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Gunkel Riflessioni. Per una critica del divario digitale L’espressione ‘digital divide’ è giunta ad occupare una posizione privilegiata nell’ambito dei recenti dibattiti su internet, la computer technology e l’accesso ai sistemi di informazione. Il tema del divario digitale richiede una doverosa critica di questi assunti spesso dati per scontati: l’accesso alla tecnologia è limitato da circostanze specifiche, e non dovrebbe essere considerato automatico o universalmente possibile. Terminologia: Il ‘digital divide’ è uno dei fenomeni sociali più discussi della nostra epoca. E’ anche uno dei più confusi e meno chiari. (Warschauer) L’origine del termine ‘digital divide’ rimane incerta ed ambigua. Webber ed Harmon del LA Times, (1996) riferimento alle differenze di opinione sulle nuove tecnologie.

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GunkelRiflessioni. Per una critica del divario digitale

• L’espressione ‘digital divide’ è giunta ad occupare una posizione privilegiata nell’ambito dei recenti dibattiti su internet, la computer technology e l’accesso ai sistemi di informazione.

• Il tema del divario digitale richiede una doverosa critica di questi assunti spesso dati per scontati: l’accesso alla tecnologia è limitato da circostanze specifiche, e non dovrebbe essere considerato automatico o universalmente possibile.

Terminologia:• Il ‘digital divide’ è uno dei fenomeni sociali più discussi della nostra

epoca. E’ anche uno dei più confusi e meno chiari. (Warschauer)• L’origine del termine ‘digital divide’ rimane incerta ed ambigua. • Webber ed Harmon del LA Times, (1996) riferimento alle

differenze di opinione sulle nuove tecnologie.

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Definizioni• Ad esempio, Moore (1995) impiegò ‘digital divide’ per

distinguere fra i sostenitori e i detrattori dell’IT. • Per Harmon, il divario digitale indica la differenza di

opinione che si ha fra coloro che nutrono ‘profondo sospetto nei confronti di una nuova generazione di soluzioni ingegneristiche ai problemi del mondo’, e coloro i quali ‘insistono che, di questi tempi, sarà realizzata’ l’illuminante promessa di una vita migliore attraverso la razionalità e la scienza

• All’incirca nello stesso periodo, il termine fu impiegato anche per indicare la diseguale distribuzione dell’IT nelle scuole pubbliche americane.

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Definizioni - 2• Dal 1997, il termine ‘digital divide’ fu usato in un’ampia varietà di

contesti per descrivere incompatibilità tecniche.

• Steward (1997): problemi di interoperabilità fra reti di telefonia cellulare analogiche e digitali.

• Angwin e Castaneda:forma di discriminazione razziale connaturata ad una diseguale distribuzione delle opportunità lavorative.

• • Rapporti ‘Falling through the net’ dal 1999. In questo rapporto,

‘digital divide’ è definito come ‘il divario fra coloro che hanno accesso alle nuove tecnologie e coloro che non vi accedono’ (NTIA, 1999: xiii).

• ‘digital divide’ denota una forma di ineguaglianza socioeconomica marcata dal livello di accesso all’IT da parte degli individui. Tuttavia, è utilizzato come un nome aggiuntivo per un problema già identificato da una molteplicità di altre espressioni (ad es. information haves ed have-nots)

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Definizioni - 3• Benton Foundation (2001):, ‘gap fra coloro che possono

effettivamente usare i nuovi strumenti dell’informazione e della comunicazione, come internet, e coloro che non possono’

• il ‘divario digitale’ è originalmente e persistentemente plurale. Questa pluralità ha due conseguenze.

• 1. non esiste un solo digital divide; esiste una costellazione di differenze sociali, economiche e tecnologiche che si intersecano, ognuna delle quali può pertinentemente essere chiamata ‘digital divide’.

• 2. la molteplicità lessicale non è necessariamente una debolezza. Non è possibile una definizione chiara ed univoca solo per semplificare. Poiché l’IT si è evoluta a ritmi senza precedenti, i vari problemi che ad essa sono associati hanno sperimentato anch’essi un cambiamento accelerato. L’instabilità della definizione di divario digitale non è l’effetto di un atteggiamento volubile o di una incapacità di essere precisi. La definizione è cambiata perché la tecnologia in questione è considerevolmente cambiata.

