore, non avessero nulla da lamentare

quanto alloro benessere" 41

Contro tutti gli argomenti addotti per giustificare la scelta di un tema kantiano che, propriamente parlando, non esiste-- intendo la sua mai scritta tìlosotìa politica-- si dà un'obiezione che non sa­remo mai in grado di respingere del tutto. Kant ha ripctutamentc esposto quelle che riteneva essere le tre questioni centrali che _spm­gono l'uomo a filosofare c alle quali la sua filosofia cercava dt dare una risposta, c nessuna di tali questioni si riferisce all'uomo come zdon politikon, come essere politico. Delle tre che cosa posso sa­pere? che cosa debbo fare? che cosa mi è lecito sperare?- due toc­cano temi tradizionali della metafisica, Dio c l 'immortalità. Sarebbe un grave errore ritenere che la seconda questione - che cosa debbo fare? ... e il suo correlato, l'idea di libertà, ci possa es­sere d'ausilio nella nostra indagine. (Al contrario, vedremo che il modo in cui Kant l'ha formulata c vi ha dato risposta ci sarà d'osta­colo -come probabilmente lo fu per lo stesso Kant, quando si ac­cinse a coniugare le sue idee politiche con la sua filosofia morale ~, quando cercheremo di immaginare che cosa la filosofia politica di Kant sarebbe stata, se questi avesse trovato il tempo c la forza

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di darvi adeguata espressione). La seconda questione non ha mi­nimamente a che fare con l'azione e in nessun luogo Kant prende in considerazione l'azione. Analizza la "socievolezza" di fondo dell'uomo e ne enumera come elementi la comunicabilità, il biso­gno dell'uomo di comunicare, c la pubblicità, la libertà pubblica non solo di pensare ma di pubblicare - la "libertà di penna"; ma non conosce né una facoltà né un bisogno di agire. Pertanto la do­manda "Che cosa debbo fare?" si riferisce al comportamento del­l 'io nella sua indipendenza dagli altri - lo stesso io che vuole sapere che cosa è conoscibile per gli esseri umani c che cosa resta inconoscibile pur essendo pcnsabilc; lo stesso che vuole sapere che cosa si può ragionevolmente sperare in materia di immortalità. Le tre questioni sono connesse fra loro in un modo in fondo molto s~mplice, quasi elementare. La risposta alla prima domanda, for­mta dalla Critica della ragion pura, mi dice che cosa posso e- il che in definitiva è ancor più importante-- che cosa non posso co­noscere. Le questioni mctafisiche concernono in Kant proprio quello che non posso conoscere. Nondimeno, io non posso fare a meno di pensare quello che non posso conoscere, trattandosi di quanto più mi interessa: l'esistenza di Dio; la libertà, senza la quale la vita sarebbe indegna dcii 'uomo, "bestiale"; l 'immortalità del­l'anima. Nella terminologia di Kant, queste sono questioni pratiche cd è la ragion pratica che mi dice come io debbo pensare intorno ad esse. Anche la religione esiste per gli uomini, in quanto esseri razionali, "solo entro i confini della ragione". Il mio interesse fon­damentale, il termine a cui tende la mia speranza, è la felicità in una vita futura; posso sperare in essa, solo se ne sono degno, vale a dire se mi comporto nella maniera giusta. In una delle sue lezioni, e anche in altre riflessioni, Kant aggiunge alle tre una quarta do­manda: "Che cosa è l'uomo?" Ma quest'ultima questione non si presenta nelle Critiche.

D'altronde, visto che anche la domanda "Come giudico?"­il problema della terza Critica , risulta assente, nessuno dei pro­blemi filosofici fondamentali esposti da Kant arriva anche solo a

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menzionare la condizione della pluralità umana - a prescindere, naturalmente, da quanto è implicito nella seconda domanda: e cioè che senza altri uomini avrebbe poco senso regolare la propria con­dotta. Ma l'insistenza kantiana sui doveri verso se stesso, sul fatto che i doveri morali devono essere liberi da ogni inclinazione e la legge morale deve valere non soltanto per gli uomini su questo pia­neta ma per tutti gli esseri intelligibili dcll'umverso, nduce questa condizione della pluralità ad un minimo. L'idea che sottendc tutte tre le questioni è l'interesse per sé, non l'interesse per il mondo; e quantunque Kant approvasse incondizionatamente l'a~ti~o dc~to romano "omncs homini beati esse volunt" (tutti glt uommi voglio­no essere felici), riteneva di non essere in grado di godere della fe­licità se non fosse anche stato convinto di esserne degno. In altre parole- c queste sono parole da lui più volte, anche se ~i solito incidentalmente, ripetute, - la più grande sventura che puo mcor­rere a un uomo è il disprezzo di sé. "La perdita dell'autoapprova­zione (Selhsthilligung)- scrive in una lettera a Mendelssohn (8 aprile 1766)- è il male più grande che mai mi potrebbe capitare": dunque non la perdita della stima goduta presso un'a~tra persona. (Pensate alla dichiarazione di Socratc: "Sarebbe meglio per mc es­sere in disaccordo con la moltitudine che, essendo uno, non tro­varmi in armonia con me stesso"). Il fine supremo dell'individuo in questa vita consiste dunque nell'essere degno di una fe.licità ir~ raggiungibile su questa terra. A paragone di questo tìne ultm~o tutti gli altri scopi e obiettivi, che gli uomini possono perseguire nel corso della loro vita, risultano marginali - incluso, naturalmente, il progresso, per altro incerto, della specie, quale la natura mette

in opera dietro alle nostre spalle. . . A questo punto, comunque, siamo costretti a menzionare ~l-

meno il problema particolanncnte difficile del rapporto tra politica e filosofia o, meglio, dell'atteggiamento che i filosofi tendono ad avere nei confronti del mondo politico nel suo complesso. Certo, altri filosofi fecero quello che Kant non fece: scrissero delle filo­sofie politiche. Ma questo non significa che essi ne avessero una

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più alta opinione o che i problemi politici stessero al centro delle loro filosofie. Gli esempi sono troppo numerosi per iniziare con le citazioni. Ma è chiaro che Platone scrisse la Repuhhlica per dare un fondamento alla tesi secondo cui i filosofi dovrebbero diventare re, non per una spontanea inclinazione verso la politica ma perché così, prima di tutto, non sarebbero governati da gente peggiore di loro, e poi, si instaurerebbe nella polis quella completa serenità, quella pace assoluta, che certamente costituisce la condizione più favorevole per la vita del filosofo. Aristotele non seguì Platone, eppure anche lui affermò che il bios politikos esisteva in definitiva nell'interesse del bios thmretikos; e per quanto riguardava il filo­sofo, dichiarava espressamente, sempre nella Politica. che solo la filosofia permetteva agli uomini di hauton chairein, di godere di se stessi nell'indipendenza, senza l'aiuto o la presenza di altri;42

dove era evidente che tale indipendenza o, meglio, autosutlìcienza, era annoverata fra i beni più preziosi. (Certo, secondo Aristotele, solo una vita attiva può garantire la felicità; ma la vita attiva "non è necessario che sia tale in rapporto agli altri" se consiste in ragio­namenti e pensieri "che hanno in se stessi il fine c sono realizzati per se stessi".41

) Spinoza diceva già nel titolo di uno dei suoi trattati politici che il suo fine ultimo non era politico ma consisteva nella lihertas philosophandi. E persino Hobbes, che certamente era assai più vicino ad interessi politici di qualsiasi altro autore di una filo­sofia politica (non si può dire di Machiavelli né di Bodin né di Montesquieu che si siano occupati di filosofia), scrisse il suo Le­viathan per proteggere dai pericoli della politica c garantire pace e sicurezza nella misura dell'umanamente possibile. Tutti gli autori citati, fatta eccezione forse per Hobbcs, avrebbero concordato con Platone: non prendere troppo sul serio l'intero ambito degli affari umani! E le parole di Pasca!, scritte nello stile dci moralisti fran­cesi, dunque irriverenti, sarcastiche, vigorose c insieme insolenti, possono aver esagerato un tantino ma non hanno mancato il ber­saglio:

"Non ci si raffigura Platone c Aristotele se non con grandi toghe di pedanti. Erano invece persone di mondo, che, come le altre, ndevano con tlo~o

· · d . · · divertiti a comporre le loro Lcggz e la loro Po/Lfl(a, amtct; e, quan o si sono _ . . . • 0

seria lo hanno fatto come per giuoco: era la parte meno tdosofica e mcn . della loro vita, la più filosofica era di vivere m mamera semplice, e tr~n~ quilla: Se scrissero di politica. lo fecero come per regolare un ospedak d: pazzi· e se fecero sembiante di parlarne come dt una gran cosa, fu perchc sape;ano che i pazzi ai quali parlavano si figuravano d t esser~ re e nn:e­ratori. Essi entrano nei toro principi per moderare la loro pazzia e renderla

il meno dannosa possibilc"44

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QUARTA LEZIONE

Vi ho letto un "pensiero" di Pasca! per richiamare la vostra attenzione sulla relazione tra filosofia e politica o, meglio, sull 'at­teggiamento mostrato da quasi tutti i filosofi nei confronti del do­minio degli affari umani (la tDn anthrDpDn pragmata). Robert Cumming ha scritto di recente: "L'oggetto della filosofia politica moderna ... non è la polis o la sua politica, bensì il rapporto tra fi­losofia c politica".4

' L'osservazione vale, ritengo, per la filosofia politica in generale c, soprattutto, per i suoi inizi in Atene.

Se guardiamo da questa prospettiva generale al rapporto di Kant con la politica - senza attribuire cioè solo a lui quella che è una caratteristica generale, una défòrmation professionellc- . sco­priamo alcune convergenze c alcune, molto significative, diver­genze. La concordanza principale c più sorprendente riguarda l'atteggiamento nei confronti della vita c della morte. Vi ricorderete che Platone diceva che solo i l suo corpo abitava ancora nella polis e spiegava, nel Pedone, come avessero ragione coloro che asseri­vano la somiglianza tra la vita del filosofo e la morte.46 La morte, come separazione dell'anima dal corpo, è per lui benvenuta; in un certo senso egli ama la morte, perché il corpo, con tutte le sue esi­genze, continuamente interrompe le ricerche dell'anima.47 In altri

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termini il vero filosofo non accetta le condizioni alle quali la vita è data ;ll'uomo. Questa non è solo una bizzarria di Platone, impu­tabile alla sua avversione nei confronti del corpo. È piuttosto im­plicita nel parmenideo viaggio nei cieli per sfuggi:e a~ le "~p_inioni dei mortali" e agli inganni dell'esperienza sensibile; Implicita nel distacco di Eraclito dai suoi concittadini e nel gesto di coloro che, interrogati della loro vera dimora, indicavano il ciclo;_ implicita in­somma negli inizi della filosofia nella lonia. E se nm, come l Ro­mani, concepiamo l'essere in vita sinonimo di i~ter homines_ esse (e sinere inter homincs esse come l'essere mort1), allora abbiamo un primo indizio significativo delle tendenze settarie d~lla filosofia fin dai tempi di Pitagora: il ritiro in una setta è, m ordmc d1 effica­cia, il secondo antidoto contro l'essere in vita e il dover vivere fra gli uomini. Con nostra grande sorpresa troviamo ~n Socrate, che pure riportò la tìlosofìa dal ciclo alla terra, una posmonc analoga. Nell'Apologia, paragonando la morte a un sonno senza s~gm, os~ serva che persino il Gran Re di Persia troverebbe difficile ncor_darsl molti giorni o notti trascorsi meglio o più piacevolmente d1 una sola notte in cui il suo sonno non fosse stato disturbato da sogni.

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Valutare queste testimonianze dei filosofi presenta una diff~­coltà. Esse devono essere viste sullo sfondo del generale pessimi­smo greco che ci è stato tramandato nei famosi versi di ~ofoclc: "Non nascere è il destino migliore l il secondo, appena nat1 tornare

1 subito da dove si è venuti" (f.lTJ 4JÌ>Vut TÒV arwvcu VtK(! ÀÒyov· TÒ ()', tm:ì ({Jnvfl, ~Tjvm KE ìcr' ònòOcv ne p ijKct no "A il ÒEun;pov t;)c; nixwm) [Edipo a Colono, 1224-26]. Questo modo di sentire la vita scomparve con i greci. Non scomparve però, acquisendo al contrario la massima influenza sulla tradizione successiva, la stima delle cose con cui la filosofia aveva a che fare- c non importa se gli autori parlassero ancora in nome di una specifica esperienza greca oppure in nome della peculiare esperienza del filosofo. F~rsc nessun libro ha avuto un'incidenza maggiore del Pedone platomco. L'idea comune a Roma e nella tarda antichità, che la filosofia in­segna~sc agli uomini prima di tutto come morire, è la sua versione

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volgarizzata. (Questa idea è tutt'altro che greca: a Roma, la filo­sofia importata dalla Grecia era un'occupazione dci vecchi; in Gre­cia invece era materia per i giovani). Il punto per noi qui è che questa preferenza per la morte divenne un tema comune dei filosofi dopo Platone. Quando (nel terzo secolo) Zenone, il fondatore della Stoà, domandò all'oracolo che cosa dovesse fare per vivere nel modo migliore, l'oracolo rispose: "Prendi il colore dei morti!". Il responso era, come al solito, ambiguo; poteva voler dire "Vivi co­me se fossi morto!" oppure, come Zenone pare interpretasse, "Stu­dia gli antichi!" (Dal momento che questi aneddoti ci sono tramandati da Diogene Laerzio [Vite dei grandifìlosojì 7.21 ], che visse nel III secolo d.C., sia le parole dell'oracolo delfico sia l'in­terpretazione di Zenone sono incerti).

Questa esplicita riserva nei confronti della vita non poteva so­pravvivere in tutta la sua temerarietà, per ragioni che qui non pre­me indagare, nel!' era cristiana. La ritroverete però, significativamente trasformata, nelle teodicee del!' età moderna cioè nelle dottrine giustitìcatorie di Dio, dietro alle quali si nascon~ dc naturalmente proprio il sospetto che la vita, così come la cono­sciamo, abbia un gran bisogno di essere giustificata. È ovvio che questo sospetto implica una svalutazione dell'intero ambito delle cose umane, la loro "malinconica casualità" (Kant). Il punto qui non è che la vita terrena non sia immortale, bensì che essa, come avrebbero detto i greci, non è semplice al pari di quella degli dei, ma gravosa, piena di fastidi, cure, affanni e sventure, mentre i do­lori e i dispiaceri sono sempre maggiori dei piaceri c delle soddi­sfazioni.

Su questo sfondo di generale pessimismo è abbastanza im­portante comprendere che i filosofi non lamentavano la mortalità o la brevità della vita. Anche Kant è esplicito a questo proposito: un prolungamento della vita non sarebbe altro che il "prolunga­mento di un gioco alle prese con difficoltà ognora crescenti". Inol­tre la specie non si avvantaggerebbe, "se gli uomini potessero prevedere una vita di ottocento anni e più"; perché questo signifi-

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chercbbe [per l'umanità] "moltiplicare i suoi vizi in modo tale da non meritare miglior destino che di essere estirpata dalla terra me­diante un diluvio universale"49 Ciò contraddice naturalmente la speranza di un progresso nella specie, continuamente interrotto dalla morte di vecchi e dalla nascita di nuovi individui, i quali de­vono impiegare un lasso considerevole di tempo per imparare ciò che i vecchi già sapevano e avrebbero potuto ulteriormente svilup­pare se fosse stata loro concessa una più lunga vita.

È dunque il valore della vita stessa ad essere in gioco, c sotto questo profilo non vi è quasi un filosofo postclassico che concordi con la filosofia greca nella stessa misura di Kant (sia pure senza

esserne consapevole).

"Quale valore abbia la vita per noi è tàcilc vcderlo quando si assume come misura ciò di cui si gode [la felicità]. Esso è al disotto di niente; perchè chi vorrebbe ricominciar da capo la sua vita sotto le stesse condizioni, o anche secondo un nuovo piano disegnato da lui stesso (confonne però al corso

'l d' ')" ' 0 della natura), che non avesse altro scopo che 1 go I mento .. ·

O in riferimento alle tcodicee:

Se la legittimazione della "bontà divina" consiste nella fallace assunzione "che nei destini umani il male non predomini sugli aspetti piacevoli della vita, dato che chiunque, per male che gli vadano le cose, preferisce vivere piuttosto che essere morto ... si può certamente rimettere la risposta a questo argomento sotistico al buon senso di ogni uomo di sano intelletto, che ab­bastanza a lungo abbia vissuto c ritlettuto sul valore della vita per poter su ciò dare un giudizio, domandandogli se sarebbe disposto, non voglio dire alle stesse condiz.ioni, bensì ad ogni altra condizione di suo gusto (soltanto non di un mondo di fate, ma di questo nostro mondo terreno), a giocare

ancora una volta il gioco della vita''51

Nello stesso saggio Kant definisce la vita un "tempo di pro­ve", nel quale anche l'uomo migliore "non s'allieta", e nell'Antro­pologia parla del "peso che sembra gravare fin dali' origine sulla sua vita".52 E qualora pensiate- data l'enfasi posta su gioia, pia-

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l''

l

j [1

cere, pena c felicità- che q t' · d . . . - ues I siano cttagh trnlevanti per Kant come"~omo, e,coll_le filosofo, [farò osservare che] in una delle nu~ m~rose r.Iflcsswm che CI ha lasciato (c che sono state pubblicate s~ t~nto m quest~ secolo) scriveva: "piacere c pena fanno da soli l assoluto, perchc sono la vita stessa".s1 Ma anche nella ',· . , ~ella r~tgwn pura p_otctc leggere che la ragione si vede cos~:ez:::: potizzare una vita tu tura nella quale "eticità" e "tì l' , .t," . p t , , . c ICI a siano op-o~ ~mamen.tc co~I~gate; altrimenti si dovrebbero considerare "le

leggi morali vuoti fantasmi della mente" 54 S l . mand "Ch . , . · e a nsposta alla do-a e cosa mi c lecito sperare ?" ~ "l · , . t " l' . c a VIta m un mondo fu-

uro ', dacccnto cade non tanto sull'immortalità quanto su un genere 1 vita 1mghorc.

Ci rivolgiamo ora alla tìlosotìa di Kant cr ·a . . d . · 'P c p1rc In che mo-o possa essere pervenuto al supcnmcnt d' . · ·1· · ' o I questa sua rad1cata

mc m aZione alla malinconia. Perché non vi è dubb. ·h . era il suo ·a, ..

