Gusto 05 2010

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Gusto golfarelli editore

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SOMMARIO

Editoriale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .14Marco ZanziRoberto Burdese

Il punto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .18Giancarlo Galan

Cultura enogastronomica . . . . . . . . . . .22Jean-Robert Pitte

Copertina . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .26Claudia CardinaleL’aristocrazia a tavolaLa tradizione popolare

Sapori di Sicilia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .50Pippo Baudo, Pietrangelo Buttafuoco,Nino Frassica, Giampiero Mughini,Stefania Prestigiacomo, Antonino Zichichi

A tavola con filosofia . . . . . . . . . . . . . . . . . .62Nicola Perullo

Il cibo come identità . . . . . . . . . . . . . . . . . .68Angelo Varni

L’Emilia Romagna in tavola . . . . . . . . .74Il culatello di ZibelloLa mortadella bologneseIl Prosciutto di ParmaLa salama da sugoL’aceto balsamico di Modena

Tradizioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .94La pasta fresca

Ricordi di cucina . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .100Paolo Cevoli, Roberto Pazzi,Franco Maria Ricci

Igp del Veneto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .106Asparago bianco di CimadolmoRiso vialone nano VeroneseCiliegia di MarosticaRadicchio di Treviso

Pasticceria italiana . . . . . . . . . . . . . . . . . .122Vicenzi

Profumi veneti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .124Mario Moretti Polegato,Federica Pellegrini, Flavio Tosi

Il trattamento delle carni . . . . . . . . . . .130San Daniele del FriuliI salumi

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SOMMARIO

Gusto • 12 Maggio 2010

L’olio toscano . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .134Il frantoio del Colle

L’Italia dei vini . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .138Cantina CustozaViticultori associati di CanicattìTerra d’AligiTenuta PepeIl proseccoIl SoaveLe bollicineCartizze Vigna La Rivetta

Tradizione casearia . . . . . . . . . . . . . . . . . .164Il formaggio di fossaLa CasatellaLa Burgonza

RubricheCibo e arte . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .170Alex Revelli Sorini

L’arte di ricevere . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .176Filippo Romano

Il sapore delle immagini . . . . . . . . . . . .184Gian Luca Farinelli

Benvenuti a . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .190Bologna

Sulle rive del Garda . . . . . . . . . . . . . . . . . .194Il pesce d’acqua dolce

Dove e perché . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .208Camillo Langone

Il valore del fatto a mano . . . . . . . . . . .212Dagli antichi ricettari

Educazione alimentare . . . . . . . . . . . . .215Giorgio CalabreseAlberto BauliLa Brasserie de MilanTerrazza Danieli

Formazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .230Gualtiero MarchesiValter CantinoCarlo PetriniMassimiliano Bruni

Sicurezza alimentare . . . . . . . . . . . . . . . .246Efsa

Appuntamenti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .252Cibus

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Gusto • 14

EDITORIALE

Il banchetto

di Alcinoo

Gusto, rinnovatonei contenuti enella forma pervolontà della suaeditrice MariaElena Golfarelli,

organizza un banchetto con i suoilettori. Un Convito sul modello diquelli dell’età eroica, quella diOmero. Un immaginario gigante-sco megaron arredato da tavoli,sedie, panche, sgabelli accoglierà inostri tanti ospiti-lettori, i quali nonsaranno distesi sui triclinii ma se-duti, come si conviene nell’età deglieroi. La tavola sarà riccamente ap-parecchiata con stoviglie di formesvariate e di materiali preziosi, perrendere loro onore e su di essa ilcibo farà bella mostra di sé. E sa-ranno allietati dal “canto” degliaedi. L’Aedo che sa incantare lamensa, viene sempre grandementerispettato. Al banchetto di Alcinoo“Bello è l’udir cantor, come Demo-doco, di cui pari a quella d’un diosuona la voce…”.

Quindi dalle nostre “cucine” ar-rivano le “portate”. Protagonisti diquesto numero di Gusto sono i pro-dotti e la cucina della Sicilia; le ver-dure Igp e Dop del Veneto; la“civiltà del maiale” dell’Emilia;Cibus, la fiera del gusto di Parma; ilpesce d’acqua dolce del Garda; leuniversità e le scuole del gusto edella cucina italiana. Il punto di ri-ferimento sarà comunque il nessotra prodotto e territorio, intesoquest’ultimo come elemento im-prescindibile per la corretta com-prensione di un’identitàgastronomica complessa e varie-gata come quella italiana. La ric-chezza di terroir differenti, checaratterizzano il nostro Paese, èl’elemento basilare per lo sviluppodelle diverse realtà territoriali che,già a partire dall’800, si trovano ainteragire con crescente intensità,fino a dar vita a un sistema ampioche consideriamo la nostra identitàgastronomica nazionale.

Ad accompagnarci saranno leparole di “aedi” d’eccezione: pro-duttori, gourmet, cuochi, somme-lier, gran cerimonieri, principi,ministri della Repubblica, filosofi,storici, accademici, artisti, letterati,uomini di spettacolo e di sport, po-litici e altri ancora. Daranno consi-gli, faranno riflettere,informeranno, faranno sorridere,rivolgendosi a un pubblico di let-tori ampio e appassionato. Semprepiù ai nostri giorni le modalità conle quali ci si rapporta al cibo hannocostituito oggetto di interesse e didiscussione da parte di tanti chesono gli “addetti ai lavori”, maanche da molte altre persone chesempre più acquisiscono coscienzadell’importanza e del valore dellabuona tavola.

Ed ecco arrivato il momento didire, con le parole di Alcinoo, “chel’ospite venga a cena glorioso nelcuore”.

Maggio 2010

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� di Marco Zanzi �

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EDITORIALE

Il legame tra cibo e territorio ècosì stretto e indissolubile che sidovrebbe sostituire la congiun-zione con il predicato. Il “cibo è

territorio”. Se i territori fossero sem-plicemente suolo, supporto fisico allaproduzione alimentare, avremmo ca-lorie, lipidi, fibre, proteine... sterili va-lori chimici. Ma il cibo è un’altra cosa.Il cibo è parte intete della nostraidentità, della nostra storia, del nostroclima, del nostro modo di distin-guerci dagli altri, l’unico modo cheabbiamo di conoscere gli altri e noistessi. L’Italia è un esempio straordi-nario di questo legame con le sue in-numerevoli identità ed eccellenzeagroalimentari. Non a caso vantiamoil maggior numero di Dop in Europa,lungo tutta la Penisola nascono (sa-rebbe meglio dire rinascono) mer-cati contadini, e dal canto suo SlowFood con i propri Presìdi tutela e va-lorizza quei prodotti appartenentialla tradizione agricola e alimentarein pericolo d’estinzione. Abbiamo laconsapevolezza del nostro patrimo-nio, ma sappiamo anche che moltisono i problemi e i pericoli. Dicia-molo chiaramente: senza legame colterritorio, il cibo perde elementi di

qualità e perde soprattutto il carattereculturale. Battiamoci per questo per-ché già il nostro cibo quotidiano si èquasi completamente slegato dal ter-ritorio.I moderni sistemi di distribuzioneormai condizionano la produzione:oggi in larga parte l’agroindustria haabolito (per necessità più che perscelta) la relazione con il territorio. Innome del mercato e del profitto ab-biamo compromesso gli ecosistemi,assottigliato la biodiversità, standar-dizzato i gusti e spesso calpestato i di-ritti dei lavoratori. Con l’esplosionedella globalizzazione il cibo è statodefinitivamente sradicato dal suocontesto storico, è diventato meramerce. E allora l’alimento inteso consemplici valori economici e chimici(come dicevamo prima lipidi, fibre,proteine...) ci sta mangiando: divoral’ambiente, i contadini, i consumatori.Demolisce il territorio, sia come con-cetto che materialmente.Il nuovo progresso, il possibile svi-luppo futuro stanno proprio neltornare a stabilire i giusti rapporti, legiuste priorità: cibo e territorio,cibo è territorio. E chi può farlo me-glio del nostro Paese, emblema

mondiale della buona tavola?Slow Food farà la sua parte, comesempre: “cibo +/= territorio” sarà loslogan del Salone Internazionale delGusto 2010 (Torino, 21-25 otto-bre). Alla nostra manifestazione dipunta infatti si troveranno innanzi-tutto i territori, a guidarci verso iprodotti e i produttori, raccontan-doci i mille legami che li hanno fattinascere. Si potrà guardare il pano-rama complessivo, oppure avvici-narsi fino a vederne i dettagli. E aTerra Madre, il meeting delle co-munità del cibo dai cinque conti-nenti concomitante al Salone,emergeranno i produttori, le per-sone, con le relazioni che hannocon il territorio.

cibo è territorio� di Roberto Burdese �

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Gusto • 18 Maggio 2010

OTTENERE DALL’UNESCO IL RICONOSCIMENTO PER LANOSTRA GASTRONOMIA A PATRIMONIO DELL’UMANITÀ.ECCO I PROGETTI DEL NEO MINISTRO GIANCARLO GALAN

� di Nike Giurlani �

un primato

da difendere

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Maggio 2010

L’ agricoltura italiana staattraversando un mo-mento di difficoltà, conalcuni problemi che cer-

cheremo di affrontare subito, maanche molti punti di forza che cidanno ottimismo. Siamo pronti,quindi, ad affrontare la sfida deimercati internazionali» mette inevidenza Giancarlo Galan. «La va-lorizzazione del nostro patrimonioagroalimentare è certamente cen-trale, per il rilancio del compartoprimario – prosegue il neo mini-stro delle Politiche agricole, ali-mentari e forestali – e siamo allavoro per compattare tutta la fi-liera produttiva, dai produttori aidistributori, e le istituzioni, inmodo da concentrare tutte le ener-gie e le risorse finanziarie». Maquesto non basta, afferma Gian-carlo Galan. «C’è bisogno, inoltre,di un’agricoltura che segua e faccia

proprie le esigenze del mercato,e che sia aperta al nuovo ancheattraverso la ricerca e l’innova-zione tecnologica. I giovani de-vono avere la possibilitàconcreta di scegliere l’agricol-tura e di sviluppare attività d’im-presa. E noi dobbiamo metterliin grado di dotarsi di tutti glistrumenti, anche finanziari, chepermettano loro di accedere e dioperare in modo propositivo einnovativo».

Quali sono le prime inizia-tive che intende portareavanti?«Voglio essere il ministro del-l’ascolto. Avvieremo subito lafase della concertazione, contutti i protagonisti, i produttori,le associazioni di categoria e leRegioni. Avvieremo al più pre-sto un piano di rilancio, valoriz-

A destra, il ministro

delle Politiche agricole,

alimentari e forestali

Giancarlo Galan

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Gusto • 20 Maggio 2010

zando i punti di forza di ciascunsettore e superando la frammenta-zione delle competitività. Lavore-remo per rafforzare e rendere piùcerta la nostra azione negoziale aBruxelles, semplificando al con-tempo il quadro normativo e lestrutture della nostra agricoltura. Sevogliamo davvero che torni a svol-gere un ruolo centrale per la nostraeconomia, dobbiamo valorizzareogni realtà, che porta il suo contri-buto irrinunciabile all’intero com-parto».

Su quali aspetti occorre pun-tare per rilanciare l’agricolturaitaliana?«Ritengo prioritaria una politica asostegno delle famiglie italiane, bi-sogna restituire loro il giusto poteredi acquisto. I nostri sforzi sarannoconcentrati ad accorciare la filiera,avviando al più presto un processodi rinnovamento della filiera tradi-zionale, che va razionalizzata e mo-dernizzata per superare inefficienzee speculazioni. Metteremo subitoin atto tutti quegli aspetti che pos-sono restringere al massimo la for-bice, oggi penalizzante, tra costi diproduzione nel sistema agroali-mentare e i prezzi al consumo, eli-minando intermediazioni esprechi, che incidono anche fino al30-40 per cento sul prezzo finale».

Qual è la sua posizione neiconfronti degli Ogm e della ri-cerca? «Per un sistema paese il gap peg-giore è quello della conoscenza,quindi su questo punto resteròcoerente alle mie posizioni di sem-pre: sì alla ricerca e all’innovazione.

Sono entrato a far parte di un go-verno che su questa questione hagià preso una serie di decisioni, l’ul-tima è il decreto interministeriale distop alla coltivazione di un maisOgm. Non intendo per coerenza elealtà, mettere in discussione que-sta posizione. Detto questo, la ri-cerca va sempre e comunqueincoraggiata».

La Francia ha avanzato la ri-chiesta di dichiarare la cucinafrancese Patrimonio dell’Une-sco, si potrebbe portare avantila stessa iniziativa anche perquella italiana? Cosa fare persalvaguardare il nostro patri-monio enogastronomico?«Siamo l’Italia dei mille sapori,delle produzioni tipiche di ogni re-gione, della buona cucina. Sarebbepiù giusto parlare di cucine italiane,allo stesso modo in cui siamo cele-brati per i mille monumenti, cittàd’arte, paesaggi. Abbiamo le più fa-mose accademie della cucina, il no-stro patrimonio enogastronomicoè un bene prezioso, riconosciuto intutto il mondo. Ma l’eccellenzadella nostra tavola è il frutto diun’arte secolare, che ha saputo esal-tare i sapori e i profumi dei nostriprodotti tipici e che non teme laconcorrenza straniera. Per questo,intendo candidare l’Italia per otte-nere dall’Unesco il riconoscimentoa Patrimonio dell’Umanità di spe-cialità gastronomiche tipiche, chesono uniche e solo nostre. E per farquesto, coinvolgeremo autorevolichef, giornalisti enogastronomici eintellettuali per sostenere la cam-pagna con il loro fondamentalecontributo».

L’eccellenza della nostratavola è il frutto di un’arte secolare, che ha saputo esaltare i sapori e i profumi dei nostri prodotti tipici

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Gusto • 22 Maggio 2010

� di Lara Mariani �

alla corte del re sole

Assieme ai dialetti la culturaenogastronomica dipingela varietà delle regionid’Europa. Ogni regione,

ogni paese si distingue in particolareper la sua alimentazione, «in primoluogo per l’importanza che vienedata alla cultura alimentare, in se-condo luogo per la natura delle pie-tanze e delle bevande, che sonorappresentative dell’agricoltura lo-cale, ma anche dell’apertura agliscambi vicini o lontani». Un’Europa

piena di memorie storiche e gastro-nomiche da sviscerare, tra cui inevi-tabilmente spiccano Italia e Franciama perché no, anche la Spagna, oggicosì «alla moda e influente sull’altacucina». Viene da chiedersi, perchéproprio queste tre? Jean-RobertPitte, geografo ed esperto di gastro-nomia, fino al 2008 presidente dellaSorbona di Parigi, delinea le ragionistoriche, religiose e, in un certosenso, anche politiche di questa su-periorità gastronomica. •

LA CULTURA GASTRONOMICA PERVADE L’EUROPA DA SECOLI. CON ALCUNE IMPORTANTI DIFFERENZE. A ILLUSTRARLE, JEAN-ROBERT PITTE

CULTURA ENOGASTRONOMICA Jean-Robert Pitte

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CULTURA ENOGASTRONOMICA Jean-Robert Pitte

Gusto • 24 Maggio 2010

Quali elementi hanno fatto sìche nei paesi di origine latina visia una così forte cultura del cibo? «Italia, Francia e Spagna sono di tra-dizione cattolica e da un certo puntodi vista il cristianesimo ha sempreconsiderato la golosità come un pec-cato minore, anzi quasi un modo direndere grazie e lode a Dio».

Quindi in questo senso Italia eFrancia hanno un’origine gastro-nomica simile?«In realtà ci sono delle diversità im-portanti. A differenza della Francial’Italia non possiede un’alta cucinanazionale, ma degli squisiti piatti re-gionali o rappresentativi di una città.Questa frammentazione è dovutaalla tardiva Unità d’Italia. Solo il pa-pato avrebbe potuto generare un’altacucina complessa nei suoi stati, maciò non è avvenuto. Forse a causadella mancanza di donne alla cortepontificia...».

Come si è sviluppato invece inFrancia questo fortissimo legametra nazione e cultura gastrono-mica?

«In Francia, il ruolo di Parigi, capitalee residenza della corte reale, impe-riale e della presidenza della Repub-blica, è stato in passato ed è ancoraoggi fondamentale. La grandezzadella capitale ne ha fatto un centro dicreatività gastronomica, tanto che apartire da Luigi XIV, la cucina è ap-parsa come un’espressione irrinun-ciabile dello splendore della culturafrancese».

A proposito della proposta difar divenire la cucina francese pa-trimonio dell’umanità quali sonole sue aspettative? «Conduco questo progetto comepresidente della Missione del patri-monio e delle culture alimentari.L’idea non è quella di affermare qual-siasi superiorità francese, ma di farprendere coscienza ai francesi del

fatto che possiedono un ricco patri-monio culinario e che dovrebberoavere interesse a custodirlo, a farlo vi-vere, a dividerlo con il mondo intero,in particolare con gli stranieri che vi-sitano la Francia e che si aspettano dimangiarvi bene. I francesi sono attac-cati alla loro identità gastronomica,ma molti oggi hanno purtroppoperso l’arte di cucinare bene quoti-dianamente».

Quale piatto esprime megliol’identità francese?«L’identità culinaria francese è com-plessa e varia. Potrei citare le “saucesliées”, montate al burro o alla cremapartendo da un fondo di carne o daun fumet di pesce. E poi anche i pa-sticci e i pâtés misti, la ricchezza deiformaggi, ma anche l’antichità deivini da sempre legati al territorio». d

In apertura, Jean-Robert Pitte; nelle altre

immagini, scene tratte dal film Vatel, in cui

Gérard Depardieu interpreta il noto maestro

di cerimonie alla corte del Re Sole

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COPERTINAClaudia Cardinale

In occasione del Festival diCannes sarà mostrata inanteprima mondiale unaversione restaurata digital-mente de Il Gattopardo diLuchino Visconti, che vinse

la Palma d’Oro nel 1963. Al-l’evento parteciperà anche ClaudiaCardinale che nel film interpretavail ruolo di Angelica.«Questo èstato il film che ha cambiato la miavita» racconta l’attrice che, nel 59,aveva già conosciuto Luchino Vi-sconti durante le riprese di Rocco e isuoi fratelli. «Quando, però, venniscelta per la parte di Angelica fuun’emozione fortissima, sia per lafortuna di lavorare con Visconti siaperché avrei affiancato due grandiattori come Burt Lancaster e il bel-lissimo Alain Delon».

Visconti cercò di ricreareperfettamente le sensazioni, gliodori e le ambientazioni de-scritte da Tomasi di Lampe-dusa. Si ricorda qualcheaneddoto al riguardo?«Luchino aveva una cura mania-cale per i set, perché tutto dovevaessere perfetto, i fiori dovevano es-sere sempre freschi e ogni giornovenivano utilizzate candele nuove.Addirittura, nella famosa scena delballo, c’era tutta la nobiltà siciliana.Quando i truccatori mi prepara-vano, prima di girare una scena, luiera sempre lì con me per control-lare la giusta intensità che dovevaassumere il mio sguardo».

A proposito del film ha di-chiarato che, con il ruolo di An-gelica, Visconti le ha fatto il più

il ritorno

di angelicaIL GATTOPARDO È STATO IL FILM CHE LE HA CAMBIATO LA VITA. RICORDI E ANEDDOTI DI CLAUDIA CARDINALE DURANTELE RIPRESE DEL CAPOLAVORO DI LUCHINO VISCONTI

� di Nike Giurlani �

In apertura, Claudia Cardinale nel ruolo di Angelica;

sopra l’attrice oggi

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COPERTINAClaudia Cardinale

Gusto • 28 Maggio 2010

bel regalo della sua vita d'at-trice. Che ricordi ha di quelpersonaggio?«Mi ricordo che durante unascena a tavola, nella quale Alain miraccontava una storiella un po’ pic-cante, io dovevo ridere in manieramolto sguaiata. Quando uscì il filmla critica non apprezzò questascena, ma io feci esattamentequello che mi aveva richiesto Vi-sconti».

Il film è in gran parte am-bientato in Sicilia, che rapportoha con questa regione?«Pur essendo nata e cresciuta inTunisia, mio padre era siciliano,originario dell’Isola delle Femminevicino a Palermo, e quindi sonosempre stata molto legata a que-st’isola. La Tunisia, poi, veniva

Grazie al finanziamento fornito da Gucci e all’impegno della

Film Foundation, presieduta da Martin Scorsese, verrà presen-

tata al Festival di Cannes la versione restaurata de Il Gatto-

pardo di Luchino Visconti. «Il lavoro è stato realizzato in parte

a Bologna, in parte a Los Angeles, in una collaborazione tra Ci-

neteca di Bologna, Cineteca Nazionale, Pathé (che detiene i di-

ritti per la Francia), Titanus (che li detiene per l’Italia), Twentieth

Century Fox che li ha per l’America» racconta Gian Luca Fari-

nelli, direttore della Cineteca di Bologna. «Il restauro è stato

molto complesso, poiché il film fu girato, all’epoca, in un for-

mato bizzarro, il Tecnirama, un 35 fotografico dove il negativo

è orizzontale, mentre il 35 cinematografico è solitamente ver-

ticale, questo implica che l’area dell’immagine è molto più

grande». Ritrovato il materiale originale, «l’abbiamo scansio-

nato alla più alta definizione possibile – racconta – ottenendo

una precisione in termini di luminosità, di resa delle ombre, dei

chiaro-scuri e dei colori che non ha niente a che vedere con

quella a cui eravamo abituati dalle copie in 35, probabilmente

anche molto superiore a quella che lo stesso Visconti poté ve-

dere. Una qualità insita nella pellicola, ma che le tecnologie

precedenti non consentivano di lasciar emergere completa-

mente». Del resto, se il film era stato girato in quel formato era

proprio perché «Visconti voleva un effetto quasi tridimensio-

nale, in modo che da ogni fotogramma emergesse la ricchezza

degli elementi, poiché ogni oggetto all’interno del film era stato

accuratamente studiato, ricercato per rendere le atmosfere e le

sensazioni di quell’epoca». Il restauro consente, quindi, «di ri-

vivere quegli effetti tattili e di percepire totalmente le differenze

di luce perché – conclude Farinelli – fino a oggi non erano re-

almente visibili».

Il restauro

della pellicola

d

chiamata la “petite Sicile” per viadei molti emigranti isolani che sierano trasferiti in questa terra e checontinuavano a conservare il lorodialetto siciliano».

A quali luoghi e sapori dellaSicilia è particolarmente legata? «I miei piatti preferiti sono il couscous con il pesce e la pasta allaNorma. Adoro, inoltre, tutti i vinisiciliani perché sono particolar-mente profumati. Pur vivendo davent’anni a Parigi, mi piace andarealla ricerca dei prodotti enogastro-nomici siciliani perché sono unici.Tornare in Sicilia è sempre unagrande emozione e, in queste occa-sioni, mi capita spesso di entrare inun ristorante e sentire, poco dopo,partire in sottofondo la musica de IlGattopardo».

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COPERTINAL’aristocrazia a tavola

Gusto • 30

A TAVOLA CON L’ARISTOCRAZIA SICILIANA AI TEMPIDE IL GATTOPARDO. PIATTI E MENU TIPICI PREPARATIDAI MONSÙ PER CONQUISTARE I NOBILI PALATI

� di Nike Giurlani �

Noi fummo i Gattopardi,i Leoni; quelli che ci so-stituiranno saranno glisciacalli, le iene; e tutti

quanti Gattopardi, sciacalli e pecore,continueremo a crederci il sale dellaterra». Maggio 1860, Regno delleDue Sicilie. Da una parte, l’aristocra-zia siciliana, che nonostante le variedominazioni succedutesi, conti-nuava a conservare prestigio e po-tere. Dall’altra, l’avanzata diGaribaldi e dei Mille, giunti in Sicilia,per liberarla dal dominio borbonicoe per dar vita al Regno d’Italia. Nelromanzo Il Gattopardo di Tomasidi Lampedusa sarà compito di Fa-

brizio Corbera, principe di Salina,descriverci questo trapasso epocale.Don Fabrizio percepisce i piccoli e igrandi mutamenti che avvengonointorno a lui, ma continua a perpe-tuare i rituali tipici che caratterizza-vano la vita dei nobili del tempo.Ogni anno, infatti, l’arrivo dell’estatecoincideva, per la famiglia Salina, conil trasferimento nella tenuta estiva aDonnafugata e con un sontuosobanchetto nel quale veniva servito,come da tradizione, il famoso tim-ballo di maccheroni. La cucina siciliana è stata influenzatadalle varie dominazioni che si sonosuccedute nell’isola, ma sicuramente

nobilisapori

la cultura francese ha svolto un ruolocruciale soprattutto per la dieta degliaristocratici. Non a caso, la cucinadei nobili era in mano ai monsù.Come sottolinea il giornalista edesperto di cucina ed enogastrono-mia siciliana, Gaetano Basile. «Il ter-mine monsù deriva dal francesemonsieur ed era usato per indicare icuochi di casata. Gli altri, al lavoromagari presso gente ricchissima, manon titolata, erano “cuochi di pa-glietta”». Nel romanzo di Giuseppe Tomasidi Lampedusa è infatti il Monsù Ga-ston l’artefice del famoso timballo dimaccheroni in crosta. «La ricchezza •

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Gusto • 32 Maggio 2010

in Sicilia – sottolinea Basile – erarapportata al numero di volte cheveniva acceso il fuoco per cucinare: inobili lo accendevano due volte algiorno, perché avevano a disposi-zione più legna, più carbone e batte-rie da cucina migliori; imedio-borghesi una volta al giorno, imeno ricchi una volta a settimana ec’era chi non poteva proprio per-metterselo». I monsù ci hanno, inol-tre, tramandato i piatti chepreparavano per i nobili tramite i“calapìni”, «i quaderni lunghi estretti, nei quali i cuochi delle grandifamiglie annotavano i menù delpranzo e della cena, gli ingredientiutilizzati e le spese per la loro produ-zione» evidenzia il giornalista. Daqueste pagine emerge come gli ari-stocratici mangiassero piuttosto mo-destamente, «immancabili, però,

COPERTINAL’aristocrazia a tavola

BISCOTTI RICCI

DI MANDORLAIl paese di Donnafugata, che fa da sfondo alle vacanze estive

della famiglia Salina ne “Il Gattopardo”, è una città di fantasia

che comprende luoghi geograficamente esistenti e riconosci-

bili. In una lettera che Giuseppe Tomasi scrisse al Barone En-

rico Merlo di Tagliavia si legge «Donnafugata come paese è

Palma; come palazzo è Santa Margherita». Palma di Monte-

chiaro è, infatti, il luogo d'origine del titolo feudale della fa-

miglia Tomasi di Lampedusa. Qui sorge il Monastero delle

Benedettine (nella foto accanto), le quali, ancora oggi, prose-

guono con la produzione dei "biscotti ricci di mandorla" che le

loro antenate offrivano al Principe di Salina.

pane bianco, frutta, verdura e le-gumi» racconta Basile.

I BANCHETTI - «Si iniziavacon consommé, tiballi di riso odi maccheroni e riso pro-fumato allo zafferanocon fegatini di pollo ointeriora». Presente inabbondanza anche la pa-stasciutta «che mentreal Nord veniva servitacon burro e parmigiano,in Sicilia – continua ilgiornalista – veniva servitacon un filo d’olio d’oliva e unagrattata di caciocavallo fresco».Passando ai secondi, «i monsù pre-paravano solitamente agnello o ca-pretto al forno o alla glasse, un anticopiatto cinquecentesco, oppure arro-sti. Meno diffusa, invece, la carne

vaccina, che era però alla base dellaviande farcie de maigre o carne farcitadi magro», rimarca Basile. Un piattomolto apprezzato era la parmiciana,

erroneamente conosciutacome parmigiana, ma che

non ha niente a che ve-dere né con la città diParma né con il parmi-

giano. «Questo piattoprende il nome dal ter-mine in uso nel dialettopalermitano che significa

persiana. Il piatto è, infatti,caratterizzato da una forma a

scaletta data dalla sovrapposi-zione di fettine di melanzane fritte e

scaglie di caciocavallo fresco. I nobilispesso sostituivano alle melanzane,fettine di vitello». Alla fine del Settecento nasce il fa-moso vino Marsala, che entra a

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pieno titolo anche all’interno dellecucine dei monsù, come per esem-pio nella preparazione dei «boccon-cini del barone, uno spezzatino divitello o nel braisè de veau Marsala obrasato di vitello al Marsala», rac-conta Basile. Molto utilizzata in que-ste occasioni era anche lacacciagione: «conigli, lepri, cinghiali,colombacci, quaglie, beccafichi, ana-tre e folaghe, ingredienti principalidei pasticci realizzati dai monsù o inalternativa venivano cotti al forno.Molto utilizzati anche i tacchini, alle-vati come fossero pecore e portati alpascolo quotidianamente, e quindipiù magri e molto costosi». Per quanto concerne i pesci, si te-neva sempre conto del pescato sta-gionale e di conseguenza il

calendario era così scadenzato: «agennaio si pescavano sarde e pesceazzurro e a marzo, per San Giuseppe,si preparava l’ultima pasta con lesarde, perché questo era il mese dellefoche. Ad aprile – continua l’esperto– il mare era ricco di triglie di scoglio,mentre a maggio e a giugno si pesca-vano tonni e l’alalunga. Per tutto ilperiodo estivo i piatti erano a base dipesce di paranza, mentre, a settem-bre, di lampuga e a ottobre di fan-faro». Nella dieta degli aristocraticierano, inoltre, sempre presenti inestate «legumi, insalatine a base dipomodoro e cetrioli, fagiolina, ci-polle infornate e patate lesse», ri-corda Basile. I dessert erano poi gli elementi im-mancabili che concludevano i son-

In apertura

una scena del film

Il Gattopardo

di Visconti; a sinistra

lo stemma

della famiglia

Tomasi di Lampedusa;

tuosi banchetti organizzati dai nobili.«I monsù preparavano creme e bu-dini oppure servivano i dolci con-ventuali, realizzati dai secondogenitidelle famiglie aristocratiche i quali, disolito, intraprendevano la vita eccle-siastica» mette in evidenza MaurizioCascino, rinomato chef siciliano delristorante La Botte 1962 di Mon-reale.

I MENU - Dalle ricerche portateavanti dalla confraternita enogastro-nomica “I cenacolari dell’antica con-tea”, «nella zona del ragusano –spiega il segretario dell’associazioneGiovanni Beretta – i banchetti sisvolgevano abitualmente la dome-nica e in occasione di particolari ri-correnze come la Vigilia di Natale,Natale, carnevale, compleanno delcapo famiglia, festività del santo pa-trono e, pur non esistendo dei menuprestabiliti, vi erano alcune prepara-zioni fisse». Piatti ricorrenti erano «imaccarunari cannaluvaru ce’ o pettinio maccheroni lavorati al pettineconditi con stufato di maiale, consi-stenti in una sorta di fettuccine av-volte, un pezzetto alla volta, attornoa uno stecco e poi passate, con leg-gera pressione, sopra un pettine ditelaio che imprimeva loro la rigaturaesterna. A questi si affiancano poi imaccarruna ‘a ciazzisa o maccheronialla maniera di Piazza Armerina –continua Giovanni Beretta – chenella forma ricordano gli agnolottiemiliani e venivano serviti conbrodo di maiale. Presso alcune fami-glie nobili, il lembo di pasta utiliz-zato, prima di essere confezionato,veniva passato su di uno stampinodove era incisa l’insegna araldica delcasato» conclude il segretario della •

COPERTINAL’aristocrazia a tavola

o

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alcolico che successivamente di-ventarono liquori casalinghi a basedi agrumi, alloro, caffè e cannella,conservati in eleganti ed elaboratebottiglie e serviti in piccoli bic-chieri».

IL CERIMONIALE - Se imonsù curavano con molta atten-zione i piatti, con altrettanto zeloveniva allestita la tavola per il ban-chetto. «Le tovaglie erano rica-mate “a cinquecento” o in filodamascato con posate e candelabrid’argento e spesso, sulle tovaglievenivano sparsi a scopo ornamen-tale dei piccoli fiori, privi di pro-fumo, così che non avrebberoalterato l’odore emanato dai piatti

confraternita.

I VINI - Quelli tipici dell’isolaerano principalmente rossi e conuna gradazione intorno ai 18°. «Ilprimo vino in bottiglia – raccontaGaetano Basile – risale al 1824,quando il duca di Salaparuta iniziò aimbottigliare i vini siciliani alla modafrancese cioè a bassa gradazione, sui13°. I vini francesi più diffusi nell’isolafurono i bordeaux e chablis». Ac-canto ai vini liquorosi come il Mar-sala, lo Zibibbo, il Passito e ilMoscato, venivano anche utilizzati«i rosoli – sottolinea il professoreGaetano Cosentini, esperto e stu-dioso delle tradizioni del territoriodegli Iblei –, liquori dal basso tenore

serviti», sottolinea Giovanni Ber-retta de “I cenacolari dell’anticacontea”. I servizi erano per lo più in porcel-lana e «i nobili più facoltosi e anti-chi – precisa Basile – disponevanodi quelli di Maissen, mentre gli altriquelli di Capodimonte». Al centrodella tavola vi era, inoltre, posizio-nato «il surtout o “sopra-tutto” nelquale veniva collocato il piattoprincipale del banchetto, in mododa poter essere ammirato dagliospiti» continua. Per quanto con-cerne la disposizione a tavola, «ipadroni di casa si sedevano al-l’estremità del tavolo: alla destradella padrona di casa veniva fattoaccomodare l’ospite maschile,

In alto,

Palazzo Filangeri

di Cutò a Santa

Margherita

in Belice

COPERTINAL’aristocrazia a tavola

Gusto • 34 Maggio 2010

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COPERTINAL’aristocrazia a tavola

mentre alla destra del padronel’ospite femminile» ricorda il pro-fessor Gaetano Cosentini. Ma l’organizzazione della sala dapranzo era di solito affidata «alloscalco, figura nata intorno al 1200 eche nei secoli si trasformò nella fi-gura del cerimoniere e successiva-mente del maître» sottolinea lochef Cascino. «Il cibo, fino ai primidell’Ottocento, veniva però postosu una credenza caratterizzata daun ripiano in marmo – raccontaGaetano Basile – dove venivanoinizialmente posizionate minestre,brodini e consommé; successiva-mente venivano collocati carni epesci e i de contorni, cioè i contornie al momento di desservir entravano

IL TIMBALLO DEL GATTOPARDO

d

IIl famoso piatto descritto nel romanzo di Tomasi di Lam-

pedusa è diventato anche uno spettacolo teatrale scritto

da Rosario Galli, al quale prenderà parte anche il rino-

mato chef siciliano Carmelo Chiaramonte (nella foto) che,

durante lo spettacolo, realizzerà delle specialità ispirate

proprio al banchetto narrato dallo scrittore siciliano. «Il

timballo è un piatto laborioso – spiega lo chef – che ri-

chiede almeno un paio di giorni di preparazione. Nato in

epoca romana, si è tramandato e sedimentato nei secoli

divenendo un piatto molto in voga tra i monsù, gli chef

dell’aristocrazia siciliana». Non è altro che «un involucro

di pasta che racchiude all’interno molti ingredienti tra i

quali la pasta, la carne, le verdure, i rossi d’uova (quelli

che ancora sono posti nelle interiora della gallina e che

hanno un’intensità aromatica molto più forte), lo zuc-

chero, la cannella e anche il tartufo e proprio l’utilizzo di

questo tubero attesta che la cucina aristocratica usava

solo ingredienti di primo livello». Questo piatto, caratte-

rizzato da una struttura a strati, «porta in sé le varie in-

fluenze gastronomiche delle culture che hanno

influenzato la cucina siciliana» sottolinea lo chef. «Di so-

lito dopo questi timballi così corposi, venivano serviti dei

sorbetti al gelsomino, un gelo di cannella o di mandorle,

chiamati “torna gusto”, tesi a preparare il palato alla por-

tata successiva. «Ne Il Gattopardo viene citato un gelo di

carciofi ai quattro succhi, preparato con i cuori dei car-

ciofi, cucinati con il succo di arancia, di mandarino, di

aceto di vino e succo di limone» racconta lo chef.

Nel romanzo il banchetto si conclude con un “Trionfo di

gola” «un dolce abbastanza impegnativo che potrebbe ri-

cordare un po’ la cassata. Questo dessert – conclude lo

chef – era caratterizzato da un involucro di pasta reale

con pistacchi tritati il cui interno era infarcito di crema di

ricotta o crema pasticciera».

“L’oro brunitodell’involucro, lafragranza di zucchero edi cannella che neemanava non eranoche il preludio dellasensazione di delizia...”

in scena i dessert». Successiva-mente, i piatti previsti nel ban-chetto «venivano descritti in unfoglio di carta pregiata posto sullatavola: i menù» precisa Basile. Il banchetto, invece, veniva appa-recchiato «ponendo a destra delpiatto il coltello con la lama rivoltaall’interno e il cucchiaio, mentre, asinistra, venivano collocate al mas-simo tre forchette e le altre veni-vano aggiunte successivamente –chiarisce il professore Cosentini –e non erano, invece, soliti adope-rare le posate da frutta. I bicchierivenivano, infine, posti leggermentea destra del piatto ed erano al mas-simo quattro», conclude lo stu-dioso.

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Ingredienti ed esecuzione della pasta frolla

400 g di farina, 200 g di gherigli di noci, 70 g di zucchero, 3 tuorli uova, scorza grattugiata di un limone

PREPARAZIONESetacciate la farina disponendola a fontana e mettetevi al centro il burro morbido a pezzetti e un pizzico di sale.Formate nuovamente la fontana e mettete al centro i tuorli, lo zucchero e la scorza del limone grattugiata. Lavo-rate velocemente tutti gli ingredienti ottenendo un impasto omogeneo, quindi raccoglietelo a palla, avvolgeteloin un telo da cucina e ponetelo a riposare nella parte bassa del frigorifero per almeno un’ora.

Ingredienti ed esecuzione di un court-bouillon

una carota, una costa di sedano, mezza cipolla, una foglia di alloro, mezzo bicchiere di vino bianco secco,qualche grano di pepe, una presa di sale grosso

PREPARAZIONEMettete tutto in una pentola e coprite abbondantemente di acqua fredda; non appena prende bollore, aggiungeteun pezzo di carne, abbassate la fiamma e lasciate cuocere coperto per il tempo necessario.