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Struttura• A prescindere da come venga definito, il digital divide organizza le cose in due tipi

dialetticamente opposti.

• Esso manifesta la sua problematicità rispondendo ad una logica binaria, ripartendo le cose in una delle due categorie.

• Conseguentemente, lo scenario ‘tutto o niente’ presentato dalle grandi teorie della divisione spesso non rappresenta adeguatamente lo stato attuale delle cose.

• Warschauer: divario digitale come ‘stratificazione sociale’; il “divario” non è realmente una divisione binaria, ma piuttosto un continuum basato su livelli differenti di accesso all’information technology’

• Questa riflessione fornisce almeno tre conclusioni utili per la comprensione del divario digitale.

• 1 l’esame del divario digitale ha bisogno di sviluppare un senso di auto-riflessività. la struttura del problema può rivelarsi essa stessa un problema.

• 2 la struttura binaria del divario digitale non è qualcosa che si può aggirare, sopraffare, o magari evitare. Di conseguenza, il compito di un approccio critico non è di fuggire da questa logica ma di imparare come usarla per mettere in discussione le sue esigenze ed i suoi stessi limiti.

• 3. La critica del digital divide non è un’attività individuale con obiettivi definiti e soluzioni definitive. Esso è, e rimane, un progetto dinamico

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Forma

• Il divario digitale ha a che vedere non tanto con la tecnologia, quanto con le sue ‘significative implicazioni sociali’. L’effetto della tecnologia sulla sfera sociale è stato spesso posto nei termini del determinismo tecnologico.

• L’ottica del determinismo tecnologico è una teoria del mutamento sociale guidato dalla tecnologia: la tecnologia è vista come il ‘motore primo’ della storia. Secondo i deterministi, particolari sviluppi tecnici, della comunicazione, dei media, o la tecnologia in senso lato, sono la causa unica o l’antecedente primario del mutamento all’interno delle società, e la tecnologia è vista come la condizione fondamentale alla base del pattern dell’organizzazione sociale

• Fin dalla sua comparsa al volgere dell’ultimo secolo, il determinismo tecnologico si è sviluppato in due sottoinsiemi generalmente chiamati determinismo ‘hard’ e determinismo ‘soft’.

• Il determinismo hard assume la tecnologia quale condizione sufficiente o necessaria per il mutamento sociale

• il determinismo soft considera la tecnologia come fattore chiave che può favorire il cambiamento.

• A prescindere da come il divario digitale venga definito, esso presuppone l’esistenza di differenze radicali e durature fra forme socioeconomiche distinte e definisce queste differenze sulla base di criteri tecnologici. Il digital divide riguarda le opportunità a disposizione degli individui capaci di partecipare alla ‘rivoluzione digitale’ e le sfortunate esperienze di coloro che non possono.

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Forma - 2• Nelle discussioni e nei dibattiti sul divario digitale, il computer ed internet non sono

solo un’ulteriore comodità. Essi sono spesso considerati delle tecnologie epocali che determinano opportunità socioeconomiche radicalmente nuove per gli individui e le istituzioni.

• Nella retorica dei vari studi sul divario digitale si possono trovare forme sia hard sia soft di determinismo tecnologico. Per esempio, il gap fra gli information haves e gli have-nots non è soltanto un’ennesima divisione socioeconomica.

• Il digital divide è percepito come una questione sociale. Esso è caratterizzato in tal modo, perché si ritiene che la tecnologia abbia effetto su opportunità e successo socioeconomico. Questa visione spesso prende forma di determinismo hard.

• Altre volte, la dimostrazione richiede un approccio soft, che suggerisca che l’information technology può contribuire al cambiamento sociale.

• La discussione sul divario digitale comprende regolarmente elementi di determinismo tecnologico. Questa è una difficoltà: il determinismo tecnologico, come teoria generale del mutamento sociale, rimane controverso e vi sono problemi specifici con la prospettiva del determinismo tecnologico applicata alla computer technology.