1 . Io c c questo

, , . c so pc~s~ma c, ed egli stesso ne era ben consa cvole La seguente descrmonc dell'uomo di "t p . " , · empcramcnto mclanconi-co c sicuramente un autoritratto: ' ·

~~~~~~:~l~lod~ ~~:~~~~~:~~;c~~tlcCllllnlllcolavn~ronicolsi cubra poco di quello che gli altri o c o C" l st asa , lt· t l .

criterio s bi. , , 1• . . . ' b · • so an o su suo propno

··· • U llllC C d \Cl 'ICI('! cd , 1 h · · · !are. Egli ha un alto scntim~n((: ~!cii~~/ 'Ila .'n ~dto d mentire o il dissimu-sc stesso c ritiene ogni uomcl crc·ttur·t dg Itaddclld n.ttura umana: apprezza

' ' egna 1 n sp ·tt N suna ah ietta ossecjuiost.t-'t ,, 1,.b ·rt-' , . . ~ 1 · c

0· o n sopporta n es-. ' · ~ c .t sp11 'l ne suo n b 1

a partire da quelle donte che .· · ' · 0 1

c petto: tutte le catene, galeotto, SOilO per lui c;etcst·tbi~i' ~~lrt~m.o a corltc, smo al pesante ferro del

' ' · • SCvCIO glllliCl' dt Sl' st 'S · , l 1. j · c non di rado ha fitstldio di . ', . , l ·l . . , ~·so e c eg l a tn, " , , . .· se come c c mondo ... ( orrcra d rischio di di-

\ ent.tre un <IIIuclllato o un VIsionario". o5

Non dovremmo del resto diment'" , l . , r,. ·h I care, ne corso della nostra ana ISI, c e Kant concordava nella valutazione generale delh vit'l

tcon alltn ,filosofi, ai quali per altro non era legato né sul pian~ dot' nna c ne per que ·t fì , d' . -. s a orma 1 melancoma.

Due Idee specificamente kantiane vengono qui in mente. La

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prima, c ne abbiamo già parlato, è implicita in ciò che l'età dell'il­luminismo chiamava progresso: un progresso che concerne la spe­cie ed è pertanto di scarsa utilità per l'individuo. Ma l'idea di progresso, riferita alla storia nella sua totalità e alla totalità del ge­nere umano, porta a trascurare il particolare c a spostare invece l'attenzione sull'universale" (proprio nel senso del titolo dello scritto Idea di una storia universale [dal punto di vista cosmopo­litico]), nel contesto del quale il particolare acquista senso- in vista del tutto, la cui esistenza presuppone il particolare. Questa fuga, diciamo così, dal particolare, che è in sé privo di signifìcato, all'universale, dal quale quello trae il suo signitìcato, non è natu­ralmente una peculiarità kantiana. A questo riguardo il massimo pensatorc è Spinoza, con la sua disponibilità verso tutto ciò che è, il suo amorfa ti. Anche in Kant però troverete ripetutamentc la con­sapevolezza della necessità di guerre, catastrofi e, in generale, male o sofferenza, per la fonnazione della "cultura". Senza di questo gli uomini rcgrcdircbbcro allo stato bruto della mera soddisfazione

animale. La seconda idea è la nozione kantiana della dignità morale

dell'uomo come individuo. Ho già menzionato la domanda kan­tiana "Perché esistono gli uomini '!". Essa può essere posta, se­condo Kant, solo qualora si consideri il genere umano come se si trovasse allo stesso livello (c in un certo senso è allo stesso livello) delle altre specie animali:" ... dell'uomo (c così di ogni essere ra­gionevole, del mondo), in quanto essere morale, non si può do­mandare ancora per qual tìnc (quem infìnem) esiste": è infatti un

fine in sé.'<' Abbiamo così tre diilcrcnti concezioni o prospettive, a partire

dalle quali possiamo considerare le faccende umane: abbiamo il genere umano c il suo progresso; abbiamo l'uomo come essere morale c tìnc in sè; c abbiamo gli uomini al plurale, quali effetti­vamente stanno al centro delle nostre considerazioni c il cui au­tentico "fìnc" è, come ho già detto, la socicvolezza. La distinzione di queste tre prospettive è una prccondizione necessaria alla com-

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l 'l

prensionc di Kant. Ogniqualvolta parli de li 'uomo, è necessario sapere se si riferisca al genere umano o all'essere morale la crea­tura razionale che potrebbe esistere anche in altre parti dell'uni­verso, o ancora agli uomini nella loro qualità di effettivi abitanti della terra.

Per riassumere: genere umano = umanità= parte della natura =sottomesso alla "storia", all'astuzia della natura= da considerare secondo l'idea di "scopo", giudizio tclcologico: seconda parte della Critica del Giudizio .

. Uomo= essere ragionevole, sottoposto alle leggi della ragion prattca, che egli dà a se stesso, autonomo, scopo in sé, appartenente a un "Geisterreich", regno degli esseri intelligibili: Critica della ragion pratica c Critica della ragion pura.

. Uomini= creature legate alla terra, viventi in comunità, dotate dt senso comune, sensus communis, senso della comunità· non au­to?,omi,. bisognosi di socialità anche per pensare ("'ibertà di pen­na ): pnma parte della Critica del Giudizio, giudizio estetico.

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QUINTA LEZIONE

Dissi che avrei mostrato come l'atteggiamento di Kant filo­sofo nei confronti del dominio degli affari umani coincide e diver­ge dagli atteggiamenti di altri filosofi, in particolare Platone. Per il momento ci limiteremo al punto principale: l'atteggiamento dci filosofi davanti alla vita, cosi come è data agli uomini sulla terra, se ripensate al Fedone e alla motivazione che in esso viene fornita di un certo, diciamo pure, amore del filosofo per la morte, vi ri­corderete che Platone, pur disprezzando i piaceri del corpo, non lamenta che le sofferenze sono prcponderanti rispetto ai piaceri. Il punto è semmai che gli uni c gli altri distraggono la mente e la por­tano fuori strada, che il corpo costituisce un peso quando si vada in cerca della verità, la quale, essendo immateriale c non accessi­bile ai sensi, può essere colta solo con gli occhi dell'anima, che a loro volta sono immateriali c trascendono l'esperienza sensibile. La vera conoscenza è in altri termini possibile soltanto a una mente

non obnubilata dai sensi. Questa non può naturalmente essere la posizione di Kant,

giacché la sua filosofia teorctica afferma che ogni conoscenza di­pende dall'azione reciproca c dalla cooperazione di sensibilità c intelletto, [ ragion per cui] la sua Critica della ragion pura è stata

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g~L~s~amente definita un'apologia, se non un'apoteosi, della sensi­biiJta umana. Anche in gioventù quando, stando ancora sotto 1 'in­fluenza della tradizione, aveva manifestato una certa platonica avversiOne ne1 confronti del corpo (ne lamentava, come limite c ostacolo per la mente, l'interferire con la prontezza del pensiero [Hurtigkeit des Gedankens])57 -,non arrivò ad affermare che il cor­po c i sensi fossero la causa principale dell'errore e del male.

Ciò ha in pratica due rilevanti conseguenze. In primo luogo, Kant non sost1enc che il filosofo possa uscire dalla caverna plato­n~ca o mtraprenderc il viaggio nei cicli parmenidco, né che debba diventare membro di una setta: il filosofo chiarifica esperienze co­mum a tutti. Egli resta pertanto un uomo come te c mc, uno che VIve tra uom~ni e non tra filosofi. In secondo luogo, la capacità di valutare la v1ta 111 rapporto al piacere c alla pena - che Platone e gh altri rivendicavano al filosofo soltanto, ritenendo la moltitudine soddisfàtta della vita come essa è -, può essere attribuita a qualsiasi uomo comune dotato di sano intelletto, purché abbia interesse ari­flettere sulla vita.

Entrambe queste conseguenze sono a loro volta evidentemcn­~e, nient'altro che le due facce di una stessa medagl,ia, il cui nome c Eguaglianza. Prendiamo in considerazione tre passi h1mosi tratti da opere kantianc! l primi due sono scelti dalla Critica della ragion pura c contengono risposte a obiezioni:

'"Ma chi ose1cbbc sostenere che una conoscen;;a che interessa tutti gli uo­llllnl s1a al d1 la dd comune intelletto c accessibile soltanto ai filosofi'' Pro­pno in ciò che hiasimate, sta la migliore conferma della validitù delle nostre precedenti, asscr ;;ioni: gi<JCché mette in chiaro quanto prima era imprcvc­dJb!le: CIOCche non è possibile muovere alla natura il rimprovero di aver npart1to con parzialità i suoi doni. anche rispetto a ciò che sta a cuore senza distinzione. a tutti gli uomini: c che la più alta di tutte le tllosolic, quando siano in gioco i tini essenziali della natura umana. non è in gradl; eh agg1ungcrc nulla ai risultati che la natura ci ot1rc attraverso la guida del­l'intelletto comunc"5 X

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Raffrontate questa citazione alle ultime frasi della Critica:

'·Solo la via critica continua a restare aperta. Se il lettore avrà avuto la cor­tesia c la pazienza di pcrcorrerla da capo a fondo in mia compagnia. potrà ora se vorrà dare il suo contributo alla trasformazione di questo sentiero in una via maestra- giudicare se ciò che molti secoli non riuscirono a fare non possa essere realizzato ancor prima della fine dei secolo in corso, cioè condurre alla completa soddisfazione l'umana ragione nei riguardi di ciò

che finora ha sempre sospinto, ma invano. la sua brama di sapere" 59

Il terzo passo spesso citato è di natura autobiografica:

"lo stesso sono per inclinazione un ricercatore. Provo l'illimitata sete di conoscenza c la smaniosa inquietudine di avanzare in essa o anche la sod­disfazione per ogni acquisizione. Vi era un tempo in cui credevo che solo questo avrebbe potuto costituire l'onore dell'umanità e in cui disprezzavo la plebe, che non sa nulla. Rousseau mi ha riportato sulla retta via. L'ac­cecante pregiudizio si dissolve. imparo a onorare gli uomini, c mi sentirei più inutile del comune lavoratore se non pensassi che [quello che faccio] può dar valore a tutti gli altri attraverso la n.:alia:uionc dei diritti del­

l'umanità"f'0

Il fl!~.til.re. il p.ensare della r<lgionc, che trascende i limiti di ciò che può essere conosciuto, i confini dello scibilc umano, è per Kant un "bis()gm)" universale dell'uomo, di quella sua facoltà che è la ragione. Questo bisogno QQll_QJ),Pilllcipochi ai molti. (Se c'è in Kant una chiara distinzione tra i pochi c i molti, questa concerne piuttosto il problema della moralità: il "punto debole" del genere umano è la menzogna, intesa come una sorta di autoinganno. I "po­chi" sono coloro che sono onesti con se stessi). Con il venir meno di questa secolare distinzione, tuttavia, è accaduto qualcosa di cu­rioso. L'inclinazione del filosofo a occuparsi di politica scompare, egli non ha più alcun particolare interesse per la politica. Viene meno l'interesse soggettivo c la richiesta di un potere o di una co­stituzione che protegga il filosofo dalla moltitudine. Kant concorda con Aristotele, contro Platone, nel ritenere non che i filosofi do-

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vrcbbero governare bensì che i governanti dovrebbero essere di­sposti a prestare ascolto ai filosofi. 61 Ma non ne condivide la tesi che il modo di vivere filosofico sia il più elevato c che quello po­litico esista in funzione del bios theoretikos. Con l'abbandono di questa gerarchia e, insieme ad essa, di tutte le strutture gerarchiche, anche la vecchia tensione tra politica e filosofia si dissolve com­pletamente. Ne consegue che la politica, e la necessità di scrivere una filosofia politica al fine di mettere ordine "nel manicomio", cessano di essere un compito urgente per il filosofo. La politica non è più, per dirla con Eric Weil, "une préoccupation pour Ics phi­losophcs; elle devicnt, ensemble avec l'histoire, un problèmc phi­losophiquc" ("una preoccupazione per i filosofi; diventa, insieme alla storia, un problema filosofìco"). 62

Ad ogni modo, quando parla del peso che sembra gravare sul­la vita, Kant allude alla singolare natura del piacere, di cui anche, in altro contesto, parlava Platone, c cioè al fatto che ogni piacere rimuove una pena c che una vita che contenesse soltanto piaceri sarebbe in realtà priva di qualsiasi piacere - perché l 'uomo risul­terebbe incapace di provarlo e di goderne - c che, pertanto, una gioia integralmente pura, non contaminata dallo stato di bisogno che l 'ha preceduta né dal timore della perdita, che ad essa neces­sariamente subentrerà, non esiste. La felicità come condizione sta­bile e sicura è impensabile per l'esistenza terrena dcii 'uomo. Quanto più grande è il bisogno e la pena, tanto più intenso sarà il piacere. C'è qui soltanto un'eccezione, vale a dire il piacere che proviamo facendo esperienza della bellezza. Kant, scegliendo a proposito un altro tcnnine, chiama questo piacere "soddisfazione disinteressata" (uninterresiertes WohlRefàl/en). Vedremo più avanti che ruolo importante questo termine assume in quella filosofia po­litica che Kant non ha mai scritto. Lui stesso vi allude, annotando in una delle sue riflessioni pubblicate postume: "Le cose belle mo­strano che l'uomo è fatto per il mondo e persino che la sua perce­zione delle cose concorda con le leggi della sua intuizione".61

Supponiamo ora per un momento che Kant avesse scritto una

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teodicea a difesa del creatore davanti al tribunale della ragione. Sappian;o che non lo ha fatto, c ha scritto invece un saggio Ober das Misslingen aller philosophischen Versuche in der Theodizee [Su/fallimento di ogni ricercafìlosofìca in teodicea] e argomentato nella Critica della ragion pura l'impossibilità di qualsiasi dimo­strazione dell'esistenza di Dio (facendo sua la posizione di Giobbe: le vie di Dio sono imperscrutabili). Ad ogni modo, in una tcodicea da lui scritta il dato della bellezza delle cose nel mondo avrebbe svolto un ruolo importante - paragonabilc a quello della celebre "legge morale in me", fondamento della dignità umana. (Le teodi­cee si fondano sull'argomento che, se si guarda all'intero. si è co­stretti a riconoscere il particolare oggetto di commiserazione come una componente di esso e, di conseguenza, a giustificarlo. In un lavoro precedente [1759] sull'ottimismo Kant aveva assunto una posizione simile: "l'intero è l'ottimo, c tutto è buono in rapporto all'intero".64 lo dubito che in seguito egli avrebbe potuto scrivere come qui: "Ad ogni creatura grido ... felici noi che siamo!": Ma questo elogio è un elogio dell"'intcro", cioè del mondo; in giovi­nezza Kant era ancora disposto a pagare il prezzo della vita per il suo essere nel mondo.) Questo è anche il motivo per cui ha attac­cato con veemenza davvero insolita le "nenie oscurantiste" che, con "similitudini talvolta ripugnanti", presentavano "il nostro mon­do terreno, la dimora degli uomini, in modo del tutto sprezzante";

c cioè

"come una hetto/a .... dove ogni viaggiatore della vita deve essere preparato ad essere presto sloggiato da quello che segue ... come un penitenziario ... : un luogo di correzione e di purificazione di spiriti caduti, cacciati dal cic­lo ... come un manicomio ... come una cloaca, dove tutti i rifiuti di altri mondi sono stati concentrati ... come una sorta di «latrina per l'intero uni-

vcrso»".65

Allora, permcttetemi di tìssarc per il momento le idee seguen­ti. Il mondo è bello c perciò un luogo adatto alla vita degli uomini, anche se i singoli non sceglierebbero mai di vivere una seconda

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volta. L'uomo come essere morale è uno scopo in sé, ma il genere umano è soggetto a progresso, il che, ovviamente, in qualche mo­do contraddice l'idea di un essere morale e razionale, di uno scopo in sé.

Se ho ragione nel ritenere che vi sia una filosofia politica in Kant, anche se, a differenza di altri filosofi, questi non l 'ha mai scritta, allora sembra evidente che dovremmo essere in grado di trovarla in tutta la sua opera e non soltanto nei pochi saggi che usualmente vengono raccolti sotto questa etichetta. Se per un verso le sue opere principali non mostrassero la benché minima impli­cazione politica e se, per altro verso, gli scritti secondari di argo­mento politico contenessero soltanto riflessioni occasionali, non connesse con le sue opere propriamente filosofiche, allora la nostra indagine sarebbe sfocata, tutt'al più d'interesse antiquario. Con­trasterebbe con l'autentico spirito kantiano occuparsene, visto che la passione per l'erudizione gli fù sempre estranea. Nelle sue ri­flessioni annotava: "Non trasformerò ... la mia testa in una perga­mena scarabocchiandovi sopra vecchie c per metà scolorite notizie d'archivio". 06

Incominciamo con un aspetto che difficilmente oggi sorpren­derebbe qualcuno e nondimeno è ancora degno di essere preso in considerazione. Prima e dopo Kant nessuno, ad eccezione di Sar­tre, ha scritto un'opera filosofica fàmosa, a cui abbia dato il titolo di Critica. Noi sappiamo troppo poco o forse troppo sul motivo che spinse Kant a scegliere questo titolo in usuale e in un certo sen­so presuntuoso, come se avesse niente meno che l'intenzione di criticare tutti i suoi predecessori. Senza dubbio con il termine non intendeva solo questo, ma la connotazione negativa non è mai del tutto assente dal suo pensiero. "L'intera filosofia della ragion pura - scrive Jaspers ha unicamente a che fare con questo vantaggio ncgativo",67 consistente nel "depurare" la ragione, assicurando che né l'esperienza né la sensazione si introducano nella sua attività. Il termine può essergli stato suggerito, come egli stesso ha osser­vato, dall' "epoca del criticismo", cioè dall'Illuminismo: è la "pura

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negatività" che "costituisce il vero illuminismo"."x L'illuminismo vuoi dire qui liberazione dai pregiudizi, dall'autorità, un processo

di purificazione:

"Quella in cui viviamo è la vera e propria epoca della critica, a cui tutto deve venir sottoposto ... la religione e ... la legislazione pretendono solita­mente sottrarsi alla critica: ma in tal modo esse sollevano nei propri riguar­di un fondato sospetto, compromettendo quella stima non simulata che la ragione può concedere solo a ciò che si sia rivelato in grado di resistere al

suo libero e pubblico vaglio".69

Il risultato di tale critica è il "pensare da sé", cioè il "valersi della propria ragione". Avvalendosene, Kant svelava lo "scandalo della ragione", secondo cui non solo tradizione e autorit~ ma la stessa facoltà della ragione possono sviarci. "Cri!.if.<!" vuoi dtre per­tanto tentativo di scoprire "fonti c limiti'' della ragione. Kant ritc­

. neva perciò che la sua Critica fosse una semplice "propedeutica" al "sistema" dove "critica" sta qui in opposizione a "dottrina": e credeva, a quanto sembra, che ciò che era sbagliato nella mctatisica tradizionale non era la "dottrina" in quanto tale. La critica intanto "deve progettare architettonicamente ... l'intero piano. con piem~ garanzia della completezza e dellasicurczza di tutti gli cle~ent1 che entrano a costruirne l'edificio" 711 In questo modo rcndcra pos­sibile valutare tutti gli altri sistemi filosofici. Anche questo aspetto si situa nel contesto dello spirito del XVIII secolo, con il suo enor­me interesse per l'estetica, per l 'arte c la critica d 'art c, il cui scopo consisteva nello stabilire regole del gusto e dei canoni per le arti.

Il termine "critica" si contrappone infine, e soprattutto, alla metafisica dogmatica da un lato c allo scetticismo dali 'altro. Lari­sposta ad entrambi era il pensiero critico. Non cedere a nessuna delle due alternative! In questo senso il pensiero critico è un nuovo modo di pensare e non solo la propcdcutica di una nuova dottrina. Pertanto le cose non stanno come se all'operazione apparentemente negativa della critica dovesse far seguito l'operazione appar~_nte­mcnte positiva della costruzione del sistema. Questo è p01 effetti-

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vamente accaduto, ma dal punto di vista kantiano si è trattato sol­tanto di un'altra forma di dogmatismo. (Kart non è mai stato a que­sto proposito del tutto chiaro ed esplicito; se avesse previsto a che sorta di esercizi speculativi la sua Critica era destinata ad aprire la strada, con Fichte, Schelling e Hegel, si sarebbe probabilmente espresso con più chiarezza). La filosofia stessa, a parere di Kant, è diventata critica nell'epoca del criticismo e dell'illuminismo­l'epoca in cui l 'uomo è pervenuto alla maturità.

Sarebbe un grave errore ritenere che il pensiero critico si situi a mezza strada tra dogmatismo e scetticismo. In realtà si tratta del modo per lasciarsi alle spalle queste alternative. (In termini bio­grafici: è il modo in cui Kant ha superato tanto le vecchie scuole metafisiche- Wolff c Lcibniz --quanto il nuovo scetticismo di Hu­me, che lo aveva strappato al sonno dogmatico). Tutti noi comin­ciamo in una maniera o nell'altra come dogmatici; e lo siamo o in filosofia o nella misura in cui risolviamo tutti i problemi facendo ricorso ai dogmi di qualche chiesa o alla rivelazione. Di contro, la prima nostra reazione, fatta scattare dall'includibile esperienza dci molti dogmi, ciascuno dei quali pretende di possedere la verità, è lo scetticismo: la conclusione che la verità non esiste c che pertanto posso o scegliere arbitrariamente una qualsiasi dottrina dogmatica (arbitrariamente in rapporto alla verità: la mia scelta può essere dc­terminata semplicemente da svariati interessi e risultare del tutto pragmatica) oppure scrollare le spalle davanti a un'occupazione così sterile.

Al vero scettico, colui che dice "La verità non esiste", il dog­matico ribatte immediatamente: "Ma affermando ciò tu dai ad in­tendere di credere nella verità; pretendi validità per la tua affermazione, che la verità non esiste". Apparentemente ha vinto la prima mano. Ma solo la prima mano. Lo scettico può replicare: "Questa è pura sofistica. Tu sai bene ciò che voglio dire, anche se non lo posso esprimere in parole senza apparente contraddizione". Al che il dogmatico ribatterà: "Lo vedi? Persino il linguaggio è contro di te!". E poiché il dogmatico è di nonna un tipo piuttosto

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aggressivo, continuerà dicendo: "Dal momento che sci intelligente

quanto basta per ricono~cere la contra?~izi~ne, n~ d~~bo ~:d~rre che hai un interesse a chmmare la vcnta: se1 un mch1hsta .. L at­teggiamento critico si schiera contro entram~i, rac.c~mandandosi per la sua modestia. Esso direbbe: "Forse gh uommt, ~er quanto abbiano una nozione, un'idea della verità per regolare 1 loro pro­cessi mentali, non sono capaci, in quanto esseri finiti, di verità (il socratico nessun uomo è saggio). Nondimeno essi sono senz'altro in condizione di far luce sulle facoltà umane date (non sappiamo da chi 0 come, ma con esse dobbiamo pur vivere). Fateci analizzare

. !" p t che cosa possiamo e che cosa non poss1amo sapere. . er qucs a ragione il libro di Kant porta il titolo Critica della ragion pura.

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SESTA LEZIONE

Eravamo intenti a discutere il termine "critica", che Kant, per sua stessa ammissione, ha ereditato dall'Illuminismo. E se nella nostra analisi ci siamo spinti oltre la formulazione che Kant stesso ne dà, non ne abbiamo tradito lo spirito. Era lui del resto a dire che la posterità può "intendere" un autore "magari meglio di quanto egli intendesse se stesso". 71 Abbiamo rilevato che Kant, per quanto il motivo polemico del criticismo abbia sempre svolto un ruolo nel suo pensiero, non si rifèriva "a una critica dci libri c dci sistemi, ma alla critica della facoltà della ragione in gcncralc". 72 Abbiamo osservato poi come ritenesse d'aver trovato una via d'uscita dalla sterile alternativa di dogmatismo c scetticismo, che di solito finisce per risolversi in un "radicale indiffcrcntismo, portatore del caos e della notte nelle scicnzc". 71 Nel dialogo tra lo scettico c il dogma­tico vi ho poi parlato dello scettico che di fronte a tante verità (o meglio a tanti uomini, ciascuno dei quali affèrma di essere in pos­sesso della verità e per essa strenuamente combatte) dichiara: ''La verità non esiste", evocando così la formula magica che induce tutti i dogmatici a serrare le fila. Il filosofo critico interviene in questa disputa c interrompe i contendenti: "Sia gli uni che gli altri, dogmatici e scettici, sembrate avere lo stesso concetto di verità,

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per cui essa escluderebbe per definizione tutte le altre verità, sfo­ciando in rapporti di universale esclusione. Forse- prosegue- c'è qualcosa di sbagliato nel vostro concetto di verità. Forse - sog­giunge ancora- gli uomini come esseri finiti hanno una nozione di verità, ma non possono posscderla. Lasciateci analizzare prima questa nostra tàcoltà che ci dice che la verità esiste". Non v'è dub­bio, la critica pone dci limiti alla ragione speculativa, svolge di fat­to una funzione negativa. E tuttavia, "non voler riconoscere a questo servizio della critica un 'utilità positiva, equivarrebbe a so­stenere che la polizia non procura alcun vantaggio positivo per il fàtto che il suo compito fondamentale consiste nello sbarrare la porta alla violenza che i cittadini possono ricevere dai cittadini, af­finché ognuno possa attendere alle proprie attività, sicuro c tran­quillo".7~ Quando Kant ebbe portato a compimento la sua Critica, l'analisi delle nostre tàcoltà conoscitive, Mendclssohn lo definì il "distruttore universale", atlossatorc della credenza che si possa ar­rivare al sapere nelle cosiddette materie meta fisiche c che vi possa essere una "scienza" come la metafisica, dotata della stessa validità

delle altre scienze. Ma Kant non vedeva l'aspetto propriamente distruttivo della

sua impresa. Egli non si rese conto di aver di tàtto smantellato l'in­tera costruzione che, anche se spesso oggetto di attacchi, aveva ret­to per molti secoli fin nell'età moderna inoltrata. Del tutto in sintonia con lo spirito del tempo pensava che "la perdita ... non toc­ca che il monopolio delle scuole, c per nulla l'interesse degli uo­mini", finalmente liberati dalle "sottili c tuttavia impotenti distinzioni", alle quali comunque non è mai riuscito di "raggiun­gere il pubblico, influendo sulle sue convinzioni". 75 (Cito qui dalle Prctàzioni alla Critica della ragion pura, nelle quali Kant si rivolge a quello che altrove chiama il "pubblico dci lettori''). E la polemica si indirizza di nuovo contro "le arroganti pretese delle scuole", che "vorrebbero esser considerate come le sole in grado di conoscere c custodire" quelle verità che non solo sono di "generale interesse umano", ma alle quali "può giungere agevolmente la gran mag-

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gioranza degli uomini (per noi degna di ogni stima)".7" E questo

basti per quanto concerne le università. Quanto ai governi, prose­gue Kant, farebbero assai meglio, qualora ritenessero opportuna un'ingerenza, "a favorire la libertà di una tale critica ... anziché dar manforte al ridicolo dispotismo delle scuole, che annunziano con alte grida un pericolo pubblico allorché vengono strappate quelle loro ragnatele di cui il pubblico non ha mai avuto modo di accor­gersi e la cui perdita dunque non potrà mai toccarlo seriamentc". 77

Vi ho letto più di quanto originariamente intendessi, in parte per darvi un'idea del clima in cui questi libri vennero scritti e in parte perché le conseguenze, anche se non si arrivò ad un'insurre­zione armata, furono, dopo tutto, un po' più gravi di quel che Kant prevedesse.

Il clima: lo spirito dell'Illuminismo non si mantenne a lungo al più alto livello. Basti ad illustrarlo un confronto con l'orienta­mento della generazione successiva, ben rappresentata dal giovane Hcgcl:

"La filosofia è per sua natura esoterica, non destinata di per sé alla plebe ne adatta ad essere resa a questa accessibile; è filosofia solo nella misura in cui si contrappone proprio all'intelletto c ancor più al sano senso comu­ne, col che s'intende la limitatezza spazialc c temporale di una stirpe uma­na; in rapporto a ciò il mondo della filosofia è in sé c per sé un mondo capovolto". 7x

Infatti

" ... il principio della filosofia deve consistere nell'oltrepassamcnto della verità data dalla coscienza comune c nel presentimento di una verità supc­riorc''.79

Se ragioniamo in termini di progresso, questa è senza dubbio una "ricaduta" in quello che la tìlosotìa è stata fin dai suoi inizi, e Hegel ripropone la storia raccontata da Platone intorno a Talete, non senza ostentare indignazione per il riso della contadinella tra-

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eia. Kant del resto non è immune da responsabilità circa il fatto che la sua filosofia critica venne quasi subito intesa come un altro "sistema" c come tale attaccata dalla generazione successiva, quan­do ormai lo spirito dell'Illuminismo, che l'aveva ispirata, era an-

dato perduto. Nondimeno, quando questa "ricaduta" ebbe esaurito il suo

corso con i sistemi dell'idealismo tedesco, con la generazione dei figli di Kant, la generazione di quelli che avrebbero potuto essere i suoi nipoti, o pronipoti- da Marx a Nietzsche- decise, apparen­temente sotto l'influenza di Hegel, di abbandonare del tutto la fi­losofia. Ragionando in termini di storia delle idee, si potrebbe dire che conseguenza della "critica della ragione" avrebbe potuto essere o l'instaurazione del pensiero critico o il riconoscimento che ra­gione c pensiero filosofico non servono a nulla c che "critica" si­gnifica la distruzione, nel pensiero, di tutto ciò che ne diventa oggetto -· in opposizione alla nozione kantiana di "critica" come

determinazione dei limiti c purificazione.

C'è un altro libro che fa ricorso nel titolo alla parola "criti­ca"- c che ho dimenticato di menzionare. Il capitale di Marx s'in­titolava originariamente Critica dell'economia politica e la premessa di Marx alla sua seconda edizione chiama in causa il me­todo dialettico come al tempo stesso "critico e rivoluzionario". Marx sapeva quel che tàccva. Egli aveva, come molti dopo e Hegel prima di lui, detìnito Kant "il filosofo della Rivoluzione francese". A differenza di Kant la critica era per lui ciò che univa insieme teoria c prassi, le metteva in rapporto e, come si suole dire, le me­diava. L'esempio della Rivoluzione francese, di un evento che era stato preceduto dali' epoca della critica e dcii' Illuminismo, portava a credere che lo smantellamento teorico dcii' ancien régime fosse stato seguito dalla prassi della sua distruzione. Qui, sembrava sug­gerire l'esempio, si mostra come "l'idea s'impadronisca delle mas­se". Il punto non è ora, se questo sia vero- se sia questo il modo in cui hanno inizio le rivoluzioni; si tratta piuttosto del fatto che

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Marx pensava così perché riteneva la smisurata impresa di Kant il monumento dell'Illuminismo e con Kant credeva che Illuminismo e rivoluzione andassero di pari passo. (Per Kant il "concetto me­diatore", il "termine medio di congiunzione e di passaggio", dalla ,teoria alla prassi, è il giudizio: egli aveva in mente "l 'uomo prati­co", ad esempio il medico o il giureconsulto, che dapprima appren­de la teoria e poi la mette in pratica, applicando le regole che ha imparato ai casi particolari.xo

Pensare criticamente, tracciando una via tra i pregiudizi, le opinioni e le convinzioni non fondate, è una vecchia preoccupa­zione della filosofia, che possiamo tàr risalire, almeno come pro­getto consapevole, alla maicutica socratica in Atene. Kant era ben consapevole di questa origine, al punto da sottolineare che era sua intenzione procedere "sul modello socratico" e mettere a tacere tutti gli avversari "con la più palmarc dimostrazione ... della [loro] ignoranza".x 1 A differenza di Socratc credeva in un "sistema futuro della metafisica", x2 ma ciò che alla fine trasmise alla posterità fu­rono le critiche e non un sistema. Il metodo di Socrate consisteva nel liberare i suoi partncrs da tutte le convinzioni infondate c dalle fole- le vane fantasie che riempivano le loro mcnti.x1 Stando a Platone, si avvaleva per questo dell'arte del krinein, disgiungendo, separando e distinguendo (technc diakritikc. l'arte della distinzio­ne).x4 Sempre secondo Platone (ma non per Socratc) il risultato è la "puritìcazionc dcii 'anima dalle vanità che l'ostacolano sulla via del sapere; secondo Socratc, alla ricerca non segue il sapere c nes­suno dci suoi intcrlocutori è mai stato sgravato di una creatura che non fosse una fola. Socrate non insegnava nulla; non conosceva aftàtto le risposte alle domande che poneva. Si dedicava alla ricer­ca per amore della ricerca, non per amore del sapere. Se avesse sa­puto che cosa erano il coraggio, la giustizia, la devozione c via dicendo, non avrebbe più sentito a lungo il bisogno di andarne alla ricerca, di rifletterei su in continuazione. L'unicità di Socrate è tutta in questa concentrazione sul pensiero stesso, indipendentemente da ogni risultato. Tutto il suo agire non ha alcun motivo o scopo

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ulteriore. Una vita senza ricerca non è degna di essere vissuta­questo è tutto. Ciò che egli effettivamente fece fu di tradurre in di­scorso pubblico il processo del pensiero -il dialogo che in silenzio si svolge in me, tra me c mc; si esibì sulla piazza del mercato come il suonatorc di flauto durante un banchetto. Pura rappresentazione, pura attività. E proprio come il suonatore di flauto deve seguire certe regole per eseguire bene, così Socratc ha scoperto l'unica re­gola che govema la riflessione, cioè quella del "modo di pensare conseguente" (come Kant l'avrebbe chiamata nella Critica del giu­dizio)x5 o, come più tardi si sarebbe detto, il principio di non con­traddizione. Questo principio, che per Socratc aveva valore sia "logico" (non dire c non pensare cose insensate) sia "etico" (è me­glio essere in disaccordo con i molti che, essendo uno, con se stes­so, contraddicendosix6); divenne con Aristotele il primo principio del pensiero, ma esclusivamente del pensiero. Ma con Kant, la cui dottrina morale in verità poggia interamente su di esso, torna ad essere parte dcii' etica, visto che l'etica è appunto fondata su un processo di pensiero: agisci in modo che tu possa volere che la massima della tua azione divenga legge universale, vale a dire una legge alla quale tu stesso ti sottoporresti. È di nuovo la stessa re­gola generale -non contraddire te stesso (il tuo io pensante)- a de­terminare sia il pensiero che l'azione.

Il modo di essere socratico era importante per Kant in base a un 'altra ragione. Socratc non era membro di una setta c non aveva fondato alcuna scuola. Divenne il prototipo del filosofo, perché conversava con tutti coloro che incontrava in piazza ed era del tutto vulnerabile, aperto a tutti quelli che interrogavano, pronto a rendere conto di quello che aveva detto e a confonnarvi la sua vita. Scuole c sette sono, per dirla con Kant, estranee all'Illuminismo, perché dipendono dalle dottrine dci loro fondatori. Fin dall'Accademia platonica sono sempre state in conflitto con l'opinione pubblica, con la società nel suo complesso, con gli "altri"; il che comunque non vuoi dire che non si fondino su un'autorità. Il modello resta sempre la scuola dei Pitagorici, le cui controversie potevano essere

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risolte facendo appello ali' autorità del fondatore, all' autos epha, all' ipse dixit, al "lui ha detto così". In altre parole, al dogmatismo acritico dei molti si contrappone il dogmatismo esclusivo ma egualmente acritico dei pochi.

Se ora consideriamo ancora una volta la relazione della filo­sofia alla politica, risulta chiaro che l'arte del pensiero critico pre­senta sempre implicazioni politiche. Ed essa ha avuto, nel caso di Socrate le più gravi conseguenze. A differenza del pensiero dog­matico, che in realtà può diffondere, agendo dietro le mura protet­tive della scuola a cui spetta la cura degli "arcana", della dottrina segreta, esoterica, nuove e "pericolose" credenze, e a differenza altresì del pensiero speculativo, che raramente preoccupa qualcu­no, il pensiero critico è in linea di principio antiautoritario. Per quanto concerne le autorità, poi, il peggio è che non può essere catturato e posto sotto sequestro. L'accusa nel processo a Socrate -che avesse introdotto nuove divinità nella polis --era falsa, frutto di escogitazioni: Socratc non insegnava nulla, meno che mai nuove divinità. Ma l 'altra imputazione, che corrompesse i giovani, non era senza fondamento. Ciò che disturba negli esponenti del pen­siero critico è che fanno "tremare le fondamenta delle più diffuse verità ovunque lascino cadere i loro occhi" (Lcssing). Questo vale certamente per Kant, che era un distruttore universale, per quanto non abbia mai frequentato la piazza del mercato e per quanto la Critica della ragion pura, uno dei più ditlìcili, anche se certamente non oscuri, libri di filosofia, non diventerà probabilmente mai "po­polare", nemmeno fra il "pubblico di lettori" amato da Kant. Il punto è piuttosto che, a differenza di quasi tutti gli altri filosofi, Kant se ne rincrebbe profondamente e non abbandonò mai la spe­ranza che fosse possibile popolarizzare il suo pensiero, trasforman­do il "sentiero" per pochi in una "via maestra" per tutti.R7 In un tono sorprendentemcntc apologetico scriveva a Mendelssohn il 16 agosto 1783, due anni dopo la pubblicazione della Critica della ragion pura:

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.. i frutti della riflessione di un periodo di almeno dodici anni li avevo portati a compimento in circa quattro o cinque mesi; dirci quasi di volo, ... ponendo poca attenzione ad agevolare la comprensione del lettore ... , perché altrimenti, negli indugi in vista di una fonnulazione più divulgativa, l'opera non sarebbe probabilmente stata completata, mentre invece a questo difetto si può poi a poco a poco porre rimedio, se intanto abbiamo il risultato al­

meno nella sua fonna "grezza" .x~

li pensiero critico si sottopone, stando a Kant e a Socrate, "alla prova dell'indagine libera e pubblica", il che vuoi dire: quanti più sono gli esaminatori, tanto meglio è. Così Kant ha progettato nel 1781, immediatamente dopo la pubblicazione della Critica della ragion pura, "un piano per la sua divulgazione". Infatti ogni opera filosofica deve, come scriveva nel 1783, essere capace di divulga­zione, "altrimenti nasconde, dietro a un turno di pensieri apparen­temente profondi, forse solo idee prive di senso".wJ Ciò che Kant, nella sua speranza di divulgazione, del tutto inusuale per un filo­sofo, membro di una corporazione che di norma presenta tendenze settaric molto marcate, auspicava, era che la cerchia dei suoi esa­minatori si allargasse progressivamente. L'epoca dell'Illuminismo è l'epoca dell'uso pubblico della ragione; di conseguenza, la più importante libertà politica era per Kant non, come per Spinoza, la lihertas philosophandi, bensì la libertà di parlare e pubblicare.

Il termine "libertà" ha in Kant, come vedremo, molti signifi­cati. La libertà politica viene comunque definita nella sua opera, in modo sostanzialmente privo di equivoci c con coerenza, come la libertà di 'fare puhhlico uso della propria ragione in tutti i cam­pi".911 "Intendo per uso pubblico della propria ragione- si aggiunge poco oltre. l'uso che uno ne fa come studioso davanti all'intero pubblico dci lettori". Vi sono limitazioni, a cui si allude con l'espressione "come studioso". Lo studioso non coincide con il cit­tadino. Egli è membro di una comunità di tutt'altro genere, cioè di una "società cosmopolitica", cd è in questa sua qualità che siri­volge al pubblico. (L'esempio di Kant è sutlìcientementc chiaro: un ufficiale in servizio non ha alcun diritto di rifiutarsi d'obbedire;

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"Ma non è giusto impedirgli in qualità di studioso di fare le sue osservazioni sugli errori commessi nelle operazioni di guerra e sot­toporle al giudizio del suo pubblico"-- come studioso, dunque co­mc cosmopolita).')\

.. La libertà di parola e di pensiero, come noi la concepiamo, è il diritto di un individuo di esprimersi e di esternare la sua opinione per mettersi in condizione di persuadere altri a condividere il suo Jltmto di vista. Ciò presuppone che io sia in grado di formarmi da solo la mia opinione e pretenda che il governo mi consenta di pro­pagandare quanto ho già elaborato nella mia mente. L'opinione di Kant su questo argomento è molto differente. Egli ritiene che la vera facoltà di pensare dipende dal suo uso pubblico. Senza la "prova dcii 'indagine libera e pubblica" non è possibile né il pen­siero né la formazione dell'opinione. "La ragione non è fatta per isolarsi ma per entrare in comunità".92

La posizione di Kant a questo proposito è degna di nota per­ché non è la posizione dell'uomo politico bensì quella del filosofo o del pcnsatore. Pensare, e qui Kant concorda con Platone, vuoi dire dialogare in silenzio con se stessi (das Reden mit sich selhst); pensare è, come H egei ha osservato, un' ... attività solitaria": questa è una delle poche cose su cui tutti i pcnsatori sono d'accordo. Na­turalmente, non è aftàtto vero che voi, quando state pensando, ab­biate bisogno della compagnia altrui o anche solo che la possiate sopportare. Cionondimeno, se voi non potete comunicare c sotto­porre al giudizio di altri, in forma orale o scritta, ciò che ritenete d'aver trovato in solitudine, questa tàcoltà esercitata da soli finirà per scomparire. Con le parole di Jaspers: verità è ciò che posso co­municare. La verità nelle scienze naturali dipende dall'esperimen­to, che può essere ripetuto da altri: essa pretende validità universale. La verità filosofica non possiede una tale validità uni­versale. Ciò che deve avere, e Kant nella Critica del Giudizio re­clama per i giudizi del gusto, è la "comunicabilità universale".93

"È infatti vocazione naturale degli uomini comunicare gli uni con gli altri nelle materie che riguardano l 'umanità in generale".

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SETTIMA LEZIONE

Stavamo trattando delle implicazioni politiche del pensiero critico c della sua connessione con la comunicabilità. A sua volta questa implica evidentemente una comunità di uomini, ai quali ci si può rivolgere per ascoltare c trovare ascolto. Alla domanda, per­ché si tratti qui di uomini invece che dell'uomo, Kant avrebbe ri­sposto: affinché possano parlare fra loro. Per gli uomini al plurale c quindi per il genere umano- per la specie, diciamo pure, alla quale apparteniamo- è ''una vocazione naturale ... comunicare": una notazione che ho già avuto modo di menzionare. Kant è ben consapevole di porsi contro la maggior parte dei pensatori assu­mendo che il pensiero, per quanto sia un'occupazione solitaria, di­

pende dagli altri quanto alla sua stessa possibilità:

"Si dice. in verità, che la libertà di parlare o di scrivere può indubbiamente esserci tolta da un potere. superiore. ma non la libertà di pensare. Ma pen­seremmo noi molto c penseremmo noi bene se non pensassimo in comune con altri ai quali comunichiamo i nostri pensieri, c che ci fanno parte dei loro'~ Si può dunque ben dire che questa potenza esteriore che strappa agli uomini la libertà di comunicare apertamente i loro pensieri toglie ad essi anche la libertà di pensare, l'unico tesoro che ci resta malgrado tutti i ca­richi sociali, per mezzo del quale soltanto può essere procurato un rimedio

a tutti i mali di questo stato"94

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Possiamo guardare a questo fattore della pubblicità, necessa­rio per il pensiero critico, ancora da un altro punto di vista. Ciò che Socratc effettivamente fece, portando la filosofia dal cielo alla terra c cominciando a esaminare le opinioni su quanto accadeva fra gli uomini, fu di estrarre da ogni affermazione le sue implica­zioni nascoste o latenti: in questo consisteva di fatto la sua funzione maieutica. Come la levatrice aiuta il bambino a venire alla luce così Socrate porta alla luce quelle implicazioni perché siano esa~ minate. (E questo è quanto Kant faceva quando recriminava sul progresso, traendo le implicazioni dal concetto; cd è quanto abbia­mo fatto qui, prendendo posizione contro la metafora organica). Il pensiero critico s'avvale in misura molto considerevole di questo genere di "analisi". Tale esame, d'altro canto, presuppone che cia­scuno sia intenzionato e in grado di rendere conto di ciò che pensa e dice. Platone, essendo passato attraverso la scuola della maieutica socratica, fu il primo a scrivere di filosofia nel modo che noi ancora riconosciamo come filosofia e che Aristotele più tardi sistematizzò nella forma del trattato. Egli riconobbe la differenza fra sé c i "sag­gi" di un tempo, i presocratici, nel fatto che questi, per saggi che fossero, non resero mai conto dei loro pensieri. Essi se ne stavano là, con le loro grandiose idee; ma, se interrogati, rimanevano muti. Iogon didonai, rendere conto- non fomire la prova ma essere in grado di dire come si è pervenuti a un'opinione e per quali ragioni le si è data formulazione - è quanto effettivamente distingue Pla­tone da tutti i suoi predecessori. li tenni ne stesso ha un 'origine po­litica: di rendere conto i cittadini ateniesi chiedevano ai loro politici, non solo in materia economica ma anche in questioni po­litiche. Essi potevano essere ritenuti responsabili. E proprio il do­~er rispondere c rendere conto a se e a ogni altro di ciò chè si pensava c insegnava trasformò in filosofia la ricerca del sapere e della verità che aveva avuto origine nella Ionia. Questa trasforma­zione era già avvenuta con i sofisti, che a ragione sono stati definiti i rappresentanti dell'illuminismo in Grecia, ma venne radicalizzata come metodo dialogico dalla maicutica socratica. Questa è la ra-

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dice del pensiero critico, il cui più importante esponente in epoca moderna, c forse in ogni età postclassica, fu Kant, che delle sue implicazioni era perfettamente consapevole. In una delle sue ri­

flessioni più significative scrisse quanto segue:

"Quaestiofacti è in che modo si sia venuti in possesso di un concetto;

quae.11iojuris con quale diritto lo si possegga e lo si usi"q5

Il pensiero critico non è riferito soltanto a dottrine c concetti ricevuti da altri. a pregiudizi e tradizioni ereditate; è piuttosto con l'applicazione di canoni critici al proprio pensiero che si apprende

l'arte della critica. Ma non si può apprendere questa operazione al di fuori della

pubblicità, senza la verifica che scaturisce dall'incontro con il pen­siero di altri. Per mostrarvelo in concreto, vi leggerò due passi di ca­rattere personale che Kant scrisse negli anni settanta a Marcus Herz:

"Lei sa che obiezioni razionali non vengono con,ideratc da mc soltanto con l'intenzione di confutarle, ma che nel ripensarlc le accolgo nell'ordito dci miei giudizi. da~d~; ad css.c l'opportunità di ribaltare tutti i miei più ra­dicali preconcetti. Considerando i miei giudi7i imparzialmente dal punto di vista di altri. sp<:ro sempre di approdare a una terza posizione, che sia

migliore della mia prcccdcnte"qr,

Come vedete. si consegue l'impar::.ialità tenendo conto dci punti di vista degli altri; l'imparzialità non è il prodotto di un qual­che punto di vista superiore, che di fatto risolverebbe la disputa ponendosi interamente au-dessus de la mèlée. Nella seconda lettera

Kant è ancora più esplicito:

Lo spirito necessita rilassamento c distrazione in misura ragionevole, per conservare la sua mobilità, "grazie alla quale è messo in condizione di con­siderare sempre l'oggetto anche dall'altra parte, allargando il suo orizzonte da un'osservazione microscopica a una veduta generale, per far propri tutti .i punti di vista pensabili veritìcando reciprocamente il giudizi.o dell'uno e

dell'altro''.97

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Il termine "imparzialità" qui non viene menzionato. Al suo posto tro~1amo l '_idea che si può "ampliare" il proprio pensiero per pren~ere,m_considerazwne le idee degli altri. L"'ampliamento del _p~ns1~ro gwca un ruolo cruciale nella Critica del Giudizio. Esso SI r~ahzza "quando paragoniamo il nostro giudizio con quello degli a!tn, cpmttosto coi loro giudizi possibili che con quelli etTettivi, e CI pomamo al posto di ciascuno di loro". 9R La facoltà che rende possibile ciò si chiama immaginazione. Se leggete i rispettivi pa­ragrafi_ nella Critica del Giudizio c li confrontate con le lettere ap­pena Citate, potete vedere come i primi non contengano altro che la traduzione 1_n conce~to di quelle osservazioni strettamente per­son~h. _li pe_ns~ero cntlco è possibile solo dove i punti di vista di tut~! gh altr~ Siano ~cc~ssibili all'indagine; giacché, pur essendo un occupazwne sohtana, non ha reciso il legame con gli "altri". ~erto, es_so SI svolge ancora nell'isolamento, ma con la forza del­l 1m~agmaz1~ne rende gli altri presenti c si muove perciò in uno spaz~o _potenZialmente pubblico, aperto in tutte le direzioni; in altri termm1, adotta la posizione del kantiano cittadino del mondo. Pen­sare _con. una me~t.alità a~pliata significa educare la propria im­magmazwne a VISitare (s1 pensi al diritto di visita in Per fa pace perpetua).

Devo mettervi in guardia, a questo punto, da un fraintcndi­~cnto molto c~munee_ in cui si può incorrere facilmente. L'cspc­~~~~te del ~e~s1cro cr~t1co non consiste in un'empatia dilatata tino ali m~erosim!le, grazie alla quale sarei in grado di sapere che cosa e~fettJvam~nte passa nella testa di tutti gli altri. Secondo la conce­Zione kantiana dell'illuminismo, pensare vuoi dire Selbstdenken pensare da sé, che "è la massima di una ragione mai passiva. L~ t~ndcnza alla ragione passiva, quindi al!' eteronomia della ragione SI chiama pregiudizio",Y9 mentre illuminismo significa prima di tutto "libcrazi~ne ~al pregiudizio". Accettare ciò che passa nella testa di coloro Il cm "punto di vista" (di fatto, il luogo in cui si tro­vano, le condizioni cui sono soggetti, sempre diverse dall'uno al­l'altro individuo, da una classe o da un gruppo all'altro) non è il

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mio, non significherebbe altro che accettare passivamente il loro pensiero, vale a dire scambiare i loro pregiudizi con i propri. Il "modo di pensare ampliato" è prima di tutto il risultato di un'astra­zione dalle "limitazioni che sono attinenti in modo contingente al nostro proprio giudizio", di una svalutazione delle "private condi­zioni soggettive ... in cui molti sono come imprigionati", di una svalutazione cioè di quello che siamo soliti chiamare interesse per­sonale e che, secondo Kant, non è né illuminato né capace di illu­minismo ma solo un impedimento di fatto. Pi~ sarà ampia la sfera in cui l'individuo illuminato è capace di muoversi da un punto di vista a un altro, più il suo pensiero sàrà "generale". Questa gene­ralità non si identifica però con quella del concetto ~ad esempio, del concetto di "casa", sotto cui si può poi sussumerc una molte­plicità di singoli edifici. Essa è, al contrario, strettamente legata al particolare, alle condizioni particolari dci punti di vis~a ~ttraverso cui si deve passare per conseguire il proprio "punto di v1sta gene­rale". A questo punto di vista generale abbiamo già fatto riferimen­to col termine di "imparzialità"; si tratta di un osservatorio da cui guardare, osservare, formare giudizi o, come dice lo stesso Kant, riflèttere sugli affari umani. Non ci dice però come agire- c nep­pure come applicare alle particolarità della vita politica la saggezza acquisita con l'adozione di un "punto di vista generale''. (Kant non aveva alcuna esperienza nell'ambito dell'agire politico, c nella Prussia di Federico Il non poteva neanche averne). Kant dice come dobbiamo tener conto degli altri, non ci dice invece come entrare

in contatto con gli altri per agire. Questo ci suggerisce la domanda seguente: il punto di vista

generale è soltanto il punto di vista dello spettatore? (Quant~ Kant prendesse sul serio l 'ampliamento del suo propno mo,do d1 pc_n~ sarc è documentato dal fatto che mtrodusse e tenne ali umvers1ta un corso di geografia fisica. Era un avido lettore di ogni genere di resoconti di viaggio e, quantunque non si fosse mai allontanato da Konigsbcrg, era di casa a Londra e in Italia; era solito dire di non aver tempo per viaggiare proprio perché desiderava sapere

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tanto su tanti paesi.) Per quel che lo concerneva, il punto di vista generale era sicuramente il punto di vista del cosmopolita. Ma ha un senso questo termine "cosmopolita", correntemente usato dagli idealisti? Essere un cittadino vuoi dire fra l'altro avere compiti, doveri c diritti, i quali tutti acquistano un senso solo se sono limi­tati tcrritorialmentc. Il cosmopolita di Kant era in realtà un Wcl­thetrachter, uno spettatore del mondo. Kant sapeva assai bene che un governo mondiale sarebbe stato la peggiore tirannia immagi­nabile.

In Kant medesimo, questa aporia viene in primo piano nel­l'atteggiamento apparentemente contraddittorio dci suoi ultimi an­ni, diviso tra un 'ammirazione quasi senza limiti per la Rivoluzione francese e un'opposizione egualmente illimitata a ogni impresari­voluzionaria da parte dei cittadini francesi. l passi, che adesso vi leggerò, sono stati tutti scritti pressoché alla stessa data. Ma prima di incominciare, permettetemi di ricordare che Marx, come già Hcinc prima di lui, ha definito Kant il filosofo della Rivoluzione francese. Forse ancora più importante: questo giudizio trovava una solida base nell'interpretazione che la rivoluzione dava di sé. Sie­yès, il famoso autore dello scritto sul "'terzo stato" c uno dci fon­datori del Club dci giacobini, divenuto poi uno dci membri più influenti della Assemblea Costituente (vale a dire dell'assemblea incaricata di redigere la Costituzione francese), sembra conoscesse Kant e f()sse stato in qualche misura influenzato dalla sua filosofia. In ogni caso un amico, Thcrcmin, si mise in contatto con Kant per riferirgli che Sieyès aveva intenzione di introdurre la sua filosofia in Francia. poiché "lo studio di questa filosofia da parte dei francesi sarebbe un complemento della rivoluzionc". 1110 La riposta di Kant è andata perduta.

Ad un primo colpo d'occhio, c anche a un secondo. la reazio­ne di Kant alla Rivoluzione francese non è affatto equivoca. Oc­corre dirlo subito: egli non ondeggiò mai nel giudizio di ciò che chiamava "l'avvenimento recente", così come non ondeggiò pres­soché mai nel condannare tutti coloro che l 'avevano provocato.

Inizierò da quella che in questo contesto è la più celebre fra. le~~~

Prese di posizione, dal momento che in un certo senso contiene a

dd. · d ·l suo attegg1amcnto. chiave dcii 'apparente contra Jz\OnC e .

. 1 "" l 1 consiste in fatti o misfatti im-"Qucsto avvenimento [la nvo uz1onc nOI · ·

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. . . . •l' mini cr cui ciò che era grande per oro c reso portanti compiUti dag l ~o ', :,o >rande· c neppure nella scomparsa co-piccolo, o CIO che' era~~ccol~1, c ~~di e~ifìci ~olitici c nella loro sostituzione me per mcanto d antJc 1 sp cn d ... È . , p !ice-

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l'altro, malgrado Il pencolo c ann~ "I'Ita·) di.lll()stra un carattere della . . · · . ( cr la sua umversa ·

spmto partigiano. ~n~ . ~, . d un tempo (per il suo disinteresse) ne d imo­specie umana 11l genera ~ e a , , h non solo sperare nel progrcs­stra un carattere morale fondm~~nt<~lc/h~ ~é un t~ l pr~gresso nella misura so verso il meglio, ma costttuJscc gJa li per. in cui esso può essere attualmente raggwnto.

La rivoluzione di un popolo di ricca spiritualità, quale noi a~hiamo . . . · · . ··re 0 hl lire· essa puo accumu-

veduto ctìèttuarsi ai nostn g10rll1, puo n usci ' .. , , ·sse s c-. . l ·ltà tali che un uomo benpensant<:. se anche potc.. . p

l are, n;i~~~~;.:J~r~~~lc~la con successo una seconda volta. non si indurr.~hh~ a rare l l .,", ) l'esperimento; questa rivoluzione. Io dico. trohl pero tentare a ta p1 czz( · · ·t ,- ) ·o coinvolti)

l' .. 't' l't tti gli spctl'ltori (che non sono m qucs o gi( c ncg 1 spm I ( 1. u d''t~pin~ioni che rasenta l'entusiasmo. anche sc la sua una partecipaziOne '· ' d' . . ta d:tl pericolo c chc per conseguenza

. f' t . non andava IS"Jun , , mam es aZione ·"' . . · . " k della specie uma-

... , , . l tra causa che una disposiziOne mm ct . non puo avere a ·

na. . . . , . iaric oli wvcrsari dei rivoluzionari non avrch-(_ on ncompcnse pccun "' ' h . 1

1 de

·l, , rs·, allo ?cio e alla grandcaa d'animo c c pot<:va so l . -hero potuto c cv d · d Il' . propno

. ·Il' "l ·oncctto del diritto; lo stesso concetto e onon:. . star~ 111 q.uc !hl-~~·\ \.(Ucrriera (che era l't;quivalentc dell'entusiasmo). sva-dcll antlccl no 1 ' ~ ' ' 'l r 'tt del popolo a . . . Il.. . r ·Ili che avcvano m vista 1 l m o . m va davanti a e ctrmlll quc

1 . d·f·n ·ori Con tale esaltazione sJm-

