Gruppo Padano Di Piadena - Quan Serum Putei

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    Il Gruppo Padano di Piadena- HOME PAGE

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    PIADENA

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    E-MAIL

    Quan srum ptei

    (Quando eravamo bambini)

    (Testimonianze della nostra infanzia raccolte nel 1983 e presentate allaFiera di Piadena nel settembre 1983

    Ed. in collaborazione con lArchivio Storicodella Coop Unione di Piadena e della Biblioteca Popolare

    Indice

    1) Presentazione

    2) Venire al mondo:

    - 17 figli in 15 anni- Come si allevavano i bambini

    3) Giocare:

    - I nostri giochi- Il mondo- Alla colonia dellOglio- Il gioco delle cicche- Sotto i tombini- A scivolare nei fossi ghiacciati- Battaglie al pendent- I casotti- Salta la mula- Bel me

    4) Leducazione:

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    - La bacchetta sulle dita- Alla scuola delle suore di Vho- La rana nel calamaio- La preghiera- Mio padre- Il chiodo

    5) Paure, superstizioni, violenza:

    - Paura nella stalla- La strega- La polenta rossa- I fascisti picchiano mio padre

    6) Le feste

    - La pua d Santa Lusia- La vigilia di Natale- In maschera col Bri Bri- La mascherata- La sgura- La merenda del luned

    7) I poveri

    - Serum puaret tant - O un posto o il latte- I mendicanti- La carit

    - Una gran miseria

    8) Il primo lavoro

    - La bicicletta mia- A vendere ceci e lupini- In filanda- Da ragazza in filanda- Ho imparato con mio padre- A descartussaa l melegot- A sei anni nei campi- Nelle stalle a vendere ceci e lupini- L asino del nonno

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    Presentazione

    L anno scorso, per la fiera, la mostra Anziani a Piadena dichiaravapubblicamente, per la prima volta, la presenza attiva della terza et

    nel nostro paese, documentata dai lavori degli anziani,dai servizisociali comunali gestiti insieme, da obiettivi e attivit del Comitato

    eletto in assemblea.In quei giorni intorno agli anziani si verificata una manifestazione

    di simpatia e di solidariet che ha praticamente rotto ogni isolamentodella categoria e dato ad essi nuova volont di operare.

    Da allora abbiamo vissuto un anno ricco di attivit le pi diverse:conferenze sulla salute, gite, feste, soggiorni al mare, convegni,trasporto ai centri diabetici, raccolta di testimonianze orali come

    studio della nostra storia comune.

    Con lapertura della sede del Centro Anziani alcune testimonianzesono state esposte periodicamente nella vetrina: era il nostro

    pensiero, i fatti della nostra non facile vita, raccontati con semplicit,senza retorica.

    Decine e decine di narrazioni sullinfanzia, lamore, la guerra, lesuperstizioni, il lavoro, le lotte, la morte.

    Per la fiera di questanno abbiamo scelto quelle che rievocano lanostra infanzia: Quan serum putei, e cio come si veniva al mondo, inostri giochi, le paure, le feste, la fame, il lavoro minorile visti con inostri occhi di bambini.

    Le abbiamo raccolte in un libro che presentiamo a tutti, ma inparticolare ai bambini di oggi che vivono in un mondo molto diverso

    dal nostro, dove la fame non esiste pi ma dove forse mancaqualcosa di essenziale che noi avevamo e si perduto per sempre.

    Il Comitato Anziani di Piadena

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    Venire al mondo

    Lucia Bellomi17 figli in 15 anni

    Io ho avuto 17 figli, tutti a casa. Allora le donne non andavano via apartorire.

    Quando aspettavo il primo figlio ho fatto bollire un paiolo d acqua eintanto che ho messo su lacqua.ho fatto il bambino. Erano le tre emezzo del mattino, sentivo che sulla strada passava il camion del lattee io intanto facevo il bambino, da sola. Quando venuta la levatriceera tutto finito.Alla sera mi son dovuta alzare per far da mangiare al mio uomo.

    Poi ho avuto un parto trigemino. Ricordo che cera freddo, la neve, enon avevo legna. Quattro in un anno, e sempre a casa.Per i tre gemelli cera la levatrice perch mi sono venuti i dolori allasera alle nove e li ho avuti fino alla mattina alle 4. Eravamo nel 1925.Quellanno ne ho avuto un altro: cinque bambini nello stesso anno.Tutti gli anni cero sotto, con quel cdi uomo.

    Non cera niente da fare. Una bestia. Avevo persino vergogna dellagente. Tutti gli anni mi vedevano con la pancia grossa:

    - Lucia, ancora?