• Gli studi del divario digitale sembrano enfatizzare troppo fattori sociotecnologici a spese della volontà individuale. Conseguentemente, i critici degli attuali studi sul divario digitale fanno notare che il mondo non è semplicemente diviso in information haves ed have-nots. Esistono anche gli information want-nots e coloro che abbandonano l’utilizzo di internet coloro che hanno un accesso sporadico e decidono per vari motivi di non farne un uso continuativo.

• Inoltre l’impatto sociale della computer technology è oggetto di un dibattito senza fine.

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Conclusione Riflettere sul divario digitale non significa mettere in discussione la validità o l’importanza

delle varie questioni sociali e tecnologiche che sono identificate attraverso questo termine. ‘Riflessioni’ significa ripensare la problematica del divario digitale, esponendo i suoi assunti

• Ciò di cui disponiamo non sono soluzioni definitive a problemi specifici, ma linee guida per comprendere e discutere le questioni del divario digitale.

• 1. il termine ‘divario digitale’ è in origine equivoco, irriducibilmente plurale e costantemente flessibile.

• Esso indica non un problema, ma una costellazione mutevole di questioni differenti e non sempre collegate.

• Ciò che è necessario, non è una definizione precisa ed esclusiva, ma una comprensione dell’essenziale polisemia che già caratterizza l’espressione ‘digital divide’.

• 2. Al di là delle differenze socioeconomiche o tecnologiche che il termine ‘divario digitale’ identifica, esso prospetta una struttura binaria. Esso descrive i suoi vari aspetti distinguendo fra due variabili, istituisce una gerarchia asimmetrica.

• 3. Le analisi e le discussioni del divario digitale fanno perno sugli elementi di spiegazione del determinismo tecnologico

• Il determinismo tecnologico è una posizione persuasiva • i problemi socioeconomici sono ridotti a questioni tecnologiche sottintendendo che

investire in tecnologia è direttamente associato al miglioramento sociale ed economico.

• Il proposito della critica è capire come la teoria del determinismo tecnologico contribuisce a modellare la problematica del divario digitale è indispensabile per chiunque sia interessato a valutare gli studi, i rapporti e i progetti che affrontino questa importante questione sociotecnologica.

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Relazioni internazionali e dinamiche globali nell’evoluzione del digital divide

• 1. Il digital divide globale: riduzione o allargamento del gap • Dal punto di vista dell’analisi delle relazioni internazionali

contemporanee, il digital divide è riferito ad una disuguaglianza nell’accesso, nella distribuzione e nell’uso delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione (ICT), esistente tra due o più popolazioni.

• Sulla questione, esperti ed analisti si sono divisi in tre schieramenti: digital-ottimisti, digital-pessimisti e glocalisti o strutturalisti.

• Gli ottimisti sostengono che gli sforzi attuati dalle organizzazioni sovranazionali, dalle cooperazioni bilaterali tra gli stati, dalle organizzazioni non governative e dai gruppi privati riusciranno a eliminare i problemi strutturali, economici e organizzativi che impediscono ai paesi in via di sviluppo di impiegare con profitto le ICT; lo sviluppo delle ICT consentirà di avviare un processo di convergenza dei paesi poveri verso quelli più abbienti.

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• I pessimisti si mostrano scettici nei confronti di paesi in via di sviluppo gravati da istituzioni politiche resistenti al cambiamento e da condizioni economiche problematiche. Esistono poi posizioni che sostengono che il gap digitale è destinato ad allargarsi sempre di più, piuttosto che a ridursi o a restare invariato

• Oggettivamente appare difficile poter contrastare la visione pessimistica della riduzione del digital divide. Norris ha messo in rilievo, nella sua classica analisi delle tendenze di lungo termine delle vecchie e nuove forme di comunicazione, che le dinamiche di rapporto tra nord e sud del mondo sono di mantenimento dei gap esistenti.