Ingredienti ed esecuzione del fondo bruno

500 g di carne di manzo magra tagliata a cubetti , 500 g di ossi di manzo dal carrèuna carcassa di pollo tagliata in pezzi, 100 g di cotenna di prosciutto

una carota a pezzi, una cipolla a pezzi, un piccolo pomodoro maturo , una costa di sedanoun bouquet garni (prezzemolo, timo, alloro), qualche granello di pepe nero,

due cucchiai di olio extra vergine d’oliva, una manciata di sale grosso, 2 litri di acqua

TIMBALLO DI MACCHERONI

≤≥

Gusto • 38 Maggio 2010

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COPERTINALa ricetta

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PREPARAZIONEPonete le ossa del carrè in una teglia e passatele in forno caldissimo (220-250°) finchè non sono ben dorate. Met-tete tutti gli ingredienti in una casseruola capiente e fate rosolare delicatamente fino a quando le verdure nonsono appassite: aggiungete tutta l’acqua, fredda, coprite e lasciate sobbollire per 7-8 ore. A cottura ultimata, pas-sate al setaccio e suddividete in piccoli recipienti per il consumo eccessivo. Questa preparazione si conserva unmese in frigorifero, sei-otto mesi in congelatore.

Ingredienti ed esecuzione della sauce éspagnole (dose per 250 g)

mezzo litro di fondo bruno, 30 g di burro, 20 g di farina, 50 g di carota50 g di cipolla, 25 g di sedano, 50 g di prosciutto crudo

un rametto di timo e mezza foglia di alloro, una presa di sale

PREPARAZIONEFate sciogliere 20 gr di burro in una casseruola in rame, aggiungete la farina e la presa di sale e lasciate soffriggerefinché il composto assume un intenso colore dorato. In un'altra pentola mettete il restante burro, le verdure tri-tate, il prosciutto tagliato a piccoli pezzi e gli odori; rosolate a fuoco vivo per qualche minuto, quindi coprite e la-sciate stufare a fuoco basso per 10-15 minuti. Togliete la garza con il timo e l'alloro, rovesciate il contenuto nellaprecedente casseruola e mescolate bene, aggiungendo il fondo bruno bollente; lasciate cuocere coperto e afuoco per due ore, schiumando se necessario. Al momento di servirla, passarla al setaccio in modo da far uscireil succo delle verdure e portarla in tavola ben calda.

Ingredienti ed esecuzione della demi-glace

Classica salsa dell'alta cucina, da servire in accompagnamento a primi o secondi a base di carne. Si ottiene me-scolando una uguale quantità di fondo bruno con pari quantità di sauce éspagnole, una delle cosiddette quattro"salse madri" dell'alta cucina francese.

Ingredienti ed esecuzione del timballo di maccheroni

500 g di maccheroni corti, 250 g di fegatini, creste, ovette di pollo200 g di petto di pollo, 100 g di prosciutto cotto, una fetta

25 g di funghi secchi, un piccolo tartufo nero, mezzo bicchiere di olio90 g di burro, spezie (cannella, noce moscata, pepe), fondo bruno quanto basta

PREPARAZIONEPonete in una casseruola 50 gr di burro, i fegatini, le creste e le ovette di pollo, i funghi ammollati in acquafredda e ben strizzati e rosolate il tutto a calore moderato. Lessate in un piccolo courtbouillon il petto di pollo e,quando sarà freddo, tagliatelo a julienne con la fetta di prosciutto e il tartufo nero. Preparate una sfoglia concirca i 2/3 della pasta frolla precedentemente lavorata, imburrate generosamente lo stampo da timballo con ilburro rimasto e spolveratelo di pangrattato, quindi foderatelo con la pasta. Intanto lessate in abbondante acquasalata i maccheroni, scolateli a metà cottura, conditeli mescolando accuratamente gli ingredienti; lasciateli ripo-sare per una decina di minuti. Irrorateli abbondantemente di fondo bruno ristretto e coprite la superficie deltimballo con la sfoglia ottenuta dalla restante pasta frolla. Ritagliate l'eccesso di pasta, ricavatene un cordoncinoche userete per sigillare il bordo dello stampo attaccandolo con le mani inumidite d'acqua, poi forate la superfi-cie del timballo delicatamente con i rebbi di una forchetta. Infornate per circa un'ora e calore moderato (circa180°) in modo che la pasta risulti dorata; lasciate riposare almeno dieci minuti fuori dal forno prima di sfornareil timballo sul piatto di portata. Servite accompagnato dalla salsa demi-glace ben calda.

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Gusto • 42

DA MARSALA A MILAZZO, RIPERCORRENDO LE TAPPE SALIENTIDELLA CONQUISTA DEL REGNO DELLE DUE SICILIE. CONGARIBALDI E I MILLE ALLA SCOPERTA DEI SAPORI, CHE OGGICOME 150 ANNI FA, CARATTERIZZANO QUESTI LUOGHI

� di Nike Giurlani �

saporii mille

Maggio 2010

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43 • Gusto Maggio 2010

COPERTINALa tradizione popolare

È un giorno in particolare asegnare l’inevitabile cam-biamento per le sorti del-l’aristocrazia siciliana: l’11

maggio del 1860. Una data resa cele-bre dallo sbarco a Marsala di uncorpo di volontari, i famosi Milleguidati da Giuseppe Garibaldi. Illoro obiettivo era consegnare a Vit-torio Emanuele II l’intero Regnodelle Due Sicilie, patrimonio dellacasa reale dei Borbone. I Mille eranogente semplice, anche a livello culi-nario, e i loro pasti non erano certocaratterizzati da numerose portate oda cibi succulenti, come quelli chevenivano serviti sulle tavole deinobili. La loro dieta era molto piùsimile a quella dei popolani sici-liani. «Erano, infatti, soliti man-giare pane e cipolla o pane e cacio– racconta il giornalista edesperto di cucina siciliana Gae-tano Basile – e i formaggi tipici si-ciliani erano il caciocavallo, il piùnobile, il pecorino e il tumazzu,realizzato con qualsiasi tipo dilatte, dal caratteristico colore gial-lognolo che veniva servito anchenelle carceri». I garibaldini rimasero, però, piace-volmente sorpresi dai vini «moltopiù corposi rispetto a quelli delNord – continua l’esperto – maGaribaldi era astemio e, così,quando il Duca di Salaparuca aprìin suo onore le bottiglie migliori

In alto, gli interni

delle Cantine Florio

che conservano

alcuni reperti

legati allo sbarco

dei garibaldini

in Sicilia;

nella pagina

successiva,

“U Cuccuddatu”

di Salemi

· Gradazione alcolica: 19,0° volume· Affinamento in bottiglia: 6 mese

· Aspetto: colore topazio brillante con in-tensi riflessi ambrati

· Profumo: intenso e complesso, distinti isentori di albicocca sciroppata e datteri in unampio coro di spezie

· Sapore: pieno, caldo, morbido sino a vel-luto con elegante fondo vanigliato. Netti isentori di spezie e frutta candita, chiusura dicaramello e mandorla amara

DONNA FRANCA

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COPERTINALa tradizione popolare

Gusto • 44 Maggio 2010

della sua cantina, il generale non riu-scì ad apprezzarle come avrebbe do-vuto».

MARSALA – La prima tappa deiMille. Già 150 anni fa era rinomataper il suo famoso vino liquoroso,nato quasi per caso grazie al com-merciante inglese John Woodhouse.I territori di produzione del Marsalasono quelli della provincia di Tra-pani, ad esclusione dei comuni di Al-camo, dell’isola di Pantelleria e delleEgadi. Le uve che caratterizzanoquesto vino sono quelle dei vitignicoltivati nelle terre rosse, in quelle ar-gillose e nelle terre brune. Un capi-tolo importante della storia delMarsala è rappresentato dall’operadel calabrese Vincenzo Florio. Que-st’ultimo, nel 1832, costruì il suoprimo stabilimento vinicolo desti-nato a ottenere un grande successo,grazie anche a Giuseppe Garibaldiche fu «il primo testimonial nellastoria della pubblicità» racconta ilgiornalista Basile. Garibaldi, infatti,per ringraziare la famiglia Florio delfinanziamento ricevuto, «mentre te-neva in mano una bottiglia di Mar-sala prodotto dalla loro cantina,sostenne, davanti alla stampa, chequello era il suo Marsala preferito; si

trattava di una qua-lità molto dolce,chiamata “marsaladelle dame”».Dopo la dichiara-zione del generale,sull’etichetta di que-sto tipo di Marsalacomparvero due let-tere «“DG”, chestanno, appunto, per“Dolce Garibaldi”» pre-cisa il giornalista. Ancoraoggi l’azienda Florio, come il-lustra l’enologo Giuseppe Spa-gnuolo, «conserva nelle suecantine molti reperti storici dellosbarco dei Mille, come moschetti,cannoni e alcune divise dei garibal-dini». Le tipologie di Marsala checontraddistinguono questa cantinasono il Superiore e il Vergine. «Il Su-periore – spiega l’enologo – ha unaffinamento minimo di due anni infusti di rovere, mentre la tipologia ri-serva necessita di almeno 4 anni. IlVergine richiede, invece, un affina-mento minimo di 5 anni mentre perla riserva si parla di almeno 10anni». Il Marsala si presta a svariatitipi di abbinamenti. «Il Baio Florio,il nostro migliore Marsala Vergine, èperfetto come aperitivo e va servito

frescosui 10-12°, o a finepasto come vinoda meditazione; ottimoanche abbinato con formaggia pasta dura e antipasti di pesce affu-micato. L’ideale per il Marsala Supe-riore è, invece, l’accostamento conprodotti di pasticceria, ma Marsalapiù importanti si possono abbinareanche durante il pasto con piatti abase di pesce affumicato, zuppe o

La “Cena di San Giuseppe”nasce originariamentecome voto diringraziamento o di propiziazione

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45 • Gusto Maggio 2010

COPERTINALa tradizione popolare

rio – il che ci per-mette di mante-

nere un rapportodiretto e duraturo

con le persone che de-gustano i nostri pro-

dotti». L’offertadell’azienda Pellegrino, in-

vece, «si differenzia in base aicanali di vendita – specifica il

proprietario – vini Marsala piùcommerciali destinati a iper e super-mercati e vini Marsala più pregiati,destinati a ristoranti ed enoteche».Per queste aziende, ma anche per lealtre del Consorzio, è importante di-fendere la storia di un vino che haquasi 250 anni e che è stato, ed è,punto di riferimento nel panoramadei vini da dessert italiani.

SALEMI – Qui, il 14 maggio,Giuseppe Garibaldi dichiarò di assu-mere la dittatura della Sicilia innome di Vittorio Emanuele. Seguì, ilgiorno successivo, la famosa batta-

carnimolto spe-

ziate e forte-mente aromatiche».

Le cantine Florio fannoparte del Consorzio volontario

per la tutela del vino Marsala doc,che annovera altre nove aziende, trale quali le Cantine Buffa e quelle Pel-legrino. La prima è «un’azienda arti-gianale che produce quantitàlimitate di vino – spiega il proprieta-

glia di Calatafimi contro i soldatiborbonici, nella quale in un primomomento sembrava che le forze ga-ribaldine fossero destinate alla scon-fitta, tanto che Nino Bixio suggerì aGaribaldi la ritirata. Il generale, pare,rispose con le celebri parole: «Bixio,qui si fa l’Italia o si muore!». Unprodotto tipico della città di Salemi èil pane, che identifica anche l’ele-mento principale della “Cena di SanGiuseppe”, celebrata ogni anno il 19marzo. L’evento nasce originaria-mente «come voto di ringrazia-mento o di propiziazione di unagrazia da parte di una persona de-vota, che si è impegnata con SanGiuseppe», afferma il presidentedella Proloco di Salemi. «L’allesti-mento inizia circa un mese e mezzoprima con la preparazione del pane edella struttura decorativa per l’altare,che viene ricoperta di alloro e bosso(murtidda), limoni, arance e pane.Al centro viene costruito un piccoloaltarino da tre o cinque gradini, sui •

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MAMERTINO ROSSO DOC

· Gradazione alcolica: 13,5° volume

· Affinamento in bottiglia: 6 mesi

· Aspetto: Si presenta con lucente limpidezza e dal colore rosso ru-bino, ha una bella consistenza.

· Profumo: Il naso apre con note floreali di rose appassite, seguonofrutti rossi, mora, ciliegia, ribes, amarena avvolte in un grande vo-lume di speziatura.

· Sapore: al gusto dona gran calore, bilanciata da un' ottima fre-schezza, tannino leggermente presente, ed una sapidità che si av-verte appena. Piacevole.

quali vengono posti diversi oggettisimbolici». Momento cruciale dellafesta è il banchetto, «caratterizzatoda un minimo di 19 fino a un mas-simo di 101 pietanze, tutte a base diverdure, frittate, legumi, pesci, fruttae dolci. La carne è assente per rispet-tare il periodo quaresimale». Ilprimo piatto consiste «in una fettadi arancia simbolo di abbondanza, digrazia e prosperità – prosegue – e siconclude con la pasta con la mollica,piatto tipico salemitano». Tra i vari tipi di pane vengono realiz-zati: “a palma”, il pane che rappre-senta la Madonna, “u vastuni” cherichiama la figura di San Giuseppe eil rinomato “u cuccuddatu”, il panedi Gesù.

PALERMO – Alla luce dell’in-surrezione, avvenuta tra il 27 e il 30maggio, Garibaldi conquistò ancheil capoluogo siciliano e Mario Rapi-sardi, in una sua epigrafe, per ricor-dare questo momento scrisse:«Splenda nella memoria dei secolil’epopea del 27 maggio 1860, prepa-rata da cuori siciliani, scritta col mi-glior sangue d’Italia dalla spadaprodigiosa di Garibaldi. Riechegginella coscienza dei popoli il tuo rug-gito, o Palermo, sfida magnanima atutte le perfide signorie, auspicio diliberazione a tutti gli oppressi delmondo». La sosta dei garibaldini aPalermo è legata, in particolare, a unluogo: la Focacceria San Francesco,nel cuore del centro storico di Pa-lermo. «Questa divenne la mensadei garibaldini – mette in evidenza ilgiornalista Basile – dove venivanoservite le zuppe ai soldati».

COPERTINALa tradizione popolare

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Gusto • 48 Maggio 2010

Nella pagina prece-

dente, le cantine

Grasso; A destra,

la Focacceria San

Francesco.

La storica Focacceria, nata nel 1834e tutt’ora luogo pulsante della città, siaffermò fin da subito come il primolocale pubblico dell’epoca, dove sipotevano consumare piatti tipica-mente palermitani come lo sfin-cione, la focaccia schietta e lafocaccia maritata, caratterizzata dalpane particolarmente morbido al se-samo, ripieno di ricotta di pecora eaccompagnato da caciocavallo e fet-tine molto sottili di milza e polmone.

MILAZZO – Durante il mese digiugno ai garibaldini si aggregaronovolontari provenienti dalla Sicilia eda altre parti d’Italia, inquadrandosiin quello che poi fu chiamato eser-cito meridionale. Il 20 luglio letruppe borboniche vennero scon-fitte nella battaglia di Milazzo, san-cendo così la vittoria di Garibaldi.Questa località era, già all’epoca, par-

ticolarmente nota per la produzionedi vino. Il Mamertino, insieme alTauromenitano e il Potulano, eranotenuti in grande considerazione giàdai romani intorno al III-IV secoloa.C. «I vini siciliani – precisa Gae-tano Basile – nascono in epocagreca, ma furono resi internazionalidai romani». Una delle aziende più rinomate delterritorio è l’azienda Grasso e il suofiore all’occhiello, come sottolineail proprietario, Alessio Grasso «èun crù della denominazione Ma-mertino che coltiviamo nel co-mune di Rodì Milici e prende ilnome di Sulleria. Dalla fine di que-st’anno, questi vini si fregerannoanche della denominazione “Ri-serva” in quanto avranno comple-tato il periodo obbligatorio diinvecchiamento di almeno dueanni in botti di rovere». d

COPERTINALa tradizione popolare

La Focacceria SanFrancesco divenne lamensa dei garibaldini dove venivano servite lezuppe ai soldati

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L’isoladei profumi

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SAPORI DI SICILIA

51 • GustoMaggio 2010

UNA PERSONALE MAPPA DEI PIATTIE DEI VINI PIÙ AMATI DELLA SICILIA.A DELINEARLA SONO ALCUNI NOTIPERSONAGGI ORIGINARI DELL’ISOLA

� di Francesca Druidi �

Il cibo non è mai neutrale. Corri-sponde a un’esigenza fonda-mentale dell’uomo, ma dasempre si connota anche di una

serie di valenze simboliche, da quellesociali ed economiche sino a quellepiù spiccatamente culturali. Le pie-tanze hanno il potere di dischiudere iricordi e i vincoli identitari che uni-scono le persone ai luoghi della pro-pria infanzia e appartenenza.Attraverso i ricordi enogastronomicidi alcuni personaggi siciliani, è possi-bile ricostruire, in un gioco di sugge-stivi rimandi, la tradizione culinariadell’isola. Una tavola che si tinge dicolori, sapori, odori a tonalità forti,ma non privi di dolcezze e sinuosità.In costante equilibrio tra terra e mare.

Terra cara a Pietrangelo Butta-fuoco, giornalista catanese, cheesprime la sua affezione per i piattidella campagna: «Hanno il saporeterragno, rude e perfetto. Come i car-ciofi selvatici, quelli piccoli e spinosi.Vengono preparati dopo una lungacottura e intinti nel sale e nell’oliomescolato all’aceto». Il palato delloscrittore del libro Le uova del drago si

rallegra poi con le fritture a base difave fresche, utilizzate come condi-mento o come base per la zuppa. «È,infine, un vero turbamento approfit-tare dei frutti spontanei quali finoc-chietto e borraggine. Quest’ultima,con una rude scorza che solo l’acetoforte dei contadini può ammansire».Per Pietrangelo Buttafuoco andare alristorante è una festa. «Quando vadofuori, cerco il mare». La meta gastro-nomica preferita è la Trattoria diDon Saro a Capomulini. «È bello insenso greco, eccelso nel rendereuguale ciò che è bello a ciò chebuono. Si assapora un pesce squisitoe la visione del paesaggio, lungo lacosta Jonica, garantisce una festaanche per gli occhi». Il ristorante siappoggia su una palafitta che costeg-gia il mare: «È il massimo – sottoli-nea il giornalista – e cancella in un solcolpo tutta la musona presunzionedell’alta gastronomia dei gourmet».

Catanese è anche lo scrittore eopinionista Giampiero Mughini, chenon ha mantenuto un rapporto dicontinuità con la propria regione diorigine, riassaporandone però i sa-

In apertura, le “busiatine profumi di zagara”

preparate al Ghibli Hotel di San Vito Lo

Capo, la caponata, gli arancini di riso e la

“spatola Ghibli” sempre al Ghibli Hotel.

Sopra, Pietrangelo Buttafuoco, giornalista e

scrittore

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pori nel ristorante Pirandello di Mi-lano, dove marito e moglie sicilianiapprestano «alla grande» i piattidella terra. «Da quando mia madre èmorta nel luglio 2001 – confessaMughini – non vado più in Sicilia, laterra che ho abbandonato per sem-pre e senza voltarmi indietro nel gen-naio 1970». Il piatto a cui èmaggiormente legato è la «fatidicapasta alla Norma», condita con po-modoro fresco, melanzane fritte, ri-cotta salata grattugiata e basilico.Pietanza che non solo individua unautentico simbolo della tradizionegastronomica siciliana, «la leggendadice che nacque nel corso di una se-rata catanese svoltasi a poche centi-naia di metri dalla casa in cui sononato», ma che fa leva su emozioniprofonde: «Era un piatto che miamadre, catanese, cucinava alla perfe-zione e che continuò a cucinare finoa quando le sue forze e la sua mentevennero meno». Per innaffiare unbuon pasto, serve il vino giusto. Mu-

ghini consiglia i vini siciliani che«negli ultimi anni sono decuplicati inqualità». Tra i vini Firriato al Cera-suolo di Vittoria, «un vino che avevoscoperto da ragazzo, quando per noicatanesi arrivare a Vittoria era un’av-ventura». E sul vino Mughini non ri-sparmia notazioni inconsuete: «L’exmarito di una mia amica, scontatisette anni di carcere per terrorismorosso, produce adesso un vinobianco “che induce all’alcolismo”.Chiedetelo a mio nome al ristoranteromano Evangelista».

Oltre a verdure e ortaggi, a caratte-rizzare la cucina siciliana è inevitabil-mente il pesce. Lo sa bene l’attoremessinese Nino Frassica, la cui spe-cialità “del cuore” è il pesce stoccoalla ghiotta o “agghiotta”: unaricetta tipica della cu-cina messi-

nese in base alla quale il pesce vienecucinato con un sughetto di capperi,olive e pomodoro. «L’ho apprezzatopreparato in varie maniere – rac-conta l’interprete di molti film e serietelevisive – mia madre lo cucinavacon la pasta e diventava una sorta dipiatto unico». Assiduo frequentatoredella trattoria Da Mario di Messinache, «trovandosi di fronte al Teatro èdiventato il dopo-teatro per gli attoriche vi recitano ma anche per i tira-tardi», Nino Frassica predilige «loZibibbo e il Marsala, vini dolci e gu-stosissimi da sorseggiare a finepasto».

L’abitudine di consumare piattiunici, dove la pasta si abbina ai pro-

SAPORI DI SICILIA

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In alto,

un tipico piatto

della tradizione

culinaria siciliana:

pasta alla Norma.

A fianco,

Giampiero Mughini,

scrittore

e opinionista

Maggio 2010

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dotti tipici del mare oppure dellaterra, trova un’ulteriore esemplifica-zione in Sicilia nella pasta con lesarde, indicata dall’attuale ministrodell’Ambiente, la siracusana StefaniaPrestigiacomo, come una delle spe-cialità tipiche predilette, insieme agliinvoltini di pesce spada. «Questapasta traduce in un piatto semplicetutti i sapori dell’isola: finocchiettoselvatico, sarde e pinoli». Del resto, laqualità del pesce e la creatività nelprepararlo sono caratteristiche cheStefania Prestigiacomo ricerca in unristorante e che L’Ancora di Siracusariesce a soddisfare, «grazie al patronGiancarlo Russo, il quale consigliacon passione piatti semplici che ri-chiamano alla tradizione mediterra-nea». Nel ricordare la tradizionesiciliana dello street food, cibo dastrada per antonomasia, rappresen-tato «dalle arancine e dal pane e pa-

Stefania Prestigiacomo,

ministro dell’Ambiente.

Più in alto, Nino Frassica

SAPORI DI SICILIA

nelle», frittelle di farina di ceci inse-rite in un panino, il ministro non sisottrae dall’esprimere la sua prefe-renza in fatto di vino: «un Rosso delConte e tutti gli altri vini Tasca d’Al-merita».

Il fisico e scienziato Antonino Zi-chichi, ama, invece, bearsi del couscous al pesce, particolarmente diffusonel trapanese di dove è originario, edella caponata, un prodotto altret-tanto tipico della gastronomia iso-lana, a base di verdure fritte e salsaagrodolce, all’albergo ristorante Edel-weiss di Erice, a pochi passi dalla sededella Scuola di cultura scientifica Et-tore Majorana, fondata e presiedutadallo stesso fisico. È, inoltre, golosodelle “busiatine profumi di zagara” edella “spatola Ghibli” preparate dallochef Giuseppe Abate del ristorantedel Ghibli Hotel di San Vito Lo

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Capo. Il primo è preparato con le bu-siatine, un formato di pasta partico-larmente noto in Sicilia, filetti ditonno fresco, melanzane, pomodo-rini e pesto di agrumi, mentre il se-condo si presenta come unmillefoglie di spatola, con gamberi,crema di pistacchi e pomodoro diPachino. Sempre a San Vito LoCapo, il professore non manca di fareuna visita alla trattoria Da Alfredo. In-naffiando il tutto da uno dei fiori al-l’occhiello dell’enologia isolana: ilNero d’Avola.

Vino molto amato anche da unodei siciliani più famosi d’Italia, PippoBaudo: «quando ero bambino, an-davo con mio padre a comprare ilNero d’Avola sfuso, lo vendevano di-rettamente i vignaroli un tanto allitro, alla stregua di un vino minore.Oggi, invece, grazie all’applicazione

d

SAPORI DI SICILIA

In alto,

Antonino Zichichi, fisico

e divulgatore scientifico;

a destra, Pippo Baudo,

conduttore televisivo

enotecnica nei confronti di questovitigno, il Nero d’Avola sta conqui-stando le tavole di tutto il mondo etutti ce lo invidiano». Tra le pietanzetipiche, oltre alla pasta con le sarde ealla pasta alla norma, il presentatoredi “Domenica In 7 giorni” esalta «lesalsicce siciliane, uniche e buonis-sime». Del resto, come sottolinea ilconduttore originario della Val diCatania, «i piatti della cucina sici-liana sono semplici, campagnoli.Molte trattorie aperte di recente aMilitello sono legate alla tradizioneculinaria regionale e, insieme agli ot-timi primi, servono dolci eccezionali,come i cannoli, le paste di mandorlae le cassatelle della monaca, da unaricetta appartenente alla tradizionedella pasticceria conventuale chepreparavano le suore di clausura pas-sata poi in mani laiche. Un dolcedavvero squisito».

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La “nuova”

tradizione

Nella splendida Sicilia ènaturalmente facileapprezzare i prodottitipici, le bellezze pae-

saggistiche e culturali, special-mente in quelle zone caratterizzateda un’incredibile diversità e ric-chezza di ambienti. Un esempio?Quella che va dal Parco dell’Etnaalle colline dei Monti Rossi, apochi chilometri da impianti scii-stici e da Catania. Uno chef, per agire in questo terri-torio o in altri, deve soddisfare siagli amanti dei gusti classici sia quellialla ricerca di esperienze sensorialinuove. Perché in questi luoghi «cu-cina tipica e sapori internazionalipossono coesistere». Lo sostieneAngela Longo, dell’Hotel Villa Mi-

SAPORI TRADIZIONALI E INNOVATIVESPERIMENTAZIONI. PER I PALATI PIÙCONSERVATORI POTREBBE SEMBRAREBLASFEMIA. E INVECE TRADIZIONE E SPERIMENTAZIONE POSSONOCONVIVERE E PERCHÉ NO, SORPRENDERE

Gusto • 58 Maggio 2010

� di Simona Cantelmi �

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chelangelo di Nicolosi, in provinciadi Catania che proprio a questoproposito organizza nei periodiestivi serate a tema sia di tipo tradi-zionale, «come le serate con cucinatipica siciliana», sia quelle etniche,«dove lasciamo esprimere libera-mente il nostro chef Hedy Aroua, diorigine tunisina, al quale piace acco-gliere in cucina gli ospiti, che pos-sono anche dilettarsi a cucinare». La cucina di Hedy Aroua, «pur es-sendo influenzata dalle sue originitunisine nell’utilizzo di spezie e pro-fumi, è decisamente legata ai pro-dotti e ai sapori della Sicilia e il suointento è quello di far conoscereagli stranieri quanto di meglio puòoffrire la nostra terra. E tale commi-stione di tradizione culinaria sici-

liana e sapori esotici è stimolante estuzzicante». È ciò che sostiene Va-lentina Trovato, dello staff dell’Ho-tel Villa Michelangelo. La strutturadecisa della tradizione culinaria sici-liana, fortemente apprezzata soprat-tutto nella genuinità dei suoiprodotti e dei loro accostamenti,deve avere un ruolo importante,fondamentale. «È inevitabile che lostudio di fusioni con altre espe-rienze internazionali allarghi a rivisi-tazioni. Penso ad esempio a buffetmultietnici». «L’innovazione e lasperimentazione – prosegue Valen-tina Trovato - sono comunque coe-renti con la semplicità deglielementi utilizzati che, per defini-zione, non rischiano di forzare e al-terare l’autenticità dei sapori».

In alto, da sinistra, alcuni piattipreparati dallo chef e un esternodell’Hotel Villa Michelangelo di Nicolosi, in provincia di Catania.Qui sopra, Angela Longo e la figlia Valentina Trovatowww.hotelvillamichelangelo.itinfo@hotelvillamichelangelo.it

d

Con queste premesse è normaleche l’eventuale incontro con palatipiù classici sia facilmente gestibile.Sobrietà e raffinatezza possonounirsi alla vivacità di gusti e acco-stamenti nuovi, senza aspri contra-sti, ma in armonia. «Il nostro cheftunisino è estroso – spiega AngelaLongo – ma riesce anche a rispet-tare la tradizione gastronomica lo-cale, mescolando ogni aspetto edelemento con sapienza». Anchel’atteggiamento positivo e acco-gliente predispone meglio ad assa-porare nuovi sapori. «Per nonparlare dell’arredamento che devecontribuire a creare particolari at-mosfere e rendere gli ospiti inclinia nuove sperimentazioni gastro-nomiche».

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Gusto • 62 Maggio 2010

l’esteticadel gusto

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A TAVOLA CON FILOSOFIANicola Perullo

LA GASTRONOMIA COME TESTIMONIANZA FILOSOFICA.TRA SOGGETTIVITÀ E OGGETTIVITÀ, RISPETTOE COMPRENSIONE. LE RIFLESSIONI DI NICOLA PERULLO

� di Lara Mariani �

Sul tema del gusto si sonocimentati filosofi e pen-satori. Per secoli si sonochiesti se il gusto fossequalcosa di soggettivo odi oggettivo. Il “pro-

blema estetico” era essenzialmenteuno: è il soggetto a vedere la bellezzanelle cose o sono le cose ad avere unabellezza in sé? E siccome ciò che valeper il bello può valere anche per ilbuono, si potrebbe così riformulare ladomanda: siamo noi che facciamodiventare buono un cibo o un vino oè il cibo o il vino a essere buono in sé?La risposta arriva da Nicola Perullo,ricercatore di Estetica all’Universitàdegli studi di Scienze Gastronomichedi Pollenzo, ma soprattutto degusta-tore e critico enogastronomico, ca-pace di riflettere sulla gastronomia,non soltanto da un punto di vista sto-rico e antropologico, ma soprattutto,da un punto di vista filosofico.

Il legame tra cibo, cultura e tra-dizioni è ormai sdoganato. Comesi legano invece esperienze gusta-tive e argomentazioni filosofiche? «Il legame è nel termine estetica,nella riflessione sul suo significato

originario. Oggi l’estetica riguardal’arte o l’immagine. Invece, originaria-mente, era la scienza della sensibilità.Filosofi e pensatori negli anni hannoprovato ad analizzare “il sensibile”,chiamando in gioco anche il gusto el’olfatto. Ne hanno discusso a livelloteorico e scientifico, ma era difficilesuperare l’eterna diatriba tra soggetti-vità e oggettività».

Lei come affronterebbe la que-relle? «Innanzitutto chiarendo che la degu-stazione critica non deve prendere inconsiderazione solo l’oggetto delladegustazione ma anche la persona, ildegustatore. Degustare è una rela-zione attiva tra chi degusta e ciò cheviene degustato. Ad esempio, il votoassegnato a un vino, non esprime ilvalore del vino in sé, ma la relazionetra quella determinata persona e ilvino».

Però questo potrebbe lasciarintendere che tutto è soggettivo eche ognuno può dire la sua.«In realtà non è così, perché essereeducati al gusto significa essere alle-nati e richiede sapere e attenzione. •

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A TAVOLA CON FILOSOFIANicola Perullo

Detto questo, non si possono esclu-dere le diverse personalità e i diversibackground ma si possono accettaregiudizi diversi sullo stesso vino, sullostesso piatto, sullo stesso quadro su-perando la diatriba tra soggettività eoggettività e inserendo il discorso delgusto in una dimensione di relazio-nalità che dipende da molti fattori».

Quali sono questi fattori?«La cultura e le esperienze personali,ma anche le fasi storiche. In questoperiodo siamo molto attenti al biolo-gico, aspetto che fino a qualche annofa non era tenuto in considerazione.Posto che inevitabilmente la degusta-zione critica implica una certa atten-zione all’ambiente, degustarecriticamente significa comprendereche viviamo in un contesto che ci in-fluenza e va al di là del rapporto cheabbiamo con il cibo o con il vino».

Appurato che la dimensionedel gusto non è né oggettiva insenso tradizionale né soggettivanel senso comune, in che modopossiamo essere educati al gustoaspirando a un nuovo concetto di

raffinatezza intellettuale? «Sensibilità e intelletto sono duefacce della stessa medaglia. Essereeducati al gusto significa mettere ingioco una dimensione cognitiva e in-tellettuale, perché il corpo nella suadimensione fisica serve per gustare,ma poi a valutare non sono gli organidi senso, ma il cervello. E, nella ga-stronomia, è evidente questa compe-netrazione tra ciò che è sensibile e ciòche è intellettuale».

In questo senso avere la consa-pevolezza di ciò che si mangia nearricchisce il gusto?«Se assaggio un piatto sapendocome è stato realizzato, conoscendola storia dei suoi ingredienti e la tradi-zione che lo ha conservato neltempo, il piacere fisico si arricchiscedi un piacere intellettuale e culturale.Non è più solo il gusto di un cibomangiato, ma è il gusto di un cibopensato e percepito come oggetto divalore culturale».

Da un punto di vista empirico,come può il valore culturale arric-chire il sapore di un cibo?

Nicola Perullo è ricercatore di Estetica all’Università

di Scienze Gastronomiche di Pollenzo, degustatore

e critico enogastronomico. Il suo ultimo libro

“Filosofia della gastronomia laica.

Il gusto come esperienza” edito da Meltemi,

invita i lettori a essere consapevoli di quel che

mangiano e di come lo mangiano

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A TAVOLA CON FILOSOFIANicola Perullo

«Alcuni scienziati hanno dimostratoche gli individui valutano ciò che man-giano in base ai loro imprinting cogni-tivi, culturali e sociali. Infatti è assodatoche i degustatori professionisti rie-scono ad assaporare nel vino degliaromi e dei sapori che i non degusta-tori non sentono. Perché? La spiega-zione non è fisica. Non è il loro palatoa essere dotato di ricettori chimici di-versi o più potenti, ma è il loro cervelloche, essendosi esercitato attraversouna cultura e una formazione attiva, liha portati a riconoscere e a sentirearomi che gli altri non sentono».

È innegabile che oggi siano inmolti a riconoscere il valore cul-turale della gastronomia, anchese non sono per così dire educatie allenati al gusto.«La cucina, è vero, è sdoganata dalpunto di vista culturale, ma solo se

resta nella dimensione un po’ aned-dotica, storica, di recupero delle tradi-zioni e della tipicità. Allora sì. Ma se siparla di creatività o di alta cucina al-lora il dibattito si fa più acceso e cisono sempre grandi obiezioni. I pre-giudizi sono ancora forti, e impedi-scono all’atto del mangiare di esserenobilitato fino in fondo».

Lei da che parte sta?«Io credo che l’atteggiamento piùsaggio è quello di chi non divinizza lagastronomia. Non credo che questasia un’arte e, soprattutto, non credoche un piatto sia paragonabile a unquadro, ma sono convinto che ilgusto sia un’esperienza estetica».

In questo senso la sua gastro-nomia è saggia e laica?«Volevo dare una definizione voluta-mente provocatoria e in un certo

senso originale. L’aggettivo laico nasce dalla mia per-plessità di fronte a quegli atteggia-menti, oggi fin troppo frequenti, chetendono a divinizzare la gastronomiae a considerare i gastronomi comesapienti che dispensano consigli esaggezza quando invece la gastrono-mia dovrebbe valorizzare un atteggia-mento aperto e relativo. La saggezzasignifica senso della misura, rispetto ecapacità di orientarsi in determinaticontesti ed essere laici e saggi signi-fica avere una posizione di non arro-ganza verso ciò che mangiamo, ma diconsapevolezza e comprensione. Ilcibo pervade la nostra vita tutti igiorni e non possiamo avere rispettoa esso un atteggiamento univoco, maatteggiamenti differenziati a secondadel contesto. Questa è, in fondo, lamia concezione del gusto come espe-rienza».

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IL VINO NELLA GASTRONOMIA LAICA E SAGGIA

Il vino ha sempre attirato filosofi e pensatori.Forse perché grazie ad alcune sue caratteristi-che si avvicina all’arte, più di quanto possa fareun qualsiasi prodotto gastronomico. È legato al-l’assaggio, ha un lessico di degustazioni allespalle, può viaggiare, e soprattutto è capace diconservarsi nel tempo. Hegel sosteneva che glioggetti artistici sono quelli fatti per permaneree perdurare, mentre il cibo è fatto per essereconsumato in breve tempo. Il vino è fatto peressere consumato, ma ha dalla sua parte unadurevolezza nel tempo che lo avvicina di più aglioggetti artistici.

Gusto • 66 Maggio 2010

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IL CIBO COME IDENTITÀAngelo Varni

Gusto • 68 Maggio 2010

una terra

di saporiLA CUCINA EMILIANO-ROMAGNOLA RIFLETTELE PECULIARITÀ DEL PROPRIO TERRITORIO E DEL PROPRIOPASSATO. LO SPIEGA ANGELO VARNI, DOCENTE DI STORIACONTEMPORANEA ALL’UNIVERSITÀ DI BOLOGNA

� di Francesca Druidi �

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IL CIBO COME IDENTITÀAngelo Varni

Le residualità storichehanno una perma-nenza incredibilenella cultura enoga-stronomica». In par-ticolare in quella

emiliano-romagnola, una delle piùricche e apprezzate d’Italia. A sotto-linearlo è Angelo Varni, docente diStoria contemporanea presso l’Uni-versità degli Studi di Bologna. Le di-versità presenti nella cucinaemiliana e in quella romagnola, no-nostante le naturali contaminazionie i piatti comuni, sono imputabili adifferenti percorsi storici.

In quali aspetti sono maggior-mente visibili tali differenze?«Esiste una distinzione tra la gastro-nomia del territorio romagnolo, lacui storia è legata ai Bizantini, equella del territorio emiliano. La do-minazione longobarda ha qui pro-dotto quella che si può definire una“civiltà del maiale”, con la carne disuino che prevale sull’impiego dialtri tipi di carne e condimenti usatiin Romagna, dove invece si ricorremaggiormente alle erbe tradizionalie alla carne ovina. Un altro ele-mento di caratterizzazione è rappre-sentato dalla piadina romagnola,classico prodotto del mondo orien-tale, un pane non lievitato diffuso unpo’ in tutto il bacino del Mediterra-neo. Ulteriore differenza risiede

nella pasta ripiena: il cappelletto ro-magnolo è ripieno di formaggio,mentre il tortellino emiliano rac-chiude carne di maiale, di vitello,prosciutto crudo e mortadella, oltrea uovo, parmigiano e pan grattato.Queste peculiarità affondano nellastoria ma persistono ancora oggi,nonostante la globalizzazione. Inuna terra di confine come Imola, ilpassaggio è più evidente. Il tortellinoè qui chiaramente ibrido: la dimen-sione è quella del cappelletto roma-gnolo, mentre il ripieno segue laricetta emiliana».