. . , . t' •vanO C di CUI SI crCl CV cinO 1 c S . .. . . . . cui app,tr cne . d· . i· l d' fuori senza la mmmm mtcnzJOne patizzava il puhhl!co, che guar c~ ve~ c a 1 . . .

di coo~crarc. do anche senza essere dotato di spirito profetico, di poter . ra w c:e .. : . - .. , . ;l·i clementi e ai segni precorritori dell'età

presagire per l umam:a,tlndbaq~c:~o tinc c con ciò un progresso verso il mc­nostra, d raggmng1m<.:n ° 1

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Page 34: Hannah Arendt Teoria Del Giudizio Politico - Lezioni Su Kant

glia che non conoscerà più un totale re •ress , ", . nella storia dcll'umanita' non.· d' g ·.~·In effetto un tale fenomeno

. st tmenttca ptu ... Pure, anche se il fine intravisto in questo a , . . ·t· t , . · , vvenunento oggt non '

sa o dncora raagtunto anche se l· · 1 . . c . . '=' ' · d nvo unone o la nform· d Il . Ltonc dt un popolo dovesse da !t. ,., 11 . a e a coslltu-, ' u uno •a tre oppure se d 1 h po, tutto ricadesse n ·Il, t' , . ' , opo qua c c t cm-, e an t co corso (come c ·rt' · · ... presagiscono) non d, ·bb, c

1 uommt polittct oggi ' per ne e nulla della sua for· , 11 ..

losotica. Infatti quell'avvenimento è tn , za, que a predmonc ti-tcrcsse dell'u

1 't'

1 . lppo grande, e troppo legato all'in-

nam a c per a sua mfl · del mondo perché esso nll ,d ·bb· ucnza st estende troppo a tutte le parti

' ,, n e antornare 1 ]··,.· · .. costanze f , ,. , · . ' n qua Stdst ncorrere dt ctr-

avorcvo 1. d! ncordo dc t pop 1- , h, gliato r vista del ripetersi di nuovi tcn~:;;~c(~~l ~ennoe~cd~bba essere risvc-

" pettanto un pnnctpto non solo giustificato c sotto l'asp tt . raccomandabile, ma, anche a dis etto de •li i , ·. . , e o prattco più severa, che la specie Ltlll'tn' ph g ncreduli, valido per la teoria

· , d a sempre progred't , . -1 . progredirà ancora ·n , . · T 1 .

1 0 verso 1 meglio c

1 ctvvemre a c prmc· · , , · che avviene , . · tpto, se SI guarda non solo a ciò

della terra c:Cr:s;~C~lu,:•~:~opl:;~~)~~bt~a al~<~ sua ,estensione a tutti i popoli linita ... ".tnt p c ero dccoglierlo, una prospettiva indc-

70

OTTAVA LEZIONE

Nel passo del Conflitto dellefacoltà (parte Il, paragrafi 6 e 7) che vi ho letto, Kant affermava esplicitamente di non occuparsi di quelle azioni c misfatti degli uomini che causano la genesi e il de­clino degli imperi c fanno grande ciò che era piccolo c piccolo ciò che era grande. L'importanza dell'accaduto sta per lui esclusiva­mente nel giudizio dell'osservatore, nell'opinione degli spettatori che prendono posizione pubblicamente. La loro reazione ai fatti testimonia il "carattere morale" dell'umanità. Senza tale parteci­pazione simpatctica, il "significato" dell'accaduto sarebbe del tutto aìvcrso o semplicemente inesistente. Giacché è questa simpatia

che suscita la speranza che

"dopo qualche crisi rivoluzionaria di trasformazione, sorga finalmente quello che è il lìne supremo della natura, cioè un generale ordinamento co­smopolitico, che sia la matrice, nella quale vengono a svilupparsi tutte le

originarie disposizioni della specie umana" .102

Da questo, tuttavia, non si dovrebbe concludere che Kant si schierasse anche solo lontanamente dalla parte dei rivoluzionari a

_venire. ln una nota al passo del Conflitto dellefacoltà lo mette bene in chiaro: ci sono "diritti del popolo", che nessun governante ardi-

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Page 35: Hannah Arendt Teoria Del Giudizio Politico - Lezioni Su Kant

sce contestare pubblicamente nel timore h . varsi contro di lui. cosa eh, " c e ti popolo possa solle-. ' c c questo tarebbe p ·1 . 1

llbertà anch•' quand) ., b er 1 so o amore della ' '- 1 IOSSe C t . ·

"non avesse da lamentarsic per :a~~ n t~, Sicuramente protetto c di nulla". I diritti degli , .. q 1 o at~Ie~e_al benessere, proprio

uommi, mcluso J[ dmtt d l l sere "co-legislatore" sono " . E .

0 e popo o ad es-, c sacn. - nondimeno:

questi diritti sono c'sempre solo un. idea . . . . condizione che i suoi m .. . . ' la LUI attuazwne è limitata dal h

· . . · ezZJ Siano compatibili c l· . l" · . ' z1onc ln111tativa non deve essere 1 . . d' on a mora Ita. l aie condi-

. . . · rasgre Ila dal pop 1 , . . • missiblle che esso pcrscgu· . . . 1. . . 0 o, c non c percw am-

. a 1 piopn ( Iritl1 mcdiant · · quale è sempre ingiusta"_1o1 e una nvoluzwne, la

Se non disponessimo di null'altro che d. . mo sospettare che Kant l'· , . . . I questa nota, potrem-

avcsse aggiUnta solo , d . lo stesso avvertimento è rip 't t . . pc~ pru enza; mvecc

· c u o m una scne di Jt · · diamo Per la pace per etua dov, . . . . . a n. passi. Prcn­modo più chiaro: p , e la sua poslZlone e esposta nel

"Quand'anche. nell'impeto di una rivolu?ion. . .. , - . shtuzwnc. fì.Jsse attuata con .....

11 . . . c PfO\OCdld dalla catt1va co-

. mczz1 1 eg1ttm11 una g· ·t· . . . . pure m questo caso dovrebbe . .d . . IUS a costituzione, nep-

I'• . cons1 erars1 lecito ri . d .1 a antica, anche se sotto l'i , d. · . con urre 1 popolo

l mpcro I questa fosse 1 ,. 1 .

a pena prevista per i rivolto.· ·h· · · · egd mente pumto con SI c 1unque prendesse . 1, . Il· · .

con la violenza 0 con 1 'astuzia.1o4 • · par c d d nvoluz.Ionc

Intàtti, come analogamente scrive nella Metajìl·t·(·a i . . . · · c et costunu:

"quando una rivoluzione non sia riuscita es· .·. . , . . tu7.1one. l'dlegalitò della sua I .. , ., I Sid ton(Ltta una nuova costi-

. . . . mgmc c l suo modo di ·t· b T .. scwgl1cre 1 sudditi dall'obbl. , d .. d· . s a l 1rs1 non possono

. Igo I a c~ttars1 come bu · .·1 d' . ordme di cose ... ". 1 o.' oni ci ta 1111 al nuovo

Quindi, qualunque sia lo l'la tu\· b . è mai legittima. · · qua, uono 0 cattivo, la rivolta non

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'·J diritti del popolo sono violati c non si commette ingiustizia verso il tiranno nel detronizzarlo: su ciò nessun dubbio. Non è però meno vero che è estremamente ingiusto da parte dci sudditi far valere in questo mo­do il loro diritto. c non potrebbero allatto gridare all'ingiustizia, se in questa lotta soccombessero c dovessero in seguito subire per ciò le pene

più dure". 100

Ciò che qui si può chiaramente vedere è lo scontro tra il prin­cipio secondo cui si agisce c il principio secondo cui si giudica. Infatti Kant condanna proprio l'azione i cui risultati egli poi fe­steggia con una soddisfazione che sconfina nell'entusiasmo. Que­sto scontro non è per nulla semplice materia teorica; nel 1798 Kant si trovò di nuovo a tàrc i conti con una insurrezione, c cioè con una delle molte rivolte dell'Irlanda contro l'autorità allora "legit­tima" dell'Inghilterra. Stando alla testimonianza di un conoscente, conservata nel diario di Abegg, Kant ritenne che l'insurrezione fos­se legittima cd espresse persino la speranza in una futura repub­blica d'Inghiltcrra. 107 Ancora una volta si trattava di una semplice opinione, del giudizio di uno spettatore. Anche in quest'occasione

scriveva:

'"Confesso il mio disaccordo, anche cnn persone piene di saggezza. quando dicono: il tal popolo (nell'escrciz.io della libertà giuridica) non è maturo per la libertà; i servi della gleba di questo o quel grande proprietario non sono maturi per la libertà; o anche: gli Ul>Inini in generale non sono ancora maturi per la libcrtà di fede. Se fosse vero, san:bbe impossibile giungere alla libertà perché non si può diventarc maturi per essa se prima non vi si è stati posti (bisogna essere liberi per potersi servire convenientemente del­le proprie !ì.Jrzc nella libertà) ... Ci si rende maturi alla ragione solo mediante tentativi personali (che sono possibili solo alla condizione di essere liberi) ... Ma sostenere in linea di principio che la libertà non è adatta a quanti sono stati un tempo sottomessi al potere assoluto ... equivale ad usllllJare i diritti

sovrani della divinità che ha fatto l'uomo per la libertà''.10

x

La ragione per cui non dovreste impegnarvi in ciò che, se co­ronato da successo, applaudireste, va ravvisata nel "principio tra­scendentale della pubblicità", che regge tutte le azioni politiche.

Page 36: Hannah Arendt Teoria Del Giudizio Politico - Lezioni Su Kant

Kant illustra questo principio in Per la pace perpetua (Ap­pendice II), dove il conflitto tra l'attore impegnato e lo spettatore giudicante diventa un "cont1itto della politica con la morale". Il principio che le abbraccia entrambe suona:

"Tutte le azioni relative al diritto di altri uomini, la cui massima non è con­ciliabile con la pubblicità, sono ingiuste ... Infatti, una massima che io non posso far pubblica senza con ciò render vano lo scopo propostomi, che dev'essere tenuta assolutamente segreta per riuscire, che io non posso con­fessare pubblicamente senza provocare la resistenza immediata di tutti con­tro il mio proposito, una tale massima non può spiegare questa reazione necessaria c universale di tutti contro di me (come tale conoscibile a prio­

ri). altrimenti che per l'ingiustizia di cui essa minaccia ognuno". 109

Proprio come si può dimostrare l'ingiustizia del dispotismo sulla base del fatto che "nessun governante ha mai osato dichiarare apertamente di non riconoscere alcun diritto del popolo, nei suoi confronti", così "l'ingiustizia della ribellione si rende chiara da questo: che la massima di essa, qualora fosse pubblicamente co­nosciuta, renderebbe impossibile il suo proprio scopo. Perciò do­vrebbe necessariamente esser tenuta scgreta". 110 La massima della "prudenza politica", ad esempio, "manderebbe necessariamente a vuoto il suo proposito", se fosse resa pubblica. D'altro canto un popolo impegnato a stabilire un nuovo governo non potrebbe "ren­dere pubblica la massima secondo cui si propone eventualmente di insorgere", perché a tale condizione non sarebbe possibile al­cuna "costituzione dello stato", mentre questa è appunto 'T inten­zione del popolo". Le due obiezioni di fondo contro questa argomentazione vengono menzionate dallo stesso Kant. In primo luogo, il principio è "semplicemente negativo, cioè serve solo a tàr conoscere ciò che non è giusto verso gli altri", mentre non pos­siamo trarnc la conclusione opposta che "una massima, per il solo fatto di essere compatibile con la pubblicità, sia per ciò solo anche giusta". 111 In altre parole, anche l'opinione, soprattutto se non è l'opinione disinteressata dello spettatore ma quella partigiana,

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acntica, del cittadino interessato, può essere falsa. In second~ lu_o~ go, l'analogia tra governanti c governa_ti è t~o_r~iante: mfatti chi c "a conoscenza di possedere un potere Irresistibile ... non _ha da te­mere di mandare a vuoto il suo proposito rendendo pubblica la sua massima". Kant propone perciò un "principio trascendentale c po-

sitivo":

"Tutte 1c massime, che hanno bisogno della pubblicità (per non venir meno . . l d" . "112

al loro scopo), concordano insieme con la poht1ca e co mtto ·

Questa soluzione del "conflitto della politica con la moral_e"

è ricavata dalla sua filosofia morale, nella quale l'uomo con:c m­dividuo singolo, chiamando a consulto null'altro che la propna ra~ gionc, scopre la massima non autocontraddittoria dal~a qua}e puo poi dedurre un impcrativo:}~a pubblicità è_ già nella hloso~I~' ~~_o­rale il criterio della legalità. Ad esempio, 111 questi tcrmmi: . C Ja­

scuno considera la legge morale tale da poterla d1ch1ararc pubblicamente, ma le proprie massime tali da doverle tenere _sc­grctc".ll1 Le massime private debbono essere sottoposte a u~ ~n~ dagine che mi dica se le posso rendere pubbliche. La moralita c qui data dalla coincidenza del privato c del pubblico. lnsistc_rc sul caratlcrc privato della massima significa essere malvagio. L c~scr malvagio è perciò contrassegnato dal ritiro dall'ambito pubblico. Moralitù vuoi dire mettersi in condizione di essere visto, c non solo dagli uomini ma da Dio, l'Onnisciente che "vede nei cuori".

~ L'uomo, sopra ogni altra cosa, pone il diritto, è legislatore. Ma si può essere legislatore soltanto se si è liberi; è una questione aperta se la stessa massima possa valere per_ l'uomo libero come per quello non libero. E anche qualora acccttwt: la soluzione kan­tiana qui esposta. resta che il suo presupposto c evidentemente la "libcrtù di penna", cioè l'esistenza di uno spazto pubblico, se non per l'azione almeno per l'opinione. P~rKant ~l momento della n­beli ione arriva quando la libertà di opm1one viene abolita. Non n­bcllarsi allora vuoi dire essere incapaci di dare una nsposta al

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vecchio argomento di Machiavelli contro la moralità: se tu non re­sisti al male, i maltàttori faranno quel che vogliono. Benché sia vero che, resistendo al male, si finisce probabilmente per restarne invischiati, in politica la cura del mondo ha la precedenza sulla cu­ra per voi stessi- per il vostro corpo o per la vostra anima. (L'af­fermazione di Machiavclli, "Amo la mia patria più della mia anima" è soltanto una variante di: amo il mondo c il suo futuro più della mia vita o di me stesso).

Del resto, due premesse consentono a Kant di venir fuori tà­cilmcnte dal conflitto. Nella sua controversia con Moses Mcndcl­ssohn, che aveva preso posizione contro la tesi di Lessing di un "progresso del genere umano nel suo insieme", Kant è consapevole di una di queste premesse. Mcndclssohn sosteneva, come Kant ri­porta:

"L'uomo progredisce, ma l'umanità oscilla costantemente in alto c in basso tra limiti tissi: considerata nel suo insieme, essa conserva per lo più in tutte le sue età lo stesso grado di moralità, la stessa quantità di religiosità e ir­

religiosità, di virtù c di vizio, di felicità c di miseria". 114

Kant replica che senza l 'assunzione di un progresso nulla avrebbe senso: il progresso può essere "interrotto, ma non mai ar­restato". Egli, fàccndo ricorso allo stesso argomento usato nella Critica della ragion pratica, fa appello a un "dovere innato"; una voce della coscienza comanda "tu dcvi", c sarebbe una contraddi­zione ritenere che io non posso, quando la mia stessa ragione mi dice che debbo (ultra posse nemo ohligatur, "ciò che va oltre il possibile non può obbligare alcuno"). 11

' Il dovere, a cui si allude in questo caso, è quello di "agire sulla discendenza, così da rcn­dcrla sempre migliore" (dunque il progresso deve essere possibile), Kant tà rilevare che senza questa assunzione, "questa speranza di tempi migliori", nessun agire sarebbe possibile; perché solo questa speranza ha spinto i "benpensanti" a "fare qualcosa di utile per il bene gcncralc". 116 Ciò detto, noi sappiamo oggi che possiamo da-

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tarc l'idea di progresso c sappiamo che gli uomini hanno sempre agito, dunque ben prima che questa idea tàcesse la sua apparizio-

ne. La seconda c più importante premessa fatta da Kant concerne

la natura del male. Machiavclli postula che il male finirà per dif­fondersi senza freno se gli uomini non vi si opporranno anche ari­schio di commetterne essi stessi. Opponendosi a questa tesi e concordando in qualche modo con la tradizione, Kant ritiene che il male tenda per sua stessa natura ad autodistruggersi.

"Sebbene non sia nella natura dell'uomo, secondo il corso ordinario ddk cose. di rinunciare volontariamente al suo potere, pure, in circostanze ur­genti, ciò non è impossibile: e non è fuori di luogo per le aspirazioni morali c per le speranze degli uomini (nella coscienza della loro impotenza) al~ fermare che si attendono dalla Provvidenza le circostanze favorevoli a tale scopo, c pensare che essa permetterà di conseguire quel fine che l 'umanità, considerata nell'insieme delle sue generazioni, si propone per il raggiun­gimcnto della sua destinazione ultima mediante il libero uso delle sue lòrze, per quel che esse possono valere; a ciò i lini degli uomini, considerati sin~ golanncnte, contrastano. Ed è proprio l'antagonismo delle tendcn7e. da cu1 sorge il male, quello che procura alla ragione l'occasione di un libero gioco, atto a sottomcttcrle nel loro insic:me e a tar triontare, in luogo del male che distrugge se stesso. quel bene che, una volta prodotto. si conserva da sé

nel futuro" 1 17

Di nuovo è qui decisivo il punto di vista dello spettatore. Pren­dete in considerazione la storia nel suo insieme' Che genere di spettacolo diventerebbe senza l'ipotesi del progresso? Le alterna­tive sarebbero secondo Kant, o il rcgrcsso, che porterebbe alla di­sperazione, o un'eterna identità, che ci annoierebbe a morte. Cito il passo seguente, per sottolineare ancora una volta l'importanza

dello spettatore:

"Se è spettacolo degno di una divinità vedere un uomo vi1iuoso lottare con­tro le avversità, contro le tentazioni del male, c ciò malgrado rimanere fer­mo di fronte ad esse, è d'altra parte spc:ttacolo altamente indegno ... [anche] dell'uomo più comune. purché ben pensante, vedere la specie umana fare

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di. p~riodo in periodo progressi verso la virtù e tosto ricadere nuovamente nel ~!ZIO e nella m1sena. Può essere commovente e istruttivo guardare per un certo te:n~o a questo spettacolo tragico, ma su di esso deve pure una buond volta calare la tela. Altnmenti a lungo andare diventa una f ". , se an'] , 1 t · arsd. e c 1c g ' a ton non se ne stancano. perché sono pazzi ben pu' t· ., sen 1 tt t -

1 , o s .mcar­

. c o spe a ore, 1 quale ne ha abbastanza dell'uno o dell'altro atto quan-do ha mot1vo d1 presumere che l'opera, non andando mai alla fi;lc, sia eternamente la stessa".'' s

78

NONA LEZIONE

L'ultima garanzia che tutto, almeno per lo spettatore, volga al meglio, la offre- come ci insegna Per la pace perpetua --la natura stessn (che può anche essere chiamata provvidenza o destino), la "grande artefice", "dal cui corso meccanico scaturisce evidente lo scopo di trarre dalle discordie degli uomini, anche contro la loro volontà, la concordia". 119 La discordia è in cftètti un fattore così importante nel disegno della natura, che senza di essa nessun pro­gresso sarebbe immaginabile c senza il progresso nessuna armonia

finale potrebbe essere raggiunta. Lo spettatore, non essendo coinvolto, può riconoscere il di-

segno della provvidenza o della natura, che resta nascosto ali' at­tore. Così abbiamo il dramma c gli spettatori da un lato, gli attori c tutti i singoli eventi e accadimcnti contingenti c casuali, dall'al­tro. Nel contesto della Rivoluzione francese sembrava a Kant che l'autentico significato dell'evento fosse contenuto nel giudizio del­lo spettatore, benché nessuna massima per l'azione ne potesse ri­sultare. Analizzeremo ora una situazione in cui proprio l'opposto sembra essere vero per lui: una situazione in cui i singoli eventi e i singoli attori offrono uno spettacolo che è "sublime" c in cui, inol­tre, il sublime può ben coincidere con il disegno nascosto della na-

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tur~; c tuttavia la ragione, che sancisce le massime dell'agire, ci prmbtsce m modo categorico di prendere parte a questo atto "su­blime". Siam~ alla trattazione kantiana del problema della guerra. Se nella questione della rivoluzione le sue simpatie si collocavano incquivocabilmente dalla sua parte, nella questione della guerra stanno ora chiaramente c senza riserve dalla parte della pace.

In Per la pace perpetua leggiamo che, "la ragione, dal suo trono di suprema potenza morale Jegislatrice, condanna in modo assoluto la guerra come procedimento giuridico, mentre eleva a dovere immediato lo stato di pace, che tuttavia non può essere crea­to o assicurato senza una convenzione dci popoli". L'o Non sussiste il minimo dubbio su ciò che la nostra massima per l 'agire in questo campo dovrebbe essere. Tuttavia le cose non stanno affatto così per il semplice spettatore, che non agisce e si affida interamente a ciò che vede, c il titolo ironico del pamphlet allude in modo suffi­cientemente chiaro alla possibile contraddizione. Perché il titolo originale, Per la pace perpetua, "l'iscrizione satirica posta sull'in­segna dt un oste olandese", si riferisce al cimitero. Questo è il luo­go d dia pace perpetua, e l'oste otTre le bevande che già in questa vita VI condurranno in quello stato ardentemente desiderato. Ma che cosa c'entra con la pace? È forse la pace l'immobilità che po­trebbe anche essere chiamata morte? Più di una volta Kant ha enunciato la sua opinione sulla guerra, come era venuta fonnandosi nelle ~~c :iflessioni sulla storia c sul corso de li 'umanità, mai però con plll VIgore che nella Critica del Giudi::.io, dove discute I 'argo­mento, Il che è abbastanza caratteristico. nel paragrafo dedicato al Sublime.

'' ... che cos'è, anche per il selvaggio, l'oggetto della massima ammirazio­ne" Un uomo che non teme niente, che non si spaventa di nulla, che non cede davanti al pericolo ... Anche nello stato di civiltà più ratììnata questa st1ma smgolare per il guerriero resta ... pcrchè appunto ... si riconosce l'in­vi~cibilità del suo animo di fronte al pericolo. Perciò si potrà disputare fin­che SI vuole ... nel conti·onto tra l'uomo di stato c il guerriero, il giudizio estellco dectde per quest'ultimo. Pertìno la guerra ... ha in sé qualcosa di

80

l l l

sublime ... mentre invece una lunga pace di solito dà il predominio al sem­plice spirito mercantile. e quindi al basso interesse personale, alla viltà,

alla mollezza, abbassando il carattere c la mentalità del popolo".121

È questo il giudizio dello spettatore (cioè, il giudizio estetico). Ciò che non entra nella considerazione dello spettatore, il quale vede il Jato sublime della guerra-- il coraggio dell'uomo, è qual­cosa che in un altro contesto Kant menziona scherzosamente: stati belligeranti sono come due ubriachi che si azzuffano in un negozio di porcellanc. 122 Il mondo (il negozio di porcellane) viene ignorato. La sua considerazione è però in un certo modo assicurata, non ap­pena Kant passa alla domanda: a che cosa servono, in rapporto al "progresso" c alla civilizzazione, le guerre? Anche qui la sua ri­sposta è tutt'altro che univoca. Certo, lo "scopo finale" della natura è "una totalità cosmopolita, vale a dire un sistema di tutti gli stati, che sono esposti al pericolo di danneggiarsi reciprocamente".

121

Tuttavia la guerra, "impresa sconsiderata (suscitata dalle passioni sfrenate degli uomini)". serve di fatto, in virtù proprio della sua inscnsatczza, non solo a preparare l'eventuale pace cosmopolitica (è possibile che il puro e semplice esaurimento riesca a imporre ciò che né la ragione né la buona volontà hanno saputo ottenere),

ma

"malgrado le calamità terribili con cui essa opprime il genere umano, e i mali forse anche maggiori che derivano dalla sua costante preparazione in tempo di pace, è uno stimolo a sviluppar\: tino al più alto grado tutti i talenti

che servono alla cultura". 12~

In breve: la guerra non è "così irrimcdiabilmente cattiva ... co­mc il sepolcro della monarchia universale". E la pluralità delle na­zioni, insieme a tutti i conflitti che genera, è la portatrice del

progresso. Queste valutazioni di giudizio estetico c riflettente non hanno

alcuna conseguenza pratica per l'agire. Per quanto riguarda l' azio­

ne non vi è nessun dubbio che

Xl

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"la ragione moralmente pratica pronunzia in noi il suo veto irrevocabile: Non ci deve essere nessuna guerra ... Dunque non si tratta più di sapere se la pace perpetua sia una cosa reale o un non senso, e se noi non ci ingan­niamo nel nostro giudizio teorico, quando accettiamo il primo caso; ma noi dobbiamo agire sul fondamento di essa, come se la cosa fosse possibile, il che forse non è ... Che, se noi non possiamo raggiungere questo scopo, e se esso rimane sempre per noi un pio desiderio, almeno non ci inganneremo certamente facendoci una massima di tendervi senza posa, perché questo

è un nostro dovere". 125

Ma queste massime dell'agire non annullano il giudizio este­tico e riflettente. In altri termini, pur nell'intenzione di agire sem­pre per la pace, Kant teneva tenno e non dimenticava il proprio giudizio. Se avesse agito secondo la conoscenza acquisita come spettatore, avrebbe ritenuto di essere un criminale. Se per effetto del suo "dovere morale" avesse invece dimenticato le sue perce­zioni di spettatore, sarebbe diventato ciò che tendono a essere tanti uomini onesti coinvolti e impegnati negli affari pubblici: un pazzo idealista.

Riassumendo: nei passi che vi ho letto, due fattori molto dif­ferenti sono quasi ovunque presenti- due fattori strettamente con­nessi nel pensiero di Kant ma in nessun modo altrove. Il primo è la posi_zionc dello spettatore. Questi vedeva le cose più importanti, per-ché era in grado di scoprire un senso nel corso preso dagli even­ti- un senso che restava ignoto agli attori. Il fondamento esisten­ziale della sua percezione era il suo disinteresse, la sua non partecipazione, il :;;uo non coinvolgimento. L'interessamento di­sinteressato dello spettatore per la Rivoluzione francese lo portava a riconosccrla come un grande evento. Il secondo fattore è l'idea del progresso, la speranza nel futuro, in base alla quale si giudica l'evento in relazione alla promessa che contiene per le generazioni a venire. Entrambe le prospettive coincidono nella valutazione kan­tiana della Rivoluzione francese, senza però che questo abbia un significato per quanto concerne i principi dell'agire. Ma le due prospettive finiscono in qualche modo per coincidere anche nella

82

valutazione kantiana della guerra. La guerra è portatrice di pro­gresso- una tesi che chiunque conosca quanto strctta~ente la sto~ ria delle guerre è connessa alla storia della tecnologia non potra negare. E la guerra porta persino a progredire verso la pace: la guerra è così spaventosa che, quanto più spaventosa diventa, tanto più grande è la probabilità che gli uomini diventino ragionevoli e ricerchino quegli accordi intcmazionali che li potrebbero condurre alla pace. (Fata ducunt volentem, trahunt nolentem).

126 Ma per

Kant non si tratta di destino, si tratta di progresso, di un disegno ad insaputa degli uomini, di un'astuzia della natura o, in seguito,

di un'astuzia della storia. La prima di queste nozioni -che soltanto lo spettatore c mai

l'attore sa quello che sta succedendo è antica come le montagne; in effetti, è fra le più remote c influenti nozioni filosofiche. L'idea della superiorità della vita contemplativa deriva per intero da que­sta intuizione che il senso (o la verità) si manifesta soltanto a coloro che si tengono lontani dall'azione. Ve la propongo nella for~a ~iù semplice c meno sofisticata, nella forma di una parabola attnbUita

a Pitagora:

"La vita ... è come una pubblica festa: come nelle feste alcuni vengono rcr competere nella lotta, altri per esercitare il loro commercio, ma i migliori vetH!OllO come spettatori [theutuij, così nella vita gli uomini schia\i vanno

a ca~cia di !~una [dora] o di guadagno, i tilosoli della vcrità".1'7

I fatti, che stanno alla base di questo modo di vedere. sono in­nanzitutto la posizione dello spettatore, che permette solo a lui di considerare l'insieme, c la partecipazione dell'attore al gioco, la sua identificazione nel ruolo, che lo rende per definizione parziale. Lo spettatore è invece per definizione imparziale: nessuna parte­cipazione. nessun ruolo gli viene attribuito. Il ritrarsi dal coinvol­gimento diretto ad una posizione al di fuori del gioco è dunque un~l conditio sine qua non di qualsiasi giudizio. In secondo luogo, cto con cui l'attore ha a che tàrc è la doxa, l· opinione dcgl i altri (il ter-

,, n'

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mine doxa significa sia "fama" che "opinione''). La fama nasce dall'opinione degli altri. Per l'attore è pertanto di decisiva impor­tanza quale impressione egli faccia sugli altri (dokei hois a//ois); egli dipende dall'opinione dello spettatore, non è autonomo (nel senso kantiano del termine), non si lascia guidare dalla voce innata della ragione ma si conforma alle aspettative dello spettatore. l l canone è lo spettatore, c questo canone è autonomo.

Se si traduce questo nel linguaggio della filosofia, si arriva al primato del modo di vita dello spettatore, al hios theDoretikos (da theDrein: "contemplare"). Qui si evade per sempre dalla caverna del­le opinioni per andare a caccia della verità - non più la verità dci giochi alla festa, bensì la verità delle cose che durano eterne, che non possono essere altro da ciò che sono (a differenza delle faccende umane, che possono essere altro da ciò che di fatto sono) c sono per­tanto necessarie. Nella misura in cui il ritrarsi in questa dimensione può realizzarsi davvero, si ha quello che Aristotele ha chiamato atha­natizein, il "rendersi immortali" (inteso come attività), c che si com­pie nella parte divina dell'anima. Il punto di vista kantiano è un altro: ci si ritrae nella posizione "tcorctica", contemplativa, dello spetta­tore, ma questa è ora la posizione del giudice. Tutta la filosofia kan­tiana è impregnata di metafore del linguaggio giuridico: è davanti al tribunale della ragione che gli eventi del mondo compaiono. Nell'un caso come ncll 'altro, assorto nello spettacolo, mi trovo al di fuori di esso, ho rinunciato alla posizione che determina la mia esi­stenza effettuale con tutte le sue condizioni contingenti e accessorie. Kant avrebbe detto: ho raggiunto una posizione universale, l'impar­zialità che si attende dal giudice quando pronuncia il suo verdetto. l Greci avrebbero detto: abbiamo rinunciato al dokei moi, al mi-sem­bra, c al desiderio di apparire agli altri; abbiamo rinunciato alla doxa, che è al tempo stesso opinione c fama.

In Kant questa antica idea si connette ad un'altra del tutto nuo­va, quella di progresso, che sola fornisce propriamente il canone, sulla base del quale si giudica. Lo spettatore greco, nella festa della

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vita o nella contemplazione delle cose che durano eterne, guarda e giudica (trova la verità su) il cosmo dell'evento particolare con i suoi intrinseci concetti, senza porlo in rapporto con un qualche pro­cesso globale, in cui esso possa o meno svolgere un ruolo. Egli si interessa in realtà solo del singolo evento, dell'azione particolare. (Pensate alla colonna greca, ali' assenza di scale etc.!). Il significato dell'evento non dipendeva né dalle cause né dalle conseguenze. La singola storia narrata (story), una volta giunta alla fine, conte­neva l'intero significato. Ciò vale anche per la storiografia greca c spiega perché Omcro, Erodoto e Tucidide possano rendere giusti­zia al nemico sconfitto. La storia come racconto può anche conte­nere regole valide per le generazioni future, resta comunque una singola storia. L'ultimo libro scritto a mio parere in questo spirito sono le !storie fìorentine di Machiavelli, a voi note sotto il titolo fuorviante di Storia di Firenze. Quel che conta è che per Machia­velli la storia (histo1y) era soltanto un grande libro che conteneva

tutte le storie degli uomini.

Il progresso come canone per la valutazione della storia ca­povolge in un certo senso il vecchio principo, secondo cui il senso di una storia si svela soltanto quando giunge alla fine (nemo ante mortem heatus i'SSe dici poti'st: nessuno può esser detto felice pri­ma della morte). In Kant il signitìcat()di una storia o di un evento non sta atl~ttto nel suo compimento, ma nel dischiudere nuovi oriz­zonti per il tuturo. È la spaanza che rappresentava per le genera­zioni future a fare della Rivoluzione francese un avvenimento così significativo. Questa sensazione era ampiamente diffusa. Hcgcl, per il quale pure la Rivoluzione francese segnava la svolta decisiva, per descriverla fa ricorso a metafore come "grandioso sorgere del sole", "aurora" etc. Essa è un evento "storico-universale", perché contiene il seme del futuro. La domanda qui è: chi è allora il sog­getto della storia'? Non gli uomini della rivoluzione, che certamente non avevano pensato alla storia universale. La storia universale

può acquistare un senso solo se

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"dalle azioni degli uomini risulta anche qualcos'altro rispetto a ciò che essi intendono e raggiungono, sanno c vogliono immediatamente; essi perse­guono il loro interesse, ma così anche qualcosa di meno immediato viene portato a compimento, qualcosa ... che non era nella loro coscienza e nella loro intenzione. Per analogia prendiamo l'esempio di un uomo che per ven­detta dà fuoco alla casa di un altro ... [L'azione immediata) si riduce ad ap­piccare una piccola fiamma a un piccolo punto di una travc ... [Ciò che segue, non era nelle intenzioni:] un vasto incendio si sviluppa ... Questo poteva non essere contenuto nella coscienza e ancor meno nella volontà di chi ha compiuto l 'atto ... in questo esempio bisogna por mente soltanto al fatto che nell'azione immediata può essere coinvolto qualcos·altro da ciò

che è consciamente voluto dall'attorc". 12 ~

Queste sono parole di Hegcl, ma potrebbero essere state scrit­te da Kant. Vi è tuttavia tra i due una differenza, che è di grande momento c presenta due aspetti. In Hegel è lo "spirito assoluto" che si rivela nel processo, c questo è quanto il filosofo può com­prendere alla tìne di tale rivelazione. In Kant è invece il genere umano stesso il soggetto della storia universale. Oltre a ciò, lari­velazione dello spirito assoluto deve in Hcgcl giungere a una con­clusione (per Hcgcl la storia ha una fine: il processo infatti non è infinito, soltanto sono necessari molti secoli c molte generazioni perché si arrivi alla tìnc). Non l'uomo ma lo spirito assoluto si ma­nifesta a questo punto, c la grandezza dell'uomo si realizza solo nella misura in cui egli da ultimo diventa in grado di comprendere. In Kant per contro il progresso è incessante, non termina mai. Per­tanto non v'è alcuna fine della storia. (In Hcgel come in Marx l'idea che la storia abbia una tìnc è decisiva; ini~1tti essa implica l'includibilc domanda: che cosa accadrù, a patto che accada qual­cosa quando si sarà arrivati alla tìnc? a prescindere ora dall'in­clinazione, piuttosto manifesta in ogni generazione, a credere che questo termine escatologico sopravvivcrù nel suo stesso arco cro­nologico. Come Kojèvc a ragione ha scritto, portando alle estreme conseguenze quell'aspetto di Hcgcl che aveva inilucnzato Marx: dopo la fine della storia l'uomo non può fare null'altro che ripen­sare incessantemente il processo storico che si è compiuto. 129 In

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Marx stesso, d'altro canto, la società senza classi~ il rcg~o della libertà fondato su li' opulenza sfociano in uno stato m cu1 ctascuno

può dedicarsi ad ogni sorta di svaghi).

Tornando invece a Kant, il ~?ggctto che corrisponde alla storia univcrs(\le è il genere umano.: ù disegno della natura constste ne !l~ sviluppare tutte le attitudini dell'umanità, intcndcndopcr umamta una delle specie animali della natura - fatta salva la ~egucnte dc-

t · te ditlcrcnza: la specie degli animali "non s1gmfica altro crmman . , 1 111 1 . che il segno in cui tutti gli individui devono convcmre ; · ne caso

del genere umano è tutto diverso.

"se il genere umano indica la totalità di una serie di gcncrazi~m~ ~h~ van~~) verso l'intlnito (cioè verso l'indctcnmnahdc) ... c se s1 ammette che questa serie di generazioni si avvicini costantemente alla linea della sua destma­ziom:, che le corre a Jato, allora non vi è alcuna contradd1z1onc nel d1rc ch'e tale totalità in tutte ]c sue parti è rispetto a queste asmtotl_ca, ma che nel complesso si incontra con essa. In altre parole, ciò s1gmhca che nessun membro di tutte ]c gencraz.ioni umane, ma solo il genere, raggwnge pie­namente la sua dcstinaziom: ... il filosofo direbbe: la dcstmaz1one del genere

d' "111 umano è nel compksso incessante progrc m: ....

Cerchiamo di trarre qualche conclusione! La storia, potrem­mo dire, è qualcosa di immanente al genere umano. L'essenza del­l'uomo non può essere determinata. E alla tl~tca domanda kantiana "Perché mai esistono gli uomini?", la nsp~)sta suona: "Non è possibile rispondere". Infatti il valore dell'esistenza del­l'uomo può manifestarsi solo nella totalità c mat ad un smgol~ uomo 0 a una generazione di uomini, poiché il processo stesso e

indctcrminabilc. . ,. . Pertanto: al centro della filosofia morale kant1ana sta l mdt-

viduo; al centro della sua filosofia della storia (o meglio~ della~~­tura) il progresso incessante del genere umano o dcii umamta. (Dunque: storia in una prospettiva universale.) Il punto um~crsalc di osservazione è occupato dallo spettatore, che è un "Clttadmo del

'1'>7

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mondo" o, meglio, uno "spettatore del mondo". È lui che ha un'1.dea del tutto c stabilisce se in un evento singolo, particolare, s1 da progresso.

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DECIMA LEZIONE

Ci stavamo occupando dell'opposizione di spettatore c attore. Lo spettacolo che si svolge davanti allo spettatore - in un certo senso in vista del suo giudizio- è la storia come un tutto, c il vero eroe di questo spettacolo è l'umanità nel procedere della "serie di generazioni che vanno verso l'infinito". Questo processo non ha fine; la "destinazione del genere umano è incessante progredire". In questo processo trovano realizzazione le disposizioni del genere umano, c si sviluppano fino al "punto più alto"- anche se il punto più alto, in un senso assoluto, non esiste. La destinazione ultima, in senso escatologico, non esiste; ma i due fini principali, che gui­dano, sia pure dietro le spalle degli attori, questo progresso, sono la !ihcrtà (nel senso, semplice ed elementare, che nessuno domina sui propri simili) e la pace fra gli stati come condizione della con­cordia del genere umano. Progredire incessante in direzione della libertà c della pace- quest'ultima garantisce il libero scambio tra gli stati sulla terra: queste sono le idee della ragione, senza le quali la semplice trama narrativa della storia non avrebbe alcun senso. ÈI'intero che conferisce senso ai particolari, quando vengano visti c giudicati da uomini dotati di ragione. Gli uomini, per quanto sia­no esseri naturali e parte della natura, trascendono la natura grazie

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a una ragione che pone la domanda: "qual è lo scopo della natura?" Dando vita a una specie con la fàcoltà di porre tali domande lana­tura ha prodotto il suo proprio signore. Il genere umano si di~tingue da tutte le specie animali non solo per il possesso della lingua e della r~gwne, ma anche perché le sue disposizioni sono capaci di uno sviluppo illimitato.

Fino ad ora abbiamo considerato lo spettatore in quanto sin­golo, come, Kant medesimo spesso fa, e con buone ragioni. In pri­mo luogo c un fatto che un osservatore può abbracciare con lo sguardo molti attori - i molti che offrono ai suoi occhi lo svolgi­mento dello spettacolo. In secondo luogo è tutta la tradizione con il suo peso, a postulare l'isolamento dalla moltitudine di chi 'vive per la contemplazione, che è un'attività solitaria o perlomcno ca­pace di dare i suoi frutti solo in solitudine. Vi ricorderete che Pla­tone nel mito della caverna racconta come gli abitatori della caverna, .i molti, che osservano il gioco d'ombre sulla parete da­vanti a se, stanno con "gambe e collo incatenati, tanto che non si possono muovere, né guardare altrove se non dinanzi a se stessi, poiché i legami impediscono loro di volgere intorno la testa". m Così non possono nemmeno scambiarsi opinioni su quello che ve­dono. Non è solo il filosofo, che torna dalla luce del mondo delle idee,_ ad essere una figura completamente isolata. Anche gli spct­taton nella caverna sono isolati, separati l'uno dall'altro. L'azione _d'altra parte non è mai possibile nella solitudine o ncll'isolimcnto; -~n uomo singolo ha bisogno quantomcno dell'aiuto di altri per rea­lizzare le sue imprese, qualunque esse siano. Se la differenza tra le due f~rme ~i vita, quella politica (attiva) e quella filosofica (con­templativa) st configura in modo, che entrambe, come nell'esem­pio_ tratto dalla filosofia politica di Platone, si escludano reciprocamente, ne risulta una distinzione assoluta tra colui che sa que!lo che si_ deve fare c gli altri che, seguendo la sua guida 0 i suOI comandi, lo fanno. L'idea centrale del Politico di Platone è c?c. il_ P?rfet~o ~overnantc (archon) non agisce: egli è il saggio che da mtzto ali aztone c ne conosce il fine intenzionale, appunto per

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questa ragione è il governante. Di conseguenza sarebbe del tutto superfluo, anzi persino dannoso per lui, rendere note le sue inten­zioni. Noi sappiamo che, all'opposto, la pubblicità è per Kant il "principio trascendentale", che deve governare ogni azione. Ogni azione che "necessita della pubblicità" per non compromettere il proprio scopo è- come vi ricorderete -un'azione che CQ[)iuga po­litica e diritto. Kant non può avere le stesse idee di Platone sul­l'agire e sul giudizio, o sulla contemplazione o sul sapere.

Se vi chiedete dove sia c chi sia questo pubblico che origina­riamente conferisce pubblicità all'azione intenzionale, apparirà su­bito chiaro che nel caso kantiano non ci si riferisce a un pubblico di persone che agisca come governo o che ad esso prenda parte. Il pubblico a cui pensa è naturalmente il pubblico dei lettori. Ciò che conta è il valore della sua opinione e non il peso dei suoi voti elet­torali. Nella Prussia dcii 'ultimo decennio del XV li! secolo, in un paese cioè sotto il dominio di un re assoluto, consigliato da una ti­pica burocrazia di funzionari illuminati, che al pari del re viveva completamente separata dai "sudditi", non poteva esserci, al di fuo­ri di questo pubblico che legge c scrive, nessuna sfera veramente pubblica. Ad essere per definizione segreto e impenetrabile era proprio l'ambito del governo e dell'amministrazione. Se leggete gli scritti da cui ho tratto le mie citazioni, vi sarà subito chiaro che Kant poteva concepire l'azione soltanto come atti di uffici statali (qualunque essi poi di fatto fossero) e cioè come atti governativi. Ogni azione effettiva da parte dci sudditi poteva solo consistere in attività cospiratoria, in iniziative di società segrete, in congiure. ln altri termini l'alternativa al governo esistente non è per Kant lari­voluzione ma soltanto il coup cl 'état. E un colpo di stato deve in ctTetti, al contrario di una rivoluzione, essere preparato in segreto, mentre gruppi o partiti rivoluzionari si sono sempre preoccupati di rendere pubblici i loro fini c di conquistare ad essi consistenti parti della popolazione. Se questa strategia abbia poi tàtto nascere o mc­no una rivoluzione, è un'altra questione. È tuttavia importante ren­dersi conto che la condanna kantiana dell'agire rivoluzionario

l)]

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poggia su un fraintendimento. Infatti egli concepisce la rivoluzione come un coup d'état.

Siamo abituati a pensare la differenza tra contemplazione e azione nei termini della relazione tra teoria e prassi, e per quanto è vero che Kant ha scritto un saggio intitolato Sopra il detto co­mune: questo può essere giusto in teoria, ma non vale per la pra­tica, resta altrettanto incontestabile - e lo sì può dimostrare nel modo migliore proprio mediante questo saggio- che egli non in­tendeva il problema come lo intendiamo noi. La sua idea della prassi è dominata dalla ragione pratica, c la Critica della ragion pratica, che non si occupa né dell'azione né del giudizio, lo prova ampiamente: il giudizio, che nasce dal "piacere disinteressato" c dalla "soddisfazione inattiva" non vi ha alcun posto. 111 Nell'ambito pratico è la volontà, non il giudizio, ad essere decisiva, c la volontà segue semplicemente la massima della ragione. Anche nella Criti­ca della ragion pura Kant muove nella discussione del! 'uso puro della ragione dalle sue implicazioni pratiche, sebbene poi metta provvisoriamente da parte le idee pratiche, cioè morali, per rivol­gersi solo alla ragione nel suo uso speculativo. 114 Questa specula­zione si occupa della destinazione ultima dell'individuo, delle ultime fra le "questioni sublimi". 110 Pratico significa per Kant mo­rale e concerne l'individuo in quanto individuo. Il vero concetto opposto non sarebbe teoria ma speculazione: l'uso speculativo del­la ragione. Nell'ambito politico l'autentica teoria kantiana era la teoria del progresso incessante e di una confederazione di stati per dare realtà politica all'idea di umanità. Chiunque lavorasse in que­sta direzione era benvenuto. Eppure queste idee, per mezzo delle quali egli conduceva una riflessione generale sulle faccende uma­ne, sono ben distinte dalla "partecipazione augurale, che quasi rag­giunge l'entusiasmo", che s'impadronì degli spettatori della Rivoluzione francese, come dall'"esaltazione" del "pubblico che tàccva da spettatore esterno" e "simpatizzava pur senza la minima intenzione di collaborare". Secondo la sua opinione, era proprio questa simpatia a rendere la rivoluzione un "fenomeno indi menti-

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cabile" o a farne, se si preferisce, un avvenimento pubblico di por­tata storico-universale. Ciò che dunque costituiva la sfera pubblica connessa a questo particolare avvenimento non erano gli attori ma

gli spettatori plaudenti. Siccome Kant non ha scritto una filosofia politica, il modo

migliore per cercare di capire il suo pensiero su questo tema è di rivolgersi alla "Critica del giudizio estetico", là dove, analizzando la produzione delle opere d'arte nella loro relazione con il gusto che giudica e decide di essere, viene a trovarsi di fronte a un pro­blema analogo. Per ragioni che qui possiamo tralasciare, siamo in­clini a pensare che per giudicare uno spettacolo si debba prima di tutto veder! o, che lo spettatore sia secondario rispetto ali' attore, e tendiamo a dimenticare che nessuno che sia sano di mente allesti­rebbe mai uno spettacolo se non fosse sicuro di avere degli spetta­tori ad assistervi. Kant è persuaso che il mondo senza l'uomo sarebbe un deserto c, per lui, un mondo senza l'uomo significa: senza spettatore. Nella sua analisi del giudizio estetico si distingue tra genio c gusto: il genio è indispensabile per la produzione di opere d'arte, mentre per giudicarle e per decidere se esse siano o meno oggetti belli, non si richiede nulla di più (come diremmo noi, a ditlcrcnza di Kant) del gusto: "Per giudicare degli oggetti belli è necessario il gusto ... per la loro produzione e necessario il ge­nio".11" Secondo Kant, il genio è questione d'immaginazione pro­duttiva e originalità, il gusto invece una semplice questione del giudizio. Si pone così il problema di sapere quale delle due sia la tàcoltà "più nobile", quale costituisca la conditio sine qua non "'che dev'essere presa in considerazione nel giudizio dell'arte in quanto bclla" 117 dando così ovviamente per scontato che, per quanto la maggior parte dei giudici della bellezza non abbia la tàcoltà del­l'immaginazione produttiva che si chiama genio, i pochi dotati di genio non siano privi del! 'attributo del gusto. E la risposta è la se­

guente:

"Alla bcllena son meno necessarie la ricchezza e l'originalità delle idee,

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che l'accordo dell'immaginazione nella sua libertà con la conformità alla legge dell'intelletto [che si chiama gusto]. Perché tutta la ricchezza del­l'immaginazione, nella sua libertà senza legge, non produce se non inscn­satczza; c il giudizio, invece, è la facoltà che lamette d'accordo con l'intelletto.

Il gusto, come il giudizio in generale, è la disciplina (o l'educazione) del genio, gli spunta le ali ... gli dà una guida, porta chiarezza e ordine nella massa dci pensieri, dà consistenza alle idee, facendole insieme degne dì un consenso durevole c universale, suscettibili dì essere seguite dagli altri, c dì concorrere a una sempre progressiva cultura. Sicché, se qualcosa do­vesse sacrificarsi nel conflitto tra le due qualità in un'opera, ciò dovrebbe

avvenire piuttosto dal lato del genio". m

Kant ammette questa subordinazionc del genio rispetto al gu­sto, pur sapendo che il giudizio senza il genio non troverebbe nulla da giudicare. Ma afferma esplicitamente che "le belle arti esigono ... immaginazione, intelletto, spirito c gusto" c aggiunge in una nota che "le prime tre facoltà trovano nella quarta la loro unione", 119

cioè nel gusto, dunque nel giudizio. Lo spirito, una peculiare fa­coltà distinta dalla ragione, dall'intelletto c dall'immaginazione, consente inoltre al genio di trovare alle idee l'espressione "grazie alla quale lo stato d'animo soggettivo da esse prodotto ... può essere comunicato agli altri". 140 In altri termini: lo spirito, ciò che ispira il genio c lui soltanto c che "nessuna scienza può insegnare c nes­suno zelo apprendere", consiste nell'esprimere "l'elemento inef­fabile dello stato d'animo" suscitato in tutti noi da certe rappresentazioni, per il quale tuttavia non abbiamo parole. "Senza il concorso del genio, non ci sarebbe possibile comunicare tali rap­presentazioni gli uni agli altri; la sua funzione originaria consiste appunto nel rendere questo stato d'animo universalmente comu­nicabile".141 La facoltà che presiede a questa comunicabilità è il gusto, e il gusto o il giudizio non sono privilegio del genio. La con­ditio sin e qua non per l'esistenza di oggetti belli è la comunicabi­lità; il giudizio degli spettatori crea lo spazio senza il quale simili oggetti non potrebbero mai apparire. La sfera pubblica è costituita dai critici e dagli spettatori, non già dagli attori e dai produttori:

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un tale critico e spettatore risiede in ogni attore e inventore; senza questa facoltà critica, giudicante, l'attore o il produttore sarebbe così separato dallo spettatore da non essere nemmeno percepito. O, formulando in altro modo, ma ancor sempre in termini kantiani: l'originalità dell'artista (o la capacità d eli' attore di produrre novità) dipende proprio dal suo farsi-comprendere da coloro che non sono artisti (o attori). E mentre si può parlare di genio, al singolare, in virtù della sua originalità, non si può affatto parlare nello stesso modo, come faceva Pitagora, dello spettatore. Gli spettatori esisto­no soltanto al plurale. Lo spettatore non è coinvolto nell'azione, è però sempre legato agli altri spettatori. Con il produttore non con­divide la facoltà del genio, l'originalità, con l'attore non condivide la facoltà dell'innovazione: quello che però tutti hanno in comune

è la facoltà del giudizio. Per quanto concerne l'attività creativa, questo modo di vedere

risale almeno all'antichità latina (non a quella greca). La si trova espressa per la prima volta nel De oratore di Cicerone.

"Tutti gli uomini, in effetti, discriminano [dijudicare], discernono il giusto c lo sbagliato in materia d'arte e di proporzione, grazie a una sorta di senso tacito, senza nessuna conoscenza dell'arte e della proporzione; e se possono far questo nel caso dci dipinti c delle statue [c] in altre simili opere per la cui comprensione sono stati meno dotati dalla natura, tanto più essi esibi­scono tale discernimento nel giudicare i ritmi c la pronuncia delle parole, poiché si tratta di cose radicale [infìxa l nel senso comune c di cui la natura non ha voluto che nessuno fosse assolutamente incapace dì sentirlc c aver-

ne esperienza [expertus]". 142

E Cicerone prosegue rilevando che è sorprendente

"come vi sia così poca differenn tra il dotto e l'ignorante nel giudicare, là

dove vi è la più grande differenza nel produrre". 143

Proprio in questo senso Kant osserva nella sua Antropologia che la pazzia consiste nella perdita di quel senso comune che ci

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mette in condizione di giudicare da spettatori, e il cui opposto è rappresentato da quel scnsw; privatus eh 'egli chiama anche "osti­nazione logica" (logischer Eigensinn ). 14~ Con questo termine egli allude al fatto che la nostra facoltà logica, che ci consente di trarre conclusioni da premesse date, potrebbe in realtà funzionare anche senza comunicazione -- solo che in tal caso, qualora la pazzia aves­se provocato la perdita del senso comune, detta facoltà logica met­terebbe capo a risultati dissennati proprio perché disgiunta da quell'esperienza che acquista validità e può essere convalidata sol­tanto in presenza degli altri.

L'aspetto più sorprendente di tutta la faccenda è che il senso comune, la facoltà di giudicare e di discriminare tra il giusto e lo sbagliato, debba poggiare sul senso del gusto. Dei nostri cinque sensi, tre colgono chiaramente oggetti del mondo esterno c sono pertanto facilmente comunicabili. La vista, l'udito, il tatto hanno a che fare in modo diretto c, per così dire, oggettivo con le cose, rendono possibile l'identificazione degli oggetti e possono essere comunicati agli altri uomini, cioè espressi in parole, fatti oggetto di discorso etc. L'odorato c il gusto danno sensazioni interne, che sono del tutto private c incomunicabili: ciò che gusto e odoro non si lascia proprio tradurre in parole. Questi sono, si direbbe, sensi privati per definizione. l tre sensi oggettivi hanno invece in comune la capacità di rappresentazione, di rendere presente qualcosa che è assente: io posso ad esempio rievocare nella memoria un edificio, una melodia, l'impressione del contatto col velluto. Né il gusto né l'odorato posseggono questa facoltà, cui Kant dà il nome di im­maginazione; d'altro canto, essi sono senza dubbio i sensi decisivi. Si può sospendere il giudizio su ciò che si vede c, benché meno agevolmente, su ciò che si ode c si tocca. Ma in materia di gusto o di olfatto il mi-piace o non-mi-piace è immediato c irresistibile. E, ancora una volta, piacere e dispiacere sono del tutto soggettivi. Perché mai, allora, il gusto dovrebbe- non solo con Kant, ma già a partire da Gracian -, essere elevato a tàcoltà spirituale del giudi­zio e diventarne il portatore? E il giudizio, per parte sua,- non già

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il giudizio semplicemente conoscitivo, fondato sui sensi da cui ci sono dati gli oggetti che abbiamo in comune con tutti gli esseri vi­venti muniti degli stessi apparati sensoriali, ma il giudizio che di­scrimina tra il giusto c lo sbagliato-, perché mai dovrebbe basarsi su questo senso privato? Non è forse vero che, in materia di gusto, è così difficile comunicare che non si può nemmeno discuterne? De gustihus non disputandum est.

La soluzione dell'enigma sta nell'immaginazione. L'immagi­nazione, la facoltà di rendere presente ciò che è assente, trasforma gli oggetti dci sensi esterni in oggetti della percezione interna. pro­prio come se si trattasse di un senso interno. Ciò accade mediante riflessione non su un oggetto, ma sulla rappresentazione. L'oggetto suscita in noi piacere o dispiacere. Kant definisce questa !'"opera­

zione della ritlessione". 145

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UNDICESlMA LEZIONE

Consentitemi di ripetere, per rinfrescare la memoria, quanto avevamo detto prima delle vacanze: avevamo scoperto che la di­stinzione o la contraddizione tra teoria c prassi, consueta in ambito politico, si ripresenta in Kant come distinzione tra spettatore e at­tore, e con nostra sorpresa avevamo notato che lo spettatore ha la precedenza. Quello che nella Rivoluzione francese contava, facen­done un evento storico-universale, un fenomeno indimenticabile, non erano le azioni o i misfatti degli attori, ma le opinioni, il plauso entusiastico degli spettatori -di persone dunque che in quell' even­to non erano coinvolte. Per di più avevamo visto che questi spet­tatori non coinvolti c non compromessi, i quali in un certo senso avevano dato un domicilio a qucll 'evento nella storia dell'umanità e davanti ad ogni azione tùtura, intrattenevano nondimeno fra loro relazioni (in contrasto con lo spettatore pitagorico ai giochi olim­pici o allo spettatore della caverna platonica, entrambi incapaci di comunicare). Tutto questo lo avevamo tratto dagli scritti politici di Kant; ma per comprendere questa concezione ci eravamo rivolti alla Critica del Giudizio, constatando che Kant si era venuto a tro­vare in una situazione simile o analoga alla relazione tra l 'artista, produttore o genio, e il suo pubblico. Anche qui si poneva per lui

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la questione: quale dci due è il più nobile c quale delle due qualità è più nobile, la competenza creativa o la competenza nel giudizio? Era- lo abbiamo visto- una vecchia questione, che già Cicerone aveva sollevato, osservando che ognuno sembra essere in condi­zione di distinguere, nel dominio dell'arte, tra giusto c sbagliato, mentre molto pochi sono in grado di creare opere d'arte; Cicerone era dell'avviso che un tale giudizio risultasse da un "senso tacito", col che verisimilmente intendeva un senso incapace di esprimersi in altre forme.