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• La terza prospettiva di analisi, glocalista o strutturalista, mette in dubbio la possibilità di effettuare delle comparazioni tra paesi nella valutazione del progresso delle ICT. Secondo l’ottica glocalista il contatto tra le ICT e un sistema sociale specifico risente sempre delle dinamiche già in atto localmente dal punto di vista politico, economico, governativo, educativo, ecc. La distribuzione e il successo delle ICT è fortemente dipendente dalla conformazione di ogni singolo ambiente sociale e dall’intervento di altri fattori come le politiche pubbliche già in atto;

• è complesso capire se possano esistere degli elementi che, universalmente, possono spingere un paese in direzione di una convergenza digitale piuttosto che verso la divergenza.

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Il nodo centrale: la questione dell’accesso alle ICT

• Wilson distingue otto categorie di accesso: • fisico; L’accesso fisico riguarda la densità delle installazioni e con la concentrazione

individuale di strumenti legati alle tecnologie dell’informazione e della comunicazione• finanziario; L’accesso finanziario è inerente la capacità di singoli soggetti e di

comunità di accedere economicamente alle ICT • cognitivo; L’accesso cognitivo riguarda la possibilità, per un soggetto che opera

all’interno di un determinato spazio geografico, di reperire le informazioni che gli sono necessarie impiegando nuove tecnologie comunicative.

• progettuale; L’accesso progettuale è riferito allo sviluppo dell’interfaccia uomo-macchina a disposizione di una data collettività.

• contenutistico; L’accesso contenutistico è direttamente collegato alla presenza di materiali particolarmente sfruttabili perché disponibili nei linguaggi appropriati.

• produttivo; L’accesso alla produzione è direttamente collegato ai contenuti; per generare contenuti fruibili nei linguaggi appropriati bisogna essere in grado di produrli. Il problema è particolarmente acuto per i paesi in via di sviluppo in cui coesistono bassa alfabetizzazione, scarsa conoscenza delle lingue di mediazione internazionale come l’inglese o il francese e frequente segmentazione del linguaggio nazionale in una serie di dialetti

• istituzionale; L’accesso istituzionale riguarda l’eterogeneo insieme di norme e di sistemi organizzativi che alimenta, o ostacola, il contatto con le ICT delle collettività.

• politico. L’accesso politico, infine, rappresenta un concetto multidimensionale. Esso dipende dalla consapevolezza, al livello governativo, della necessità di poter e dover utilizzare le ICT per migliorare le condizioni economiche e sociali della propria;

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Questioni dell’accesso • La ‘via africana’ alle ICT che sta emergendo all’inizio del XXI secolo, ad

esempio, è basata sull’adozione di tecnologie che riescano ad alleviare i carichi infrastrutturali permettendo la diffusione di mezzi di comunicazione e informazione.

• Se non si creeranno le premesse, all’interno dei paesi più svantaggiati, per una progettazione e una implementazione locale di strategie di sviluppo delle ICT, in grado di generare strumenti e tecnologie che possano realmente servire gli interessi delle popolazioni disagiate, la lotta per l’abbattimento del digital divide sarà persa in partenza.

• Senza questi accorgimenti la riduzione del divide e la teoria del leapfrog rischiano di seguire lo stesso destino di una buona parte delle politiche di cooperazione allo sviluppo sviluppatesi nella seconda metà del XX secolo.

• Infine l’accesso politico si riferisce anche alla possibilità di influenzare dal basso le norme e le configurazioni istituzionali che riguardano le ICT; il problema principale della partecipazione pubblica, riguarda il fatto che essa cresce di pari passo con la maturità dei sistemi politici in senso democratico;

• se rapportato ai paesi del terzo mondo gli stessi luoghi in cui le ICT possono avere un impatto determinante nell’elevare il benessere delle popolazioni sono quelli in cui i sistemi politici democratici latitano di più

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Iniziative globali e digital divide• Alla fine degli anni Novanta il digital divide, da soggetto semi-ignorato è divenuto un frequente argomento

di dibattito come risultato dell’interesse mostrato da parte di grandi organizzazioni sovrastatali e del settore privato.

• Il GIIC, in relazione alle ICT, prevedeva la maturazione del settore privato in alcuni paesi del sud del mondo, tra i quali Egitto, India, Malesia e Senegal.