    Io sono 5 volte bisnonna e 17 volte nonna. L ultimo figlio, Stefano, del 43. Cera la neve, luomo senza lavoro (perch d inverno allora nonlavoravamo), mi sono venuti i dolori e mi ha detto: Ti porto aS.Giovanni.Allora abitavamo a Drizzona. Siamo partiti con la carrozza per andareallospedale (erano i primi anni che le donne andavano a partorireallospedale). Arrivati qui a Piadena alle 11 di notte, le sbarre dellaferrovia erano gi. Mentre eravamo l fermi, in mezzo alla neve, eavvolti nella mantellina del mio uomo, ho avuto il bambino sullacarrozza.Quando si sono alzate le sbarre, non sapevamo se tornare a casa oandare allospedale. A casa avevo niente da mangiare, legna ce nera

    poca, la neve alta e ho detto: Andiamo allospedale, almeno perqualche giorno manger l. Con Pippo che girava in aria, ma ha

    portato allospedale.

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    Al cancello il mio uomo ha suonato e una suora venuta al poggio:Chi ?Venga, sento piangere, credo che sia gi nato dice lui.Avevo avvolto il bambino nel suo mantello per non farlo morire difreddo. E quando tornato indietro lui non aveva pi il mantello,

    perch cera dentro il bambino e lo sporco, lurina e tutto.

    Lucia Bellomi

    C o me s i a l l ev a v a no i ba mbi ni

    Io latte non ne avevo e gli davo il latte di vacca.I bambini allora venivano fasciati stretti come mummie. Erano cosabituati che quando erano liberi piangevano, perch volevano essereancora fasciati e stare al caldo. Tutte facevano cos.E siccome cerano pochi soldi per comperare il latte, si continuava adargli dei succhiotti con acqua e un po di zucchero.Quando la pelle era arrossata e screpolata gliela ungevo con un po' di

    unto di maiale. Puzzavano, poverini.A tre o quattro mesi gli si faceva mangiare la polenta intinta in un

    piattino con dentro un po di formaggio e di zucchero (se cera). Gliveniva la pancia grossa.Quando il bambino aveva i vermi, pestavamo un po di aglio e gliungevamo la gola.Quando non faceva la cacca (allora non si usavano i clisteri comeadesso), facevo una specie di trombettina con la carta e gliela infilavonel buchino del culo e gli infilavo dentro olio mescolato con acquacalda. Cos faceva la cacca.

    Quando cera la diarrea, o lenterite, non cera niente da fare, morivano.Ogni tanto suonavano a morto: E morto il tal bambino.A fasciarli andavamo nella stalla perch in casa avevo freddo: facevoscaldare le pezze sulle vacche e nel pelo che restava sulla pezza,fasciavo il bambino.Quando i bambini erano pi grandicelli pestavamo del grasso con un

    po di aglio e prezzemolo: con qualche cucchiaiata di quel grassoavevamo pronto, sciogliendolo in acqua, il brodo e il ciccio . E sifaceva la zuppa con la polenta.Graziella: Mia mamma ci metteva a letto, ci copriva e poi lavava tutti(braghine, vestine, sottanine) e le metteva davanti al fuoco adasciugare. Cos il mattino dopo erano gi pronte. Non cera il cambio.

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    GIOCARE

    Gino Soana

    I nostri giochi

    El Gerlu

    Era un gioco che si faceva in primavera e in autunno, quando nonfaceva tanto freddo. Si piantava in terra un pezzo di paletto, inclinatocome una pista di lancio: era la leva. Si faceva il gerlo con un pezzo dilegno intagliato, con lo scavo, lo si portava sul paletto e con un colpo

    di canella si lanciava lontano anche 50-100 metri. Gli avversari eranotre o quattro, anche loro con la canela, e cercavano di colpire il gerloquando arrivava.

    Era una specie di baseball. Quando colpivano il gerlo al volo, lolanciavano poi con la mano verso la leva. Vincevano se lomandavano nel cerchio tracciato intorno alla leva.

    El sgangul

    El sgangul era a forma di fuso e si giocava cos: si segnava un cerchiogrande in terra. Dal cerchio si lanciava il fuso in aria e si colpiva al

    volo con un bastone.Gli avversari lo dovevano colpire al volo. Se locolpivano lo lanciavano a mano e se cadeva nel cerchio era un punto

    per loro.

    El pirlu

    Giocavamo sul sagrato della chiesa, che era tutto cementato.Mettevamo un mucchietto di terra per posarvi il pirlo fermo e diritto e

    poi, al, con la frusta di corda lo facevamo girare.Era un gioco individuale ma nei cortili grandi, dove cera tanto spazio,si faceva insieme ad altri: uno incominciava e gli altri a turno facevanoruotare il pirlo a colpi di frusta, senza mai farlo fermare.

    Spanetta

    Era un gioco con i soldi che si faceva vicino a un muro. Si batteva

    forte la moneta contro il muro e si cercava di farla rimbalzare pilontano possibile.