Può indicare i piatti che sinte-tizzano l’identità gastronomicaregionale?«Senza dubbio i primi ripieni: tor-telloni, lasagne e tortellini, con decli-nazioni diverse a seconda dellazona. Gli anolini si apprezzano nellaprovincia di Parma e Piacenza. Tor-telli o cappellacci di zucca si man-giano a Piacenza, Reggio Emilia enel Ferrarese. In Romagna si cuci-nano i manfrigoli e, anche a Bolo-gna, i passatelli. Connotata da unaspiccata tradizione contadina, la cu-cina emiliano-romagnola ha ilgrande pregio di conservare un le-game particolarmente stretto con iprodotti della terra. La fama dellagastronomia regionale, soprattuttobolognese, deve quindi il suo pregioe i suoi connotati più che all’elabo-

razione delle ricette, codificatenell’Ottocento, alla ricchezza delterritorio. La tagliatella incarna ilsimbolo di tale prosperità poichériunisce in sé il meglio della stalla,del pollaio, dell’orto e del campo.Non è un caso che l’Università siastata fondata in quest’area, perchédava la possibilità di sostentare stu-denti e docenti».

Altre pietanze caratteristiche?«La cotoletta alla bolognese conprosciutto e parmigiano, il frittomisto alla bolognese, le crescentine.

Sopra,

Angelo Varni,

docente di Storia

contemporanea

e direttore della

Scuola di giornali-

smo presso l’Uni-

versità degli Studi

di Bologna

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IL CIBO COME IDENTITÀAngelo Varni

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Il prodotto principe di Bologna è lamortadella, conosciuta in tutto ilmondo, un prodotto antichissimoprobabilmente nato in età classicaromana. E poi ci sono i salumi e gliinsaccati: prosciutto, culatello, cote-chino, zampone, salsiccia, la salamada sugo tipica della provincia di Fer-rara, e tutto quanto si lega alla tra-sformazione della carne di maiale».

Lei ha promosso il progetto“La cultura del cibo” per Bolo-gna 2000 Città europea della cul-tura. Cosa rimane diquell’esperienza?«Si cercava di stimolare il più possi-bile i ristoratori all’impiego dei pro-dotti del territorio. Poi questo temaè diventato sempre più spesso unluogo comune. Bisogna allora saperdistinguere ristorante da ristorante:c’è chi ha fatto propria tale pratica e

chi solo sulla carta. Certo, rispetto aqualche anno fa, il ritorno all’uso delprodotto genuino tradizionale, allaricerca dell’ingrediente garantitonella sua qualità, si fa sentire in ma-niera superiore, arginando quegli ec-cessi che stavano prendendopiede».

L’enogastronomia può essereconsiderato un volano per il turi-smo?«Sì, peccato che sia una leva pro-mossa un po’ in tutto il mondo e damolti anni. Quanti festival, sagre,manifestazione legate all’enogastro-nomia si organizzano dappertutto?Bologna avrebbe potuto diventarecapofila sotto questo aspetto perchéil suo nome è di fatto collegato allabuona cucina. Questo non è suc-cesso, per le varie responsabilità ditanti. Non tutta la fama di Bologna è

andata perduta nell’immaginariocollettivo, ma è emersa una leg-genda “al contrario”: si è iniziato adaffermare, con qualche eccesso, chein città si mangia male, che i risto-ranti non sono validi. Il fatto che Bo-logna nel frattempo sia diventato unpolo fieristico, dove i ristoratori po-tevano a volte offrire prodotti nonsempre di altissima qualità a prezzialti, è un fenomeno di cui bisognatenere conto. Non è però vero chela qualità della ristorazione bolo-gnese sia peggiore di quella di altrecittà. Contano anche l’ampiezza delterritorio, il numero degli abitanti, ilpassaggio di turisti e visitatori. Incentri dalle dimensioni simili aquelle di Bologna, non si rilevanosostanziali differenze. Sparare con-tro un mito, come quello della cu-cina bolognese, fa però più effetto,regala maggiore visibilità». d

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L’EMILIA ROMAGNA IN TAVOLAIl culatello di Zibello

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Gusto • 74 Maggio 2010

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L’EMILIA ROMAGNA IN TAVOLAIl culatello di Zibello

Conta tra i suoi estima-tori anche Carlo d’In-ghilterra. È il culatellodi Zibello, a cui si attri-

buisce l’appellativo di “re dei sa-lumi” perché, come spiegaMassimo Spigaroli, allevatore eproduttore artigiano di salumi nellasua Antica Corte Pallavicina, maanche stimato chef del ristorante Alcavallino bianco di Polesine Par-mense, «viene prodotto con laparte più pregiata del suino adulto,la coscia, dove si trovano le fascemuscolari più importanti, maggior-mente elitarie e predisposte a pren-dere profumo, sapore, fragranza,dolcezza». E poi c’è una lavora-zione delicatissima, «un percorsoche, pur essendo controllato, è ese-guito artigianalmente», in cui lacarne viene decotennata, sgrassata,disossata, separata dal fiocchetto e

rifilata a mano, così da conferirle lacaratteristica forma “a pera”. Se-guono, dopo circa una decina digiorni, la salatura, l’insaccamentodel salume nella vescica del suino ela legatura con lo spago che, dopola stagionatura, risulta a maglie lar-ghe e irregolari.

La fase di stagionatura, che nonpuò avere una durata inferiore adieci mesi a partire dalla salatura,richiede locali dove sia assicuratoun sufficiente ricambio dell’aria, auna temperatura compresa tra 13 e17 gradi. «Questo prodotto haavuto e ha un certo successo pro-prio perché non sono cambiati imetodi di produzione». Comespiega Massimo Spigaroli, attual-mente esistono due consorzi delCulatello di Zibello: «la presenzadi un consorzio più esteso, dove

L’élite

dei salumiÈ UNO DEI SALUMI PIÙ NOBILI DELLA NORCINERIA ITALIANA.MASSIMO SPIGAROLI, UNA DELLE MASSIME AUTORITÀ INMATERIA DI CULATELLO DI ZIBELLO, NE SPIEGA IL PERCHÉ

� di Francesca Druidi �

In apertura, la cantina di Spigaroli, presso l’Antica Corte Pallavicina;

sopra, Massimo Spigaroli, chef del ristorante Al cavallino bianco

di Polesine Parmense e presidente della Strada del Culatello di Zibello

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confluiscono tutti i produttori i cuisalumi si fregiano della Dop, uffi-cializzata nel 1996, non ha com-portato la scomparsa del vecchioconsorzio, che si trasformerà inun’associazione con un marchioidentificativo del Culatello di queiproduttori che, all’interno del con-sorzio, applicano un disciplinarepiù restrittivo». Del consorzio piùampio fanno parte 22 produttori,14 sono invece quelli che rientranonel gruppo più circoscritto. Nel-l’ambito del disciplinare più restrit-tivo, «è interdetto l’uso delcontrollo delle temperature, se nonnei primi 60 giorni, e la produzionepuò avvenire solo da ottobre a feb-braio, quando le condizioni clima-tiche lo consentono, non avallandoclimatizzazioni forzate».

Per Spigaroli, il modo migliore diapprezzare il Culatello di Zibello èaffettarlo e servirlo «climatizzatonel modo giusto, cioè a tempera-tura ambiente, con un buon panebianco a pasta morbida e basta, ac-compagnato da un vino del territo-rio come il Fortana». Questosalume, come evidenzia lo chef, ègià talmente buono di per sé da ri-sultare difficile abbinarlo a qual-cos’altro. «Tutte le volte che miaccosto a questo prodotto, mirendo conto che, abbinandolo a unaltro ingrediente, se ne perde sem-pre un po’ l’identità. Azzardo un ta-gliolino preparato con burro dellevacche rosse e culatello aggiuntoall’ultimo, però cambia sempre unpo’ il sapore e non si percepisconopiù la fragranza e il profumo del

culatello fresco».

Grazie a questo salume, il territoriodella Bassa Parmense è riemerso,iniziando a esprimere in manierapiù incisiva le proprie potenzialità.«Questo prodotto – afferma Spi-garoli, che riveste anche la carica dipresidente della Strada del cula-tello di Zibello – ci sta portandoavanti nel mondo enogastrono-mico e sono in aumento i turististranieri che vengono nelle terredel culatello, che poi sono anche leterre Verdiane. Come Strada,siamo impegnati nella valorizza-zione non solo del culatello, maanche di tutti gli altri prodotti dellazona, perché qui l’arte norcina èqui riconosciuta a livelli mondialiper la sua qualità e i suoi saperi».

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Sopra, alcune im-

magini della lavora-

zione del culatello

di Zibello

Gusto • 76 Maggio 2010

L’EMILIA ROMAGNA IN TAVOLAIl culatello di Zibello

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L’EMILIA ROMAGNA IN TAVOLAIl Culatello di Zibello

Il cuore

parmenseEMILIA, TERRA RICCA DI SAPORI E PROFUMI.

TRA LE SUE TANTE E INTENSE “VIE DELGUSTO” IL NOSTRO PERCORSO ATTRAVERSA

LA STRADA DEL CULATELLO DI ZIBELLO

Gusto • 78 Maggio 2010

� di Simona Cantelmi �

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L’EMILIA ROMAGNA IN TAVOLAIl Culatello di Zibello

Seguendo la cosiddettaStrada del Culatello diZibello, ci si addentra perla provincia parmensealla scoperta di memorie

storiche suggestive e appetitosi pro-dotti tipici, passando per la verdianaBusseto, la Fontanellato della cele-bre rocca e per Colorno, nota per lasplendida Reggia Farnesiana. Qui,in località Vedole, un piccoloborgo, si trovano la trattoria AlVedèl e il Podere Cadassa, specia-lizzati nella lavorazione del gustososalume. «Nella sala di lavorazionedue norcini sapienti, per età edesperienza, mettono al servizio delpodere la loro antica manualità»spiega Enrico Bergonzi, di Al Vedèl.«Nessun conservante viene accet-tato, solo il sale e il pepe si aggiun-gono alle qualità della carne dimaiali che sono stati seguiti fin dallanascita. Nella sala interrata adibita acantina si svolge la stagionaturadove quiete, pazienza e controlli

quotidiani porteranno infine il cula-tello a esibirsi sulla tavola». La trat-toria, infatti, si avvale del culatello edi altri salumi prodotti dal Podereper gli antipasti. «Produciamoanche il Fiocco di Culatello, il Sa-lame Gentile, il Salame Sfilsetta, laCoppa e l'ormai introvabile SpallaCruda». Il culatello è uno dei sa-lumi più prestigiosi della tradizioneemiliana. «È la parte più pregiatadel maiale, il cuore del prosciutto,quella che sta tra il fiocco e il gam-betto, e si produce nel periodo cheva da ottobre a febbraio quandol’aria è quasi ferma, la nebbia èdensa e la temperatura intorno allozero. La materia prima è la partecentrale della coscia del suino, di-sossata e sgrassata, posta sotto sale acaldo, cioè su carne appena macel-lata, per circa cinque giorni, poi la-vata con vino, ricoperta con sale equalche grano di pepe, insaccatanella vescica di maiale e legata. Lastagionatura - prosegue Bergonzi - d

In alto, a sinistra, EnricoBergonzi, al centro, con i membri dello staff della cucina della trattoria Al Vedèl;a destra, Monica Bergonzi e il responsabile della cantina Marco Pizzigoniwww.poderecadassa.it/[email protected]

avviene in una cantina fresca eareata costruita con i criteri di untempo per un periodo minimo diundici mesi nei quali, in base a di-versi fattori quali umidità, calore eventilazione, si mantengono inalte-rate le ideali condizioni di stagiona-tura». Il culatello è prodotto dellafiliera autoctona ed è proprio il con-cetto di “fatto in casa” a essere ga-ranzia di qualità. «Accanto aisalumi locali, ci sono le tipiche ri-cette del territorio. Noi ad esempioproponiamo i sapori tipici della pia-nura, come il maiale, il manzo, ilpollo o l’oca, e quelli del grandefiume, come storione, anguille, rane,lumache, fino ad arrivare ai gustidelle nostre colline e dell’Appen-nino, con lepre, quaglie, funghi e tar-tufi. Penso ai tortelli di erbetta conburro fuso e Parmigiano di collina,al risotto con salame fresco e funghiporcini o alla sella di cinghiale al Ba-rolo, tartar di filetto al tartufo nero egiardiniera di verdure».

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L’EMILIA ROMAGNA IN TAVOLALa mortadella bolognese

L a mortadella è stata la veraprotagonista dell’export2009: le sue esportazionihanno superato la cifra re-

cord di 23.440 tonnellate, regi-strando un incremento a due cifre(+11,3%) per un valore di circa 81milioni di euro (+8,3%). Il tradizio-nale salume bolognese vanta unastoria che risale addirittura al I se-colo d.C. e prenderebbe il nome dalmortarium, ovvero lo strumentocon il quale si batteva la carne di ma-iale. «Noi che siamo stati nutriti conpanini alla mortadella – spiegaGiancarlo Roversi, scrittore, giorna-lista e storico dell’alimentazione – cisiamo dimenticati forse il suo valore,ma quando usciamo dai confini re-gionali vediamo che tutti hanno unavenerazione per questo prodotto».

Qual è il segreto del successo

di questo salume in tutto ilmondo?«La mortadella è sempre stato il sa-lume più raffinato che ci fosse in Ita-lia. Nelle mie ricerche, guardando illistino dei prezzi in passato e le ta-riffe dei prezzi applicati negli annisanti per i pellegrini o per altri pas-saggi di truppe, ho scoperto che va-leva tre volte il prosciutto. È statosempre il salume più importante diBologna, tutelato con bolli di cera-lacca, con certificati di garanzia dellacorporazione dei “salaroli” che indi-cevano dei bandi contro le sofistica-zioni. Già alla fine del Cinquecentola mortadella arrivò in America. Unfrate domenicano, giunto dagli StatiUniti a Bologna nel 1670, vollemangiare la mortadella nella cittàdove la si faceva. Una volta era unprodotto per i ceti abbienti, ma allafine dell’800 è diventato un pro-

tra modena

e bolognaMORTADELLA, ZAMPONE, COTECHINO. MA ANCHE TANTIALTRI SALUMI INDISSOLUBILMENTE LEGATI AL PATRIMONIOGASTRONOMICO REGIONALE. GIANCARLO ROVERSIRACCONTA I RETROSCENA DI QUESTI NOBILI ALIMENTI

� di Nicolò Mulas Marcello �

Giancarlo Roversi,

scrittore, giornalista

e storico

dell’alimentazione

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L’EMILIA ROMAGNA IN TAVOLA

La mortadella bolognese

Gusto • 82

dotto alla portata di tutti».

Vi sono stati negli anni cam-biamenti significativi nella pro-duzione e nella ricetta dellamortadella?«Ovviamente. In passato si usavanoi maiali nostrani, i cosiddetti maialicintati, scuri e a macchie che eranodi stazza bassa e pesavano 70/80kg.Poi nel 1862 arrivò dall’Inghilterra ilmaiale rosa ed è cambiato tutto,anche la sua carne è diversa. La ri-cetta per la mortadella non si è di-scostata molto dalla tradizione, c’èchi mette il pistacchio e chi no. C’è,però, un’aberrazione che si fa da unaventina di anni ovvero quella di ser-vire la mortadella a dadini. Invece, lamortadella a Bologna è sempre stataservita sfilata, cioè affettata sottile. Inostri salumieri erano dei maghi atagliarla a mano, c’era anche una

gara nell’Ottocento. Poi è arrivatal’affettatrice, inventata da GiuseppeGiusti, giovane meccanico bolo-gnese subito dopo la metà dell’800.Una volta nei secoli passati la simangiava anche grattugiata con legrattugie da parmigiano».

Come si collocano, invece,zampone e cotechino nella tradi-zione emiliano-romagnola?«I salumi farciti da cottura in EmiliaRomagna sono molti: lo zampone, ilcotechino, la salama da sugo, la ma-riola, la bondiola, il prete, il vescovo, ilcappello da prete, il bél e còt. Il cote-chino si fa un po’ dappertutto, in Ro-magna prende il nome di bél e còt ed èpiù magro. Il prete è la parte finaledello zampetto del maiale appenasopra la zampa. Viene tolto l’osso eviene cotta la carne lasciata nella suacotica. Oppure dove viene tolto l’osso

si mette la pasta di zampone o di cote-chino, lo si ricuce e lo si cuoce così. Lasalama da sugo è molto più di carat-tere perché viene cotta molto in unparticolare tipo di vino. Ogni prodottoè adatto a una stagione e lo si accom-pagna a un vino leggero che può es-sere un lambrusco. Nel parmense sibeve la Fortana o Fortanina che è deli-ziosa e leggera».

Il consorzio dello zampone edel cotechino sta cercando di svin-colare questi prodotti dal periodonatalizio. Secondo lei è possibile? «Certo. Io stesso ho fatto prepararein passato dei condimenti a base dipasta di zampone e cotechino esono ottimi anche per tartine. FabioBiagi ha realizzato queste tartinequi a Bologna. Ma sono ricette diuna volta. Non c’è niente di nuovosotto il sole».

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Maggio 2010

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L’EMILIA ROMAGNA IN TAVOLAIl Prosciutto di Parma

� di Adriana Zuccaro �

L’AROMA AUTENTICO DEI PROSCIUTTI DI PARMA È SIGLATODALLA TRADIZIONE. UNA TRADIZIONE CHE RESISTE,

NONOSTANTE L’INFLAZIONE DEI PROCEDIMENTIINDUSTRIALI. L’ESPERIENZA DELLA FRATELLI GALLONI

“Cruda”dolcezza

Gusto • 84 Maggio 2010

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L’EMILIA ROMAGNA IN TAVOLAIl Prosciutto di Parma

olcezza, fra-granza, sapore.«L’unicità delnostro pro-sciutto diParma deriva in

primo luogo da procedimenti di la-vorazione radicati nella tradizionepiù antica del territorio par-mense». Fra i circa centosettantaproduttori di prosciutto di Parma,l’azienda, che opera a Langhiranoda ormai cinquant’anni, si distin-gue insieme a pochissime altre, peraver mantenuto metodi di produ-zione artigianale a salvaguardiadelle caratteristiche del più pre-giato dei prosciutti italiani. È il pre-sidente Carlo Galloni a spiegare lepeculiarità del processo e i requisitidella materia prima necessaria perla produzione di un prosciutto dieccellenza. «La salagione è un’ope-razione di grande importanza edeve essere effettuata in modo deltutto manuale, valutando la capa-cità di assorbimento del sale diogni singola coscia. Nessuna mac-china può farlo». La sugnatura,cioè la fase che deve ammorbidiregli strati muscolari superficiali,«deve essere doppia anzi, se neces-sario tripla». Un’altra tappa fonda-mentale della lavorazione è lastagionatura, «che deve avvenire incantine dove si predilige la ventila-zione naturale per favorire lo svi-luppo di una microflora di specialilieviti, indispensabili alla forma-zione dell’aroma unico che con-traddistingue un prosciutto di

altissima qualità». Ma la lavora-zione non è l’unico aspetto da te-nere in considerazione. «Lamateria prima – incalza Carlo Gal-loni – deve provenire da alleva-menti selezionati di pregiati maiali“maturi” pesanti di genetica nazio-nale, alimentati in modo naturale esottoposti a rigorosi controlli sani-tari ». L’attenzione estrema allamateria prima è una ulteriore ra-gione che differenzia i prosciuttidella Fratelli Galloni da tuttequelle produzioni che, orientan-dosi verso un’alimentazione e unagenetica dei suini simili a quellenordeuropee, e a lavorazioni stan-dardizzate di tipo industriale,hanno inevitabilmente abbando-nato quelle caratteristiche di dol-cezza, fragranza e sapore chehanno fatto del Parma un mitoitaliano. d

Carlo Galloni, presidente di una delle più grandi aziende produttrici di prosciutto di Parma, la Fratelli Galloni, con sede a Langhirano www.galloniprosciutto.it

Grazie a un sofisticato controllo qualità la FratelliGalloni ha ottenuto la certificazione internazio-nale ISO 9001. Ulteriori riconoscimenti sonogiunti con prestigiose certificazioni come la IFS ela BRC, oltre alla certificazione ambientale ISO14001. L’azienda è abilitata a esportare in paesicon normative sanitarie particolarmente severe,quali Stati Uniti, Canada, Australia, Cina e Giap-pone, e si è così garantita l’opportunità per dif-fondere una delle più grandi prelibatezze italianenel mondo.

IL PROSCIUTTO GALLONI

NEL MONDO

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L’EMILIA ROMAGNA IN TAVOLALa salama da sugo

Tra i numerosi insaccatida cottura che si produ-cono nel territorio emi-liano-romagnolo, ce n’è

uno dal sapore molto intenso edalla produzione esclusivamentecircoscritta nell’area della provin-cia ferrarese. È la salama da sugo,un prodotto al quale anche SlowFood ha riservato un’attenzioneparticolare. Alberto Fabbri, coordi-

natore dei presìdi Slow Food inEmilia Romagna afferma: «la sa-lama da sugo è un piatto della con-vivialità, non si può certoconsumarlo da soli».

Come si presenta la salamada sugo?«La salama da sugo di qualità si ri-conosce dall’aspetto. Non deveavere muffe sull’esterno. La lega-tura deve essere fatta con la cordaanche se oggi alcuni, soprattuttonelle produzioni casalinghe, la ese-guono con gli elastici. Dopo la pre-parazione il suo peso è di circa 2 kg,dopo la stagionatura diventa di 1kgcirca».

Cosa rende la salama da sugoferrarese un salume a rischio diestinzione? Quali peculiaritàrendono unica questa specialità?

«Per certi versi potrebbe essere de-finito come un salume in via diestinzione, ma per fortuna non ècosì. La particolarità della salamada sugo deriva dal fatto che è un sa-lume con una territorialità moltoben definita e caratterizzata: vienelavorata, prodotta e stagionata uni-camente nella provincia di Ferrara,a esclusione della zona del delta delPo. Ci sono due tipologie: la tradi-zionale, che viene lavorata con lamacellazione dei maiali solo du-rante il periodo invernale, da di-cembre a febbraio; l’altra è dicarattere industriale e viene pro-dotta tutto l’anno. Per quanto ri-guarda la salama tradizionaleintercorrono almeno 6 mesi di sta-gionatura, ma anche 12 e per al-cune addirittura 24 mesi».

Quanti sono i produttori

intensi sapori

ferraresiLA SALAMA DA SUGO O “SALAMINA”, COME LACHIAMANO I FERRARESI, È UN SALUME RAFFINATO.ALBERTO FABBRI NE RACCONTA LA PRODUZIONE

� di Nicolò Mulas Marcello �

Gusto • 86

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L’EMILIA ROMAGNA IN TAVOLALa salama da sugo

delle diverse fasce? «In termini industriali non ragio-niamo sui numeri, ma sui sistemidi lavorazione e sulle tecnologieusate. Gli stabilimenti di lavora-zione più importanti sono cinque.Quelli che la producono su scalafamiliare invece sono un numeroimprecisato perché qualunquecontadino la può fare. Direi chesono circa un centinaio. Solo unoè invece il produttore accettatonel presidio Slow Food, La Fatto-ria La Bozzola».

Come consiglia di consu-mare la salama per apprezzarneal meglio le qualità? Quali gliabbinamenti migliori?«Di solito viene accompagnatacon il purè di patate o di zucca chedanno un contrasto di sapore con ilgusto molto forte della salama».

In apertura,

Alberto Fabbri,

coordinatore dei

presìdi Slow Food

in Emilia Romagna.

A fianco, fasi

di lavorazione della

salama da sugo

d

LA PREPARAZIONE

La salama da sugo viene preparata maci-

nando le parti migliori del maiale con una mi-

nima quantità di aglio e alcune spezie come la

noce moscata, chiodi di garofano, molto pepe

e sale. La concia dell’impasto termina con

l’aggiunta di abbondante quantità di vino. «Si

usa la Fortana ferrarese, che non ha niente a

che vedere con quella parmense» avverte

Fabbri. L’impasto viene infine insaccato nella

vescica del maiale stesso, dandole una carat-

teristica forma rotondeggiante.

COME SI CUCINA

L’insaccato dalla tipica forma a pera viene im-

merso nell’acqua a temperatura ambiente ad

ammorbidire almeno una notte e poi cotto

usando diverse precauzioni. «Nella parte alta

c’è una corda a forma di asola in cui viene in-

filato un bastone che tiene la salama sospesa

nell’acqua perché non deve toccare né il

fondo della pentola né le pareti. Una volta ve-

niva anche chiusa di un sacchetto di lino –

precisa l’esperto – perché durante la cottura

la salama traspira parte del grasso. Il sac-

chetto aveva proprio la funzione di non far di-

sperdere il grasso nell’acqua in modo tale che

una volta aperta, se la carne risultava troppo

asciutta si riutilizzava lo stesso grasso rime-

scolandolo con la carne. «Per la cottura la si

lascia bollire per almeno 5 o 6 ore, in alcuni

casi di più a seconda della dimensione della

salama e a seconda della stagionatura» con-

clude. Una volta cotta con un cucchiaio si co-

mincia a scavare nell’insaccato.

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Il tempo

dei travasi

e dei rincalziDALLA PIÙ ANTICA ACETAIAESISTENTE APPRENDIAMO QUEISEGRETI CHE ANCORA OGGICARATTERIZZANO L’ACETOBALSAMICO DI MODENA.DAL LONTANO 1605

� di Adriana Zuccaro �

L’EMILIA ROMAGNA IN TAVOLAL’aceto balsamico di Modena

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La perfezione degli aceti dettibalsamici di Modena di-pende unicamente da trecondizioni, cioè dalla scelta

delle uve, dalla qualità dei recipienti edal tempo”. In occasione dell’Esposi-zione Agraria di Modena del 1865 ècosì che veniva pubblicata la “ricettadi Giuseppe Giusti”, emblema di unatradizione nata nel 1605 e a oggi tra-mandata di padre in figlio per 17 ge-nerazioni. «Per mantenere invariatala qualità dell’aceto balsamico, la fa-miglia Giusti adotta ancora le mede-sime regole di un tempo». A svelarealcuni dei segreti dell’attività familiareè il pronipote dell’ultimo Giusti,Claudio Stefani, oggi amministratoredelegato dell’azienda.

L’aceto balsamico di Modena èuno dei prodotti gastronomiciche il mondo ci invidia. Pochiperò sanno come si ottiene. «L’aceto balsamico nasce dal mostodelle migliori uve che, vendemmiadopo vendemmia, deve essere sele-zionato con cura. I mosti devono es-sere poi lasciati invecchiare in botti didiversa grandezza e di diversa età a se-conda della qualità di aceto balsa-mico che si vuole ricavare. Gli acetipiù pregiati, per esempio, nasconodal tradizionale metodo dei “travasi erincalzi”. Ogni anno è possibile prele-vare dalla sola botte più piccola diuna batteria composta da 7-9 botti-celle di capacità decrescente, una li-mitata quantità di prodotto dasottoporre all’esame organolettico.La botte su cui è stato eseguito il pre-

lievo, verrà poi rincalzata utilizzandol’aceto contenuto della precedente, asua volta rincalzata dalla terza, e cosìvia fino all’ultima, che accoglie la mi-stura fresca dei mosti cotti del-l’anno».

La ricetta di Giuseppe Giustiparla di “recipienti”. Perché sonoimportanti? «I nostri predecessori ci hanno inse-gnato che ciò che rende l’aceto balsa-mico un balsamo è l’invecchiamentonei legni delle botti. Preserviamo perquesto una collezione di più di 600botti risalenti fino al 1600, in cui an-cora oggi produciamo aceto. Il legnodelle botticelle antiche è intriso degliaromi e dei sapori che nei secoli vihanno soggiornato, ne conserva leproprietà e le dona ai nuovi aceti me-diante ciò che amiamo chiamare il“bouquet di casa Giusti”. L’acetaiastorica per noi è dunque un grande

La perfezionedegli acetibalsamici diModena dipendedalle uve, dairecipientie dal tempo

L’EMILIA ROMAGNA IN TAVOLAL’aceto balsamico di Modena

Gusto • 90 Maggio 2010

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• patrimonio che curiamo quotidiana-mente per poterlo tramandare ungiorno ai nostri figli».

Da cosa si riconosce un acetodi alta qualità? «Un buon aceto balsamico, invec-chiato secondo il sistema della tra-dizione, si riconosce da unavellutata densità al palato, dall’in-tensità e persistenza di sapori earomi, e dal giusto equilibrio agro-dolce. L’assaggio è quindi il metodomigliore, con cui lo stesso consu-matore può comprendere appienole differenze tra i vari aceti e farsicosì guidare nella sua scelta gastro-nomica e negli abbinamenti culi-nari. Ma anche la fiducia nelproduttore è importante: l’antichitàdella tradizione, la serietà del mar-chio e l’artigianalità della produ-

zione sono garanzia di qualità. Lanostra famiglia, in 400 anni di sto-ria, si è distinta spesso in eventi in-ternazionali per la qualità dei suoiaceti balsamici, premiati con 14 me-daglie d’oro nell’Ottocento e sti-mati anche dal Re d’Italia di cuisiamo stati fornitori ufficiali. Ancoroggi, i nostri aceti vengono giudicatiin diverse occasioni, conseguendopremi di alto livello a dimostrazioneche la qualità e la passione sono lestesse di un tempo».

Quali sono stati i principalitraguardi?«Per quattro anni consecutivi, 2006-2009, l’aceto Giusti ha conseguito ilmassimo del punteggio al “PremioInternazionale del Gusto” organiz-zato a Bruxelles in collaborazione conle 12 più prestigiose associazioni di

cuochi e sommelier europei; nel2008 ai Sofi Awards di New York èstato riconosciuto come “MigliorBalsamico 2008”, mentre nel 2009 lostesso riconoscimento è stato attri-buto da Der Feinschmecker, la piùqualificata rivista di “cibo e vino” inGermania».

L’aceto balsamico di Modenaha ottenuto un’importante tutelaa livello europeo.«Finalmente dopo lunghi anni diattesa, nel luglio del 2009, questoprodotto fortemente legato al terri-torio ma conosciuto in tutto ilmondo è stato inserito nella rosadelle indicazioni geografiche pro-tette (igp): si tratta di una concretatutela del consumatore e degli stessiproduttori onesti, a riparo da imita-zioni e falsificazioni».

È rinomato come la più vasta collezione di bottiplurisecolari di aceto balsamico; il migliore vieneestratto dopo anni di invecchiamento e miscela-zione con aceti ospitati da secoli nelle botti piùantiche. Consci dell’importanza di tale patrimo-nio, i Giusti hanno nei secoli mantenuto con curae passione la storica acetaia, fondamentale nell’ot-tenimento del rinomato “bouquet di aromi Giu-sti”. L’aceto balsamico di Giuseppe Giusti è statoaddirittura citato nel best seller internazionale“101 cose da comprare prima di morire”.

www.giusti.it

IL GRAN DEPOSITO

ACETO BALSAMICO

DI GIUSEPPE GIUSTI

d

L’EMILIA ROMAGNA IN TAVOLAL’aceto balsamico di Modena

Claudio Stefani,

amministratore

delegato

dell’azienda

Giuseppe Giusti,

il più antico

produttore di aceto

balsamico

di Modena

Gusto • 92 Maggio 2010

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95 • Gusto Maggio 2010

TRADIZIONILa pasta fresca

TUTTI I SEGRETI PER REALIZZARE UNA BUONAPASTA SFOGLIA SECONDO I PRECETTI DELLA CUCINAEMILIANO-ROMAGNOLA E I CONSIGLIDELL’ASSOCIAZIONE CULTURALE DELLE MARIETTE

� di Nike Giurlani �

a lezionedi sfoglia

La pasta fresca è sicura-mente la regina della cu-cina emiliano-romagnola.Che si parli di tagliatelle,

di tortellini o maltagliati il segretoè solo uno: la sfoglia. Non c’è,però, un unico metodo. Certo,punto di partenza sono le uova ri-gorosamente biologiche e la fa-rina. «La sfoglia fatta in casa, mitoe rito dell’Emilia e della Romagna,legata a saperi, tecnica, manualità,prodotti è stata tramandata damadre in figlia non tanto con mi-nuziose indicazioni quanto con

l’esempio pratico» racconta CarlaBrigliadori, responsabile dellascuola di cucina Casa Artusi di For-limpopoli. Purtroppo i ritmi frene-tici della modernità hanno causatola perdita di molti usi e costumi delpassato, ma a Casa Artusi, grazie aicorsi di cucina promossi dall’Asso-ciazione culturale delle Mariette, latradizione enogastronomica emi-liano-romagnola torna a rivivere.«Questa realtà è nata in onore diMarietta Sabatini, la brava e onestacuoca di Pellegrino Artusi – spiegala responsabile – e la missione delle

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TRADIZIONILa pasta fresca

Gusto • 96 Maggio 2010

“Il miglior maestro è la pratica” (Pellegrino Artusi)

Mariette è quella di mantenereviva la tradizione gastronomicapopolare, a tutela della nostraidentità e della nostra cultura».Durante questi corsi si impara apreparare la pasta fatta a mano, lapiadina (il pane romagnolo) e ivari piatti tipici della tradizione delterritorio. Le lezioni sono aperte atutti: bambini, adulti e turisti. «LeMariette svolgono il ruolo di tutore ognuna di loro segue al massimodue persone, lavorando con “lemani in pasta” ed, esprimendosispesso in dialetto, tramandano

così la loro esperienza e cono-scenza». Nelle preparazioni «im-pieghiamo cura e attenzione sianella gestualità che nei metodi dicottura» perché l’obiettivo, ri-marca l’esperta, è quello di «tra-smettere la ricchezza e l’esperienzadella tradizione della cucina dicasa». I gesti tipici che vengono in-segnati ai corsi sono quelli traman-dati dalle nonne, che in dialettovengono chiamate azdore. «Primadi tutto bisogna sistemare il ta-gliere, pulirlo con e garnadel e setac-ciare con e val la farina – illustra •

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99 • Gusto Maggio 2010

Tecniche,

ricette e storia

di un’arte antica

Alcuni momenti della preparazione della pasta sfoglia

d

Roberta Schira, scrittrice e critica gastronomica è l’autrice

della prima codifica di tutti i formati di pasta fresca e ripiena

di Italia.

Da quale idea nasce il libro Pasta fresca e ripiena?

«È legata a una mia grande passione per la pasta ripiena. Oltre

che far la scrittrice, e raccontare il cibo, ho iniziato “con le mani

in pasta”, dieci anni fa con il grande chef Claudio Sadler, andando

a lezione da lui. Ho cominciato a teorizzare il cibo, dopo avere pro-

vato a cucinarlo».

A quale esigenza risponde?

«Il libro, che ha un approccio antropologico, è frutto di circa tre

anni di ricerche in giro per l’Italia durante le quali mi sono accorta

dell’infinito numero di varianti esistenti sia di ripieno che di for-

mato. Ci voleva un libro che codificasse tutti i formati di pasta fre-

sca e ripiena. C’è una parte storica, una parte tecnica e una parte

di raccolta di ricette, 250 regionali tratte dalla tradizione e 50 pro-

vate da me. Accanto alle ricette c’è un numerino che riconduce a

questi formati. Con l’editore abbiamo deciso di disegnare i più im-

portanti formati di pasta fresca e ripiena avvalendoci del contri-

buto di una bravissima disegnatrice francese».

Perché è stata definita la psicologa del cibo?

«Ho da sempre una grande passione per la psicologia e lo studio

del comportamento alimentare. Questa definizione è arrivata dopo

il mio libro Cucinoterapia, che tratta gli effetti benefici dell’atto di

cucinare, come atto creativo in sé».

Quale è l’approccio delle nuove generazioni verso la tradi-

zione gastronomica?

«C’è un grande interesse. I corsi di cucina sono raddoppiati. Io

stessa tengo corsi di cucina e vedo che molti più uomini li fre-

quentano e mi accorgo che, anche per questa contingenza eco-

nomica, sempre più persone comprano meno cibi già pronti e

iniziano a cucinare in casa. Un dato interessante è l’aumento della

vendita delle macchine per fare la pasta in casa e per fare il pane».

Verdiana Gordini, presidentedell’Associazione delle Mariette –,poi si dispone la farina a fontana,si crea il cratere e si rompono den-tro le uova. Con la punta delle ditasi amalgamano gli ingredienti pro-cedendo dall’interno versol’esterno della fontana». A questopunto «si raschia con il coltello iltagliere e si procede con la lavora-zione dell’impasto, dondolandocon il corpo per far forza sui polsi;quando la pasta si allunga, si ripie-gano i lati verso il centro, ruotan-dola poi di 90° e riprendendo il

ritmo armonioso». Quando l’oc-chio esperto valuta che la lavora-zione è terminata «l’impastoviene coperto con un canovaccioe si lascia riposare – prosegueCarla Brigliadori –. Preso poi esciadur, il matterello, si inizial’opera più difficile: ridurre il pre-parato in una bella sfoglia rotondae sottile». A questo punto si puòprocedere al taglio per i vari for-mati: tagliatelle, pappardelle, gar-ganelli, maltagliati, monfrigoli,quadrucci, farfalle, strozzapreti,cappelletti e ravioli.

TRADIZIONILa pasta fresca

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Maggio 2010

DALL’APPENNINO ALLA RIVIERA. NELLE TESTIMONIANZE DI ALCUNIPERSONAGGI EMILIANO -ROMAGNOLI PRENDE FORMA UN MOSAICO DI SORPRESEGASTRONOMICHE

� di Nicolò Mulas Marcello �

caleidoscopio

di gusti

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101 • Gusto Maggio 2010

RICORDI DI CUCINA

La ricchezza della tradi-zione gastronomicadell’Emilia Romagna ènota in tutto il mondo e

affonda le sue radici in una storiamillenaria fatta di materie prime eusanze indissolubilmente legate alterritorio. Il lavoro della campa-gna nei piccoli centri rurali dellaregione ha dato vita a un patrimo-nio gastronomico composto dauna gamma sconfinata di prodottitipici tutelati con marchi Dop eIgp. Essi trovano spesso una mag-giore valorizzazione attraverso ri-cette che si tramandano da secolie che consolidano l’abbondanzadella varietà culinaria regionale.Ogni città è una scoperta di tesoriche, dalla pasta ai salumi e ai vini,rappresentano una cucina solida,saporita e generosa. Una cucinache favorisce la convivialità. Piattidai colori decisi e dai gusti intensi,degni di un popolo di veri e pro-pri buongustai.