• I progetti, con l’eccezione di quelli centrati sull’India, andarono incontro a un sostanziale fallimento, nell’area africana e in quella asiatica, a causa delle carenze di capacità locali

• Le ‘certezze dei privati’• problemi principali legati al comportamento delle leadership governative dei paesi in via di sviluppo a

causa della corruzione, dei monopoli e della centralizzazione- • In definitiva, si riteneva che, per trasformare il gap digitale in una possibile opportunità di sviluppo, le

forze private avrebbero dovuto avere mano libera, lasciando a governi disciplinatamente neoliberisti il compito di curare l’educazione all’impiego delle ICT e di promulgare leggi che favorissero il mercato in questione.

• Il G8 e La DOT Force: identificazione delle tecniche per combattere il divide lungo quattro aree: settore educativo (creare competenze umane), strutturale (aumento della connettività, abbassamento dei costi delle infrastrutture e gestionali, aumentare l’accesso), economico (stimolare la partecipazione nell’e-commerce, creare reti economiche) e politico (generare regole e sistemi normativi ricettivi nei confronti delle ICT).

• Paesi coinvolti: nove, tra cui Senegal, Tanzania, Cina, India e Brasile• Gli incontri tra gli esponenti di questi paesi non riuscirono a produrre indicazioni decisive e si

scontrarono con l’eterogeneità di norme e problemi locali che emergevano da contesti così differenti tra di loro. Persino i tentativi di fornire suggerimenti generici, centrati soprattutto sul bisogno di formazione e di infrastrutture, non portarono a risultati apprezzabili.

• La tendenza a immaginare le problematiche relative alla diffusione delle ICT, come elementi presenti in modo similare nelle diverse realtà dei paesi in via di sviluppo, ancora una volta, portò ad un sostanziale fallimento dell’iniziativa a causa dello scarso peso assegnato alle singole realtà locali dei paesi in via di sviluppo.

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L’importanza dei contesti locali

• E’ stata sottolineata con vigore la necessità di impostare programmi di riduzione del digital divide basati sui bisogni specifici dei contesti in cui le ICT vengono inserite.

• Elementi fondamentali• 1 considerare l’allargamento progressivo, piuttosto che la contrazione, del gap

digitale tra terzo mondo e paesi avanzati, visti i benefici progressivi che questi ultimi riescono a trarre dalle ICT

• 2. vanno sottolineati gli scarsi progressi dei paesi in via di sviluppo lungo la strada della democratizzazione. L’ascesa di sistemi governativi democratici costituisce un elemento essenziale per lo sviluppo delle ICT e per un loro proficuo impiego al servizio reale delle popolazioni. Sotto questo aspetto l’immaturità, sul piano della pianificazione e della implementazione delle ICT, da parte delle strutture governative dei paesi del terzo mondo, costituisce un ulteriore ostacolo nel contrasto al digital divide. I flussi di capitale, sia provenienti da enti finalizzati alla cooperazione sia da investitori privati, si disperdono a causa delle barriere burocratiche e della corruzione governativa largamente estesa nei paesi in via di sviluppo.

• 3. Sinora l’intervento ‘dall’esterno’ è stato finalizzato alla cessione di tecnologie e guidato da una strategia globale molto vicina al modello diffusionista dello sviluppo.

• Una tale impostazione riduce la lotta al digital divide ad un processo top-down, in cui delle tecnologie, dei modelli di innovazione e degli standard operativi sono definiti all’interno dei paesi più avanzati e poi ‘esportati’ e inseriti localmente nei contesti più disagiati

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L’importanza dei contesti locali

• 4. Le ICT non sono elementi che possono essere paracadutati in aree disagiate come se fossero dei rifornimenti alimentari sganciati su una sfortunata area del terzo mondo, come un pacco regalo da parte dei paesi ricchi o delle organizzazioni internazionali o non governative di sostegno umanitario e di supporto economico

• 5. La rivoluzione informatica e delle comunicazioni viene generata, nei paesi in via di sviluppo, all’interno dei contesti sociali e governativi locali, per iniziativa di istituzioni o di soggetti che individuano sia degli interessi comuni che delle strategie operative in cui poter applicare le ICT.