Questo genere di giudizio è stato sempre, già a partire da Gra­cian, chiamato giudizio, c noi abbiamo ricordato, che era stato il fenomeno del giudizio a spingere originariamente Kant a scrivere la Critica del Giudizio, a cui di fatto ancora nel 1787 dava il titolo di "Critica del gusto". Questo ci portò a domandare perché il fe­nomeno spirituale del giudizio venisse dedotto dal gusto e non dai sensi più oggettivi, in particolare il più oggettivo di tutti, la vista. Rilevammo così come il gusto e l'olfatto siano i sensi più privati, quelli che percepiscono non un oggetto, ma una sensazione, che non è legata ali' oggetto né può essere rammemorata. (Potete rico­noscere il profumo di una rosa o il sapore di una pietanza se tornate a percepir! i, ma non è possibile averli presenti quando siano assenti nello stesso modo in cui potete riavere presenti un oggetto su cui si sia posato lo sguardo o una melodia che si sia udita. Si tratta cioè di impressioni sensibili che non possono essere rappresentate). Al tempo stesso comprendemmo perché il gusto e non uno degli altri sensi, sia diventato il veicolo del giudizio: solo il gusto c l'oltàtto sono, nella loro natura più profonda, discriminanti; solo questi sen­si si riferiscono a ciò che è particolare in quanto particolare, mentre tutti gli oggetti dati ai sensi oggettivi condividono con altri le loro proprietà, vale a dire non sono unici. Per di più, nel gusto c nel­l'olfatto il mi piace o non-mi-piace s'impone irresistibilmente, è immediato, non mediato attraverso il pensiero o la riflessione. Que­sti sensi sono soggettivi, perché in essi la vera e propria oggettività della cosa veduta, sentita o toccata viene annullata o, quantomeno,

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non è presente; sono sensi interni, perché le vivande che gustiamo sono in noi, c lo stesso vale, in un certo senso, per il profumo della rosa. E il piace o non-piace è pressoché identico a un mi-sta-bene o non-mi-sta-bene. L'elemento caratterizzante è che ne sono diret­tamente colpito. Proprio per questa ragione non vi può essere di­sputa sul giusto o sullo sbagliato. Dc gusti!JU.\' non disputandum est. Nessun argomento può pcrsuadcrmi ad amare le ostriche se non mi piacciono. In sostanza, ciò che disturba nelle valutazioni del gusto è che non sono comunicabili.

La soluzione di tali enigmi può essere rinvenuta in due altre facoltà, l'immagina:::ione c il senso comune. L'immaginazione, ov­vero la f~1coltà dì rendere presente, ciò che è assentc. 1 ~" trasforma un oggetto in qualcosa che non devo avere direttamente di fronte ma che in un certo senso ho interiorizzato. al punto che ora posso esserne colpito come se mi fosse dato da un senso non oggettivo. Kant atTenna: "Bello è ciò che piace unicamente nel giudizio". 1 ~ 7

Vale a dire: non importa se qualcosa piaccia o no nella percezione. quanto piace semplicemente nella percezione è gradevole. non bel­lo. 1: piuttosto nella rappresentazione che qualcosa piace: l'imma­ginaziOne l'ha preparato così che ora sia possibile riflettere su di esso nel l "'operazione della riflessione". Solo ciò che ti tocca. ti colpisce nella rappresentazione. proprio quando non si può più es­sere colpiti dalla presenza immediata quando dunque non si è coinvolti. come lo spettatore non è coinvolto nei fatti reali della Rivoluzione francese può essere giudicato giusto o sbagliato. im­portante o irrilevante, bello o brutto. o qualcosa a mctù tra i rispet­tivi estremi. Questo si clmuna allora giudizio c non più gusto, perché. pur continuando a riguardarti come materia del gusto, si è stabilita ora, per mezzo della rappresentazione. la distanza adegua­ta quel distacco, assenza di partecipazione o disinteresse indi­spcnsabil i ali 'approvazione e alla disapprovazione. o alla valutazione di una cosa in confonnità del suo valore.

Rimuovendo l'oggetto, si è stabilita la condizione del!' impar­zialità.

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Per quanto concerne il senso comune, Kant acquistò assai pre­sto la consapevolezza della presenza di un che di non-soggettivo in quello che apparentemente è il senso più privato c soggettivo. A questa consapevolezza egli dà la seguente formulazione: è un fatto che nelle questioni del gusto ''il bello interessa solo in società ... Un uomo abbandonato a se stesso in un'isola deserta non ornereb­be né la sua capanna né la sua persona ... soltanto nella società egli comincerà a pensare di non essere semplicemente un uomo, ma un uomo distinto nella sua specie (il principio dell'incivilimento): per­ché così è giudicato colui che ... non è appagato da un oggetto. se non ne può condividere con gli altri il piaccrc". 14x Oppure: non ci vcrgognamo se il nostro gusto non concorda con quello di altri, mentre disprezziamo noi stessi se bariamo al gioco, ma ci vergo­gnamo soltanto quando veniamo scoperti. Ancora: in materia di gusto dobbiamo "rinunciare a noi stessi a favore degli altri" 14

Y al fine di piacere loro, c per il loro favore dobbiamo rinnegare noi stessi. Infine, c nel modo più radicale: nel gusto l'egoismo è supe­rato. noi rispettiamo gli altri, le loro opinioni. i loro sentimenti c così via. Dobbiamo superare le nostre peculiari condizioni sogget­tive per riguardo agli altri. In altre parole: l'elemento non sogget­tivo dci sensi non oggettivi consiste nell'intcrsoggcttivitù. (Si deve essere sol i per pensare; si ha bisogno di compagnia per gustare un pranzo).

Il giudizio, soprattutto il giudizio di gusto, riflette sugli altri c sul loro gusto, tiene conto dci loro giudizi possibili. Essendo io un uomo c non potendo vivere al di fuori della società umana, ciò è necessario. lo giudico come membro di questa comunità e non come membro di un mondo soprascnsibilc, che fìxse è abitato da esseri dotati di ragione ma non dello stesso apparato scnsorialc, c come tale obbedisco a una legge che mi è stata data. indipenden­temente da quanto altri possano pensare della questione. Questa legge è autocvidcnte e in sé c per sé coattiva. Il fondamentale orientarsi del giudizio c del gusto verso gli altri sembra trovarsi in opposizione, come più non si potrebbe. con la natura stessa, lana-

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tura assolutamente idiosincratica del senso (del gusto) relativo. Si potrebbe pertanto essere tentati di trarre la conclusione che è erro­neo dedurre la facoltà del giudizio da questo senso. Ben consape­vole di tutte le implicazioni di tale deduzione, Kant resta convinto che essa sia corretta. Testimonia nel modo più convincente a suo favore l'osservazione, del tutto giustificata, che il vero contrario del Bello non è il Brutto ma ciò che "suscita disgusto". 150 E non si deve dimenticare che originariamente Kant progettava di scrivere una critica del gusto morale, per cui si può dire che il fenomeno del bello è quanto rimase delle sue precedenti osservazioni su que­ste manifestazioni del giudizio.

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DODICESIMA LEZIONE

Nel giudizio si danno due operazioni. V'è l'operazione del­l'immaginazione, in cui si giudicano oggetti che non sono più pre­senti, che sono stati rimossi dall'immediata percezione sensibile e perciò non colpiscono più direttamente; comunque, ora che l'og­getto è stato rimosso dai sensi esterni, diviene un oggetto per i sensi interni. Quando ci si rappresenta qualcosa che è assente, si mettono in un certo modo a tacere quei sensi per i quali gli oggetti ci sono dati nella loro oggettività. Il senso del gusto è un senso che con­sente, per così dire, di percepire se stessi: è un senso interno. Dun­que, la Critica del Giudizio è generata dalla critica del gusto. Quest'operazione dell'immaginazione prepara l'oggetto all"'ope­razionc dellariflessione". E questa seconda operazione costituisce la vera e propria attività del giudicare una cosa.

Tale duplice operazione stabilisce la più importante condizio­ne di tutti i giudizi, la condizione d'imparzialità, di "piacere disin­teressato". Chiudendo gli occhi, si diventa spettatori imparziali, non toccati direttamente, delle cose visibili. Il poeta cieco. E an­cora: tàccndo di quello che si era percepito coi sensi esterni un og­getto per il senso interno, si comprime e si condensa la molteplicità di ciò che è dato dai sensi, ci si mette nella posizione di "vedere"

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con gli occhi della mente, cioè di vedere quella totalità che confe­risce senso ai particolari. li vantaggio dello spettatore consiste nel vedere il gioco come un tutto nella sua totalità, mentre ciascuno degli attori conosce soltanto la sua parte o, se dovesse giudicare nella prospettiva dell'azione, soltanto la parte del tutto che lo con­cerne. L'attore è parziale per definizione.

Sorge ora il problema seguente: quali sono i canoni dell'ope­razione della riflessione? L'operazione dell'immaginazione ha reso immediatamente presente al senso interno ciò che era assente, c il senso interno è, per definizione discriminatorio, ci dice se qualcosa piace o dispiace. Si chiama gusto perché, come il gusto, sceglie. Ma tale scelta è a sua volta soggetta ad una scelta ulteriore: si può approvare o disapprovare il fatto stesso che piaccia qualcosa: an­che questo è soggetto a "approvazione o disapprovazione". Kant adduce degli esempi: "la gioia che prova un uomo bisognoso, ma di buoni sentimenti, per l'eredità che gli viene da un padre affe­zionato ma avaro"; o, viceversa, "un profondo dolore può piacere a colui che lo sopporta (il lutto d'una vedova per la morte del suo eccellente marito), o ... mostra come un diletto possa anche piacere (ad esempio quello che deriva dalle scienze che coltiviamo), o co­me un dolore possa anche dispiacere (per esempio l'odio, l'invidia, la vendetta )". 151 Tutte queste approvazioni c disapprovazioni sono ripcnsamcnti; immersi in una ricerca sci enti tic a, potrete avere la vaga sensazione di essere felici compiendola, ma solo più tardi, ri­tlcttendovi, quando non sarete più impegnati in quello che state facendo, sarete in grado di provare questo "piacere" supplementa­re, di approvarlo. In tale piacere supplementare non è più l'oggetto a piacere, ma il fatto che lo si giudichi piacevole. Riferito alla to­talità della natura o del mondo, ciò significa: siamo compiaciuti che il mondo della natura ci piaccia. L'atto stesso dell'approvazio­ne piace, così come l 'atto stesso della disapprovazione dispiace. Per cui la domanda: "Come scegliere tra approvazione c disappro­vazione?" Si può tàcilmentc scoprire un criterio, se si considerano gli esempi sopra addotti: il criterio è la comunicabilità o pubblicità.

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Non si sarà eccessivamente solleciti nel dare espressione alla pro­pria gioia alla morte del padre o ai propri sentimenti d'odio o d'in­vidia; non si avrà, d'altro canto, nessuno scrupolo a dichiarare che ci si diletta nello svolgere un lavoro scientifico, né si nasconderà il proprio rincrescimento alla morte di un eccellente marito. Il cri­terio, quindi, è la comunicabilità, c il canone per decidere al suo riguardo è il senso comune.

Critica del giudizio, § 39 "Della comunicabilità di una sensazione"

È<: vero che la sensazione è "generalmente comunicabile, se si ipotizza che ciascuno abbia lo stesso senso che abbiamo noi; il che però non si può assolutamente supporre per ogni sensazione". Que­ste sensazioni sono private, per cui nessun giudizio vi è coinvolto: siamo meramcntc passivi, abbiamo reazioni, non siamo spontanei come quando immaginiamo deliberatamente qualche cosa o riflet­tiamo intomo a essa.

Al polo opposto troviamo i giudizi morali, che, secondo Kant, sono necessari, perché dettati dalla ragion pratica. Essi possono venir comunicati, ma questa comunicazione è secondaria: reste­rebbero validi anche se non potessero venir comunicati. In terzo luogo, abbiamo i giudizi o il piacere del bello: questo piacere "ac­compagna la comune apprensione di un oggetto mediante l' imma­ginazione ... con un procedimento del giudizio che esso deve usare anche nella più comune esperienza". Un sitlàtto giudizio ha luogo in ogni esperienza che facciamo del mondo. Questo giudizio si ba­sa su "quel comune c sano intelletto (gemeiner and gesunder Ver­stand) che si deve presupporre in ognuno". Ma in che modo questo "senso comune" si distingue dagli altri sensi che pure tutti abbiamo in comune c che, nondimeno, non garantiscono l'accordo delle sen­sazioni?

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Critica del giudizio § 40 "Del gusto come un genere di sensus communis"

Il termine è mutato. L'espressione "senso comune" designava un senso come gli altri -lo stesso per ciascuno nella sua autentica privacy. Usando il tennine latino, Kant mostra di intendere qui qualcosa di diverso: un senso extra- una sorta di attributo intel­lettuale extra (in tedesco, Menschenverstand) ·-che ci inserisce in una comunità. Il "comune intelletto umano è ... il minimo che ci si possa sempre aspettare da chi aspiri al nome di uomo". È l'at­tributo in base al quale gli uomini si distinguono dagli animali c dagli dci. È l'autentica umanità dell'uomo che si manifesta in que­sto senso.

Il sensus communis è il senso specificamente umano perché la comunicazione, cioé il linguaggio, dipende da esso. Per rendere noti i nostri bisogni, per esprimere paura, gioia e così via, non avremmo bisogno di parlare. I gesti sarebbero sufficienti c i suoni sarebbero un surrogato sutlicicntcmcntc buono per i gesti, qualora si dovessero superare lunghe distanze. Perciò: "il solo carattere ge­nerale della pazzia è la perdita del senso comune (sensus commu­nis) c la sua sostituzione col senso privato (sensus privatus)". 15

.:> Il folle non ha perso la sua capacità di rendere manifesti c noti agli altri i suoi bisogni.

"'pn scnsus communis si deve intendere l'idea di un senso che abbiamo in comune, cioè di una Etcoltù di giudicare che nella sua rifkssionc tiene con­lo a priori del modo di rappresentare di tutti gli altri, per mantenere in certo modo il proprio giudizio nei limiti della ragione umana nel suo complesso ... Ora ciù avviene quando paragoniamo il nostro giudizio con quello degli altri, c piuttosto coi loro giudizi possibili che con quelli effettivi, c ci po­niamo al posto di ciascuno di loro, astraendo soltanto dalle limitazioni che sono attinenti, in modo contingente, al nostro proprio giudizio: il che si ot­tiene rigdtando dal nostro stato rappresentativo tutto ciò che è materia. cioè scnsa;:ione ... Ora, questa operaLione scmhrerà forse troppo artificiosa perché possa essere attribuita alla !~1coltà che chiamiamo senso comune; ma essa pare così quando (: espressa in formule astratte; in se stesso non

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v'è niente di più naturale che l'astrarre dalle a\trattivc c dall'emozione,

quando si cerca un giudizio che deve servire da regola univcrsale".1

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Vengono poi le massime del sensus communis: pensare da sé (la massima dell'illuminismo); mettersi col pensiero al posto di ogni altro (la massima della mentalità "ampia"); c la massima della coerenza, dell'essere in accordo con se stesso (mi t si eh selhst ein­

stimmig denken ). 1 54

Tutto ciò non è oggetto di conoscenza: la verità costringe, non ha bisogno di "massime". Le massime si applicano c sono neces­sarie esclusivamente in materia di opinione e nei giudizi. E proprio come nelle cose dell'etica la massima di ciascuno testimonia della sua volontà, così le massime del giudizio testimoniano del "modo di pensare" (Denkungsart) nelle cose del mondo, che sono gover­nate dal senso comunitario.

"'Ma qui non si tratta della t:tcoltù della conoscenza, ma del modo di pen­sare. del modo di hm~ un uso approprialo della !itcollù della conoscenza; per cui un uomo, per quanto siano piccoli in lui la capaciti! c il grado delle doti naturali, mostrerà di avere un modo di pensare ampio. quando si elevi al disopra delle condizioni soggettive particolari del giudizio. tra le quali tanti altri sono come impigliati. c ritktta sul proprio giudizio da un punto di vista universale (che può determinare soltanto mettendosi dal punto di

v i sta degli altri)". 1 ''

Troviamo inoltre una chiara distin1ione tra ciò che abitual­mente è chiamato senso comune c il sensus communis. Gusto è questo '·senso comunitario" (gemeinsclwjilichcr Sinn). c senso si­gnifica qui .. l'effetto di una riflessione sull'animo". Tale riflessione mi colpisce come se si trattasse cl' una sensazione ... Si potrebbe rcrtino definire il gusto come la facoltà di giudicare ciò che rende universalmente comunicabile il nostro sentimento [qui uguale a sensazione] risrctto a una data raprresentazione [non percezione] senza la mediazione di un concetto''. i'h

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"Il gusto è perciò la facoltà di giudicare a priori la comunicabilità dci sentimenti, che son legati ... con una data rappresentazione. Se si potesse ammettere che la semplice comunicabilità universale del proprio senti­mento debba già implicare per noi un interesse ... si potrebbe spiegare perché il sentimento nel giudizio di gusto è attribuito a ciascuno quasi

come un dovere". 157

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TREDICESIMA LEZIONE

Concludiamo ora la nostra discussione del senso comune nel suo autentico significato kantiano, secondo il quale il senso comu­ne è senso comunitario, scnsus communis, distinto dal scnsus pri­

. vatus. Questo scnsus communis è ciò a cui il giudizio fa appello in ciascuno: proprio questo possibile appello conferisce ai giudizi la loro particolare validità. Il mi-piace-o-mi-dispiace, che in quanto sentimento sembra così radicalmente privato e non comunicativo, è in realtà radicato nel senso comunitario e di conseguenza aperto alla comunicazione, non appena questa sia stata trasformata dalla riflessione, che tiene conto di tutti gli altri c dei loro sentimenti. La validità di questi giudizi non è mai la validità delle proposizioni cognitive o scientifiche che, propriamente, non sono giudizi (se si dice "il cielo è azzurro" oppure "due più due fa quattro", non si sta "giudicando": si dice quello che è, costretti dall'evidenza dci sensi o della mente). Analogamente, non si può costringere nessu­no a concordare con i propri giudizi - "questo è bello" o "questo è ingiusto" (Kant non crede che i giudizi morali siano il prodotto della riflessione c dcii 'immaginazione, per cui non sono, propria­mente parlando, giudizi); si può soltanto "sollecitare" o "corteg­giare" il consenso di tutti gli altri. E in quest'attività di persuasione,

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in effetti, si fa appello al "senso comunitario". I n altri termini quando si giudica lo si fa in quanto appartenenti a una comunità: Questo dipende dalla "natura del giudizio (il cui retto uso è tanto necessario c tanto generalmente richiesto che sotto il nome di sano intelletto [il senso comune nel suo consueto significato generale] non s'intende altro se non per l'appunto tale facoltà". 15x

Critica del Giudizio ~ 41 "Dell'interesse empirico al bello"

Ci rivolgiamo ora brevemente al ~ 41 della Critica del Giu­dizio. Abbiamo visto che una "mentalità ampia" è la conditio sinc qua non del giudizio corretto: è il senso comunitario che rende pos­sibile di ampliare la propria mentalità. Volto in negativo, ciò signi­tìca che si è in grado di prescindere dalle condizioni e circostanze private che quando coinvolgano il giudizio, ne limitano c inibisco­no l'esercizio. Fattori privati ci condizionano: l'immaginazione c la riflessione ci consentono di libcrarcene c di conseguire quella relativa imparzialità che è la virtù specifica del giudizio. Quanto meno idiosincratico è il proprio gusto, tanto meglio può essere co­municato: ancora una volta. la comunicabilità rappresenta la pietra di paragone. In Kant l'imparzialità è denominata ''disinteresse'', il piacere disinteressato del bello. l termini "bello" c "brutto" impli­cano effettivamente, a differenza di "giusto" e "ingiusto'', disinte­resse. Se allora il~ 41 parla di un "interesse per il Bello'', di fatto parla di un "interesse" per il disinteresse. L'interesse è qui riferito all'utilità. Guardando alla natura; ci sono molti oggetti naturali per i quali si può avere interesse immediato in virtù della loro utilità nei confronti del processo vitale. Agli occhi di Kant, il problema è la sovrabbondanza della natura: ci sono molte cose come ad esem­pio i cristalli, che non hanno alcuna utilità oltre alla bellezza della loro forma. Proprio perchè possiamo dichiarare che qualcosa è bel­lo, proviamo un "piacere per la sua esistenza" c in questo consiste "ogni interesse". (In una delle riflessioni dci taccuini, Kant osserva

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che il Bello ci insegna ad "amare senza egoismo [ohne Eigen­nutz]".) E la caratteristica peculiare di tale interesse è che "interessa

solo in società":

''c se si ammette come naturale n eli 'uomo la tendenza alla società, e la so­cicvolczza, cioè l'attitudine c l'inclinazione alla vita sociale, come una qualità inerente ai bisogni dell'uomo, in quanto creatura destinata alla so­cietà, e quindi inerente all'umanità, allora non si potrà non considerare il gusto come la facoltà di giudicare delle cose in cui il proprio sentimento può esser comunicato ad ogni altro, e quindi come il mezzo di soddisfare

ciò che è richiesto dall'inclinazione naturale di ognuno".159

Nelle "Congetture sull'origine della storia" Kant rileva che la socievolczza è "il più alto scopo della destinazione umana" 160 e -q~~-t~; suona com.e se la socicvolezza sia un tìne che debba essere perseguito lungo il corso della civilizzazione. Al contrario, trovia­mo qui la socicvolczza come la vera origine, e non fine, dcii 'uma­nità; troviamo cioè che la socicvolezza è l'essenza autentica degli uomini, nella misura in cui essi appartengono soltanto a questo mondo. Questa è una svolta radicale rispetto a tutte quelle teorie che sottolineano l 'intcrdipcndenza umana come dipendenza dal prossimo mediata dai bisogni c dai desideri. Kant pone l'accento sul tàtto che almeno una delle nostre facoltà spirituali, la facoltà del giudizio, presuppone la presenza degli altri. E questa 1àcoltà della mente non è soltanto ciò che noi chiamiamo giudizio: con­nessa ad essa è la nozione che "sentimenti c emozioni [Empjìn­dungcn] rivestono un valore solo nella misura in cui possono essere universalmente comunicati"; il che vuoi dire che connesso con il giudizio è praticamente l'intero nostro apparato interiore. La co­municabilità dipende ovviamente dalla mentalità ampia; si può co­municare soltanto se si è in grado di pensare a partire dal punto di vista dell'altro; in caso contrario non la si conseguirà mai, non si parlerà mai in modo da essere compresi. Comunicando i propri sentimenti, i propri piaceri e le proprie gioie disinteressate, si ma­nifestano le proprie scelte e si sceglie la propria compagnia: "Pre-

Ili

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ferirci essere nel torto con Platone che nel giusto con i Pitagori­ci".1r,1 Infine. quanto più ampio è il ventaglio di coloro con cui si potrebbe comunicare, tanto maggiore è il valore dell'oggetto:

"se anche uno ritrae da un oggetto un piacere insignificante c che non ha per lui un interesse notevole. all"idea della comunicabilità universalc del

piacere ,tc:sso ne vcdc il valore quasi infinitamente crcsciuto". 1r, 2

A questo punto la Critica del Giudi::io si ricongiungc senza sforzo all'affermazione kantiana di un'umanità unita. vivente in pace perpetua. Ciò che nell'abolizione della guerra interessa Kant. e f~i di lui un prototipo singolare di pacifista, non è l'eliminazione del conflitto, c nemmeno l'eliminazione della crudeltà, dci bagni di sangue. delle atrocità della condotta bellica. L'abolizione della gucm1 è essa stessa la condi7ionc necessaria per conseguire il mas­simo ampliamento possibile della mentalità ampia, come talvolta ammette un po · di malavoglia (di malavoglia. perché in tal caso sussiste il rischio che gli uomini diventino pecore; c'è qualcosa di sublime nel sacrificio della vita etc.):

"ognuno aspetta cd esige dagli altri che si abbia in vista questa comunica­none universale di piacere, di gioia disinteressata quasi come se tòssc un

patto origmario dettato dall"umanità stessa··. 1 ~> 1

Questo patto. secondo Kant, sarebbe una pura idea rcgolatricc non solo delle nostre riflessioni in materia ma capace di ispirare di fatto anche le nostre azioni. t in virtù di quest'idea di umanità, presente in ogni singolo, che gli uomini sono umani, c li si può dire civili o umani nella misura in cui tale idea diviene il principio non solo dei loro giudizi ma anche delle loro azioni. È a questo punto che attore e spettatore diventano tut! 'uno; la massima del­I 'attore e la massima; il "canone'', in base al quale lo spettatore giudica lo spettacolo del mondo, s'identificano. L'imperativo, se si vuole. categorico dell'azione potrebbe essere formulato così:

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agisci sempre secondo la massima per la quale questo patto origi­nario possa essere tradotto in una legge universale. È da questo punto di vista, c non solo per amore della pace, che la trattazione Per la pace perpetua è stata scritta e gli "articoli preliminari" della prima parte e gli "articoli definitivi" della seconda sono stati enun­ciati. Fra i primi, il sesto è il più importante c il più originale:

""Nessuno stato in guerra con un altro deve pcrmetlcrsi atti di ostilità. che

rcnderc:bbcro impossibile la reciproca tiducia nella pace futura'". 1 "~

Fra gli altri è il terzo, quello che in ctletti scaturisce diretta­mente dalla socicvolczza c dalla comunicabilità:

"Il diritto cosmopolitico dev'essere limitato alle condizioni di una univcr­

snlc ospitalità'". J(,)

Se esiste un patto originario del genere tunano, allora il "di­ritto di visita" rientra fra i diritti umani inalienabili. Gli uomini Io hanno

"in virtù del dirilto comune al possesso della superficie della terra. sulla quale, essendo sferica ... non possono disperdersi isolandosi all'intìnito. ma devono da ultimo rassegnarsi a incontrarsi c a coesistere ... [infatti] il diritto sulla supcrlicic ... [spetta] in comune al genere umano ... [Tutto ciò può es­sere dimostrato in negativo dall~ttto] che la violazione del diritto avvenuta in un punto della terra è avvertita in tutti i punti. così che !"idea dtun diritto

cosmopolitico non è una rappresentazione fantastica di menti esaltatc". 1 ~>6

Per ritornare a quanto dicevamo poc'anzi: sjgiudica sempre in quanto membri di una comunità, guidati dal senso comunitario, dal scnsus communis. In definitiva però si è membri di una comu­nità mondiale per il semplice fàtto di essere uomini: in ciò consiste la nostra '"esistenza cosmopolitica". Nel giudicare e nell'agire po­liticamente ci si deve orientare all'idça, non all'effettualità dell'es­sere cittadino c con ciò anche spettatore del mondo.

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In conclusione, cercherò di far luce su alcune difficoltà che si manifestano a questo punto. La principale difficoltà relativa al giu­dizio è di essere "la facoltà ... di pensare il particolare"; 167 ma pen­sare significa generalizzare, ragion per cui il giudizio è la tàcoltà di combinare, in modo misterioso, il particolare con il generale, il che è relativamente semplice qualora sia dato il generale - come regola, principio, legge- così che il giudizio si limita a sussumere in esso il particolare. La difficoltà si aggrava qualora sia dato solo il particolare, per il quale deve essere trovato il generale. 16x Intàtti il canone non può essere tratto dall'esperienza c non può essere derivato dall'esterno. Non posso giudicare un particolare per mez­zo di un altro particolare; per determinare il suo valore ho bisogno di un tertiwn quid o di un tertium comparationis, qualcosa che stia in rapporto con i due particolari c che tuttavia sia distinto da en­trambi. Ora in Kant si trovano due soluzioni completamente diver­se a questa difficoltà.

Come tertium comparationis effettivo figurano in Kant due idee su cui è necessario riflettere se si vuole pervenire a dei giudizi. La prima, che fa la sua comparsa negli scritti politici e, occasio­nalmcntc, nella Critica del Giudizio, è l'idea di un patto originario del genere umano nella sua totalità. Derivata da essa è poi la no­zione di umanità, di ciò che costituisce l'essere-umano di individui che vivono e muoiono in questo mondo, su questa terra, un globo che abitano in comune e si dividono fra loro nel succedersi delle generazioni. Nella Critica del Giudizio si trova poi l'idea di con­formità allo scopo. Ogni oggetto, sostiene Kant, in quanto parti­colare, contenente in se stesso il Jòndamcnto della propria attualità, ha uno scopo. l soli oggetti che ne sembrano privi sono, da un lato, gli oggetti estetici, dall'altro, l'uomo. A loro proposito è inutile do­mandare quem adfìnem, a quale scopo? perché essi non servono a nulla. Abbiamo invece visto che gli oggetti estetici privi di desti­nazione, così come l 'apparente assenza di scopo della varietà della natura, hanno lo "scopo" di piacere agli uomini, facendo in modo che si sentano a casa nel mondo. Questo non può essere in nessun

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modo dimostrato, ma la conformità allo scopo è un 'idea finalizzata a regolare le nostre riflessioni nei giudizi riflettenti.

La seconda c, credo, di gran lunga più rilevante soluzione kan­tiana consiste nella validità esemplare ("Gli esempi sono le dande del giudizio"). 16~ Vediamo di che si tratta. Ogni oggetto particolare, per esempio un tavolo, dispone di un concetto corrispondente, gra­zie al quale noi riconosciamo il tavolo in quanto tavolo. Si può concepire tale concetto come un "'idea" platonica o come lo sche­ma di Kant, il che vuoi dire che si ha davanti agli occhi della mente una confìgurazione schematica o puramentefòrmale, cui ogni ta­volo deve più o meno conformarsi. Oppure, viceversa, prendendo le mosse dai molti tavoli che si sono visti nel corso della propria vita, li si spoglia delle loro qualità secondarie, così che quel che ne resta è un tavolo in generale, contenente quel minimo di pro­prietà comuni a tutti i tavoli: il tavolo astratto. Resta poi un 'altra possibilità, c qui si entra nell'ambito dci giudizi che non hanno ca­rattere cognitivo. Si può esperire o pensare un tavolo ritcncndolo il migliore possibile c assumendolo ad esempio ideale di ciò che i tavoli dovrebbero essere in realtà: il tavolo esemplare. ("Esempla­re" viene da eximere, "trasccglicre qualcosa di particolare"). Quest'esemplare è c resta un che di particolare, che proprio nella sua particolarità rivela quella generalità che altrimenti non potreb­be essere definita. II coraggio è come Achille etc.

Abbiamo parlato della parzialità dell'attore che, coinvolto ne­gli eventi, non coglie mai il significato dell'insieme. Ciò vale per tutte le storie che possono essere narrate c llcgcl ha perfettamente ragione quando afkrma che la tìlosolìa, come la nottola di Miner­va, aln1 soltanto al crepuscolo il suo volo. Non si può dire la stessa cosa per il bello o per ogni atto in sé c per sé. Nei termini kantiani, il bello è un fine in sé poiché contiene in se stesso ogni suo possi­bile significato, senza riferimento ad altri - senza legame, in un certo senso, con altre cose belle. Si dà così nello stesso Kant la se­guente contraddizione: il progresso indclìnito è la legge del genere umano; al tempo stesso, la dignità dcii 'uomo esige che questi (ogni

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singolo individuo) sia in quanto tale. nella sua particolarità, visto riflettere - ma oltre ogni comparazione c in una dimensione di atemporalità - la generalità del genere umano. In altri termini, l'idea stessa di progresso -se deve essere qualcosa di più di un mutamento di circostanze e di un miglioramento del mondo -con­traddice la nozione kantiana di dignità dell'uomo. È contrario alla dignità umana credere nel progresso. Progresso significa poi che la storia come trama narrativa non ha mai fine. La sua fine è nella sua infinità. Non vi è alcun punto dove potremmo fermarci c guar­dare indietro con lo sguardo rivolto al passato dello storico.

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IMMAGINAZIONE

Seminario sulla Critica del Giudizio di Kant tenuto alla New School for Social Rescarch

nell'autunno 1970

[In questi appunti di seminario Hannah Arcndt approfondisce la nozione di validità esemplare, introdotta alle pagine 117-11 X della tredicesima lezione su Kant qui pubblicata, rivolgendosi all'analisi kantiana dell'immaginazione tra­scendentale. come è sviluppata in riferimento allo schematismo nella prima edi­zione della Critica della ragion pura. La validità esemplare è di fondamentale importanza, perchè fornisce la base per una concezione della scienza politica centrala sul particolare (le storie, gli csl'mpi storici). non sull'universale (il con­cetto di processo storico, le leggi generali della storia). Arendt cita Kant per il­lustrare come gli schemi svolgano per la conoscenza la funzione svolta dagli esempi per il giudizio (Critica del Giudi::io, li 59). Senza questo importante qua­dro di riferimento tratto dalla prima Critica-- lo schcmatismo . non possiamo valutare apptcno il ruolo dell'immaginazione nella rappresentazione c quindi nel giudiLio. Sarebbe un errore ritenere che le pagim: seguenti trattino un altro tema e siano d'importanza solo marginale per il giudizio. b~ vero il contrario. Questi materiali di seminario con la loro ampia trattazione della validità esemplare, po­sta in rapporto con la funzione dell'immaginazione nello schcmatismo, offrono un tassello indispensabile in quel p te:: le col quale speriamo di ricostruire in modo completo il protilo della teoria arendtiana del giudizio. R.B.j

I. L'immaginazione, dice Kant, è la facoltà ( Verm6gen) di ren­dere presente ciò che è assente, la facoltà della rappresentazione. "L'immaginazione è il potere di rappresentare un oggetto, anche senza la sua presenza n eli 'intuizionc". 1 Oppure: "L'immaginazione

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(facultas imaginandi) ... [è 1 facoltà di intuire anche senza la pre­senza dell'oggctto". 2 Chiamare "immaginazione" questa facoltà di assumere come presente l'assente è abbastanza naturale. Rappre­sentando ciò che è assente, io formo un'immagine (imago) nella mia mente- un'immagine di quello che ho visto c ora. in qualche modo, riproduco. (Nella Critica del Giudizio Kant chiama talvolta questa facoltà "riproduttiva''- rappresento quello che ho visto per distinguerla dalla facoltà "produttiva"; vale a dire quella arti­stica, che produce ciò che non ha mai visto. Ma l 'immaginazione produttiva [il genio] non è mai interamente produttiva. Produce, ad esempio, il centauro a partire dal dato: il cavallo c l'uomo.) Que­sto suona come se ci stessimo occupando della memoria. Ma per Kant l'immaginazione è la condizione della memoria, c dunque una facoltà molto più comprensiva. Nell'Antropologia la memoria. la tàcoltà di "rendersi presente il passato" viene trattata congiun­tamente alla "facoltà della previsione", che rende presente ilfiauro. Ambedue sono fondate sull'associazione",- vale a dire sull'unione del "non più" c del "non ancora" con il presente; c "benché non siano esse stesse percezioni, servono alla connessione delle perce­zioni nel tcmpo". 1 L'immaginazione non ha bisogno di essere gui­data da questa associazione temporale, perché può rendere presente a piacimento quel che desidera.

Ciò che Kant chiama fàcoltà dcii 'immaginazione. in quanto fàcoltù di rendere presente ciò che non è contenuto nella percezio­ne sensibile, ha a che fare meno con la f~tcoltà della memoria che con un'altra ntcoltà, nota fin dagli albori della filosofia. Panncnidc (frammento 4) la denominava nous (la fltcoltà di "penetrare le cose che, benché assenti. sono prcsenti")4 • intendendo con questo che l'essere non è mai presente. non si presenta ai sensi. Quel che non è presente alla percezione delle cose è l'essere (it-is): ma l'essere, non percepito dai sensi, è nondimeno presente alla mente. O come dice Anassagora: Opsis tDn adi7/Dn ta phainomena. "uno sguardo fugace sull'invisibile [sono] i fcnomcni". 5 In altri termini: attra­verso l'osservazione dci fenomeni (che in Kant sono dati all'intuì-

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zionc) si acquisisce consapevolezza di, si getta uno sguardo su, qualcosa che non appare. Questo qualcosa è l'essere come tale. Così la metafisica, la disciplina che tratta di ciò che sta al di là della realtà fisica c tuttavia, in modo misterioso, è dato alla mente come ciò che non appare nei fenomeni, diventa ontologia, scienza de Il' essere.

II. ~!ruolo svoltodall'immaginazione nell'ambito delle no­stre tàcoltà conoscitive è forse la più grande scoperta tàtta da Kant nella Critica della ragion pura. Per i nostri propositi la cosa mi­gliore è rivolgersi allo "schematismo dei concetti puri dcii 'intel­lctto".6 La tesi: la stessa f~tcoltà, l'immaginazione, che fornisce gli schemi per la conoscenza, mette a disposizione anche gli esem­pi per il giudizio.

Vi ricorderete che vi sono in Kant i due "tronchi" d eli' espe­rienza c della conoscenza: intuizione (sensibilità) e concetti (intel­letto). L'intuizione ci dà sempre qualcosa di particolare; il concetto ci permette di conoscere questo particolare. Se dico: "questo tavo­lo", è come se l'intuizione dicesse: "questo" c l'intelletto aggiun­gesse "tavolo". "Questo" si riferisce solo all'oggetto specifico; "tavolo" lo identifica e rende l'oggetto comunicabile.

Due questioni si pongono. In primo luogo, come si uniscono le due facoltà? Certo, i concetti dcii' intelletto mettono la mente in condizione di ordinare la molteplicità delle sensazioni. Ma da dove viene la sintesi, il loro cooperare? In secondo luogo, questo con­cetto "tavolo" è veramente un concetto'! Non è forse a sua volta una specie di immagine? Così che una sorta di immaginazione è presente anche n eli 'intelletto? La risposta è: "la sintesi di un mol­teplice ... comincia col produrre una conoscenza ... ; [essa] è ciò che effettivamente raccoglie gli elementi per la conoscenza, unifican­doli in un certo contenuto". Questa sintesi è ''il semplice risultato dell'immaginazione, ossia di una funzione dell'anima, cieca e tut­tavia indispensabile, senza la quale non potremmo a nessun titolo avere una qualsiasi conoscenza, ma della quale siamo consapevoli

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solo di rado". 7 E il modo in cui l'immaginazione produce la sintesi sta ncll'"apportarc al concetto stesso la sua immagine".x Tale im­magine viene definita "schema".

''Ambedue i termini estremi, sensibilità c intelletto, debbono necessaria­mente congiungersi sulla base dell'immaginazione; in caso contrario. sus­sistt:rebbero, sì, fenomeni. ma non oggetti di conoscenza empirica. quindi nessuna espcrien7a"9

Qui Kant tà appello all'immaginazione per stabilire una con­nessione fra le due tàcoltà c nella prima edizione della Critica della ragion pura definisce la tàcoltà dell'immaginazione "la tàcoltà della sintesi in generale (iihcrhaupt)". Altrove, trattando diretta­mente dello "schcmatismo" coinvolto nel nostro conoscere, lo qua­lifìca "un'arte nascosta nelle profondità dell'anima umana" 10 (il che vuoi dire che abbiamo una sorta di "intuizione" di qualcosa che non è mai presente), suggerendo con quella fornmlazionc che l'immaginazione è in effetti la radice comune delle altre tàcoltà cognitive, cioè la "comune radice", "ma a noi sconosciuta", della sensibilità e del! 'intcllctto. 11 Di questo parla ncll' Introduzione alla Critica della ragion pura, per ritornarvi nel suo ultimo capitolo sia pure senza nominare la facoltà. 1è

III. Schema: il punto è che senza uno "schema" non si può mai conoscere alcunché. Se qualcuno dice "questo tavolo", al­lora !'"immagine" generale del tavolo è presente nella sua men­te, ed egli riconosce che il "questo" è un tavolo, qualcosa che condivide i suoi caratteri con molte altre cose del genere; per quanto sia una cosa individuale, particolare. Se io riconosco una casa, questa casa percepita include come nna casa in generale appare. Questo è quanto Platone ha chiamato l' eidos - la forma generale di una casa, che non è mai dato ai sensi naturali bensì solo agli occhi della mente. E poiché, a rigore, non è dato nep­pure agli ''occhi della mente", è qualcosa di simile a un '"imma-

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gine" o meglio a uno "schema". Ogniqualvolta si disegni o si costruisca una casa, si disegna o si costruisce una casa partico­lare, non la casa come tale. Ma non lo si potrebbe t~uc, senza avere questo "schema" o eidos davanti agli occhi della mente. O, come dice Kant: "Nessuna immagine sarebbe mai adeguata al concetto di triangolo in generale. L'immagine non potrebbe in nessun caso accedere all'universalità per cui il concetto vale per ogni triangolo, sia esso rettangolo o di altro genere ... Lo schema del triangolo non può mai esistere in alcun luogo che non sia il pensiero"." Comunque, sebbene esista solo nel pen­siero, esso è una sorta di "immagine"; non è né un prodotto del pensiero né è dato dalla sensibilità; e ancor meno è un prodotto del!' astrazione a partire dal dato sensibile. È qualcosa al di là di, o fra, pensiero e sensibilità; appartiene al pensiero nella mi­sura in cui è esternamente invisibile, c alla sensibilità nella mi­sura in cui è qualcosa di simile al! 'immagine. Per questa ragione Kant definisce talvolta l'immaginazione come "una delle fonti originarie ... di ogni esperienza" e aggiunge che non può "trarre origine da alcun'altra facoltà dcll'animo". 14

Ancora un esempio: "Il concetto di «cane» indica una regola in base alla quale la mia immaginazione è posta in grado di deli­neare in generale la tìgura di un quadrupede [ma appena la figura è tracciata sulla carta, si tratta di nuovo di un animale particolare!], senza tuttavia chiudersi entro una particolare ranigurazionc otfcr­tami dall'esperienza o in una qualsiasi immagine che io possa rap­presentarmi in concreto". 15 Questa è "l'arte nascosta nelle profondità dell'anima umana, il cui vero impiego difficilmente sa­remmo mai in grado di strappare alla natura per esibirlo patente­mente dinanzi agli occhi".H• Kant afferma che l'immagine -prendiamo ad esempio il George Washington Bridge · è "un pro­dotto della facoltà empirica dcll 'immaginazione riproduttiva; lo schema [il ponte] di concetti sensibili [invece] ... un prodotto ... dcll' immaginazione pura a priori, tramite il quale c secondo i l qua­le le immagini acquistano la loro stessa possibilità". 17 In altri tcr-

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mini: se io non avessi la capacità di "schematizzare", non potrei produne immagini.

IV. I punti seguenti sono, per noi, decisivi. l. Nella percezione di questo tavolo particolare è contenuto

il "tavolo" come tale. Pertanto nessuna percezione è possibile sen­za immaginazione. "Che l'immaginazione costituisca un ingre­diente necessario della percezione stessa", rileva Kant, "a questo non ha posto mente finora alcun psicologo". 1x

2. Lo schema "tavolo" è valido per tutti i tavoli particolari. Senza di esso saremmo circondati da una molteplicità di oggetti, dei quali potremmo solo dire "questo" c "questo" c "questo". Non solo nessuna esperienza sarebbe possibile, ma non si darebbe nep­pure comunicazione-- "portami un tavolo!" (non importa quale)­sarebbe impossibile.

3. Quindi: senza la possibilità di dire "tavolo" non potremmo mai comunicare. Possiamo descrivere il George Washington Brid­ge perché conosciamo tutti il "ponte". Ipotizzatc che venisse qual­cuno che non sapesse che cosa è un "ponte", c non ci fosse qui alcun ponte da mostrare mentre si pronuncia la parola. In tal caso disegnerei un'immagine dello schema di un ponte, che naturalmen­te rappresenta già un ponte particolare, per richiamargli alla mente uno schema a lui noto, all'incirca quello di un "passaggio da una riva all'altra del fiume".

In altri termini: ciò che rende comunicabile il particolare è che a) nel momento in cui percepiamo un particolare, possediamo nella nostra memoria (o nelle "profondità delle nostre anime") uno "sche­ma", la cui "forma" è costitutiva per molti particolari simili; c b) questa folTlla schcmatica si trova nella memoria di molti, distinti uomini. Queste forme schematichc sono prodotti dell'immagina­zione, sebbene uno schema "non può mai essere trasposto in im­maginc".19 Tutti i singoli accordi c disaccordi presuppongono che noi parliamo della stessa cosa- che noi, che siamo molti, concor­diamo, convergendo su qualcosa che è uno c lo stesso per tutti.

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4. La Critica del Giudizio tratta dci giudizi riflettenti in quanto distinti da quelli detclTllinanti. I giudizi determinanti sussumono il particolare sotto una regola generale; quelli riflettenti, al contrario, "derivano" la regola dal particolare. Nello schema, fondamental­mente, viene "percepito" qualcosa di "universale" nel particolare. Si vede, per così dire, lo schema "tavolo" riconoscendo il tavolo come tale. Kant rimanda a questa distinzione tra giudizi detcnni­nanti e riflettenti quando distingue, nella Critica della ragion pura. tra "sussumere sotto un concetto" e "ricondurre a un concetto".20

5. Infine, la nostra sensibilità sembra aver bisogno del! 'im­maginazione, non solo come ausilio per la conoscenza, ma anche per riconoscere l'identità nella molteplicità. Come tale essa è la condizione di ogni conoscenza: la "sintesi ... dell'immaginazione costituisce, prima ancora dell'appercezione, il fondamento della possibilità di qualsiasi conoscenza, particolarmente dcii' espcrien­za".21 Come tale l'immaginazione "determina la sensibilità a prio­ri", cioè è presente in tutte le percezioni sensibili. Senza di essa non si darebbe né l'oggettività del mondo, c la sua conoscibilità, né una qualche possibilità di comunicazione, c dunque il discorso.

V. Il significato dello schema per i nostri propositi consiste nel tàtto che sensibilità c intelletto s'incontrano nel produrlo attra­verso l'immaginazione. Nella Critica della ragion pura l'imma­ginazione serve all'intelletto; nella Critica del Giudizio l'intelletto è "al servizio dell'immaginazionc". 22

Nella Critica del Giudizio troviamo qualcosa di analogo allo "schema": l'esempio. 23 Nei giudizi Kant attribuisce agli esempi la stessa funzione che le intuizioni dette schemi hanno per l' esperien­za c la conoscenza. Gli esempi svolgono un ruolo sia nei giudizi riflettenti che in quelli determinanti, il che vuoi dire ogniqualvolta ci occupiamo di cose particolari. Nella Critica della ragion pura - dove leggiamo che il giudizio "costituisce un talento particolare, che non può essere insegnato ma soltanto escrcitato"24

- gli esempi vengono definiti "dande del giudizio". 2

' Nella Critica dd Giudizio,

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c più precisamente nel corso della trattazione dci giudizi riflettenti, dove non si riconduce un particolare al concetto, l'esempio forni­sce quello stesso aiuto che forniva lo schema nel conoscere il ta­volo in quanto tavolo. Gli esempi ci guidano c conducono, c il giudizio acquista pertanto ··validità escmplare". 26

L'esempio è il particolare, che contiene in sé un concetto o una regola universale o di cui si assume che la contenga. Ad esem­pio, perché si è in grado di giudicare coraggiosa un'azione? Giu­dicando, si afferma spontaneamente, senza alcuna deduzione da una regola generale: "quest'uomo ha coraggio". Un greco avrebbe "nelle profondità del suo animo" l'esempio di Achille. Di nuovo è necessaria l'immaginazione: si deve aver presente Achille, per quanto sia senza dubbio assente. Se diciamo di qualcuno che è buo­no, abbiamo in mente l'esempio di San Francesco o di Gesù diNa­zareth. Il giudizio ha validità esemplare nella misura in cui l'esempio è scelto correttamente. O, per prendere un altro caso: nel quadro della storia francese posso parlare di Napoleone Bona­parte come di un uomo particolare; ma nel momento in cui parlo del bonapartismo ho fatto di lui un caso esemplare. La validità di questo esempio resterà circoscritta a coloro che possiedono la par­ticolare esperienza "Napoleone", o come suoi contemporanei o co­me credi di questa specifica tradizione storica. La maggior parte dei concetti nelle scienze storiche c politiche è di questo genere li­mitato: hanno la loro origine in un particolare precedente storico, al quale noi conferiamo carattere "esemplare" - per vedere nel par­ticolare quello che è valido in più di un caso.

124

NOTE

POST-SCRIPTUM A f'I:'NSARE

l. H. Bcrgson, Time ami Free Wi/1: A11 Essar on the Immediate Data o/

Consciousness. trad. ingl., New York 1%0, p. 142 (trad. it. Saggio sui dati im­

mediati della coscienza. Utct, Torino 1964, p. 231 ). 2. L Kant. 1\ritik der reinen Vcrnull/Ì. B 172-B 173 (trad. it. Critica della

mgion{!llm. Utet. Torino 1967, pp. liì7-IXX). 3. Ctì·. H. Arcndt, T!w ( 'oncept ofHistorr: Ancient a lUI Modern, in Between

l'asl a11il Furure. Viking Prcss. Ncw York 196X (trad. it. 7ì·a passato cjuturo.

Vallccchi, Firenze 1970) (NdRB).

LEZIONI

l. Il. Sancr, 1\ants Weg \'Om 1\ricg ZII/n Fricdcn. Bd. l: lfldcrstreitwzd Ein­hcit. lf(>gc :::ul\a11ts po/itischcn /)enkcn, P1pcr. Munchcn 1967.

2. Penso che si alluda a: La l'hilosophie po/iriquc dc 1\ant (vol. 4 degli "Annalc:-. dc philosophic politiquc". lnstitut Intcrnational dc philosophic poli­

tiquc, Paris l 962). 3. I. Kant. 011 /li.11on·, a cura di Lc:wis Whitc Bcck, Boohs-Mcrrill, Indi­

anapolis l 963. 4. 1\wzt :,- Politimlll!-itings. a cura di Hans Rciss. A t thc Univcrsity Prcss,

Camhridgc ( Engl.) 1971. 5. K. Borrics. 1\ant a/.1 l'olitikc'l: Zur iùaats-and Cìcsellschaftslehre des

1\riti:ismu.l. Lcipzig l 92X. ristampa Scientia. Aalcn 1977. (,_ I. Kant, Das lònde alter Dingc. A 507 (l\anl-11(>rkc. a cura di W. Wci­

schcdcl, Dannstadt, Wisscnschatìlichc Buchgcscllscatì 196~. l O voli.; IX, p. l X l, nota); Id., Murmasslicher Anfàng der Mellschengeschichte. A 2 (1\am-Werke, lX. p. X5; trad. i t., ( 'ongel/ure sul/ 'origine della .1/oria. in Scritti politici e di fìlosofìa

della storia e del diritto, Utct, Torino l 965'. p. 196). 7. I Kant, Idee :::u einer allgemeinen Cìeschichte in \\·elthiilgalicher Ah­

sicht, A 409 s. (1\ant-ifiTke. IX, p. 49; trad. it. Idea di una s/oria universale dal

punto di vista cO.\'IIW{)(J/itico, in Scritti poli/ici cit. p. 13X). X. I. Kant, Mutnzasslicher An/ang der Mcnschengcschichtc, A II s. (1\ant­

iti>rke, lX, p. 92; trad. it. cit., p. 201 ).

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9. I. Kant, Kritik der Urteilskrafì . . ~· X3, B 3X8 (Kant-Werke. VIII, p. 551; tra d. i t. ci t., p. 306 ).

IO. I. Kant, Mutmasslicher Anfimg der Menschengeschichte. A 12 s. (KantWerke, IX, p. 92; trad. it. cit., p. 202).

11. Ibidem, A 3 (Kant- Werke, IX, p. X6; trad. i t. ci t., p. 196 ). 12. I. Kant, Das End e aller Dinge. A 512 s. (Kant· Werke. IX, p. 184 ). 13. I. Kant, Beobachtungen ii ber das Gejiilzl d es Sclu!Jzen un d Erhabcnen.

l cd. 1764 (Kant-Werke, Il, p. ~Q l ss.; trad. i t. Osserl'll::.ioni su/sentimento del bello e del sublime, in S'cri/ti precritici. Laterza, Bari, 1982, p. 290).

14. I. Kant a Christian Garve, 21 settembre 179S, in Kants gesammelte Schrifìen, Akademie Ausgabe, Bcrlin 1902 sgg., XII, p. 255.

15. I. Kant a Marcus Herz, 24 novembre 1776 e 20 agosto 1777, in Kants gesammelte Schrijìen. X, p. 185, 198.

16. Vedi Lewis Whitc Bcck, A Commentwy on Kant :ç Critique ojPractical Reason. University ofChicago Press 1960, p. 6.

17. I. Kant, Reflexionen ::.ur Anthropologie, n. 763, in Kants gesammelte Schrijien, XV, p. 333.

IX. I. Kant, Beobachtungen ii ber da.1· Gejiihl ci t., A 6 ss. ( Kanl- Werkc. Il. p. 827 s., nota; trad. it. ciL pp. 295-6).

19. A. Baeumlcr, Kant.1· Kritik der Urteilskrafi. lhrc Geschichte und Svs­tematik. l'O!. l. Das lrrationalitiitsproblem in der .4.:\thetik wzd Logic des 18. .Jahrhundert.1· bis zur Kritik der Urtcilskrafi, lhllc 1923, ristampa Niemcycr. Tiibingen 1967, p. 15.

20. I. Kant. Logic. Ein Handhuch zu Vi1rlesungm. A 25 (Kant-Werkc. V, p. 448). La Arcndt si riferisce alle Vorlcsungen iihcr die Metaph1·sic di Kant. 21. G. W. Lcibniz, Principcs de la nature et de la gracc . .fimdò· c n rai.1on (l 714 ), ~ 7. in Opera philosophica, quac cxstant latina gallica germanica omnia. instruxit J.E. Erdmann. làcsimile dell'cd. del l R40, accresciuta e curata da Renate Vol­lbrecht, Scientia, Aalen 1959, p. 716. Trad. i t. di V. Mathieu in Leibniz, Saggijì­losofìci e lettere, Laterza, Bari 1963, pp. 359 sgg.

22. l. Kant. Kritik der Urtcilskrafì, ,11' 67, B 299 (Kant-Werke. VII/, p. 491; trad. it. cit., p. 247).

23. Cfr. ad es. M. Hcidegger, Ohcr dcn flumanismus. Bricfé an .Jean Bcauji·ct, Klostennann, Frankfurt a.M. 1949 (trad. it., in Scgnavia. Adclphi, Mi­lano 19X7).

24. Vedi G. Lehmann, Kants Nachlasswcrk un d di e Kritik der Urteilskraji, Junker & Diinnhaupt, Berlin 1939, p. 73 s.

25. l. Kant, Kritik der Urteilskmfì, § 67, B 300 (Kant-Werke, VIli, p. 491; trad. 4t. cit., p. 247).

26. Ibidem,§ 76, B 344 (Kant-Wcrke, VIII, p. 521; trad. it., p. 277). 27. Ibidem,§ 77, B 353 (Kant-Werke, VIII, p. 528; trad. it., p. 283).

126

28. Ibidem,§ 78, B 355 (Kant-Werke, VIII, p. 529; trad. it., p. 285). 29. Ibidem, Prefazione, B X, (Kant-Wcrke, VIli, p. 241; trad. i t., p. 7). 30. Cfr. T. Kant, Dic Metaphysik der Sitten, Einleitung. Ahschnitt l, AB 3

(Kant- Werke, VII, p. 316; trad. i t. in Scritti politici ci t., p. 386). 31. Ibidem.

32. Cfr. l. Kant, Zum cwigen Fricden. E in philosophischer Entwurf, BA 40 (Kant- Werke, lX, p. 213 s.; trad. i t. in Scritti politici ci t., pp. 30 1-302).

33. lbid., BA 47 ss. (p. 217 ss.; trad. i t., p. 306 ss.). 34. l. Kant, Der Streit der Fakultdten, A 15R s. (Kant-Werke, IX, p. 366,

nota). Le citazioni c traduzioni tratte da Il conflitto dellefacoltà sono tratte dalla edizione italiana degli Scritti politici e difilosofia della storia a cura di G. Solari, Utet, Torino 1965, pp. 203-228.

35. I. Kant, 7.um ewigen Frieden, BA 40 (Kant-Werke. IX, p. 224; trad. it. cit., p. 313).

36. Ibidem.

37. l. Kant, Grundlcg.ung zur Metaphvsik der Sittcn, BA 17 (Kant-Werke, VI, p. 28: trad. it. in Scritti morali. a cura di P. Chiodi, Utet, Torino 1970, p. 58).

38. lbid., BA 19 (Kant-Werkc, VI. p. 30; trad. it. p. 59). 39. l. Kant, Beohachtungen iihcr das Gcfiihl cit., A 45 s. (Kant-Werke, Il,

p. 848 s.; trad. it. pp. 313-14). 40. lbid., A 46 (Kant-Werke, Il. p. 848; trad. it. p. 314) . 41. l. Kant, Der Strcit der Fakultiitcn. A 146 s. (Kant- Wcrkc. IX, p. 359

nota; trad. it. cit.).

42. Aristotele, Politica, 1267 a (trad. it., Laterza, Bari 1973, p. 48). 43. Ibidem, 1325 b (trad. it. cit., pp. 228-229). 44. H. Pascal,l'cnlf>es. n. 340 (trad. it., Einaudi, Torino 1967, pp. 146-147). 45. R.D. Cunning, fluman Nature and Histon•: A Studv ofthe Developmcnt

ofLihcra/ Politica/ Thought. University ofChicago Prcss 1969, vol. 2. p. 16. 46. Platone, Fedonc 64. 47. Ibidem 67. 4~L Platone, Apologia di Socrate 40. 49. I. Kant, Mutmasslicher Anfàng der Mcnschengeschichtc, A 24 s.

(KantWerke, IX. p. l 00; trad. i t. ci t., pp. 209-21 0). 50. T. Kant, Kritikder Urtcilskrafì, 83, B 395 s. (Kant-Werkc, VIII, p. 557,

nota; trad. i t. p. 311 ).

51. l. Kant, Ohcr das Misslingcn allcr philosophischen Vcrsuchc in der Thcodizee ( 1791 ). A 203 (Kant- Wcrke, IX, p. Il 0).

52. l. Kant, Anthropologie in pragmatischcr llinsicht, B 72 (Kant-Wcrke, X, p. 469; trad. i t. in Scritti morali ci t., p. 591 ).

53. T. Kant, Reflcxionen :::ur Metaphysik, Il, N r. 4857, in Kants gesammclte Schrijien, XVlll, p. Il.

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54. l. Kant, Kritik der reine11 Yemunfi; B ~39 (Kant-Werke. lV, p. 6~ l: trad. it. Utet. Torino 1967. p. 611.).

55. l. Kant, Beohachtungen iihcr das Gejìlh/ cit., A 32 s. (Kant-Werke, li. p. X41 s.: trad. it. cit., pp. 307-30X).

56. l. Kant, Kritik der Urtei/skrafi, X4, H 39X (Kant-Werke, VIII, p. 55X: trad. i t., pp. 312-313 ).

57. l. Kant. A/lgcmeinc Naturgcschichte un d Theoric d es l limme/s, oder Vcrsuch von der l'erfassung un d d nn mcchanischen Ursprunge d es gan::.cn We/1-gehàudcs nach Ncwtonischcn Cìrundsàt::.cn ahgchande/t ( 1755), A 1 X4. (KamWerkc, L p. 3X4).