Franco Maria Ricci, editore d’arteoriginario di Parma, ama gli ano-lini in brodo e i tortelli d’erbette,specialità tipiche dell’entroterraparmense e afferma inoltre diavere un debole per «la “culac-cia”, una varietà forse meno notadel culatello». La differenza con iltipico culatello di Zibello è il fattodi non essere insaccato. La culac-

cia, chiamata anche culatta, è unsalume prodotto a Fontanellato,in provincia di Parma. Da un lato,è coperto dalla cotenna e, dall’al-tro, è presente la sugna. Il palatodell’editore apprezza vini come«la malvasia, nella tipica varietàparmense, non conosciuta datutti». La Malvasia Colli di Parmaè un vino bianco frizzante che sisposa benissimo con i salumi ti-pici parmensi e con i primi piattitradizionali. «E poi c’è la classicaFortana, vino rosso leggero cheraggiunge gli 8 gradi, da non con-fondere con la Fortana ferrareseche presenta una gradazione piùforte». Lo chiamano il vino dellaBassa per la sua ambientazionenel territorio parmense che com-prende, come sua terra d’origine,San Secondo e la zona limitrofa aPavarara, dove un tempo scorrevail fiume Taro. Molti anche i risto-ranti tipici del territorio apprez-zati da Franco Maria Ricci: «c’èun ristorante eccellente a Fonte-vivo, si chiama Il Rigoletto, doverivivono tutte le specialità del ter-ritorio parmense» e per gliamanti del pesce, sempre in loca-lità Fontevivo, vicino Parma «c’èuna bravissima cuoca che preparastraordinari piatti di pesce nel ri-storante L’Araba Fenice».

Sempre in Emilia, nel ferrarese, lo

A destra, Franco

Maria Ricci, editore

d’arte

e giornalista;

sotto, anolotti

al brodo

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Maggio 2010

RICORDI DI CUCINA

scrittore, poeta e giornalista Ro-berto Pazzi si dice molto legato aitradizionali cappelletti in brodo,una varietà di pasta da non con-fondere con i tortellini per nonanimare faide interregionali.«Evocano lontane delizie di Na-tali dell’infanzia – afferma – conuna famiglia riunita la domenicada mia nonna paterna, fuori PortaMare a Ferrara, che con matriar-cale sapienza ammanniva cappel-letti in brodo che avevano ilsapore della felicità». Per assapo-rare un piatto di cappelletti cuci-nati seguendo tutti i canoni dellatradizione, ma anche la miglioresalama da sugo della città, è d’ob-bligo secondo Pazzi una sosta

«dalla Gigina, vicino alla stazionedelle ferrovie, una trattoria storicadel 1901 gestita dalla famiglia Ba-glioni da quattro generazioni. Erala trattoria degli operai e dei brac-cianti». Lo stesso proprietarioFranco Baglioni confeziona an-cora oggi la salama che poi cucinaper i suoi clienti. «Oggi è rimastaun’isola felice di autenticità, anti-convenzionale e antiborghese, lo-cale preferito dagli artisti e dacoloro che amano non mettersi inparata a tavola, ma la semplicità ela qualità. La famiglia Baglioni è incucina e serve in tavola. Ci si sentea casa, soprattutto l’estate sotto itigli del cortile. Atmosfera anni 50irripetibile e rara». E per accom-

A fianco, un piatto

di salama da sugo

con il purè; sotto, il

poeta Roberto Pazzi

pagnare un pasto ricco di saporiforti, come è tipico della cucinaferrarese, Pazzi preferisce «illambrusco, ma anche il vinofragolino. Ferrara non è riccadi vini, ma i pochi che hasono sinceri e si accompa-gnano bene a cappelletti, la-sagne e maiale».

103 • Gusto

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RICORDI DI CUCINA

Gusto • 104 Maggio 2010

Riccionese è invece il comicoPaolo Cevoli che, come ci si po-teva aspettare, esalta la piadina,una delle specialità più semplicima anche più gustose della tradi-zione romagnola: «la piadinasopra di tutto. Quella sottile, soloacqua, farina e strutto di maiale».Anche per quanto riguarda la pia-dina esistono varie tipologie: nelriminese, infatti, viene prodottamolto sottile; nel forlivese, raven-nate e cesenate si presenta piùspessa mentre nel pesareseprende, infine, il nome di ‘crescia’ed è più sfogliata e saporita. «Epoi amo anche i primi piatti fattiin casa. Tagliatelle, strozzapreti ecappelletti». Piatti che si confon-

Sopra, il comico

televisivo

Paolo Cevoli

dono nelle preparazioni da luogoa luogo nell’entroterra roma-gnolo. Per quanto riguarda i risto-ranti, Cevoli non lesina incampanilismo consigliando unposto “familiare”: «Dalla miamamma Marisa. Ha fatto per annila cuoca nella pensione della miafamiglia, la pensione Cinzia. Lìporto i miei amici. Come fa damangiare la mia mamma, non c’èchef che tenga». La tradizione deivini romagnoli spazia dai rossicome il Sangiovese o la Cagninafino ai bianchi come il Trebbianoo l’Albana. «Ce ne sono molti diottima qualità. I miei preferitisono quelli di San Patrignano.Grande posto, grandi vini».

d

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Gusto • 106 Maggio 2010

il piaceredella purezza

UN PRODOTTO SPECIALE, FIGLIO DELLE TERREDEL PIAVE. A RIDOSSO DELLO STORICO FIUMENASCE L’ASPARAGO BIANCO DI CIMADOLMO.FLAVIO PETERLE NE ILLUSTRA I SEGRETI

� di Ezio Petrillo �

IGP DEL VENETOAsparago bianco di Cimadolmo

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IGP DEL VENETOAsparago bianco di Cimadolmo

Era tra i cibi preferiti di an-tichi Egizi, Greci e Ro-mani. Citato anche daCatone nel De agricol-

tura, l’asparago resta ancora oggiun prodotto pregiato dalle innatequalità depurative. Cimadolmo,comune del Trevigiano, a unpasso dalle sponde del Piave, è lapatria dell’ortaggio bianco mar-chiato dalla certificazione europeaIgp. Flavio Peterle, presidente delConsorzio di tutela, spiega pro-prietà e metodi di produzione. «Ilnostro prodotto – esordisce il pre-sidente – si differenzia per l’uni-formità della calibratura dei mazzi

e per il suo colore bianco. Un’altraparticolarità è data dalla pochis-sima fibrosità e dalla grande curanella preparazione con le puntechiuse. Una volta pronto e cotto,l’asparago è molto gustoso, mor-bido e burroso». Il rigido discipli-nare di produzione è la linea guidaper i coltivatori dell’ortaggio di Ci-madolmo. «I nostri protocolli –prosegue Peterle – sono costituitida un registro trattamenti e un ri-goroso piano di concimazionefatto in base alle analisi del ter-reno. Facciamo in modo da nonavere asparagiaie né anoressichené obese. L’equilibrio deve essere

Sotto, un campo di

asparago bianco

di Cimadolmo

la nostra rotta, oltre ai controlli.Ogni cinque anni abbiamo l’ob-bligo di effettuare analisi del ter-reno per conoscere lemicro-sostanze e gli elementi pre-senti. In seguito, col tecnico, si va-luta un piano di concimazioneequilibrato che consente di avereun prodotto unico. La raccoltadell’asparago avviene al mattinopresto, seguita da preparazione, la-vaggio, confezionamento e conse-gna in un centro raccolta già nelprimo pomeriggio». L’ortaggioIgp di Cimadolmo fa gola ancheoltre confine. «Come mercato diriferimento – svela Peterle – pun-

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IGP DEL VENETOAsparago bianco di Cimadolmo

Ingredienti per 4 persone:· 1 rombo del peso di 2 kg· 200 gr circa di filetti di mandorle con buccia

al vapore, pelata,· 50 gr parmigiano· 50 gr di ricotta · 50 gr di burro, olio extra vergine di oliva,

noce moscata e olio per friggere

Preparazione:Filettare il rombo, lavare bene i filetti e adagiarli inplacca da forno. Salarli, peparli e cospargerli conle mandorle. Cuocere in forno a 180°.A parte, pelare gli asparagi, lavarli e tagliare lepunte a julienne della lunghezza di 5cm. Con ilresto degli asparagi procedere alla cottura a va-pore a 80°, aggiungendo un cucchiaino di zuc-chero all’interno del sacchetto per smorzarel’amaro. Dopo la cottura passarli al setaccio, in-corporando il parmigiano, la ricotta, del burro fusoe della noce moscata. Aggiungere sale e pepe.Per comporre il piatto, adagiare il filetto di rombo,porre di fianco due quenelle di purea di asparagie sopra adagiate le punte fritte in olio bollente.

La ricetta è proposta da Luigi Barbiero del ristorante

Le Calandrine di Cimadolmo

d

tiamo molto sull’Italia settentrio-nale ma anche sulla Germania.Nel centro-sud, invece, c’è unacultura diversa di consumo, basatapiù sull’asparago verde rispetto albianco. La nostra produzione,inoltre, si rivela un prezioso sup-porto per i ristoranti della zona diCimadolmo che presentano tuttiun menù fisso di asparagi. C’è chilo abbina con vari tipi di carne o dipesce oltre a grigliate e spiedi,mentre la ricetta con le uova è lanostra specialità tradizionale». La particolare conformazione delterritorio ai margini del Piave rap-presenta quel surplus di qualitàche garantisce all’asparago biancoun sapore speciale. «Tutte le zone

che in passato sono state alluvio-nate dalla piena del Piave – con-clude il presidente – presentanoun “riporto” di terreno limoso e sidirebbe che sia stato questo il veropunto a favore della coltivazione.Ci siamo accorti che man manoche ci si allontana dall’argine delfiume, i terreni tendono a diven-tare meno produttivi rispetto aquelli che si trovano a ridosso delPiave. A seguito di piccole piene, ilfiume si è espanso su tutta la cam-pagna circostante e ha fornito quelterreno che oggi fa la differenza inqualità, abbinato alle tecniche diproduzione. L’asparago bianco diCimadolmo, insomma, è il degnofiglio di queste terre».

Sopra, un momento della coltivazione dell’asparago

FILETTO DI ROMBO CHIODATO IN CROSTADI MANDORLE, CON ASPARAGI BIANCHI E VERDI DI CIMADOLMO IGP

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Gusto • 110 Maggio 2010

il re tra

i risottiIL RISO VIALONE NANO VERONESE È UN IGPPRODOTTO CON TECNICHE DERIVATE DALLE ANTICHETRADIZIONI LOCALI. LO SPIEGA IL PRESIDENTEDEL CONSORZIO ERNESTO ARTEGIANI

� di Rosario Pivani �

IGP DEL VENETORiso vialone nano Veronese

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L ì e non altrove. È al centoper cento un frutto dellaterra scaligera, il riso nanovialone Veronese. Essendo

«la zona della sua produzione e dellasua lavorazione limitata a quellaparte della pianura veronese, irrigatacon acque di risorgiva, che si estendea Sud della città e comprende il terri-torio di 24 comuni». Da Bovolone aZevio, passando per Isola della Scala,Palù e Trevenzuolo. È una perla della nostra risicoltura,questo “figlio” delle acque e dellezolle veronesi. Igp da quasi tre lustri.Un marchio di qualità che, precisaErnesto Artegiani, presidente delConsorzio per la tutela del riso via-lone nano Veronese, «si riferisce so-lamente a riso della varietà VialoneNano coltivato appunto nella pia-nura veronese secondo il disciplinare

approvato dalla Commissione euro-pea».Regole a 27 stelle che, però, affon-dano le radici nella storia. «Le tecni-che di coltivazione – rivela Artegiani– sono derivate dalle antiche tradi-zioni locali e sono eseguite con lestesse modalità, anche se con mac-chine moderne controllate elettroni-camente che migliorano e facilitanole operazioni una volta affidate al la-voro manuale dell’uomo». In pra-tica, questo metodo «tipico dellazona» prevede l’avvicendamentodella coltivazione del riso con altrecolture (max 6 anni a riso e almeno 2anni di altre coltivazioni), «l’irriga-zione con pure e limpide acque di ri-sorgiva e la lavorazione del riso,leggera e delicata». Passaggi che«forniscono al prodotto delle carat-teristiche organolettiche che lo di-

stinguono dallo stesso riso prodottoin altre zone». Inevitabile per il Consorzio discipli-nare, a garanzia della qualità assolutadel prodotto (e quindi dei consuma-tori), ogni singola fase. Dalla produ-zione alla lavorazione. Un codiceelaborato «sulla base delle cono-scenze storiche e delle tradizioni lo-cali, dall’osservazione delle diversitàdei metodi di coltivazione rispettoad altre aree risicole, dalla compara-zione della qualità del prodotto vero-nese con quella di prodotti similari dialtre zone».Il ciclo produttivo del celebre chicco,racconta Artegiani, «comincia con lasemina nella seconda quindicina diaprile e finisce con la raccolta tra l’ul-tima quindicina di settembre e laprima di ottobre. Durante la crescitadelle piante, un’assidua presenza del •

IGP DEL VENETORiso vialone nano Veronese

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113 • Gusto Maggio 2010

RISOTTO ALL’ISOLANA

Ingredienti per 10 persone:· 1 Kg di Riso nano vialone Veronese Igp· 2 litri di brodo di carne· 250 gr di vitello magro· 450 gr di lombata di maiale· 200 gr di burro (150 gr per il condimento, una noce a fine cottura)· 200 gr di grana grattuggiato (150 gr da mesco-lare bene con un cucchiaio di cannella, 50 gr peruna spruzzatina finale)· Sale, pepe, cannella q.b.· Rosmarino, tre spicchi d’aglio

Preparazione:Per il condimento, macinare la carne di vitello equella di maiale con un tritacarne possibilmentemanuale o con la piastra non troppo grande,quindi tritare l’aglio molto fine e condire la carne,aggiungendo poco sale e pepe possibilmente ma-cinato fresco. Lavorare, formare una palla e la-sciare riposare in frigorifero per almeno due ore.Fondere 150 gr di burro in una casseruola, ag-giungere la carne e rosolarla. Appena avrà presocolore, mettere il rosmarino e cuocere la carneper almeno 25 minuti, aggiungendo di tanto intanto del brodo. Prima di fine cottura, togliere ilrosmarino e mettere da parte il condimento. Dopoaver cotto il riso aggiungere il condimento prece-dente, la noce di burro rimasta e mescolare ener-gicamente aggiungendo a manciate il granaprofumato alla cannella.

d

coltivatore e una costante attività dimonitoraggio delle condizioni clima-tiche e dello stato vegetativo dellacoltura garantiscono una sana cre-scita e una perfetta uniforme matura-zione delle granelle del riso». Laraccolta si effettua poi «con mo-derne macchine mietitrebbiatrici do-tate di cingolatura per evitare disprofondare nei terreni ancora umididelle risaie e attrezzate con organi dibattitura che non danneggiano i gra-nelli del riso». Molto delicata anchela fase di lavorazione. «Dopo la rac-colta, il riso grezzo (risone) viene in-viato all’essiccazione per ridurrel’umidità e raggiungere in tempi otti-mali una percentuale di acqua nonsuperiore al 13%. Per evitare danni aigranelli del riso, l’essiccazione si effet-tua lentamente in appositi essiccatoimediante passaggio di aria calda allatemperatura di circa 45°c. Un’essic-cazione troppo violenta potrebbe

IGP DEL VENETORiso vialone nano Veronese

provocare delle microfratture al ri-sone che poi comprometterebberola resa in riso lavorato, causando larottura delle cariossidi. Una volta es-siccato, il risone viene stivato in ma-gazzini o silos, raffreddato con ariarefrigerata, e conservato fino alla la-vorazione».In tavola, per il presidente del Con-sorzio, il riso vialone nano Veronesenon ha rivali. «È il re dei risi per ri-sotti. Il suo chicco grosso e tozzo,dalla superficie porosa, si presta perla preparazione di tutti i tipi di risotti,ma manifesta le sue migliori presta-zioni con condimenti a base di carneo pesce perché assorbe bene il condi-mento e manteca in un modo per-fetto. La sua tenuta alla cottura e laconsistenza del chicco anche dopoqualche tempo dallo spegnimentodel fuoco facilita molto le operazionidi cucina e fornisce sempre ottimi ri-sultati».

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115 • Gusto Maggio 2010

IGP DEL VENETOCiliegia di Marostica

LA TRADIZIONE COME MARCHIO DI QUALITÀ INDELEBILE.IL SAPORE UNICO È L’EFFETTO FINALE. ALLA SCOPERTADELLA CILIEGIA DI MAROSTICA IGP CON GIUSEPPE ZUECH

rosso

ciliegia

� di Ezio Petrillo �

E ra la prima metà del 400quando, a Marostica, undocumento testimoniavala produzione della ciliegia

più famosa d’Italia. Il marchio Igp è ilgiusto riconoscimento per un pro-

dotto più unico che raro. Il presi-dente del Consorzio di tutela, Giu-seppe Zuech, illustra le straordinariepeculiarità del piccolo frutto rossodella città degli scacchi. «Siamo stati iprimi a ottenere il riconoscimento

Igp – esordisce Zuech – grazie al-l’impegno dei produttori che hannocapito l’importanza della valorizza-zione dei prodotti tipici in un conte-sto moderno di globalizzazione. Laciliegia di Marostica gode ormaidieci anni del marchio europeo.Puntare sulla qualità e sulla caratte-rizzazione per sopravvivere alla crisi ealla mondializzazione dei mercati è lastrada maestra per la tutela delle pic-cole aziende agricole del nostro terri-torio». La particolarità della ciliegia dei collivicentini è da ricercare soprattuttonegli scrupolosi metodi di coltiva-zione, trattamento e lavorazione.«Dobbiamo rispettare un rigido di-sciplinare di produzione – prosegueZuech –, che impone varie fasi. Anzi-tutto occorre effettuare l’analisi chi-mica del terreno prima di piantare iciliegi. Successivamente bisogna fare

In alto a sinistra un

primo piano delle

gustose ciliegie di

Marostica.

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117 • Gusto Maggio 2010

IGP DEL VENETOCiliegia di Marostica

delle buche di un metro di profon-dità e larghezza, in modo da fornirespazio alla pianta per poter crescere.È necessario consentire, inoltre, lapresenza delle api durante la fiorituraper le fasi di impollinazione. Dob-biamo, insomma, seguire trattamentiparticolari affinché il prodotto ri-sponda a caratteristiche di qualitàcertificata». Per produrre un marchio di alta qua-lità, in sostanza, oltre alle scrupolosecure dei coltivatori, è fondamentaledisporre di un territorio salubre e fer-tile. «Abbiamo la fortuna di vivere inuna zona collinare – conclude Zuech- dove il clima è sempre mite e si pre-sta molto alle cure delle ciliegie e dei

vigneti. Inoltre il terreno di originevulcanica consente di avere un pro-dotto molto gustoso. Quello che cidifferenzia dagli altri territori è pro-prio il sapore particolare di cui sonodotati i nostri frutti. Madre natura èstata sempre nostra complice». L’unicità della ciliegia di Marosticanon risiede soltanto nella lavora-zione ma si scopre anche a tavola.«Il frutto si consuma prevalente-mente fresco – sottolinea il presi-dente –, è utilizzato per fare torteoppure sotto spirito per ottenereun’ottima grappa. Alcuni ristorantidel territorio, però, hanno iniziato asperimentare la ciliegia anche col ri-sotto e coi ravioli».

Ingredienti:· 700 g di duroni di Mason· 150 g di burro· 200 g di farina

un pizzico di sale· 1 bustina di vanillina· ½ bustina di lievito

d

TORTA DI CILIEGIE DELLA TRADIZIONE

Siamo stati i primi adottenere il marchio Igp, grazieall’impegno dei produttori

Preparazione:Amalgamate il burro precedentemente tagliato atocchetti con lo zucchero e il sale, aggiungete leuova, una alla volta, e, continuando a mescolarela vanillina, il lievito precedentemente sciolto nellatte e la farina, fino a ottenere un impasto omogeneo e semidenso. Aggiungete al compo-sto così ottenuto le ciliegie snocciolate e versateil tutto in una tortiera precedentemente rivestitadi carta da forno. Cospargete con dello zuccherodi canna e cucinate nel forno preriscaldato a160° per circa un’ora. Togliete dal forno e la-sciate raffreddare prima di servire.

La ricetta è proposta dallo chef Gaetano Lunardon del ristorante La Rosina di Marostica

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PRODOTTI IGPRadicchio di Treviso

autunnale dono

all’invernoRADICCHIO ROSSO DI TREVISO E VARIEGATO DICASTELFRANCO SONO PRODOTTI UNICI CHE, PERPAOLO MANZAN, PRESIDENTE DEL CONSORZIO,SONO IL MEGLIO NELLE PREPARAZIONI A CRUDO

� di Viviana Mancuso �

Della stessa famiglia, maben distinti. Insommapiù cugini, che fratelli. Ilcapostipite è il Radic-

chio rosso di Treviso, «la cui confor-mazione è stata mantenuta pura neisecoli per le selezioni successive». Ilparente è il Variegato di Castelfranco,«un incrocio, realizzato nel XX se-colo, tra il radicchio rosso e la sca-rola». Un’origine differente che si riflette, diconseguenza, nella morfologia. Il Ra-dicchio rosso di Treviso si presenta«compatto, con foglie ben serrate eavvolgenti, dal colore rosso vignosointenso e con nervature bianche». IlVariegato di Castelfranco, invece,con «foglie ben aperte dal colorebianco crema e venature di tinte di-

verse dal viola chiaro al rosso viola-ceo e al rosso vivo».Entrambi Igp. «Due gli elementi, va-lidi per entrambi – spiega PaoloManzan, presidente del Consorziotutela Radicchio Rosso di Treviso eVariegato di Castelfranco –, chehanno caratterizzato l’assegnazionedel riconoscimento. Innanzituttol’ambiente: sono necessari terreni fre-schi, profondi e ben drenati, non ec-cessivamente ricchi di elementinutritivi. In secondo luogo, l’espe-rienza umana, fondamentale, nella se-lezione del seme e poi nel continuocontrollo della purezza dello stessoche rende circoscritta e unica l’area diproduzione». Ovvero le province diTreviso, Padova e Venezia.Solo lì, infatti, si producono, si trasfor-

mano e si confezionano il Rosso e ilVariegato. «È un territorio pianeg-giante con terreni argillosi e sabbiosi– osserva Manzan – e con una situa-zione climatica caratterizzata da estatisufficientemente piovose e con tem-perature massime contenute, autunniasciutti, inverni che volgono precoce-mente al freddo e con temperatureminime fino a meno 10°C». Per coltivarli, occorrono tecniche co-dificate dal Consorzio. «La seminadel Radicchio rosso di Treviso, tar-divo e precoce, deve avvenire tra l’1giugno e il 31 luglio, mentre per il Ra-dicchio variegato di Castelfranco leoperazioni di semina, in pienocampo, devono essere effettuatedall’1 giugno al 15 agosto. In caso ditrapianto, il termine si allunga al 31 •

•Gusto • 118 Maggio 2010

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In senso orario, momento della raccolta del Radicchio rosso di Treviso, il Variegato di Castelfranco,

il Radicchio rosso di Treviso precoce e il Radicchio rosso ancora nel campo

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PRODOTTI IGPRadicchio di Treviso

119 • GustoMaggio 2010

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Maggio 2010

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PRODOTTI IGP

Radicchio di Treviso

121 • Gusto

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agosto per entrambi». Durante la la-vorazione, rileva il presidente, «fon-damentale è la forzatura oimbianchimento. I cespi vengonocollocati verticalmente in ampie va-sche protette e immersi in acqua difalda (il fiume Sile che lambisce lapianura trevigiana ha una tempera-tura pressoché costante di 12°C),fino in prossimità del colletto per iltempo necessario al raggiungimentodel giusto grado di maturazione».Un’operazione «insostituibile con-sente di esaltare i pregi organolettici,ponendo i cespi in condizioni di for-mare nuove foglie che, in assenza di

luce, sono prive o quasi di pigmenticlorofilliani, mettono in evidenza lacolorazione rosso intensa della la-mina fogliare, perdono la consistenzafibrosa, assumono croccantezza e unsapore gradevolmente amaro-gnolo». Ferrea anche la scansione temporaleper la raccolta. Per il Radicchio rossoprecoce si va nei campi dall’1 settem-bre, mentre per il Variegato di Ca-stelfranco dall’1 ottobre. Infine, per ilRadicchio rosso tardivo dall’1 no-vembre «e comunque dopo che lacoltura abbia subito almeno due bri-nate, per favorire la colorazione rossa

della pianta. Al di fuori di questi termini edei territori amministrativi riconosciuti-avverte Manzan -, i radicchi commercia-lizzati perdono in via definitiva il dirittodi fregiarsi dell’Igp e di qualsiasi riferi-mento geografico».Prodotti unici che «danno il meglio di sénelle preparazioni a crudo. Tuttavia –conclude il presidente –, la differenza digusto permette anche applicazioni diffe-renti. Il Radicchio Rosso di Treviso hauna buona resa anche cotto, fritto o gri-gliato. Il Variegato, invece, è una sceltaottimale nelle ricette che necessitano diuna presenza molto delicata del saporedel radicchio».

INSALATA DI RADICCHIO ROSSO DI TREVISO IGPCOTTO E CRUDO, TOAST, UOVO BASOTTOE CICCIOLI DI GUANCIALE

Ingredienti per 4 persone:· 8 fette di pane casereccio· 3 cespi di Radicchio Rosso

di Treviso IGP· 100 gr di guanciale a fette spesse

e tagliate a strisce· 4 uova · un litro di latte· 300 gr di farine miste

per friggere un limone· olio extra vergine di oliva · aceto balsamico · sale e pepe q.b.

Preparazione:Tagliare un cespo di Radicchio rossoin ottavi e sbollentare in acqua sa-lata per 2 minuti. Prendere un altrocespo e prepararlo come insalata.L’ultimo cespo, spuntato di un terzo,tagliarlo in spicchi regolari e immer-gerlo nel latte. Cuocere le uova per3 minuti, pelarle e tenerle al caldo.Tostare il pane con un po’ d’olio,appena le fette sono dorate toglierlee tenerle al caldo. Fondere lenta-mente il guanciale in un tegame,appena i ciccioli sono croccanti to-glierli dal tegame e aggiungervi gliottavi di radicchio e rosolarli perqualche minuto. Condire ora l'insa-lata con vinaigrette al limone.

Raffaele Ros,chef del ‘Ristorante San Martino’Rio San Martino Scorzè (VE)

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vocazione

� di Simona Cantelmi �

LA TRADIZIONE PASTICCERA ITALIANA.QUELLA SEMPLICE E QUELLA PIÙ ELABORATA.

UN TRIONFO DI SAPORI CHE NON ÈAPPREZZATO SOLTANTO IN ITALIA, MA STA

SPOPOLANDO ANCHE ALL’ESTERO.L’ESPERIENZA DELLA VICENZI

pasticcera

Maggio 2010

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PASTICCERIA ITALIANAVicenzi

Il mercato italiano esprimeun radicato apprezzamentodi determinati prodotti e haabitudini alimentari piutto-

sto consolidate, «anche quandoad andare di moda sembrano es-sere filoni di consumo distantidalla tradizione alimentare ita-liana». Inoltre, per quanto riguardal’estero la pasticceria italiana è ri-conosciuta ed estremamente ri-chiesta, soprattutto in quei paesiche non hanno una loro tradi-zione alimentare. Per questo,spiega Giuseppe Vicenzi, presi-dente della Vicenzi Biscotti,«non è difficile coniugare il ri-spetto per la tradizione con l’at-tenzione al mercatointernazionale». Ad esempio iconsumatori stranieri apprezzanomolto la semplicità della pasticce-ria italiana. «E proprio in base aquesta evidenza riusciamo a pro-porre anche all’estero i nostriprodotti “così come sono”, senzaelaborarli o modificarli. Sono bi-scotti tradizionali, dal sapore in-

confondibile. Penso al savoiardo,all’amaretto o alle millefoglie. Gliingredienti sono semplici, ma la-vorati con estrema cura». Tutti prodotti tradizionali chepossono avere impieghi diversi,ad esempio possono diventareingredienti per dolci più com-plessi. Si sa che il savoiardo va abraccetto con il tiramisù, ma siusa anche per altri tipi di dolci edè apprezzato come biscotto dacolazione. «La semplicità dei suoiingredienti, - interviene GiuseppeVicenzi - zucchero, farina e uova,gli permette di essere apprezzatoanche durante una semplice cola-zione a base di latte o the». Un discorso simile può esserefatto anche per l’amaretto, rico-noscibile per il tipico saporedolce amaro e di tipo secco, o perle millefoglie, realizzate con laclassica pasta sfoglia, friabile eleggera e adatto per una merendao spuntino. È proprio questa la pasticceriasemplice che soddisfa le papillegustative di italiani e stranieri allaricerca di sapori diversi. «Ma oltre questa vi è anche unapasticceria più complessa –spiega Vicenzi – realizzata conpasticcini di pasta frolla ripieni dimorbida crema al cacao o pastic-cera o ricchi di gocce di ciocco-lato, oppure golosi cannoncini dipasta sfoglia ripieni alla cremanocciola, e il classico amaretto,ricoperto con granelle di zuc-chero e ricco di mandorle di albi-cocca».

TORTA ALLA RICOTTACON VICENZOVOIngredienti impasto:10 savoiardi Vicenzovo sbriciolati12 fette biscottate sbriciolate80 grammi di burro fuso100 grammi di zuccheroIngredienti ripieno:2 etti di ricotta3 uova1 bustina di vanillina100 grammi di zuccheroscorza di limone grattugiata2 cucchiai di succo di limone3 cucchiai di farina250 ml di panna per dolciPreparazione:Mescolare tutti insieme gli ingredienti perl’impasto, stendendone i 3/4 sul fondo diuna tortiera rotonda. Mescolare tutti in-sieme gli ingredienti del ripieno, versandoil composto ottenuto sulla base dell’impa-sto. Coprire il tutto con l’impasto tenutoda parte. Mettere in forno a 180° per 30minuti. Riporre in frigo per un’ora primadi servire con decorazioni a piacere.

d

In apertura, lavorazionedell’amaretto; sotto,

il responsabile marketing di Vicenzi Biscotti CristianModolo. In questa pagina,

il presidente Vicenzi assistealla stretta di mano fra un

importatore israeliano e unopalestinese al salonemondiale dei prodotti

dolciari a Colonia

123 • GustoMaggio 2010

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Gusto • 124 Maggio 2010

PROFUMI VENETI

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125 • Gusto Maggio 2010

PROFUMI VENETI

PEARÀ, SPUSSON, MARRONI DI MONFENERA,RADICCHIO TREVIGIANO: IL VENETO È UNAGIRANDOLA DI PROFUMI E SAPORI CHEAFFONDANO LE LORO RADICI NELLA TRADIZIONE

� di Alfonso Pellicola �

la ricchezza

in tavola

Mr Geox ama metterela mani in pasta aogni latitudine la suaimpresa lo porti a

camminare. Anche se «preferiscecucinare» ciò che coltiva nel pic-colo orto adiacente casa «senzapesticidi o sostanze che possanointaccarne la qualità». L’olimpionica vorace di record sista «perfezionando nelle ome-lette», essendo le uova in cima almedagliere degli ingredienti concui cimentarsi tra i fornelli.Infine, c’è il primo cittadino dellacittà del Castelvecchio che «pertutelare la salute mia e degli altri,non avendo mai avuto il tempo diimparare», si tiene lontano dallepentole.Veneto, terra di caratteri forti:

Mario Moretti Polegato, FedericaPellegrini e Flavio Tosi. Treviso,Venezia e Verona: un mare di sa-pori in cui s’immerge il patron dellaGeox, il trevigiano Moretti Pole-gato. «Nella nostra provincia cisono più prodotti Doc che paesi.Questo si riflette inuna grande varietàdi sapori, colorie profumi che,alternandosinelle varie sta-gioni, ci accom-pagnano tuttol’anno». Unaricchezza cherende il Ve-neto simile «auna grande ta-vola specializ-

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Maggio 2010

PROFUMI VENETI

• zata in piatti tradizionali, prodottitipici e vini realizzati con antichiprocessi». Con ottime carni e for-maggi come il Bastardo del grappao lo Spusson.Nel piatto del sindaco di Veronanon manca mai la Pearà, «unasalsa calda che accompagna il lessofatta con pan grattato, brodo dicarne, midollo di bue, pepe e for-maggio Grana. È una prelibatezzatramandata nei secoli». E se il do-vere o il piacere conduce Tosi lon-tano da piazza delle Erbe, lanostalgia gustativa parla di «Pasti-sada di cavallo, bigoli con il ragù dicarne e a volte anche il luccio dellago di Garda». La stella polare culinaria dell’inven-tore della “scarpa che respira” è co-

In apertura, Mario

Moretti Polegato,

presidente

di Geox; sotto,

il sindaco di Verona,

Flavio Tosi; a fianco, il

Bastardo del grappa,

formaggio tipico

veneto;

in basso, il risotto

all’amarone

stituita «dalle ricette sobrie di miamadre o di mia nonna», maquando viaggia si adatta. Tanto dacimentarsi in Thailanda nellazuppa di pesce, tom yum kung. An-ziché andare al ristorante, «hofatto la spesa e mi sono messo aifornelli». E comunque il suo menuideale è un trionfo del km zero:«Antipasto di “poenta e ciodet”con radicchio trevi-giano

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PROFUMI VENETI

Gusto • 128 Maggio 2010

alla griglia. Come primo, risottoagli asparagi trevigiani. Per se-condo, sono un appassionato dispiedo che adoro assieme alle pa-tate del Montello o ai fagioli bor-lotti nani di cui qui c’è unaparticolare coltivazione. Comedolce, una torta a base di mar-roni» cresciuti tra Monfenera eCombai. E i vini? «A “km sottozero”: tanta è la distanza che se-para la mia cucina dall’azienda difamiglia». Oscilla tra Dop e Igp, la tavola diTosi: risotto all’amarone o al ra-dicchio rosso di Verona, asparagicon le uova e formaggio MonteVeronese, un buon bicchiere diSoave. E per concludere, sfoglia-

A sinistra,

l’olimpionica

Federica Pellegrini;

in alto, una veduta

dei vigneti di Soave

d

• tine dolci di Villafranca.Pasta al pomodoro bollito e car-paccio di carne è l’uno-due di Fe-derica Pellegrini che, per il suopalmares, non sacrifica alcunché:«Non seguo diete rigide. Nonabuso di dolci e non bevo alcolici,ma posso aggredire con entusiasmoun’alzata di crostacei e molluschicrudi». Lontana da Spinea tuttol’anno, la nuotatrice ama una «cu-cina tra oriente e occidente. Con isapori di terra che si mescolano aquelli di mare». Forte, però, il ri-chiamo «delle zuppe tipiche e dei ri-sotti» a partire da quello al radicchiodi mamma Cinzia per cui «scattal’applauso». Unico tradimento: «laparmigiana di melanzane».

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La stanzadei sapori

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IL TRATTAMENTO DELLE CARNISan Daniele del Friuli

PER CHI PRODUCE SANDANIELE, I PARTICOLARI

METODI DI TRATTAMENTORAPPRESENTANO

UN INCENTIVOALL’INNOVAZIONE.

PAROLA DICARLO DALL’AVA

La qualità non è un optional.È la filosofia necessaria allabase del trattamento, dellaproduzione e della lavora-

zione dei prosciutti. San Daniele delFriuli è un microcosmo dove i sa-lumi, da semplici antipasti, sono di-ventati protagonisti assoluti delpranzo e della cena e dove, a fare ladifferenza, sono i particolari sin dallafase di allevamento. In tale contesto simuove l’azienda DOK di CarloDall’Ava che ha dedicato una vita almiglioramento della prosciugazionedelle carni.

Oggi la sua impresa si poneall’avanguardia per le tecnicheutilizzate. Qual è la particolaritàdei metodi di lavorazione?«Il nostro vanto è l’innovazione alservizio della tradizione, senza robotche velocizzino le movimentazioni. Ilpassare del tempo non ha compor-tato nessun cambiamento nella filo-sofia di lavorazione. Semplicementeci siamo riappropriati dei tempi giustiche servono per ottenere prodotti ar-moniosi ed equilibrati, senza utilizzo

di additivi e conservanti. Questo è ilvero segreto».

Quale sarebbe, dal suopunto di vista, un mo-

dello di allevamentoideale? «Penso a un semibrado

che guardi sempre di piùalla qualità delle carni e alla

salute dell’animale. In talmodo, dopo la trasforma-

zione, si ha la garanzia di

� di Ezio Petrillo �

avere tra le mani prodotti genuini nelsenso lato del termine. Mi spiego me-glio. Se il maiale vive bene e in un am-biente ideale, minori saranno ledifficoltà nella lavorazione e nellaconservazione dei prodotti derivati».

Ritiene che oggi la prolifera-zione delle grandi catene di distri-buzione oltre alla crisieconomica, abbiano un po’ “smi-nuito” il valore della qualità?«Vedere prodotti con marchioD.O.P. proposti a certi prezzi di of-ferta per attirare i consumatori ha uneffetto deleterio, che sminuisce il va-lore degli alimenti stessi globalizzan-done il gusto verso il basso. Ritengosia importante educare il consuma-tore, mettendolo nelle condizioni dipoter scegliere con maggior cogni-zione di causa rispetto al passato».

Nel 2010 sarà completata la co-struzione del primo “ProsciuttoLearning Center” al mondo. Cheimportanza ricopre l’aspettodella formazione nel vostro set-tore?«Il “Prosciutto Learning Center” hacome obiettivo quello di ricreare unacoscienza negli operatori che an-dranno a produrre, selezionare, ven-dere e degustare il prosciutto,portando l’insegnamento delle anti-che tecniche utilizzate quando si pro-duceva, non con una logica diprofitto, ma solo per autoconsumo.Siamo certi che per ottenere un buonprosciutto sia necessaria, in tutte lesue fasi di lavorazione, un’attenzionedi questo tipo».

A sinistra l’interno del prosciuttificio DOK di SanDaniele. A destra Carlo e Natalino Dall’Ava

[email protected]

d

131 • Gusto

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IL TRATTAMENTO DELLE CARNII salumi

Saporidalla storia

TIPICITÀ, TRADIZIONE E RISPETTODEI PROCESSI NATURALI. LACHIAVE PER CREARE BUONI

SALUMI È TUTTA QUI

� di Ezio Petrillo �

Quando la mi-glior ricetta è lapassione. Lavo-razione artigia-nale, genuinitàdelle materie

prime che si coniugano con l’amoreper il territorio. È il mix necessarioper ottenere salumi di qualità. Gian-carlo Frachetti ci svela i segreti percombinare rispetto della tradizionee modernità. «Il nostroobiettivo – spiega Fra-chetti - , è sempre statoquello di offrire unprodotto tipico, co-nosciuto e apprez-zato. A partel’innovazione tecnolo-gica nei macchinari e i mo-

In alto a destra, i salami confezionati

dal salumificioFrachetti.