• 6. è proprio in sostegno di questi soggetti e di tali istituzioni governative che si deve verificare un intervento esterno da parte dei paesi più sviluppati, finalizzato non solo alla creazione delle infrastrutture necessarie e al travaso delle tecnologie, ma soprattutto all’emergere di quella cultura della conoscenza che consente un accesso realmente efficace all’impiego delle ICT.

• Possiamo dare la giusta importanza ai contesti locali se definiamo la rivoluzione delle ICT come un processo globale di innovazione e ristrutturazione sequenziale e locale

• Agendo in tal modo essi creano una rivoluzione locale connessa alle ICT che, selettivamente, attinge ad alcune (ma non a tutte) delle risorse e delle esperienze provenienti dai paesi più avanzati.

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Catching up e convergenza• Secondo gli studiosi, la convergenza si ottiene quando si verifica,

sul lungo periodo, una tendenza alla riduzione delle differenze di reddito reale e pro capite tra diverse realtà economiche.

• Si ritiene che la convergenza delle aree arretrate verso quelle più sviluppate in generale, sia condizionata da quattro fattori principali:

• capitale fisico• capitale umano • qualità delle istituzioni • livello della tecnologia• I punti focali per descrivere la persistenza del digital divide nel terzo

mondo sono:• carenza delle infrastrutture per le telecomunicazioni;• costi elevati di utilizzo delle linee telefoniche;• scarsa presenza di computer e attività di alfabetizzazione relative al

loro utilizzo;• diffusione geografica delle connessioni, concentrata nelle grandi

città o nelle capitali, mentre è totalmente assente nelle zone rurali, nelle quali vive invece la maggior parte della popolazione

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LE ICT NEL CONTESTO AFRICANO

• Alla fine del 2001 contava 4,4 milioni di internauti su 450 milioni di abitanti. Tutti i paesi sono connessi, ma il 50% degli internauti risultano residenti in Sudafrica, il 16% nell’Africa settentrionale e il 29% al sud del Sahara.

• Secondo il rapporto del 2001 emanato dall’UNDP, l’Africa tutta ha una larghezza di banda inferiore a quella di San Paolo del Brasile. La larghezza di banda dell’America Latina, in compenso, è quasi uguale a quella di Seul, in Corea

• il costo medio totale dell’uso di un account internet privato per venti ore al mese in Africa è circa 60 dollari

• Le tariffe di abbonamento a un provider di servizi internet variano tra i 10 agli 80 dollari al mese

• Secondo l’OCSE, nel 2000, venti ore di accesso a internet negli Stati Uniti costavano 22 dollari al mese, compresi i costi telefonici, e anche se i costi europei erano più alti, dai 33 ai 39 dollari, questi paesi hanno redditi almeno 10 volte più alti del salario medio mensile di un africano.

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LE ICT NEL CONTESTO AFRICANO - 2

• Internet è innanzitutto appannaggio delle aree centrali delle città e delle élite urbanizzate. Il tipico “internauta” africano è giovane, benestante e colto.

• La maggior parte della popolazione africana non ha mai fatto una telefonata e solo il 2,5% delle televisioni del mondo sono collocate nell’Africa subsahariana; escludendo il Sudafrica, nel continente nero solo una persona su 9.000 ha accesso a internet mentre la stessa quota, per i paesi dell’Europa Occidentale è di un accesso ogni 38 individui

• Oltre il 60% della popolazione africana riceve le trasmissioni radio, mentre la copertura delle televisioni nazionali è per lo più confinata nelle maggiori città

• la densità complessiva, nel 1996, era ancora di circa una linea telefonica per 100 abitanti

• La maggior parte delle linee telefoniche è concentrata nelle capitali, dove vive solo il 10 % della popolazione (ancora largamente distribuita sul territorio rurale) e, in oltre quindici paesi, compresi Costa D’Avorio, Ghana e Uganda, oltre il 70% delle linee disponibili è situato nelle città maggiori

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LE ICT NEL CONTESTO AFRICANO - 3• La telefonia cellulare mobile ha ottenuto una rapida crescita nei

paesi subsahariani. Fornendo un’alternativa alle limitate e costose reti pubbliche

• Con l’eccezione del Sudafrica, i computer portatili e mainframes sono rarissimi e la maggior parte di questi è confinata ai ministri delle finanze per la retribuzione di chi lavora al governo, oppure sono a disposizione solo di alcune organizzazioni parastatali, agli operatori telecom, alle banche e alle compagnie di assicurazioni.