5X. l. Kant, Kritik der rcinen Vcrnunfi, B R59 (Kant-Wcrkc, IV, p. 695: trad. i t. ci t., pp. 622-23 ).

59. lbid., B XX4 (Kant-Wcrke, IV. p. 712: trad. it., p. 63X). 60. l. Kant, Bemerkungcn ::.u den Beohachtungen iiher das Gefìlh/ des

Schòncn und Erhahcncn, in Kants gesamme/te Schri/ien. XX, p. 44. 61. Lettera di Aristotele ad Alessandro ("sulla monarchia"): cfr. E. Barkcr

(a cura di). The Po/itic.1· o/Aristot/e, Clarcndon Prcss, Oxford 1952, p. 3X6. 62. E. Wcil, Kant et !C' prohh;me dc la po/itique, in La phi/osophic po/itique

de' Kant cit. (nota 2). p. 32.

63. l. Kant, Reflocionen ::ur l.ogik, N r. l X20 a, in Kant.1· gcsammelte Schrifìcn, XVI. p. 127.

64. l. Kant, Versuch einiga Betrachtungc!l iihe'r den Optimismus (1759). A X (Kant-Wcrkc, l l, p. 594: trad. i t. Saggi di la/une considcra::ioni sul/ 'ottimismo in .)'cri/li precritici ci t., p. 99).

65. l. Kant, f)as Ende al/er /Jingc, A 540 s. (Kant-Wcrkc, lX, p. l XO nota).

66. l. Kant, Re/le.rionen ::ur ,-lllthropo/ogic, Nr. X90, in Kants gesamme/te Schrijicn, XV, p. 3XX.

67. K. Jaspcrs, Kant. Lehcn, i'Vcrk, Wirkung, Pipcr, Miinchen 1975, p. l 37. cita questo passo di Kant senza indicazione della f(mtc. Cfr. però ( 'ritica della ragion pum, B X2.1 !Kant-Wcrke. IV, p. 670; trad. it., Laterza, Bari 1960).

6X. Kritik der Urtei/skrajt, 40. B 159 (Kani-Werke, VIII, p. 390 nota: trad. it. p. 151).

69. Kritik der rcinen Vcmunfi. A Xl (Kant-IVcrkc, V !l!, p. 13 nota: trad. i t. p. 65).

70. lhid., B 27 (l l!, p. 64: trad. i t. p. 91) 71. lbid .. B 370 (lV, p. 322: trad. iL, p. 314). 72. lhid .. A Xl! (Il!, p. 13: trad. it.. p. 65). 73. lbid .. A X (lll, p. 12: trad. it., p. 64). 74. lhid., B XXV (III, p. 30: trad. it., p. 49). 75. lbid., 13 XXXII (!IL p. 34; trad. it., p. 53). 76. lbid., B XXXIII (lll, p. 35: trad. it., p. 54)

128

77. lbid .. B XXXV (l l!, p. 36; trad. iL p. 55). 78. ( ì. W. F. H egei, O ha das Wì:·sen der phi/osophi.1ché'n Kritik iihahaupt ..

(l X02). in Sùmt/ichc ltàkc, a cura di H. Cìlockner. Fromman-Holzboog, Stuttgart

195~. l, p. l 1\5. 79. Ci. W.F. H egei, li>rhii/tnis d es Skcpti::ismu.1· ::ur Phi/o.1ophie .. (l X02),

in Siimt/ichc ~i>rkc cit., L p. 243. trad. i t. Rapporto dello sccllici.lnw con /afì/o­sofìa, Laterza, Bari 1970. p. 92.

~0. Vedi la premessa di Kant al saggio C'her dcn Gé'mcinspruch.· Da.1· mag in der Thmric richtig .1·ei11, taugt ahcr n i chi jìir di c Praxis, A 20 l ss. (KanrUi,rke, l X. p. 127 ss.: trad. i t. So p m il detto comw1e: "Questo può essere giusto in teo­ria, ma non 1'lllc per la pratica", in Scritti politici cit., p. 237 ss.).

X l. Kritik der rcincn ~i>rnwifi, B XXXI (Kant-Ui>rkc, lll, p. 33: trad. iL, p.

X2. lbid., B XXXVI (Kam-f1i,rkc. lll, p. 36; trad. it., p. 56). XJ. Platone, [el'lclo 14X ss.

X4. Platone, Sofìsta 226-231. X5. Kritik der Urtci/skra!i ,11' 40, B 15X ss. (Kant-~i>rke, Vlll, p. 390 s.;

trad. i t. p. 15 l ). X6. Cfr. Platone. G01gia 4X2 c. X7. Kritik der rcinen Vcrnunj; B Xl\4 (Kant-Wcrkc, IV. p. 712: trad. it., p.

6:ìX). XX. Kant a Moscs Mcndelssohn. 16 agosto 171\3. in Kant.1· gcsammc/te

Schriftcn. X. p. 123. X9. Kant a Christian Garvc, 7 agosto 17X3, in Ka11l.\' gnwnmé'/te Schrificn.

X, p. 317. Cfr K. Jaspcrs, Kant ci L p. l RO ss. ')0. l. Kant, 8cantwortung dcr Fmgc: Was ist Au/kfiimng:', A 4X4 s.

(KantWerkc. IX, p. 55; trad. it. Risposta alla domanda: ,·hc cos ·,; /'i//umini.l·llwl

in Scritti fWiitici ciL p. 143). 91. lhid., A 4X5 s. (p. 56: tra d. i t. p. 144 ). 92. l. Kant. Rcflcxionen ::ur Anthropologic, N r. X97. in Kan/.1 gc.l'!/lll/1/Citc

Schrijicn, XV, p. 392. 93. Kritik der l!rteilskra/i. -~· 40, B 161 (lX p. 392; trad. iL p. 153). 94. l. Kant. f1(Js heisst: Sich i m /Jenkc11 oricllticrell :) A 325 (V, p. 2XO:

tra d. i t. ('h c cm a significa oric11tarsi nel pensare, Carabba, Lanciano 1975, p.

105). 95. l. Kant. Reflcxionen zur Mctaphvsik. l/, N r. 5636. in Kants gesammcltc

Schrijtcn. XVIII, p. 267. 96. Kant a Marcus llcrz. 7 giugno 1771, in op.cit., X, p. 116 s. 97. Kant a Marcus Hcrz, 21 febbraio 1772, in op.cit., X, p. 127. 9X. Krilik der Urtci/skra/i. _11' 40. B 157 !Kant-Hàke, VII L p. 3X9; trad. iL

p. 150).

129

Page 64: Hannah Arendt Teoria Del Giudizio Politico - Lezioni Su Kant

99. Ibid., 8 158 (p. 390; trad. it., p. 150).

l 00. Allegato alla lettera di An ton Ludwig Theremin a Kant, 6 febbraio 1796, in Kants gesammelte Schriften, Xl!, p. 59.

l O l. l. Kant, Der Streit der Fakultiiten, A 142 ss. (Kant- Werke, XI, pp. 357-362; trad. it. cit.).

l 02. l. Kant, Idee zu einer allgemeinen Geschichte ci t. A 407 (Kant- Werke, IX, p. 47; trad. it. cit., p. 136).

103. l. Kant, Der Streit der Fakultiiten, A 146 ss. (Kant-Werke, IX, p. 359 s. nota; trad. it., cit.).

104. l. Kant, Zum cwigen Frieden, 8 T8 (Kant-Werke. IX, p. 233 s.; trad. it., p. 320).

l 05. l. Kant, Metaphysik der Sitten, 49, 8 211 (Kant-Werke, VII, p. 442; trad. it., p. 510),

106. l. Kant, Zum ewigen Frieden. 8 101 (Kant-Werke, IX, p. 245; trad. it., p. 331).

I 07. Cfr. K. Borri es, Kant als Politiker ci t. (nota 5), p. 16. 108. I. Kant, Die Religion innerhalh der Grenzen der h/ossen Vernunfì, 8

291 s. (Kant- Werke, VI I, p. 862 s. nota; trad. i t. in Scritti morali ci t., p. 516 ). I09. l. Kant, Zum ewigen Frieden, B 99 s. (Kant-Werke, IX, p. 245; trad.

it. cit., p. 330).

I IO. Ibid., 8 102 (Kant-Werke, IX, p. 246; trad. it., p. 331). I I l. Ibid., 8 l 00 (Kant- Werke, pp. 245, 249; trad. i t. pp. 330, 334 ). 112. Ibid., 8 110 (Kant-Werke, p. 250; trad. it., p. 335).

113. Eine Vorlesung Kants iiher Ethik, a cura di P. Mcnzer, Ber! in 1924, p. 52. 114. M. Mende1ssohn, Jerusalem, 11, cit. da l. Kant, Vher den Gemein­

spruch cit., A 272 s. (Kant-Werke, IX, p. 166; trad. it., p. 274). 115. Cfr. l. Kant, Zum ewigen Frieden, B 71 (Kant-Werke, IX, p. 228 s.;

trad. i t., p. 317 s.).

116. l. Kant, Oher den Gemein1pn1Ch cit., A 275 s. (Kant-Werke, IX, p. 167 s.; trad. it., p. 276).

117. lbid., A 281 s. (Kant-Werke, IX, p. 171 ;. trad. i t., p. 279). 118. Ibid., A 273 s. (Kant-Werke, !X, p. 166 s.; trad. it., p. 275), 119. l. Kant, Zum ewigen Frieden. 8 47 (Kant-Werke, IX, p. 217; trad. it.,

p. 306).

120. Ibid., 8 34 s. (p. 211; trad. i t., p. 299). 134

121. Kritik der Urteilskrafì, § 28, 8 l 06 s. (Kant- Werke, VIII, p. 351; trad. it.pp. 113-14).

122. l. Kant, Der Streit der Fakultiiten, A 161 (Kant-Werke, !X, p. 368; trad. it. ci t.). Kant cita in questo passo Hume. ·

123. Kritik der Urteilskraft, § 83, 8 393 (Kant-Werke, VITI, p. 555; trad. it., p. 309).

130

124. lbid. 8 394 (Kant- Werke, VITI, p. 555 s.; trad. it., p. 31 0). 125. l. Kant, Die Metaphysik der Sitten, 8 264 (Kant-Werke, V li, p. 47X;

trad. i t. in Scritti politici ci t., pp. 545-546 ). 126. Ctr. l. Kant, Zum ewigen Frieden, B 59 (Kant-Werke, IX, p. 223; trad.

i t., p. 311 ). La citazione è da Scneca. 127. Diogene Lacrzio, VIII, L 8. . 128. G.W.F. Hegel. Vorlesungen iiher dif' Philosophif' der Geschichte, m

Siimtliche Wcrke cit., XI, p. 57 (trad. it. La razionalità nella storia, La Nuova Italia Firenze 1961, pp. 67-68).

'129. A. Kojève, H egei. Marx an d Chrislianity, "Interpretation" I ( 1970),

p. 37. . 130. 1. Kant, Re::.ension (l 7R5) zu: Johann Gottfned 1-lerder, ldeen ?llr

Philosophie der Geschichte der Menschheit (Kant-Werke, X, p. 805; trad. it. in

Scritti politici ci t., p. 174). 131. lbid. 132. Platone, Repuhhlica, 514 a ss. 133. 1. Kant, Di e Mctaphysik der Sittf'n, AB 3 (Kant- Wcrke, VII, p. 316;

trad. i t., p. 386 ). 134. Kritik da reinen Vernunjì, B R25 ss. (Kant-Werke, IV, p. 671 ss; trad.

it., p. 602). 135. Ibid., 8 R83 (Kant- Wcrke, IV, p. 711; trad. i t., p. 63 7). 136. Kritik der Urteilskrafì, .11' 187 (Kanl- Wcrkc, VIII. p. 41 0; trad. i t., p. 170). 13 7. Ibid., ~ 50, 8 202 (Kant- Werke, VIII, p. 420, trad. i t., p. 179). 138. lbid., 8 202 s. (Kant-Wcrke, VIli, p. 420 s.; trad. it., p. 179-RO). 139. lbid., B 203 (Kant-Werkc, VIII, p. 421; trad. it., p. 180). 140. Ibid. § 49, B 19R (Kwzt- Wakc, VIII, p. 417 s.; trad. i t., p. 177 s.).

141. Ibid. 142. Cicerone, De Oratore, III, 195. 143. Ibid., Ili, 197. 144. I. Kant, Anthropologie. BA 151 (Kant-WL-rke, X, p. 535; trad. it., p.

700). 145. Kritik der Urtei/skrajì, § 40. B 157 (Kant-Wcrke, lX, p. 245; trad. it.,

p. 330). . . . 146. Parmenidc (H. Diels fr. 4) parla di "nous", lo spmto che CI permette

di vedere le cose che, per quanto assenti, sono presenti. "Con lo spirito vedo ciò che è assente, per quanto assente, come durevolmente presente".

] 47. Kritik der Urteilskraft, ,<i 45, 8 180, (Kant-Werke, VIII, p. 405; trad.

it., p. 154). . 148. Ibid., § 41, 8 162 (Kant- Werke, VIli, p. 393, trad. t!. p. 154 ). 149. I. Kant, Reflexionen zur Anthropologie, n. 767, in Kants Gesammelte

Schrijìen XV, p. 334 s.

131

Page 65: Hannah Arendt Teoria Del Giudizio Politico - Lezioni Su Kant

'l il l!

150. Kritik der Urtcilskrajì, 1\ 4R. H 1~9 (Kant-Werkc, VII!, p. 411: trad. it.. p. 171).

151. lbid., ~54, B 223 (Kant-Werke. VII/, p. 435; trad. it.. p. 192-93).

152. l. Kant, Anrhmpologic. BA !51 (Kant-Wcrke. X, p. 535; trad. it., p. 640).

_153. Kritik der Urtcilskrafi . . 11 40. H 157 s. (Kant-llàke, VII!, p. 3X9 s.; trad. IL pp. 150-51 ).

154. lbid., B 15X (Kant-f1àke. VII!, p. 390; trad. it.. p. 151). Clr. anche la l.ogik. A X4 (V, p. 4~5).

155. Kritik der Urteilskra(i . . 11 40. B !59 (Kan!-Werkc. VIII, p. 39 I; trad. it., p. 152).

156. lbid., ~ 40, B 160 (VIII, p. 392; trad. it., pp 152-53). 157. lbid., H 161 (VII!, p. 392; trad. it., p. 153).

158. lbid., prefazione. Bi\ VII (VII!, p. 219; trad. it. p. 5). 159. lbid., ~AL 13 162 (VII!, 393; trad. it., p. !53).

160. l. Kant, Murmafllichcr An(ìmg der Menschcngcschichte. A 3 (IX, p. 86; trad. Il. pp. 195 sgg.).

161. Cicerone. ?ìtsculanae. l, 39.

162. Kritik der Urtcilskmji . . 11· 41. B 164 (VII!, p. 394; trad. i t.. p. !55). 163.1bid .. B 163 (VII!, p. 393 s.; trad. it .. p. !54)

164. l. Kant, Lum nrigcn Frictlcn. H 12 (IX. p. 200; trad. it., p. 2X7). 165. lbid., 13 40 (IX, p. 213; irad. i t.. p. 301 ).

166. !bi d .. B 41 (IX. p. 214-216; trad. i t.. p. 302. 305).

167. Kritik der Urteilskmfi. Introduzione, B XXV (VII!, p. 251; trad. i t., pp. 23-24).

IMI. lbid .. B XXVI (VII!, p.2'\1: trad. it., pp. 23-24).

l (>9. 1\.ritik der rcinctt ~t'I"IIIIIT/1. B 172 s.; (Ili, p. l X5; trad. it., p. l XX).

IMMi\(ìJNAZJONf

l. l. Kant. 1\.ritik der reinen té-rnunfi. B 151 ( Kant-lf(,rke. I l l, p. 14X: tra d. il., p. 174).

2. l. Kant, Anthropologic in pmgmatischer 1/insicht. l3 6X (1\.ant-lti-t-kc, X, p. 46h; lrad. il. cil., p. 5XX).

3. Ibidem. B 92 (Kant-JhTke, X, p.4X5 s.; lrad. it., p. 603).

4. Vedi Kathlccn Freeman, Ancilla lo thc Pre-Socratic Philosopher.1, Or­ford. Basi! Blackwcll, 1971. p. 42.

5. llcrmann Die\s c Walthcr Kran/, Die Fmgmcnte der Vorsokratikc1:

Bcrlin \934-37, vol. Il, p. 43. Vedi Frccman. Ancilla ... cit., p. X6.

132

6. 1. Kant. K1·itik der rL'incn rernun/t. B 176 ss. !Kant-lf'crkc. Ili, l S7 ss.:.

trad. it., p. 190). 7. Ibidem, 13 103 (Kant-Wé'rke. Ili, p. 116 s.; trad. it., p. 144). S. Ibidem, H l SO (Kant-ft(•rke, Ili, p. l X9; trad. i t., p. 192).

9. Ibidem, A 124 (Kant- Werke, Ili, p. 179; trad. i t., p. 656). 1 O. Ibidem. B l 1\0 (1\.wlt-W(•rke, Ili, p. 190; trad. i t., p. 192). Il. Ibidem, B 29 (Kant-lhTke, III. p. M>; trad. it., p. 93). 12. Ibidem, 13 X63 (1\.aut-Werke, 111, p. 697 s.; trad. it.. p. 625). 13. Ibidem, B l SO (Kant-rh·rkc, Ili, p. l X9; trad. i t., p. 192). 14.1bidem, A 94 (Kant-f1·érke, Ili, p. 134; trad. it., p. !59 nola).

15.1bidcm, B ISO (Kant-Werk<', 111. p. 190; trad. it., p. 192). 16. Ibidem. H ISO-l !Kant-ii(Tkc, III, p. 190; trad. it., p. 192). 17. Ibidem. H lXI (Kanr-fJ(>rke, 111, p. 190; trad. il.. p. 193). 1 X. Ibidem, A 120 (Kant-Wake, Ili, p. 176; trad. il.. p. 653 nota).

19. Ibidem, B lXI (Kant-Werke, III. p. 190; trad. it., p. 193). 20.lbidcm. B 104 (Kant-Vr'crke, 111. p. 117; trad. iL. pp. 144-45). 21. Ibidem. A Il X (Kant-Wcrkc. Ili, p. 175; trad. il.. p. 652). 22. I. Kanl, Kritik der Urteilslmt/Ì. Allgcmeinc Bcmcrkung nach ~ 22

(Kantft(,rkc, VIII, p. 326; lrad. il. cil.. p. X7 s.). 23. Ibidem,~ 59 (Kant-Werkc. VIII. p. 45X s.; trad. il., p. 215 s.). 24. I. Kanl, Kritik der rcinen Jànun/1. B 172 (A.ant-11<-rke, III, p. l S4; trad.

i t, p. l S7). 25. Ibidem. B 17:1 (Kant-Jt(•rkc.lll. p. ll-:5; trad. il., p. lXX). 26. I. Kant. Kritik der Urteilskrafi. _,1· 22 (Kant-Werkc, VIII, p. 322 ss.; lrad.

il., p. S5).

t:n

Page 66: Hannah Arendt Teoria Del Giudizio Politico - Lezioni Su Kant

-~, ,l li

! l

Ronald Beiner IL GIUDIZIO IN HANNAH ARENDT

Saggio interprctativo

Page 67: Hannah Arendt Teoria Del Giudizio Politico - Lezioni Su Kant

l. Giudicare: il su;wramento di l/Il 'impasse

Giudicare doveva seguire l'c11sare e ~(•/ere come terza c conclusiva parte dell'ultimo lavoro di Hannah Arcndt. La 1•ita della me11te. L'improvvisa morte della Arendt ;,opraggiun;,e a meno di una ;,ettimana dalla prima stesura di fìJ/ere:

'"Dopo la sua morte. fu trovato sulla sua macchina da scrivere un foglio di carta. bianco. salvo che per l'intestazione Giudicare c due epigrafi." Scrive Mary McCarthy. curatrice dell'opera postuma. nella postl~u.ione ai due volumi pub­blicati precedentemente: '"In un momento imprecisato tra il sabato in cui aveva terminato f(J/ere c il giovedì della sua morte, deve essersi seduta al tavolino per

anì·ontan: l'ultima parte." 1 Bisogna considerare che. sen;a il saggio sul giudizio.

la nostra comprensione dc La l'ila della mcnlc, è decisamente incompleta. Se­condo la tcstimonmnza di .1. (ìlenn Cìray, un suo amico, la Arcndt "considerava il giudizio come il fulcro di tutta la sua opera e, a buona ragione. l'agognata ri­soluzione dell'impasse alla quale sembravano condurla le ri1kssioni sulla vo­lontà. ('ome la C 'rilica del (ìiudi::io avt:va permesso a Kant di oltn:passare alcune antinomie delle prime critiche, cosi la Arendt sperava di n so l vere i problemi con­cernenti pensiero t: volontà riflettendo sulla natun1 della nostra capacità di giu­

dicare."2 Cìli scritti sulle due: liKoltà mentali. giù ultimati, non dovevano essere

semplicemente integrati da un tcr/o contributo appena approntato. ma, an7i. è probabile cht: senza la promessa sintesi sul giudizio sarebbero apparsi incompleti. Michael Denneny, commentando k lezioni cht: lui stesso frequentò su pensiero. volont:'i c giudizio. tenute prima della stesura dell'opera /,a l'ila della mcnlc nel 1966, offre un simile verdetto: "Le lcziom sul pensiero (c sulla coscienza c con­sapevoleua) erano brillantemente originali c stimolanti: quelle sulla volontà. diftlcili c cervo.:llotichc. F divt:ntò sempre più chiaro che il cuore della questione giaceva nel giudizio." Denncny fa notare che per ironia della sorte "sorpremkn­temcntc" la discussione su questa fi~eoltù fu costantemente rinviata c. alla lìne.

aflhmtata solo sommariamente durante l'ultimissima lezione.'' 1

137

Page 68: Hannah Arendt Teoria Del Giudizio Politico - Lezioni Su Kant

Tuttavia, siamo costretti a considerare La vita della mente. senza la parte sulla facoltà del giudizio, come un racconto senza il finale, infatti si tennina la lettura di Volere in un certo stato di suspense. La volontà, si è detto, conduce a un'impasse tcoretica. La volontà, se ha un signilìcato, implica un "abisso di pura spontaneità". Ma le tradizioni che si sono affermate nella filosofìa occidentale tralasciarono questo abisso tentando di spiegare il nuovo attrav.:rso la compren­sione di ciò che l'aveva preceduto, l'antico. Solo nell'utopia marxiana si è cercato di pensare alla libertà in un senso genuinamente nuovo. La Arendt la chiama "una conclusione frustrante" e dice di conoscere "una sola defìnizione altemativa in tutta la storia del pensiero politico": la nozione agostiniana di "natalità", la capacità umana del cominciamento, radicata nella concretezza della nascita. Ma nell'ultima pagina di r(Jlere è scritto che la teoria agostiniana "resta in certo qual modo poco trasparente":

non sembra dirci null'altro che siamo condannati a essere liberi in ragione dell'essere nati, non importa se la libertà ci piace o abor­riamo la sua arbitrarietà, se ci sia ''gradita" o preferiamo fuggire la sua responsabilità tremenda scegliendo una forma qualunque di fa­talismo. Questa impasse se è veramente tale, può essere superata o risolta solo facendo appello a un'altra tàcoltà della mente, non meno misteriosa della facoltà del cominciamento, la ti1coltà del Giudizio, un'analisi della quale, forse, può almeno dirci che cosa sia implicato

nei nostri giudizi "mi piace" o "non mi piace".4

Così arriviamo alla soglia del concetto di Giudizio senza avere ancora tro­vato alcuna soluzione ai problemi fondamentali che hanno spinto la Arcndt a scrivere La vita dc!!a mente. In questa situazione sembra virtualmente un obbligo provare a ricostruire la sua teoria del giudizio sulla base dci le note alle lezioni c del materiale postumo disponibile, in modo da poter congetturare come avrebbe potuto preparare la fuga dall'impasse in cui si era trovata alla conclusione dt:lla parte pubblicata dc La l'ila della mente.

Il tentativo di ricostruire quello che avrebbe dovuto essere il contenuto di "Cìiudicarc", se la Arcndt fosse vissuta abbastanza a lungo per completare l'ul­timo capitolo dell'opera decisiva della sua vita, può sembrare altamente specu­lativo, (per non dire presuntuoso). Tutto quello che era riuscita a scrivere prima di morire, era solo un foglio "bianco, salvo che per l'intestazione Giudicare c due cpigratì". Delle due: epigratl, interessanti come sono, può diftìcilmcnte dirsi che oflì·ano una guida trasparente alle intenzioni della Arendt. Il pathos di quella singola pagina sembra quasi anticipare il saggio. Inoltre, una ulteriore compli­cazione deriva dall'aflermazionc della Arcndt circa le proprie convinzioni sulla f~1coltà di giudicare, che si sarebbero stabilizzate su posizioni alle quali sarebbe

138

giunto anche Kant, considerato dalla Arendt come un sicuro punto di riferimento

;cr quanto riguarda il giudizio, se fòsse vissuto più a lungo-' Secondo questa

prospettiva possiamo accostare la Arendt a Kant. Il compito è doppiamente elu­sivo. Ci sono buone ragioni per credere che le lezioni su Kant presentate qu1, siano un 'indicazione suffìcientemcnte attendibile del lavoro progettato. Per un verso le tesi sostenute in queste lezioni sono del tutto conformi ai passi sul giu­

dizio esposti nel lavoro già edito Pen.1·are6 Infatti, alcune riflessioni di quest'ul­

timo sono tratte quasi esclusivamente dalle lezioni allora inedite su Kant, il che dovrebbe provare la ragionevole soddisfàzione della Arcndt per le tesi appena formulate in esse c atte a comprendere tale tàcoltà. Ancora più decisivo è il Jàtto che l'abbozzo della teoria del giudizio delineato in appendice a Pensare corri­sponda strettamente all'attuale sviluppo delle lezioni su Kant (come arguiren~o più avanti). È così fondato l'assunto secondo il quale le lczwm sulla filosoha politica kantiana otlrono una base ragionevole per la ncostruz1onc della teona

del giudizio di llannah Arendt. . Come se la nostra impresa non ]Ì.)sse già abb<tstanza auardata, nmane an­

cora da aflrontarc un'altra dif'flcoltù. Esaminando i! lavoro della Arendt come un tutto organico, cmergononon una ma due teorie del giudizio: riferimenti sparsi alla f~tcolt; del giudi;i;J sono rinvcnibili negli scritti pubblicati negli anni '60, mentre a partire dal l 'J70 si ravvisa tlll sottile, ma importanlt: ripensamento. Nelle

opere pubblicate prima di l'cnsicm c riflessioni /JWmli,7 apparso nel 1971, il giu­

di1.io è considerato nell'ottica della l'ili/ ac'lim; di lì in avanti il giudizio appar­tcrrù invece alla vita della mente. L'enf~tsi si sposta quindi dal pensiero rappresentativo c dalla duttile mentalitù degli a)!cnti politici allo spettatore c al giudi/io retrospettivo degli storici c dci pubblicisti. Il poda ctcco, lontano dai­Ì';11ionc· c cap<lce di ri !lese; ione disinteressata. di\ iene ora l 'emblema del )!iudi­

/.io.' lì! i Ol!gctti del giudi;io, rimo,si dalle pcrcc1ioni di pnmo ordine, sono ora

riprcsentat,i,ncll'imma)!ina;tonc da un atto mentale di secondo ordine. Il poeta

cieco v_i 11 dica da una distan/a che è essa ~tessa una COJH.fi/ionc d1 dJsJntcrcssc. Così <.imcro apre la strada all'impar/ialitù del giudi/io dc·lla 'toriografla antica. Lrodoto c Omcro. in modo pressoché simile, prcdili)!ono le a7ioni di uomini vi r .. tuosì, affinché le riflessioni dci lettore siano accompagnate d<l una scm;a;ionc di

. " pltiClTè. . ..

Secondo la mia interpreta/ione, gli scntti della Arcndt possono essen: diVISI in due t~tsi più o meno di,tintt:: una giovanile c una tarda, una pratica<: una con­templativa. Tuttavia sono com into che ci siano alcuni problemi che dipendono esclusi v amen te da questa divisione c sarebbe imuionalc aspettarsi una scpara-1ionc nclla in periodi ben distinti flssamlo una data di demarcazione precisa cd cvidcll/.iando una cesura tra ,critti gimanili c tardi: appanrcbbc ovviamente ar­bitrario: c non dovrebbe sorprcndcn.: un sovrapporsi concettuale c cronologico

139

Page 69: Hannah Arendt Teoria Del Giudizio Politico - Lezioni Su Kant

delle due fasi Con quest· d, . . · · · a unarca7!onc vorrei att' . l'· , · . nella discussione sul "peli'• i,_ .. _ . . . I rare attenLJone sul tatto che

· · cio lapp!escntat1v0 ' m Trz ti 1 p /' . . _ _ . non appare ancora come un·t cl.,! l , t . - l . . L z a !l( o tltcs, Il giUdizio

' ~ c re a1t1co az1on 1 della .-t· d , 11 . solo una caratteristica della VJ-ta 1.t. 1 1

. ·. ' \l a c a mente; qu1 è · - - . po 1 Ica. ( n att1 la Arendt . · · · -Il giudizio come un'attività nP t· l,. . _ · c!Jnvo a considerare lontà in .. , . en d e dutonoma c distmta dal pensiero c dalla vo-

, una fase piuttosto avanLata del suo camminc d' , .·, IO che considero le "ultime" f l·. . . _ . l 1 pensiero.) In quelle

. . - ormu azlom, non SI nscont . . . . , . giudizio come caratteristi-ca ti·p·. d Il . . . ra plu un mtercssc per li

· I ca c a vita politic· · -· · 1 · concezione del gi d' · . - _ a, CIO c le mvecc emerge è h - u l/IO come articolazJOnc distint· d 'il'. , ' '

abbraccia la vita della mente ;\l t' 1. .b · a e mtero complesso che

· Inelin attcrel'·1s· t -;\rendt otìre due distinte Cllnc . - l l . . .- '.su n o secondo Il quale la

eZIOni C C gllldiZIO (l· i . della prassi. la seconda a qu ,11 d ,

11. . . ' d p n ma re at1va al mondo

. . c 0 c d contcmplaLJone) bi . , bb 1. -SpiegaziOne precisa sul per ·l ·, ,· . - l - . - . : sogn_ ere c ormrc una

. C 1C ncJ SUOI LI lilllJ SCritti d ," d' . , .. , , posto esclusivamente all'intem d'ii· _. glu IZJO come altivlta e - 0 c avJtadellamcnte 111 -,.,d- . In una posizione più couivoc·l L' . .. _ _ . • vece 1 essere mclusa . • '· umca spiegaZione pl· b 1 · 1 -tosse diventato per Ici JJartc di . , . . · dLISI I c c c 1c d giudizio

una concezione molto di . , . d· Il' . - _. trattata nella 1·ita auiva cioè là V'I·t· d Il

1.. . vcn,a a ongmale, g1a

. - . · a c a po Jlica P1ù r'tl 'tt . , Il - . gllllh:IJo, più era incline., Clll1Sl-ll, . l· . - l c eva su a 1acolta del

' · crar a una prcrog·ItiV' d -Il • (sebbene dotato di senso civico) llp ·t . Il' ' d c uomo contemplativo,

- poso d uomo att1vo (l· - · · · · · sanamcntc inserita in un contesto bbl'. ) Il - . d CUI atlJvlta c ncccs-t. ' pu ICO · pnmo gJUd!C'I d· ·' ( h a rapprcsl'ntando coloro che Sllll l . .. . Il . ' d se anc c se lo . l ,tsscnti ne a projJITI . . . .

condo agisce in un contesto S<JCJ-'11,. . . , nnmagma7wne); il se-. · ' c a contatto con gli ·tlt - G d'

la Arcndt. si pesano i possibili. . 1 .. 1. . ' n. ILI Icando. secondo

- - . _ · · gllll17J l 1 un Altro 1mn . ,- . · . . tiVJ d1 mtcrlocutori reali. ldgJtldriO, non quelli cl l'et-

Nei suoi p n mi scritti (per esempio Frecdom an d p . . . . . -c La crisi della cul!uru)ll l· ;\ , l . ofttto, li li/h wtd l'olttics

d rene t aveva mtrodotto l· . · , d. . _ . garantire basi più solide ·il h s . , . ,_. _ _ d nozione l g1udvJo per

. , _ ' ' · Ud COnCCZIOlle di '!LIOne l't' .. · raiJta d1 uomini che .1.,iscoJJ

1 1- . ' _· po 1 !Cd m tesa come plu-. . 'c- · l l l comune accordo 1n un ... - - ..

scn uJmmJ sono in gndo di .1.,1-re . _ _ . _ 0 spd/.Jo pubblico. (,li es-. . . ' 'b come essen politici p -·h·, .-... - . l potenziali punti di vista altrui· . . . . . Olc c Ilcscono a utiliZZare

· possono con-dividere Il l . cando ciò che hanno in COI! , ,

1. . _ momo con altn giudi-

- lune. c g 1 oggetti dc1 1 l · r- · -. di esseri politici sono le rnrolc , 1... . .

1 . tr~l gJU( 1" 1 espressi m qualità

- . ' c c azJonJ c le eh nn ile· l l . . d . nJtestano le cose Nel h f<JrlllLJI' . . . ' "'o o spazio ovc SI ma-- ' dZJonc p1u t a nh eh, · - · .. su Kant, così come in l'cn,·icm , . . 11 , _ . . . ' c llll/Ja" emergere nelle lezioni l · ' Il C\.\10171 morali c nel l 1· n Ja un approccio con il gJ.Udi-- . l . vo ume l l ren,·an•. si

ZIO cggcrmentc div, · , . 1-ambizioso. Qui il giudizi cl c'd, .. 'tt - <:rso c, se vog wmo. molto più

- cscn o come 1! "su p, . , " 1 .. un'"impasse"_ Lc<>gcndo il C'IJ1it<JI ti . l, l' ,, ·, crc~mento o a soluzione" di

c- 'OlnclcCI>OCI'esJanJJ "dd'· -la natura di cruesta imrJ·tsse Il Cllll. tt . 1 1. · · l 111 gJd o 1 ncostnnrc

'" · CC O gUIC'I C 1 q • (' i . · . . "L'abisso delia libertà c il llllV . ·d ' ues u t miO paragraJo mt1tolato

us ot o l'ueclorum" ; 1 bi umana c la sua corn:lazionc alia volontà Il , e ~ pt:o ema del!~ libertà solo attraverso l'analisi della f , Il" ·h, ~. punto eli contdtto sta nel tatto che

dc o d c e c m l elazlone con le nostre sensazioni

140

di "piacere" c "dispiacere'' possiamo trovare una via per abbracciare la libertà

umana c considerarla propria degli esseri mortali. Le le7ioni su Kant formano un tutto organico. costituito da un tema comune

divi sci in molte parti: cosa dà significato o valore alla vita umana: la valutazione della vita dal punto di vista del piacere c del dispiacere: l 'ostilità dcii 'uomo con­

templativo verso il mondo delle cose umane: l'inctlìcacia delle verità meta fisiche e la necessità di un pensiero critico: la difesa del senso comune c della compren­sione degli uomini: la dignità dell'uomo: la natura della rillessione sulla storia:

la tensione fra il Progresso c l'autonomia del singolo; la relazione fì·a l 'universale c il particolare: c, infine, la possibilità rcdentiva del giudizio umano. Malgrado

le condizioni di questo materiale, composto per lo più da semplici note per le le­zioni, questi temi sono accompagnati da una meditazione veramente originale sulla questione della dona7ione dell'essere, se essa generi gratitudine o se. al

contrario, è più facile che conduca a una sconfinata malinconia.

Secondo Mary McCarthy, la ;\rendt si aspettava che CJiudican' tosse molto più breve e più facile da trattare rispetto a Pensare c Volere ma ''si può intuire

che il Giudizio l'abbia sorpresa" c l'abbia spinta verso itinerari insospcttati. 12

Può darsi che sia così, infatti si possono scorgere unità c compatteua nella con­

cezione del giudizio che emerge dalle discussioni su questo tema, sia in Pensiero c riflessioni morali che nella prima parte dc La t·ita della mente c nelle note alle

Le ioni qui pubblicate. Inoltre questi scritti, presi insieme, propongono un modo di intendere il giudi?.io che si discosta decisamente da quello emerso dalle opere

precedenti a Pensiero c riflessioni 1nora/ì. Allo scopo di determinare cosa con­!Criscc coerenza alla teoria successiva della Arcndt e la separa dalle opere pre­cedenti. è necessario ricostruire gli sviluppi della sua concezione della natura

del giudil'io. Quindi ricostruiremo il percorso lungo il quale la ;\rcndt ha svilup­pato la nozione di giudil'io per vedere come una semplice relaLionc con una in­

teressante, ma trascurata. facoltà dcii 'uomo politico, sia poi diventata qualcosa di molto più ambizioso qualcosa che garantiva l'a!lcrmarsi della tinitc/Ja del mondo c la salvazione della libertà umana.

2. Comprensione e giudi~io storico

l temi c i concetti che la ;\rendt tratta nelle ritlessioni sul giudi?io sono

emersi per la prima volta in ( 1nderstanding and Poli t ics. pubblicato nella "Par­

tisan Rcvicw" nel 195:\. JJ La comprensione "è un'attività senza fine ... grazie alla

quale accettiamo la realtà: ci riconciliamo con essa, cioè ci srorziamo di essere in armonia col mondo" (p. l) l). Questa riconciliazione diventa radicalmente pro­

blcmatica nel secolo del totalitarismo, cioè in un momento in cui si risvegliano l~ttti ai quali siamo incapaci di riconciliare i: "se l'apparizione dei governi totali-

141

Page 70: Hannah Arendt Teoria Del Giudizio Politico - Lezioni Su Kant

t ari è l, avvenimento centrale del nostro mond , , . . . . stgmfica afLitto perdonare ma rictltlc·l· . o, comprendei e li total!tansmo non

· ·' 1ars1 con un mondo in , · , . , d 1 sono semplicemente possibili" ( 97 ) cu1 cose e genere

" p. -. La comprensione dà significato quel si T,. , . .

cesso stesso della vita nella Il . • . , . gm tcato che no t ere t arno nel pro-. usura m cu1 tent•amo di · -1· . facciamo e con cio' eh, . . · nconc1 tarc1 con ciò che

e sopport~amo" (p 92) M· f . unico del totalitarismo scopri·. . · . · a con rontandoc1 con r orrore

. • . amo nnprovvtsamente l· " r ' d . . d t comprensione La nostra rt.ccr. l l . -~- " pere Itd egli strumenti

· · ca t c s1g111 1cato è ad t · strata dalla nostra innp·lct.ta' 1. . . _ un empo stunolata c tì·u-' ·' c 1 creare s1gmllcato" ( 99 ) ('· . . , . . che non può essere evitata e n p . P· · aptre e un atttvttà , . c pure portata a tennmc Ma . · t · . . faceta con ciò che appare ·dln . 1 · Cl rovmmo faceta a . . . " eno nomma mente come u hl .. tah!le: 'pensatori e gli studi(JS. d. l. . • . n pro ema msonnon-. · 1 1 po 1t1ca costretti a ri fl ·tt 1 · . come fatto storico devono afl' tl t· . 1. e ere su total!tansmo ' r n aJ c un enomeno eh, · h · · comprensione. Le malvagità sell7'l p1·, "d, t. d l c scm ra stuggtre a ogni ·' ccc en 1 c totahtans · ''h 1 mente polverizzato le cat , .· d 1 . · mo anno ettcral-. . . egmte e nostro pcnstero pol't·. , · . . . giudtzto morale" (p 94) [, · . . ·

1 t co e I nostn cntcn di

. · · "Impegno nchtesto dalla · · porzioni mai incontrate prima. · comprensione assume pro-

" . La crisi della comprensione è identica alla crisi d 'i,,- . . . . c gtudtzto sono legati c coli•'g'tt. 1• Il' l . · c c

1udtJJO, comprcn"onc

. ~ ' ' una a a tro 111 m l l t· 1, 1 · scnvcrli entrambi come (juelrah·t 1. c l

0 d c c 1e s1 debba dc-

. 1 lll 111C a SUSSlllllCn;" d p· (, J· . gola untvcrsalc (p 9X) Il . hl : dr tco me sotto una re-

. · · P' o c ma sta nel tatto ·l , · · · universali attendibili adatte a CJll ·st· ·i· ··t- .... c le non posscdmmo ptu regole ..• ' •· C. d L dSSI ICdZIOilC: fa sag '' . , j •J , . "

ntscc non appena ccrchi·un 1 1. .. ·J· ~gczz,J c c p.tssdto sva-. ' t l' '""' a onestamente nel l. , . , . . . fondamentali della nostn ··p<lC"l" ( <)') , 1 . c cspt:ncnzc pohttchc · ' ~ ' P· -' . nnc lC d "n · · 1 ," · d' · comune non soddisfi Jliu' cl!.

1.1

t . , 1. . m md c gtu !ZIO del senso

' ' 'Il O. S l<llllO VIVC!ld . l mondo dove non è Jliù JltJs·t·l11-1

, .· . • 0

t n un momo capovolto, un · ·' c o11cntar" laccndt . tr d·

quello che una volta Cl"l il SC!l '(l . ,. 1

d 1

amento sulle regole di ' · S COnllllll' (JlJl <)9 J 00) S j crescita dcll'ass ·n·, 1· . • . . · - · • ecom o la J\rcndt. la

• . c za l l senso nel ventcsmw s, . l ., . . . . , un atrofia del senso comune tltlcll· l·· , lt: Il. <co o c sL!l.t dC<ompagnata da

' d .ILO d a a <Jll'lic Cl · ff J'· alle angosce mundanc. ' •

1 Il IdillO per sottnm:i

La crisi morale c intellcttu·II·· cicli' . ,·l · ' ' (lCCI( ente CO!llUn J , · • · · con d tol<llitari•;mo· .1f'I(Jilll'l fll'tll' l 1 • l uc, non si c ongmau

1

' ' ' OIH amcntc ç su, ., l' . · , 11 .. dentale. l.a politica demotJi .. l 'i . . . . c ldl ICI ne a tradtztonc occi-

Cd l c \ cntc:s11no secolo 1 · · 1· l;t c.Tisi latente, difficilmente,,· .1 .1• c···· 1 ·

1" scmp Jccmcntc esposto ISili c 10 c 1c sp·tvcn· l Il .

tansmo i: il tiltto che In 11

,11.1.11

. Il· 1· • .. · '

1 "t c a crcsctta del totali-

. ' ' 0 " d uce qualcos·1 ·i , h· d' .. te go m: di pensiero c i nostri c t·!· t,.· l. . d ... ".' c Jc d !SII utto le nostre ca-

.. ' Cllllg!ll ILIO (p J()i)) l· A d· . g~<Jncl diciottesimo secolo cr·J ., 1. l, 1 ~. M · . · ~d · ren t mdtca che · ' c · c en e !Il ontcSlJUI •t ·i , · ' · · res). 111 quanto abitudini "i ·d· .. ,. · c'l lC solo 1 costum

1 (lllo-

mpc lsst:to uno spcttacolare crollo n ., 1 · · della cultura occidentale" (fl J(l(J) c· . . . lO! d c c spmtualc

l · · · o n un ststema pollttc 1 t, · ·

uu costumi c chi le tr'l 1· · · . , t UlUlo tnstcmc solo ' 'l Inoni. non stuptscc afhtt ·h. l· .· · ·

vulnerabile alle v·Jstc trasforn , . . f' . ' o c c d Cl\ tlta europea apparì , . . laZIO Ili orgtatc dalla rivo l uzionc industriale: "i l

142

grande mutamento ebbe luogo in un ambito politico le cui fondamenta non erano più sicure e perciò rovesciò una società che, se pure era in grado di capire e giu­dicare, non sarebbe stata a lungo in grado di dare spiegazione delle sue categorie di comprensione e dei suoi criteri di giudizio quando questi fossero stati seria­mente sfidati" (p. l 02). Dal diciannovesimo secolo "la nostra grande tradi?ionc" stava esaurendo le risposte alle "questioni «moraliJ> c politiche del nostro tempo. Quel che si era esaurito era la fonte stessa da cui risposte del genere potevano scaturire. Quel che si è perso è il quadro entro cui la comprensione e il giudizio

possono sorgere" (p. l 02). Vista dalla prospettiva dello storico, la storia è giunta al termine; ma guar-

data dalla prospettiva di chi agisce, non abbiamo altra scelta che ripartire da capo. Qui la Arendt invoca il principio del cominciamento scoperto da Agostino, "un grande pensatorc che visse in un periodo che per alcuni versi somigliava al nostro più di ogni altro nella storia c che, in ogni caso scrisse sotto il pieno impatto di una fine catastrofica, che forse somiglia alla fine a cui noi siamo giunti" (p. 1 mn. Come Agostino. viviamo c pensiamo nell'ombra di una grande catastrofe, e inol­tre, come lui, dobbiamo prestare attenzione alla capacità umana del comincia­mento; infatti l'uomo è l'essere la cui essenza risiede nel cominciamento.

Alla luce di queste riflessioni. il nostro sfor?o di comprendere qualcosa che ha distrutto le nostre categorie di pensiero c i nostri cri­

teri di giudizio appare meno penoso. Anche se abbiamo perso i metri con cui misurare le regole sotto cui sussumere il particolare, un essere la cui essenza è di essere un inizio può avere in se stesso abbastanza originalità per comprendere senza categorie preconcette e per giudi­care senza quell'insieme di regole consuetudinarie che costituisce la moralità. Se l'essenza di ogni az.ione, c in particolare di quella poli­tica, è di essere un nuovo inizio, allora la comprensione diventa l'al­tro lato dell'azione, cioè soprattutto quella forma di cognizione, distinta da molte altre. con cui gli uomini che agiscono (c non gli uo­mini che sono impegnati nella contempicJZionc di qualche corso della storia progressi sta o catastrofico) possono eventualmente accettare ciò che è irrevocabilmente accaduto c riconciliarsi con ciò che ine-

vitabilmente esiste. [pp. 10~-109]

l n altre parole, la facoltà dci giudizio assume la sua funzione proprio quan­

do il metro del giudizio viene meno. La Arendt conclude il saggio mettendo in relazione la comprensione alla

facoltà dell'immaginazione distinta dalla pura fantasia:

Solo l'immaginaLione ci permette di vedere le cose sotto il loro

143

Page 71: Hannah Arendt Teoria Del Giudizio Politico - Lezioni Su Kant

vero aspetto; di porre a distanza ciò che è tro , . .

C~JosJ'le~ppareJ:a~lddeari~J ,seJ!Jzaparzialità né pregiudizi,~;~,~~:~~:;.~· 11'~~~~,:~,~~: ' CIO C lC C trop J · se ci foss, r T . po ontano m modo da comprenderlo come , , , e <11111 Jale. Questo "prendere le distanze" da certe , . ,

questo ponte lane Jato tino agli altri fa p·lrte d. d·· l . cose, dalla comprensione con •li ~,,·t.' .' .

1 un Ja ogo mstaurato

bT,,, , g gge tJ con 1 qual! la sola esperienza sta-' Jscc un contatto troppo stretto e che h p . , . .. . . ·

con barriere artificiali.lpp. 110-1111 ' ura conoscenza Cl clmJde

. L'immaginazione permette la prossimitù ·! , ., , ... sJone e stabilisce la dist·mz· ,, , , , .·, . c le Jcndc possJbde la compren-

• ' .d ncccssa1 Id per Jl gJUdJzJO.

Senza questa tòrma di immaginazione che è in realt: l· , prcns1onc non s . ' d d com­buss;J!a cl~e abbi,:,~:~J(no) ~~ ,grad~Jdi sopportare. il mondo. f~ l'unica

do, foss'anche al co~tc;·· i. ,c \~Jg ~~mo andare d accordo con ilmon­bian .. , .· .. , , , . d essere d accordo con questo secolo. dob-

10 paJtcc!p<tlc ,t! dialogo Incessante con la sua essen/a jlbid.J

3. Giudicando F.ichmann

Secondo llannah Arcndt "Il , ,· ,. . . . ricnza viva c deve rinnnervJ· !·· , tpcnsJclo stesso nasce mlatti dai Jiltti dcll'cspL'-

' cgd o come agh un 1c1 s ·g · · j · · propria ispir;uionc" 14 S, , , .- c • ·c n l Jm 1caton validi per la

· · c c coSI. quale cspcnenr1 p·,·t' . l· 1 .. teoria del e:iudi?io'l Inutile dir! !· . . ' '

1 ICO <~re 1a dato Jnt7io alla

, • c o. "sua nccrca sui!'·!IT·rm·. · d 1 . c n levante: inti1tti la mettcn in" , , t·· t· Il · ' c . d/Ione c totalitarismo

t Il

' ,_u,ut 1,1 c d a complessi h del · d. · c a c minacce subite dali

1 sv·l i Il· . . , · · ' g1t1 l/IO um;mo c

· '· luppoce c~socJctamodcrm M· ·'' , 1 gJonc per supporre che un ·!ltr ".. . 1. . . l. d c c und 1\IOJW ra-

' O ldSO (l CSpcnenz·l V!SSUt'" . , .,. se a lei più vicino. cioè h SU'l p.,., , .

1 ·' ·.· a J11U spcc1 Jco, anche

' . ' l cscn?a d processo di Ad li r f" l sa lemme nel 1 ')(J 1 dircs., · . .

1. . · · ' e~ c 1mann a (icru-

. · ·se 1 suo! s orz1 v-erso h t, · · g1udizio. l.a sua relaYionc s

1 .. , , · · ' conznl/JOne dL·lla natura del

Yorker" , . . . , u p!Occsso apparsa nel 1963, dapprima sul "New c pol In un !Jbro. generò una tempesta di co , , .. ·,i' . ·.

questa cspcricn/a la condusse a molteplici riflcssionint,ro~cJ:'Jc.,. s,~pp!amo che che tal! nflcssioni sullo status d ·Il· , , .· : . , cd c le! stessa" IIJ!onnarcJ erano moti,. , . :. , .. c ,l ve!lla c sulla !un/IOne critica del pensiero

. 'ate d,J! propl!O coJ11volg11nento nei la disput· F · ·! . "' .. ragJonc di dubitare che c·,;J elle 1·1 . . d .Jc llll<tnn. Non c c ' ' plCOCCUp'l\''1 L]U'I j .. · · · piutamcntc sul L!imtizio Cl"!

1.,. , ·t· t..'] t..·' ' 'ne

0 IniZIO a n flettere com-'- · , ( nevi dul c uJsoo-n t · f .

caso di Adoi!Tichmann, insieme alliltto eh; t·"' .;J c ,l gJustJ !care !l giudizio nel mente dal giudicare rcspo!lS'll .l , .!c lllldnn stesso SI astenne ferma-

. ·' Jl mente un male oen .. , t d Il l . , "pensiero-sfidante". "' cJ,l

0 a a );malJta del suo

144

Principalmente esistono due fonti per valutare l'impatto che ebbe il pro­

cesso Eichmann sul concetto di giudizio della Arcndt: una lezione Personal Re­

sponsabilitr un der Dictatorship. pubblicata in "Thc Listencr" nel !964, 17

e un

poscritto aggiunto alla seconda edizione ( 1965) di Eichmann in Jerusa/em. La domanda centrale di questi due scritti consiste nell'interrogazione sul nostro di­

ritto di presupporre "una facoltà umana indipendente, non sorretta dalla legge c dali 'opinione pubblica, che giudichi in modo diverso c con piena spontaneità qualsiasi atto c proposito ogniqualvolta se ne prcsemi l'occm,ionc''. Ma posse­diamo una simile facoltà, c possiamo essere legislatori, noi tutti, ogni volta che

agiamo''' x La Arendt atlcrma che questo interrogativo "interessa una delle più

grandi questioni morali di tutti i tempi. cioè la natura e la funzione del giudizio

umano." 19 Ciò che è stato richiesto al processo di Eichmann c a Norimberga è

che gli esseri umani siano capaci di distinguere il bene dal male an­

che quando per guidare se stessi non hanno altro che il proprio ra­

ziocinio. il quale inoltre può essere completamente tì·astornato dal tl1tto che tutti coloro che li circondano hanno altre idee ... E quei po­chi che sapev-ano distinguere il bene dal male giudicav-ano comple­tamente da soli, c lo h1ccvano libcrmncntc; non potevano attenersi a

nonne o a criteri generali. non essendoci né norme né criteri per fatti

che non avev-ano prcccdcnti.'0

Inoltre è coinvolto un secondo aspetto, che in un certo senso è ugualmente

d'incomodo, il quale allo stesso modo mette in questione la natura del giudizio.

In!;ichmanll in Jerusalcmla A rendi aveva cercato di rendere giustizia all'espe­

rienza dell'Olocausto, non rappresentando i criminali di guerra come creature subumanc da giudicare o come v-ittime innocenti scn/.a responsabilità alcuna al

di là di ogni giudizio, ma sottolineando che il giudi,io può espletare la sua tì.Jn­zic>ne solo quando chi è giudicato non è né una bestia né una creatura angelica. ma un uomo. Comunque. molti lettori della Arendt si scagliarono (abba,tan7a

violentemente) contro questo modo di operare del giudil'io umano in quanto, a loro avviso, allora sarebbe meglio astenersi del tutto dal giudicare. La An:ndt t~1 notare che il chiasso generato dal libro su Lichmann mustra "quanto l'uomo mo­

derno si preoccupi di questa questione dci giudizi."21

Questo problem<l fu dibat­

tuto più a fondo nell'affascinante scambio di lettnc tra Cìcrshom Scholem c la

Arcndt sulla rivista "Encountcr".2' L'ultima risposta della Arendt è contenuta

nel poscritto alla riediziom; di Eichnumn in Jeru.1alcm. dove scrive: "L'idea che

l'uomo non ha il diritto di gJmlicarc se non è stato presente c non ha v-issuto la v ice n da in discussione fa presa -- a quanto pare -·dappertutto c su tutti, sebbene sia anche chiaro che in tal caso non sarehhe più possihi/c né amministrare /a

145

Page 72: Hannah Arendt Teoria Del Giudizio Politico - Lezioni Su Kant

giustizia né scrit·ere un libro di storia."21 Quest t ; . f . T • o pun o c Irre utab1le. Un secondo ~rgomento, se~ondo Il quale la persona che giudica non può evitare l'accusa di auto-l~gi~llmta, prova che questo assunto non è più valido del primo La A;endt

qnuspaodn c Jcendo: "Anche il giudice che condanna un assassino può s~mpre dire

n o se ne torna a casa· «Ed ora o· 1 ' , , . . . . . . , se . Jo vuo e, mc ne vadm>." Inoltre "l'id cl hc ch'I giudica deve essersi trovato nelle stesse circostanze e aver sbaglia;o anc~a UI puo mvoghare al perdono" ' e p . , ma questo non previene in alcun modo il · d .. er la Arendt Il perd~no segue il giudizio, non lo sostituisce: "La gius~~~a:~~~

non la Imscncordta, e una questione di valutazione.'·24 La Arendt afferma che 1' · · bbl. " d . . . opmionc pu Ica sembra essere sempre in felice

accor o con Il fatto che "nessuno ha il diritto di ,· d. l . . . L' · · b . . gm tcarc un a tro mdtvtduo optmone pu b!tca momhale pem1ette che si giudichino , ,. . d . .

soltanto tendcn· , 11

· . . . e magan con annmo . , , zc, o co etttvita mtcrc più vaste sono, meglio è insomma soltanto

entlta cosi grandi e generiche da escludere che si possano far nomi "25 ~: . , , esempio trov· . · osi, per

·. . Jamo un prosperare di teorie sulla responsabilità . Il'. dJ popoli intc · 'T tt. · 1 · · o su mnoccnza

n. u I questi c ichés hanno una cosa in comune· r"nd . . fluo l, · · d' · · • ono super-

. c gm gtu !ZIO e possono essere adoperati senza alcun rischio ,2c, A , . . . affi·mca una "g, l . · questo si . ~~ 'd l ,-7enera c avversione a giudicare in termini di responsabilità morale mc lVI ua c "- I · t · t · · · , . , , . : , .. a ns c Iroma c che proprio l'atrofia della facoltà del giudizio rese po~si~ilc 111 pnma Istanza l mostruosi crimini di Eichmann.

L affare bchmann portò alla capacità di giudica're del h Are dt l· . , . consapevolezza d t ... · ·1 · ' n d piena . , . . ~ dSSJmJ are, m un modo umanamente inte!Iigibil, t tt . . . ·I ptu strenuamc t · c, u o cto c 1e . . . . . n esi opponeva a tale assimilazione. L'atto di giudtcarc coinvol 'C

l SUOI oggetti di gmd!ZIO nella ricerca della pienezza di. S"llSO dell' o· g ·t· · 'Il · . , · . · · · · ~ · uomo. ucsto poi a a I umm,tre meglio lo scambio cpistolan: tra la Arcndt c Sch l, . II· questione Eichmann. Scholcm scrisse nella sua lettcn al h Ar"ndt,. "Vo cm su d nevano[·· c· · 1· h · · ' ' ' • · 1 appartc-

,ài onstg I c ratei] anche molte persone d"! tutt .· .l. . hbl' · • o si mi 1 a nm che cnno o tgate a prendere decisioni terribili in circostanze di . . . ' . ' ncn bb , .. cui noi non possiamo

1mcno a ozzarc un quadro o una ricostruzione N . , . t t N' h . . . . . on so se avessero nt"tone o or o. e o la prct<:sa dt giudicare. lo non c'ero" La Ar•·nclt l' , ,':E · ·(t · · 1 · ~ re p t co · sso ~o~'. u~~c.c a nostra parte del cosiddetto «passato sfuggito ad ogni con;roll;» "', e ne c tu possa aver ragwnc quando sostieni che un «giudizio~ cquilihnto» ; l~rcmatUJo (anche se non ne sono sicura), sono convinta che noi potremo,htre ~ conti con questo passato solo se cominceremo a giudicarlo con ÌÌ" l " 'S Così giudicare serve ad aìu .. · . c~nc 1czza .-1' .b ·!· . · tarc1 a dare una ragtone, a rendere umanamente intel Igi I .'· cventt.ch. e altrimenti si sottrarrebbero a tale ricluzt.OI1e'. -d 1 La fitcoltà del giu-

la,zAwr··endat .aset'trr\J~bizto delll'lintelligihilità umana. propno la stessa caratteristica che

• u1sce a a narra7 , d. d. · · · d ·II· l. . , . . . . Ione I gran J aztont m un racconto c compito c a po Ittca e conlenrc mtelligibilità.

Sotto questo aspetto, l' Eichmann in Jerusalem della Arendt è paragonabilc

146

ad un altro lavoro di simile intensità morale. Jlumanism and Tcrror dì Mauricc Mcrlcau-Ponty. Questi due volumi si rivolgono alle due più estreme (e più an­gosciose) esperienze politiche del nostro secolo: rispettivamente il Nazismo c lo Stalinismo. Quello che accomuna queste due opere è lo sforzo di penetrare nel punto cruciale delle loro rispettive inchieste. Quando il tentativo di comprendere è al servizio del giudizio, richiede il libero esercizio dell'immaginazione -in particolare, l'abilità di immaginare i fatti appare in una prospettiva che di fatto non ci appartiene. Il giudizio può richiederci lo sforzo di capire coloro con i quali non solo non condividiamo i punti dì vista, ma possiamo per di più trovarli di­sgustosi. Il disaccordo non ci esenta dalla responsabilità di capire ciò che rifiu­tiamo: semmai, aumenta quasi questa responsabilità. Merlcau-Ponty scrive: "la vera libertà accetta gli altri così come sono. cerca inoltre di capire le dottrine che sono la sua negazione, e non permette mai a se stessa di giudicare prima di a1·er

capito. Noi dobbiamo attingere la nostra libertà di pensare dalla libertà di com­

prcndcrc."2'J Anche per Merleau-Ponty. il giudizio assume il tragico compito di

capire c perdonare, queste facoltà costituiscono le dimensioni tragiche ciel giu­dizio. Ciii sforzi della Arendt di sccndt:re a patti con l't.:spcrien7a dell'Olocausto, recano lo stesso messaggio. Giudicare una situazione genuinamente umana. si­gnifica condividere la potenziale tragedia che è presente nelle circostanze in cui è esercitata la responsabilità umana ed è portata al suo limite. Ciò aiuta a spiegare il motivo per cui la An:ndt associa la facoltù del giudizio con il senso della dignità umana. Il caso Eichmann è doppiamente importante per il tema del giudizio: per prima cosa. indica l'incapacità di Fìchmann stesso di pensare c di giudicare. di distinguere il vero dal titlso, il bello dal brutto nella critica situazione politica in cui era coinvolto: secondariamente, evidenzia il problema della comprensione n:trospcttìva. della possibilità di giudicare il sìgniticato di Fichmann da un punto di\ i sta 1·antaggioso. tcmporalmcnte c spazi al mente lontano dagli eventi in que­stione. La Arcndt è coinvolta in entrambe le dimensioni di questo doppio sìgni­licato: la prima. in cui Fichmann è il soggetto giudicante: la seconda. in cui la stessa ArendL in:,icme ai suoi colleghi ebrei americani è chiamata a giudicare. Dal primo punto si puù desumere che l'incapacità di pensare implica conscgucn­/.C li•tali sulla li\coltù del giudi:riu. Il secondo punto insegna inycce che non si puù Cl itarc la responsabilità di )!iudicarc, anche quando sembrerebbero imporsi incarichi c doveri di tipo familimc o nazionale. L'atti\'itù del giudi:rio non può essere inibita da relazioni d'amurc o lealtà com,ìdcratc priorìtaric. Il giudil'io deve essere libero. c la condizione della sua autonomia consiste nella capacita

di pensare. La seconda dimensione del caso Eichmann -cioè, il giudizio retrospettivo

d.: !la comunità ebreo-americana due Lkccnni più tardi pone in discussione. co­mc abbiamo visto .. il \'ero compito del giudi7io. Il problema è infatti se si debba scegliere di so-,pcnderc il giudizio. al di lù del dubbio o della paura di commettere

\47

______________ ......... ..

Page 73: Hannah Arendt Teoria Del Giudizio Politico - Lezioni Su Kant

un errore, c la risposta della Arcndt riguardo a ciò è intlessJ.bJ.Ic" l· ne. d .. S' · .. d' · , . . . . " • on IZIOnata. , enza l glll IZI che rendono mtcliigJblle il mondo, lo spazio delle. pp· , " l tasserebbe SI . "' , , Il d· · . . . . . . d arenzc co -Ì Clllamcnte. mtto al g1ud1Zlo e qumd1 assoluto e inalienabile dal

tl:10mcnto c le, gllldJcando costantemente, possiamo dare al mondo un sens,; S, oss1mo pnvat1 della nostr·1 t' It' d. · d. · · · · c . . . , ' aco a l glll l ZIO, per amore o per ditlìd, . , ..

rcmmo SJcun dJ perdere le nostre preoccupazioni mondane. cn7d, Sd-

4. Gusto e culturu

In un a~ticol~ della Arendt intitolato "Frcedom and Politics" c pubblicato nel 1961, mcontnamo per la pnma volta l'idea che fa Critica del(" /·,· l. Kant conten · ·d. fi '

111( ,_w ' 1

g<~ l germi l una llosofia politica opposta e distint·J d·! (jU 'ii nella Cri/., 111 . , · ' ' c a esposta

/C 11 c e a ragum pratica. La Arcndt scrive che Kant

e.spone due filosofie politiche che differiscono decisamente l'una dal­l ,allra la pnma generalmente accettata come quella contenuta nella (n l l ca alla ragion pratica e la seconda nella Critica ,/,•/ c·,·z t·~. C h l· . . . l /{ Llll. - e d_pnma parte dJ qt!est'ultima opera sia, in rcallà, un trattato di

hlosotJa polttJea, c un fatto spesso menzionato in tutti gli scritti su Kant; d'altra parte pe11 slJ ·h, .· ... d . ~ · . , . . . . . ' · c c SI possd ve ere, considerando tutti gli sc~Jttl politiCI, che per Kant stesso il problema del "giudizio" riveste plu Importanza che quello della "ragion pntic·J" N" li·! (, .t. l l c· r~ · · · , - - .. ( · "'"' ' n t ca ( e J/1./{Lfola hbcrta c ratìJgurata come un predicato del potere dell'im-

magmaz.JOne c non della volontà, c il potere dell'immaginazione é ~ncor pm strettamente collegato con quel pil! ampio modl~ di pensare che e per eccellenza Il pensiero politico, perché ci consente di "met­terei nelle menti di allri uomini"l0 .

. La teoria dcf giudizio, delineata dalla Arendt nelle opere successi·", . SISte SCillJ)iJ · · , t l · · ·, 'C, con-, . ccmcn c ne tentatiVO dJ estrarre c sviiUJ1l)are qtJcst·t "·JitJ··t" f-1 t-

11 l"t"" (· ·i . ' t , ' ' , 1 oso 1a o l Kd dnc le se sconosciuta o poco appre7zata) .

. . l ra le opere che Arcndtpubblicù nella sua vita, quella pil! ricca di contri-buti ,tllo studiO del giudiZIO c li saggio "La crisi· dell·t ·ult .. . Il . . . . · ( c Uld. ne a socH:ta e nella pol!l!ca" contenuto in !ì·a passato e jilfuro3 1 La base dell'·m·JIJ·s1· Ar. lt·· . nel h "Cr·. · d 11 , . . . · ' ' · Clll Jand ·i'_ .1s1 _c. a cultura c la tnpl!ce distinzione tra cose (oggetti di cultura)

Vd ':n (vdlon dJ scambio) e merci di consumo. La giusta digni;ù dcii<: merci di consumo e lllcrentc al loro essere "cose" v·ll,. d. , "· . . . . m) d ", , . . ' ' c a Ire acccsson permanenti del .( n

1 .~ l eccellenza dc1 quali si misura sulla capacità di tener testa al proccssll

v1ta e (p 724) Que ·t· 'tt .. 1 · · · · , . . -, ·, . s logge ~.::1 turai! furono degradati a "valori" dal tìlisteismo culturale della bunna socteta del diciottesimo e diciannovesimo secolo, dal

148

momento che vennero adottati come valore di scambio dall'educata borghesia europea per il proprio avanzamento sociale. La crescita seguente della società di massa ha p01iato a un nuovo sviluppo: l'abbandono della cultura come merce di scambio c la sua sostituzione con qualcosa di natura completamente diversa: il divertimento (enterteinment). (L'uomo della massa è detìnito dalla "'capacità di consumare, unita all'incapacità di giudicare, anzi addirittura di distinguere" e anche da una "'nefasw alienazione dal mondo") (p. 217). li divertimento è una "'merce di consumo" in senso stretto, una parte integrante del "'metabolismo dell'uomo con la natura". ''consumato" non appena è richiesto per soddisfare il bisogno per cui è inteso, insieme a tutto ciò che è prodotto-e-consumato in una società operativa (la differenza tra beni di consumo c valori di scambio corri­sponde ovviamente alla distinzione arendtiana tra opera c lavoro in Vita Activa). li consumismo di una società lavoratrice, secondo la Arendt, è in un certo senso una minaccia minore per la cultura di quanto lo fosse il fìlistcismo della "buona

società". giacché le sue preoccupazioni per il divertimento non hanno comunque niente a che t~1rc con la cultura che quindi non subisce alcuna violazione, con­trariamente a ciò che aveva patito con il tìlisteismo. D'altra parte, anche la cultura è in definitiva assorbita dal bisogno di divertimento della societit dci consumi,

in virtù di una funzionalizzazione onnicomprensiva.

La cultura è un fenomeno attinente alle cose cd è un fenomeno

del mondo: il divertimento è attinente agli uomini cd è un fenomeno della vita. Un oggetto può dirsi culturale nella misura in cui resiste nel tempo; la sua durevolena è in proporzione inversa alla funzio­nalità. Quest'ultima è la caratteristica che t~t di nuovo sparire l'og­getto dal mondo fenomenico attraverso l 'uso e la consumazione. (ìrandc utente c consumatrice di cose è la vita stessa dell'individuo c della società nel suo insieme. La vita è indifferente alla cosa in sé per sl:: esige che ogni cosa sia funzionale, soddislì certi bisogni. Quando tutti gli oggetti e le cose di questo mondo, prodotti oggi o nel passato, diventano merc funzioni del processo vitale della società, quasi la loro esistenza fosse giustificata solo dalla soddisfazione di qualche bisogno. la cultura è minacciata, c importa poco se i bisogni invocati per questa fun!éionalizzazione siano di ordine superiore o

inferiore. [p. 2:26]

Una società di consumatori non saprà mai prendersi cura di un mondo c delle cose pertinenti in esclusiva allo spazio delle apparenze terrene, perché la sua posizione fondamentale verso tutti gli oggetti

il consumo significa la rovina di tutto ciò che tocca. [p. 230J

149

Page 74: Hannah Arendt Teoria Del Giudizio Politico - Lezioni Su Kant

Ciò significa che cultura c politica implicano cntramb che entrambe convergono verso l'in!' .1 e una cura del mondo, t eresse per 1 mondo pubblico p l" t" 1 ura non sono essenzialmente sfere separate del com . . o I Jca c eu -

sono mteressate alle scmbiaw • d 1 d . portamento umano: ambedue ' ze e mon o si occupano d 11

coloro che lo con r ·d • ' e a sua apparenza verso c lVI ono, e tutte due tendono alla l" t. d l

nel mondo che ci circonda c · . . . qua 1

a c nostro risiedere Questo atteggiamento ~~ ~~~ ~~~~~~~;ii~t~l l~ nostra esistenza mortale.

l'ora::.ionefiuu:hre a Pericle di T ··d·d. ··h uno straordmano passo del-

l UCI I c, c e la Arendt tnd · .. ·. "A ·

a bellezza nei limiti del giudizio rt·. 1-1 - , uce cosi. mlamo b b · · po 1 Ico. c I osofmmo senz·1 cad. 1 · · ar anco dcll'etfemminatczza" ( ')' 2) 1 "'· · ' ere ne VIZIO p. d · · amore dcll·1 belle· . " ·

compreso nel "giudizio pclii.ti.Ctl" . h. . ' zza puo essere ~ pc1c e entrambi · d. ·d · damcntale dcll'appan:nza pubbl".. • . . . con lVI ono d requisito fon-

ICe! e p!csuppongono un mondo comune.

"L'arte e la politica sono dunque connesse da un ·l. • cntn l • . 1- . '' c emcnto comune·

'm Je sono enonJcm del mondo pubblico": .

La cultura indica che il mondo 1 bbl'. • . . .. mente dagli uomini d'<uionc. offre un/l ~paz'i~lo,'il~e~::t~~,~~~~~ ~l~~~t~t~~ sono In quanto appaiono e sono belle. In altre rnrole h . lt . l. le che 'l d'· ·tt d ·

1 ' • ' eu ura llll 1ca

'' Ispc o Cl oro conflitti c contnsti 'Irte , l.t. r + t. . . · . . '· · ' c po 1 1ca sono cor-e d c, ctnzl sono m reciproca dipcn t, . S Il . .

Il 1 (

1 1. . . L en.-:,1.' LI o stondo cii cspcrien~c