Qui sotto, lo [email protected]

derni metodi di controllo, possiamodire che le carni e le spezie sono sem-pre le stesse da 120 anni. Spesso, neltentativo di innovare un prodottoper inseguire la “moda” del mo-mento, si rischia di perdere la tipicità.Ogni salume ha una sua storia, unsuo sapore tipico e un profumo chelo distingue dagli altri. Quando si as-

saggia una fetta di speck, non puòavere lo stesso sapore di una

bresaola o di un pro-sciutto» La lavora-

zione è un processodelicato in cui lacura della materiaprima gioca un

ruolo fondamentale.«Selezionare le carni –

prosegue Frachetti - è il

segreto alla base della bontà delgusto. Mai sceglierle in base al loroprezzo ma in base alla qualità, rispet-tando, soprattutto, i tempi naturali dimaturazione dei prodotti. Per avereun buon salume bisogna saper aspet-tare. Non è possibile produrre un sa-lame stagionato in una settimana enemmeno vendere uno speck doposoli tre mesi di invecchiamento». Laconcorrenza sempre più agguerritadei grandi centri commerciali fungeanche da stimolo per i piccoli pro-duttori. «Mantenere alta la qualità ela tipicità dei prodotti deve essere lacarta vincente – conclude Frachetti -. sia quando si tratta di speck, dicarne salada, di luganega trentina, edi lingue salmistrate. Non ci possonoessere eccezioni». d

Gusto • 132 Maggio 2010

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L’OLIO TOSCANOIl Frantoio del Colle

Un patrimonio

da difendereEQUILIBRATE ARMONIE DI SAPORI E FRAGRANZE.L’OLIO DUPLICA LA FAMA DELLA TOSCANA, NON SOLO TERRA DI GRANDI VINI. MA VA PROTETTO DAL RISCHIODELL’APPIATTIMENTO INDUSTRIALE

� di Adriana Zuccaro �

Gusto • 134

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L’OLIO TOSCANOIl Frantoio del Colle

Oro verde. Ricco re delladieta mediterranea.Genuino. Con un fla-vour tipicamente ita-

liano, l’olio è da sempre consideratoil fiore all’occhiello della produzionealimentare del Belpaese. «Da un’at-tenta analisi del patrimonio agrono-mico nazionale è emerso che unasempre maggiore importanza vieneattribuita ai prodotti di qualità. Cosìche, se nell’immaginario collettivo laToscana è la terra di grandi vini, ab-biamo fatto nostro l’impegno di farconoscere un altro prodotto di ec-cellenza quale è l’olio extraverginetoscano IGP». Per Veronica Bian-chini, responsabile controllo qualitàdel Frantoio del Colle di Scansano,occorre tener presente che «l’olionon è solo condimento ma una verae propria eccellenza nel panoramaagroalimentare internazionale». So-prattutto in un momento storicocome questo, in cui la salvaguardiadel territorio e delle peculiarità deisuoi prodotti è ovunque fondamen-tale. «Occorre – sostiene la Bian-chini – contrastare l’industriaalimentare che, sempre più spesso,cerca di appiattire il gusto del consu-matore in modo da aprire la strada acolture sempre più industrializzate eche non disdegnano l’utilizzo diprodotti geneticamente modifi-cati». E infatti, solo valorizzando iprodotti ricavabili dalle nostre terresi otterranno e si manterranno ali-menti tipici e si conserverà quel-l’immenso patrimonioriconosciutoci a livello internazio-nale che è la dieta mediterranea.

Qual è il valore aggiuntodell’olio toscano rispetto aquelli italiani e stranieri?«Per quanto riguarda le caratteristi-che che contraddistinguono i pro-dotti olivicoli del panorama nonsolo nazionale, l’olio toscano otte-nuto seguendo un disciplinare diproduzione molto rigido, è il piùequilibrato dal punto di visto orga-nolettico, non presentando note ec-cessive di amaro o piccante. Perquesto il Toscano IGP è apprezzatonel mondo come olio di ottima qua-lità, con un gusto armonico perchémediamente fruttato con sentore dicarciofo ed erba».

Su quali fattori occorre pun-tare per portare qualità alla ta-vola dei consumatori?«L’unicità e le caratteristiche orga-nolettiche di un prodotto alimen-tare derivano da tre fattorifondamentali, ovvero il territorio, levarietà coltivate e la cura del cicloproduttivo. Il nostro frantoio si av-vale di fatto dei benefici naturali delterritorio collinare in cui è ubicato edelle caratteristiche climatiche cherendono possibile la produzione diun olio da agricoltura biologica, di-feso da infestanti e parassiti. Le va-

rietà utilizzate sono le tipiche to-scane quali frantoiano, leccino emoraiolo da cui otteniamo sia blendche ottimi monocultivar».

In quale fase produttiva èpossibile valorizzare il pro-dotto?«Una buona parte del lavoro perottenere un olio di qualità ricono-sciuta, si ottiene in frantoio. La no-stra azienda frange le olive entro 6ore dalla raccolta e per garantire laqualità del prodotto ha inserito nelproprio ciclo produttivo un inno-vativo sistema di trasformazione ingrado di controllare tutti i parame-tri fondamentali dell’olio lavo-rando con un ciclo di produzionesotto gas inerte che riduce i tempidi lavorazione al minimo, evital’ossidazione del prodotto e man-tiene alti i profumi e le qualità or-ganolettiche».

Veronica Bianchini èresponsabile controllo

qualità del Frantoio delColle di Scansano. In

alto, l’olio extravergined’oliva prodotto dal

Frantoio del Collewww.frantoiodelcolle.it

L’olio Toscano IGP haun gusto armonico,mediamente fruttatocon sentori di carciofo ed erba

d

135 • GustoMaggio 2010

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L’ITALIA DEI VINICantina Custoza

Gusto • 138 Maggio 2010

una vittoria

a custoza

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139 • Gusto Maggio 2010

L’ITALIA DEI VINICantina Custoza

Ivigneti della Cantina di Custoza,fondata nel 1968 in provincia diVerona, si dipanano su un’areadi circa mille ettari, collocati prin-

cipalmente sulle colline moreniche asud del Lago di Garda. Questo tipo diterreno permette ai vini bianchi di ac-quisire un’espressione aromatica in-tensa e complessa e alle uve rosse digenerare vini dalle intensità di coloremolto buona e stabile e aromi ben ca-ratterizzati. A spiegare le attività e lepeculiarità dei vini della Cantina è ilpresidente Giovanni Fagiuoli.

Quali sono le caratteristichedel territorio sui cui crescono i vo-stri vitigni?«Siamo nella zona delle colline more-niche del Garda: terra che è il risultatodi antichi ghiacciai. Il Lago di Garda èil più grande bacino del sistema alpinoe mitiga i rigori dell’inverno e le calureestive. Nella zona prospera l’ulivo e lecase sono spesso ornate con palme. Ilpanorama è particolarmente piace-

NELLA ZONA DELLE COLLINEMORENICHE DEL GARDA I VIGNETISONO INFRAMMEZZATI DABOSCHI E FRUTTETI. L’ESPERIENZA DELLA CANTINA DI CUSTOZA

vole, nel susseguirsi delle colline ches’inseguono, talvolta ancora libere dainsediamenti abitativi, in un’alternarsidi vigneti, boschi e frutteti di ogni tipo.Il terreno è di medio impasto, ghia-ioso e particolarmente adatto alla cul-tura della vite».

Qual è la situazione del mer-cato del settore?«Siamo soliti dire che, dopo le batta-glie del 1848 e del 1866, Custoza havisto “finalmente una vittoria”: il no-stro vino. Siamo presenti in tutto ilmondo: dal Canada al Giappone,dagli Stati Uniti alla Cina. E, natural-mente, in tutta Europa. Il nostro suc-cesso, sia per quanto riguarda ladenominazione del Custoza in gene-rale sia per quanto riguarda la Cantinadi Custoza in particolare, è stato coro-nato dalla dichiarazione del presi-dente della Federazione dei Consorzidi tutela, il quale ha affermato chel’unica denominazione che nel 2009“annus horribilis” dell’economia abbia

avuto un “trend” positivo è stato il Cu-stoza. La Cantina, per parte sua, ha au-mentato l’imbottigliamento del10%».

Quali sono le iniziative perpromuovere il vino bianco di Cu-stoza?«Sempre più numerose sono le visitedi esperti nella nostra ospitale zona,nella quale trovano spalancate leporte di tutti i produttori. La promo-zione in senso stretto si limita alla pre-sentazione del nostro prodotto fattodalle singole cantine e in serate di as-saggi con acquirenti italiani ed esteriorganizzate dal Consorzio di tuteladel vino bianco di Custoza».

Quali sono le caratteristiche diquesto vino?«Il vino è fresco, beverino, gentile epiacevole. Il colore è giallo paglierino.La gradazione è tra gli 11 e i 12 gradi.Il Custoza è risultato di un “blend”:Garganega (20 – 40%), Trebbiano

� di Simona Cantelmi �

Sopra, una parte della

staff della cantina Cu-

stoza

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(10 – 45%), Tocai, localmente chia-mato Trebbianello (5 – 30%) e an-cora (dal 20 al 30%) è il frutto di unincrocio tra Manzoni Bianco, RieslingItalico, Cortese, Pinot Bianco e Char-donnay. Questo permette a ogni sin-golo produttore di personalizzare ilproprio vino, dando profumi e aromileggermente diversi».

Quali sono le peculiarità, in-vece, del Bardolino? «Il Bardolino ha sofferto la concor-renza del Valpolicella. Adesso sta otte-nendo successo nella tipologia diBardolino Chiaretto».

Quali sono altri vini caratteri-stici della vostra cantina?«Ricordiamo che al Custoza si sonoaggiunte le tipologie del Custoza Su-periore, dello Spumante e del passito.La nostra cantina è il punto di riferi-

mento di queste quattro tipologie.Produciamo anche Bardolino sia clas-sico che normale, oltre al Chiaretto. Ea questi vini accostiamo la Garganegain purezza e la Corvina in purezza. Inostri clienti trovano nel nostropunto vendita vino di Lugana, diSoave, di Pinot Grigio per quel che ri-guarda i bianchi e Valpolicella, Ama-rone, Cabernet Sauvignon e varinostri blend per quel che riguarda irossi. I clienti sono particolarmente af-fezionati al nostro punto vendita,prova ne è la costante presenza di visi-tatori, che sempre più accompa-gnano da noi i loro amiciintenditori».

Quest’anno vi è stato asse-gnato il premio speciale VinitalyRegione 2010. Come siete riuscitia raggiungere questo risultato?«È un lavoro che ha avuto inizio anni

L’ITALIA DEI VINICantina Custoza

Gusto • 140 Maggio 2010

addietro con investimenti da partedei soci della Cantina che hanno mi-gliorato e affinato la produzione diuve, riducendo drasticamente lequantità per ettaro, privilegiando laqualità del loro prodotto. La cantinaconsiglia i vitigni da mettere a dimorae fornisce un costante aiuto tecnicosia nella realizzazione degli impiantisia nella gestione della lotta antiparas-sitaria. La qualità delle uve è giunta alivelli tali da consentire di non ricor-rere agli arricchimenti con mosti con-centrati. Assai importante è la culturabiologica di vari agricoltori che cihanno fatto conoscere in Italia e al-l’estero con prodotti di alta qualità.Inoltre gli impianti della Cantinacontinuano a essere potenziati conl’inserimento di macchinari semprepiù sofisticati e con un monitoraggiocostante e preciso di ogni singolovaso vinario». d

CUSTOZA DOC · Gradazione alcolica: 12° volume

· Affinamento in bottiglia: 1 mese

· Aspetto: colore giallo paglierino, venature verdognolo-dorate

· Profumo: vinoso, accentuato, spessosfuma in un piacevole aroma

· Sapore: secco-gentile, morbido, benequilibrato dalla franca sapidità e dalretrogusto lievemente amarognolo.

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Gusto • 142 Maggio 2010

VIE STORICHE ED ENOLOGICHE POSSONOFONDERSI IN UN PERCORSO CULTURALESUGGESTIVO. NE PARLA GIOVANNI GRECO,PRESIDENTE DEI VITICULTORI ASSOCIATI DI CANICATTÌ

� di Simona Cantelmi �

il saporedella memoria

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L’ITALIA DEI VINIViticultori associati di Canicattì

In apertura,

vigneti a Canicattì;

sotto, il presidente

di Viticultori associati

Giovanni Greco. Conoscere,apprez-zare esaper met-tere afrutto le

qualità e le peculiarità di unterritorio. È ciò che si pro-pongono di fare i viticultoriassociati di Canicattì, inprovincia di Agrigento, iquali agiscono su una su-perficie vasta che si estendein buona parte nella provin-cia di Agrigento e che lam-bisce i territori del nissenoe della provincia di Pa-lermo. Le condizioni pedo-climatiche, cioè del clima edella composizione dei ter-reni, variano profonda-mente nel raggio di pochichilometri e permettonouna grande varietà di pro-duzioni, proprio in virtù diquesta forte differenzia-zione. È una diversità daanalizzare, comprendere eutilizzare, poiché si tratta diuna risorsa inestimabile erara. Lo spiega il presidentedella cantina sociale di Ca-nicattì Giovanni Greco.

Racchiudete ben ses-santa contesti viticoli di-versi. Come convivonotali differenti realtà?«La nostra cooperativa ènata quarant’anni fa e riu-sciamo attraverso le varieterritorialità a variare la ti-pologia dei nostri prodotti,anche perché facciamo unlavoro in profondità, con

tecnici che seguono le pic-cole aziende. Abbiamo 450soci, la cui superficie mediaè di 2/2,5 ettari. Nel corsodell’anno facciamo circaquattro assemblee, in cuiimpostiamo la campagnaproduttiva, poi teniamo ag-giornati costantemente inostri produttori sui pro-getti, su come deve evol-versi la campagna viticola.Questo ci consente di avereil polso della situazione e diorientare le tecniche coltu-rali e le varie tipologie viti-cole presenti sul territorio».

Il legame col territo-rio quanto è presentenelle vostre produzioni?«È fondamentale. Non acaso stiamo avviando unprogetto per l’utilizzo dellaminiera di zolfo di TacciaCaci per affinare i nostrivini più importanti, verifi-care come si comporta ilvino in determinate condi-zioni. È un parco minerarioabbandonato da trent’annie sconosciuto ai più, ma èun posto meraviglioso.Sono luoghi legati alla me-moria, alla tradizione, allafatica e che in qualchemodo sono stati rimossi,per cui noi vogliamo - o al-meno speriamo di riu-scirci - legare la vitaproduttiva della can-tina a un percorso diconoscenza e di ri-valutazione delterritorio, attra-

verso questa sperimenta-zione di vino e prodotti fattinella miniera. Quando ilprogetto sarà completatoorganizzeremo itinerari, vi-site guidate, eventi enoga-stronomici, per unire il vinoa un percorso di archeolo-gia industriale. Inoltre, laminiera, che appartenevaalla famiglia di Luigi Piran-dello, è a cinque minutidalla Valle dei Templi, percui s’inserirebbe benissimoin un percorso didattico odi viaggio in queste zone».

Quali sono i principalivini che producete?«I terreni sono posizionatial livello del mare fino adarrivare all’alta collina, conuna varietà climatica edescursioni termiche checonsentono di creare viniche mescolano ed esaltanoi profumi. Facciamo una se-lezione che tiene contodelle varie aree territoriali.Per quanto riguarda i bian-chi abbiamo il Catar-ratto Inzolia, ilGrillo, il

Maggio 2010

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L’ITALIA DEI VINIViticultori associati di Canicattì

Gusto • 144 Maggio 2010

Syrah, che si può considerare unpo’ misto. Il nostro cavallo di bat-taglia, però, è il Nero d’Avola enon a caso per l’Aynat abbiamoottenuto la medaglia d’oro al Vi-nitaly per la regione Sicilia, maanche tutte le altre produzioniconfermano la stessa qualità».

Come siete arrivati al-l’importante riconoscimentodi Vinitaly?«Abbiamo svolto un lavoro co-stante e il premio è a testimo-nianza del nostro grossoimpegno. Ci auguriamo che talericonoscimento gratifichi anche lacommercializzazione, valorizzi laproduzione, per retribuire in ma-

niera adeguata le uve che i nostrisoci con tanti sacrifici hanno por-tato in cantina».

Quali sono le fasi di lavora-zione e di affinamento delvino? Ci sono fasi comuni aivari vini e differenze?«I rossi e i bianchi normali sonoaffinati in vasche di acciaio inox,mentre l’Aynat, ad esempio, vieneaffinato un anno in barrique e unaltro in bottiglia. Specialmente loScialo, che è un blend tra Nerod’Avola e Syrah, sta sei mesi inbarrique e un anno in bottiglia».

I vari associati come colla-borano?

· Gradazione alcolica: 14,5 % volume

· Affinamento: 12/14 mesi in barili di Rovere francese nuovi

· Affinamento in bottiglia: 12 mesi prima della commercializzazione

· Aspetto: rosso intenso, quasi nero con riflessi purpurei

· Profumo: ampiamente riconoscibili i tipici caratteri varietali, dai sentori diprugna alla ciliegia nera sotto spirito, dalle note di humus a quelle di liquirizia;aprendosi, si avvertono anche intense sfumature di noce moscata, tabacco egrafite, ben distinte e piacevoli

· Sapore: espressività e armonia sono i suoi temi dominanti, che si tradu-cono in una bocca gustosa e vibrante, dove primeggiano il calore e la disar-mante incredibile facilità di beva, resa possibile anche dai vellutati tannini

AYNAT, ROSSO IGT SICILIA

d

«C’è un regolamento che disci-plina le modalità di coltivazione,le rese per ettaro. Poi devono se-guire tutte le nostre indicazioniper quanto riguarda le concima-zioni, gli interventi fitosanitari,che sono molto limitati perchésiamo in una zona molto calda,asciutta e ventilata, quindi nonabbiamo particolari patologie dimuffe, di umidità e le uve sonosempre molto sane. Si segue uncalendario per la raccolta: si partesostanzialmente a metà agostoper le uve bianche che vengonodalla zona vicino al mare e si pro-segue fino a metà ottobre per ilNero d’Avola e le uve di strutturamaggiore verso la collina».

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Gusto • 146 Maggio 2010

tradizioni

della terraQUANDO IL LEGAME FRA VINO E TERRITORIOÈ INDISSOLUBILE. NE PARLA CARLO SPINELLI,DI TERRA D’ALIGI DI ATESSA, IN PROVINCIA DI CHIETI

� di Simona Cantelmi �

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profumi di frutta fresca. Vini dibuona struttura, sapidi, morbidi epersistenti». Il territorio della valledel Sangro è particolarmente vocatoalla produzione di vino. «Il partico-lare microclima che presenta ampisbalzi termici tra il giorno e la notte,tra l’estate e l’inverno – prosegueSpinelli – si unisce alla conforma-zione collinare con terreni di medioimpasto, argillosi e calcarei con ot-timo drenaggio. Troviamo vigneti inparcelle allevate a tendone e soprat-

147 • Gusto Maggio 2010

L’ITALIA DEI VINITerra d’Aligi

Le fertili colline della Valledel Sangro, punteggiate dairicetti dei pastori, fanno dasfondo e alimentano i ric-

chi e ordinati filari abruzzesi. «I prin-cipali vitigni – spiega Carlo Spinellidell’Azienda Agricola terra d’Aligi –sono il Montepulciano d’Abruzzo, ilpiù importante vitigno a bacca rossapresente nel nostro territorio, da cuisi ottiene l’omonimo vino. Dallestesse uve, con tecniche di macera-zione diverse, si ottiene il Cerasuolo.Il Montepulciano, dal grappolocompatto con acini consistenti, puòconsiderarsi sicuramente il vitignoautoctono del territorio. La vendem-mia è piuttosto tardiva, dal mo-mento che la maturazione avvienequasi sempre nella seconda decadedi ottobre». Il Cerasuolo, invece, «èun vino piacevolmente morbido efruttato e si ottiene tramite macera-zione a freddo del pigiato, pigiaturasoffice e fermentazione in acciaio atemperatura controllata. È un vinorosso ciliegia brillante, con ampiprofumi fruttati e finissime note flo-reali. Un vino di buona struttura,equilibrato, morbido e persistente».Tra i vitigni a bacca bianca il princi-pale è Il Trebbiano d’Abruzzo. «Haun grappolo grande di forma pirami-dale, molto compatto. Dalle uveTrebbiano si ottengono vini di co-lore giallo paglierino, con delicatenote floreali che si fondono ad ampi

In apertura, il fondatore,

Vincenzo Spinelli; sotto,

Carlo Spinelli,

direttore commerciale

di Terra d’Aligi•

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L’ITALIA DEI VINITerra d’Aligi

Gusto • 148 Maggio 2010

· Gradazione alcolica: 14° volume

· Aspetto: rosso rubino intenso, con riflessi violacei

· Profumo: ampi profumi di frutta rossa matura con notefloreali di violetta e rosa e fini note speziati dolci

· Sapore: vino complesso ed equilibrato, dove i profumidi frutta rossa matura si armonizzano con i dolci sentori dispezie e al palato risulta succoso e persistente

MONTEPULCIANO D’ABRUZZO TATONE

D’Annunzio ha identificato il personaggio Aligi comeil capostipite di tutti i pastori,pertanto Terra d’Aligisignifica “terra di pastori”

nerazioni l’arte dei vignaioli. «Sicu-ramente si tratta di un lavoro qualifi-cato, dove anno per anno siacquisiscono conoscenze ed espe-rienze. Ogni stagione ha una sua sto-ria e i lavori vanno calibrati in basealle caratteristiche del terreno e delvitigno e all’andamento climatico.Terra d’Aligi ha ottenuto il Premiospeciale Vinitaly Regione. «Tutti iconcorsi sono importanti,ma sicura-mente ricevere un premio a uno deiconcorsi più selettivi e prestigiosi alivello mondiale è molto gratificantein quanto è un riconoscimento al-l’azienda e allo standard qualitativoelevato riscontrato nei prodotti.Siamo arrivati a questi livelli grazie allavoro quotidiano che da anni por-tiamo avanti con attenzione, metico-losità e passione infinita; passioneche aiuta a superare le mille difficoltàche giornalmente capitano».

d

tutto a filari». Terra d’Aligi esportaall’estero ben il 65% della produ-zione, ma il legame col territorio èfortissimo. «L’Abruzzo è terra di pa-stori e contadini e di D’Annunzio,che in un suo poema ha identificatoil personaggio Aligi (poeticamente)come il capostipite di tutti i pastori.Pertanto Terra d’Aligi significa “terradi pastori”, “terra di contadini” equindi terra d’Abruzzo. Anche inomi dei nostri vini comunicano lenostre origini, come ad esempio ilMontepulciano d’Abruzzo “Ta-tone”, che nel nostro dialetto signi-fica nonno. Nelle famiglie patriarcalicontadine dove all’interno dellostesso nucleo familiare vivevano piùgenerazioni, la persona più anzianaera appellata con il nomignolo “ta-tone”, a significare il saggio della fa-miglia». Erano spesso le personeanziane a trasmettere alle nuove ge-

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L’ITALIA DEI VINITenuta Pepe

Gusto • 150 Maggio 2010

IRPINIAterra di vigneti

RECUPERARE E PROMUOVERE I VITIGNI AUTOCTONI E LE BELLEZZE DEL TERRITORIO CAMPANO. È LA MISSIONE DI MILENA PEPE, DELLA TENUTA CAVALIER PEPE

� di Simona Cantelmi �

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151 • Gusto Maggio 2010

L’ITALIA DEI VINITenuta Pepe

Al Vinitaly di que-st’anno, il premio“Cangrande” è statoassegnato, per laCampania, a MilenaPepe, giovane eno-

loga belga-irpina della Tenuta Ca-valier Pepe, nel cuore dell’arealedelle tre Docg regionali, tra San-t’Angelo all’Esca e Luogosano, inprovincia di Avellino. In cinqueanni, dopo essere rientrata in Italiadal Belgio nel 2005 proprio per oc-cuparsi dell’azienda di famiglia, hamesso insieme una realtà di 40 et-tari di vigneti. «La nostra tenuta siestende tra i comuni di Luogosano,Sant’Angelo all’Esca e Taurasi – af-ferma – a un’altitudine compresatra i 350 e i 500 metri, con belle

pendenze ed esposizione al soled’estate, inverni rigidi e una buonaventilazione». Le uve hanno carat-teristiche solide. «Concentrazioneper i rossi e mineralità per i bianchi.Sono vini che hanno corpo e chepossono durare nel tempo e invec-chiare bene», spiega la manager.L’etichetta principale è il Taurasi.«Il vitigno che lo produce è l’Aglia-nico e cresce su un terreno argil-loso-calcareo. Il Taurasi è il rossopiù pregiato dell’Irpinia». Anche ilFiano di Avellino, che genera ilbianco Refiano, cresce su un ter-reno argilloso-calcareo, mentre peril Greco di Tufo la tipologia di ter-reno è argillosa, con elementi vul-canici. Esistono differenze dilavorazione fra i diversi vini. •

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L’ITALIA DEI VINITenuta Pepe

Gusto • 152 Maggio 2010

«L’Aglianico per il Taurasi è ven-demmiato tra fine ottobre e inizionovembre, mentre per Fiano eGreco iniziamo a metà ottobre. IlFiano è molto aromatico e lo ma-ceriamo sulle bucce per qualcheora prima di pressarlo. Il Greco, in-vece, viene pressato direttamente.Per il Taurasi è prevista una lungafermentazione e macerazione dipiù di tre settimane, poi vienemesso nelle barrique di roverefrancese». Il gusto e l’aroma diogni vino si assaporati meglio seaccompagnati dai giusti sapori. «IlTaurasi si accompagna megliocon i sapori forti, le carni arrostite,la selvaggina, formaggi piccanti esalumi – spiega Milena Pepe –. IlRefiano sarebbe ideale gustarlocon pietanze a base di frutti di

OPERA TAURASI D.O.C.G. · Gradazione alcolica: 13° volume

· Affinamento in barrique: 18 mesi

· Affinamento in bottiglia: 12 mesi

· Caratteristiche Organolettiche

· Aspetto: colore rosso rubino intenso

· Profumo: complessità aromatica consentori di frutti rossi maturi sotto spi-rito, sentori di amarene, di prugna seccae spezie

· Sapore: corposo con tannini presentima fini, pieno e avvolgente, lascia inbocca un finale lungo e intenso d

•mare e crostacei, così come ilGreco di Tufo, che si può abbi-nare anche a primi piatti con fun-ghi e tartufo e alle carni bianche».Il territorio campano andrebbepromosso anche attraverso questeeccellenze. «Noi cerchiamo di es-sere un centro d’ospitalità in Irpi-nia. I visitatori possono venire inazienda, poi mangiare al ristorantee soggiornare al bed and breakfast,entrambi all’interno della nostratenuta. Nel ristorante realizziamoun menu di degustazione con ivini. Poi organizziamo visite ai vi-gneti, che curo anche personal-mente, parlando ai turisti initaliano e in inglese. Spero di riu-scire a trasmettere a chi viene quaun po’ di bellezza del territoriocampano».

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L’oro divaldobbiadeneNON SEMPLICEMENTE PROSECCO.MA UNO SPUMANTE ITALIANO CHE NASCE IN UNTERRITORIO DOCG. CARLO CARAMEL RACCONTAIL SUO “ORO DI VALDOBBIADENE”

Canevel in dialetto venetosignifica “piccola can-tina”, il posto dove tenerei vini migliori, dove cu-

stodire segreti e tradizioni». Sono leparole di Carlo Caramel, presidentedella Canevel Spumanti, un’aziendanata nel 1979, fondata da Mario Cara-mel e Roberto De Lucchi, con lo spi-rito di valorizzare l’oro diValdobbiadene e renderlo al pari, intermini di qualità e prestigio, di tutti glialtri spumanti italiani e non solo. Se si pensa che l’1 Aprile 2010 è nata laValdobbiadene D.O.C.G., massimoriconoscimento qualitativo per le pro-duzioni italiane, è evidente come, conle sue 7 versioni di prosecco, l’aziendaCanevel Spumanti proponga un pa-norama completo dell’eccellenza qua-

litativa del territorio. «La nostra realtàè in prima linea nella difesa del territo-rio di Valdobbiadene, che con l’allar-gamento della zona DOC a tutto ilFriuli Venezia Giulia e a buona partedel Veneto corre seri rischi di impove-rimento» spiega Carlo Caramel, da11 anni alla guida dell’azienda affian-cato dall’enologo Roberto De Lucchi.Per questo, già da 7 anni, è stata abolitain azienda la parola “prosecco”. «Questo vitigno è stato allevato, cre-sciuto e reso celebre dalle aziendedella pedemontana trevigiana, e oggine è stato concesso l’uso indiscrimi-nato ad aziende che lo hanno sempredenigrato finché si sono accorte chenegli ultimi tempi è stato l’unico vino aregistrare trend positivi a doppia cifra.Oggi comincia una nuova sfida, dove

la vera differenza la fa il territorio e perquesto va rimarcata la qualità del Val-dobbiadene DOCG». Canevel Spumanti, che vede nel Val-dobbiadene Spumante Extra DryDOCG la sua punta di diamante, pro-duce ogni anno circa un milione dibottiglie, dalle uve provenienti dai 30ettari di proprietà e dagli altri50 di affezionati conferitoridella zona del colle di SanBiagio, a Saccol di Valdob-biadene.«Tutte le nostreuve vengono vini-ficate in casa –piega Carlo Ca-ramel -. Questoaspetto è fonda-mentale: control-

In alto, i vitigni di

Valdobbiadene.

Sotto, Carlo Caramel

Presidente della

Canevel Spumanti e,

nella pagina

accanto l’enologo

Roberto De Lucchi

www.canevel.it

Gusto • 154

� di Eugenia Campo di Costa �

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lare tutta la filiera produttiva, ga-rantisce di fatto, il rispetto della fi-losofia aziendale di ricerca dellamassima qualità». Una volta raccolte, le uve vengono tra-sferite all’interno delle presse me-diante nastri trasportatori. Il processodi spremitura, soffice, rimane a pres-sioni piuttosto basse. Il mosto otte-nuto viene subito raffreddato allatemperatura di 3° C per inibire qua-lunque processo di fermentazionespontanea, e convogliato all’interno diuna delle 50 vasche di raccolta in can-tina. «Le vasche sono piccole e nume-rose per poter dividere i mosti in basealla loro provenienza, qualità, matura-zione e qualunque altro parametrol’enologo reputi importante. In vasca– continua Caramel - viene control-lata la prima fermentazione. Ne deri-vano vini di basso tenore alcolico,circa 8 gradi, che costituiscono le basiper lo spumante». Segue la fase dispumantizzazione. «Qui sta l’intui-zione dell’ingegner Martinotti poiché,a differenza dei francesi che effettuanola seconda fermentazione in bottiglia,il metodo Martinotti provoca la spu-

mantizzazione in un unico grande re-cipiente a tenuta: l’autoclave che con-sente di non disperdere l’anidridecarbonica». Rispetto alla fermenta-zione in bottiglia, l’autoclave abbattedrasticamente tempi e costi ed è parti-colarmente indicata per i vitigni aro-matici, perché consente agli spumantidi mantenere i loro profumi primari.«Dopo i 30 giorni minimi stabiliti daldisciplinare per lo sviluppo di questoprocesso e un’ultima filtrazione –conclude Caramel -, lo spumanteviene imbottigliato con una riempi-trice particolare in grado di mante-nere costante la pressione e ridurre avalori prossimi allo zero i residui diossigeno». Il 76% circa dello spumante così realiz-zato copre il mercato nazionale, il re-stante 24% ha ottenuto unbuon posizionamento inAustria, Svizzera, Germa-nia, e Gran Bretagna. Pic-cole, ma importanti, sonoanche le presenze segna-late in USA, Canada, Sin-gapore, Tailandia,Giappone e Maldive.

VALDOBBIADENE EXTRA DRY DOCG

· ProvenienzaZona collinare tra Valdobbiadenee Conegliano

· Volume11%

· AspettoPaglierino scarico con leggere tonalitàverdognole, brillante

· PerlagePaglierino

· ProfumoPreponderante la mela, contornodi fiori freschi (glicine e acacia)

sempre armoniosi e ben sostenuti

· SaporeArmonioso, elegante, strutturato

L’ITALIA DEI VINIIl prosecco

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155 • GustoMaggio 2010

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AVER CURA DEI VITIGNI. SEGUIRE LA TRADIZIONE, DEFINIREUN METODO E RISPETTARE LA CULTURA CHE OGNI VINOPORTA CON SÉ. ECCO COME, SECONDO LEONILDOPIEROPAN, SI OTTIENE UN VINO D’AUTORE

All’origine

IL TERRITORIO

� di Ezio Petrillo �

Gusto • 156 Maggio 2010

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L’ITALIA DEI VINIIl Soave

Tradurre in unbuon bicchiere lericchezze di un ter-ritorio. È la mis-sione delle aziendeenologiche ita-

liane, che coltivano vitigni e produ-cono vini apprezzati in tutto ilmondo. Un’isola felice dell’econo-mia vinicola nostrana è rappresen-tata dal Veneto, dove la produzioneè significativa e i terreni evocati sonoall’origine di prodotti autentici e ca-ratteristici allo stesso tempo. Leo-nildo Pieropan, proprietario di unaazienda dalla tradizione secolare,offre interessanti spunti per com-prendere i segreti e la lavorazione deisuo vini più rinomati.

Partiamo da un “classico” .Qual è la filosofia alla base dellaproduzione del “vostro Soave”? «In quarant’anni della mia attività divignaiolo ho cercato di tracciare unpercorso nuovo per il territorio delSoave e per la mia azienda. Ho ap-profondito il solco che mio nonno e

In apertura le uve per produrreil Recioto di Soave.Affianco, in basso,Leonildo Pieropan,nei suoi vignetiaccompagnato dai [email protected]

mio padre avevano realizzato e sulquale i miei due figli Andrea e Dario,ora, potranno continuare la splen-dida avventura che la famiglia Piero-pan ha avviato da più di un secolo.Dall’inizio ho impegnato tutte le mieenergie per coniugare la grande tra-dizione ed esperienza locale conl’innovazione viticola e tecnologicache avanzava. Seguendo con curamaniacale ogni piccolo dettaglio ditutto il processo produttivo, sonoriuscito a realizzare grandi vini bian-chi che donano emozioni e vin-cono la sfida del tempo».

Qual è in sostanza il segreto diun ottimo vino? «Non c’è una formula precisa che unproduttore possa adottare ripetuta-mente o uno stesso protocollo. Hosempre lavorato con un’idea, un con-cetto ben preciso nella testa e annodopo anno mi sono impegnato diconseguenza nella vigna. Le annate sipresentano sempre diverse, la variabi-lità è grande e va affrontata. È proprionelle variabili e nella conseguente at-

tenzione ai particolari che si rag-giunge un grande risultato».

Qual è stata la sfida che Piero-pan ha vinto? «La mia vita professionale è stata co-stellata da tante sfide, anche contro glistessi operatori del territorio. In varieoccasioni sono stato giudicato il“Don Chisciotte” del Soave. Non misono mai dato per vinto e non ho maiceduto alle lusinghe del mercato. Lasfida più bella è stata creare dueespressioni uniche di vino Soave clas-sico con i due cru Calvarino e LaRocca. Da uno stesso territorio, dasuoli diversi e solo da vitigni autoc-toni Garganega e Trebbiano di Soavesono nati due vini bianchi tutti italianiche hanno fatto parlare di sé nelmondo e che hanno contribuito a ri-scattare l’immagine del Soave». d

DENOMINAZIONE LA ROCCA

· ProvenienzaCollina Monte Rocchetta, a ridosso del castelloscaligero medioevale del paese di Soave

· Caratteristiche analiticheGradazione alcolca:13°Acidità: 5/5,5%

· AspettoGiallo solare, brillante e intenso

· ProfumoBouquet ricco e ampio, con sentori di frutta maturarichiami di melone e mango, leggermente speziato

· SaporePieno, rotondo, vellutato, perfetto equilibro tra sen-sazioni fruttate e acidità, finale lungo e vanigliato

157 • GustoMaggio 2010

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Voluttà da bere

Calici e convivia-lità. Connubiosenza tempo.L’arte del vinoitaliano si rin-nova in prestigio

e “bollicine”. Così nel trevigiano,da oltre un secolo, l’azienda vini-cola Maccari produce vini nelpieno rispetto delle tradizionali re-gole dell’enologia. «Vinificare èun’arte che richiede passione edesperienza. Questi i valori che sitramandano di generazione in ge-nerazione dal 1898» quandol’azienda fu fondata dal nonno diItalo Maccari che oggi la dirige in-sieme ai figli Filippo e Silvia (da si-nistra, nella foto in alto). «Il vino èun prodotto “vivo” che segui dallavigna alla vendita in ogni sua fase;porta il nome di famiglia e quindi è

una “creatura” che senti total-mente “tua”». Per questo nel2004, Silvia Maccari ha volutoche anche l’azienda di Cone-gliano si chiamasse appunto“Maccari Spumanti”, sede in cuidi recente è stato inaugurato ilWine Store con vendita diretta

al pubblico. «Lì produciamo unacompleta gamma di vini spumanti –afferma Silvia Maccari – dove ec-celle il richiestissimo ProseccoDOC Treviso e Conegliano-Val-dobbiadene DOCG ideale per ognioccasione per la sua versatilità, per lasua piacevolezza da atmosfera rilas-sata e per il suo ineguagliabile rap-porto qualità-prezzo. Grazie aqueste caratteristiche, negli ultimianni sta dando filo da torcere allochampagne». Il vitigno autoctonoRaboso è il vero fiore all’occhiellodell’azienda, premiato al Vinitalycon la Medaglia d’Oro. L’ultimonato è il Raboso Passito 2007 Edo-ardo, rappresentativo della quintagenerazione della famiglia Maccari:un voluttuoso vino da meditazionedagli spiccati sentori di marasca. PerItalo Maccari investire poi sulla tec-nologia è fondamentale. «Utiliz-ziamo un impianto diimbottigliamento che produce6000 bottiglie/ora e dotato di un si-stema di pre-evacuazione dell’ariaper evitare effetti ossidativi del vino;un altro impianto, tra i più grossi almondo, produce 280 fusti/ora».

CON BOLLICINE O SENZA.LE PREMIATE VINIFICAZIONI

DELL’AZIENDA MACCARI NONHANNO NULLA DA INVIDIARE

A QUELLE FRANCESI

d

RABOSO DEL PIAVE DOC· ProvenienzaPianura tra Piave e Livenza

· Volume12,5%

· Aspettorosso rubino intenso tendente al granato

· Profumointenso, con piacevole sentore di marasca,mora selvatica e note di fragola

· SaporeAsciutto, tannico, nerbo maschio e deciso conforte carattere

www.maccarivini.it

L’ITALIA DEI VINILe bollicine

� di Adriana Zuccaro�

Gusto • 158 Maggio 2010

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Nella Villa

del Prosecco

� di Stefano Marinelli�

LE COLLINE FRA VALDOBBIADENE E CONEGLIANO SONODA SEMPRE IL REGNO DI UNO SPUMANTE UNICO, MA È NEL CARTIZZE CHE IL PROSECCO DIVENTA ARTE

Il “Cartizze Vigna La Rivetta” èsenza dubbio una delle miglioriespressioni del panorama spu-mantistico italiano. Una produ-

zione limitata e di pregiata qualità, cheporta il nome del vigneto da cui è rica-vato, “La Rivetta” appunto, di pro-prietà di Giancarlo Moretti Polegato esituato nella località del Cartizze, sullecolline di Valdobbiadene, la storicaculla del Prosecco. Una terra fecondain cui da generazioni le famiglie si tra-mandano la passione per l’arte delvino e che ha ripagato questo amorecon un vino unico, che ha reso l’interaarea fra Valdobbiadene e Coneglianofamosa in tutto il mondo.