• Esistono pochi siti web governativi particolarmente efficaci • La posta elettronica viene generalmente usata per la

corrispondenza e per lo scambio di documenti e di idee, sebbene il suo uso sia ancora limitato all’accesso di informazioni formali.

• In tutto il continente africano la percezione dell’utilità delle e-mail è molto elevata. Coloro che possono impiegare la posta elettronica affermano che questo strumento è efficiente e riduce il costo della comunicazione

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I Telecentri• creazione di accessi collettivi consentendo un accesso

alle ICT esattamente opposto a quanto avviene nei paesi più ricchi, basta pensare al fatto che negli Stati Uniti solo il 4 % circa degli utenti internet usufruisce degli accessi pubblici

• L’accesso collettivo è una delle caratteristiche peculiari della ‘via africana alle ICT’, un modello africano di appropriazione delle tecnologie della comunicazione, al quale si aggiunge l’impiego frequente di materiale usato.

• Le istallazioni comunitarie giocano un ruolo importantissimo nel fornire l’addestramento tecnologico e la base per creare una alfabetizzazione informatica in grado di ridurre attivamente il digital divide

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il Senegal e i telecentri• Una soluzione di particolare rilievo, adottata da Dakar per colmare il

divario informativo, sembra essere la diffusione di telecentri.• Il Senegal è attualmente uno dei paesi africani con il maggior

numero di telecentri, sono state stimate dalle 9000 alle 10000 sedi. Tali strutture sono appoggiate per la maggior parte dalla Sonatel, compagnia telefonica che supporta, in primo luogo, lo sviluppo dei telecentri anziché il settore dei telefoni a pagamento.

• Questa nuova strategia ha dimostrato che le politiche di liberalizzazione nel settore delle telecomunicazioni, quindi l’introduzione della concorrenza, hanno avuto degli effetti benefici, per gli utenti, in termini di diminuzione delle tariffe telefoniche.

• In Senegal, attraverso il miglioramento delle infrastrutture di telecomunicazione si sono sviluppati anche i cybercafè.

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E-diasporas• Le E-diasporas; rapporto tra una tipologia particolare di spostamenti

umani - le diaspore delle comunità di migranti - e gli usi delle nuove tecnologie comunicative da parte delle stesse comunità diasporiche. Mentre nell’immaginario collettivo i migranti sono spesso considerati soggetti scarsamente inclusi nei circuiti della comunicazione digitale, sempre più spesso le comunità formate da questi costituiscono importanti vettori di processi di inclusione digitale, principalmente attraverso l’attivazione di contatti e flussi di informazione/comunicazione con i Paesi d’origine

• La tesi della «fine della geografia» ha avuto origine nei primi anni dello scorso decennio, ed ha trovato, in riferimento alla dimensione della comunicazione, nel filosofo ed urbanista francese Paul Virilio.

• secondo la sua interpretazione sarebbe possibile scorgere, fra gli effetti della mondializzazione, una «accelerazione della realtà» tale da provocare una progressiva perdita della base geografica dei continenti

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E-diasporas - 2• Bauman ha indicato una progressiva emancipazione del tempo

dallo spazio: ad uscire vittorioso dalla «Grande guerra di indipendenza dallo spazio» sarebbe il valore della mobilità, che si costituirebbe anche come maggiore fattore di stratificazione sociale della modernità

• La crescente velocità delle comunicazioni resa possibile dalle ICT sarebbe pertanto alla base di una progressiva polarizzazione della condizione umana: un ristretto gruppo di individui non vincolati ad alcun luogo particolare che si separa dal resto dell’umanità, la quale, suo malgrado, resta relegato nei luoghi che ha sempre abitato

• Bauman, dunque, non nega la rilevanza degli spazi: sostiene invece che tale rilevanza abbia perso significato agli occhi degli individui mobili e sovralocali, mentre si sia fatta ancor più pressante per tutti quegli individui non-mobili che si trovano ad avere scarse possibilità di comunicazione