o l !C le e li attiVItÙ che lasciate a se stesse vanno , . . hsci·1rc ]a · · · · · c vengono senza ~, ' . ' nHnlma traccia nel mondo, la bcllc/Za è la i. . ., . . . ;cesta7IOI.Ic di llldistruttibilitù. L'ctìimcra grandcna dc~,~~p~I~.:;;,:l~d'l;~~ <~tto puo sopravv1v·c,rc nel mond 'li· ·. . . , l Il . o ne ,J llllsura In CUI c profus·I di

lC C7~<L Se_m'a la bellc~za, l'aureola di gloria che manifesta neln;on-do unullol lnlmorta!Jta potenziale h vit·l dell' l b .. • . . . • ' ' UO!lll> s<m: 1 ,. l utile nessuna grandc//a potrdJbc durare. [p. 2.17[ . ,

Il gusto. attivitù discriminante pcnctnntc . '' l' . bellezza. è h cu/tum · ..

1 · . ' c ~oJllclcante dcii amore per la

' 1111111/t, 1 possesso d1 "uno spiritP .... ··t· 1 . da poter custodire c 'Iccudir.

1 t

1. · . c selCI dto c co t1v ato così

237). ' c In momo l l apparenze d cui criterio è il bello" (p.

La Arcndt introduce la sua discussione s l '. l' . . . spettatore" che . l l' l . . . u glllll/lo In connessione con "lo

.. . Ll g IC c apparcn;:c culturali c politich. C . . d' ... del Crtw!i::.w llCrché nel h Jlrl.lll'I p· ·t . . , l . . c. Jtct qum l la C nrtca

. ' ' d! C, CIOC a '"C'riti" j•J (" j' · · .. anailz7a il bello innarvi tutto dal JLI t t' .. . . cd c c Jlllll/10 estct1co . "SI

2.1~1). Questo interesse verso il <>iu~l/ l. o l' '11\JS!cl dello spettatore che giudica" (p. · · · c /IO l c o spettatore è sc·mpli. 1,

'>Ione della dctinizionc di flllll.tl·c·I d ·Il· A. l. . . . , . ccmcntc cstcn-' C d lellllllltenmr J . · ·

presentazione (p. 1 ~ì) 1 l , ,.· l Il' . . !Ili. VIrtuosismo o eh rap-. . , . . (O\ CII l C auentc fiSICdl ·. li . , .

g1udJcarc insita nello spettatore .. . " Il 1. · . mo Slct ne a necessita d

1 . , Sld 111 quc a l I og111 altro esecutore. La Arcndt

150

apre il suo trattato con questo tema dell'essenza dello spettatore richiamando l'attenzione sulla presupposta pluralità del giudizio opposta alla natura indivi­duale del pensiero. Si riferisce qui alla "mentalità allargata" kantiana, che altrove chiama "pensiero rappresentativo": "ragionare al posto di chiunque altro" (p. 221 ). Questo implica l "'accordo potenziale con altri", grazie ai quali si giunge

quindi a un qualche accordo. Un ulteriore aspetto del giudizio è che, a differenza del ragionamento lo-

gico, non comporta una validitù universale. Quasi, ci si appella al giudizio di persone che sono "presenti", che sono membri della realtà pubblica dove appa­iono gli oggetti del giudizio. LaArcndt sì appella alla distinzione aristotelica fra phronesis c sophia: la prima ha le sue radici in quello che di solito chiamiamo senso comune (common sense), l'altra lo trascende sempre; questo buon senso "ci svela la natura del mondo, in quanto patrimonio comune a tutti noi" essa "consente (all'uomo) di orientarsi nella vita pubblica, nel mondo comune." Que­sta difesa del senso comune, bisogna notare, è un tema persistente nell'opera della Arendt. Senso comune significa dividere un mondo non-soggettivo c "og­gettivo" (oggettivamente con-diviso) con altri. "Il giudicare è una delle più im­portanti se non la più importante attivitù nella quale si manifesti il nostro

«condividere il mondo con altri>l" (p. 240). La Arendt attribuisce a Kant il merito di aver rimosso la nozione secondo

la quale il giudizio del gusto, concernente puri concetti estetici, giace dunque al di fuori del regno politico (come anche al di fuori del dominio della ragione). E asserisce che l'addotta c soggettiva arbitrarietà del gusto o!Tcnda non l'estetica kantiana, bensì il suo senso politico. La Arcndt insiste aiTcrmando che a causa della consapevolezza della qualità pubblica della bellezza c della rilevanza pub­blica delle cose belle, Kant proclamava come i giudizi del gusto fossero aperti

alla discussione c soggetti alla disputa.

Tanto in estetica come in politica, giudicando si prende una de­cisione, la quale, benché sempre condizionata da un certo grado di

. soggcttivismo, per il semplice motivo che ciascuno ha un proprio po­sto da dove osserva c giudica il mondo, si appoggia anche sul fatto èhc i !mondo stesso è un dato oggettivo, comune à tutti i suoi abitanti. L'esercizio del gusto decide quale debba essere l'aspetto c 1 '"atmo­sfera" di questo mondo (a parte la sua utilità c i nostri interessi vitali in esso riassunti), decide che cosa vedranno e udranno gli uomini che lo abitano. Il gusto giudica l'apparenza c la mondanità del mondo: se ne occupa in modo del tutto "disinteressato", cioè senza coinvol­gere né gli interessi vitali del singolo né gli interessi etici dell'io. Nel giudizio di gusto la cosa fondamentale non è l'uomo, non è la vita o

!'"io" dell'uomo: è il mondo. [p. 24\l

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Page 75: Hannah Arendt Teoria Del Giudizio Politico - Lezioni Su Kant

La Arendt ritorna al contrasto tra giudi.~:io c argomentazione tllosotlca orientati verso il vero. La tllosotìa, verità dimostrabile. cerca di costringerl' al­l'accordo con un processo di dimostrazione cogente. ll giudizo di gusto, per con­tro, è come le opinioni politiche, persuasivo; entrambi sono caratterizzati dalla "speranza di arrivare infine a un accordo con loro".

Quindi cultura c politica sono in stretto legame perché non implicano un rapporto con la conoscenza o la verità, bensì giudizio c decisione. un giudizioso scambio di opinioni in merito alla vita pubblica c al mondo comunitario, la de­cisione del tipo di attività da intraprcndcrvi c insieme il suo futuro aspetto, le cose che in esso dovranno apparire. [p. 242]

La Arcndt conclude la discussione sul gusto ne "La crisi della cultura·· con un 'affermazione umanistica, riferita a Cicerone. ll gusto, sottolinea, "non solo decide come bisogna rivolgersi al mondo, ma anche chi gli appartenga." Definisce un principio di appartencrv:a, è un 'espressione della socrctù che uno sceglie c. così come la politica stessa. è un principio di autosvclamcnto." Così ""il gusto è la capacità politica che veramente umaniz~a il bello c crea una cul­tura" (p. 243 ). La i\rendt interpreta Cicerone come se avesse asserito che "per i l vero umani sta non possono essere assolute né la verità della scienza. né la verità del filosofo, né la bel lena del! 'artista; in quanto non è uno specialista, l'umanista esercita una facoltà di giudizio c di gusto che dudc la coercizione impostaci da ogni spccializzazionc" (p. 224). Alla spccializzazione c al fili­steismo. la Arcndt contrappone un umancsimo che ··sa come accudire, conser­vare c ammirare le cose del mondo." (ibid.). Da queste riflessioni sul gusto conclude che una persona colta dovrebbe essere "qualcuno che sa scegliere la propria compagnia fì·a gli uomini. le cose, i pensieri; nel presente come nel

passato" (p. 245). '1

5. //pensiero raJIJlrescnlativo

L'importante contrasto, tra giudi~io persuasivo c verità coercitiva è ulte­

riormente sviluppato nel saggio '"Truth and Politics". H In questo saggio la Arcndr

pone il contrasto nel contesto del conflitto tradizionale tra la vita tilosotlca c la vita del cittadino. l tllosoti opponevano alla verità "l'opinione pura, che era sullo stesso piano dell'illusione, cd era questo grado dcll"opinione che aveva attribuito al conflitto la sua prcgnanza politica; perché l'opinione, c non la verità, appar­tiene ai presupposti indispensabili di ogni potere." Questo antagonismo tra verità c opinione è tale che

152

ogni diritto a una verità assoluta, nella sfera delle cose umane, la cui validità non necessita di alcun supporto da parte dell'opinione. col­pisce radicalmente ogni tipo di politica c di governo [p.233].

La Arcndt si rif~ì a Madison, Lessing c Kant cercando di resistere alle ca­lunnie in tentate dai tìlosotl contro l'opinione da Platone in poi, e alla svalutazione della vita civica che queste implicano. L'opinione deriva la dignità che la distin­gue dalla condizione di pluralità umana, dal bisogno del cittadino di indirizzare se stesso verso gli amici; perché "il dibattito costituisce la vera essenza della vita politica". 11 problema, secondo la Arcndt, è che tutta la verità, a causa della ne­cessità perentoria di venir riconosciuta, preclude il dibattito: "l modi di pensare c di comunicare che si accordano alla verità, se visti attraverso la prospettiva po­litica, sono necessariamente dominanti; non considerano le altre opinioni della gente, quando invece è una caratteristica distintiva del pensiero politico prender! c in considerazione" (p. 241 ). [;:qui che la i\rendt introduce la sua nozione del ca­

rattere rappresentativo del pensiero politico:

lo mi formo un'opinione analizzando da diversi punti di vista una detenni nata questione, tenendo presente i punti di vista di coloro clw sono assenti; cioè li rappresento. Questo processo di rappresen­tazione non adotta ciecamente i punti di vista di coloro che sono lon­tani, c che quindi vedono il mondo da una prospettiva diversa; questa non è una questione di empatia, come se io cercassi di essere o di sentirmi qualcun altro, né di f~trc statistiche raccogliendo una mag­gioran~a. ma di essere c di pensare secondo la mia propria identità in una situazione che non mi appartiene. Nella mia mente, mentre sto pensando a un certo problema, considero molti punti di vista, c meglio mi immagino come sentirei c penserei se avessi quei punti di vista, più forte sarà la mia capacitù di rappresentazione del pensiero c più valide le mie conclusioni fìnali c la mia opinione. [ lbid.]

Questa capacità, secondo la i\rcndt, è la kantiana '"mentalità allargata" che costituisce la base per l'abilità di giudicare dell'uomo (sebbene Kant, pur avendo scoperto questa capaciÌà di formulare un giudizio imparziale, '"non riconobbe le implicazioni politiche c morali della sua scoperta" [ibid.]. Cerchiamo di imma­ginare come sarebbe se fossimo da qualche altra parte col pensiero: '"l 'unica con­dizione per usare in questo modo l'immaginazione è l'indifferenza, il liberarsi dai propri interessi privati" (p. 242). Questo processo f{mnativo dell'opinione, determinato da coloro che pensano nei panni di qualcun altro usando la propria mente, è tale che "un particolare assunto è forzato all'apertura grazie alla quale può mostrare interamente se stesso, da ogni possibile prospettiva, fino a essere

153

Page 76: Hannah Arendt Teoria Del Giudizio Politico - Lezioni Su Kant

pervaso e reso trasparente, dalla luminosa pienezza della comprensione umana" (ibid.).

La Arendt illustra questa nozione di pensiero rappresentativo in una lezione inedita sul giudizio:

Supponiamo che io guardi in una casa dei bassifondi e perce­pisca in questa particolare costruzione la nozione di povertà c mise­ria, non esibite direttamente. Arrivo a questa conclusione rappresentandomi cosa proverei se vivessi là, cioè, provo a pensare come l'abitante dei bassifondi. Il giudizio al quale perverrò non sarà necessariamente lo stesso dci residenti i quali possono essere istupi­diti dal tempo e dalla disperazione al punto di disprezzare le proprie condizioni, ma diventerà un esempio calzante al quale riferirsi per ogni mio ulteriore giudizio sull'argomento .... Inoltre, quando giudi­cando prendo in considerazione gli altri, non significa che nel mio giudizio io sia conforme ai giudizi altrui. Sto ancora parlando con la mia voce e non mi baso sulla maggioranza per trarre la conclusione che ciò che penso sia giusto. Ma il mio giudizio, del resto, non è più

soggettivo.35

"Il punto è", spiega la Arendt, "che il mio giudizio su un pm1icolare pro­blema non dipende semplicemente dalla mia percezione, ma dalla mia capacità

di rappresentarrni qualcosa che non pcrccpisco"36

È chiaro che il giudizio e l'opinione si appartengono intimamente come facoltà principali della ragione politica. L'intenzione della Arendt è abbastanza ovvia: concentrare l'attenzione sulla tàcoltà del giudizio significa riscattare l'opi­nione dal discredito in cui era caduta fin dai tempi di Platone. Entrambe le fa­coltà, cioè giudicare e formarsi opinioni, sono così simultaneamente redente. Questo è ben dimostrato in un passo tratto da Sulla rivoluzione, dove al tempo stesso sono tematizzati giudizio c opinione: "opinione c giudizio, ... queste due facoltà razionali, politicamente molto importanti, sono stati quasi del tutto di­

menticati dalla tradizione politica come dal pensiero filosofico."37 La Arcndt sot­

tolinea come i Padri Fondatori della Rivoluzione Americana fossero consci dell'importanza di queste due facoltà, nonostante il fatto che "non provarono co­scientemente a restituire all'opinione il rango e la dignità che le spettano nella gerarchia delle facoltà razionali dell'uomo. Ugualmente per il giudizio, per cui se avessimo voluto imparare qualcosa sul suo carattere essenziale e sulla sua sor­prendente presenza nel regno delle cose umane, avremmo dovuto rivolgerei a

Kant, piuttosto che agli uomini della rivoluzione" 3 g Gli stessi Padri Fondatori

non seppero andar oltre "la stretta e tradizionale cornice dei loro concetti gene-

154

rali" verso lo sforzo dì riconcettualizzare queste due facoltà razionali della vita politica. In altre parole, la riasserzìone richiesta è ancora attesa, c la sua definitiva formulazione è un compito che la Arendt si è assunta come studiosa kantiana.

Ora possiamo vedere i risultati dell'opposizione, operata dalla Arendt, tra verità filosofica e giudizio del cittadino. Il suo proposito è di difendere "il rango c la dignità" dell'opinione. La sua dignità distintiva deriva dal giudizio, che le conferisce rispettabilità nei casi in cui è contrapposta alla verità. È grazie al giu­dizio che l'opinione non appare più un qualcosa di cui vergognarsi, come ave­vano tàtto credere tradizionalmente i filosofi. È perché possiamo "pensare rappresentativamcnte" che l'opinione non può essere abbandonata come un con­cetto filosofico stantio. Fino a quando l'opinione rimarrà il fondamento della po­litica, allora un innalzamcnto dello status dell'opinione servirà ad elevare di conseguenza lo status della politica. Sin qui la teorizzazione sulla natura del giu­dizio della Arendt ha seguito una linea di sviluppo costante. Però se si conside­rano le sue opere degli anni '70, nelle sue riflessioni sul giudizio è riscontrabile un'evidente differenza di enfasi. Non pone più in rilievo il pensiero politico degli agenti politici. Il giudizio, invece, è affiancato al pensiero, quel pensiero che

"non ha alcun rilievo politico se non in emergenze speciali":N Invece di essere

concepito in rapporto alle deliberazioni di agenti politici che decidono sui pos­sibili sviluppi delle azioni future (un 'attività che la Arendt identificherà poi con i progetti della volontà). il giudizio è ora definito come riflessione sul passato, su ciò che si è già dato, c. insieme al pensiero, "queste riflessioni sorgeranno ine-

vitabilmente in emergenze politìchc.''40 .

6. Il \'ento del pensiero: giudicando nelle emergenze

L'ultimo tipo di concetti, che la Arendt trattò poi ne La vita della mente, emerge soprattutto in "Thinking and Mora! Considcration: A Lecturc", un arti­colo pubblicato nel 1971."' Alla fine del saggio la Arendt atlronta il ruolo della facoltà del giudizio. In tempi di crisi storica, scrive, "pensare. nelle questioni po­litiche, cessa di essere un compito marginale" perché coloro che posseggono una certa criticità di pensiero non vengono eliminati sconsideratamente, come tutti gli altri:

il loro rifiuto a unirsi è forte e perciò diventa azione. L'elemen­to epurante nel pensiero. l'arte socratica, che dà valore alle implica­zioni delle opinioni non esaminate, e perciò le distrugge- valori, dottrine, teorie, e anche convinzioni - è implicitamente politica. A causa di questa distruzione si ha un effetto che libera un'altra facoltà umana, quella del giudizio, che si può chiamare, con qualche giusti-

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fìcazionc, la più politica delle attività mentali umane. È la facoltà di giudicare circostan::.c senza f~1rle rientrare in quei criteri generali che possono esser insegnati c imparati tino a diventare abitudini che pos­sono essere sostituite da altre abitudini e da altre regok.

La facoltà di giudicare circostanze particolari (come l 'ha sco­perta Kant), la capacità di dire, "questo è falso" "questo è bello", ecc., non è la stessa facoltà del pensiero. Pensare si accorda con l'in­visibile. con la rappresentazione delle cose che sono assenti; il giu­dizio ha sempre a che fare con cose e situazioni a portata di mano. Ma entrambe sono conciate in modo simile a quello con cui sono in­terconnesse consapevolezza e coscienza. Se il pensiero, l'esser due­in-uno nel silenzioso dialogo dell'anima con se stessa, attualizza la dirti:rcnza tra la nostra identità raggiunta nella consapevolezza c gli effetti nella coscienza come suoi prodotti derivati. allora il giudizio, il prodotto dcii 'e fletto libcratorio del pensiero. attua il pensiero. lo rende manifl:sto nel mondo delle apparenze, dove non sono mai solo c sono sempre troppo occupato per poter pensare. Il manifestarsi lkl vento del pensiero non consiste nella conoscenza: ma si esprime nella capacità di distinguere il bene dal male, il bello dal brutto. f; ciò, nei rari momenti in cui si arriva a un punto di crisi, può realmente evitare catastrofi, almeno per mc stesso."'

Per la i\rcndt. la politica è definita dalla sua realtà fenomenica. come au­todi,occultamento nello spazio delle apparcn7e. Gli affari politici. come li con­cepisce la Arendt, sono fcnomenicamcntc evidenti: "'già in possesso di una nitidezza. di una ;,plcndidczza che le distingue da tutte le altre", il poeta o lo sto­riograf(J preser\'ilno semplicemente la gloria come è già visibile a tutti. Tra i !.(l'C­

ci," le grandi gesta c le grandi parole erano, nella loro grandezza, reali ct~mc una pietra o una casa, lì da vedere o da ascoltare da ogni presente. La grandcz;:a era facilmente riconoscibile."" Di nuovo ciò che connette at1e c politica è il Ettto che: '\:ntrambc sono f'cnomeni del mondo pubblico"."" Il carattere fenomenico della politica è quindi analogo a quello dell'arte:

Ma per saper vedere le apparenze, dobbiamo prima css<:rc li­beri di stabilire una certa distanza tra noi e l'oggetto: ora, quanto maggiore è l'importanza della pura apparenza di un oggetto, tanto maggiore è la distan/a necessaria a un apprezzamento adeguato. La distanza non può esserci se non siamo capaci di dimenticare noi stes­si. le preoccupazioni, gli interessi, le ansie della nostra vita, così da non volerei impadronire di quello che ammiriamo, !asciandolo invece com'è, come appare."'

156

Questo tema è sottolim:ato molto bene da Ernst Vollrath in un eccellente articolo sul "metodo della tilosotia politica" della i\rcndt. Vollrath scrive che

l'imparzialità (distinta dalla oggettività)

implica essenzialmente '"il dire cos'è," ... riconoscere i fenome­ni nella loro fattualità c determinare questa fattualità in senso tl:no­menico più che costruirla su base epistemologica. Il modo di pensare in modo politico della i\rcndt tratta gli argomenti in campo politico non come "oggetti" ma come fenomeni o accadimenti. Essi sono come si mostrano, ciò che appare agli occhi c ai sensi .... Gli eventi politici sono, in un modo speciale, fenomeni: si potrebbe dire che sono fenomeni per sé. . Lo spazio in cui accadono i fenomeni

politici è creato dai fenomeni stessi'''

Il giudi7io distingue tra i fenomeni auto-disoccultanti c cattura l'apparenza fenomenica nella sua pienezza. Di conseguenza, la capacità di giudizio per di­scernere k qualità del particolare senza sussumcre precedentemente sotto una categoria universale, è strettamente connessa alla natura della politica come di­soccultamento. Il giudizio. quindi. confl:rma l'essere di ciò che è stato disoccul­tato. Così, il giudizio umano procede sempre nel mondo di ciò che si manifesta,

con molta cnf~1si. Gli oggetti del nostro giudizio sono particolari che si aprono alla nostra vi-

sta. Naturalmente possiamo comprendere il particolare solo attraverso la sua classificazione sotto l'universale. Un nudo (inclassiflcato) particolare non è un possibik oggetto di giudizio. Ma gli universali sotto cui sussumiamo quei parti­colari che giudichiamo sono volti in modi di pensare prestabiliti. regole c criteri irri}.(iditi, "codici standardizzati di espressione c di condotta","' il pericolo è che nm~ apriamo completamente noi stessi alla ricchezza del mondo tcnomenico che lo rende disponibile al nostro giudizio. [: in questa situazione che la fitcoltù di }.(iudizio è sottoposta alla prova più severa, c l'acutezza o l'ottusità del nostro ~iudizio ha conseguenze pratiche reali. i\d esempio. per coloro sottoposti alla brutalità ordinaria c all'oppressione di tirannie convenzionali, dispotismi c dit­tature è ditlìcilc riconoscere nel totalitarismo del ventesimo secolo qualcosa di intcra;m:ntc insolito c senza precedenti."' L'atto di discernere tra ciò a cui siamo abituati c ciò che è genuinamente nuovo c diverso, richiede una speciale qualità di giudizio. Quelli che posseggono gusto, che distinguono nelle cose il bello dal brutto, il bene dal male, saranno, in tempi di crisi politica, più difllcilmcnte di­

sposti ad abbassare la guardia. Secondo la Arendt. il pensiero- il movimento critico dell'atto del pensare

lascia la presa dell'universale (cioè abitudini morali ossifìcate. trincerate dietro inf1cssibili precetti comuni) c così rende libero il giudizio di operare in uno spazio

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aperto di discriminazione e discernimento, sia morale che estetico. Le funzioni del giudizio vincono quando questo spazio è già stato chiarificato dal pensiero cr,Itico. In q~esto modo l'universale non domina sul particolare; piuttosto, que­st ultimo puo essere compreso come se veramente svelasse se stesso. 11 pensiero stesso assume quindi rilievo politico in virtù della sua relazione con la tàcoltù del giudizio. Allentando la presa dell'universale sul particolare, il pensiero spri­giOna la potenza politica della facoltà del giudizio -- la potenza che appartiene alla capacità di percepire le cose come sono, cioè come sono fenomcnicamentc manifeste. 49

Nelle sue lezioni su "Basic Mora! Propositions" tenute a Chicago nel 1966 e, prima di queste, nel corso "Some Questions ofMoral Philosophy", tenuto alla New School of Social Research nel 1965, la Arendt ha descritto come la moralità occidentale è stata resa così vulnerabile dallo sviluppo della politica occidentale, secondo la quale quelli che prima formalmente erano considerati dogmi etici fondamentali propri della civiltà occidentale ("È meglio soffrire per sbaglio che fare uno sbaglio", "Fai agli altri solo ciò che vorresti fosse fatto a te", ecc.}, si erano svalutati tino a diventare semplici convenzioni (del tutto intcrcambiabili una con l 'altra).'" È in questo contesto che la Arendt si volge a Kant, cercando una spiegazione della vita morale che riconosca ciò che non è di per sé evidente nelle proposizioni e tuttavia non richieda una rinuncia da parte nostra al giudizio morale. L'analisi kantiana del gusto fornisce il concetto di comunicazione, come accordo interpcrsonale, e distingue il giudizio cercato dalla Arcndt per la rico­struzione della morale. Se non si può far aftìdamento sulla presunzione dell'og­gettività morale, forse però, possiamo sperare di trovare una via d'uscita puramente soggettiva appellandoci a una nozione di gusto morale che agisca da collegamento tra soggetti giudicanti e giudizi separati o condivisi. Nello stesso tempo la Arendt ha cercato di dare una spiegazione del male che le possa per­mettere di sferrare un attacco ai mali politici del ventesimo secolo. E qui l'analisi del giudizio è di nuovo centrale, in quanto è in questo contesto che colloca l'ori­gine dei mali maggiori della realtà politica, il totalitarismo riassunto nella figura di Eichmann: "Nel ritìuto di giudicare: mancanza di immaginazione, di aver pre­sente prima i tuoi occhi c considerare gli altri che dcvi rappresentare.""

Questa malvagità implicita nel ritìuto di giudicare è contenuta nelle lezioni del corso sulle "Basic and Mora! Propositions":

Nelle ultime ritlessioni ... le nostre decisioni sul bene e sul male dipenderanno da come sceglieremo i nostri compagni, con chi cioè vogliamo trascorrere la nostra vita. E questa compagnia (a volte] è scelta pensando per mezzo di esempi, esempi di persone vive o morte ed esempi di fatti accaduti, passati o presenti. Nello spiacevole caso in cui qualcuno ci comunicasse che preferirebbe avere come compa-

158

gno Barbablu, tutto ciò che potremmo fare sarebbe accertarsi che ci stia ben lontano. Ma temo molto di più coloro che non si curano as­solutamente delle compagnie che frequentano giacché qualsiasi com­pagnia gli può andare abbastanza a genio. Parlando in termini morali e anche politici, è in questa indifferenza, sebbene piuttosto comune, che si annida il pericolo maggiore. E si può dire lo stesso di un altro fenomeno moderno piuttosto comune, sebbene meno pericoloso, cioè la tendenza a rifiutare di esprimere qualsiasi giudizio. Al di là del­l 'involontarietà o dell'incapacità di scegliere un esempio o una com­pagnia, e al di là dell'involontarietà o dell'incapacità di confrontarsi con gli altri attraverso i giudizi, sorge il vero scandalo, il vero osta­colo che l'uomo non può rimuovere a causa della sua origine non umana e per di più incomprensibile per l 'intelletto umano. Qui giace l'orrore c, al tempo stesso, la banalità del male 5 2

Il vero pericolo delle società contemporanee risiede nel fatto che le strutture burl~cratiche, tecnocratiche c depoliticizzate della vita moderna incoraggiano l'indifferenza c rendono l'uomo sempre meno capace di pensare criticamente c meno incline ad assumersi alcuna responsabilità. 51

ta teoria del giudizio della Arendt è inserita così in un resoconto globale sulla situazione storica attuale, che Ici interpreta come una delle crisi di fondo dei valori politici e morali del mondo occidentale: i criteri di giudizio tradizionali non detengono più alcuna autorità," non sono più rispettati quelli che erano con­siderati i valori fondamentali, le norme di civiltà politica e morale sono diventate particolarmente vulnerabili. In questa situazione la cosa migliore in cui sperare è "l'accordo nei giudizi" in un'ideale comunità giudicante. Il pericolo maggiore è l'astensione dal giudizio, la banalità del male, il pericolo è che quando "la posta è in gioco" il singolo si arrenderà alle forze del male piuttosto che esprimere un giudizio autonomo. Fino a quando continueremo a disinguerc fra cose buone e belle, fino a quando continueremo a scegliere "la nostra compagnia" a proposito di gusto e politica- cioè, fino a quando rifiuteremo di obliare la nostra facoltà del giudizio- nulla sarà perso.

Questi stessi argomenti emersero in un modo molto interessante nel dibat­tito sorto fra Hannah Arendt e Hans Jonas durante il convegno "The Work of Hannah Arendt" tenuto alla New York University nel novembre 1972, i cui atti sono stati recentemente pubblicati nel volume curato da Melvyn Hill, Hannah A rendi: The Recoverv of'the Public World. 55

JONAS: È incontestabile che dietro ogni nostro essere e ogni nostra azione ci sia il desiderio di con-dividere il mondo con altri uomini, ma vogliamo con-dividere un certo mondo con certi uomi-

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!l li

ni. E se il compito della politica è di rendere più confortevole il mondo, emerge la domanda: "Che cos'è un mondo confortcvok'1

".

Questa domanda può ottenere una risposta solo se noi ci formiamo

una qualche idea su come dovrebbe essen: l'uomo. E questo non può essere determinato che arbitrariamente, se non possiamo ap­

pellarci a qualche verità che riguardi l'uomo c che convalidi un giu­dt7to eh questo genere, e il giudizio derivato del gusto politico che

affiora nelle situa7ioni concrete specialmente quando si deve de­cidere sul futuro del mondo nelle quali si ha a che fare con le im­

prese tecnologiche che stanno urtando contro l'amministrazione

delle cose. Non è semplicemente il caso in cui Kant fa appello al giudizio.

Si richiama anche al concetto di buono. C è una qualche idea del be­ne supremo comunque lo definiamo. Forse sfugge a ogni definizione.

Non può essere un concetto del tutto vuoto, cd è i11 rclaLione con la nostra concezione dell'uomo. In altre parole, bisogna richiamare in

causa ciò che è stato dichiarato morto c sepolto ali 'unanimità ciOè

la metafisica- perché ci dia una direzione ti naie. Il nostro potere decisionale va molto aldilà dell'immediatezza

delle situazioni c del futuro più prossimo. Il nostro potere di t:1re 0

agire ora si estende sopra tali motivi come se davvero coinvolgesse un giudizio o una profonda comprensione o una fede lascio Il; spa­

zio aperto in un qualcosa di definitivo. Perché nella poi itica comu­ne, come è stata concepita fino al ventesimo secolo, abbiamo a che

fare con fatti non definitivi. Non è vero che la condizione del benes­sere pubblico doveva essere decisa realmente da valori o criteri fon­

damentali. Quando, come succede nella tecnologia moderna, volenti o no lenti ci imbarchiamo in una situazione che interessa la condizio­ne globale delle cose sulla terra e l'intera condizione futura dell'uo­

mo, allora non penso che possiamo semplicemente lavarccnc le mani

dicendo che la metafisica occidentale ci ha gettato in un 'impasse di­chiarando poi bancarotta c appellandoci a giudizi con-divisi- dove,

grazie a Dio, non intendiamo con giudizi condivisi il J~ttto che lo sia­no dalla maggioranza o da un gruppo delinito. Possiamo con-dividere

giudizi sulla nostra pcrdi7ionc con più uomini, ma dobbiamo appel­

larci al di là di quella sfera.

La Arcndt non affronta del tutto questo problema dello stato cognitivo ul­timo dci giudizi con-divisi; invece devia l'argomento su considcrazio;li storiche

e sociologiche.

160

ARENDT: .. Quindi se il nostro i'uturo dovesse dipendere da

quello che stat dicendo-- cioè, che riceviamo dall'alto un principio fondamentale che deciderà per noi (c allora la questione è, ovvia­

nH:ntc, chi riconoscerà questo fondamento e quali saranno le regole per riconoscerlo, tu qui davvero regredisci all'infinito) io sarei del

tutto pessimista. Se è cosL siamo persi. Perché attualmente ciò dc­

manda alla comparsa di un nuovo Dio ... Per esempio, io sono del tutto sicura che questa catastrofe' to-

talitaria non sarebbe accaduta se la gente awssc ancora creduto in Dio, o comunque nell'interno cioè se ci fossero stati ancora dci va­

lori f'ondamentali. Ma non c'erano .. E tu sai quanto me che non c'era­no v al ori a cui appellarsi validamente. Ci si potrebbe appellare a

chiunque. E se tu passi attraverso una tale situazione l come il totalitari-

smo J, la prima cosa che impari è la seguente: non saprai mai come qualcuno agirà. La vita ti sorprenderà' ()ucsto passa attraverso tutti

gli strati sociali c attraverso tutte le varie distin?ioni degli uomini. E se vuoi generalizzare, potresti dire che coloro i quali erano ancora fermamente convinti dci cosiddetti vecchi valori, furono i primi a

cambiarli per un nuovo ordine di valori, dato che ne ricevettero uno nuovo. E questo mi dispiace, perché penso che nel momento in cui

dai a qualcuno nuovi valori o questa [tmosa "ringhiera" puoi im­mediatamente cambiarli. l La ;\rcndt si ri lèriscc a "Thinking without a Bannistcr", /)cnken ol111c ( ìelùnde>: una 1htse cotliata da Ici per con­

ven/.ionaliZI.arc il l~ttto che noi possediamo con sicurezza principi

l(>ndamcntali per guidare il nostro pensiero. R.B.] E l'unica cosa a cui la gente si abitua è avere un~1 ··ringhiera" c dci principi. nient'al­

tro. Non credo che possiamo stabtli/./are la situazione in cui siamo

stati lin dal diciassettesimo secolo ... Non dovremmo preoccuparci di questo problema, se la mcta-

lisica c il suo intero valore lilsscro precipitati. Abbiamo ini/iato a di­

scutere per questo.

Più che continuare nei suoi intl:rrogativi, .lonas ritorna sui suoi passi attri­

bm:ndo al giudizio come la Arcndt solo la facoltù di un controllo negativo o

n:strittiHl o-ullc azioni.

JON;\S: Condivido la poo-izione di 1-lannah Arcndt sul fatto che

non possediamo alcun fondamento, sia per la conoscen/a che per la

convinzione o la fede. Penso anche che non possiamo averlo come atto imposto, perché "lo desideriamo cosi fòrtcmcntc da ottcnerlo".

l hl

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Comunque, saggezza è consapevolezza di non sapere. L'atti­tudine socratica è il sapere di non sapere. E questa consapevolezza di essere ignoranti può essere di grande importanza pratica nell'eser­cizio della capacità di giudicare, che dopotutto è correlata all'azione nella sfera politica, nell'attività futura e in quella ancora più lontana. Le nostre imprese hanno una tendenza escatologica in sé ciOè un 'utopia interna che porta a muoversi verso situazioni predeterrni­nate. La mancanza di conoscenza di valori fondamentali - o di ciò che è desiderabile come fondamento·- o ciò che è l 'uomo aftìnché il mondo possa essere confortevole per l'uomo, dovremmo astenerci del tutto dal permettere che le situazioni escatologiche vengano avan­ti. Solo questa è un'ingiunzione pratica molto importante che pos­siamo trarre dali 'interno: che solo con qualche concezione dci valori possiamo affrontare certe cose. Cosicché, alla fine, l'opinione che ho portato avanti può essere di qualche rilievo come forza frenante.

A ciò la Arendt dà naturalmente il suo assenso. Alla fine, la Arendt adotta un comportamento decisamente scettico nei con­

fronti della capacità c dei limiti della vita mentale. Pensare, ci dicono "non crea valori; non scoprirà, una volta per tutte, cosa è il «bene» c non confermerà, ma, piuttosto, dissolverà le regole di condotta accettate"." Pensare è socratico, vale a dire negativo; distrugge assunti senza esaminarli invece di scoprire il vero. È già abbastanza se riusciamo ad adeguarci al modo di essere delle cose, per cui proponiamo il giudizio indispensabile, finché ci permette di trarre un modico piacere dalla contingenza della vita e dalle libere azioni degli uomini.

7. Il trattato non scritto

La vita, dice Pitagora, è come una pubblica festa: CLlmc nelle feste alcuni vengono per competere nella lotta, altri per esercitare il loro commercio, ma i migliori vengono come spettatori, così nella vita gli uomini schiavi vanno a caccia di tàma o di guadagno, i filo­soli della verità.

Diogene Laerzio

Tra coloro che hanno seguito da vicino c con attenzione l'iter filosofico di Hannah Arcndt, è comunemente accettato che la teoria del giudizio avrebbe do­vuto essere il culmine del suo lavoro e avrebbe dato una risposta a molti dei pro­blemi rimasti irriso l ti nelle sue opere precedenti. La già citata osservazione di J. Glenn Gray è tipica:

162

Per quelli che hanno conosciuto intimamente il suo modo di pensare, era evidente che considerava il giudizio come il fulcro di tutta la sua opera e, a buona ragione, l'agognato risolvimcnto del­l'impasse alla quale sembravano condurla le sue riflessioni sulla vo­lontà. Come la Critica de'l Giudizio pennetteva a Kant di oltrepassare alcune antinomie delle prime critiche, così la Arendt sperava di ri­solvere i problemi concernenti pensiero e volontà riflettendo sulla natura della nostra capacità di giudicare.""

Ma cos'è questa "impasse'' a cui si rifaisce Gray c come si suppone che

il giudizio possa risolvere questa impassc'1 . .

Per rispondere a questa domanda, dobbiamo voltarci leggermente md1etro, al punto in cui erano arrivate le ricerche della An:ndt alla tìnc del volume di Vo­lae. Il problema centrale concerneva la natura della libertà umana. La domanda che fonnula la Arendt è questa: Come può qualcosa di così radicalmente contm­gente c effimero, come la facoltà del giudizio, fornire una solida base alla libertà umana'! In altre parole; come possono gli uomini affermare le loro condiZlom terrene se la libertà ha la sua origine in 4ualcosa di privato c individualizzantc come la volontà umana'' Attraverso i suoi saggi la Arendt ha costantemente ca­ratterizzato la libertà come qualcosa di mondano e pubblico, in relazione al mon­do tangibile dcii 'aLionc politica. Ma nel suo ultimo lavoro, da una nozione di libertà intesa come azione nel mondo pubblico verso la spontaneità, la contin­genza, l'autonomia della volontà. Questo culmina ncll'invocazioncagostmiana di natalità, ""il fatto che gli esseri umani, creature nuove, appaiOno in contmua­zione nd mondo in virtù della nascita"". "Perché vi fosse un ini7io, l'uomo fu creato, prima delljuale non ci fu nessuno'"" li problema è che questo prospetto di spontaneità assoluta, di inizio assoluto, non è così facile da accettare _rer gli uomini, c non è nemmeno qualcosa che essi possano comprendere con facilita. Così troviamo comunemente anche uomini d'azione tirarsi indietro dalle propnc iniziative rivoluzionarie, cercando precedenti o sanzioni storiche per mitigare la novità assoluta delle proprie azioni. Così la volontà, anche se posta sotto una luce favorevole nell'immagine agostiniana della natalità miracolosa - porta ancora un' implicaLionc di costrizione più che un 'attrazione positiva. Dopotutto non scegliamo noi di nascere: è qualcosa che ci capita, che ci piaccia o no. Il problema rimane: Come aflermare la libertà? La volontà, con la sua totale con­tingenza, non offre una risposta irresistibile. La Arcndt la descrive come un '""im­passe", e si volge alla facoltà del giudizio come se fosse l'unica via d'uscita. La nozione secondo la quale siamo nati liberi suggerisce in un certo senso che siamo semplicemente destinati o, peggio, "condannati" a essere liberi. Giudicare, al contrario, permette di sperimentare un senso di piacere positivo nella contmgcnza del particolare. La Arendt qui pensa che gli esseri umani abbiano sentito, unam-

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mcmente. l'imponente responsabilità'' della libertà come un peso insopportabile

che hanno cercato di evitare con varie dottrine. com<:' il fatalis1no o l'idea del

processo storico, c che l'unica via in cui la libertà umana può attualmente alfcr­

marsi è attraverso il piacere scaturito dalle azioni libere degli uomini, attravnso

la nllcssJonc c il giudizio su di loro; c questo per la An:ndt diventa la parte es­

senZiale dclla1~arrazionc della storia umana. La politica. sotto questo aspetto. è alla Ime glllstiiJcata dalle storie narrate successivamente. !.'azione umana è re­

denta dal giudi7io retrospettivo. Per porre il problema della Arcndt nel suo pro­

pno contesto. è utile richiamare molto brevemente il problema della libertà com'è

posto nelle tre Critichi' kanliane. Secondo la prospettiva della prima Crit1ca, il

mondo knomcnJco non presenta altro che necessità causali per la contemplazio­

ne teorctJca. Inoltre. aflìnché~ la libcrtil non venga compktamenlè sommersa dalla

ragione tcorctica. Kant alloggia la libertà stessa nella volontù noumcnica del sog­

getto pratico. Il problema qui. comunque è che la libertà sembra non aver rel~l-7ionc con l'andamento del mondo fenomenico, cd è pn:scnata solo a condizione

che svanisca dal mondo sensibile c visibile in cui abitiamo. Il giudi7io rillcttcntc

com'è Interpretato dalla Arcndt. otlre una l(mna di contcm;lazionc che non 0 nstrctta all'osserva7ionc delle ncccssitù c, allo stesso tempo. non è divisa dai tè­

nomeni mondani dell'azione umana. Il giudi~:io rillcttcntc propone cosi un certo

ammorbidimento dell'antinomia Ira li berti! c natura che caratterizza le prime due ( 'riticlw

l.c ritlcssioni della Arendt prendono la forma di un commentario su Kant.

dovuta "'alla penuria singolare delle tònti in grado di produrre una tcstimoniaJl/a

autorevole_ Si dovette aspettare la ('riti ca del Giudi::io di Kant pere h è tale li1eoltil

divenisse il tema di primo piano di un pcnsatorc di primo piano."'" Per aprire la

cbscussJonc su questo materiale, sal v i amo le Il> n ti kantianc, di cui si appropria

la Arcndt per la sua teoria del giudi~io. l(mH;ndo un tipo di paraJì·asi csll'sa a ciù che cerca di trarre dal lavoro di Kant.

. Kant dcllniscc il giudizio in termini di attività capace di sussumcrc il par­

lJcolarc sotto l'universale. Chiama giudi7io "la litcoltù di pensare il particolare",''''

c pensare il particolare naturalmente signillca portarlo sotto un concetto generale.

Inoltre, Kant distingueva tì·a due tipi di giudizio, uno in cui l"univcrsaÌc (la re­

gola. il principio o la legge) è dato per sussu1vione. c uno in cui l'universale è carente c deve in qualche modo essere prodotto dal particolare; il primo lo chiama

"'detcrmmantc". _!.ultimo "ri llcttcntc"-"' Questa attività del giudiLio accade quan­

do Cl trov1amo dJ tronte al particolare. Ciò non implica l'atto di restituire un com­

mento generale su un dato flj)() di oggctto: piuttosto ifl!CS/o oggetto particolan:.

nch1edc il giudi/io. Cìiudicarc è ragionare sul particolare opposto al ragionare

sull'universale. Nell'atto di sussumere una particolare rosa sotto la categoria uni­

versale dJ "bellezza". non la giudico così perché ho a disposizione una regola

164

del tipo "Tutti i fiori di questa-o-quella specie 'ono belli", piuttosto quella par­

ticolare rosa ha in qualche modo ""generato" il predicato della bellezza pnma del

mio giudizio. Posso capire e applicare l 'universale ,;o lo attraverso la sperimen­

tazio71e dei tipi del particolare ai quali attribuiamo questo predicato. Il giudino

estetico. quindi. è un modo di giudicare ifl!C.\·ta rosa. e solo per cstens10nc no1 lo

attribuiamo a tutte le altre rose. Kant sostiene anche che l'attività del giudizio (come è spiegata nella "'Cn-

tica del (ìiudi~:io estetico") è sociale. dal momento che i nostri giudi7i estetici si

riferiscono a un mondo comum: o con-diviso. a ciò che appare pubblicamente a

tutti i soggetti giudicanti, c quindi non semplicemente ai capricci privati o alle

pretèn;nze soggettive degli individui. In materia di "gusto'~ non gllldlco mal solo

per me stesso, giacché l'atto di giudicare implica sempre li comp1to d1 comuni­

care il mio giudi/io; cim' il giudizio è reso in modo da persuadere gh altn della

sua validità. Questo sforzo di persuasione non è esterno al giudi7io. piuttosto.

fornisce la vera mis o n d 'Jtrc del giudi7io. Ciò perché non esiste una procedura

epistemologica sicura in vista di giungere a una piena corrispondcnn con l'og­

getto giudicato, salvo il consenso unanime cui si può giungere solamente gra~:1c ~l pro~csso di comunicazione durante il quale si ricerca il vero: Il giudizio è il

procc>so mentale con cui il singolo proietta se stesso 111 una s1tuazwnc che s1

scontra con la realtà dei btti c che è ritlessione disinteressata volta al propno

soddist~JCimento c a quello di una comunità idea il' di intcrlocutori che hanno la

potenzialità di stimare in modo adeguato questo o quell'oggetto."' . Tuttavia si potrebbe obiettare che i giudizi politici così come quelli cste­

t1ci sono puramente relativi e dipcmknti dall''"ocehio dell'osservatore". Do­

potutto il concetto di "gusto". che è decisivo per Kant: nel_ suo significato

primario si rilèriscc ai tipi di giudi7io "'non ispirati da un pnnc1p1o mo~alc c c~as­sitlcati tra le questioni di «gustm> in un senso ben poco Lhvcrso da CIO che s m­tende quando si dice che preferire la 7Uppa di pesce al passato di piselli (~una questione di gusti".''' Perché un signiticato più esaltato di questo dovreb~c esser~ accordato "a modi di gusto" sia nel regno cstctJco che 111 quello politiCO' Pere h c

il gusto di una persona dovrebbe essere considerato migliore o peggiore di quello

di un'altra'' E, se sono ugualmente validi. proprio per questo non dovrebbero

escludersi a vicenda'' Per rispondere in modo soddisfaccntl' a queste domande.

Kant dedicò la sua '"Critica del giudizio estetico" allo studio del giudi7.io estetico

(c. per estensione. agli altri tipi di giudizio relativi a cose che tutti abbiamo in

comune) c alla loro 11011 soggettività relativa o egoistica. sebbene non s1 nfcn­

scano a una concc,rione dell'oggetto che determini scmplicemcntc il giudizio co­

gnitivamentc. Piuttosto. l'apporto di Kant sul gusto implica un concetto di

:::intersoggcttività" dove il giudizio in questione non è strettamente soggettivo

né oggettivo. Inutile dire che Kant non usa il termine "intersoggettivitù". Chiama

questo concetto '"pluralismo" c lo definisce nella sua Antropologia "quel modo

165

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l

1:

di pensare, per cui non si abbraccia nel proprio io tutto il mondo, ma ci si consi­dera c comporta soltanto come cittadini del mondo"-""

. _11 giudizio intersoggetivo scaturisce da ciò che i soggetti hanno in comune, da cio che - letteralmente è in mezzo a loro; cioè quello che Kant, nella ddi­nizione app~na citata, chiama '"mondo". L'"in-mezzo" dei soggetti giudicanti è d regno dell oggetto che si adatta al giudizio, e per giudicarlo scegliamo il gusto. Questa scelta d1 gusto e una relazione sociale, poiché siamo sempre già impegnati a cercare un nconosc1mcnto da parte degli altri in modo da farli convenire sulla ragiOnevolezza o razionalità dci nostri giudizi c, perciò, confermare il nostro "buon gust~"· Sebbene attualmente ci stiamo interessando di estetica, possiamo estendere l argomento c dimostrare che questa attività volta al reclamo c alla conquista di un riconoscimento per i giudizi che abbiamo espresso, è etlettiva­mente una configurazione generale della realtà umana-''' In breve, in risposta a coloro che adducono la relatività dci giudizi, possiamo replicare usando le parole ~~ Burkc~ ''se non ci fossero alcuni principi di giudizio ed opinioni comuni a tutta l umamta, la ragwne e le passioni non avrebbero riferimenti per poter mantenere d consueto accordo della vita"t•<•

. . lntrodu~iamo ora alcum dci concetti fondamentali della "Critica del giu­diZio estetico . Il gust~l estetico per Kant è disinteressato; .:ontemplativo più che pratico, autonomo p1u che eteronomo, cioè, in una parola, fihcro. L'abilità di colui che giudica esteticamente, del critico o dell'osservatore di elevarsi al di so­pra degli mtcrcssi quotidiani, richiamandosi a un'esperienza di tipo estetico alla quale tutti (almeno in principio) possono dare il loro consenso, conferisce al gu­sto queste carattensllche d1 d1smteresse, autonomia e libertà. Dall'attribuzione d1 belleLZa agli oggetti estetici deriva un'interazionc formale tra la tàcoltà della c~mprcnsionc c quella dell'immaginazione, attività con-divise da tutti gli uomini. C osi Kant Intende la questione: "si pretende al consenso di ognuno, perché si ha, per tale esigenza, un principio, che è comune a tutti"-"7 Kant chiama questo pnnc1p1o d1 giudizi con-divisi "senso comune", e lo caratterizza non come sen­tnncnto individuale, ma come "sentimento comune".''' Kant descrive così questo processo d1 ncerca d1 consenso universale: "questo senso comune non dice che ognuno SI accorderà, ma che si dovrà accordare, col nostro giudizio. Quindi il senso comune, del cu1 giudizio io adduco qui il mio giudizio di gusto come un esempio, c gli attribuisco perciò una validità esemplare, è una pura norma"-"'' Pongo Il senso comune come una "norma ideale" che demanda il consenso uni­versale, ~'il consenso di diversi soggetti giudicanti." Il compito che Kant si im­pone e di mdagare alla radice questo "consenso'' idealmente posto.

Nel ~resente contesto, la sezione più importante dell'opera kantiana è il ii 40 della Crtttca dd Giudizio, intitolato "Del gusto come una specie di sensus communis". Kant scrive:

166

Ma per scnsus communis si deve intendere l'idea di un senso che abbiamo in comune, cioè di una facoltà d1 gmd1carc che nella sua riflessione tien conto a priori del modo di rappresentare di tutti gli altri, per mantenere in certo modo il proprio _giudizio nei limiti della ragione umana nel suo complesso ... Ora ciO avviene quando paragoniamo il nostro giudizio con quello degli altn, e piUttosto coi loro giudizi possibili che con quelli effettivi,_ e CI pomamo al posto di ciascuno di loro, astraendo soltanto dalle limitazioni che sono at­

tinenti in modo contingente al nostro proprio giudizio.

Kant specifica tre "massime del senso comune" che sono: l) Pensare da sé; 2) Pensare mettendosi al posto degli altri; 3) Pensare 111 modo da essere sem­pre d'accordo con se stesso. Kant si riferisce alla seconda di queste come alla massima del modo di pensare largo, perché, secondo Kant, è l'unica che appar­tiene al giudizio (il primo e l'ultimo punto si applicano rispettivamente alla c~:n­prensione c alla ragione). Kant osserva che nm des1gnamo qualcuno come un uomo ... [che] mostrerà di avere un largo modo di pensare, quando SI elevi al di~ sopra delle condizioni soggettive particolari del gmdiziO; tra le quali tanti altn sono come impigliati, e rit1etta sul proprio giudizio da un punto di vista umve~,­salc (che può determinare soltanto mettendosi dal punto di vista degli altn) · Kant conclude che possiamo giustamente riferirei al giudizio estetico c al g~sto come sensus communis o "senso comune". Questa discussione particolare sfoci~ nella definizione di gusto come'' tàcoltà di giudicare a priori la comumcabd1ta dei sentimenti, che son legati (senza mediazione d'un concetto) con una data

rappresentazione''. . , A questi concetti di senso comune: consenso, :ne~_ta~Ita allargata~ ne _ag~

giungiamo un altro, tratto dal breve saggio di Kant C os e l zllumu~tsmo. - ci~e il concetto di "uso pubblico della ragione". Nel pensiero kantiano, l uso pubb~Ico della ragione si ritCrisce in particolare al problema della libertà di stampa nel! eta dell'illuminismo. 1 problemi di Kant con la censura prussiana sono ben noti. Ma ciò che estende il campo d'applicazione di questo concetto è l'idea che pensare in puhhlico può costituire il pensiero come tale. Quest'intuizione contrasta con ]e concezioni più diffuse sulla natura del pensiero, secondo le quali Il pens1er~ può agire tanto in privato quanto in pubblico. Kant rifiuta_ queste concez10n: af­fermando che la presentazione pubblica delle Idee, 111 contcrcnze pubbliche e di­battiti- nel suo caso il diritto dello studioso a porre per 1scntto Il pensiero per Ii giudizio del lettore -è assolutamente indispensabile per il progresso dell'Illu­minismo (non solo nel senso che i pensieri una volta pubblicati dovrebbero essere disseminati il più ampiamente possibile, ma anche nel senso profondo che css1 traggono giovamento nel loro sviluppo da uno scambio di vedute di natura um~ versale ). Kant considera la restrizione dell'uso primto della ragwne, come e

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esercitata in una particolare carica civile o in un 'assemblea privata, una viola­zione della libertà molto meno seria delle limllazioni imposte a uno studioso che scrin: opere per un pubblico illuminato. Questa precedenza accordata alle pre­rogative pubbliche su quelle private può sembrare un 'inversione delle priorità tradizionali sostenute da parte di una delle principali correnti del pensiero libe­rale. Ma su questo punto Kant è incquivocabilc: l'uso della ragione in una riu­nione privata non è necessario alla libertà. dal momento che il diritto di putJblicazionc. vale a dire il diritto di sottoporre i giudizi di qualcuno a un con­tmllo pubblico prima che vengano divulgati nella "soci<:tà cosmopolita"', non è inutik. an/i è necessario per il progresso. la libertà e l'insegnamento. Quindi la possibilità di rendere pubblici i propri giudizi ha la preccdcnnt sullo scambio privato di opinioni. Kant intende a!Tcrmare che i giudi/i dello studioso si rivol­gono in modo più diretto alla comunità cosmopolita che non a coloro che gli sono vicini. l giudi7i devono essere universali c pubblici - devono rivolgersi a tutti cd essere connessi con tutte le cose pubbliche che ci stanno davanti .: sono visibili da tutti gli uomini.

Questa idea ci collega con il prossimo concetto fondamentale della teoria kantiana del Cìiudizio: lo "spettatore". Abbiamo già ricordato le qualitù principali del giudizio estetico. come sono descritte nell'opera di Kant: il suo essere disin­teressato, contemplativo c libero da ogni interesse pratico. Perciò negli scritti kantiani di estetica c di politica, l'autentica prerogativa del giudizio è accordata allo spettatore che contempla l'opera d'arte o rillctte sull'azione politica scn;.a essere direttamente coinvolto. Nella Antropologia pmg111atica Kant assume una posizione più ambigua: inlittti l'uomo d'azione nelle proprie scelte morali eser­cita tanto il gusto quanto il giudizio rillcttentc. Comunque il modello o il para­digma cui Kant si richiama è quello del gc:nio che solo dopo aver prodotto l'opera d'arte si sottopone al gusto del critico. Il giudizio è retrospettivo c pronunciato dallo spettatore c non dall'artista. Corrispettivamente, solo lo spettatore politico, lontano dall';uionc. può dare un giudizio disinteressato sul significato umano di eventi accaduti nel mondo politico. L'evento più importante ai tempi di Kant fiJ la rivoluzione li'anccsc. c Kant stesso non mancò di applicare la sua teoria del gllldizio a questa csperictva particolare.

Nel suo a v vincente commento sulla rivoluzione fi·anccse. nella seconda parte del ( ·onf/illo del/efacolllì ("Una vecchia dom;mda sorge di nuovo: la specie umana è in costante progresso"), Kant afferma in modo deciso che il suo interesse non è rivolto alle azioni degli uomini politici, ma solo al

modo di pensare degli spettatori che si rivela puhhlicamente nel gio­co delle grandi rivoluzioni c che manifesta una partecipazione uni­versale c tuttavia disinteressata dei giocatori di un partito contro quelli dell'altro. malgrado il pericolo e il danno c;he può ad essi dc-

168

rivarc da tale spirito partigiano: ma (per la sua universalità) dimostra un carattere della specie umana in generale c ad un tempo (per il suo disinteresse) ne dimostra un carattere morale fondamentale, che Ca non solo sperare nel progresso verso il meglio, ma costituisce giù di per sé un tal progresso nella misura in cui esso può essere attualmente

raggiunto. 'o

Kant dichiara che invece di tutte le atrocità che rendono la rivoluzione fran­cese moralmente biasimevole, "questa nvoluzionc. io dico. trova però negli spi­riti di tutti gli spettatori (che non sono in questo gioco conwolti) Lilla

partecip1cione J'aspinl7ioni che rasenta l'entusiasmo, anche se la sua manife­stazione nou andava disgiunta da pericolo". Secondo Kant l 'entusiasmo per il concetto puro di diritto spiega l'esaltazione con cui "simpatiZl.ma il pubblico. che guardava dal di fuori, senza la minima intenzione di cooperare"." Non ha impl~rtan;r.a che le due qualità con cui Kant carattcriZ/a il g1udt/io politico e cioè l'universalità c il disinteresse siano le stesse con cui Kant carattcriua anche il giudi/io estetico. Questo passo llunoso mostra senza alcun dubbio che il giudi/io ~olitico, come quello estetico. sono nscrvati esclusivamente allo spettatore.-·

/\Itri passi dell'opera kantiana confermano questa concc;ricne del giwli/io politico. Per esempio, in un lavoro pre-critico. 0\·serl'<cioni su/seni! mento del !wl/o e dclsuh/ime, Kant sottolinea che l'ambi;rione. come impulso secondario è degna di L'Sscrc ammirata (lino al mmnento in cui non sottomette ;tltre incl!l~a­

zioni).

"Perché, mentre ciascuno sulla scena del mondo fa seguire le proprie azioni alle inclimvioni predominanti. ClhÌ l'uomo orgoglioso sarù mosso da un segreto impulso a porre col pensiero un punto di vista fuori di sé, per giudicare da li l'aspdto che ha il proprio comporta­mento. come esso appaia c cada sotto gli occhi dello spettatore" .. ,

La Arcndt conferma questa concezione del giudi/io: giudicare come pen­sate comporta un allontanamento dall'agire umano tale da rendere pos-;ibik una rillcssinnc disinteressata sul suo signilicato. La Arcndt afferma che i prota­gonisti dell';vionc politica hanno solo una visione parziale (per dclini/ionc. dal ;nomcnto che possono recitare solo le loro "pmti") c che quindi il "significato dell'insieme" puù esser colto solo dallo spettatore.'' Inoltre. come è sviluppato nelle lezioni su Kant, uno spettacolo non sarebbe più giudicabile se il ruolo prin­

cipale non t(Jssc accordato allo spettatore. La Arcndt scrive:

Siamo ... inclini a pensare che per giudicare uno spettacolo si debba prima di tutto vcdcrlo che lo spettatore sia secondario rispct-

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to all'attore, e tendiamo a dimenticare che nessuno che sia sano di mente allestin;bbe mai uno spettacolo se non fosse sicuro di avere degli spettatori ad assistervi. Kant è persuaso che il mondo senza l'uomo sarebbe un deserto c, per lui, un mondo sen7a l'uomo signi­fica: senza spettatore 7 '