Qual è la caratteristica che di-stingue, più delle altre, il “Car-tizze Vigna La Rivetta”?

«Il basso livello di residuo zuccherino,che permette di far risaltare le caratteri-stiche di mineralità derivate dallaparticolare composizione del ter-reno che ospita il nostro vigneto.Questo lo rende unico nell’esaltaresensazioni gustative sapide e agru-mate, consentendogli di abbinarsi inmodo ideale a primi piatti delicati,carni bianche e formaggi freschi. Laversione brut, anziché il classico dryin cui tradizionalmente viene pro-dotto il Cartizze, è più indicata ad ac-compagnare l’intero pasto».

Cosa rende così unico il vostrovigneto?«La collocazione geografica e laconformazione del territorio sonoideali. La presenza delle Prealpi pro-tegge le colline comprese tra Cone-

gliano e Valdobbiadene dagli eccessimeteorologici, mentre i ripidi pendiisu cui si arrampica “La Rivetta” assi-curano una particolare escursionetermica, con un intenso irraggia-mento solare di giorno e brezze leg-gere nella notte».

In primo piano

Giancarlo Moretti

Polegato, sullo

sfondo Villa Sandi

www.villasandi.it

Gusto • 160 Maggio 2010

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Quanto è importante attingerealla tradizione per la sua attività?«Io rappresento la terza generazionedi una famiglia dedicata al mondo delvino, il rispetto e l’amore per la tradi-zione e per la terra sono le linee guidadella nostra attività, cui non possiamoe non vogliamo sottrarci. La produ-zione di vini ricavati dai vitigni autoc-toni, che sono un patrimonio culturaledell’area, e l’impegno profuso nellapromozione del territorio ne sono latestimonianza».

Le vostre tecniche di produ-zione beneficiano anche di unagrande apertura alla sperimenta-zione. «Il culto per la tradizione del mestierenon esclude una forte spinta all’inno-vazione e alla ricerca. Ne è un esempioil processo di spumantizzazione adot-tato per il “Cartizze Vigna La Rivetta”,per il quale si utilizza direttamente ilmosto, preventivamente refrigerato.Questo permette di conservare ilgrande patrimonio aromatico del viti-gno e di esaltare le caratteristiche flo-

CARTIZZE VIGNA LA RIVETTA· Caratteristiche analitiche

Gradazione alcolica: 11.5% volResiduo zuccherino: 12 g/lAcidità: 5.7 g/l

· Temperatura di servizio6-8°C

· Note degustativeIntensamente fruttato con evidenti note

di mela golden, macedonia di fruttaesotica e agrumi; persistente la notafloreale che ricorda i fiori d’acacia eil glicine. Al gusto è fresco, asciutto,secco e austero, ma allo stessotempo piacevolmente morbido.

· AbbinamentoÈ uno spumante che può, con la

stessa disinvoltura, aprire e chiudereuna serata a tavola.

reali e fruttate tipiche del Prosecco».

Quali sono le aree in cui il vo-stro prodotto è maggiormenteapprezzato?«Il Cartizze si rivolge quasi esclusiva-mente al mercato interno, che nonpresenta grosse disomogeneità daquesto punto di vista, essendo moltorichiesto in tutta Italia. Viene prodottoin circa 6.000 bottiglie, che divente-ranno 12.000 fra 2 anni, grazie ad unvigneto di recente impianto».

Prima ha accennato all’impe-gno profuso nella promozionedel territorio. Di cosa si tratta?«Villa Sandi, che è la sede del-l’azienda, da oltre 15 anni è aperta alpubblico, così come le cantine, pervisite guidate gratuite. Sono circa 20mila gli appassionati che ogni annovisitano la nostra villa seicentesca e lesue suggestive cantine, condotti da unpersonale qualificato alla conoscenzadei vini, con le degustazioni nelle Bot-teghe del Vino di Crocetta del Mon-tello e di Valdobbiadene».

L’ITALIA DEI VINICartizze Vigna La Rivetta

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161 • GustoMaggio 2010

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TRADIZIONE CASEARIAIl formaggio di fossa

SaporeSotterraneo

INGEGNOSI SOTTERFUGI MEDIEVALI HANNO DATO VITA A UNA TRADIZIONE CASEARIA INASPETTATA.

QUELLA DEL FORMAGGIO DI FOSSA

� di Adriana Zuccaro�

Battaglie, assedi, sac-cheggi. Dal Me-dioevo alRinascimento, percustodire i viveri esottrarli alle mani

dei predatori, occorreva nascon-derli in segrete sotterranee. Così in-gegnosi sotterfugi hanno dato vitaa una tradizione casearia che i pa-lati più esigenti sanno bene ricono-scere e gustare. Il formaggio delleFosse della Porta di Sotto, prodottopresso l’omonimo Mulino ubicatoa Mondaino, nel riminese, raccontala sorprendente storia, unica in Ita-lia, del formaggio dei Malatesta.Scampata la barbarie dei saccheg-giatori, recuperando le preziositànascoste, «molti dovettero accor-gersi che non solo alcuni alimenti sierano conservati perfettamente, mache altri avevano cambiato le carat-teristiche di gusto. Infossare e sta-

gionare divennero quindi gli espe-rimenti che nei secoli fino a oggi sisono ripetuti per la produzione diprelibati formaggi di “fossa”». Ema-nuele e Michele Chiaretti, soci delmarchio “formaggio delle Fossedella Porta di Sotto”, utilizzano lemedesime fosse dell’edificio diMondaino, addossato alla PortaMontanara della cerchia muraria

che difendeva il castello dei Malate-sta. Oltre a torrioni, impianti muraria scarpa, eleganti arcate, parte di unantico cassero, macine da olio e dagrano «l’edificio consta anche di unantichissimo frantoio per olive –spiega Emanuele Chiaretti – e di-spone di tre grandi fosse cilindrichescavate nell’arenaria, nelle qualisono ancora piantati i grossi c hiodiin ferro a cui fissare il rivestimentoin paglia, canne e legname atti a iso-lare dall’umidità grano, formaggi esalumi». Michele Chiaretti sottoli-nea invece «il basso contenuto digrassi del prodotto come principalecaratteristica nutrizionale e organo-lettica che si associa ai preziosi en-zimi innescati con la stagionatura,da maggio a luglio, e la lunga fer-mentazione, da agosto a novem-bre». Tutto ciò rende il formaggiodelle Fosse facilmente digeribile eadatto a ogni regime alimentare.

In foto, una dellefosse in cui avvienela stagionaturadel formaggio delleFosse della Portadi Sotto, Via Romain Mondaino (RN)[email protected]

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Gusto • 162 Maggio 2010

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TRADIZIONE CASEARIALa Casatella

Casatella, orgoglio trevigiano

UN FORMAGGIO COSÌ ANTICO E CARATTERISTICO DADIVENTARE LA BANDIERA DELLA SUA TERRA. E OGGI,

GRAZIE AGLI ODIERNI CASEIFICI INDUSTRIALI, PUÒ ESSEREGUSTATO BEN AL DI LÀ DEL TREVIGIANO

� di Stefano Marinelli�

Gusto • 164 Maggio 2010

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TRADIZIONE CASEARIALa Casatella

Assaggi un bocconedi Casatella e assa-pori una fetta di sto-ria. Il rapportoviscerale fra questoformaggio e l’antica

tradizione casearia trevigiana è rico-nosciuto universalmente. Le primetestimonianze scritte lo fanno risalireaddirittura al XVII secolo, compro-vando la sua produzione presso le fa-miglie contadine che abitavano lazona compresa fra l’Adige e il Li-venza. «La Casatella è nata proprioqui, dal lavoro delle massaie – rac-conta Rino Moro, proprietario del-l’omonimo caseificio che ha sedeproprio a Motta di Livenza -, infatti ilsuo nome deriva da “casada”, che si-gnifica “casa” in dialetto veneto e cheindicava, appunto, la preparazionecasalinga di questo formaggio dalleantiche radici contadine». Il Caseifi-cio Moro, che il signor Rino ha

aperto nel 1973, è un punto di riferi-mento nel panorama agroindustrialeveneto ed eccelle nella produzione,oltre che della Casatella, di molti altriprodotti caseari, come la LatteriaDaniele, caciotte, mozzarelle «in bu-stine sigillate e bocconcini, che distri-buiamo in moltissime pizzerieitaliane», ricotte «in vari formati e la-vorazioni, molto richieste dalle pri-marie industrie di paste ripiene,come tortelli e ravioli» e soprattuttoil Montasio, il vero fiore all’occhiellodel caseificio, per il quale ha ricevutoil premio di migliore produttore inoccasione della rassegna “CaseusVeneti” del 2008. «Grazie a unastruttura modernissima e a una tec-nologia d’avanguardia, oggi riu-sciamo a far conoscere i formaggi dicasa a tutto il Nord e Centro Italia»afferma il titolare del caseificio. È gra-zie all’intraprendenza di veteranidell’arte casearia come il signor

Carciofi alla casatellatrevigiana e radicchio

L’INDORATAPreparazione:Tagliate a fette non troppo sot-tili la Casatella e mettetela amacerare nel latte per mezz’ora.Passatela nella farina, poi nel-l’uovo battuto salato e infine nelpane grattato. A questo puntofriggete da ambo le parti in olioe burro. Da servire come piattocaldo con contorno di insala-tina fresca.

Moro che la Casatella ha potuto var-care i confini della sua terra d’ori-gine. «La sua preparazione – spiegaMoro - avviene riscaldando il latte acirca 40°C, con l’aggiunta di fer-menti in polvere e caglio liquido divitello, e la coagulazione avviene in15-20 minuti. Poi la cagliata vienerotta in grossi grani e collocata nelleforme, senza essere cotta, si fa ripo-sare per un giorno e infine viene sa-lata in salamoia per 12 ore. Lamaturazione avviene in due giorni,in cella frigorifera». La Casatellacontiene proteine ad alto valorebiologico e un tempo, per le fami-glie più povere, costituiva l’unicocompanatico, accompagnato con lapolenta, «ma oggi – suggerisceMoro - può essere sfruttata appienola sua versatilità, accostandosi consuccesso sia alla carne che al pesce ediventando, all’occasione, anche ungustoso dessert». d

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genuinasperimentazione

� di Stefano Marinelli�

mozzarelle, trecce, scamorze, e quellistagionati, come caciocavalli e provo-loni, ma solo nel nostro negozio». In-fatti non viene effettuata alcunavendita all’ingrosso, né fuori porta insupermercati o ristoranti. «A diffe-renza di gran parte dei caseifici, noinon conserviamo in acqua i nostrilatticini, che acquisiscono una du-rezza fuori dal comune, con un impa-sto particolarmente consistente esaporito» spiega Domenico. «Ma lanostra specialità è la “Burgonza” – ri-vela Giovanni -, un miscuglio di bur-rata e gorgonzola». Il mix fra unformaggio tipico pugliese e uno lom-bardo, oltre a destare una certa curio-sità, dimostra la forte volontà disperimentare anche da parte di unsettore, come quello artigianale, cheha come obiettivo principale quellodi conservare la tradizione. E dimo-stra come la qualità di un prodottonon dipenda soltanto dal territorio,ma anche dall’approccio e dal me-todo con cui viene lavorato.

Nell’immaginario collet-tivo, il latte è da sempresimbolo di genuinità epurezza. Tanto più se

associato all’idea ispirata dal lavoroartigianale dei lattai che lo vende-vano, fresco di mattina, direttamenteai nostri nonni. Anche se la logica in-dustriale, che nel corso degli anni haportato quasi all’estinzione la tradi-zione artigiana, ha fatto sì che l’imma-gine del latte puro e genuino sisfocasse sempre più. Ma, in qualcheangolo recondito dell’Italia, quell’im-magine è ancora viva, come se iltempo si fosse fermato. Per esempioad Altamura, terra di tradizioni. «Daquattro generazioni la nostra famigliasi tramanda questo mestiere», rac-conta Giovanni Viscanti, che insiemea suo fratello Domenico e al collabo-ratore Antonio Ciccimarra, gestisce ilcaseificio aperto nel 1962 da suopadre. «Durante la giornata – prose-gue Giovanni – vendiamo i prodottifreschi, come ricotta, bocconcini,

TRADIZIONE E SPERIMENTAZIONE A BRACCETTO. QUESTA È LA FILOSOFIA DI CHI VUOLE PROPORRE NUOVI GUSTI, SENZADIMENTICARE LA LAVORAZIONE ARTIGIANALE DI UN TEMPO

Giovanni e Domenico Viscanti all’internodel loro caseificio di Altamura

d

TRADIZIONE CASEARIALa Burgonza

Gusto • 166 Maggio 2010

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l’arteA tavola

NUTRE LA MENTE IL FRUTTO DELLACREATIVITÀ DELL’ARTISTA.AD OSSERVARLO È ALEX REVELLISORINI, DOCENTE UNIVERSITARIOIN STORIA DELL’ALIMENTAZIONEE DELLE TRADIZIONI

� di Antonella Perlasca �

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AlexRevelliSoriniCIBO E ARTE

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Un menu a base diChimenti, Ar-cimboldi, Maneto Andy Warholperché «l’arte ècibo per la

mente. Non si introducono proteineo carboidrati, ma si consumano emo-zioni. Di fronte ad un’opera d’arte,possiamo alimentarci delle sugge-stioni ricevute da una ciliegia o da undolcetto». Lo chef che ammanniscel’insolito pasto è Alex Revelli Sorini,docente universitario in Storia del-l’alimentazione e delle tradizioni,nonché direttore dell’Accademia ita-liana gastronomia storica.Arte e cibo un binomio indissolubile,«sin dalle origini». Dalle Nozze diCana al Banchetto di Cleopatra finoall’Ultima cena. «Osservando unatela o un affresco, i piatti e le ricettediventano immortali. Si possonoassaporare». Una macchina del tempo che viaggiaper mezzo dei sapori. Tra i romani,«la raffigurazione dei cibi è piuttostofrequente». Nel Rinascimento, simoltiplicano le pitture «che esaltanoil significato del cibo e lo raffigurano.In queste opere i commensali go-

dono del vino, del buon mangiaree della musica. La pittura di-venta cronaca reale, uno

scatto fotografico che testi-monia una società. Il Ghirlan-

daio con i suoi imponentiaffreschi mette un sigillo al bi-

nomio arte-cibo. Carracci eBruegel rappresentano il piacere

correlato al peccato di gola.Nel XVII secolo, quando

diventano molto richiestii soggetti decorativi

delle nature morte, Ja-

copo Chimenti raffigura i prodotti(polli, salsicce, carni) così da distin-guere i cibi cotti da quelli crudi».

L’uovo per fissare i colori, lapellicina della cipolla gialla per ilrosa tenue: l’arte si nutre dellaterra? «Certo che sì. L’artista utilizzava tuttiquei coloranti che madre natura glimetteva a disposizione. Ad esempio,il Perugino ricavava dallo zafferanol’oro e Piero della Francesca ottenevadal guado (pianta erbacea) l’indacodei suoi affreschi. Il colore è semprestato fondamentale sia nell’arte chenel cibo. Il primo elemento che cicolpisce di un alimento è la tinta cherivela forti influenze nella percezionedel gusto. Platone associava alle di-

verse tinte gli elementi naturali: rossoal fuoco, giallo all’aria, verde ai boschie agli animali, blu alla notte e all’ac-qua. Nel Medioevo, l’aggiunta di in-gredienti colorati era fatta per esaltareil sapore di un cibo».

Il cibo artistico è un linguaggio? «Ogni cibo ha da sempre un suo va-lore metaforico. L’uomo si nutre disimboli. Per questo anche nell’arte lapresenza di cibi è correlata alla meta-fora: l’agnello emblema del sacrificio;le scene di mercato che celebrano laricchezza ed esprimono la fiducia nelcommercio come fonte di benessere;il latte e il burro che rappresentano lamaternità e l’umanità di Cristo; lafrutta che identifica il piacere delcorpo e il cibo dello spirito; i dolci

A destra, una

natura morta di

Jacopo Chimenti;

sotto,

Alex Revelli

Sorini, docente

universitario

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AlexRevelliSoriniCIBO E ARTE

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simbolo di festa e ricchezza».

E quindi il banchetto può essereletto in chiave sociologica?«Greci e Romani fecero del ban-chetto un arte con appositi spazi de-dicati. Nel tardo Medioevo, eracostume fra le famiglie gentilizie rice-vere in strada, disponendo le tavolesotto la loggia, mentre nei castelli feu-dali i banchetti erano serviti nella salapiù ampia del palazzo. Nelle dimorearistocratiche rinascimentali e baroc-che, il banchetto veniva organizzatoin uno dei saloni più grandi, ove si al-lestivano raffinate scenografie. Tuttiquesti particolari sono rintracciabilinelle diverse opere d’arte. L’iconogra-fia del banchetto spazia dall’arte fune-raria etrusca e romana alle sceneevangeliche e bibliche del Rinasci-mento e del Seicento. Il banchettocome socialità o contatto fra uomo edivino. Dal Convito di Platone, occa-

sione per la riunione di un’elite di fi-losofi, al banchetto di Cleopatra or-ganizzato per attuare il piano diseduzione di Antonio attraversol’ostentazione di lusso e ricchezza».

Arte e cibo, ma anche arte evino…«La sua raffigurazione è legata aicontesti più diversi. Dalle scenedell’Antico Testamento come l’eb-brezza di Noè, alle nozze di Canafino alle nature morte. Il significatosimbolico del vino, soprattutto in Pla-tone, indica l’unione con il divino, laconoscenza spirituale o l’amore deipiaceri terreni. In seguito all’affer-marsi del cristianesimo, l’uso liturgicodella bevanda si è sacralizzata nell’eu-carestia. Nelle opere d’arte, lette se-condo l’esegesi medievale, il vinorappresentava il sangue di Cristo, ilmistero della sua divinità e della giu-sta dottrina».

Sei opere che tratteggiano l’evo-luzione del legame arte-cibo?«Le opere che vorrei indicare evi-denziano soprattutto il mio gusto digastronomo: l’affresco etrusco dellatomba Golini I di Orvieto, con unbanchetto come momento religiosoe sociale; i Capricci di Arcimboldi,dove frutta e verdura s’integranonella composizione di volti che sim-bolizzano le stagioni; il Banchetto diEster e Assuero del Vasari, nel quale ilbanchetto gioca un ruolo di media-zione politica; il Ragazzo con cane-stra di frutta del Caravaggio, con lafrutta che rappresenterebbe lesacre scritture e il loro dolce nutri-mento; Le déjeuner sur l’Herbe diManet, con il picnic in riva all’ac-qua di una donna nuda con genti-luomini in abbigliamento cittadinoe 200 Soup Cans di Andy Warhol,dove il cibo diviene icona della so-cietà dei consumi».

Nell’immagine,

l’Estate,

uno dei capricci

di Arcimboldi d

In Arcimboldifrutta e verduras’integrano nellacomposizionedei volti

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AlexRevelliSoriniCIBO E ARTE

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uella del cerimo-niere del Capo diStato è una figurache svolge sicura-mente un ruolomolto delicato.

Questo vuol dire non solo cono-scere il protocollo, ma anche le tradi-zioni storiche e gli usi dei governantie dei reali stranieri. Il suo compito èquello di curare al meglio l’organiz-zazione dell’attività di rilevanzaesterna del Capo dello Stato. Preci-sione e sobrietà sono elementi fon-

damentali nell’arte del ricevere, so-prattutto quando si tratta di visite uf-ficiali di uomini di Stato e di governononché di teste coronate. SecondoFilippo Romano, capo del serviziodel Cerimoniale del Quirinale, «Ilcerimoniale, qualche volta chiamatoanche protocollo o etichetta, non vaconfuso con il galateo o il cosiddettobon ton. Dio ci salvi dal profluvio dimanuali di sedicenti eredi di Monsi-gnor della Casa con la sacra mis-sione di fornire in pillole queirudimenti di civiltà che dovrebbero

far parte del normale bagaglio di chiama oppure è costretto a vivere insocietà».

Come è iniziata questa pas-sione?«Ho iniziato quest’attività assoluta-mente per caso: quando venni chia-mato al Quirinale lavoravo all’Ufficiolegislativo della Presidenza del Con-siglio e all’Istituto di diritto interna-zionale dell’Università di Roma,avevo solo una vaga idea di cosafosse il cerimoniale. Con il tempo,

sontuosa

sobrietàDAL 1997 FILIPPO ROMANO È A CAPO DELL’ UFFICIO DELCERIMONIALE DELLA PRESIDENZA DELLA REPUBBLICA.NUMEROSI GLI OSPITI ILLUSTRI ACCOLTI NEL TEMPO: DALLAREGINA ELISABETTA A BUSH, DA ARAFAT A FIDEL CASTRO

� di Nicolò Mulas Marcello �

Q

FilippoRomano

L’ARTE DI RICEVERE

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grazie all’entusiasmo e alla pazienzadei colleghi più anziani, mi sono ap-passionato e affezionato a un lavoromolto articolato che, purtroppo, aipiù appare assai cretino ed è moltodifficile da illustrare compiutamente.Molto azzeccata è la definizione delsenatore Giulio Andreotti, autoredella famosa circolare del 1950 chefino a poco tempo fa ha rappresen-tato Il Vangelo dell’Ordine delle pre-cedenze nelle pubblichemanifestazioni, “il Cerimoniale ècome la salute, ti accorgi che esistesolo quando viene a mancare”».

Ci può illustrare come sisvolge una giornata tipo di visitadi un Capo di Stato straniero alQuirinale?«Se il Capo dello Stato straniero è inItalia in visita ufficiale, la sua presenzaa Palazzo segue uno schema ormaiconsolidato, che prevede all’arrivo larassegna di un reparto in armi, Co-razzieri a cavallo e banda, un collo-quio con le delegazioni al seguito,delle dichiarazioni alla stampa e allasera un pranzo, in smoking e abitolungo, con rappresentanti delle varierealtà politiche, culturali ed economi-che del nostro Paese. Se il Capo diStato ospite gradisce, viene offerta lapossibilità di alloggiare negli Apparta-menti Imperiali (così chiamati per-ché realizzati in occasione della visitadell’Imperatore Guglielmo II di Ger-

mania alla fine del secolo scorso, ndr)del Quirinale. Tutta l’attività esternadell’Ospite è invece a cura del Ceri-moniale diplomatico della Repub-blica, che ha sede presso il ministerodegli Affari esteri».

Ricevere è un’arte. Quali sonole regole fondamentali per orga-nizzare una cena e ricevere ospiti? «Plutarco, nelle sue Dispute convivialisentenziava: “Non occorre minor ca-pacità nel condurre un esercito con-tro i nemici che organizzare conviviin onore di amici”. Quanto aveva ra-gione! Secondo me, anche per le oc-casioni conviviali di grande solennità,vale il detto aureo che la tavola è illuogo dove non ci si annoia o invec-chia… nella prima ora. Quindi è op-portuno realizzare menu significativi,ma che non obblighino il convitato arestare seduto troppo tempo. Ancheil servizio deve essere rapidissimo purconservando un certo stile. Certoquando si realizzano pranzi con 180ospiti seduti intorno a un tavolo aferro di cavallo, tutto ciò non è facilis-simo. Molto importante è poi il co-siddetto “piazzamento”, vale a direl’assegnazione dei posti al tavolo, chedeve seguire le regole dell’ordinedelle precedenze, temperato peròdall’inserimento di personalità nonappartenenti alle istituzioni, ma chehanno raggiunto l’eccellenza nei varicampi della vita associata».

Sotto, Filippo Romano con Laura Biagiotti.

A destra, Giorgio Napolitano, il Re Abdullah II

Ibn Hussein del Regno Hashemita di Giordania

e le consorti durante il pranzo di Stato

Importante èl’assegnazione dei postial tavolo, che deve seguirele regole dell’ordinedelle precedenze

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FilippoRomano

L’ARTE DI RICEVERE

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Il luogo del ricevimento rive-ste un ruolo importante? «Va detto che è una grande fortunaper il nostro Paese poter disporre perscopi di alta rappresentanza di unadelle regge più belle del mondo, ric-chissima di tesori d’arte, che suscitasempre una profonda emozione e unsincero stupore negli ospiti stranieri.Comunicare la maestà e renderecompiutamente leggibile il Potere(con la P maiuscola) è impresa deci-samente facilitata dal fascino e dallo

splendore del luogo».

Lei ha iniziato a lavorare nel-l’ufficio del cerimoniale nell’ 81con Sandro Pertini in carica.Negli anni ha operato a fianco dipresidenti come Cossiga, Scal-faro, Ciampi e ora Napolitano.Sono cambiati nel tempo i rituali?«Diciamo che, essendo la Presi-denza della Repubblica l’unico or-gano costituzionale monocratico,l’impostazione generale della vita

di Palazzo segue molto il caratteree la personalità del Capo delloStato in carica. Direi tuttavia chenel corso degli anni e dei diversimandati non vi sono stati cambia-menti epocali e le cerimonie hannosubito soltanto una semplifica-zione formale imposta dai tempi.Per quanto riguarda gli abiti,l’unico indumento formale previ-sto dopo l’abbandono del morningcoat o tight - un tempo usato per lapresentazione delle Lettere Cre-

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denziali dei nuovi ambasciatori ac-creditati presso il nostro Stato - edel full dress o frac, è lo smoking, inoccasione dei pranzi di Stato».

L’attenzione e la precisionesono elementi fondamentali per ilsuo mestiere. Si sono verificati epi-sodi in cui è saltato il cerimonialeorganizzato nei minimi dettagli? «La linea di confine tra il successodi una manifestazione e la com-pleta catastrofe è sempre una sot-tile linea rossa. Puoi metterci tuttala tua attenzione e precisione, mase una cosa deve andare storta lofarà. In tanti anni di questo lavoroho collezionato una serie di episodisciagurati, capaci di trasformare lapiù solenne delle cerimonie in una

comica. Con l’esperienza si puòmettere “una pezza” in corsod’opera, riducendo i danni, maspesso ciò non è possibile. A volteè colpa della tecnologia (il micro-fono che spernacchia durante unimportante discorso, per esempio,o l’ascensore che dopo tantissimianni di onorato servizio decide diintrappolare il tanto attesoOspite), a volte di qualche collabo-ratore meno dotato, ma che faparte comunque della “catena” dicomando, spesso del capo del ceri-moniale. A volte dell’incapacitàdello staff del Capo dello Statoospite di trasmettere al proprioboss le esigenze del protocollo».

Ci racconta un caso singolare?

«L’occasione era quella di un ban-chetto di Stato in onore di unCapo di Stato africano. È prassiche l’inizio del pranzo sia prece-duto da un breve discorso di ben-venuto del nostro presidente, alquale l’ospite risponde con un al-trettanto breve discorso. Nel corsodei vari sopralluoghi preparatoriera stato più volte indicato alla de-legazione straniera in 5 minutimassimo il saluto del nostro presi-dente e altrettanto per il Capo diStato ospite. Con questi tempi pre-visti si erano impartiti gli ordini allecucine per far “viaggiare” il son-tuoso risotto di apertura. Dopo i 4minuti e 55 secondi del saluto delnostro presidente parte la rispostadell’ospite, il risotto per 160 com-

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mensali intanto viaggia, mal’ospite, allo scadere del tempo sta-bilito per il suo discorso e, soprat-tutto, per la perfetta cottura delnostro risotto, non accenna a ter-minare. Anzi, tende a infervorarsi,molto meno comunque del Capocuoco che mi fa arrivare dalle cu-cine il suo lontano lamento. Cercodi sospingere con fermezza il mioomologo africano verso il suo bossper ricordargli gli impegni assunti,ma comprendo che mai avrebbeosato tanto. Informo le cucine chel’operazione risotto dovrà essere ri-petuta e mi preoccupo che non siapronto al termine del ricco di-scorso africano, facendo attenderegli illustri convitati con il piattovuoto davanti. Il Capo di Stato

ospite parlò serenamente per 50minuti. Il lamento del capo cuocoera ormai ridotto a pietoso merorantolo. Il mio presidente avevacessato di guardarmi cercando dicapire cosa stesse succedendo e ioavevo smesso di rispondergli allar-gando moderatamente le bracciacon un’espressione che sembravadirgli: “Signor presidente, chedebbo fare? Tolgo la corrente almicrofono?!”. Un calorosissimoapplauso dei convitati, distrutti, sa-lutò la fine del discorso. Solo uncupo brusio di sgomento quandol’ospite, dopo essersi seduto, si erarialzato in piedi, ma era solo per al-zare il calice per un brindisi. Di-menticavo, il risotto erabuonissimo!».

Nella pagina

accanto, il pranzo

ufficiale offerto da

Giorgio Napolitano

ai Capi di Stato

e di Governo

partecipanti al G8;

A sinistra, il pranzo

di Stato per la visita

del Presidente della

Repubblica Popo-

lare Cinese

Hu Jintao

La tavolaè il luogo dovenon ci si annoiao invecchia…nella prima ora d

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il cinema entra in cucina

Il Nando Moriconi di AlbertoSordi che “vuò fa l’americano”,per dirla con il titolo della can-zone di Carosone, ma alla fine

addenta un piatto di “maccaroni”.Lo Charlot di Charlie Chaplin chegusta, attanagliato dalla fame, i laccidi una scarpa come se fossero spa-ghetti ne La febbre dell’oro. Sono sol-tanto due tra le molteplici sequenzeche identificano il cibo come unodei protagonisti più trasversali dellacinematografia mondiale. Del resto,il cibo, da un lato, contribuiscecome veicolo di identità a definire lanostra storia e le nostre radici, dal-l’altro, si presenta, riunendo personedi qualunque ceto o provenienza at-torno a un tavolo, come un luogotradizionale di dialogo, incontro,scontro. «Il cinema – come spiegaGian Luca Farinelli, direttore dellaCineteca di Bologna – è, tra tutte le

arti, quella maggiormente attenta alquotidiano e agli eventi che ci cir-condano e che rispetto ad altrimedia, per le sue modalità di produ-zione, è caratterizzata da tempi dimaturazione che le permettono dielaborare i temi in maniera com-plessa». Ed è proprio la Cineteca diBologna, insieme a Slow Food, adaver promosso, nel 2008 e 2009,l’esperienza dello Slow Food onFilm, un festival capace di sviluppareun originale discorso critico sullaproduzione e sulla cultura alimen-tare.

Quali riflessioni sono emersein due stagioni di incontri e pro-iezioni, nell’attesa di lavorare auna ripresa della rassegna nel2011?«Da tema marginale nella produ-zione audiovisiva, la filiera alimen-

CIBO E CINEMA DA SEMPRE INTERAGISCONO.COME CIÒ AVVIENE È RACCONTATODA GIAN LUCA FARINELLI, DIRETTOREDELLA CINETECA DI BOLOGNA

� di Francesca Druidi �

G ian Luca Farinelli

IL SAPORE DELLE IMMAGINI

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tare è oggi diventata un’istanza rap-presentata in tutto il mondo, in tuttii generi e formati: lungometraggi,corti, documentari, fiction e serialitàtelevisiva. Colpisce la ricchezzadell’argomento, il vedere film che af-frontano in maniera innovativa iproblemi legati all’alimentazione inSudafrica o in Groenlandia piutto-sto che in Australia o nelle Langhe.È stata poi toccata la questione del“come” si racconta il tema».

La modalità più efficace?«Tanto più chi racconta riesce adallontanarsi da schemi scontati

tanto meglio riesce a rappresentarequeste storie di diversità. La filieradell’alimentazione è, infatti, costel-lata da infinite sfaccettature: l’errorepiù grande diventa, quindi, quello diraccontare tutto in maniera automa-tica e seriale, come a mio avviso faspesso la televisione italiana. Oc-corre rimarcare le differenze, tro-vando un modo peculiare sotto ilprofilo linguistico per lasciarle emer-gere, suscitando costantemente l’in-teresse del pubblico».

Per quanto riguarda l’espe-

rienza della Cineteca?«Al di là del festival, abbiamo pro-dotto due film che hanno forte atti-nenza con il cibo: Terra madre diErmanno Olmi e Storie di terra e direzdore, bellissimo documentario ilcui obiettivo è ricostruire la tradi-zione agroalimentare modenese,una memoria che rischia di scompa-rire, intervistando 200 persone, tracui contadini, allevatori e massaie-cuoche. La Cineteca ospita anche ilMercato della terra, un mercatodella filiera corta dove i produttoridell’area bolognese vendono diret-

In apertura,

Gian Luca Farinelli,

direttore della Cineteca

di Bologna. Nella pagina

a fianco, sequenze

di Storie di terra

e di rezdore, documen-

tario di Antonio Cherchi

e Nico Lusoli prodotto

dalla Cineteca

G ian Luca Farinelli

IL SAPORE DELLE IMMAGINI

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tamente i loro prodotti. Un’occa-sione unica per far conoscere la Ci-neteca e le sue attività a quelpubblico che ancora non la fre-quenta».

Nei film il cibo assurge, divolta in volta, a paradigma diun’interpretazione simbolicadella realtà oppure a ritratto dicostume di una società. Qualifood film sintetizzano meglio illegame tra cinema e cibo?«Negli ultimi anni se ne contanomolti, ma indicherei in particolareCous Cous di Abdellatif Kechiche eSoul Kitchen di Fatih Akin. Il primoaiuta a comprendere meglio il couscous, il cui valore risiede nella cora-lità. Questo tipo di piatto prevedeun consumo lento, allargato, quasi

rituale. Non può essere mangiatoda soli, serve una famiglia. Il film èriuscito a delineare in modo riccol’identità di un gruppo di personeattraverso la tradizione del consu-mare insieme questo piatto. Anchein Soul Kitchen, la cucina non è perniente un pretesto, ma il motoredella storia. Fatih Akin è un cinea-sta tedesco di origini turche. Dueculture gastronomiche differenti ecomplesse, oltre che portate a me-scolarsi. La “cucina dell’anima”,come indica il titolo, diventa unluogo privilegiato di confronto traculture diverse che oggi però ne-cessariamente coesistono. Per que-sto, la pellicola guarda avanti:tramite la cucina, ci porta in un fu-turo auspicabile di convivenza e disguardi incrociati».

Da sinistra, una scena del film Cous Cous di Abdellatif Kechiche

(2007); Charlie Chaplin mentre propone la “danza dei panini”, (c)

Roy Export Company Est

Tra cinema e tavolaesistono molteassonanze: una messain scena, un lavoropreparatorio

•Maggio 2010

G ian Luca Farinelli

IL SAPORE DELLE IMMAGINI

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Un esempio di film del passato?«Penso alla scena meravigliosa delpranzo in Amarcord di Fellini, doveattorno al tavolo sono sedute tutte legenerazioni, per ognuna delle qualiil pranzo assume un significato net-tamente diverso. La tavola diventacosì luogo di incontro, di diversità e,sebbene queste ultime abbianoun’unica matrice, per ogni genera-zione essa si declina in maniera dif-ferente. Il cinema ha da sempredocumentato e continua a docu-mentare questo tema. Così come atavola ognuno sceglie il propriomenu, così ogni spettatore coglie inun film aspetti particolari che unaltro non nota. Tra cinema e tavolaesistono poi molte assonanze: c’èuna messa in scena, un lavoro pre-paratorio, in fondo cucinare un

pranzo non è poi così lontano dalprodurre e realizzare un film».

Alcune sequenze legate al cibosono entrate nell’immaginariocollettivo. Può indicare le piùbelle e importanti sia sotto il pro-filo della qualità cinematograficache della rilevanza sociale?«Senza dubbio il Totò di Miseria enobiltà. Totò resta la personalità arti-stica italiana più misteriosa, più su-blime, quella maggiormente legataalle nostre corde più intime e se-grete, la cui complessità non si rie-sce a restituire in modo totale. Ognisuo film instaura rapporti profondicon un passato antichissimo e Mise-ria e nobiltà è uno dei lavori in cuiquesto legame risulta più forte, apartire dalla tradizione del teatro po-

polare napoletano passando per lacommedia dell’arte. Tutta la se-quenza dell’arrivo delle vivande,quando il personaggio di Totò salesul tavolo per precipitarsi sugli spa-ghetti, con la pasta persino nelle ta-sche, ci ricorda quello che siamostati: la povertà, la fame, l’inventiva,il Sud, lo scherzo. Una scena straor-dinariamente potente per quanto ri-guarda l’Italia. Poi ci sono lesequenze della danza dei panini edella scarpa bollita nel La febbredell’oro di Chaplin: la potenza sim-bolica e astratta nell’idea di man-giarsi una scarpa, evidenzial’influenza delle avanguardie e la tra-sformazione nell’uso degli oggettiattuata dal grande regista. Due se-quenze assolutamente indimentica-bili e difficilmente pareggiabili». d

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In alto, da sinistra,

Soul Kitchen di

Fatih Akin (2009)

e Totò in Miseria

e nobiltà (1954)

G ian Luca Farinelli

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Bologna

la dolceIN GIRO PER GLI STORICI BAR E PASTICCERIE DELLA CITTÀDELLE DUE TORRI, ACCOMPAGNATI DALL’IMPRENDITOREFRANCESCO MONTANARI

� di Nicolò Mulas Marcello �

Bologna

BENVENUTI A

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L a cultura dei bar e dellepasticcerie vissuti comeluoghi d’incontro, dovepoter unire la socialità delle

persone alla qualità dei prodotti daconsumare seduti a un tavolino, èforse da attribuire a un passato lon-tano. Il dinamismo della società haportato le persone a un utilizzo deibar per un consumo veloce, magariin piedi, di brioches o altri prodottispesso surgelati e quindi di scarsaqualità. «Oggi è abbastanza indiscri-minata la differenza tra bar e pasticce-rie» spiega Francesco Montanari.«Una volta le pasticcerie eranoquelle che avevano il laboratorio, ibar invece quelli che comperavanofuori. Oggi in tutta Bologna si pos-sono contare poche vere pasticcerie ei bar sono luoghi dove si beve uncaffè e poco di più». Sotto le DueTorri con la chiusura di luoghi storicicome il Bar Impero di via Indipen-denza o la pasticceria Viscardi in viaRizzoli, questa cultura è andata spe-gnendosi. «I bar storici bolognesi oggi di fattonon esistono. Esistono dei ricordi.Zanarini oggi è un po’ meno allegrodel bar di Guerre Stellari e un po’peggio del Cantagallo del 1975, nelsenso che al di là di avere una posi-zione strategica invidiabile sicura-mente non ha altre attrattive diqualità». La qualità dei prodotti spesso pur-troppo non sembra essere una prio-

rità. «Le brioches surgelate che unavolta tristemente vedevamo adagiatenegli autogrill – afferma Montanari– oggi le troviamo anche nei bar piùblasonati della nostra città». Bastipensare al fatto che la maggior partedei bar cittadini non produce artigia-nalmente i propri prodotti ma li ac-quista da terzi. «Per quanto riguardai bar, sta venendo meno l’attenzionedel consumatore alla materia primaperché c’è anche meno tempo perdegustarla e perché sono cambiatianche i gusti e le aspettative. Oggisono abbastanza richiesti i bar in cuisi riesce a sedersi a fare quattro chiac-chiere senza privilegiare il prodotto,cosa importante per i bar fino all’ini-zio degli anni 80. Prima la qualità delprodotto discriminava i posti attrat-tivi da quelli non attrattivi, oggi, in-vece, il bar ha successo o meno inbase al suo posizionamento. I bar sto-rici bolognesi oggi di fatto non esi-stono più». Ciò detto però qualche spiraglio dieccellenza sotto le Due Torri è rima-sto. «Una pasticceria che a mio av-viso è sicuramente ancora di pregio –sostiene Montanari – si chiama Pa-sticceria Saffi e si trova a Porta Saffi.Qui è possibile assaggiare ancora unabrioche salata di pasta sfogliata leg-gera di alta qualità e un ottimo cal-zone con la mozzarella e ilprosciutto». Questa pasticceria haconservato l’ottima abitudine diavere un laboratorio e di fornire un •

Bolognese doc, laureato in architettura,Francesco Montaari opera nel settoredelle costruzioni ed è vicepresidentedell’Associazione nazionale costruttoriedili dell’Emilia Romagna.Col tempo ha maturato una forte passioneper le specialità dolciarie della cittàdi Bologna, seguendo l’evoluzionedelle pasticcerie e scoprendo i luoghid’eccellenza sparsi sotto le Due Torri.