• Sovrapposizione fra più forme percettive: Castells contrappone infatti una nuova logica spaziale, definita come spazio dei flussi, all’organizzazione spaziale storicamente legata all’esperienza umana dello spazio dei luoghi

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E-diasporas - 3

• Arjun Appadurai propone di guardare al panorama attuale come ad una coesistenza di «disgiunture», una serie di discontinuità che attraversano trasversalmente i flussi e le dinamiche di relazione caratteristiche di tutti gli ambiti del moderno vivere associato, marcando differenze e costituendosi come elementi potenzialmente generatori di conflitto.

• Le dinamiche sono sistematizzate in a cinque panorami (scapes) di natura relazionale, vale a dire basati su reti di relazioni. La compresenza di tali panorami rende possibili i cosiddetti «mondi immaginati, cioè i mondi molteplici che sono costituiti dalle immaginazioni storicamente localizzate di persone e gruppi diffusi sul pianeta»

• 1. Il primo panorama è quello degli ‘etnorami’ (ethonoscapes), formato dalle varie categorie di persone in movimento: turisti, immigrati, rifugiati, esiliati, lavoratori ospiti e così via. Si tratta, in altri termini, di tutti quei gruppi umani che esperiscono una condizione di mobilità – sia essa voluta o forzata – mantenendo negli spostamenti un’identità di gruppo che in ipotesi può influire sulla politica all’interno degli Stati-nazione e fra di essi

• 2. Un secondo panorama è individuato nei ‘tecnorami’ (technoscapes), cioè il paesaggio costituito dalla presenza e dal movimento globale della tecnologia intesa in senso lato.

• 3. I ‘finanziorami’ (financescapes) emergono come ulteriore panorama che si inserisce in questo modello, integrando l’imprevedibilità e la volubilità dei mercati finanziari globali e delle attività produttive e commerciali.

• 4. ‘mediorami’ (mediascapes): capacità da parte di attori eterogenei di produrre e diffondere informazioni attraverso i media e mutevoli «immagini del mondo» che media stessi rendono pubbliche. Secondo Appadurai, il fatto più rilevante è che questi mediorami «forniscono ai loro spettatori di tutto il mondo vasti e complicati repertori di immagini, narrazioni ed etnorami in cui si mescolano profondamente il mondo delle merci e quello delle notizie e della politica

• 5. ‘ideorami’ (ideoscapes) connotazione più strettamente politica, dal momento che riguardano le tensioni fra le ideologie sia degli Stati sia degli attori non statuali che ad essi si contrappongono

Page 26: Gunkel Riflessioni. Per una critica del divario digitale Lespressione digital divide è giunta ad occupare una posizione privilegiata nellambito dei recenti.

E-diasporas - 4

• l’immigrato è una persona-ponte tra mondi diversi, che con i propri spostamenti, i ricongiungimenti familiari, l’invio di rimesse nei paesi d’origine disegna flussi riconoscibili e relativamente stabili

• Queste “culture in viaggio”, dissociate da una diretta appartenenza territoriale, richiedono nuovi modelli e nuovi metodi di analisi concentrati sui network di comunicazione che le rendono possibili. Tali network, che collegano le scelte personali e individuali in più vaste e diasporiche narrazioni dell’identità, sono talvolta mantenute grazie ad una complessa mescolanza di mobilità fisica (pellegrinaggi, partenze ed arrivi, visite familiari) e comunicazioni simboliche attraverso una molteplicità di “small media” come gli scambi epistolari, le telefonate, le fotografie ed i video»

• La «socialità diasporica» alla quale fa riferimento Dayan è essenzialmente una «socialità mediata», tale per cui gli individui sentono di «appartenere a gruppi e comunità costituiti almeno in parte dai media»

• il dato interessante, secondo Dayan, è che le diaspore sono esse stesse in grado di «creare» dei propri media, secondo azioni di innovative e imprevedibili ibridazioni. E’ anche per mezzo di queste pratiche creative e ‘ri-creative’ che le soggettività diasporiche tendono ad instaurare relazioni e ricreare – trasformandole – le diverse località di origine