Kant osserva che lo spettatore deve scorgere un significato (nel dramma della storia umana) altrimenti si annoierà come assistendo a una farsa senza fine. Ma solo lo spettatore della storia si stancherà, non l'attore che agisce nella storia, "'perché gli attori sono sciocchi" (siccome sono solo una parte dell'azione, mentre lo spettatore vede l'insieme. come spiega la Arendt).'" "Sarà magari emozionanl<:, per un po'; ma alla fìm; deve pure calare il sipario". Lo spettatore si stanca del dramma ''giacché ne avrà abbastanza anche di un atto soltanto, una volta che ab­bia ragionevolmente concluso che questa recita senza fine sarà sempre ugualc" 77

Questo non è l'unico caso in cui Kant concepisce il giudizio come un do­vere f~1ticoso e malinconico. Ncll'.lntropologia c'è un contrasto specifico fi·a giudizio c saggezza pratica, basato sul fatto che il giudizio "'limita i nostri concetti c contribuisce più a correggerli che ad ampliarli; è serio c rigoroso c pone dci li­miti alla nostra libcrtù di pensare. Così, proprio nel momento in cui gli si attri­buiscono tutti gli onori, diventa impopolare". La saggezza pratica è come un gioco: "'L'attività del giudizio è al contrario f:1ticosa. La sagge?Za è il fìorc della giovinc.ua. mentre il giudizio è il frutto dell'età matura". "La saggezza è il con­dimento di un cibo, il giudi/io la sua parte solida"."' Questo passo si ricollcga a Burkc. che comparando in modo analogo il compito del giudi/io alla saggc/za pralica conclude che il primo è "più severo c Etstidioso_ .. _.,, E nelle descrizioni

dci diversi temperamenti umani. proposti da Kant nelle Os.\"C/"\'iCioni, l'uomo ntelanconico è colui che si distingue per il suo giudizio inllessibile:

"1~: sevcm giudice di se stesso c degli altri. c non di rado ha fitstidio di sé come del mondo .. Correrò il rischio di diventare un allucinato o un visionario" ~o

(A ciò la Arendt aggiunge: "[Questo l è certamente un autoritratto".)" Secondo la Arcndt la disperata ricerca kantiana di una via d'uscita dalla

malinconia indotta dali" et.ercizio del giudicare ha creato grande knsionc nella sua concezione del giudi:rio politico. Una possibile solu7ione risiede nell'idea di pmgresso umano, o nell'assunto secondo il quale la storia ha un significato. Ma per la Arcndt, comunque. questo postulato contraddice la supremazia assoluta accordata allo spettatore disinteressato. che è autonomo c quindi del tutto indi­pendente dal corso storico. Questo diventa molto chiaro nel Paragrafo finale delle l.e::.imzi su Kalll:

170

Abbiamo parlato della parzialità dcii" attore che, coinvolto negli eventi, non coglie mai il signifìcato dell'insieme. Ciò vale per tutte le storie che possono essere narrate c Hegcl ha perfettamente ragione quando afferma che la filisofia come la nottola eli Minerva alza sol­tanto al crepuscolo il suo volo. Non si può dire la stessa cosa per il bello o per ogni atto in sé c per sé. Nei termini kantiani, il bello è un fine in sé poiché contiene in se stesso ogni suo possibile significato senza riferimento ad altri senza legame, in un certo senso, con altre cose belle. Si dù così nello stesso Kant la seguente contraddizione: il progresso indctìnito è la legge del genere umano; al tempo stesso. la dignità dell'uomo esige che questi (ogni singolo individuo) sia in quanto tale, nella sua particolarità. visto riflettere. ma fuori da ogni comparazione c in una dimensione di atemporalità, la generalità del genere umano. In altri termini, l'idea stessa di progresso se deve es­sere qualcosa di più di un mutamento di circostanze e di un miglio­ramento del mondo, contraddice la nozione kantiana di dignità dell'uomo. È contrario alla dignità umana credere nel progresso. Pro­gresso signifìca poi che la storia come trama narrativa non ha mai ti­ne. La sua fine è nella sua infinità. Non vi è alcun punto dO\e potremmo fermarci c guardare indietro con lo sguardo rivolto al pas­

sato dello storico.

Alla luce di queste dichiarazioni conclusive, posstamo pmvare a interpre­tare le due epigrafi della Arcndt. la prima delle quali (citata anche nell'ultima parll: del "l'ost-scriptuin" a !'cnsorc) dice: "La causa dci vincitori piacque agli dci. ma quella dci 1·inti a Catone." l.:1 seconda tratta dal raust di (ìocthc. parte Il, atto V. 1ersi 11404-7. recita imecc cosi: "Oh. potessi ora qui. dal mio sentiero. espeller la magia . .' Disimparare gli scongiuri tutti 1 Se innanz.i a te. Natur:1. sorger potessi 1 irilmcntc solo.! Varrebbe a Ilor la pena di esser nato uomo in meno agli uomini." (Pnù prima di questi versi si legge: "Noch hab'iclt mich ins Freie nicht oekiimptl" "Ancor svincobrmi io non potct verso l'immensità di liberi orinon­~1" Il 1crso deve quindi essere letto secondo le intctl/ioni generali gi:ì descritte :tll"inizio di questa sezione.) l 'importanz:t della prima epigrafe arL'ndti:ma do­Hd1bc essere chiara: l "miracoli" della storia procurano un "piacere'' disintcn;s­sato allo spettatore della storia. Si puù pensare a quegli episodi di storia polttica. tutti st(lrtunati. nei quali brillava Lkbolmente un barlume di speratva: i! consiglio rivoluzionario della ( "omune di Parigi dd l X71, i sm•iet.1· russi del 1905 c 1917. la H ii te tedesca c ba v arese del 191 X-1919. la sommossa ungherese del 1956. tutti episodi ricordati volentieri dalla Arcndt.'' Fra questi momenti "miracolosi". liberi c indcscrivihili. possiamo citare, anche se condannata fin dal principio al fiJlli­mento. la resisten/.a del ghetto di Varsavta: "'l'<essuno di noi uscirà vivo da qui.

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Non stiamo combattendo per an:n.: salva la vita, ma per la dignità umana."'" La A.rcndt, lo spettatore che giudica lo storico, il poeta, il pubblicista salva questi eptsodt straordman dall'oblio della storia, rendendo così un po ·di quella dignità umana. che sarcblK comunque negata ai sostenitori di queste cause perse.

Eventi di questo genere possiedono ciò che la Arendt, con Kant. chiama "validità esemplare". Prestando atknzionc al particolare i.fl/U particolare, nella forma di un esempio, lo spettatore che giudica puù rischiare l'universale senza però ridurre il particolare all'universale stesso. L'esempio può assumere signiti­catu umversalc mentre mantieue la sua particolarità, cosa che non accade quando il parlicolare serve semplicemente a indicare una "tendenza" storica. Solo in tal caso si può sostenere la dignità umana.

Nello stesso modo, ot1ì·o un'esegesi della seconda c più elusiva epigrafe. Ciò che hanno in comune le due cpigrati l: l'interesse per il valore o per la dignità umana. E impossibile interpretare il verso tedesco con una certa fedeltà, ma cerco tuttavia di restituire il signilìcato che aveva per la Arcndt: Il valore o la dignità dell'uomo esigono la ritml7ione di quelle che ne !"a l'ila della mente sono ~hiJ­matc "le h1llacic mctatisiche" di cui il pericolo peggiore è rappresentato dall'idea metafisica deiiJ storia. Il giudi1io è reso non dal destino collettivo dell'umanitù ma dall'"uomo singolo" che come spettatore giudicante è per natura libero da sogni e illusioni mctafisichc. Il suo giudizio è più decisivo per conferire ccrtcna alla dignità umana che il detìnìtivo compimento della storia. come avevano pre­Visto Hegel c Marx.

Vediamo se possiamo iniLiare a porre "Cìiudicare"' nel contesto dc La l'ila della mente intesa come un tutto organico che ci f(mlisce alcune indic<uioni sul suo stgnllìcato nella struttura complessiva della lilosotia arcndtiana. Il lavoro dL·lla Arendt intitolato 7he !fuma n ( 'mulition è ingannev·olmentc chiamato l'iw uctn·a. dal momento che dfettiv·mm:ntc si occupa solo parzialmente della con­di/tone umana. Veramente t'ula stessa Arcndt a chiamare Vita acl i l'a quest'opera, nscrvamlo l'altra mt:tù della condizione umana. cioè la vita contemplativa. come soggc~tto per una trattazione successiva.'' C)uando tinalmcntc la Arcndt ritornò sul suo progetto ini;iale nell'ultimo lavoro. sostituì a l'ila cmllcmt'lati\'11 il ter­mine ptù )!Cnerak "vrta della menlc"". Ma il tema della volontù. cosi come quello delle li1coltà di pensare L'giudicare. )!Ìacchè si dice che sono attività mentali pro­pnc dtognr uomo. nega le prcrogJtÌv'e esclusive precedentemente godute dagli uon11n1 contemplativi della tilosotia c della metalisica. La l'ila della mc11 1e è co­struita sul modello dellc tre cntiche kantianc, secondo cui la contemplazione aveva cessato di essere il parametro ultimo dcii 'esistenza umana. La riflessione profonda. la speculazione. il proporsi domande a cui non si può rispondere c la n cerca di senso. non sono monopolio del!" uomo contemplativo, così come è con­cepito tradizionalmente, ma si estendono alla totalità umana. fino allo si(Jrzo del l 'uomo che escrctta le sue proprie facoltà. Così la domanda che si pone la

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Arendt ne /"a \'ila della mcnlc è questa: Quali sono le attività umane caratteristi­che o le làcoltù della mente'.' C)uali sono le possibilità, le capacità e le potenzialità naturali del pensiero, della volontù c del giudizio da parte dell'io. cosi come sono

dischiuse dalla fenomenologia della vita mentale'' Come T/w Human Condirion, anche La \'ila della mente fu concepita come

una trilogia di cui "(iiudicarc" costituiva la terza parte, dopo "Pensare" c "Vo­lere··. È i~nportante quindi comprendere e considerare le relazioni che intercor­rono tra le tre parti dc fAI l'ila della mente. Per la Arcndt le tre attività mentali sono autonome, thlll solo una rispetto all"altra, ma anche rispetto alle altre fa­

coltà mentali."'

Pensare, volere c giudicare sono tre attività spirituali fondamentali: non si possono dedurre l 'una dal l 'altra c sebbene posseggano certe caratteristiche co­

muni non si possono ridurre a un comune denominatore.

Ho dclìnito fondamentali queste attività della mente perché sono autono­

me: ognuna di esse obbedisce alle leggi, inerenti all'attività di se stessa.

In Kant è la ragione con le sue "idee rcgolatrici" a venire in aiuto del giu­di,-:io: ma se è wro cbc si tratta di una verità distmta dalle altre f~1coltà della men­te, si dovrà attribuire il suo autonomo modus openwdi. un proprio, specifico

modo di procedere."

L'interesse della Arendt è soprattutto quello di aiTcrmarc l'autonomia di quesk attività di fronte all'intelletto, pcrchè subordinare il pensiero, la volontà c il giudi/ÌO alla cognizione intellettiva dell'io significherebbe non distinguere la lihcrtù di pensare. vokre e giudicare. Nel volume !'c!l.llll'<'. tale autonomia è asserita mediante la distirvione tra verit;ì c signilicato. Nel volume 1(,/ac. è rag­ciunta attraverso la contrapposi/ione tra Duns Scolo c Tommaso d'Aquino. at­~ribucndo al primo una conosccn;a più penetrante dL·Ila i"cnomcnologia della volontù del secondo. In quello che io presumo sarebbe stato il valore di Giudi­care, lo stesso obiettivo sarebbe stato rag)!itmto riaiTcrmando la dicotomia kan­ttana tra il carattere non cognitivo del giudi1.10 ritlcttentc c la fun;ione cogniti1·a del!" intelletto. C)ucsto spiega perché la /\rcndtnella parte li naie di f(J/ere a l'l'enna che un'analisi della litcolt~\ di giudi1io ""puù almeno dirci che cosa sia implicato nei nostri giudi;i "mi p tace" o "non m1 piace". Inoltre la stessa Arcndt t;t notare come in ncssnna delle due parti della Crilim del Ciiudi~ù, Kant parli dell'uomo come essere cognitivo: '"l.a parola verità non v t compare".''' /\Ilo stesso modo scrive che le proposÌ/.ioni cognitive '"propriamente non sono giudizi"'.''" Il giudi­/io presuppone la rapprcscntazionc. non di ciò che conosciamo, ma di ciò che sentiamo. C)uesta considerazione è chiaramente in conflitto con alcune delle sue

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prime f(mnulazioni.ln pariicolare c'è un passo curioso in "Che cos'è la libertà')" dove è scritto che l'azione consiste nella relazione tra volontà, giudizio c intel­letto così formulata:

"Il fine dell'azione è variabile a seconda delle mutevoli cir­costanze del mondo: saper riconoscere un fine non i: una questione di libertà, bensì di giudizio giusto o sbagliato. La volontà, come fa­coltà umana a sé, distinta dalle altre, segue il giudizio (conoscenza del giusto fine) e ne prescrive l'esecuzione. Il potere di comandare, di dettare l 'azione, non è questione di libertà ma di forza o debolez­za. Nella misura in cui è libera. l'azione non è sottoposta alla guida dell'intelletto né ai dettami della volontà (anche se ha bisogno del­l'uno c dell'altra per porre in esecuzione qualsivoglia obiettivo par­ticolare)".'"

Secondo questa considerazione è l'azione. c non la volontà. a essere libera, c il giudizio è associato all'intelletto (com'era per l'Aquinate). Nella successiva fònnulaziune invece. vulontù c giudizio sono entrambe da considerare libere il che. per la Arendt, signi lì ca non subordinate all'intelletto.'"

Il Giudicare (o quello che riusciamo a ricostruire di esso) è intimamente legato al Pensare c al Volere. Tutti c tre sono in stretta rcla7ionc con i concetti di tempo c storia. Il concetto-di-tempo in l'cnsarc è ]'"eterno presente"; in I!J!crc priv ilcgia il futuro.'" La crescente influl'nza della volontù (così come è docu­mentata da l kidcggcr) origina il concetto moderno di progresso storico. che ;li­tcrnativamente minaccia la fiJcoltà del giudizio. perché il giudizio dipende 1b una genuina rcla7ionc con iltwv.mlo. Nella 1111sura in cui cogliamo u1n nozione di progresso dcll'umanitù c quindi subordiniamo il particolare (l"evL·nto) all'uni­versale (il corso della storia). in quella misura abbandoniamo la dignitù che 1k­riva dall'atto di giudicare il rarticolarc in se stesso. separato dalla sua relazione con la storia universale dell'umanità. (Ìò in questo contesto che la Arcndt invoca la nozione kantiana di validitù esemplare. dm-c !"esempio illustrala gcncralitù senza rinunciare alla particolarità.)

Da una prima kttura. non è tlrcilc distinguere come possano essere associati i diversi temi presenti nelle rc:::ioni su Kwzt. Analizziamo un "altra volta le ultime parole del manoscritto. Credere nel progresso signi li ca che ··non vi è alcun punto dove potremmo fermarci c guardare indietro con In sguardo rivolto al passato proprio dello storico." Perché le lczioni della Arcndt si interrompono proprio qui'' Le ritle>sioni della Arcndt si erano semplicemente in/erro/le qui. c avrebbero tèlr": dovuto essere riprese in Giudicare' O si può stabilire una celata cm:rcrua che permette di considerare tutto questo come un punto d'arrivo naturale c di supporre che l'ultima versione sarelJbe llnita con una nota simile') Ritengo che,

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se si leggono attentamente le ultime righe di Pensare, la stn.:tlura interna di Giu­dicare acquisterà chiarezza c renderà perfettamente il senso delle ultime righe

della versione disponibile. Nel "Postscriptum" a Pensare, la Arendt scrive:

Alla lìne, ci ritroveremo solo con l'unica alternativa possibile in tali questioni: si può affemmre con Hcgel: /)ie JiVeltgeschichte ist

das Wcltgerichl, lasciando che sia il successo l 'ultimo a giudicare, oppure si può sostenere, come Kant, l'autonomia della mente degli uomini c la loro dipendenza virtuale dalle cose così come sono o co­

mc sono diventate. A questo punto dovremo occuparci, del resto non per la prima

volta, del concetto di storia .. [Lo] storico omerico è il giudice. Se il giudizio è la t~rcoltà che in noi si occupa del passato, lo storico è l'indagatorc curioso che, raccontandolo, siede in giudizio sopra di esso. E se così, è forse possibile riscattare la nostra dignità umana, strappandola, per cosi dire, a quella pscudo-divinità dell'epoca mo­derna chiamata Storia, senza negare l'importanza della storia, ma negando il suo diritto a costituirsi giudice ultimo. Catone il Vecchio. con il quale sono cominciate queste riflessioni (""Non sono mai meno solo di quando sono con mc stesso, non sono mai più attivo di quan­do non f~rccio nulla") disse una frase singolare che compendia nel modo più adeguato il principio politico che è implicito in tale opera di riscatto. Egli atlcnnava: ·· Viclrix causa deis p! acuii, scd vieta Ca­toni" (La causa dei vincitori piacque agli dci. ma quella dci vinti a

C'atone).''"

Per la Arcndt, l'alternativa ultima nella decisione della teoria sul giudi.-'io i: quella tra Kant c H egei tra l'autonomia c la storia (con la clausola che Kant stesso etTcttivamentc vacilla tra queste alternative).'" Ogni concetto di giudizio è in definitiva legato a un concetto di storia. Se la storia è progressiva, il giudizio è rimandato ind~fìnitamcntc. Se la storia ha una conclusione, l'attivitù di giudi­care è preclusa. Se la storia non è progressiva e non ha una conclusione, il giu­dizio contribuisce allo storico preso singolarmente, colui che cont(;ri-,ce

signiiìcato agli eventi particolari o alle ""storie"' del passato. Il ··rostscriptum" indica che le lezioni su Kant ri1lcttono la struttura, orga­

nicamente intesa. di Ciiudicare. dal momento che porta alla luce l'ultima desti­nazione di Giudicare c cioè un ritorno al concetto di storia e che, inhrtti, si ritrova

proprio nella parte conclusiva delle /,('::.ioni su Kant.

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g. Quntioni critiche

Nei paragrafi prececknti ho tentato di dare un senso alla struttura interna delk riOessioni della i\rendt sul ··glltdizio". Ora vorrei confrontare alcuni pro­hlcmi in modo da illustrare la via per una \·alut<t7ione critic<t. l'rima di tutto, rias­sumiamo gli clementi essenziali del contnbuto kantiano alla teoria del giudi7io politico. Per cominciare. esiste la distin,;ionc tra giudizio riflettente c ~iudi~:1o determinante cos1 come 0 llmmliata nell'introdtuione alla ( 'riticu del (;iudi::io

c riscontra bile anche nella l.ogica di Kant. In secondo luogo ci sono i concetti di lmgo modo di fJCIISill'c, disinteresse. sensus conununi.1. ccc. sviluppati nella ··cri­tica del giudi7io estetico", specialmente nc1 paragrafi J'J c 40. In tcr7o luogo, la not.ionc dello spettatore, come emerge dalla discussione sulla rivoluzione fran­cese n l'i Conf/ilto delle /iu·olliì (l'arte l l): questo concetto d t spettatore appare anche nelle Ossancioni sul sentimento del !w/lo c del suhlimc c anche altrove. Quarta. osscrva7tone, una disquisi11onc piuttosto lunga sul gusto sociale è con­!J:nuta neii'A11tm;wlogia da 1111 f>llnto di 1·ista l'ruglllalico, un 'opera che contiene anche un ';mal i si dcttagl iata del k li1eoltù cognitive della ragione. del la compren­sione c del gtudizto c un comtm'nto sulla distinzione fra intelletto c eiudi1io. mutuata poi dagli empiristi inglesi. ()wnto punto, la no/ione di "'uso ~1ubblico della ragione" che è la più chiara espressione di ciò che si puil trovare nel breve saggio ('/w cos'è l'lllu111i11ismo:1 1-. t n fine, esistono tnoltt appunti di Kant sul giu­duto sparsi in altri lavon. come il saggiu su fi'orio c J>mticoe· il trattato l:'duco­~Ìollc. ()ucsll' sono quindi le fòntt per approllmdin: la teoria kantiana del giudizio politico. Ma sorge una domanda: K<tnt 0 davvero l'unica, o pn lo men;, la mi­gliore' fonte per una teoria del giudi/io'' L ti giudi/io è la sola irriducibile o ··au­tonoma" fitcoltù quale la /\rc:ndt crede che sia, tanto da rivolgersi solu a Kant per darne spi,:ga~:ionc·J Oppure questo termine copre una vasta gamma di possibilitù, fruibili in molti modi''

Pri111a di d<tre' una risposta a qul·ste domande, prendiamo in consider~l/ionc la teoria del giudizio contenuta nella Critica del Giudi~io. La koria kantiana i: difficile c a volte la~:cia perplessi, ma la tratta7Jone del giudi/.10 estetico considera approssimativamente le seguenti questioni: Tutti gli esseri umani pm,sicdono due fì1coltù. quell~t dcll'immagina;ionc c quella della comprensione. La liKoltù del­l'immagina/ione' corrisponde al senso di libcrtù; la fitcolt:ì di comprensione cor­risponde al senso di conlòrmita-al-ruolo. ()uando ci rappresentiamo la tùnna di un oggetto estetico attraverso 1111 atto che· Kant chiama di ""riilessione" (opposto all'immediato apprendimento dell'oggetto), certe ntnìgunl/ioni t(mnali dc:lla rapprcscnt<llionc portano queste due litcoltit ad armoni; /are tra loro, c questo genera nel soggetto un senso di piacere. Così il giudi,;io del gusto, opposto a quello del senso. i; ""ritkttenll"". percile mentre si rikriscc alla sensa~ione di pia­cere c dispiacere evocata nd soggetto. questo ptacere sorge da una rappresenta-

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zionc di secondo ordine che non è limitata a esperire l'oggetto come immedia­tamente piacevole, piuttosto "ri-flette". o ritorna sopra l'oggetto della nostra cspericn~:a. Il piacere su cui i: basato il giudi~:io estetico è un piacere mediato, o di secondo-ordine, perché scaturisce dalla riflessione: non è gratifìcazione im­mediata. Siccome tutti i sot!gctti umani possiedono le due t~1coltà la cui relazione armonica causa l'ascesi a questo piacere, possiamo aspettare che altn siano ca­paci dd la nostra csperien;a di dare f(mmt estetica. cosi come noi possiamo pro­var<: a proiettarci nella loro esperienza. Questo non significa naturalmente che dobbiamo aspettarci che gli altri vogliano approvare i nostri giudin. ma signi1ìca solo che dm-rchhero. se eliminassero le contaminazioni esterne e si sforz.asscro, come è richiesto. a considerare l 'oggetto da altri punti di vista. Per Kant non è necessario trovare alternative reali al giudizio. perché possiamo riflettere su po­tcn;iali punti di vista alternativi usando l'immagi/l(cione. Immaginiamo come ap

1)([rirchhem le cose da altre prospettive, senza averle realmente di honte. Que­

sto ricorso al "largo modo di pensare" fallisce quando non siamo in grado di li­bcrarci dalle "limita7ioni che sono attinenti in modo contingente al. nostro proprio giudizio."'"' In altre parole. il fidlimcntP dell'immagin;vionc estetica è provocato dall'immersione in ··Interessi empirici", in cui il giudi;io, del. gusto

i; sopraft:ttto dal giudi1io del senso, o semplice gratilìca;ionc. Si può obiettare che questa considcr;vione sembri eccessivamente f(mllak

c appaia indirizzata solo a una espericn7.a estetica molto ristretta (essendo più appropriata, per esempio, alla scul!ura, alla pittura che al dramma; alla poesia che alk altre tlmllC letterarie. come il romanm; alla f(Jtogratia che al cinema). ma questa obic;ione svanisce quando la nozione v iene considerata alla luce delle l"·o1wste f(,rmulatc dalla critica kantiana del Cìiudizio. Kant si interroga sulle condiz.ioni ddla 1wssihile mliditrì del giudizio estetico. Formula la domanda chiedendosi: in certe occasioni esprimiamo giudtzi estetici validi, cmn 'i• l'ossihile

tu/lo <fUCsto:) E risponde: ··si pretende al consenso di ognuno, perché si ha per tale esigenza. un principio. che i; comune a tutti.""' La specificazione di questo principio comune richiede un'analisi particolarmente t(mnalc sulle facoltù co­onitivc umm~<: (sebbene il gusto non sia considerato da Kant come una litcoltù ~ognìtiva, sìccdnlc si rifcris~c non a ciò che conoscianlo, n1a a ciù che scntian1o).

A patto che: possa mostrare alcune basi per giudizi distinti (conHillLJUe formali), sani riuscito ad assicurare un tlmdamcnto trascendente alla possibile validitù del giudi;io del gusto. Il li1tto che alcuni dci nostri giudi,;i opc:rino in una maniera abbastan/a diversa, non contraddice in alcun modo c non è incompatibile con il

progetto di K~mt di legittimare le pretese del gusto. In breve. Kant offre un'interpretazione altamente fom1alizzata del signiii­

cato di giudizio, perché non ha a che !~tre con le coniigurazioni di questo o quel giudi 7 io. ma piuttosto con le condi7ioni universali della possibile validit;1 dci

nostri giudizi. L'idea di applicare una tale interpretazione alla politica è piuttosto

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curiosa, tuttavia non del tutto inintelligibile. Gli eventi politici sono pubblici c si presentano all'attenzione del fruitore, e costituiscono un regno di apparenze adatto alla riflessione. La politica, interpretata fenomcnologicamentc, evoca sia la libertà immaginativa, che la contònnità-al-ruolo della comprensione. Una teo­ria formale come questa, può essere considerata insufììcientc per la concettua­lizzazione di un giudizio politico, ma di sicuro stimola molto il pensiero successivo.

Consideriamo ora le ditrìcoltà. In prima istanza, nelle considerazioni kan­tianc, si può notare l'assenza, per un verso, di una qualsiasi attenzione al genere di conoscenza coinvolta nel giudizio e, per l'altro, di specificazioni sulle capacità epistemologiche che qualitìcano l'uomo come essere capace di giudicare l'intera dimensione del giudiLio che associamo con la nozione di prudenza. In nessun punto della discussione sul giudizio in Kant, troviamo un interesse per l'espe­rienza, la maturità c la sana abitudine, che sono state tradizionalmente considerate come il segno della saggezza pratica dell'uomo d'azione. La prudenza rimaneva esclusa dalla ragion pratica, per ragioni strettamente collegate alla fìlosofìa mo­rale kantiana. Sebbene la sua filosofia morale c quella politica siano sotto molti aspetti in una tensione reciproca, il rifiuto di Kant per quanto riguarda la prudenza si estende al suo pensiero politico, con la conseguente svalutazione dell'espe­rienza a causa dello scarso rilievo che riveste nel giudizio politico, sulla base di una considerazione che allontana la politica dalla ricerca della felicità empirica c la avvicina ai diritti evidenti-in-sé e indiscutibili-"' Concepisce inoltre la pru­denza come un insieme di regole tecnico-pratiche di arte c abilità in pmiicolarc. regole che governano l'abilità coinvolta nell'esercitare una certa influenza sugli uomini c nella subordimvione della loro propria volontà-"'' Così classi1ìca questa t:1coltà tra quelli che chiama "imperativi ipotetici"; per esempio: se io voglio raggiungere un certo scopo, la prudenza determina i mezzi strumentali attraverso i quali posso raggiungerlo. In termini kantiani; è una capacità quasi-tcoretica, non genuinamente pratica, c sc:rve a ridurre la prudenza a /echnc. in senso ari­stotelico. La pnrden::a, come si può ricordare, era il termine latino usato dal­l' Aquinate per la parola aristotelica phmnesis (che, a diffcrcn/a della semplice lechne, comprende la piena dimensione della riflessione etica c la determinazione dci tini umani). Così, se vogliamo esaminare l'cftlcienza della teoria kantiana del giudizio, dobbiamo rifarci al Libro VI dell'Elica Nicomachca di Aristotele, perché è da lì che dobbiamo partire per trovare l'origine del termine pruden/a 0

phroncsis. Abitualmente tradotto come "saggezza pratica" phmnesis è il punto focale del Libro VL attorno al quale gravitano tutti gli altri concetti in discussio­ne: episteme. lechne, nous, sophia. epislcme politica, deliberazione, compren­sione, giudizio, are/,;, c con cui sono correlati per mezm di paragoni c di contrasti.

Il confronto di Aristotele con Kant nasce da alcuni interrogativi molto pro­tondi, che possiamo così riassumere: primo, lo spettatore può possedere il mo-

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nopolio del giudizio, oppure anche l'agente politico esercita la facoltà del giudi­zio'> E se sì. come è distribuito il carico di giudizio tra attore e spettatore'? Se­condo, il criterio decisivo per giudicare è il disinteresse o ci sono altri criteri ugualmente richiesti, come la prudenza'? Questo si collega al problema teleolo­gico (in senso aristotelico, non kantiano) e alla relazione tragmd!Zlo estetico c giudizio propositivo. Kant, come abbiamo visto; considera Il gmdmo estetico come puramente contemplativo, separato da qualsiasi interesse pratico. DI con­seguenza, il giudi7io estetico non deve avere nessun/in<>: il ~iudizio estetico non deve riferirsi alla telcologia. Ma i giudizi poli/ici possono fare a meno d1 consi­derare ogni tlne pratico, e poi è coerente una così rigida concezione non te leo­logica d~ l giudizio politico? Questo dà adito a nuovi interrogativi. Per esempio. come è vista la retorica nell'ambito del giudizio politico, e la loro correlazwnc è necessaria'> Dal momento che Kant espelle la tclcologia dal giudizio di gusto, condanna la retorica perché corrompe l'estetica con la ricerca dci fini.""' Ma se la ricerca dci tini è inseparabile (c quindi costitutiva) dalla politica, opposta al giudiLio estetico, anche la retorica non è forse in una rclanone di tipo costitutivo con il giudizio politico'> Alcune delle riflessioni aristotellchc pm 1mportant1 sul giudi/io politico si trovano nel suo trattato sulla Rclorim; nuovamente CII.nter­roghiamo sull'cnìcicnza delle teorie kantianc. Kant esclude dal gusto ciO che chiama ··interessi empirici", come le inclinazioni sociali c le passioni. Porta come esempio le ""attrattive" dal punto di vista sociale."" Le attrattive, per Kant, non sono soggette al uiudizio estetico. che deve essere a priori e puramente formale, non un ~·rodotto~della pura sensibilità. Così l'oggetto estetico deve essere ap­prcn:ato per la sua t(mmi, al di lù di ogni sentimento di amore o simpatia che possa evocare. Similmente, il giudizio. secondo Kant, è una consideraziOne pu­ramente l(mnalc. inti1tti non ha nulla a che Eu-c con qualsiasi rclazwnc d1 comu­nit~\ (qui p~1rla ripctutamcntc dell'attività a priori del giudi/lo).'"-' Nel giudicare. la conllgur~vionc delle forme offerte alla rillcssiolll' mentale da un oggetto este­tico. cc;ca d consenso dcll'umanitù in quanto tale ( Intcs<I come una comunità l(mmdc uiudicantc), 1"' non quello di una socictù particolare. l.c nccessitù reali. le propo:te, i tini particolari dalla mia comunità sono irrilcvanti come il giudi;io degli altri. Queste conclusioni sO!Hl esposte con molto acume nella cntlca d! llans-Cìcon.> (ìadamcr all'estetica kantiana. Nella prima parte di f(,rillì c metodo. Cìadamer atfcnna che Kant ""dcpoliticiZ?a" l'idea di sensus communis. che nel passato ave\' a connotazioni politiche c morali. Secondo (ìadamcr il concetto kan­tiano di giudizio è f(mnak c ridotto c svuota la concezione più antica che ha radici m;nane . dal contenuto esclusivamente politico-morale che aveva avuto tino ad allora. Kant, cosL spoglia il ""senso comune" della ricchena che era con­servata nel suo siunillcato rom11no. Gadamcr cita come modelli kantiani Vico, Shalkshury c, sop~attutto. Aristotele. Per Cìadamer, dal punto di vista aristotelico. Kant ""intcllcttualiua" ilsensus communis,' ""cstcticiua" la t~Icoltà del gusto, che

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era stata precedentemente compresa come una facoltà socio-morale; circoscrive e delimita precisamente l'ambito di questi concetti, incluso quello di giudizio; c generalmente astrae questi concetti dalle relazioni della comunità. Così, se vo­gliamo ricercare altre possibili fonti della teoria del giudizio, possiamo assumere l'ermeneutica filosofica di Gadamer, che presenta una teoria del giudizio erme­neutico che evita Kant c attinge all'etica aristotelica, rappresentando una delle strade pcrcorribili più promettenti.

Come abbiamo visto, La Arendt asserisce quasi categoricamente che il giu­dizio non è una fi1coltà cognitiva.'"' Questo ci spinge a indagare se il giudizi; ri­flettente sia veramente non-cognitivo. o se inevitabilmente aspiri alla ricerca dd la verità. In contrasto con la teoria del giudizio derivata da Aristotele. la koria kantiana del giudizio politico non potrebbe parlare di conoscenza politica o di saggezza politica. Il pmbkma che sorge riguardo a questa esclusione della co­noscenza dal campo del giudizio politico. consiste nel fatto che tale esclusione rende impossibile parlare di giudizio "non-infLmnato" c distinguere tra le diverse possibilità di conoscen7.a cosicché alcune persone possono ;,sere riconosciute come più qualificate. c altre meno, a giudicare. Questo punto può essere elaborato in accordo con un'obiezione sollevata da Jiirgcn llabcrmas contro laArcndt nella sua intelligente critica La col/cc:ionc comunicativa del potere inflanllah A rendi:

La Arendt vede spalancarsi un abisso tra la conosccn/.a c l'opi­nione, un abisso che non può essere colmato con argomentazioni. "Hannah Arendt ( ... ) si mantiene fedele alla distinzione c!<Jssica tra teoria c pratica: la pratica si fonda su opinioni c convinzioni che non possono essere rigorosamente vere o fltlsc. ( ... )Una concezione an­tiquata della conoscenza teorica, basata .'ili intuizioni c certezze de­finitive, impedisce alla Arendt di cogliere il proccs;.o di raggiungimento di un'intesa su questioni pratiche come f(mn~uione di una volontù rarionalc. 111 ~

llabermas dimostra che la Arcndt, cercando di portare il discorso pratico ncll'iunbito del discorso razionale. ne nega b condizione cognitiva c perciù di­stmguc la conoscenza dal giudizio pratico. Il tentativo della Arendt di determi­nare un fondamento cognitivo per le credenze politiche (cosa che llabcrmas cerca di f~1rc) comprometten:boc l' integritù dell'opinione. Comunque non è chiaro co­me potremmo conferire significato a opinioni che non coinvolgono alcuna pre­tesa cognitiva (..: perciò. per implicazione, le pretese di vcrit~·~ che sono poterlLialmcnte correggihili) o perch~ dO\rcmmo aspettarci di considerare seria­mente opinioni che non hanno nessuna pretesa di veritù (o non esigono più vcritù di quella reclamata da opinioni alternative disponibili). Potrebbe sembrare che tuili i giudizi umani, inclusi quelli estetici (c certamente quelli politici), incor-

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pori no una dimensione necessariamente cognitiva. Una rigida dicotomia traco­gnitivo c noncognitivo, escludendo qualsiasi dimensione cognrtrva dal gmdrzro estetico, sembra negare l'elerm:nto "ritlcssivo" che sr nfcnsce anche éH gmdrzr cognitivi (gli clementi di arbitrio o "giudizio" in senso riflessivo~ rrch1csll per giudizi cognitivi problematici); sembra anche che ncgh1la dm1cns1one per cu1 ti giudiLio estetico dipende da diffcrenzianonr c mtumonr cogn1t1ve (come, per ~scmpio, quando il nostro apprcZJamento di un quadro è accrescmto dalla nostra

cono.\H'n~u del periodo al quale appartiene). . Kant. come abbiamo visto, offre una spiegazione nettamente tormale del

giudizio. Questo punto è accettabile finché ciò che cerchiamo è una dcdunone trascendentale della f~IColtà del gusto. Ma a un certo punto bisogna ch1edcrsr: cosa c'è nel contenuto dci fini c delle proposte degli attori politici c degli agenti storici di analogo al gusto cui riferire l'insieme dci fenomeni politici'' Cosa c'è ;1ci contenuto di un d~to giudizio che lo rende un giudizio informato, un giudizio alìidabile, un giudizio dettato dalla consuetudine, opposto ai giudizi che mancano di questi attributi'!'"" Che cosa realmente caratterizza qualcuno come persprcace

0 intelligente o responsabile nei suoi giudi:ri a parte le condmonr for~na!L dr

disinteresse c libcrtù dalle influen7.C estranee c dalle costrrzronr eteronome' Quali sono le condizioni indipendenti che ci permettono di riconoscere la saggezza e l'esperienza del soggetto giudicante e l'appropriatczza c la rilevanza nell'oggetto del giudi 7io'' Serva introdurre domande come queste, rl tentatrvo dr trasporre una teoria del giudi/.ÌO formale come quella kantiana in una teona del grud!Zlo politico. corre i1 rischio di trasl(mnarsi da una stima genuina ~elle apparenze po­litiche in quanto apparenze - in una cstetizzanonc rng1ustrl!cata della poh:rnL ì: a questo punto che la Arcndt avrebbe dovuto consultare Anstotcle,_ pere h c lu1 pone rcrmamcntc il giudizio in un contesto di fini reali e cl! mtcnz1onr d1 dclrbe­

raJ.ione politica, retorica c comunitaria. _ . _ Ci sono, come abbiamo avuto occasione di osservare, van problcmr kgatr

all'utiliZ/azionc della teoria kant1ana come unica l(mtc di quella del giudi110 po­litico. Comunque. a giudicare dalle ILmnulazioni più tarde della ArcndL rl suo obietti\ o non è certamente questo. Non asprra a l(mnularc una tenna del g1udl/lll politico. perché, come è concepito ma il problema, esiste unti sola lacoltù del giudi/io, unitaria c indivisibilc, presente in \·am: Circostanze -nel verdetto d1 un critico d'arte, nel verdetto di un ossen atorc storrco. nel trag1co verdetto d1 un narratore 0 di un poeta c la varietà delle circostaiv.e non ha rninimarnenll' a che lim: con il carattere o la lacoltù così come sono in sé. Da questo momento non c'è filColtà diversa che possiamo identificare, caratteristicamente. come giU­dizio politico; c'è solo un'ordinaria capacità di giudizio, che sioccupa ora dcglr eventi politici (o come direbbe la Arcndt, dci fcnomenr pohtrcr): Questo scopre una forte tensione fra le prime riflc,sioni dc ila Arcndt sul gllldizto (contenute m The Crisi.

1· in Culture. lhtth and Poli/ics c altrove) c ciò che sembra emergere

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come la formulazione definitiva. Nelle prime formulazioni troviamo discussioni sulla relazione del giudizio con il "pensiero rappresentativo" e l'opinione, che fanno supporre che il giudizio sia una facoltà esercitata dagli attori nella delibc­ntzione politica e nell'azione. (Questo aveva condotto la Arendt a definire il giu­diZio come "la più politica delle attività mentali dell'uomo", "uno degli attributi fondamentali dell'uomo come essere politico", la facoltà politica per eccellenza.) Ma questo approccio è implicitamente negato nella sua spiegazione più tarda. Abbiamo già detto che in "Che cos'è la libct1à'~" laArendt allinea il giudizio con l'intelletto o cognizione. in completo contrasto con la negazione d;finitiva che il giudizio sia una facoltà intellettiva del tutto cognitiva. Nelle lezioni inedite del 1965/66. la Arendt, definendo il giudizio come una funzione della volontà (iden­tificandolo con il/ihe'rum arhitrium. la "fìlllzione arbitrante" della volontà). andò nella direzione opposta. E in un 'altra occasione è giunta perfino ad afTcrmare che. "se questa f~tcoltà del giudizio, una delle facoltà più misteriose della mente umana, debba essere chiamata, volontà o ragione. o fòrsc sia IIIW tcr::a fàco/tà della mente, è ancora un problema da risolvere.""" Cosi arrivò a considerare il giudizio come un'attività mentale separata, distinta sia dall'intelletto che dalla ragione, solo gradualmente; c nel momento in cui aveva posto questa ter:1a al­ternativa, aveva dovuto riformulare la relazione tra giudizio c politica tra "'la vita della mente" e '"il mondo delle apparcn/e".

Il problema è se (c tino a che punto) il giudizio partecipa alla l'ifa ac!i1·a 0

se è confinato. come attivitù mentale. alla l'ila conlellljl/atim una sfera della vita umana che la Arcndt considerava, per definizione. solitaria, esercitata lontano dal mondo c dagli uomini. Questa incertezza tùndamcntalc circa le prospettive alle quali doncbbc appartenere il giudi/io. è risolta definiti\ amen te dalla i\rendt solo attraverso la nega/ione di alcunL' sue più vaste considcnuioni sul giudi/io. Da un lato tenta di integrare il giudi;~io nella I'ÌIII 1/ctil'il, considerandulo come una fìnl/ione del pensiero rappresentati\·o c del largo modo di pensare degli attori politici. che '.i scambiano opinioni pubblicamente mentre sono impegnati in di­battiti comuni. Dall'altro vuole CIJbtinan: la dimensione disinteressata c con­templativa del giudi;~io. che opera rctr,>Spetti\amente, come il giudi/io estetico Il giudi;~io. nell'ultimo senso, è posto csclusiv:uncntc nell'amb17o della vita dcii:; mente. La Arcndt risolve la questione opt:mdo interamente per qucst 'ultimo con­cetto. L'unica h1sc in cui l'esercizio del giudizio di\enta dlicacc in senso pratico. o rilevante. è nei momenti di crisi o di emergenza: il giudi/.io "'può prevenire ca­tastrofi. almeno per mc, nei rari attimi in cui la posta t; in gioco". Al di lù di questi '"rari attimi". il giudizio appartiene alla vita della mente. la comunione della n1en­te con se stessa in riflessione solitaria.

Così il giudizio rappresenta un punto di tensione tra la l'ila ac/il'(t c la 1·it11

contemplatim (un dualismo che pervade l'intera opera arendtiana). La Arendt cerca di oltrepassare questa tensione ponendo dircttame11te il giudizio nella sfera

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della vita della mente, tuttavia questa resta la facoltà mentale più vicina alle at­tività mondane dell'uomo e (dei tre poteri mentali) mantiene il più stretto contatto con queste attività. Aderendo a questa ferma distinzione tra attività mentali e mondane. la Arendt era costretta a espellere il giudizio dal mondo della l'ila ac­tiva, con il quale il giudizio ha una aftìnità naturale. L'esito della sua riflessione sistematica sulla natura del giudizio portava così a un concetto limitato dt gtudt­

zio (e forse meno ricco ). 111' Torniamo così al punto di partenza e ci chiediamo di nuovo: Kant è l 'unica

fonte di questi interrogativi? È Kant ad aver scoperto "Una facoltà umana inte­ramente nuova"'"" prima sconosciuta? No. a meno che non si interpreti la facoltà del giudizio in modo così limitativo da dover ammettere l'esistenza di un pen­satore in condizione di aver formulato una teoria del giudizio identica a quella kantiana come se l'avesse conosciuta ante /ittcram. A volte, comunque, la Arendt stessa è propensa ad ammettere che Kant non aveva il monopolio esclusivo in

questo campo. In particolare, nella Crisi della cultura fa risaltare come Il neo~ noscimento del giudizio come capacità politica fondamentale dell'uomo s1 bas1 su "intuizioni praticamente antiche quanto l'elaborazione concettuale dell'espe­

rienza politica. 1 Greci chiamavano questa Ùtcoltà ippòv'lmc; considerandola virtù primaria dell'uomo politico da contrapporre alla sapienza del filosofo". Alla nota 14 che accompagna questo testo. osserva: "Aristotele nel libro VI dell'F.:tica Ni­comachca laddovc in modo esplicito contrappone la intuizione dell'uomo di stato alla sapienza del filosofo segue. come fa abitualmente nelle sue opere politiche, l'opinione corrente tra i cittadini ateniesi"."" Ma poiché la stessa Arcndt c pro­pensa ad ammettere che Aristotele olTre un approccio alternativo alla Icona del giudizio, la nostra domanda diventa anche più urgente. Dobbtamo chJcdcrcJ per­:hé si ispirava unicamente a Kant quando cercava di esplorare il tema del giudi­zio (supponendo che non si possa pensare il contrario, cioè che propno la sua costante atten/.ionc per Kant l'a\eva portata ini/ialmcntc a interessarSI del gtu­

dizio; cosa che, naturalmente, è piuttosto probabile). Nessuno ben inf(mnato sull'opera della Arcndt può f~trc a meno di apprez­

zare come Kant abbia prot(mdamcntc intluen7ato il suo pensiero. Non è stato solo la t<.mtc dalla quale ha attinto la teoria del giudizio: è stato il suo unico c vero precursore dal momento che la Arcndt ha visto in Kant colui che ha incar­nato la sua concezione della sfera pubblica. Per comprendere come la Arendt po­tesse vedere un'anticipazione delle sue conccLioni politiche negli scritti kantiani sul giudizio. dobbiamo ricordare che. per la Arcndt. la politica è un modo di giu­dicare le apparenze c non le intenziOni. f~ per questo che riesce ad assimilare il

giudizio politico a quello estetico. In questo modo non è un caso che la Arcndt ~i rivolga all'estetica come un modello per il giudizio politico. lntàtti. dal mo~ mento che entrambe riguardano il mondo delle apparenze, la Arendt aveva gta ammesso una certa aftinità fra arte c politica. E scrive: "Mai nell'opera di nessun

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altro fìlosof(l il concetto di apparenza ... ha giocato un ruolo così decisivo c cen­trai<: come in Kant".''' Da questa considerazione ne segue che per la Arendt Kant

aveva anche un unico concetto di essenza della politica. In una precedente versione delle lezioni su Kant ( 1964 ). la Arendt ammette

che. a causa dci vecchi pregiudizi secondo i quali la politica si occupava di go­

vernare o di dominare. del proprin interesse, dci mezzi c così via. anche Kant stesso non si era accorto che la ( 'ritica del (;iudi::.io apparteneva alla filosofia

politica. Ma nel nostro interesse verso il giudl7io, la Arcndt pcnsa che ci liberia­

mo degli antichi prcgiudizi sulla politica: "L'accordo sociak si fonda su un mo­dello di convivenza !consenso nel giudizio. gusto in comune·! secondo cui

nessuno govcrna c nessuno ohhcdisce. Sccondo cui la gcnte si persuade a vicen­da." F poi ancora: "Non è per negare che l'interesse c il potcrc c il governo ... smno molto importanti c anche concdti politici centrali ... La domanda è: Sono

concetti f(mdamcntali o sono derivati dalla v·ita-in-comunc che sgorga da sé in una fonte diversa'' (( 'ompagnia-i\z1onc )." 11 '

La i\n:ndt pensa che noi siamo p iLI propensi a rivolgerei a quest'altra j()ntc che attraverso un'opera il cui tema specilico è '"l'apparcll/a come apparen 7 a",

che a concentrarci sui lavori che rappresentano la tradizione della filosofia poli­tica:

La ('riti ca del (iiudi::io è l 'unica grande opera l kantiana J dov c

il punto di parten/a risiede nel Mondo c nei sensi c nelle t~Jcoltù che rendono gli uomini adatti ad abitarlo. Questa. f(nsc, non è ancora ti­

losolia politica. ma certo ne rappresenta la conditi o sil7e tfllil 17017. Se s1 potesse trovare che esiste, tra le qualitù c tra gli scamhi reciproci

c tra i rapporti dcgli uomini unit1 dal comune possesso di un mondo (la terra). un principio 11 f'l'iori. allora si proverebbe che l'uomo è un essere politico.'"

Ora possiamo fare Ull<l pausa: considerare un punto che, f(lrsc, è il più f~t­

cilmentc criticahile di tutta l'opera arcndtiana, scbhcnc non la riguardi in modo

diretto: il problema d<t porci è questo: la Arcndt interpreta troppo lihcramL'ntc i testi kantiani'' F. innegahilc l'agilitù con la quale la i\rendt sì muove fra le opere dt Kant estrapolando dai suoi scritti i passi che più si adattano ai suoi scopi. Nelle luioni sulla filosofia politica kantiana, infatti. non c'è alcun rikrimento

alla ( 'ritica della ragiol7f'rtJiicll. 11 " In llll saggio giovanile arriva a dire che '"si

può vedere da tutti i suoi scritti politici che per Kant stesso il tema del «f.:iJJdi­zim> è prcponderantc, più che quello della «ragion pratica»."''' Gli scritti di

Kant sulla storia sono discussi in un'analoga prospettiva sulla base di un prc­gllJdJzJo asserito più volte dalla i\rendt secondo cui Kant non è da considerare un fìlosof() della stori<L 11 '' Ovviamente, questa facilitù d'approccio agli scritti

184

kantiani è, in un certo senso, deliberata, dal momento che l'allermazionc che Kant non avesse una filosofia politica vera c propria: senc a giustifìcare il ten­

tativo della Arcndt di ricostruire la tìlosofia politica inedita di Kant. Pensa che Kant ahbia trascurato le potem:ialità di sviluppo della filosofia politica latente

nella Critica del Ciiwli::.io, e forza le teorie contenute in questo lavoro per svi­lupparnc le potenzialità. Nell'attribuire minor importanza alle suè opere politi­

che seri l/c (favorendo quel versante della tìlosofia politica che non venne mai scritto). la i\rcndt può avere sottovalutato l'importan,-:a delle tesi di filosofìa

politica che Kant scrisse dm·1·ero. Infatti la versione kantiana del libcralismo gode attualmente di una fama sempre maggiore fra i tìlosoti di stampo liberale (.Ioim Rawls c Ronald Dworkin ne sono gli esempi piÙ autorevoli. Comunque

nel porre questa ohiezionc dohbiamo considerare che la stessa i\rendt. più inte­

ressata alla ricerca filosofica che al rispetto del testo, sa hcnissimo che la sua è una lihcra interpretazione dci testi kantiani.''' r: quasi pronta ad ammettere che

non era interessata all'ejfi'llil'll lilosofia politica kantiana. ma alla tìlosofìa po­litica che Kant avrcbhc potuto scrivere c che di sicuro avrchbe sistematicamente

sviluppato.'" Non c'è nulla di intrinsecamente hiasimevole in questo modo di procedere. anche se è chiaro che questa impresa non è corretta da un punto di vista esegetico. Come nota llcidegger nel suo scritto su Kant: "In contrasto al

metodo storico-lilosotico. che presenta i suoi problemi. un dialogo tra pcnsatori

sottostà ad altre leggi.""'' Da ciò che ho citato più sopra, dovrchhc essere più chiaro che la Arendt si

sarehbc rivolta immediatamcntc c più naturalmente a Kant per conti·ontarsi con il problema del giudi;~.io. Ma un'altra ragione, forse più sottik, può suggerire il

motivo per il quale Kant ha dominato le ritkssioni sul giudizio della Arendt. Il punto nodalc del compksso problema della f~tcoltù del giudi;~io si ritrova in un

unico passo della Vita actim:

Dove l'orgoglio umano è ancora intatto, più che l'assurdità è

la traf.:icitit che caralteriZ/.a \'csistcnz.a umana. In questo senso ilmas­sinwcrappresentantc è Kant, per il quale la spontaneitit dell'agire c

le l~tcoltù concomitanti della ragion pratica. compresa la facoltù di

giudicare, restano le qualitù superiori dell'uomo benché la sua azione ricada nel determinismo delle leggi naturali c il suo giudizio non sia

in grado di penetrare il segreto della realtà assoluta.""

Il giudizio umano tende a essere un giudizio tragico. f: continuamente a

confronto con una realtù che non può mai pienamente conoscere. ma con cui deve comunque riconciliarsi. La Arendt trova in Kant un'unica espressione del­

l'essenza tragica associata al giudizio. Questo ci aiuta anche a capire perché l'im­magine dello spettatore è così centrale c perché solo lo spettatore giudicante deve

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Page 92: Hannah Arendt Teoria Del Giudizio Politico - Lezioni Su Kant

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sopportare il peso del giudizio. Nella storia, come nel dramma, solo il giudizio retrospettivo può riconciliare l'uomo con la tragedia:

~ossiamo vedere, conAristotcle, nella funzione politica del poeta, l azwnc d1 una catarsi, d1 un 'opera di purificazione di tutte quelle emoz1om che potrebbero trattenere l'uomo dall'agire. La funzione politica di colui che narra. · sia esso uno storico o romanziere- è di far accettare al suo pubblico le cose così come sono. Una volta ac­cettati i tatti in base al criterio di verisimiglianza, interviene la tàcoltà di giudizio.'"

Il giudizio politico procura all'uomo quel senso di speranza che lo aiuta a confrontarsi con il tragico. Solo colui che osserva la storia in qualità di spettatore, graz1e alla sua posizione, può offrire una speranza. 122 (Questo intatti, è il mes­saggio principale degli scritti politici di Kant.) E se l'interesse per il giudizio porta alla consapevolezza dell'esistenza di imperativi tragici, allora forse solo un pensatorc che sa apprezzare appieno quelle realtà tragiche (che Kant davvero possedeva) potrebbe penetrare, c catturare in termini tcoretici, l'essenza del giu­dizio.

Per la Arendt l'atto di giudicare rappresenta il fulcro dell'attività t ripartita della .~ente perché. da un lato, mantiene il contatto con il "mondo delle appa­renze con d quale ha a che fare la "volontà" e dall'altro, compie la ricerca del senso che anima il "pensiero". Da questo momento la Arendt concorda con l'cd~ fem1azione pitagorica secondo cui nelle feste della vita "i migliori vengono come spettatori".' 23 Prendendo spunto da Pitagora nega la corrispondenza tra la ricerca della verità del filosofo c l'osservazione disinteressata dello spettatore. Nella sua considerazio~e, la funzione contemplativa dello spettatore giudicante supera la discreditata tunLJone contemplativa del filosofo o del mctatisico. 1

'4 La vita della

mente ra~giungc il suo compimento ultimo, non nella visione onnicomprensiva del metafJsJco, come era per gli antichi. ma nel piacere disinteressato che lo sto­rico, il poeta, il narratore provano nell'atto di giudicare.

9. Pensieri ulteriori. Arendt e Niet::sche su "questa porta, Attimo"

Il giudizio della sera. , . Chi ripensa all'opera della sua giornata e della sua vita, quando e amvato stanco alla fine, giunge di solito ad una malinconica con­sider.azione: tuttavia la colpa di ciò non sta nel giorno c nella vita, bcns1 nella stanchezza. Immersi nell'attività, non abbiamo di solito il tempo per esprimere giudizi sulla vita e sull'esistenza, e neppure

186

quando siamo nel pieno del godimento: ma se una volta arriviamo a tàr ciò, non diamo più ragione a colui che ha aspettato il settimo gwr­no c il riposo per trovare molto bello tutto ciò che esiste, egli ha per-

duto il momento migliore Nietzsche, Aurora, n.3 I 7

Lo stesso modo di pensare anima sia la nozione di giudizio arendtiana sia il pensiero dell'eterno ritorno in Nietzschc; si potrebbe dire che entrambi nascono da una analoga esperienza di pensiero. Immaginiamo un attnno completamente isolato da tutti gli altri. che •·contiene in se stesso, senza riferimento ad altn, sen:::alegame. in un certo senso,"' tutto il significato possibile, un attimo con 1! più intenso valore esistenziale. Come può questo attimo, da solo, sostenere Il s1: gniticato di un'intera esistenza'! Per Nietzsehe questo fondamento ontolog~eo e raggiunto grazie all'anticipazione del suo ritorno infinito. Per la Arcndt mvece.

con lo sguardo a ritroso del giudizio storico. . . Entrambi i pensieri derivano essenzialmente dall'osservazwne che Il pro-

blema del significato e quello del tempo hanno un limite comune, quello cioè, di garantirsi una coscienza autentica del significato che dipende dalla possibJ!Jta di dominare in qualche modo la tirannia del tempo. (Questa è la ragione per cu1 il problema della dimensione temporale ha un rilievo così ampio ne La vita della mulle.) Il significato deve trascendere il tempo; deve essere protetto contro l

danni prodotti dal !lui re del tempo. A meno che il passato non sia riaftèrrato (at­traverso un atto di giudizio). o a meno che non esista una promessa del suo even­tuale ritorno. tutta la vita umana diventa completamente insignificante c senza scopo. Senza fòndamento ontologico dell'attimo contro il tluire del tempo, la vita umana è invece "una foglia al vento, un trastullo dell'assurdo".'

2" Nella sua

prima opera. La nascita della tragi'dia, Nictzsche pone il problema che doveva preoccuparlo per tutta la durata del suo iter tilosofico; la sua ult1ma solunonc dov.:va essere il pensiero dell'eterno ritorno. Anche la Arendt ha lottato costan­temente con questo problema, che affronta in particolare nella sua opera dcd1cata alla ritlessionc sulla azione politica. cioè in Vita acli\·a; la soluzione ult1ma SI

trova per lei nell'idea di giudizio. Il problema è: come rispondere alla stida di Si leno che si trova nell' t:dipo a Colono di Sofocle: "Non nascere e Jl dcstmo migliore, il secondo, appena nati tornare subito da dove si è venuti". .

Una sfida riproposta nuovamente dalla Arcndt proprio alla fine del suo li­bro Sulla rivolu~ione (così come nelle lezioni su Kant).

12' La prima soluzione

del problema era basata per la Arcndt, come abbiamo detto, sul concetto di azione politica. Come scrive nell'ultima parte del saggio Sulla rivoluzione: "Era la po!ts, Io spazio delle libere azioni dell'uomo e delle parole vive. che poteva dotare la vita di splendore"; era quello che" dava all'uomo comune, vecchio e gwvane,

la possibilità di sopportare il peso della vita".12

'

1~7

Page 93: Hannah Arendt Teoria Del Giudizio Politico - Lezioni Su Kant

Nelle sue opere successive invece. emerge un'altra -;oluLione. sebbene cor­relata. Con la prima !"attore politico non può. da solo. assicurare significato; l'at­tore ha bisogno di uno spettatore. Di qui sorge la necessità di giudicare. Non può la politrca da sola sostenere l'attimo contro il tempo transitorio: è piuttosto l'atto dr grud1care da parte di uno spettatore distaccato che medita a ritroso su ciò che h~ f~1tto l'attore. sulle "grandi parole c azioni" del passato. I· la Arendt interpreta (roethe sotto questo aspetto: "Se innanzi a te. Natura, sorger potessi virilmente solo. varrebbe allor la pena d'essere nato uomo in mezzo agli uomini".

L'alòrisma con cui Nietzsche introduce per la prima volta il pensiero del­l"eterno ritorno è chiamato ''Il peso più grande":

Che accadrebbe se. un giorno o una notte, un dt:mone striscias­se furtivo nella più solitaria delle tue solitudini c ti dicesse: "Questa vita. come tu ora la vivi c l'hai vissuta. dovrai viverla ancora una volta c ancora innumerevoli volte. c non ci sarà in essa mai niente di nuovo. ma ogni dolore c ogni piacere c ogni pensiero c ogni sospiro. c ogni indicibtlmcnte piccola c grande cosa della tlla vita dovrà lirrc ritorno a te. c tutte nella stessa scquen;ra c successione c così pure questo ragno c questo lume di luna tra i rami c così pure qu~sto atti­mo c io stesso. L'eterna clessidra dcll'csisll'n/a viene sempre L'di nuovo capovolta c tu con essa. granello della polv.:rc'". Non ti rove­sceresti a terra. digrignando i denti c maledicendo il demone che così ha parlato'' Oppure hai forse vissuto una volta un attimo immenso in cui questa san:bbe stata la tua risposta: 'Tu sci un dio c mai Intesi cosa più divina''". Se quel pensiero ti pn:ndesse in suo potere. a te. quale sci ora. hrrebbc subire una mctamorl(>si. c l(lrse ti stritolerebbe· la domanda per qualsiasi cosa: "Vuoi tu questo ancora una volta ~ ancora innumerevoli volll:''" graverebbe sul tuo agire come il peso p1u grande' Oppure. quanto dovresti amare te stesso c la vita. per non desiderare p i lÌ alcun 'altra cosa che questa ultima eterna sarl/ione, questo suggello''"""