UN’INSOLITA GUIDA

Bologna

BENVENUTI A

191 • GustoMaggio 2010

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Gusto • 192

prodotto tiepido ogni 3-4 ore. «Quisi può ancora trovare un dolce tipicobolognese che si sta perdendo, i vec-chi “sabadoni”, una specie d’impastocon dentro la mostarda, bagnati nel-l’alchermes. Un dolce dei nostri padrie dei nostri nonni. Inoltre, un’ottimatorta di riso, anche questa della tradi-zione bolognese che si sta perdendo.Infine, si può gustare una briochefatta a cupoletta bassa chiamata“ofella” o “ofelia” che una volta era fa-mosa al Bar San Domenico o da Vi-scardi, e che ha la caratteristica diessere farcita con crema e avere laparte a forma di cupola di pasta frolla,mentre la parte piana di pasta sfoglia.Questi due trattamenti della pastauniti alla crema creano una briocheunica». Un’altra pasticceria fuori dei circuiticentrali bolognesi si trova subitodopo porta San Donato e si chiama ISapori della Taranta. «Qui si pos-sono trovare specialità pugliesi tra cuiil “pasticciotto”, un contenitore di

pasta frolla ripieno di crema pastic-cera. Consiglio di andarci dalle 8:15alle 9, orario in cui questo prodotto èanche caldo e come sanno i golosi,questa temperatura è direttamenteproporzionale a un gusto più persi-stente». Parlando di prodotti specifici è da ci-tare sicuramente «in via Murri la pa-sticceria Dulcis in Fundo che, inparticolare, produce un buonissimodolce a base di mascarpone e un’altradelizia non facile da trovare, ovverouna brioche salata con marmellata dialbicocca: un contrasto dolce salatovincente». Rimanendo nei paraggi «un’altrabuona brioche salata e una classicabrioche cornetto con la marmellata lasi può trovare, sempre in via Murri,alla pasticceria Le Dolcezze». Qui èpossibile assaggiare anche un classicomaritozzo di ottima fattura.

«Una particolarità molto stuzziche-vole la troviamo in via Toscana alla

pasticceria Delis dove, a parte le sa-late calde che si trovano la domenicamattina dalle 8:30 e che occorre at-tendere con religiosa attenzione, unacosa molto buona sono le salate chehanno all’interno maionese, pro-sciutto cotto, e insalata a mo’ di tra-mezzino. Un bocconcino appetitosoe buono. Inoltre un gustoso fagottinoripieno di mele». Spostandosi in via Massarenti, l’omo-nima pasticceria «offre una singolarebrioche salata mignon con acciuga eun’altra specialità che si chiama “ven-taglio” o “manina” e che consiste inuna pasta sfoglia caramellata ripienadi crema». Il centro storico purtroppo è un po’ ilgrande assente, nel senso che le vec-chie tradizioni di grandi pasticcerieche aveva Bologna sono andate per-dendosi. «Per quanto riguarda il cen-tro c’è un settore che ci siamo un po’persi per strada. Pizze e pizzette po-polavano le merende dei ragazzinibolognesi nel sabato pomeriggio. L’unica pizzetta che rimane degna diquesto nome, ancora di grande qua-lità e attenzione è quella di Laganà in

In alto,

Gino Fabbri, titolare

della pasticceria

La Caramella di

Granarolo, in pro-

vincia di Bologna.

Sotto,

la brioche farcita

della pasticceria

Delis

Maggio 2010

Bologna

BENVENUTI A

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193 • Gusto

via Santo Stefano che produce lastessa classica pizzetta da 45 anni,sempre di grandissimo pregio cosìcome il panettone salato, che è rima-sto negli anni sempre un elementoappetitoso e di grande qualità». Tra le brioches non di pasticceria o dilaboratorio, acquistate da terzi ma, se-condo Montanari, di livello decoroso«sono assolutamente da citare quelledel Canton dei Fiori in via Indipen-denza, i cui gestori sono i vecchi pro-prietari del Bar Impero, quindi unafamiglia di grandissima tradizione pa-sticcera bolognese». Volendo fare uno spuntino appeti-toso va ricordata «la crescenta bo-lognese con un po’ di cotto omortadella o una fettina di coppapresso l’Enoteca italiana di viaMarsala».

Alle porte della città, e in particolare aSan Lazzaro di Savena, troviamo «laPasticceria Repubblica che rimaneuno degli unici punti di grandissima

qualità. Qui si può prendere la “gri-gliata” ovvero una pasta frolla ripienadi zabaione su più strati. E da portarea casa consiglio la “bavarese” che è unottimo. Anche qui la brioche salatasempre di pasta sfogliata è un pro-dotto senz’altro di grande qualità». Per gli amanti della classica briochedolce a cornetto che accompagna inmaniera egregia un caffè o un cap-puccino «va ricordato il bar La Cara-mella di Granarolo, che ha parecchiprodotti di qualità tra cui la briochesfogliata dolce detta anche francesina,assolutamente da assaggiare». Tra lespecialità più adatte a uno spuntino oun pranzo veloce «è senz’altro da ci-tare il calzone che viene fatto da Dinonel centro di Castenaso, una pastic-ceria che ne sforna caldi di continuo.La temperatura in questo caso è uncomplice ideale per assaporare atten-tamente tutte le caratteristiche orga-nolettiche di un buon calzone». Uscendo un po’ da Bologna, a SanGiovanni In Persiceto «c’è la pastic-

ceria Mimì che è importante per lebrioches, ma soprattutto per i biscottiAfricanetti a base di uovo e che sisciolgono in bocca: quasi un incrociotra una meringa e una pasta frolla.Inoltre, qui si trova anche la torta dicioccolato detta della Nemida, cheha la peculiarità di avere una pastamorbida all’interno con crema e unacorteccia un po’ croccante sul-l’esterno. È un dolce che viene fattoda tantissimi anni dalla Mimì e la pa-sticceria merita una visita anche soloper questo». Dulcis in fundo, secondo Monta-nari, per trovare un buon caffè a Bo-logna non è necessario girare tanto:«Oggi la qualità di caffè è abba-stanza alta dovunque. Ma per uncaffè di qualità, servito in manieracorretta e con la possibilità di sce-gliere diverse miscele, bisogna an-dare in via Porta Nuova, in un barche si chiama Aroma dove è pre-sente qualche tavolino e musicaclassica all’interno».

A sinistra, l’esterno de Le Dolcezze, locale famoso per il classico

maritozzo; qui sotto, il sabadone, specialità dolciaria della pasticce-

ria Saffi di Bologna

d

Maggio 2010

Bologna

BENVENUTI A

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SULLE RIVE DEL GARDAIl pesce d’acqua dolce

Gusto • 194 Maggio 2010

«CIÒ CHE MI COLPIVA DEI PESCATORI ERA LA LORO PERFETTA CONOSCENZA DEI FONDALI E DELLE ABITUDINI ALIMENTARIE DI VITA DEI PESCI». LA VOCE DELL’ESPERTOGIORGIO VEDOVELLI

� di Renata Gualtieri �

il tesoro

del garda

I fondali nel lago di Garda sonoi più disparati, si va dalle còrnerocciose dell’Alto lago ai can-neti dell’arco meridionale, fino

ai fondali sabbiosi e ghiaiosi. Anche ipesci sono i più vari, ciascuno con lesue abitudini. Nei secoli i pescatorihanno elaborato un insieme di co-noscenze, seguite da tecniche dipesca adeguate, che hanno per-messo di avere una risposta di cat-tura per ogni tipo di pesce, ovunquesi trovi all’interno del lago. Il remàtera la rete regina del Garda: arrivavaai 400 m di lunghezza e ai 40 di al-tezza e da sola bastava a conferire

prestigio a una comunità di pesca-tori. «Ora i tempi sono molto cam-biati – spiega il professor Vedovelli– e anche i pescatori si sono adattatialle nuove circostanze. Pescatori cene sono pochi, perciò le grandi reticollettive sono scomparse. Su ognibarca raramente vediamo più di unpescatore che da solo deve calare esalpare le reti e dirigere la barca, maper fortuna ora ci sono i motori.Scomparse le reti a strascico, per igravi danni arrecati all’ambiente, lereti a catino sono state sostituitedalle reti da posta, più semplici dausare e meno esigenti per quanto ri-

A sinistra,

Riparazione delle

reti a Lazise,

le reti sono “volan-

tini”, impiegate

nella pesca dei la-

varelli e dei carpioni

- anni 50

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195 • Gusto Maggio 2010

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guarda la manodopera. Le reti atrappola sono molto meno usate,mentre un buon successo lo riscuo-tono ancora i volantini e i ré pen-dénti, per i carpioni e i lavarelli, leantàne, gli antanelli, i tramàgli e gli s-ciaolòti per altri pesci; nel basso lagosono ancora attive postazioni fisseper la pesca delle anguille».

La dieta dei pescatoriDi norma, la dieta era a base dipesce di scarso valore economico,come cavedani, triotti, scardove, al-borelle e alose, anche se non manca-

vano ricette per cucinare i carpioni.«Quella tradizionale – precisa Ve-dovelli – consigliava di pulire perbene il carpione, salarlo all’interno emetterlo sulla graticola, senza ag-giungere alcun sapore; quindi utiliz-zando una penna di gallina, sipassava il pesce delicatamente, ditanto in tanto, con l’olio di oliva.Una volta pronto il carpione si con-diva con olio di oliva crudo, possibil-mente locale come consigliavano gliesperti. In passato questo pesce siconservava fritto e, dopo esserestato spruzzato di aceto e avvolto in

197 • Gusto Maggio 2010

SULLE RIVE DEL GARDAIl pesce d’acqua dolce

Castello Scaligero di Torri del Benaco - Museo del Castello Scaligero - Viale F.lli Lavanda, 2 tel/fax. 045.6296111

È il primo museo della pesca delle acque interne sorto in Italia nel 1980 e raccoglie la quasi to-

talità delle reti e degli attrezzi da pesca del lago di Garda. Il pezzo forte della collezione è un remàt

originale, di cotone, sistemato nella Sala degli antichi Originari, dedicata interamente alla pesca

dell’alosa, il pesce che permise la sopravvivenza delle famiglie di pescatori organizzate in questa

antica corporazione di mestiere (1452). Qui, in una bacheca, è pure conservato l’archivio di que-

sta associazione, con i registri contabili e le delibere risalenti al 500, libri recentemente restau-

rati presso l’Abazia di Praglia, in provincia di Padova. Il grosso della raccolta è conservato nella

cosiddetta barchéssa, dove gli oggetti esposti sono divisi per sezioni e illustrati con foto, disegni

e plastici: qui possiamo ammirare molte delle grandi reti a catino e a strascico, dall’oraról per le

alborelle, al comàrs per i carpioni e alla striàra e alla birba per tinche e lucci; una góndola piàna,

la tipica barca da pesca a fondo piatto, di chiara origine veneta, e, tra le reti da posta, i reoni e le

antiche antane, ricostruite secondo la tecnica tradizionale da Mario Fava, uno degli ultimi retai del Garda. Non mancano le pesche al traino, come le tirlindane

e i matròs, oltre a fiocine e foroni. Infine alcune reti provenienti dal lago d’Iseo sottolineano gli stretti rapporti da sempre esistiti fra questo lago e il Benaco. Un

altro motivo d’interesse del museo è costituito dalla spettacolare serra di limoni eretta del 1760, una coltivazione dell’olio d’olivo e la Sala delle Incisioni rupe-

stri, risalenti all’età del Bronzo.

Il museo della pesca nel castello

di Torri del Benaco

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SULLE RIVE DEL GARDAIl pesce d’acqua dolce

Marzo 2010 199 • Gusto

foglie di alloro, prendeva la strada divarie città italiane». I carpioni cosìconservati arrivavano pure nelleFiandre e alla corte del sultano diIstanbul. Anche le grosse trote lacu-stri venivano vendute, tranne quelleche i pescatori riuscivano a sottrarrealle lontre, troppo rovinate per es-sere commerciabili. «Un piatto ti-pico del Garda – ricorda ilprofessore – erano le àole salè conalborelle pescate durante la fregola,prive di residui vegetali nello sto-maco e perciò più appetibili e facilida conservare. Dopo essere staterese vizze, stese al sole su graticci dicanna vi aggiungevano sale di cu-cina nella misura di tre etti per ognichilo di pesce, spesso con l’aggiuntadi un po’ di aglio. Tutta la massa,poi, veniva posta in un vaso e tenutapremuta da un sasso: nel giro di 40

giorni le alborelle erano pronte peressere impiegate come componentedi salse o come condimento neglispaghetti, dando origine ai cosid-detti bìgoi co le àole, una pasta fre-sca a filo lungo condita con salsaricavata da alborelle in salamoiasfatte nell’olio extravergine di oliva».Per gli abitanti di Torri del Benaco,di Garda e, soprattutto di Brenzone,il commercio delle àole salè, erafonte di un notevole reddito.Quando l’esposizione al sole si pro-traeva per almeno tre giorni si otte-nevano le àole séche, impiegate inun altro piatto caratteristico, il sisàm,composto da alborelle essiccate e ta-gliate a pezzettini, cipolle stufate inaceto, olio, sale e poco zucchero.«Tra i piatti presenti oggi sulle ta-vole dei ristoranti specializzati inpesce di lago – continua Vedovelli –

d

•troviamo il luccio in salsa, bollito econdito con alborelle, cipolle sof-fritte e capperi; le sardéne én saór,alose fritte e condite con aceto, ci-polla, olio e, talvolta, con pinoli e uvapassa e la zuppa di pesce di lago ser-vita con crostoni di pane casereccio.Tra i secondi, il pesce persico, sfilet-tato, infarinato e passato in padellacon poco burro e una fogliolina disalvia e i filetti di coregone alla mu-gnaia. Coregoni, trote e lucci si cuo-ciono anche al cartoccio o al vapore,mantenendo così intatta la fragranzae la leggerezza del pesce». Diffusis-simo è il pesce arrostito sulla grati-cola, soprattutto coregoni, anguille,alose e carpioni e la frittura di pescedi lago che è composta da alborelle,filetti di persico, alose e tranci di ca-vedano fritti nell’olio extravergine di oliva.

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201 • Gusto Maggio 2010

SULLE RIVE DEL GARDAIl pesce d’acqua dolce

L a Cooperativa nasce nel1942. Tutti i giorni nellospaccio di via AnticheMura, a due passi dal

porto, si trovano pesci del Garda fre-schi in quantità e varietà che dipen-dono dalla stagione e dalla pescositàdel momento. Stefano Ragnolini, èpescatore e consigliere dell’associa-zione che raccoglie una ventina di pe-scatori professionisti gardesani.

Come sono cambiate le tecni-che di pesca utilizzate nel passag-gio tra giovani e vecchi pescatori?«Le tecniche di pesca sono rimastepraticamente le stesse. Sono cam-biate invece le reti che una voltaerano di seta e di cotone e avevanobisogno di una costante manuten-zione perché se non venivano asciu-gate si rovinavano. Adesso sono in

IL PESCE D’ACQUA DOLCE DELLE ZONE DEL GARDA È UNICO PER LA PROFONDITÀ DEL LAGO E LA QUALITÀDELLE ACQUE». IL MESTIERE E LA PASSIONE DI STEFANO RAGNOLINI

� di Renata Gualtieri �

Una storia

lunga 68 anni

nylon o monofilo e non hanno biso-gno di particolare cura. La vera inno-vazione, però, è rappresentatadall’utilizzo dei motori fuoribordoperché ci hanno permesso di uscireuno per barca. Prima si era costrettiad andare in tre, perché due anda-vano ai remi e uno calava le reti».

Quanto è pescoso il Lago diGarda e quali sono le varietà dipesci d’acqua dolce presenti?«Il Lago di Garda è abbastanza pe-scoso, soprattutto in certi periodi eper alcuni tipi di pesci. Per esempio inestate peschiamo tanti agoni e lava-relli. Nel Lago di Garda ci sonoanche persico, tinche, lucci, anguille,qualche trota lacustre e qualche car-pione che è un salmonide esclusivodel Lago di Garda».

Quali sono i pesci del Lago più

In apertura fasi finali della pesca delle alose

con il remàt - anni 50. Sopra, il quartiere

dei pescatori a Sirmione, agli inizi del 900

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203 • Gusto Maggio 2010

SULLE RIVE DEL GARDAIl pesce d’acqua dolce

venduti nel vostro spaccio?«Lavarelli, sarde, persico, trote e car-pioni, quando ci sono, perché in que-sti periodi è un po’ una rarità, vanno aruba».

Quali sono le caratteristicheche rendono unico il pesce d’ac-qua dolce delle zone del Garda?«La freschezza perché il pescato no-stro va venduto in giornata e poicredo che, data la profondità del lagoe l’assenza di grosse fabbriche, la qua-lità dell’acqua, e quindi anche quelladel pesce, sia molto buona».

Per esportare i sapori delGarda la Cooperativa ha creatodei punti vendita di specialità abase di pesce d’acqua dolce equali sono i prodotti che hannopiù successo tra i vostri clienti?«C’è solo un punto vendita all’in-terno della nostra sede. Con il nostropescato però arriviamo fino in pro-vincia di Como, Lecco, Mantova,Brescia, Bergamo. Insomma buonaparte della Lombardia che è il nostroreferente principale, dove va l’80% delnostro pescato. Dal Veneto invecenon arriva una grossa richiesta».

I pesci del Lago di Garda

d

Il pesce simbolo del Garda è il carpione, ora molto raro, un salmonide caratterizzato da due periodi riprodut-

tivi, in inverno e in estate e da carni ottime. Nelle reti dei carpioni, catturati durante le loro migrazioni dalle

zone di fregola alle zone di pastura del Basso lago, incappano sovente anche i lavarelli. Questo pesce, plan-

tofago come il carpione e che si riproduce in dicembre-gennaio lungo le coste ghiaiose dell’Alto lago, è molto

abbondante e ricercato nei ristoranti. Ambito dai buongustai è il pesce persico. La posa delle uova ha luogo

da aprile a maggio e le sue carni sono saporite. Sui fondali erbosi del Basso lago è comune il luccio che pre-

senta carni abbastanza buone, anche se ricche di lische. È presente lungo la fascia litorale, soprattutto del

basso lago, su bassi fondali fangosi, la tinca che si nutre di larve di insetti, molluschi e piccoli crostacei e ha

carni discrete. Entra come componente nella vecchia ricetta locale del riso con la ténca. L’anguilla presente

nel Garda, grazie ai ripopolamenti, si ciba di invertebrati di fondo, di piccoli pesce e delle loro uova; le sue carni

sono buone, anche se particolarmente grasse. Tipica del Garda è la trota lacustre, ora molto rara nel Benàco.

Può arrivare anche ai 10-12 kg di peso, si riproduce da ottobre a gennaio, lungo il tratto terminale del fiume

Sarca e ha carni eccellenti. Un pesce, ora sempre più raro, è il cavedano, un onnivoro dalle carni saporite ma

con molte lische. Un tempo veniva affumicato e la sua polpa, macinata, era impiegata per confezionare pic-

cole polpette, con l’aggiunta di pane grattugiato, aglio e uovo, il tutto fritto nell’olio bollente. Ancora diffusi,

ma di scarso valore alimentare, sono le scardole, i barbi e le grosse carpe.

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205 • Gusto

SULLE RIVE DEL GARDADal Pescatore

«CONOSCERE E STUDIARE CUCINE, USI E COSTUMI DI ALTRIPAESI È STATO PER NOI IMPORTANTE». ANTONIO SANTINI ELA RICERCA CONTINUA DELLA QUALITÀ

� di Renata Gualtieri �

Nella composizione di unpiatto si cerca di rispet-tare il prodotto primo e ilsapore semplice degli in-

gredienti. Un lavoro di equilibriopiuttosto difficile, ma assolutamentenecessario per dare modernità e at-tualità a ciò che prepariamo». Anto-nio Santini, che prima faceva il

pescatore sul fiume Oglio, ha fondatoil ristorante Dal pescatore nel 1925insieme a Teresa Mazzi. Oggi rac-conta l’arte di un’intera famiglia.

Quanto resta oggi della tradi-zione, nei colori nei sapori dellacucina e nella gestione della fami-glia Santini?«Nel Dna del ristorante e della fami-glia Santini, resta l’idea che il cliente ècentrale e indispensabile, tutto ciòche si può fare per il benessere del-l’ospite è stato sempre il fine della no-stra famiglia. Certo con mezzi diversi,ma con la stessa volontà».

Quali sono i piatti di pesce difiume presenti nella vostra lista?«Quando il mercato lo permette,direi luccio, anguilla, pesce gatto,tinca. Sono tutti pesci presenti nelmenù».

Quanto viene richiesto ri- d

A tavola

s’incontra

il mondo

spetto al pesce di mare dai clientiche si siedono alla vostra tavola?«Nelle pescherie è più facile trovarepesce di mare di alta qualità, ma esi-stono ospiti che vogliono provare igusti della terra e del pesce di lago,purtroppo i fiumi non sono in gradodi fornire pesce di qualità adeguata. Seci mettessimo impegno, intelligenza,rigore, controlli rigidi, potremmoavere ancora tra alcuni decenni deifiumi che ci daranno pesce buono,per il momento i laghi sembrano es-sere già in condizioni migliori».

Quanto è interessante per unochef dal punto di vista gastrono-mico e nutrizionale il pesce d’ac-qua dolce?«Il pesce di acqua dolce ha sapori,gusto e caratteristiche originali e uni-che, per questo le ricette e le prepara-zioni con pesce di acqua dolce sonoveramente valori assoluti da non per-dere».

Nella foto,

la famiglia Santini

del ristorante

Dal Pescatore

di Canneto

sull’Oglio

foto di Philippe Scaff

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SULLE RIVE DEL GARDADal Pescatore

207 • GustoMaggio 2010

Ingredienti :

Ingredienti:200 g di riso vialone nano

4 pesce gatti (oppure 8 filetti di pesce gatto)150 g di filetto d’ anguilla

8 cucchiai di burro4 cucchiai di sedano tritato

2 cucchiai di cipollotto tritatonoce moscata

parmigiano reggianoacqua e brodo 450gr

sale e pepe

Tempo di preparazione: 15 minuti

PREPARAZIONE DEL PESCE GATTO

Sfilettate il pesce gatto a crudo e cuocetelo in padella antiaderente con 3 cucchiaidi burro, cipollotto e sedano tritati. Solo quando la padella sarà ben calda adagiatei filetti dalla parte della pelle e cuocete a fuoco moderato per 10 minuti. Alla finegrattugiate la noce moscata sui filetti e salate. Togliete la pelle del pesce e mettetei vostri filetti in un piatto.

ESECUZIONE DEL RISOTTO

Mettete in una casseruola 5 cucchiai di burro, un cucchiaino da te di cipollottotritato e soffriggete per qualche secondo. Versate poi il risotto nella casseruola,lasciate tostare per circa 20 secondi e quando il risotto inizierà a tintinnare ag-giungete poco per volta un mestolo di brodo e uno di acqua alternativamente

quando necessario. Trascorsi tre minuti aggiungete i filetti di pesce gatto e con-tinuate la cottura sino ad ultimarla dopo circa 10-12 minuti. Poco prima di ser-vire il risotto, arricchirlo con i filetti di anguilla fritti in olio extravergine di oliva.

RISOTTO AI FILETTI DI PESCE GATTOE ANGUILLA CROCCANTE

≤≥

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DOVE E PERCHÈCamillo Langone

Gusto • 208Gusto • 208

LA SPECIALITÀ LOCALE E IL VINODEL POSTO SONO DA PREFERIRESEMPRE, ASSIEME ALLA SEMPLICITÀ, PER LO SCRITTORE E GIORNALISTAENOGASTRONOMICOCAMILLO LANGONE

� di Simona Cantelmi�

saporiautoctoni

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DOVE E PERCHÈCamillo Langone

209 • Gusto

Per delineare il ristoranteideale spesso è più imme-diato descrivere cosa questonon deve avere, quali sono

quegli elementi o atmosfere che nonci predispongono bene al pasto. È ciòche fa Camillo Langone, scrittore egiornalista enogastronomico. Cele-bre è il suo Maccheronica. Guida rea-zionaria ai ristoranti italiani, in cuiLangone esprime un parere irrive-rente e assennato allo stesso tempo,suggerimenti che spingono alla rifles-sione su ciò che ci piace e ciò in cuinon vorremmo imbatterci quando cirechiamo in un locale per goderci unpasto in relax o in allegria. Perché,come afferma lo scrittore, «la vita ègià abbastanza complicata».

Che tipo di qualità deve avereun buon ristorante? «Deve essere buono e bello, cioèconfortevole, cordiale, caldo. Nonm’interessa mangiare bene in unasala poco riscaldata o troppo raffred-data dal condizionatore, con la mu-sica alta, i camerieri scortesi e unrapporto sedia-tavolo sbagliato. Evitoanche il brutto in senso stretto: nonho mai mangiato da Aimo e Nadiaperché su internet ho visto chehanno quadri alle pareti che mi fareb-bero perdere l’appetito».

Quali sono i segnali d’allarmedi un cattivo ristorante?

«Comincio a giudicare un ristorantedall’esterno, dall’insegna, ma soprat-tutto dalla carta appesa a fianco dellaporta: se la lista dei piatti è moltolunga e piena di errori di ortografia èquasi certo che non si mangeràbene».

Ha senso oggi parlare di cu-cina conservatrice e di cucinapost moderna?«Per me esiste la cucina di tradizionee la cucina del nulla. Per cucina di tra-dizione non intendo quella che ripro-pone pedissequamente il ricettario diAnna Gosetti della Salda, ma quellacapace di far evolvere il nostro patri-monio gastronomico dando vita apiatti riconoscibili, con un luogo euna storia, in grado di rimanere incarta per anni. Per cucina del nulla in-tendo quella di Ferran Adrià ed epi-goni, una cucina tecnocratica edisumana, che grazie a Dio è in crisi».

Cose rende una cucina intolle-rabile?«Il sale e lo zucchero. Nei buoni ri-storanti questi ingredienti obsoletivengono usati con mano sempre piùleggera: prima scompaiono e meglioè».

Qual è il matrimonio fra piattoe vino perfetto?«Piatto del posto e vino del posto,sempre».

Salumi e vino

a profusione

Osteria Bottega

40123 Bologna, via Santa Caterina 51

tel. 051-585111

Sotto il portico di via Santa Caterina nel centro di Bologna c’è un

locale piccolo e grazioso, dall’atmosfera calda e vivace, anche per-

ché sempre affollato ogni giorno, anche durante la settimana (cosa

che rende necessaria la prenotazione). All’Osteria Bottega ad ac-

cogliere la clientela ci sono l’oste Daniele Minarelli e un’affettatrice

a mano in bella mostra. Tra i piatti regna la tradizione culinaria

emiliana. «Qui si può assaporare la cucina tradizionale, della casa,

fatta attraverso un aspetto a cui teniamo molto – spiega Minarelli

- cioè la ricerca della grande materia prima del territorio: ad esem-

pio l’asparago di Altedo, per la tagliatella col culatello e l’aspa-

rago. Poi la ricotta di San Patrignano, grazie all’amico Andrea

Muccioli, per i tortelli. Facciamo, inoltre, un grande lavoro ovvia-

mente sulla sfoglia. E io adoro i salumi: offriamo antipasti al Crudo

di Parma, salame di culatello, per non parlare della salsiccia cruda

con pepe e rosmarino». Non facciamoci mancare i dolci. «Nostre

specialità sono la torta di riso (nella foto) e la zuppa inglese, ese-

guita secondo la ricetta tradizionale, senza cioccolata. Per quanto

riguarda i vini, abbiamo una cantina con i vini dei colli bolognesi,

il sangiovese, poi i bianchi, l’albana. Faccio poi un angolo con

champagne e pecorini». Un pasto completo va dai 35 ai 50 euro.

«Siamo sotto i portici di Bologna, città bellissima e ospitale, come

siamo noi, che vogliamo coccolare i nostri ospiti».

Maggio 2010

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211 • Gusto Maggio 2010

DOVE E PERCHÈCamillo Langone

TRADIZIONI abruzzesi

d

• Ci sono ristoranti che oggi ag-giungerebbe al suo Macchero-nica?«Ce ne sono molti. In Macchero-nica non avevo fatto in tempo a in-serire uno dei migliori cuochiitaliani, Ettore Bocchia (Mistral, Bel-lagio, Como); il massimo innova-tore della formula trattoria, DavideOldani (D’O, Cornaredo, Milano);la più succulenta cotoletta alla mila-nese (Nuovo Macello, Milano);l’oste più bravo d’Italia, cioè DanieleMinarelli (Osteria Bottega, Bolo-gna); i più memorabili sapori abruz-zesi (La Bandiera, CivitellaCasanova, Pescara) e l’unico risto-rante pugliese dove vorrei ritornare(Bacco, Bari)».

In apertura, Camillo Langone;

sotto lo Chef Ettore Bocchia

Tra le colline pescaresi si trova La Bandiera, ristorante in cui la cucina è essenziale, innovativa e

raffinata allo stesso tempo, fondata sulla bontà delle materie prime, scelte personalmente dai pro-

duttori locali. L’Abruzzo mantiene intatte le sue tradizioni gastronomiche. Pastorizia e agricoltura

sono attività ancora ben sviluppate e la gastronomia propone gusti forti e genuini, la cucina è ro-

busta nei sapori. «Facciamo una cucina molto stagionale» spiega il responsabile Marcello Spadone.

«Ad esempio, realizziamo un piatto legato alla tradizione locale che si chiama “Le virtù”, che si rifà

all’usanza di svuotare le credenze dei prodotti invernali quando arrivava la primavera. Gli ingre-

dienti, infatti, sono un connubio delle due stagioni: pasta secca, legumi secchi, cotica, osso del

prosciutto, pasta fresca e verdura fresca». Dominano nei piatti abruzzesi aromi e spezie. Un altro

aroma vegetale abruzzese è lo zafferano e nella provincia dell’Aquila si produce zafferano di qua-

lità pregiata, che viene esportato. Fra i piatti del ristorante La Bandiera ci sono, infatti, raviolini di

pecorino con carciofi e pistilli di zafferano. Le erbe aromatiche impiegate nei piatti sono coltivate

personalmente dai gestori in un orto vicino. Fra i primi, del tutto particolari i tortelli di baccalà

mantecato con taccole e crema di cicerchia, i fusilloni di semola con “coratella”e pecorino di Fa-

rindola e le pappardelle allo stracotto di “papera muta” e scalogno. La carta dei vini conta sette-

cento etichette, «con i migliori vini italiani, francesi e spagnoli» conclude Spadone.

Ristorante La Bandiera Contrada Pastini, 4 - 65010 Civitella Casanova (PE)

tel. 085 84 52 19 - www.labandiera.it

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IL VALORE DEL FATTO A MANODagli antichi ricettari

IL CASO DELLA DI MARTINO, CHENELLA PRODUZIONE SURGELATANON RINUNCIA AL VALORE DEL “FATTO A MANO”

� di Carlo Sergi�

Chi non ricorda isapori, i profumi,le preparazioniche riempivano lecase e le giornatedelle nostre

nonne? E un solo, fondamentale ele-mento a congiunzione di tutte le cu-cine del Paese, dalla Valle d’Aosta allaSicilia. I piatti migliori venivano rigo-rosamente fatti a mano. Una tracciache, talvolta, l’industria moderna nonriesce a riconquistare. E deve esserestato proprio su questo ragiona-mento che Ferdinando Di Martinoha scelto di improntare, un quarto disecolo fa, la sua avventura imprendi-toriale. Una produzione enogastro-nomica che rispetta gli antichiricettari. Un nome, il suo, oggi soprat-

tutto associato a due specialità comele lasagne e il Baccalà alla Vicentina.«Da una produzione a 360 gradi nelsettore della gastronomia fresca, orasiamo orientati nella produzione diprodotti surgelati di alta qualità per laristorazione» racconta AlessandroTurco, responsabile commercialedella Di Martino. Dalle lasagne allabolognese si giunge a ulteriori coniu-gazioni del celebre piatto emiliano,realizzandole agli asparagi piuttostoche ai carciofi, ai funghi, o alla gocciad’oro, vale a dire con un mix di pro-sciutto, funghi, tartufo e besciamellagialla. «I cannelloni di magro e dicarne con la crespella fatta a mano, enon di pasta di semola da riempire,sono una cosa assai rara da trovare,essendo il risultato di una lunga e dif-

ficile lavorazione – spiega Turco -.Nostro fiore all’occhiello, poi, è il Bac-calà alla Vicentina, specialità ricono-sciuta dalla comunità europea comeprodotto da tutelare». L’azienda hacompreso il desiderio delle personedi trovare prodotti che sembrino fattida loro. Oggi, sempre di più, le fami-glie si recano a mangiare nei risto-ranti. Anche per questo, proporreproduzioni surgelate “sane”, senza ec-cessi di conservanti, è garanzia diun’alimentazione sicura per i bam-bini. Un aspetto, quest’ultimo, damantenere migliorando le produ-zioni sotto i termini qualitativi e mi-crobiologici. «Il fare tutto e di piùnon porta a nessuna conclusione,mentre il fare ciò in cui si crede riescemeglio e con meno fatica».

Alessandro Turco,responsabilecommerciale della Di Martino

Comeuna volta

d

Gusto • 212 Maggio 2010

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EDUCAZIONE ALIMENTARE

Giorgio Calabrese

215 • GustoMaggio 2010

L’abc a tavola«SÌ AI RISTORATORI CHE PROPONGONO UN MENÙ DIETETICOSPECIFICO PER I BAMBINI». IL PROFESSOR GIORGIOCALABRESE SPIEGA I BENEFICI DELLA DIETA PER I PIÙ PICCOLI

� di Renata Gualtieri �

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EDUCAZIONE ALIMENTAREGiorgio Calabrese

Maggio 2010

abbiamo la certezza di ammalarciprima in fase acuta con mal di sto-maco, gastrite, colecistite e quan-t’altro e dopo un po’ di anniavremo malattie più croniche.Tutto questo nasce da un’erratacondizione alimentare che è labase delle malattie».

Ritiene interessanti le inizia-tive di alcuni ristoratori italianiche prevedono un’offerta ga-stronomica attenta ai bambini?«Sì ai ristoratori che vogliono fareun menù dietetico pediatrico, spe-cifico per i bambini, ma che nonpreveda solo la milanese e le patatefritte perché così risparmia solo ilristoratore, ma il bambino si am-mala lo stesso».

Una buona alimentazionedeve tener conto delle diversefasi della vita. Quali sono i va-lori nutrizionali e i metodi dicottura che assicurano una cre-scita sana e ottimale del bam-bino?«Il valore nutrizionale nasce dauna regola banale. Ogni giorno bi-sogna cambiare almeno due deicinque o sei alimenti che si man-giano di solito, il che significa es-sere onnivori. Fare la dietafunziona, ma farla diversificata fun-ziona molto di più e muoversi aiutatantissimo. I metodi di cottura da

Il fenomeno dell’obesità in-fantile dilaga anche in Italia.Alla base di tutto c’è un’er-rata cultura alimentare e lapassività fisica. «Molto puòfare anche la scuola oltre

alla famiglia. Un importante contri-buto è quello offerto dal progettodel ministero della Pubblica istru-zione che si chiama “Scuola e Cibo”e della commissione di cui io sonopresidente, composta da quattrodietologi, che sta lavorando perchésempre più bambini imparino amangiare cibo che possa essere gra-devole, positivo, salutista e appa-gante per il palato». Il professorGiorgio Calabrese, dietologo e nu-trizionista, indica i presupposti peruna crescita armonica e ottimale.

Quali sono i principali errorinutrizionali nell’alimentazionedi un bambino?«Un bambino per sua norma man-gia pochissima frutta e verdura, non

ama i legumi, gradisce i cereali le-gati al cioccolato, non il cerealesemplice; ci sono poi bambini chemangiano molta pasta. Questoquadro dimostra come, in certi casi,ci sia una carenza di frutta e verdurae legumi, e in altri un eccesso di car-boidrati con grassi annessi che deri-vano dai condimenti aggiunti dallamamma o dalla nonna, trucchiusati per convincere il piccolo amangiare. Il bambino poi, occupatodavanti alla playstation o a internet,si muove poco, e questo determinaun eccesso di sostanze ricche digrassi e si arriva prima al sovrap-peso e poi all’obesità».

Quanto è importante che sinda piccoli si segua una dietasana e uno stile alimentare salu-tare e quali rischi si scongiu-rano?«Una tempo le malattie del cuore,il diabete, la pressione alta arriva-vano solo a una certa età, ora in-vece interessano anche i piùgiovani. Se ad esempio si fa un do-saggio di colesterolo nel sangue etrigliceridi a un ragazzino di sei osette anni, si trovano spesso dei va-lori molto alti. Ciò deriva dal fattoche si preferiscono panini, salumi,insaccati, formaggi, uova e condi-menti grassi come il burro a fruttae verdura. La logica di fondo è chese noi facciamo una dieta errata,

A sinistra,

Giorgio Calabrese,

dietologo

e nutrizionista

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utilizzare perché il bambino stiameglio sono la cottura al forno, allagriglia, oppure si può optare percibi lessati o crudi, evitando di frig-gere. Se invece questo discorsonon viene atteso si diventa obesiperché aumenta l’insulina che ri-sente molto delle tecniche di cu-cina sbagliate».

La giornata alimentare idealedel bambino in quanti pastideve essere divisa?«Cinque pasti: una colazione, unpranzo, una cena e due break, nellamattinata e nel pomeriggio. Questiultimi due devono essere moltoleggeri, il 10% delle calorie totali, il

15% a colazione, il 35% a pranzo eil restante a cena».

È favorevole all’utilizzo dicibi surgelati nelle mense scola-stiche?«Gli alimenti surgelati costitui-scono una alternativa assoluta-mente accettabile in mancanza deitradizionali cibi freschi. Possonoessere utilizzati nelle mense scola-stiche facendo sempre attenzioneai metodi di cottura, al vapore, allagriglia, al forno, evitando in ognicaso di friggere. L'offerta dei pro-dotti surgelati è oggi estremamenteampia e permette di nutrirsi in ma-niera sana e variegata».

Il valore nutrizionale nasceda una regola banale:cambiare almeno due deicinque o sei alimenti chesi mangiano ogni giorno d

EDUCAZIONE ALIMENTAREGiorgio Calabrese

217 • GustoMaggio 2010

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La merendina

Diventa HealthyDALLA SCIENZA ALL’INDUSTRIA DOLCIARIA,L’ITALIA SI RENDE PROMOTRICE DI PROGETTITESI A RENDERE PIÙ SANE LE MERENDINE

� di Andrea Moscariello�

Può esistere una merendinaperfetta? Questo l’interroga-tivo posto da Enrico Roda,direttore dell'Unità operativa

di gastroenterologia del Sant'Orsola-Malpighi di Bologna, il quale ha pre-sentato il progetto Functional foodand global health, un network di labo-ratori il cui obiettivo sarà creare unosnack gustoso che non ingrassi e chenon arrechi danni al cuore. Non sonopochi gli esponenti del mondo scienti-fico ad aver sollevato seri dubbi sullarischiosità, a lungo termine, che questepossono arrecare all’organismo. L’in-dustria italiana, intanto, non sta a guar-dare. Capofila di una rivoluzionesalutista del mondo dolciario è ilgruppo Bauli che, come ricorda il suopresidente Alberto Bauli, anche inquesto deve rappresentare un’eccel-lenza del food made in Italy, a comin-ciare proprio dagli accorgimentinutrizionali rivolti al mondo dell’in-fanzia. Perno è la collaborazione che ilGruppo ha aperto con la Federazioneitaliana nuoto. “Il nuoto significa mo-vimento, ma anche sana alimenta-

zione ed energia fisica, grazie a pro-dotti genuini e nutrienti” recita la mis-sion del progetto. Non solo. Se untempo i produttori di merendine veni-vano tacciati di essere la causa prima-ria dell’obesità infantile, oggirispondono in prima persona attra-verso campagne di sensibilizzazioneche non lasciano scampo: sono i geni-tori a dover educare i figli a uno stile divita sano. Secondo i nutrizionisti dellastorica azienda veronese, occorre di-stribuire l’apporto calorico giornalieroin 4-5 momenti, valorizzando la cola-zione come pasto fondamentale. «Èfondamentale iniziare la giornata conil giusto apporto calorico» spiega unodei nutrizionisti del gruppo. «Unamerenda de La Buona CroissanteriaBauli in media copre dal 6 al 7% dellaquantità raccomandata di energiagiornaliera di bambini e ragazzi: con-tiene circa 3 gr di proteine, 20 gr dicarboidrati, 7 gr di grassi e significativequantità di ferro, calcio e vitamine B1,B2, A ed E». Valori da accompagnarea una sana attività fisica, sin dalla piùtenera età.

Alberto Bauli, presidente

dell’omonimo gruppo dolciario

EDUCAZIONE ALIMENTARE

d

Gusto • 218 Maggio 2010

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EDUCAZIONE ALIMENTARELa Brasserie De Milan

Gusto • 220 Maggio 2010

I sapori

della mamma«UN MENU AD HOC E UN KIT SEMPRE PRONTO PERCOINVOLGERE I BAMBINI». LO CHEF ANDREA SARACCOGUIDA I BABY OSPITI DELLA BRASSERIE DE MILAN ALLASCOPERTA DEI PIATTI PIÙ GUSTOSI

� di Renata Gualtieri �

Gli schiamazzi dei bam-bini e i loro capriccisono solo un ricordo.A volte i piccoli sie-

dono piacevolmente alla stessa ta-vola degli adulti e le esigenze deidue universi possono coincidere.Proposte di menù che recano ilnome dei personaggi celebri deicartoni animati, che allettano ilbambino e trovano l’approvazionedegli adulti. Il piacere di sedersi atavola non risiede solo nell’atto dinutrirsi, ma è un’occasione di in-contro e di scambio di grande va-lenza affettiva. Riservareattenzione anche ai più piccoli eideare menù specifici può contri-buire a diffondere una più correttacultura alimentare. «Ci siamo ac-corti che su Milano poco si facevaper le famiglie con bambini piccolial punto che abbiamo creato il

brunch con minibrunch. Gli adultimangiano nel nostro ristorantecon un ricco buffet e musica dalvivo mentre i bambini, con un buf-fet tagliato su misura e uno spetta-colo di animazione, si dedicanoalla loro attività preferita: il gioco».È l’offerta innovativa del ristoranteLa Brasserie de Milan dedicato alpubblico più prezioso, quello del-l’infanzia.

Quali sono le ragioni di talescelta?«Da subito si è evidenziata la ne-cessità di creare un menu dedicatoai più piccoli: quando le famigliescelgono il nostro ristorante sannodi trovare dei piatti semplici adattiai gusti dei bambini, che difficil-mente gradiscono una cucinatroppo elaborata». Nella foto, lo chef Andrea Saracco del ristorante

La Brasserie De Milan

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EDUCAZIONE ALIMENTARELa Brasserie De Milan

Cosa offre il menù bambinie a quali specifiche esigenze nu-trizionali risponde?«Abbiamo deciso di ricreare i sa-pori della cucina “della mamma” ab-binata a nomi fantasiosi puntandosu piatti come pennette al sugo dinonna Papera, mini hamburger diPoldo, patatine fritte alla Pippo, spi-naci alla Braccio di Ferro, e così via.Ovviamente ogni menu viene atten-tamente calibrato per dare ai bam-bini il giusto apporto di calorie erispettare i corretti valori nutrizio-

nali che assicurino ai piccoli unacrescita ottimale».

Nella preparazione dei piattiquali sono gli alimenti e i me-todi di cottura più utilizzati?«Utilizziamo tutti gli alimenti piùsani e genuini: verdure, carboi-drati e proteine, limitando al mi-nimo indispensabile l’apporto digrassi e zuccheri. Per quanto ri-guarda i metodi di cottura, invece,preferiamo eseguire la prepara-zione alla piastra e al vapore».

Le famiglie che scelgonoil nostro ristorantetrovano dei piattisemplici adatti aigusti dei bambini

221 • GustoMaggio 2010

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EDUCAZIONE ALIMENTARELa Brasserie De Milan

Ingredienti per 1 persona:· per gr. 100 chicche di patate

e spinaci· 70 gr. di patata farinosa cotta

con buccia al vapore, pelata,passata con lo schiaccia patate,intiepidita e lavorata con gr. 20di purè di spinaci,

· gr. 5 uovo· gr. 5 di parmigiano reggiano

Preparazione:Lavorare il tutto delicatamente, for-mare dei cilindri di cm.1 di diametroe dagli stessi formare dei piccolignocchi a cui successivamenteverrà data con le mani la forma dipiccole sfere. Lessare le “chicche”in abbondante acqua salata legger-mente, scolarli con mestolo foratomettendoli direttamente su crema dipomodoro che verrà realizzata consalsa di pomodoro fresco, frullata,passata al setaccio e addizionata diolio extravergine a crudo e basilico.Prima di servire le chicche aggiun-gere dei cubetti di mozzarellafiordilatte come guarnizione.

LE CHICCHE DI BRACCIO DI FERRO

CHICCHE DI PATATE E SPINACI SU CREMA DI POMODOROE MOZZARELLA FILANTE

Quale risulta essere il piattopreferito dai baby clienti?«A dispetto della nostra valida evaria offerta gastronomica, sicura-mente i piatti preferiti dai babyclienti rimangono sempre la pastaal pomodoro e i mini hamburgercon le patatine fritte».

Sono previsti anche spaziidonei per accogliere i bambinie forme di intrattenimento per ipiù piccoli?«Durante il nostro brunch dome-nicale abbiamo previsto, per i bam-

bini dai tre anni in su un menu de-dicato e intrattenimento in unospazio separato, in modo che ibambini possano giocare spensie-rati tra di loro e far ritrovare a i ge-nitori un po’di intimità. L’iniziativa“Non solo Brunch” ogni domenicadiventa un’occasione unica da tra-scorrere in famiglia, all’insegna del-l’allegria e del buon gusto, perscoprire ogni settimana i sapori diun angolo diverso d’Italia. Per ibambini uno speciale menu, diver-tenti giochi e intrattenimento inuna sala dedicata». d

223 • GustoMaggio 2010

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EDUCAZIONE ALIMENTARETerrazza Danieli

Il gusto

del gioco«I GENITORI SCELGONO IL RISTORANTE TERRAZZA DANIELIANCHE PER FAR VIVERE UN’EMOZIONE GASTRONOMICA AILORO FIGLI». L’ESTRO DELLO CHEF GIAN NICOLA COLUCCI

� di Nicolò Mulas Marcello �

È proprio in tenera età checominciano a delinearsi igusti e le abitudini cheformeranno lo stile ali-

mentare dell’età adulta, per cui col-tivare corrette abitudini da parte ditutti i componenti della famiglia èfondamentale per indirizzare ilbambino verso uno stile alimen-tare salutare. Nei ristoranti si puòmettere in pratica quanto appresoda genitori, nutrizionisti o dagli in-segnanti nelle scuole e capire seesistono dei servizi creati a misuradi bambino che assicurino la ge-nuinità e la freschezza degli ali-menti. «Un piatto può generaredelle “informazioni” recepite attra-verso tutti i sensi; può essere ap-prezzato e interpretato ancheriflettendoci sopra; e i nostri me-todi culinari, che siano classici omoderni, costituiscono un’ereditàche il cuoco deve conoscere per

raggiungere il massimo risultato».L’executive chef Gian Nicola Co-lucci firma i piatti del ristoranteTerrazza Danieli, la cucina tipicaveneziana, i sapori del Mediterra-neo e originali creazioni gastrono-miche per i palati esigenti dei piùpiccoli. «Un’intensa esperienza digusto per tutta la famiglia avvoltidal suggestivo panorama sulla la-guna di Venezia».

Chi sceglie il vostro risto-rante a quale esperienza va in-contro? E come si puòaccontentare il pubblico gio-vane e quello più adulto?«Ritengo che i bambini abbiano glistessi diritti degli adulti anzi di più.Se loro stanno bene e si sentonococcolati, i genitori scelgono il no-stro ristorante non solo per vivereun’emozione gastronomica, maanche per farla vivere ai loro figli».

Nella foto, lo chef Gian Nicola Colucci

del ristorante Terrazza Danieli di Venezia

Gusto • 224 Maggio 2010

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EDUCAZIONE ALIMENTARETerrazza Danieli

227 • GustoMaggio 2010

Ingredienti per 4 persona:· 300 gr di maccheroncelli fatti

in casa di tre colori differentirosso con pomodoro,verde con purea di spinaci,giallo solo con uova e farina

· 100 gr di pomodorini scottatiin acqua calda e pelati, tagliatia metà e privati dei semi

· 50 gr di zucchine· 50 gr di carote· 50 gr di asparagi· 50 gr di funghi di stagione· 20 gr di fiori di zucca· sale · olio extravergine di oliva· 2 spicchi di aglio

Preparazione:Lavare le verdure e tagliarle moltofinemente per permettere un cotturaveloce; in una padella aggiungerepoco olio e gli spicchi di aglio tagliatia metà, farli leggermente rinvenire,senza fare friggere, aggiungerepoca acqua e fare consumare; ag-giungere le verdure e cuocerle velo-cemente facendole rimanerecroccanti, condire con poco sale eun pizzico di zucchero. Cuocere lapasta in acqua bollente, ma pocosalata, quindi unire alle verdure efare insaporire il tutto. Mettere nelpiatto, suggerisco un filo di olio ex-travergine crudo e una grattugiatagrossolana di formaggio Asiago.

MACCHERONCELLI TRICOLORECON VERDURINE DI SANT’ERASMOE GAMBERETTI

todi di cottura più utilizzati?«La nostra scelta ricade su tutte leverdure utili per la loro dieta, inuna combinazione di colori chepossa rendere il cibo più simpaticoe appetitoso. I condimenti utilizzatisono assolutamente sani, senzausare grassi dannosi per la salute».

Tra i piatti proposti qual èquello più apprezzato dai babyospiti che si siedono alle vostretavole?«A tavola riscuotono sempregrande successo. I bambini, fosseper loro, mangerebbero tante patate

Quale è l’offerta presentatanel menù bambini che propo-nete e quali valori nutrizionali eabitudini alimentari rispetta?«Nel menu bambini si seguonodue filoni nutrizionali semplici, maentrambi assolutamente impor-tanti. È indispensabile mangiaresano di gusto, avendo un fine nutri-zionale e provare a giocare man-giando perché penso che mangiaredeve essere un piacere a qualunqueetà e in ogni senso».

Nella preparazione dei piattiquali sono gli alimenti e i me-

fritte e milanesi, ma noi abbiamo ildovere di fargli apprezzare ancheformaggi, verdure e di assicurareloro soprattutto una dieta varia».

All’interno del ristorante esi-stono aree riservate esclusiva-mente ai bambini e sonopreviste forme di intratteni-mento per i più piccoli?«Considerato il target e l’ambienteche combina storia, bellezza arti-stica e ricercatezza mondana di Ve-nezia, sono previsti servizi specificisu richiesta a seconda delle esi-genze». d

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tra gusto

e formaSPERIMENTARE PRESERVANDO LE TRADIZIONI.È LA FILOSOFIA CHE ISPIRA L’ECCELLENZANELLA NOSTRA CUCINA. A PARLAREÈ IL MAESTRO GUALTIERO MARCHESI

� di Ezio Petrillo �

La Scuola internazionale dicucina italiana di Parma, di-retta dal maestro di cucinaper antonomasia Gualtiero

Marchesi, si pone come base forma-tiva di giovani chef e osservatorio peril radicamento della cultura alimen-tare nel nostro Paese. La creativitàdell’artista, la ricerca della migliorequalità nei prodotti e una profondacultura del cibo raccontate dallo chefMarchesi.

Cibo e cultura. Secondo la suaesperienza, quanto il primoaspetto influenza il secondo eviceversa?«Essere esperti in materia di cibo

consente di apprendere un saperemultidisciplinare visto che la cu-cina abbraccia la storia, la geografia,il clima, l’economia: in una parola,il territorio. Quando a queste co-noscenze si aggiungono la tecnica,l’esperienza e il senso del bello siraggiunge l’eccellenza».

La variegata conformazione delterritorio italiano produce pro-dotti diversi da regione a re-gione. Quanto questo aspettorappresenta un vantaggio ri-spetto agli altri paesi? «Il fatto che ci siano cibi così di-versi in ogni regione è, senza dub-bio, una fonte di ricchezza. C’è da

dire, però, che la stessa varietà ca-ratterizza altri paesi. La Francia, adesempio, produce un’ottima cu-cina. Nel nostro Paese i meriti deglialtri spesso non si conoscono enon si apprezzano».

Quanto è importante la forma-zione di giovani chef e somme-lier in una società in cui la“cucina veloce” la fa da pa-drona?«Importantissima. La sempre mag-giore specializzazione in cucina ne-cessita di una formazione adeguataa presidio della qualità. La stessapresenza dei fast food contribuiscea mantenere alto l’interesse verso la

Una studentessa

di Alma

tra i fornelli

FORMAZIONEAlma

Gusto • 230 Maggio 2010

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cucina di qualità e, dunque, taleaspetto non è sempre un danno.Detto questo, contro ogni banalecriminalizzazione della cucina ve-loce, è essenziale che la qualità siaperseguita anche all’interno dei fastfood».

La scuola che lei dirige è prota-gonista della progettazione didiversi concorsi rivolti ai gio-vani talenti della ristorazioneitaliana. Quanto conta il meritoin cucina?«È fondamentale. Basti pensare alfatto che il primo pensiero in cu-cina dovrebbe essere la salute delcliente. Pensare di istituire concorsicome il Gran Trofeo d’Oro della ri-storazione italiana, di sicuro favori-sce l’impegno e la ricerca da partedegli chef. Lo scorso anno, adesempio, questa competizione havisto la partecipazione di 26 istitutialberghieri italiani e 6 provenientida altri Paesi europei. Ritengo checiò abbia contribuito, anche in mi-nima parte, all’approfondimento di

metodi che preservano la qualità atutto vantaggio del cliente finale».

Tradizione e sperimentazione.Nella cucina di oggi come ven-gono combinati tali aspetti? «Ritengo che sia necessario il giustomix. Direi che senza sperimenta-zione anche la tradizione più radi-cata si svilisce. Quando, invece, loscopo è di stupire a tutti i costi,spesso si finisce in un vicolo cieco».

Un aspetto non trascurabile èquello della crisi economica.Quanto può influire la reces-sione sulla ricerca della qualitànel cibo? «La crisi non può influire sullabontà dei prodotti che deve essereun’esigenza inderogabile ai piùsvariati livelli e, secondo me, com-prende anche l’onestà nei con-fronti dei propri mezzi da partedegli chef. Ricercare a tutti i costila sperimentazione per stupire ilpubblico a volte sminuisce la ri-cerca della qualità». d

FORMAZIONEAlma

La specializzazionein cucina necessitadi una formazioneadeguata a presidiodella qualità

A sinistra Luciano Tona, direttore didattico di Alma;

a destra, Gualtiero Marchesi con i suoi allievi

Gusto • 232 Maggio 2010

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il ciboincontra

il territorioVALTER CANTINO, RETTORE DELL’UNIVERSITÀDI SCIENZE GASTRONOMICHE, RIFLETTESULL’IMPORTANZA DELLA FORMAZIONE NEL SETTORE

� di Ezio Petrillo �

FORMAZIONEUniversità di Scienze gastronomiche

Un presidio per la diffusionedella cultura alimentare.L’Università di Scienze

gastronomiche di Bra, nata dall’as-sociazione internazione SlowFood, è un punto di riferimentoper la ricerca enogastronomica delnostro Paese. Secondo Valter Can-tino, rettore dell’Ateneo, le oscilla-zioni che investono l’economiasono un danno per quei piccoliagricoltori e imprenditori del set-tore che necessitano di un’ade-guata formazione professionale.

Quanto conta oggi rispetto al

passato la formazione profes-sionale nel settore del cibo?«Il problema principale all’internodel settore agroalimentare è quellodi affrontare nel migliore dei modi ilcambiamento generazionale. Studiimportanti ci dicono che nell’arco didieci anni almeno due terzi delle no-stre aziende saranno costrette achiudere se non cambieranno il loromodello di produzione. Specie i pic-coli produttori avranno bisogno diun sostegno in chiave di una robustaformazione professionale per potersupportare un cambiamento moltoforte visto che i modelli tradizionali

Gusto • 234 Maggio 2010

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Gusto • 236 Maggio 2010

non reggono più. Se vogliamo conti-nuare a preservare l’economia delcibo dobbiamo trovare delle ricettenuove per sostenere modelli diun’agricoltura che non sia esten-siva».

Il nostro Paese sfrutta ap-pieno le enormi risorse del ter-ritorio per lo sviluppo di unaflorida economia basata sulcibo e sul turismo? «Credo proprio di no. Fatte le do-vute eccezioni, però, l’alimentaretiene meglio di altri settori grazie aquelle produzioni che hanno unvalore riconosciuto. Quello su cuioccorre lavorare, a mio avviso, è lapresa di coscienza che gli elementiche rendono unici i nostri prodotti,devono essere portati al consuma-tore attraverso una filiera integrata.Spesso l’agricoltore “fatica” molto eporta a casa poco. Su questoaspetto, in particolare, l’Universitàsta spendendo molte energie percreare dei modelli e trasferirli a chiopera nel settore agro-alimentare.L’obiettivo è rendere gli agricoltoriconsapevoli del valore delle loroproduzioni».

Quanto una maggiore cono-scenza dei prodotti che man-giamo può favorire l’incontrotra diverse culture?«Esiste un detto che recita “gli affari

si fanno a tavola”. Non solo econo-mici ma anche sentimentali. Svilup-pare la propria capacità diconoscenza delle culture altrui, attra-verso un momento legato alle nostreabitudini primarie e fisiologichecome il consumo del cibo, è fonda-mentale per i processi di integra-zione. Questo passaggio può essereimportante a livello sociale, in un mo-mento particolare come quello at-tuale, fatto dalla presenza sempre piùnumerosa di persone con culture ecaratteristiche somatiche diverse ri-spetto a quelle autoctone».

Ricerca della qualità e pro-fitto economico. Oggi questidue concetti viaggiano assiemeo si registra un cambiamento didirezione in tal senso?«Oggi è difficile trovare questi dueconcetti abbinati. Ci sono, però, ledovute eccezioni. Se guardiamo alsettore vitivinicolo, ci accorgiamoche investimenti in qualità e mar-chio hanno premiato i produttori.Ma se, ad esempio, pensiamo al set-tore risicolo, abbiamo moltissime ti-pologie prodotte, ma ilconsumatore riesce a malapena a ri-conoscerne le diverse qualità. Sa-rebbe importante far cogliere lecaratteristiche delle specifiche pro-duzioni, magari approfondendo laradice storico-antropologica di unalimento».

FORMAZIONEUniversità di Scienze gastronomiche

d

In apertura, il rettore Valter Cantino; a fianco e sotto,

studenti dell’Università di Scienze gastronomiche

durante esercitazioni pratiche in aula

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237 • GustoMaggio 2010

Il cibo è l’espressione più auten-tica della trasformazione in cul-tura di ciò che offre la natura e il

territorio. Rimane un misterocome, per troppo tempo, lo studioapprofondito delle influenze degliaspetti culturali su quelli stretta-mente culinari e alimentari, sia ri-masto un campo disciplinaretotalmente inesplorato. Carlo Pe-trini, fondatore di Slow Food, dapiù di vent’anni si occupa della ri-cerca in ambito enogastronomicoe di promuovere un certo tipo dieducazione al gusto. Dal 2004, conla nascita dell’Università di Bra, ilsuo impegno è stato tradotto in sa-pere accademico.

L’Università degli Studi diScienze gastronomiche è unasua creazione. Come potrebbesintetizzare, in breve, la mis-sione del suo ateneo?«Il progetto dell’Università nascedall’intento di ridefinire il concettodi gastronomia e riscattarne la di-gnità scientifica. L’obiettivo èquello di creare una nuova figuraprofessionale, il gastronomo, ca-pace di operare nella produzione,distribuzione, promozione e comu-nicazione dell’agroalimentare diqualità. L’ateneo licenzia i futuriesperti di comunicazione, divulga-tori e redattori multimediali incampo enogastronomico, oltre ad

Una scienzacomplessa

ALLA SCOPERTA DEI SAPORI.È L’IMPEGNO DELL’ATENEO

DI BRA. LO SPIEGA CARLO PETRINI

FORMAZIONECarlo Petrini

� di Ezio Petrillo �

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FORMAZIONECarlo Petrini

Gusto • 238 Maggio 2010

addetti al marketing di prodottid’eccellenza, manager di consorzidi tutela e di aziende del settoreagroalimentare o di enti turistici. Altempo stesso l’Università nascecon la vocazione di essere un cen-tro di ricerca, studio e cataloga-zione dei saperi, delle tecniche e ditutte le forme di espressione dellecomunità del cibo».

Quali sono le linee di interse-zione, oggi, tra cultura e cibo?«La gastronomia è una scienzacomplessa contenente i concetti dicibo e cultura sia materiale che im-materiale. Se pensiamo alle con-nessioni della culinaria con itantissimi campi delle scienze e deisaperi umanistici (dalla botanicaalla chimica, dall’agronomia all’an-tropologia, dall’economia politicaal commercio, dal savoir faire del-l’uomo fino alla cucina tout court),possiamo capire immediatamenteche il cibo stesso è cultura o, an-cora meglio, natura che si tra-sforma in sapere attraversol’intervento dell’uomo»

Quanto risente la nostra cul-tura dell’influenza di aree agri-cole così diverse che produconoprodotti molto variegati da re-gione a regione? «Le cucine italiane regionali e i pa-trimoni gastronomici di ogni terri-

torio sono la prova tangibile dellaricchezza e della diversità culturalee geografica del nostro Paese. Lacucina, come i dialetti, i canti, lefeste di tradizione, marca cultural-mente un territorio, la sua storia e ilpaesaggio stesso. L’Italia, con que-sto vario e ricco patchwork, ne èmarcata indelebilmente nella suapeculiarità tanto che, a differenzadella Francia, dove si può parlaredell’esistenza di una vera e propriacucina nazionale, nel nostro Paeseè molto difficile riuscire a identifi-care un unico modello di cucinaper tutto il territorio nazionale».

Il rapporto tra identità delterritorio e prodotti enogastro-nomici come influenza le nostrevite?«Di identità si parla sempre piùspesso e, talvolta, a sproposito.Molto spesso tale concetto vienestrumentalizzato. È certo che pergli italiani il cibo ha un valore iden-titario e di appartenenza moltoforte. Quindi sì, il legame con i pro-dotti gastronomici è sempre piùstretto e talvolta definisce l’esserestesso di una regione, di un luogo,di una comunità. Tale aspetto nonè casuale perché il cibo lega am-biente, natura, climi, biodiversità erelazioni sociali in un unicum incontinua evoluzione che contribui-sce a definire in maniera impor-tante quello che siamo».

d

Dall’alto, un’iniziativa organizzata da Slow Food

e, in basso, il fondatore, Carlo Petrini

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FORMAZIONE

Massimiliano Bruni

241 • Gusto

masterfood & beverageCIBO E MANAGEMENT. OGGI COME NON MAI,I DUE CONCETTI VIAGGIANO A BRACCETTO ESPECIALIZZARSI DIVENTA QUASI UNA NECESSITÀ.LO SPIEGA MASSIMILIANO BRUNI

� di Ezio Petrillo �

Maggio 2010

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FORMAZIONEMassimiliano Bruni

Food come fonte di busi-ness. Nella realtà con-temporanea i prodottialimentari non sono piùsoltanto cibi da consu-mare, ma il frutto di una

catena economica che coinvolge di-versi attori. Analizzare i vari aspettidella filiera alimentare, oggi, si rivelanecessario per chiunque volesse intra-prendere un percorso professionalenel settore. Massimiliano Bruni, diret-tore del master in Fine Food & Beve-rage dell’Università Bocconi offre, inmerito, una panoramica esaustiva.

Quali sono, a suo avviso, le mi-gliorie da apportare sulla filiera di-stributiva dei prodotti?«Ci sono due aspetti da migliorare. Ilprimo riguarda la filiera in sensostretto, da noi molto più lunga che al-trove, e ciò produce un prezzo per ilconsumatore decisamente più alto diquello che dovrebbe essere. Il secondoattiene al fatto di come la grande distri-buzione veicola e diffonde i prodottidei territori. Le esperienze estere ci in-segnano che la grande distribuzioneorganizzata può avere ampi margini dimiglioramento che riguardano l’espo-sizione e la presentazione dei pro-dotti».

Globalizzazione e culture localinazionali. Nel cibo, quanto il

primo aspetto influenza il se-condo e quali conseguenze nepossono derivare?«Possiamo leggere la globalizza-zione come una crescente diffu-sione di culture comuni, equindi ciò determina la possi-bilità per le aziende di mag-giori dimensioni o per quelle

medio-piccole che avranno la capacitàdi aggregarsi, di andare a vendere ipropri prodotti all’estero più facil-mente rispetto al passato. Se è veroquesto, però, è anche vero che col cre-scere del profilo internazionale deimercati si incontrano culture alimen-tari diverse. Per questo è necessarioadattarsi e conoscere le usanze deglialtri Paesi».

Un imprenditore che oggi de-cide di investire sul cibo, di frontealla concorrenza dei grandi centricommerciali, a cosa deve puntareper garantirsi una sufficiente fettadi mercato? «Molto dipende dalla categoria mer-ceologica. Se un imprenditore fa unbuon prodotto e riesce a certificare iprocessi produttivi assicurando alti li-velli qualitativi, trova comunque unsufficiente spazio di mercato. A livellodi mercati locali sui territori si può in-vestire attraverso i canali tradizionali,ricavando comunque ottimi profitti».

Dal lato, invece, del consuma-tore, secondo lei cosa è cambiatonella scelta dei cibi?«Tanto. Dopo molti anni si è andataosservando una maggiore consapevo-lezza e attenzione del consumatorenon sempre sostenuta, però, dalla cul-tura del prodotto. Se andiamo a ve-dere i consumi del vino, ad esempio, siosserva una crescita ma non sempre ladomanda si indirizza verso prodotti diqualità, perché manca la cultura per di-stinguerli secondo il rapporto qua-lità/prezzo. Registriamo, poi, unacrescita di prodotti bio, organici ed et-nici. Si sono sviluppati, infine, i mercatidi prossimità, in cui contadini ven-dono direttamente ai consumatori».

Massimiliano Bruni,

direttore del master

in Fine Food & Be-

verage

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sicurezzaa 27 stelle

SICUREZZA ALIMENTAREEfsa

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LE CRISI ALIMENTARI SONO IL PANEQUOTIDIANO DELL’AUTORITÀ EUROPEAPER LA SICUREZZA ALIMENTARE IL CUIDIRETTORE ESECUTIVO È CATHERINE

GESLAIN-LANÉELLE

SICUREZZA ALIMENTAREEfsa

� di Sante Canevelli �

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Hanno riabilitato la fio-rentina, fissando l’ob-bligo di asportazionedella colonna vertebrale

(causa Bse) solo per i bovini con piùdi 24 mesi. Hanno rilevato come ilrosso E128, il famigerato colorantealimentare sintetico, sia un rischiocancerogeno per l’uomo. Hanno ri-dotto (da 1.000 a 250) le sostanze at-tive contenute nei pesticidi. Crisialimentari, sicurezza della tavola, peri-coli biologici, prodotti fitosanitari:sono alcuni dei fronti che vedono im-pegnati gli scienziati e i ricercatori inforza all’Autorità europea per la sicu-rezza alimentare (European food sa-fety authority), con sede a Parma.Duemila le valutazioni scientificheprodotte dal 2002 a oggi. Allarmi lan-ciati e poi tradotti, dalla Ue, in leggi eprovvedimenti. «La nostra priorità – spiega Cathe-rine Geslain-Lanéelle direttore esecu-tivo dell’Efsa – è assicurare laprotezione dei consumatori europei.Nei prossimi mesi, gruppi di nostriesperti lavoreranno, ad esempio, sulleindicazioni nutrizionali e sulla salute,sui pesticidi, sugli Ogm, sui colorantie anche sulla sicurezza alimentare,come la clonazione degli animali e lenanotecnologie». Proprio perché in-dipendente, la consulenza scientificadell’Efsa «rappresenta il fondamentodel sistema europeo per la sicurezzaalimentare. Grazie a questo sistema, iconsumatori europei sono tra i piùprotetti e meglio informati al mondoper quanto riguarda i rischi associatialla catena alimentare».

Molto c’è ancora da farequindi?«Il livello di sicurezza in Europa è

molto elevato. L’Efsa fornisce solidebasi scientifiche affinché le istitu-zioni europee e i governi nazionalipossano adottare le misure adeguateper proteggere la salute pubblica el’ambiente. E assicurare che gli ali-menti europei per l’uso domestico el’esportazione siano sicuri, sani e so-stenibili. Poiché siamo alle presecon tecnologie sempre più com-plesse e con nuovi e vecchi rischi co-nosciuti o emergenti. C’è uncrescente bisogno di collaborazione.Oltre 350 istituzioni scientifiche ditutta Europa, ci “prestano” i propriesperti per consentirci di portare atermine il nostro lavoro».

Nel sistema europeo la valuta-zione è un processo distintodalla gestione del rischio ali-mentare. Voi producete pareri,le istituzioni decidono. Qual è ilvostro modus operandi?

«Tutte le istituzioni europee hannol’obiettivo di salvaguardare la salutedei consumatori. Il nostro lavoroscientifico ha un impatto sulla vitaquotidiana dei cittadini europei ed èalla base di decisioni importanti nelcampo della sicurezza alimentare. Atestimonianza dello stretto rapportodi collaborazione con i gestori del ri-schio alimentare, ci è stato chiesto difornire pareri urgenti durante situa-zioni di emergenza per evitare chesfociassero in crisi gravi come quelleriguardanti la mucca pazza e la dios-sina a fine anni 90. Questioni comela presenza di melamina nel cibo ri-chiedono una risposta nell’arco diqualche giorno, non settimane omesi. E la nostra risposta rapida hapermesso di assumere decisionitempestive. Per questo, abbiamo de-finito un modus operandi che assicurila qualità del nostro lavoro, ma alcontempo ci permetta di reagire

SICUREZZA ALIMENTAREEfsa

Nella pagina prece-

dente, la sede

dell’Autorità

europea per la sicu-

rezza alimentare

(Efsa) a Parma.

In questa pagina,

Catherine Geslain-

Lanéelle, direttore

esecutivo dell’Efsa

Gusto • 248 Maggio 2010

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prontamente in caso di eventi ur-genti. Inoltre, poiché i problemi ali-mentari non hanno barrieregeografiche, l’Efsa ha definito unastrategia internazionale per coltivarerelazioni con interlocutori che svol-gono compiti simili al nostro (Giap-pone, Usa, Australia e NuovaZelanda, Cina)».

Consumatori: le etichette deicibi sono abbastanza esaustive? «Le istituzioni europee stanno oradiscutendo su quali siano le infor-mazioni da indicare sulle etichettealimentari per fornire un’informa-zione esaustiva. È una decisione che

vono essere chiare e corroborate daprove scientifiche».

Prossime sfide? «L’espansione del commercio ali-mentare, l’incremento di viaggi emigrazioni sono fattori che possonopotenzialmente contribuire alla dif-fusione di nuovi rischi. La prioritàadesso è di continuare ad assicurarela protezione dei consumatori euro-pei e di servire come organismo diriferimento per la valutazione del ri-schio nella sicurezza di alimenti emangimi, salute e benessere ani-male, nutrizione, protezione e salutedelle piante».

non spetta all’Efsa. Noi forniamobasi scientifiche per aiutare a pren-dere tali decisioni. Ad esempio, veri-fichiamo la fondatezza scientificadelle indicazioni nutrizionali e sullasalute fornite nelle etichette o neimessaggi promozionali. La nostraconsulenza contribuirà a garantireche le indicazioni sulla salute suiprodotti, autorizzate da Commis-sione e Stati membri, siano veritieree aiutino i consumatori a fare sceltedietetiche salutari. È un lavoro im-portante che rispecchia la volontàdel regolamento europeo su indica-zioni nutrizionali e salute del 2006: imessaggi sulle etichette nella Ue de-

SICUREZZA ALIMENTAREEfsa

Gusto • 250

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il mondo

mangia

italianoCON LO SLOGAN “WELCOME TO FOODLAND”,PARMA OSPITERÀ LA QUINDICESIMA EDIZIONEDI CIBUS, LA VETRINA BIENNALE CHE OSPITALE PRINCIPALI INDUSTRIE ALIMENTARI ITALIANE

� di Andrea Moscariello �

APPUNTAMENTICibus

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Punta sempre di più al-l’export il sapore ita-liano. Distributori ebuyer da ogni parte delmondo si ritroverannoall’evento Cibus, la

biennale di Parma che punta a racco-gliere tutte le più grandi marche e ca-tene rivolte al mercato alimentare e delfuori casa. «L’evento mira a fornire unvero e proprio patrimonio affaristicodi contatti, nomi, accordi, affinché leproduzioni italiane raggiungano e sirafforzino su nuovi territori». EldaGhiretti, manager della fiera, presentacon uno spiccato entusiasmo l’edi-zione 2010. Anche a riscontro del fattoche, mai come quest’anno, le rappre-sentanze più importanti del compartosi ritroveranno nella città emiliana.

A inaugurare l’evento saranno iprincipali esponenti del comparto,che faranno il punto di un settore

storicamente anticiclico emeno colpito dalle crisi

economiche. Ciò che dif-ferenzia Cibus dagli altri

eventi europei legatiall’enogastronomicosta nel fatto che a rea-lizzarlo è un’associa-zione di categoria.

«Fiere di Parmacrea l’evento as-

sieme a Federa-limentare. Per

questo il nostro endorsement ècomposto dalla più grande fettadell’industria alimentare italiana».

In quello che si appresta a diventare ilprincipale market place per il foodnostrano saranno molti gli eventi inprogramma. A colpire è la sempremaggiore attenzione rivolta al seg-mento del “fuori casa”. «Non par-liamo solamente di bar e ristoranti.Oggi dobbiamo calcolare la ristora-zione collettiva, commerciale, i MyChef, gli Autogrill o i McDonald’s,solo per citare i principali, che ospi-tano milioni di viaggiatori. Chi viag-gia consuma. E va a costituire unmercato in grandissima espansione».

E per la prima volta Parma ospiteràanche alcuni fuori salone che rien-trano nel programma “Cibus incittà” e che puntano a creare eventidi spettacolarizzazione mediaticadelle aziende e dei prodotti presentiin filiera. Inoltre verrà organizzata la

“Piazza dei prodotti Dop Igp” cuiprenderanno parte 49 consorzi ita-liani affiancati dai soci di oriGin,l’associazione non governativa cheraccoglie i produttori di denomina-zioni di origine a livello mondiale, iquali presenteranno alcune selezio-nate specialità enogastronomicheinternazionali. Non solo, si attueràun vero e proprio osservatoriosocio economico cui prenderàparte la fondazione Qualivita, cheha curato la redazione dell’Atlanteeuropeo dei prodotti agroalimen-tari, in particolare Dop e Igp. «Ilcarrello della spesa è stato, per certiaspetto, ricomposto, i consumatorisono molto più attenti e conosconol’importanza dell’origine e dellaqualità della produzione alimentare– conclude Elda Ghiretti –. ConCibus vogliamo fotografare questasituazione creando una base cheagevoli l’esportazione delle marcheitaliane grazie ai grandi distributorimondiali».

Nelle immagini

alcuni scatti realiz-

zati durante l’edi-

zione 2008 di

Cibus; in basso,

Elda Ghiretti, pro-

duct manager

dell’evento

APPUNTAMENTICibus

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