Per Nietzsche il problema decisivo è se siamo preparati a rivivere la nostra vita csatlamcntc conH: l'abbiamo vissuta, c a riviverla innumerevoli volte. (Kanl effettivamente pone la st~ssa domanda; misurata in termini di tclicitù. il valore della vita è per noi "meno di nienll:. lnl~1tti chi vivrebbe di nuovo alle stesse con­dizioni''""" La risposta di Kant era che la consapevolcna della nostra di<>:nitù in quanto latori della legge morak, n:dimc: un'esistenza altrimenti insopp<~tabilc: rnutrle drrlo. Nretzsche rispondeva diversamente alla domanda.) Il pensiero del­l'eterno ritorno pone la domanda nella sua forma più completa. la drammatiua. cioè. Ovviamente. i più completi successi della nostra vita. non compensano in

188

alcun modo l'esistenza dal punto di vista di tak domanda; se dobbiamo rivivere ogni attimo innumerevoli volte. l'unico modo di rcndcrlo co~tinuo è abbracciare l'eternità dell'attimo stesso. Se l'attimo è incapace d1 grust1hcarc pienamente se stesso. non resta che la possibilità di desiderare che riviva eternamente in rela­zione a ciò che accadrà in qualche altro punto nel corso della vita. Il tenmne, il traguardo, il 1:0.o; cessa di essere rilevante nella valutazione dell'esistenza uma­na; così l'eterno ritorno non è l'attimo. ma l'interc:na del tempo. "tutto secondo una stessa successione c >equenza". Ma questo sarebbe un fraintendimento. per~ ché è alfcnnando l'attimo che afkrmiamo tutto il tempo. Ciò che permette d1 sopportare "il peso più grande" è I'esperien1a di "un attimo terribile": (Questa distinzione corrisponde per la An:ndt al contrasto tra il concetto d1 stona U111VCr­salc come giudi;io ii naie hcgcliano c quello kantiano di autonomia del giUdiZio umano.) ( 'iò diventa anche più chiaro nella spicga?ione niel7schiana dell'eterno

ritorno in Così parlri larathustm:

(ìwrrda. continuai. questo attimo' Da que,ta porta carraia. che si clmr­ma attimo. comincia ali 'indietro una lunga vita. eterna: dietro di noi

un'eternità. Ognuna delle cose che possono camminare. non dovrà forse

avere giù percorso una volta questa via'' Non dovrù ognuna delle cose che !""sono accadere. già essere accaduta, fatta. trascorsa una

volta'' F se tutto è giù esistito: che pensi. o nano. di questo attimo''

Non deve anche questa porta carraia esserci giù stata'' F tutte le cose non ,ono forse annodate saldamente l'una al­

l'allra. in modo tale che questo attimo trae dietro di -;é tutte le cose

avvenire'' /)unque anch~ se stesso'' . Infatti. ognuna delle cose che f>Ossono camminare: anche 1n

questa lunga via: al di fuori de1·e camminare ancora una volta' l· questo ragno che indugia strisciando al chiaro di luna CIO c tu bisbi­glianti a questa porta. di co'c eterne bisbiglianti dobbramo tutti es-

serci ,(ati un 'a lira volta'' c ritornare a camminare in quell'altra via al di fuori. da-

vanti a noi, in questa lunga orrida via non dobbiamo ritornare in

eterno''".'''

f' abbastan;ra vero che qui !'< icl/schc vede "tutte le cose annodate salda­mente" che l'attimo non è altro che "senza legame. in un certo senso" ad altri at­

timi. D'altra parte. l'a!Tcrma;ione è possibile solo sulla base dell'attimo:

Guarda questa porta carraia, Nano' continuai: essa ha due volti.

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Page 94: Hannah Arendt Teoria Del Giudizio Politico - Lezioni Su Kant

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Due sentieri convengono qui; nessuno li ha mai percorsi tino alla fi­ne. Questa lunga via fino alla pmia e all'indietro: dura un'eternità. E quella lunga via fuori della porta e in avanti è un'altra eternità. Si contraddicono a vicenda, questi sentieri; sbattono la testa l'uno con­tro l'altro; e qui, a questa porta can·aia, essi convengono. In alto sta scntto ti nome della porta: "Attimo". Ma, chi ne percorresse uno dci due . sempre più avanti e sempre più lontano: credi tu, nano, che questt sentieri si contraddicano in eterno?".'"

. Questo passo ricorda fortemente una parabola katkiana, tratta dalla collc-ztonc di afòrismi intitolata Egli, discussa ampiamente dalla Arendt in Pensare (La Arendt effettivamente pone "La visione e l'enigma" di Nictzschc nel contcstt; della sua esegesi kafkiana nel capitolo IV di Pensare, dove cita anche un com­mento di Hcidegger a Nietzschc. secondo il quale le due eternità che s'incontrano eternamente nell'attimo. hanno la loro genesi nell'uomo. l'unico che è vc1wncntc l 'att,imo_Ln Non è casuale che la stessa Arendt citi questo passo dello Zarathustra nel l ulttmo capttolo dt Pensare, perché il problema con cui lotta ne /,a vita della n~ente npcte lo stesso problema che indusse Nict7schc a pensare l'eterno ritorno). Come la contraddtztone tra le due eternità nel pas'o nictzsehiano, J"'cgli" kaf~ ktano e m lotta tra passato e futuro. Per arbitrare questo conflitto, "egli" deve lanctarst oltre la lotta "per uscire dalla linea di combattimento cd essere promosso all~ pnstztone dt arb!tro, spettatore e giudice fuori del giuoco della vita, al quale puo ntcnrs1 li s1gmflcato d1 questo arco di tempo tra la nascita c la morte poiché cglt non vi è coinvolto". 114 Questa è la posizione dello spettatore giudicante così come lo pone la Arendt. nella "lacuna tra passato c futuro".

In questo iato tra passato c futuro noi troviamo il nostro luogo temporale quando pensiamo, cioè quando siamo suftìcicntcmcnte di­scosti dal passato c dal futuro per confidare di pcnetrarne il signifi­cato, dt assumere la posi;:ionc di "arbitro" c di giudice sopra le vtcende moltepltct e senza fine dell'esistenza umana nel mondo ...

E che cos'è la -~posizione di arbitro", il cui desiderio ispira il sogno, se non li segg1o degli spettatori di Pitagora, che sono "i mi­gliori" perché non partecipano alla lotta per la fama ed il guadagno, dtsmteressati. distaccati imperturbabili, intenti soltanto allo spetta­colo stesso. E a loro che è data la possibilità di scoprirne il significato e d t gtudtcare la rappresentazione. IJ'

Questa posizione del giudizio "tra passato c futuro" è, come indica la Arendt, tdentica alla porta nietzschiana caratterizzata dalla scritta "attimo".

190

Perché la porta è chiamata "attimo"') Perché non ha propositi al di là di se stessa, non porta altro che a se stessa. L'essere è circolare. Quindi. niente esterno all'attimo serve a giustilìcarlo: può giustificarsi in-se-stesso. L'affermazione dell'attimo è possibile solo rifcrendolo a se stesso, non riferendolo a qualcosa fuori da sé, perché. in ultima analisi, la conclusione finale o il risultato di questo attimo è il suo ritorno. L'insigniticanza della successione temporale (e perciò di tutto l'Essere, considerato come successione temporale) è la dura verità che dob­biamo atTrontare, secondo Nietzsche, per sopportare "il peso più grande". Il cer­chio è il simbolo dell'inutilità e della futilità; quindi, se l'attimo deve affermarsi, non può fondarsi su altro che su se stesso. Questo è il significato dell'eterno ri­torno: come scopo di affermazione esistenziale, l'attimo si basa interamente su se stesso; non porta in alcun luogo (dal momento che riporta semplicemente a se stesso). c non è nemmeno, esso stesso. il termine di una sequenza teleologica. Come si può riscattare. come si può atTermarc'> Per Nietzschc la volontà, lari­soluzione ferrea a pensare questo problema in tutta la sua rigidità saranno i nuovi creatori. i redentori della decadenza Occidentale. La Arendt cerca altrove una

soluzione allo stesso problema. Per Nictzschc, come per la Arendt. la grandezza del problema del signifi-

cato dipende dalla possibilità di stabilire una relazione genuina con il passato. Il problema. per Nietzschc, è che l'incapacità di venire a patti con l'irredimibilità del tempo t~1ccia sorgere la vendetta; i mali socio-politici derivano da una fru­strazione ontologica: "Che il tempo non possa camminare a ritroso, questo è ti suo [della volontà] rovello; «ciò che fu» così si chiama il macigno che la volontà non può smuovere ... [La volontà] infligge so!Tcrenza: c oggetto della sua ven­detta, per non poter volere a ritroso, è tutto quanto sia capace di sotTrire. Ma que­sto, soltanto questo, è la vendetta stessa: l'avversione della volontà contro il tempo e il suo «così tu>>.'"' Permettere alla volontit di sentirsi "buona volontà" verso il tempo libererebbe l'uomo dalla vendetta c così rivoluzionerebbe la sua

intera esistenza socio-politica:

Redimere coloro che sono passati c trasformare ogni «così fu» in un «così volli che fosse!» solo questo può essere redenzione! Vo­lontà è il nome di ciò che libera c procura la gioia: così io vi ho in­segnato, amici miei l Ma adesso imparate ancor questo: la volontà,

di per sé, è ancora come imprigionata. Volere libera: ma come si chiama ciò che getta in catene anche

il liberatore'> «Così tu» così si chiama il digrignar di denti della volontà e la

sua mestizia più solitaria. Impotente contro ciò che è già fatto, lavo­

lontà sa male assistere allo spettacolo del passato. La volontà non riesce a volere a ritroso: non potere inti'angere

191

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Page 95: Hannah Arendt Teoria Del Giudizio Politico - Lezioni Su Kant

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il tempo c la voracitù del tempo, questa i: per la volontù la sua mesti­

zia più solitaria. 1 n

L'interesse d<:ila Arcndt non sta n<:lla libenrzionc della volontà, ma nella

liberazione della tàcoltà di giudizio che si realizza attraverso l'eserci?io della Lr­coltù di pensiero. Ma il problema aflrontato da entrambi, Arcndt c Nictzschc, è a questo proposito lo stesso: come può '"uno spettatore adirato" nei confi·onti del

passato tramutarsi in uno spettaton: soddist:rtto"' Come può uno spettatore ma­linconico convertirsi in uno spettatore allegro"' Nict;~sche vuole conciliare lavo­

lontà con il passato: la Arcndt cerca di t:rr divcntare il giudizio del passato come una f(mte di piacere piuttosto che di dispiacere. In cntrambi i casi, ""una buona

volontà" verso il tempo deve rcdimerc il passato. Cosi, come SI può dire che la Arcndt pensasse inizialmente a risoherc il

problema dell'"atlimo" con la natura dcll'az.ione c in un certo senso con lavo­lontà (dal momento che non può esserci ;vionc serva volontà), ma che la sua so­

luzione ultima si trova nel giudizio rilkllcntc o nclla ritlcssione che giudica le

azioni del passato, analogamcntc si può dire che all'inizio Nictzsche cercasse di risolvere il problema del s1gniticato (o del nichilismo, la svalutazione dci valori più alti) con la volontù, ma che la sua soluz.iom: conclusiva, pensare cioè ;di'idea

dell'eterno ritorno. conduca al di lù dalla volontà. ì: in questi termini precisi che la Arendt interpreta il pensicro di Niet;.schc ncl VII capitolo dc !.a 1·ita della mente. L'eterno ritorno "non i; una teoria. non è una dottrina, nemmeno un'ipo­tesi, ma un semplice cspcrinwnto di pensiero. Come tale, implicando un ritorno

all'antica concezione ciclica dci tempo, questa idea sembra csscrc in llagrank contraddizione con ogni possibile idea di Volontù, i cui progetti presuppongono

sempre un tempo lineare c un futuro sconosciuto c perciò aperto al mutamen­to ". 1

" Così la Arcndt crcdc chc l 'csperimcntu di pensiero dcii 'eterno ritorno con­

duca cvcntualmcnte a un ""ripudio della Volontà":

l'impotcnza dc·lla Volontà persuade gli uomini a stimare prckribilc guardare all'indietro. ricordando c pensando. poiché allo sguardo re­

trospettivo tutto ciò che è IIJ'f!ilre necessario. l' il ripudio del v o le re affranca l'uomo da una n:sponsabilitù che sarebbe intollerabile sc ciù

che è stato titllo potesse csscrc dislirtto. Comunque sia, fu probabil­mente lo scontro della Volontà con il passato che indusse Niet;schc

ai suoi esperimenti con l'Eterno Ritorno. 1 '''

Secondo la Arendt. Nictzschc

si avventurò in una costruzione del mondo dato che avesse un senso. fosse una dimora adcguata per una crcatura la cui "'forza di volontù

192

"'

1 è abbastarJLa grande] per t~rre a meno del significato delle cose ... l che] riesce a sopportare di vivere in un mondo privo di signilìcato''. ··f-:terno Ritorno" i; il nome di questo pensiero redentore estremo nel­

la misura in cui vr sr proclama 1'"/nnocen::a di ogni Divenire" (die L"nlcilllfd dcs IVcrdens) c, con essa, la sua asserva intnnseca di scopo c di direzione. il suo attì·ancarm:nto da ogni colpa c n:sponsabilitù.

1w

L'Eterno ritorno è: un modo di riconciliarsi con un mondo senza senso.

di rcdimcrlo. abolendo i concetti di responsabilità. intcn/lonalitù, causalita,

volontir.

( "on l'are;omcnto che sce;ue Nictzschc t(mmrla il ""pcns1cro che tutto cio

chc passa ritor:na. cioè. il pcns~iero di un tempo ciclico costnnto che L1 ruotarc

I'Fsscre in se stesso'':

""Se il rnm i mento del mondo avesse uno stato linalc. qucsto do­

vrebbe giù essere raggiunto. Ma l'unico fatto t(mdamcntak ~ che esso non ha nessti/W stato tlnalc: c ogni tilosolia o ipotcsi scicntitìca (per escrnpio ilmcccanicismo), in cui tale stato risulta necessario, è confutata da quest'unico t:rtto ... lo cerco una conce/ione del mondo chc lirccia giusti;ia a lfliC.IIO tirtto: si dc\ c spiegare il divenire senza

J;rr ricorso a tali intenzioni !inali: il divenire deve apparire giustilìcato in ogni attimo (o non mlutahile. il che riesce alla stessa cosa): non è

assolutamente lecito giustificare il prcsc·nte con un lì.1turo o il passato

con il prcsentc".'" 1

Com'è evidc·nte. questa tònnula;ione nictzsehiana è assolutamcnte deci­

Siva pn cumprcndcrc 1n modo corretto l'aiTcrma/lonc della Arcndt circa il pro­blema dello "sguardo retrospettivo" del giudiz.io. In quc:st'ottica il suo nchwmo

a Niel/.schc non può csscrc p1u frainteso. Nello stesso at(msma N1ctzschc scnvc: ""Il valore del divcn1rc è uguale in ogni momcnto". 1

'' In altre parole, nessun at­

timo può csscrc aiTcnnato in riknmanto <Id altn: l'attimo deve autorcdimcrsi. La Arcndt conclude con il passo appena citato chc questo "enuncia a chiare lettere

il ripudio della Volontà c dcll'io che vuole". perchc entrambi presuppongono i

concctt1 obsolcti di causalità, intenzione, scopo, etc.' 1'

N ictzschc cerca una via per rendere eterno l'alltmo ( ... piacere nrolc l \:tcr­

nitù. piacere vuole eternità di tutte le cose. mole profonda.JII"o/ìmda etcmitù 1 ).

1'"

La Arendt cerca un modo di rendere immortalc l'attimo mediante un atto di giu­

dizio retrospettivo. In entrambi i casi l'intento coincide: salvare l'attimo dall'as­salto transitorio del tempo. Il giudizio prrò compiere questa 1111ssionc in v1rtù del suo particolurismo csscn,-:iale, il tàtto che esso n volga se stesso verso i parti co-

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Page 96: Hannah Arendt Teoria Del Giudizio Politico - Lezioni Su Kant

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!

lari senza che i particolari siano ridotti, o siano assorbiti, a universali o generali. Il particolare ha una sua propria dignità che nessun universale o generale gli può togliere.

Hegel ha perfettamente ragione quando afferma che la filosofia come la nottola di Minerva alza soltanto al crepuscolo il suo volo. ~o n si può dire la stessa cosa per il bello o per ogni atto in sé c per se. Nei termm1 kantmm, Il bello è un tìne in sé perché contiene in se stesso ogni suo possibile significato, senza ritèrimento ad altri senza legame, in un certo senso, con altre cose belle. Si dà così nello stesso Kant la seguente contraddizione: il progresso indctìnito è la legge del genere umano; al tempo stesso la dignità dcii 'uomo esige che ques.ti (ogni singolo individuo) sia in quanto tale. nella sua partico­lanta, visto n flettere, ma fuori da ogni comparazione c in una dimen­sione di atemporalità, la generalità del genere umano. In altri termini l'idea stessa di progresso se deve essere qualcosa di più di un muta~ mento di circostanze e di un miglioramento del mondo contraddice la nozione kantiana di dignità dell'uomo. F: contrario alla dignità umana credere nel progresso. Progresso signitìca poi che la storia come trama narrativa non ha mai fine. La sua fine è nella sua infinità. Non vi è alcun punto dove potremmo fèrman:i c guardare indietro con lo sguardo rivolto al passato dello storico. 14

'

. . Alla luce del pensiero nietzschiano, risulta chiaro che per la Arendt il gmdlZlo non è semplicemente una facoltà dci politici (sebbene fu il tema che la spinse a riflettere inizialmente intorno alla facoltà del giudizio). Infatti as­serve realmente una funzione antologica. (Questo assunto giace al di là della "rottura" tra le due teorie del giudizio della Arendt, la prima cosiddetta giova­nile e "politi~a", la seconda, più tarda, definita "contemplativa".) Cioè il giu­dizio _ha la funzwne di ancorare l'uomo ad un mondo altrimenti privo di sigmticato c di realtà esistenziale: un mondo non giudicato non avrebbe alcuna Importanza per noi.

Il parallelo co,n Nietzsche segnatamente il tatto che un confronto col pro­blema della volonta lo abbia mdotto a ripudiare la volontà stessa in favore del consenso per l'eterno ritorno, una riconciliazione non voluta con tutto ciò che è era c sarà (ancora) aiuta a capire l'ultima frase del lavoro conclusivo delh; Arendt, Volere (chealtrimenti potrebbe apparire confusa). Dopo aver parlato del­la scoperta agostmmna della natalità umana, "il fatto che esseri umani, uomini nuovi, appaiano sempre nel mondo in virtù della nascita", la Arendt osserva che la versione agostiniana dell'argomento

194

sembra dirci null'altro che siamo condannati a essere liberi in ragione de Il' essere nati, non importa se la libertà ci piace o aborriamo la sua arbitrarietà, se ci sia "gradita" o preferiamo fuggire la sua re­sponsabilità tremenda scegliendo una forma qualunque di fatalismo. Questa impasse. se è veramente tale, può essere superata o risolta so­lo facendo appello a un'altra facoltà della mente, non meno miste­riosa della facoltà del cominciamento, la facoltà del Giudizio, un'analisi della quale, forse, può almeno dirci che cosa sia implicato

nei nostri giudizi "mi piace" o "non mi piacc".'4

"

Questo passo contèrma che la sua disamina del giudizio non doveva essere semplicemente un completamento teoretico di un'importante facoltà umana,_ma piuttosto, la "soluzione" di un'"impasse". Il problema che stava cercando di n­solverc verteva su come essere "soddisfatti" della libertà umana, come sopportare "la sua imponente responsabilità", come evitare il fatalismo (che era lavia d:usci~ ta scelta da Nietzsche). L'intero passo include echi evidenti dell'afonsma m cui Nietzsche descrive "li peso più grande" (letto come una sorta di commento). Se le mie meditazioni non sono state scmpliçemente immaginarie, questa conver­genza non è del tutto fortuita: infatti l'iter filosofico che conduce la Arendt a considerare la facoltà di giudizio, corre parallelo a quello che induce Nietzsche a enunciare l'eterno ritorno. Comunque, in qual<' altro modo si potrebbe spiegare la descrizione del giudizio della An.:ndt come la via d'uscita da un 'impasse -in particolare, l'impasse della volontà o come una soluzione al problema dell'af­tènnazionc della libertà umana'' Perché qu<'slo dovrebbe essere Il modo per m­trodurre un'analisi del giudizio'' Perché questa impasse dovrebbe essere l'unica attraverso cui considerare il giudizio come una possibile via d'uscita'' E perché bisognerebbe contemplare il giudi:io come una possibile liberazione da tale im­passe'' Nei confronti di queste domande sembra giusto chiedersi: sulla base di quali altre letture si potrebbe, in modo plausibile, attribuire un significato al pa­ragrafo finale dell'ultima opera della Arcndt'' li giudi7io è ciò che trattiene qual­cuno dall'essen.: schiacciato tra le forze avverse di passato c futuro mentre sta a

"questa porta, attimo". Quando si hanno in mente le direzioni temporali di ognuna delle tre tàcoltà

mentali, si cnmprende perché la Arendt consideri il giudizio. che è rivolto al pas­sato, come l'unica possibile via d'uscita da quest'impasse. Il mondo in cui vi­viamo offre una prospettiva molto scarsa all'azione autentica e. quindi, alla libertà. E il futuro offre anche promesse minori: "È perfèttamente concepibile che l'età moderna cominciata con un così eccezionale c promettente rigoglio di attività umana termini nella più mortale e nella più sterile passività che la storia

abbia mai conosciuto." 147

Così esiste solo la possibilità più remota di far derivare la pienezza di senso

195

Page 97: Hannah Arendt Teoria Del Giudizio Politico - Lezioni Su Kant

i i ~ ., :Il

dall'azione presente. (In tali circostan7e, in un mondo dO\ c la possibilità del­

l'agire politico pare più o meno preclusa, il giudizio diventa quasi una sorta di azione vicana, un modo per risarcire la nostra cittadinanza dalla carcn:ra di una n:altù wramcntc pubblica). E non c'è nemmeno un'ulteriore ragione di aspettarsi

la picncaa di senso per essere rassicurati da progetti di volontà o proiettando la

nostra volontà nel futuro (di qui l'impasse verso la volontà). Quella abbandona la tilcoltù di giudi;io, che può al limite individuare eventi passati che redimono l·csisten/a umana. !Come il pensare: secondo la Arendt è la lilcoltù mentale con

cui ci allontaniamo dal mondo delle apparenze: in conscguennJ, non può essere

l(mtc di senso per quel mondo. Pensare. nella misura in cui ritorna al mondo delle apparenze per rit1ettcre sui particolari interni ad esso. diventa giudicare.) Noi possiamo m<mtcncn: 1101 stessi nel presente L' sperare per il I[Jturo soltanto

ritkttcndo sulla miracolosità della libcrtù umana: cosi com'è presente in momenti partJcolan del passato. Scnz.a la possibilità del giudizio rit1cttcntc saremmo so­

pra!Ellti da una scnsazion~ di insignillcanza dd pr~scntc c costretti a disp~rarc

del futuro. Solamente il giudiLio l(mlisc~ provvedimenti soddisl~lccnti al s~nso c permette, potcnZJa!m~ntc. di affermare la nostra condizione.

Lo studio delle '"storie" del passato storico insegna che esiste anch~ la pos­sibilità di un nuovo inizio: cosi la spcran;a è lat~ntc nella natura dcii 'a;ionc uma­

na. Ogni storia ha un ini;io c una li ne. ma non una tinc assoluta: p~rché la ti ne

di una storia s~gna sempre l'ini;io di un'altra.'" Se I(Jssimo spinti a pronunciare

un v crdctto assoluto sulla storia come un tutto. potremmo essere tentati dal pes­simi'mHl kantiano. (Esattamente il pessimismo di Kant. in uno con la sua con­viivionc che la storia unuuw d~bba l(mnarc una storia singola, lo portava ad

cnllllCJarc l'idea regolatrice di progresso stonco. a oricntarc la nostra rillcssionc nel senso di un giudi;.io tekologico. a r~ndcre f1l\ssibilc la nostra rillcssione sulla

storia s~nza dispcraziom'.) Ma dal momento che il giudizio è sempre ristretto <Jd accadimenti particolari cd imlividuali. a storie che ci ispirano ~d esempi eh.: di­

ventano ~scmplan. le rillcssioni stonche rnnarranno scmpr<.: editlcant1 per quelli che non hanno abbandonato la spcran:ra.

Abbiamo dimostrato che il giudi/io provvcdc all'afl'cnna;,ione della IlO­

stra condizione nel mondo. permettendo di trarre piac~rc dalle rilkssioni sul

passato. Ma l'intcJl/ion~ non è realmcnt~ quella di giustilican: il mondo. quanto piuttosto quella di "conknnare'' il nostro posto in esso: c1oè stabilire un con­

tatto con la realtù del nostro mondo o. h1rse. giustitlcarc questa realtà asserendo la nostra connessione con essa. Questa l(mnulazionc è suggerita da un frase che ricorre alcune volte nelle le;ioni inedite della Arendt: è l'agostiniana

'"Amo: volo ut sis": amare è. clt'cttivam~ntc. dir~: '"Voglio che tu sia". i\ causa

della '"pura arbitrarietà dcll'csscrc", a causa del l~1tto chc "noi non abbiamo crcato no1 stessi", "abbiamo bisogno di conknnc. Siamo stranieri, abbiamo bisogno di essere ricevuti". Ciiudicando "confermiamo il mondo c noi stessi":

196

con le facoltà che ci vengono date. ''ci sentiamo a casa nel mondo".'""La com­

pagnia dci giudizi condiv·1si scelta da ciascuno. assicura una stonc1ta che sa-

n:bbe altrimenti tenue. ln ques!i: ritlcssioni conclusiv\.:. non ho cercato di imporre il necessano

corso delle ritlcssJOni sul giudizio della /\rcndt: ilmit' intento é stato semplice­

mente quello di dc! imitare la zona in cw tali_ ritlcssion1 trovano spano. L~' span~: speculativo é contrassegnato dalk mcdJtazJonJ agostmwnc sulla tcmpmd!Jt".nc.

libro Xl delle ( 'onfi'ssioni c dalla visione di Nictzsche dcli'Lkrno R1torno. l OP­

tinuamcnte ki ncava il problema da li. In questo senso l'operi! della Arendt nul! si richiama solo a Kant. ma anche a /\g<1stino c Nictzschc. In questo contesto. l'a

domanda che si pone è la seguent~: il mondo può essere una dm10ra adatla al-

l' 1111(1 c in che senso dal nwmcnto che 0 csscnzialmenk un essere tcmpnralc U{ , ' . , . '11 ~~·

vcnuto da un passato sconosciuto c sul punto di partm: per un tuturo Ignoto Unendo la valuta:rionc' agostiniana della caducitù delle istitu;iom mondnnc c del­le rcla;.ion 1 umane con la fede nJcl/schiana nel potcn:rialc trasllgurantcdcll a7J(l­

nc umana, la Arendt affronta la questione fondamentale della temporalita: a quali

coiHli;ioni possiamo dire di sì al tempo'"'' Così com 'è posto d:1 Agostino o ti<c Nict;.schc. il problema che è all'origine di tutto il lavoro lilosoiJCLl tkli:,J :\IL'IHII

è: come attcnuarc la tcmporalitù. come consolidare c dare stabiiJt.i ad un eSI~tcn­;a mortak, rendendoi<J meno transitoria. meno insicura ontologJcamentc' Se

l'csscll/a della politica 0 quindi l'apparen;a (che dopotutto è la premessa londa­

mentale della tilosolia politica (lcli<J Arc'ndt),''' c' n~cc'ssano tuw sp<VIO pubblico

per il giudi;.io alfine di rendere' piÙ durl'\ole ilmomh~ ddlc ~ippar~J:/C\~e.J: con~ fermare 1\:ssere. 11 giudino. 0 d potere salviiJco dc!JJcoJdo: u.,lJUt.J .l plcs~rv.JJc dal kmpo cio che i m ecc si perderebbe con esso: rcmk qumd1 duraturo ,:m ~11c è cssc:n;.i:dmentc nlllrt:de. 1 " !n altre parole, la lun;Jonc u!tJma del )!iudiiJO c d1

riconciliarL' il tempo c il mondo. . . . Qm'Stc mie rillcssioni pongono indubbiamcntc p1ù domande d1 quanto !or··

niscano risposte. LL' l<;;ioni su Kant JHlll ollrono certo che un segno delle possi­bilità da mc suggerite, c forse io ho sp:viato più dd nece·;sano. L unica nna

Jnt.:n;iolll' è stata quella di indicare la linalitil delle IL'onl' della i\rendt. Qualc~JSII rclatJvo a questo tinc è: suggerito dai tcmi c dalle prcoccupa;ionJ tnl\atc m'li er­meneutica di Waltcr llcnjannn. l'amico di llannah Arcmlt, c lcggcndola accanto

alle n'si 11111a (ìlowlìa della storia di W. Bcnjamin, possiamo sperare: di ml'urarc la portata delle sue intcn 11oni. Anche Bcnjamin cerc;na una rcla;Jone rcdcntnec

del pass.Jto, c Jo spettatore giudicante della Arendt c il corrispettivo del/lanew di Bcnjamin. che vagabonda nel p:1ssato. coglicm1o attimi in felice omclancolica

rctrospc;ionc. collegandoli~ ponendo li tra loro in rcia;wnc': vagan1~:' tra k .ro: vinc del presente, cercando i frammenti tra cui salv·arc 1! pa"ato. Anche 111 lknjamin stesso questo implica l'assunLiOJll: al_ruolo eli angelo della ston<.L Cll,(' come dice Scholem. è '"fondamentalmente una l1gura mctancon1ca. d1strutld dd t-

.,.,"', **f'GWiR'MM RRr w·mt #'R' ~

Page 98: Hannah Arendt Teoria Del Giudizio Politico - Lezioni Su Kant

l 'imm~m;nza della storia".'" Questi temi convergono nella terza tesi di Benjamin sulla filosofia della storia:

. Il cronistache enumera gli avvenimenti senza distinguere tra i Pl~coh e l grandi, t1cnc conto della verità che nulla di ciò che si è ve­nticato va dato perduto per la storia. Certo, solo all'umanità redenta tocca mteramente il suo passato. Vale a dire che solo per t'umanità redenta Il passato è citabile in ognuno dci suoi momenti. Ognuno dci sum attimi VIssuti d1vcnta una citation à l 'ordrc dujour e questo gior­no c Il gwrno del g1udizio. "''

_ Questo comportamento nei confronti del passato. è espresso anche più et~ ficaccmcnlc nel commento di l3cnjamin ad una delle parabole kafkianc:

... la :era misur~ della vita è la memoria. Cìuardando a ritroso, attraversa l 111terczza della vita illuminandola. Velocemente come si girano lepagme. la memoria ha viaggiato dall'ultimo villaggio al po­sto, 111 cui Il viaggiatore ha deciso di partire. Quelli per i quali la vita SI. c trasformata 111 uno scritto ... possono solo leggere le pagine ad­dietro. Ed c qu<.:sta l'unica via per confrontarsi con se stessi. c solo cosi evadendo dal presente possono comprendere la vita."'

198

NOTE

l. Hannah Arcndt, The Lifé of the Mi n d a cura di Mary McCarthy, New York l 97X, voi 1: Thinking, p. 2 l 8 prefazione all'edizione americana di Mary McCarthy. trad. it. di (i. Zanetti, a cura di A. dal Lago, !>a l'ita della nu'nl<'. Il

Mulino, Bologna 1987, p. 66. 2 . .l. Glenn Cìray, "Thc Abyss of Frccdom an d l lannah Arendt", in Hannah

A rendi: The Recoverr of the Puhlic World, a cura di Melvyn H ili, Ncw York

1979. 3. Michael Denncny, "The Privilege ofOurselves: Hannah Arcndt on Judg-

ment". in llwwah Arendt: T/w Reco\'CIT o(the Puhlic World. op.cit.

4. /"a l'ilu della mente, op. cit. p. 546 5. l l. Arcndt, Lecll!res 011 Kantl'olitical f'hi/osophl', a cura di Ronald Bein-

cr, Chicago l 982, trad. it. />a teoria del giudi::io, il mdangolo, (icnova l 990. Ci­

lato da qui in poi come La teoria del giudi::io. 6. La \'Ì/a della mente, op. ci t. pp. l 5 l -52; l 59; l 76-83; l 98; 2 l 7-18; 230;

2XX-~9; 302-3; .'\OX- l 2. 7. Social Rcsearch 38. l 97 l. in La disohhedien::a civile e altri saggi, lrad.

i t. c cura di T. Serra, Giu!Tré. Milann l 9X5, pp. l 13- l 52 X. /,a teoria del giudi=io, p. l 05, supra. 9. La 1•ita della mente, op.cit. f'ost-scriptlllll a Pensare. pp. 308- l 2. Tutte

k citazioni tratte da questo passo faranno ritèrimcnéo al presente volume. Ctì". ""T h c C 'oncepl o!' l listory" in l lannah Arendt HdiiH'Il l'asl an d Future: Fight /,'xercises in !'o/itical Thought, cd. ampliata, Ncw York l 96X. pp. 4 l -90 e spe­cialmente pp. 5 l -52; vd. anche i bi d. pp. 262-(,3 ('"Truth ami l'olitics''). Trad. i t.

di M. Bianchi di Lavagna Malagodi c T. Gargiulo. Tra Jhi'Salo cfìtturo, Val lec­chi, Fin:nze l 970. Questa edizione rispetta l 'edizione americana del l 96 l che raccoglieva solo sci saggi.mcntrc l'edizione ampliata a cui fa riferimento R. Bei­ncr comprende altri due titoli: "'Man's Conqucst ofSpace" in American Sclwlw: XXXII, 1963. c '"Truth and Politics" in '"The New Yorker", 25 febbraio 1967. Le citazioni nel testo tratte da questi saggi sono state tradotte da noi. [N.d.T.]

199

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Page 99: Hannah Arendt Teoria Del Giudizio Politico - Lezioni Su Kant

l O. Vedi ~ ~del prcscnll' saggio. p. l X l intì·~~

Il. "Fn:cdom and Politics" c compreso in Freedo111 i/1/(l Sujìlom, a cura dì

A. H uno Id. Dordrecht 1961: "Truth ami Polilics" in Hetwer'll l'a11 an dr uwrc, cd. ampliata: "La cnsi della cultun1" in lh1 passato c /llliiiV. op.cit. pp. 215<:'45.

12. /.11 i"i/11 deliri meni<'. op. c !t p. 6 7. Prcfit..:Jonc all'cdmonc am.:ricana <h Mary Mel ar111y

l .l. Il. Arendt. '"Undcrstandint' ;md Politics'". f'artisl/11 Rn·in1 20. 1953. trad 11. '"( "omprens10nc <:politica' .. m Lo dJiohhedJcJca cl\·iic e a/in ,ugg1• op.

c1t. PP ?-:9-l l ì. ·r II t ti 1 succcssì,·I ri knmcnti alle pat'Jilc~ nel testo sono tratti da quc~to sagyJ' ;,

14 f'rctiiZionc a li·11 /)11111//o c lutum. op .. cii. p. l.'·:

15 .. H. Arcnd!. ",\ Reporh:r atl .. argc" .. \c\1 }orheJ; febbraio l h. 19<>3: kb­

hnno 23, 19(>3: mar7o 2. 1963: mar;o 9. 1963: mar;o l h, 196.1. V d. !Il<>ltrc: Il

i\rcndl. F'ichmc/1111 in .lerusalcm 11 Repor/ Oli the !3anllfit1· ofF,·i/. NC\\ York

l '16."<: cd n veduta r:d ampliata l 9651. trad. i t. di P. BernardìnL l.a hana!it1i del

male. l.icilnll/1111 11 (n'ru.luien/11/e. f·r:ltrinellì. Milano 19h4. Sehbeill' esistano dì­

SCL!iSJont suii<I tacoltù dJ giudi;io nqd1 scritti della Arcndt prcccdcmi Ii proce.ssu

hchmann .. b prima versione d.: Ile lc;ioni su Kant lti del 1 '!h-i, cwè immcdiat<1-mentc dopo la pubblica/Ione del libro su Lichman!l

1(,_ Vd. "Truth ami Politics··. 111 8ctll·een Past und !·uture op.cit. p. 227

nota:. "Pensiero c ritlcss10ni morali"'. In L1 disohhedieiDJ cit·i!e c 11 /tn saggi.

op. CI!... /.11 I"Ì/11 dcl!omcnle. op. C! l. pp. X .. ì-Sh. i~a promessa dt un libro su '"f'cn­smc' .. emerge nel 1'1(>4 In 'Tichmann in .lcrusalc·m···. !:n,Dulltc1; gennaio 1964:

la Arcmll seri\ e· '"non è questo il luogo per trattare scnamcnte tali questioni: in­

tendevo elaborarle' ulterionncnte 111 un altro contesto L!chmann può dan.cro ri­manere 11 modello concreto di CIÒ che dc\ o <lire'"

17. Thc Ustcncr agosto 6. l'lh4. l X. lbìd

l 9. /.11 honalillì delm11le. l: .. idullllll/1 a Gcru\lllemmc. op. ci t. p .. 29(,_ 20. lhid., p. 2%

21. lbid .. p. 29h

..,.., r·ncoi/17/CI; gennaio. 191>4. Rtstampato in Thc.!e"·"·' 11 f'ariuh·.f,•H·is/1 fdentill' 11m/ Politin in ti/C .tf(){/crn .Jgc a cura di l<on Il. Feldman. Ncw York

1971-\. Trad. 1!. di Ci. !lettini l:hrml!lln c modr·rnil!Ì, lJnicopil. Milano llJX(>. pp 21.:'-~~r~

23. !.11 h11nulità dc!Jnolc. t-;ichmun/1 11 (;em.wlemme. op. cii. p. 2')6. 24. lbid .. p 2'! ~·

25. lbi<L p. 297

21>. lbid .. p. 29X.

27. lb1d., p. 29:L 2~. DJiwsmo c modemita, Ofl. ci t. p. 21 X. 2~-+

200

19. Mauricc Mcrleau-Ponty./funwnism ailll n,.,w: Boston 1979.

30. ''Frccdom and Politics··. in Frcedom ami Snfdom. op.cit.. cfr. '"Crisis

in Culture: Its Social amllts Politica! Signi!lcancc". trad. i t. ·'La crisi della cul­

tura: nella socictù c nella politica". in li·a f!ii\Sato cjutum op.cit.. pp. 215-245.

31. Ibidem. Tutti i successivi riferimenti alle pagine contenute nel testo so-

no tratti da qw:st'opcra. 32. ""Nella sua 1nanlcra di giudicare un uun1o svela in certa n1isura anche

se ste"o fil capirc chc genere di persona sia; ora questa rivelazione involontaria

è tant<' più valida quanto più si è alleggerita delle pure idiosincrasie personal!".

( lbid., p. 242). In altre parole. anche le quali ti! personali sono potcn;.ialmcntc

1mn-soggcttive. nella misura in cui stabiliscono la possibilità di una valida '"com­

pagnia" intcrsoggcttiva di persone che giudicano in modo simile.

33. La Arcndt cita qui la tì"asc di Cicerone in cui l'autore sosteneva che

avrebbe prc!Cnto errare con Platone piuttosto che restare ancoralo alla vcritù

dci pitagorici. mtcrprctandola nel senso che Cicerone accetterebbe anche d1 es~ sere dc\ iato dalla veritù p.:r la "compagnia di Platone c per la compagma dci

suoi p.:nsi<:ri" (ibid .. pp. 243-244). In una k;.iunc inedita la Arcndt agg1l!nge a

questo un concetto simile di Meistcr 1-:ckart, secondo il quale lui prdcrirchbc

stare all'in!Crno con Dio. piuttosto che in paradiso sei1/a di lUI: ella inoltre la

Volonlu di potclca. n. 292. dove Nict;schc in Sulla .1/lilflll·a/i::::a::ione della mo­mlc aiTcnna "che si distacchi l'atione dall'uomo: che si rivolga l'odio o il dJ­

spiT//0 al "peccato" [J'a;ionc invece dell'agente j: che si creda che ci siano

a~ioni di per sé buone o cattive .. un'cuionc è in sé del tutto pnva di valore:

tutto dipende da chi la compie. Uno stesso itkntico «delittO>> puo essere in un

caso il più alto privilegio. in un altro ilmarch1o d'inbmia Jdclmalcj. In rcalta

01'e~oismo di coloro che giudicano a interpretare un'a;ion.: 0\Ti'm il suo autore

in ra~porto al propno vantaggio o danno (in rapporto alla sommiglian7a a sé o

dis.-.imi\.(lian;a da sé) Jtra l'autore c il suo giudiccj". (F. Nict;schc. Fmmmcnli Jlo.\lllmf /887-/888 mi. !Il tnmo Il "Opere di Federico Nict;sche" :1 cura di (j_

Colli c M. Montmari, trad. il. di S. (ìiamdta. Adclphi. Milano 1971. p. l2b.

()uesta lo.ionc inedita facc\a parte d1 un corso tenuto dalla ;\rendi alla New

Sclwollùr Social Rcscarch: "Some I)IIestHlllS o l" Mora l Philosophy". quarta lc­;ione 24 m arto 19!>5 1 Lectun:s notes. l lannah Arcndt Papcrs, l .ibrarv of Con­

~ress. Container 40. pp. 024(,37. 024651-024(,)2). L.: Inkrpolammi nella

~·ita/Jonc niel!~chiana sono di Il. Arcndt. Cfr. 1.11 /cm i a del giudi::io fJI' l l 3 '-li·

pra. Per un ultcnorc dJscussiOI1l' del concetto "scelta d1 compagnia", vd. ~ 6 di

questa saggio. pp. 16:? ss. H. Il. ;\rendi "Truth a!ld Politics" trad. it. di "Vcritù c politica". in ha

J>aswto e jutum. op. ci t. pp. 2?.7-64. l riferimenti successivi alle pagine nel testo

sono tratti da qu.:st' opera. 35. "Some ()uestions of Moral Phìlosophy" op. ciL citato anche nella

:?O l

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Page 100: Hannah Arendt Teoria Del Giudizio Politico - Lezioni Su Kant

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l1

lezione finale del corso "Basic Mora! Propositions", University ofChicago (Han­nah Arendt Papers, Library of Congress, Container 40, p. 024648).

36. lbid. 37. H. Arendt On revolution Ncw York 1965 trad. it. di M. Magrini Sulla

rivoluzione, Edizioni di Comunità, Milano 19X3 p. 264. 38. lbid., p. 264. 39. La vita della mente op.cit. p. 287. 40. lbid., p. 288. 41. H. Arcndt, "Pensieri c riflessioni morali" in La disohhedienza civile e

altri saggi op. cit., pp. 113-152. 42. fbid .. pp. 151-152; cfr. La vita della mente op. cit., pp. 2X8. 43. "Il concetto di storia" in Tra passato efuturo. op.cit., p. 53-54. 44. "La

crisi della cultura'" in Tì·a passato efitluro, p. 23 7. 45. Ihid. p. 229. 46. Ernst Vollrath, "Hannah Arendt an d the Method of Politica! Thinking"

Social Research, 44, 1977. 47. '"Pensiero e considerazioni morali'", in La disobbedienza civile e altri

saggi op. ci t., p. 116. 48. Per un'esatta esposizione di metodo connessa al suo lavoro sul totali­

tarismo vd. lo scambio di opinioni tra la Arendt c Eric Vogclin in "The Origins ofTotalitarism'' Review ojPo/itics 25, 1953, trad. i t. di A. Guadagnin Le origini del totaliwrismo, Bompiani, Milano 1968.

49. V d. "II concetto di storia" in Tra passato ejìtturo, op.cit., p. 65. 50. "Some Questions ofMoral Philosophy'", op.cit.; vd. anche Il. Arcndt

""Personal Responsability under Dictatorship". The Listenu; agosto 6, 1964. 51. "Basic Mora! Proposition'", op.cit. 52. ""Some Questions of Mora! l'hilosophy", op. ci t.; vd. anche Ehrai.\"1110 c

modernità, op.cit. p. 227, dove la Arcndt dice che "sebbene il pensiero cerchi di rag­giungere una certa profondità, di andare alle radici, ""il male non è mai «radicale», ma soltanto estremo. e che non possegga né proiòndità né una dimensione demonia­ca. Esso può invadere c devastare il mondo intero, perchè si espande sulla superficie come un fungo. [Nel momento in cui il pensiero si rapporta al male, è frustrato perchè non trova niente. R. B.] Solo il bene è profondo e può essere radicale".

53. Per una convincente illustrazione della tesi arendtiana circa la hanali­tà-dcl-male. ve!. Hcmy T. Nash, "The Bureaucratization of llomicidc", in Protcst and ,','urvivc. a cura di E. P. Thompson e Da n Smith, Hamondsworth 19XO.

54. Ve!. ~ 2 di questo saggio: ve!. anche H. Arendt "La tradizione c l'età moderna" in Tra passato cfìtturo, op.cit. pp. 21-45.

55. H. Arene! t; "Thc Recovery of the Public World", op. ci t. 56. H. Arendt, '"Pensiero e riflessioni morali", in La disobbcdicn::.a civile

e altri saggi, op. cit. pp. 151.

202

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57. J. Glenn Gray. "The Abyss ofFreedom and Hannah Arendt", in Hannah

Arendt: Thc RecO\'CI)' ofthe Puh/ic World, op. ci t. . . , 58. La vita della mente, op. ci t. p. 546. La citazione agostmtana e tratta da

La città celeste 12.20. 59. Postscriptum a Pensare p. 12 supra. . 60. I. Kant, Critica del Giudizio, trae!. i t. di A. Gargiulo, a cura dt V. V erra,

Laterza, Roma-Bari 19X7. introduzione, sezione IV. . , . 61. lhid. Cfr. I. Kant, l-ogica, trae!. it. di L. Amoruso, Laterza, Ban, §§ 81-

84. . . "d l" 62. Cfr. i concetti di consenso potenziale e di '"situazione dtscorstva l ca e

nel recente lavoro di J. Habcrmas, "On the German-Jcwish Heritage", Telos 44, !980 dove descrive la ""riscoperta dell'analisi kantiana deii'Urteilskraft o gm­dizio,pcr una teoria della razionalità" come un "conseguimento di fondamentale importanza". È un "primo approccio ad un concetto d t ranonahta comu~Ic~ttva costruita sia in teoria che in pratica" c mira qumdt a un "progetto del! ettca dt comunicazione che mette in relazione la ragion pratica all'idea di discorso um-

versale". . 63. H. Arendt, "Il concetto di storia", in Tra passato efitturo. op. CII. P· 59. 64. I. Kant, Antropologia pragmatica trad. it. di Ci. Vidari, revisione dt A.

Guerra, Later;ra, Bari 1969, p. 12. . 65. Cfr. il saggio di Stanley Cave l! ""Aesthctic Prohkms of modern Pht-

losophy", nel suo libro Musi We Mean Wlwt Wc Sav~ Cambr~~gc, Eng. 1976 .. 66. Fdmund Burke, "On Taste: Introductory Dtscourse , A Phz/osop/11< al

Enquirv into the Origin of"Our Jdeas ofthc Su h/ime ami Bcautifitl, in The Writ­ings w;d Speeches o/F'dmund Burkc. Beaconsficl cdition, 12 voli., London s.d.

(>7. I. Kant, Critica del Giudizio. op. ctt. 19.

6X. Ihid .. ~~ 20-22. (,<)_ Ihid., ~ 22. 70. 1. Kant. Scritti politici difìlosojìa della storia. trad. it. G. Solari c Ci.

Vidari, UTET, Torino 1965 2, pp. 21 X-219.

71. lbid., pp. 220-221. . . . 72. (ili storici della filosofia accreditano la loro attenztonc al fenmm;m sto~

rici del mondo che non devono essere dimenticati c che sono quindi in grado dt essere ""richiamati in qualsiasi occasione fltvorcvolc dalle naLi,)ni che sarc~bero votate a ripetere nuovi sforzi di questo tipo". (Ihid., p. 223) precisamente cto che

la Arendt stessa 1~1 con i suoi studi storici sulla rivoluz.ionc. 73. I. Kant, 0.1"\"el"\'!l::ioni sul sentim<'nto dci hel/o e del su h/ime, in Seri fii

precritici, Laterza, Bari 1953, p. 329. . . . 74. V d. La vita della mente. op.cit. p. \59, dove la Arendt dtce che t! gtu-

dizio ""sia esso estetico, legale o morale, presuppone un ritrarsi certo <<innaturale» e deliberato dal coinvolgimento c dalla parzialità degli interessi immcdiall, qual!

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Page 101: Hannah Arendt Teoria Del Giudizio Politico - Lezioni Su Kant

sono dati dalla mia posizione nel mondo e dalla parte che io recito in esso". V d.

anche Ibid.~ "Pensare e fare'_', parte l pp. 176-f\3; inoltr.: !"a teoria del giudizio pp.X'i-f\6. Sul conflllto kanllano "tra il principio secondo cui si agisce c il prin­cipio secondo CLU SI gmdica" (ibid. p. 75). v d. La teoria del giudizio, pp. 69-70,

dove la An:ndt dice che Ii punto di vista generale dello spettatore '"non ci dice pero come agire": cd anche a p. X3. dove sottolinea che "le valutazioni del "ili­di/IO estetico c riflettente non hanno alcuna conseguenza pratica per l'agire:':. Il

paragone tra pensare c giudicare nella I parte dc La \"ifa della mente illu~nìna la

posi/.IOnc della Arendt: sebbene lo spettatore giudicante non condivida la solìtu­

dmc o a.~to-suflicì_enza dci filosofi, giudicare. come pensare, presuppone l'astra­ZIOIK: non lascia li mondo delle apparenze. ma sì limita a ritirarsi dal comvolg11nento attivo 111una posizione privilegiata da cui contemplare l'insieme" (lhid .. p. 179). Cìlt spettatori sono "svincolati dalla fHlrficolarii!Ì carattcnstica

del\ 'attore". ( lbid.) <)ucsto passo non IÌll"lliscc indicazione circa l 'intenzione della Arcndl di sorpassare lo "scontro. da un lato. tra l'azione congiunta e partecipe

-~·c li gllldizioche osserva cri flette". ( lbid .. p. l~()) Penso che Ici avrebbe seguito Kant nei con.sidcrare l';monc c il giiidizio come se tùsscro gnvcrnati da due prin­

cipi cllstinti che non si possono congiungere.

75. La /eoria del giudizio. p. 95 76. !.a l'ila della mente, op. ci t. pp. l XO-X l.

. 77. "Sul detto comune: <<Questo potrchbc essere vero in teoria. ma non si

applica 111 pratica»", in I. Kant Scritti politici. op.cit. 7'11.. I. Kant, .lnfmJ>ologia pmgmarica. op. ci t.

. 79. L. Burke, "On Taste". A l'hilo.\·of>luùt! FnquitT. in Wrilings a11il .'>peeches o/lo'dmund Hurke. op. cit. vol. l. .

Xl!. l. Kant, OssetTit::ioni sul .l·cnlimen/o del hcllo c del su h/ime o p ci t. pp. 3:22-323. ' .

X l. /"a teoria del giudi:::io. p. 43. X2. lbid., p. ll?ì ì\3. V d. l l. A remi t. .'lui/a rimlu::ione. op. ci t. Forse si potrebbe aggiungere

un altro escmpto a questa lista: la rivolta degli operai polacchi del \lJXO-X 1. '11.4. Ari Willner, (iruppo di combattimento ebraico. ghetto di Varsavi:I, di-

cembre l 942. ·

. f\5. l l. Arcndt. Tlw !fuma n Condition. Chicago t 95:-1: trad. i t. dì S. Finzi

l"t!a <Jc~i,·a. Bompiani. Milano 1964. \9X9". l riknmenti alle pagine rimandano

a qucst ultima cdJztonc. . X6. l'cruna critica persuasiva dell'interpretazione arcndtiana sull'autono-

Illla del giucllzio in Kant. vd. Barry C'larke, "Bcyond «T'hl; banalìty o!' h il»". Hnttsh .Journa/ o/Politica/ Sciencc I O, \9:-ìO. .

X7. Queste citazioni sono tratte da "La vita della mente", op. ci t. pp. I 51-

52: !'oslscriptum a Pensare pp. l I -14 supra.

204

XX. H. Arendt, /"11 l'ila della mente p. 546. X9. La teoria del giudi::io p. 25. ( 'fr. H. /\rcndt, T/w Recover\' ofthe J'uhlic

ffìJrld. op.cit. pp. 312-13. 90. '"" teoria del giudi::io, p. III; cfr. pp. l 09-11 O. 91. Il. Arcndt. ''Che cos'è la libertà" in Tra passato e !itturo. op.cit. p. 166-

167. 92. V d. La \'ila di'Ila mcnle, op.cit. 93. V d. ibid. parte I cap. IV c parte Il, introduzione c cap. l 6. 94. f'os/scriptum a Pensare. pp. 13-14 supra Su Weltgcrichl vd. A Kojève.

"Hegcl, Marx and Christianity". lnterprclalion L 1970. 95. V d. La!eoria del giudi=io. pp. 117-1 I~: inoltre possiamo sottolineare

l'implicito corollario a questo punto di vista. cioè che Aristotele. con la sua spie­gazione del giudit.io pratico nei capitoli della Phronesis. libro lV dell'Erica ni­comachea, non(: un concorrente adeguato. Solo Jh:gcl intraprende una sfida

credibili; con Kant. 96. I. Kant. Critim del Giudi::io. op.cit. ~ 40.

97. lbid., ~ 19. 9X. V d. l. Kant, Seri/li f!Oiilici. op.cit. 99. I. Kanl. ( 'riticu del Giudi=io. op. ci L introduzione. cap. 1: Fondamenti

della metafìsic<J dei costumi . l 00. V d. l. Kant. Cri l i ca del Giudi::io. op. ci t.~ 53.

IO I. Ibid .. ~~ 13-14 102. Ibid., ~~ I 2, 40-4 I. La Arcndt non considera mai seriamente il peso

da attribuire all"'a priori", c non af"tì·onta realmente il problema del giuditio co­

mune al quale si suppone che ci appelliamo (a priori). La /\rendt insiste nella

traduzione dcll"'a/lgemein'' kantiano con il "generale" piuttosto che con l'"uni­vcrsa\c" (v d. le note a questa cdi1ione dc /"11 /corio del giudi::io. nota !55 p. 136 supra). Comunque ciò non signilica che noi mettiamo in rc\a;.ionc il nostro gJu­

di;io con una spcciilca comunità umana. con tutte le particolarità che ciò impli-

L·hcrcbbc. 103. l. Kant, Crilim del Giudì::io. ~ 40: noi pesiamo il nostro giudizio,

cioè. "nei limiti della ragione umana nel suo complesso" (clic gesammte Jl,fen-

" ·hcti\"er11ul1/l). l 04. Nella ncga;ione dello stato cognitivo al giudifio riflettente, la Arendt

segue quasi certamente Kant, ( "rilim del Giw/i=io, ~~ 1-3:-ì: "il giudizio dì gusto

non è dunque un giudizio di conoscenza". I 05 . .1. Jlabennas. La co11cc::ione conzunicalil'a del potere in flwmah

Arendt, "Comunità" XXXV, IX3. !9XI pp. 56-73. l 06. Kant discute davvero tale esito nella sua Antropologia (v d.~~ 42-44).

Forse un tentativo di applicare il concetto kantìano di gusto alla politica potrebbe derivare un maggior profitto dalla capacità d'osservazione della "Antropologia

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Page 102: Hannah Arendt Teoria Del Giudizio Politico - Lezioni Su Kant

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pragmatica" kantiana, per cui troviamo una spiegazione del gusto considerevol­mente diversa da quella elaborata nella terza Critica. V d. anche Antropologia pragmatica, §§ 67-71. . 107. "Some Questions ofMoral Philosophy", op.cit. La frase da me posta m cors1vo è un 'aggiunta a matita posta sul dattiloscritto della lezione.

108. Nel suo saggio "La concezione comunicativa del potere in Hannah Arcndt", Jiirgen Habennas conclude che la Arendt "si ritira" dal "suo concetto di prassi, il quale è fondato sulla razionalità del giudizio politico", op.cit., p. 73.

l 09. La teoria del giudizio, pp. 21-22 supra. li O. H. Arendt, "La crisi della cultura" in Tra passato efiituro, op. ci t., p.

215-245. 111. La vita della mente, op. cit., p. 122. 112. H. Arendt, corso di lezioni tenuto all'Università di Chicago nell'au­

tunno 1964: "Kant's Politica] Philosophy" (Hannah Arendt Papers, Library of Congress, Container 41, p. 032272).

113. lbid. . 114. V d. La 1•ita della mente, op.cit., p.l47. n. 83: "le mie riserve più forti

dmanZI alla filosofia di Kant concernono proprio la sua filosotla morale, vale a dire, la Critica della ragìon pratica". La Arendt non evidenzia i punti di contatto tra la seconda e la terza Critica, e non discute nemmeno la possibilità che le ca­renze della sua filosofia morale siano riprodotte nell'estetica e nella filosofia po­litica.

115. "Freedom and Politics" in Freedom and Serfdom, op.cit. 116. La teoria del giudizio, p. 18 supra. 117. Jbid., p. 51-52; 53-54. 118. lbid., p.l9-20; 34-35. 119. M. Hcideggcr, Kant e il proh/ema della metafìsica, trad. it. di M. E.

Reina, Silva, Milano 1962. . 120. H. Arcndt, Vita activa, op.cit., p. 273 n. 75. 121. "Truth and Politics" in Bf'tween Past and Future', op. cit. Cfr. H.

Arendt, "Jsak Dinesen 1885-1963", in Men in Dark Timf's, London 1970. 122. Sulla speranza v d. La tmria de'l giudizio, pp. 71, 78, 84, 87. 123. Diogene Laerzio, Raccolte' del/C' vite e delle dottrine deifìlosofì, 8.8.

Questo passo, usato come epigrafe nel § 7 di questo saggio, è citato in La vita della mf'nte, op. ci t. p. 177 c in La /C'oria del giudizio, p. 85 supra. La Arendt si riferisce a tale passo nel dibattito "On Hannah Arcndt" in Hannah Arendt: ThC' Rf'coverv oj"the Public World, op. ci!., p. 304.

124. V d. La vita della mente, op.cit., pp. 306-7. 125. La teoria del giudizio, pp. 117-11 X. 126. F. Nietzschc, Genm/ogia della morale, 3.28; trad. it. di F. Masini,

Adelphi, Milano 1984.

206

127. Sofocle, Edipo a Colono vv. 1224 sgg. in Sofocle. Tragedie efram­mf'nti, a cura di G. Paduaro, Torino 1982, pp. 79X-799; F. Nictzsche. La nasc1ta della tragedia, trad. it. di S. Giametta, Adelphi, Milano 1964, lll sezwne.

128. H. Arendt, Sulla rivoluzione, op. CI t. pp. 325-26. . . 129. F. Nietzsche, La gaia scienza, trad. it. di F. Masini, Adelphi, Milano

1984, n. 341. . d l . 130. 1. Kant, Critica del Giudizio, op. cit. 83 nota. Cfr. La teona e glll-

dizio, p. 42. . · · · Ad 1 131. F. Nictzsche, Così parlò Zarathustra, trad. It. di M. Montman, e-

phi, Milano 1989 .. parte 111 "La visione e l'enigma", p. 192.

132. lbid., pp. 19\-92. 133. La vita della mente, op.cit., p. 298.

134. lbid., p. 30\. 135. lbid., pp. 301-2; p. 304. . " ' 136. F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra. op. cit. parte Jll della reden-

zione", p. 171. \37. lbid., p. 170-71. 138. La vita della mente, op.cit., p. 490.

139. lbid., p. 492. 140. lbid .. p. 494. . , . · 1 87 141. F. Nictzschc, Volontà di potenza n. 708, 111 Frammenti postumi 8 . ~

/888, op. ci t., p. 246. Di nuovo, sembra che Nietzsche echeggi un pensiero gia . t, in Kant che suona: "'Lascerà sempre perplessi. .. che tutte le generaziOni

prcsen c , . . l Il'. t ·se dei sembrino portare avanti le loro gravose occupazwm so tanto ne ~n ere~:

·t ri e che solo l'ultima generazione debba poters1 stabilire ncll edificiO ter­pos e d. . , T t 'futuro minato". (passo citato dalla Arendt in "Il concetto 1 stona , ra passa o t ·

op.cit. p. 9\ ). \42. lbid., n. 708. \43. H. Arendt, La vita della mente, op.cit. p. 496. 144. F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra, op.cit. parte IV "Il canto del

nottambulo", p. 393. 145. La teoria del giudizio, pp. l 17-118 supra. 146. La vita della mente, op.cit., p. 546. 147. H. Arendt, Vita activa, op.cit.. p. 322. . 148. V d. "Comprensione e politica" in La disobbedienza civile e altri sag-

gi op.cit. pp. X9-\ 1\. , . . , · 149. Corso di lezioni tenute dalla Arendt nell'autunno 1964 ali Umvcrsita

di Chicago "Lcctures on Kant's Politica] Philosophy", op. cit. L'a stessa frase e citata da Ici anche in "Basic Mora! Propositions", op. cit., dove e messa m rela­zione con dilectures mundi: "l'amore del mondo costituisce per me Il mondo.~ mi introduce in esso", nel senso che determina "a chi c a che cosa appartengo

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Page 103: Hannah Arendt Teoria Del Giudizio Politico - Lezioni Su Kant

cfì·. ra r·ira della mente. op. cit. p. 424. p. 467. Vd. anche la dissertazione del­l'amore al cap. Il~ 4 c cap. III~ l.

150. Cfr. Agostino. Le nm/e.1sio111. 11.14: delle tre divisioni del tempo '"Passato c tì.tturo: ma codesti due tempi in che senso esistono. dal momento che il passato non esiste più. che il Juturo non esiste ancora'' E il prc,.,cntc, alla sua volta. se rimanesse sempre presente c non tramontasse nel passato. non sarebbe tempo. ma eternità. Se dunque il presente, perché sia tempo, deve tramontare nel passato. in che senso s1 può dire che esiste, se sua condizione all'esistenza è quel­la di cessare dall'esistere: se cioè non poss1amo dire che in tanto il tempo esiste in quanto tende a non esistere''". V d. anche la meditazione sulla mortalità. ibid. 4.4 sgg.

\51. "Quell'imperatore teneva sempre presente la caducità di tutte le cose. per non prcnderlc troppo sul serio c per mantenere la calma in mezzo ad esse. i\ mc sembra al contrario che tutto abbia troppo valore per poter essere cosi tì.Jg­gcvolc: io cerco un'eternità per ogni cosa: sarebbe lecito versare in mare i più preziosi unguenti c vini'' c la mia consolanone è che tutto ciò che è stato è eterno~ il mare lo rigetta a terra." (F. Nietzsche, VolonliÌ di poten::a. n. 1065. op.cit.. pp. 253-254.

152. H. i\rendt, ~Ira aclim, op.cit., p. 19'l. \53. V d. il saggio della Arcndt "La crisi della cultura" in Tra fWSmlo ejit­

turo, op.cit. p. 215-245. Il concdto di "imlistruttibilitù" si riLì al primo libro della An:ndt, sul concetto d'amore in S. Agostino. puhblicato nel 1929. La sua opera sul giudizio ha così chiuso un ciclo di rilkssionc iniziato proprio all'esor­dio della sua carriera filosofica.

154. V d. W. Bcnjamin. ''Thcscs on thc Philosophy of History", in 11/wni­

IWiiom. a cura di IL Arcndt. Ncw York l96X, trad. it. a cura di R. Sol mi in An­gelus Nm•us. Saggi c jmmmcnri. Emaudi, Torino 1962, p. 73. L'idea della nostra rel<vione Jì·ammentaria con il passato è espressa nel concetto di Bcnjamin di Jet:: ::cii. che discute in alcune tesi. Per es. nella XIV Bcnjamin descrive come Robcspicrre ha fatto rivivere l'antica Roma ti1cendola esplodere dal continuum omogeneo della storia. La Rivoluzione francese "evocava l'antica Roma nel modo in cui la moda evoca i costumi del passato''. Per il commento arendtiano a questo aspetto del pensiero di Benjamin, vd. la sua introduzione a 1//umina­

tions. !55. G. Scholem, O n .11'11'.1' an d Judaism in C'risis, New York 1976. Per il

commento della Arendt alla IX tesi di Bcnjamin sulla fllosotìa della storia. vd. 11/uminations, op.cit. Sarebbe impossibile atlì·ontarc in questa sede i molti punti di affìnità tra la Arcndt c Benjamin. Evidentemente solo la cita? ione della Arendt dell'immagine di Catone come storico che pmieggia per la causa persa è in stretto accordo con lo spirito della VII tesi di Bcnjamin. V d. Thcodor Adorno, ;'vfininw

Moralia. n. 9X. 156. 1//umina/ions, op.cit.

208

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.. 157L. Wd. Be111J9a7~ Il racconto di Kafka, di cui Bcnjamin offre questa esegesi, J'o/tltcs, on on · è· "Il paese più vicino"

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Page 104: Hannah Arendt Teoria Del Giudizio Politico - Lezioni Su Kant

INDICE

7 Nota del traduttore

9 Prefazione al\' edizione americana

11 Post-scriptum a Pensare

Teoria del giudizio politico

17 PRIMA LEZIONE 22 SECONDA LEZIONE 30 TERZA LEZIONE 3/l QUARTA LEZIONE 45 QUINTA LEZIONE 54 SESTA LEZIONE 63 SETTIMA LEZIONE 71 OTTAVA LEZIONE 79 NONA LEZIONE ll9 DECIMA LEZIONE UNDICESIMA LEZIONE

9/l

DODICESIMA LEZIONE 103

TREDICESIMA LEZIONE 109

l 17 Immaginazione

I25 Note

Il giudizio in Hannah Arendt 135 di Ronald Beiner

199 Note

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