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    Lavversario batteva la sua e cercava di farla cadere vicino allaltra, o auna delle altre se erano in diversi a giocare.

    La misura era la spanna: se la moneta cadeva vicino a una moneta alladistanza della spanna o meno, la moneta era vinta dal battitore.Altrimenti restava in terra e battevano gli altri a turno.

    Testa e croce

    Si segnava una riga in terra un po lontano da un muro e ognunolanciava la sua moneta cercando di arrivare pi vicino al muro. Chi

    arrivava pi vicino raccoglieva tutte le monete e le buttava in ariafacendole roteare tutte insieme mentre il secondo arrivato diceva: testao croce. Se diceva testa, le croci restavano a chi aveva lanciato in ariale monete.

    Le altre venivano raccolte e lanciate in aria dal secondo e toccava alterzo scegliere testa o croce. E cos via fino a quando non cerano pimonete. Poi si ricominciava.

    Giochi nella stalla

    Dinverno giocavamo a carte nella stalla. Andavamo dalloste a farciprestare un mazzo di carte brutte (soldi per comperare un mazzo

    nuovo non li avevamo) e si giocava a briscola, tresette, spaz e altrigiochi. Da piccoli si giocava senza soldi, poi a una certa et si giocavacon i soldi, a sette e mezzo, stop.

    Nel copertone

    I Quaranta avevano il carro e il rimorchio con le ruote di gomma e in

    cortile cerano copertoni vecchi fuori uso.Un giorno ho inventato questo gioco: sono entrato nel copertone tuttoraggomitolato, con la testa che toccava i piedi.Poi abbiamo portato il copertone sul punto pi alto della salita. L

    entravo nel copertone e poi con una spinta gli amici mi facevanorotolare gi dalla discesa. Rocca, quando lo vedo, mi ricorda semprequel gioco. Allora la discesa era pi ripida di oggi: se prendevi larincorsa andavi gi fino in mezzo al paese. Era bello: anche se finivo

    contro il muro, il copertone mi riparava dallurto.

    Il muro della morte

    Un altro gioco inventato era questo: andavo in bicicletta sotto lacanna, quando non arrivavo ancora con i piedi sui pedali. Quandohanno alzato largine, dove le due strade si univano era risultata unacurva fuori dalla strada, che pareva un muro della morte. Mi lanciavo

    sul muro prendendo la rincorsa dallargine verso Piadena, con labicicletta inclinata, nei primi momenti pedalando sotto la canna.Qualche volta cadevo gi.

    Poi ho imparato ad andare allindietro.

    Mi sedevo sul manubrio e tenevo le mani sulle manopole, e andavogi dalla discesa a schiena indietro. Frenavo con i pedali perch allorale biciclette avevano lo scatto fisso.

    Bruna Franzoni

    Il mondo

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    Io giocavo al mondo, che era cos: in terra, dove cera il cementoliscio, segnavamo col gesso le caselle del luned, del marted e di tutti

    gli altri giorni della settimana.Poi si prendeva una schida, per esempio un pezzetto di piatto vecchioe rotto, e a turno lo buttavamo tra le caselle. A saltelli, senza toccare lerighe, dovevamo passare per tutte le caselle, dal luned alla domenica

    e tornare indietro.

    Chi pestava le righe tornava indietro e perdeva punti. Vinceva quelloche non pestava le righe.

    Il gioco veniva poi complicato: prima si saltava con niente, poi con laschida sulla mano, poi sul piede, poi sulla testa. Era bello.

    Giovanna Mariotti

    Alla colonia dellOglio

    Quando ero bambina io, cera la colonia allOglio. Per me era un diodamore perch a casa non giocavo mai, invece l, sulla sabbia facevo

    tanti giochi. Ci sono andata che avevo 8 anni.Partivamo alla mattina verso le 7,30-8 dalla piazza di Piadena, sipassava per il Falchetto e si camminava fino alla colonia. Quasi trechilometri.

    L cera ladunata con lalzabandiera, suor Giuseppina ci faceva dire lepreghiere, poi si andava nella camerata a togliere la giacchina (chedava il Comune) e si restava con il costume a sottanina, i maschi conle braghette, tutti uguali, col cappellino bianco.

    Poi si andava in spiaggia a giocare per una bellora: facevamo castellicon la sabbia o giocavamo alla mamma p alla bottegaia con le foglie econchiglie.

    Per me era una gran cosa, non vedevo lora di andarci, proprio pergiocare.Dopo ci chiamavano alladunata e ci raccontavano tante storie e fattiche adesso non ricordo pi.

    Facevamo le recite e i saggi di ginnastica perch alla fine della coloniavenivano i genitori e il federale a vederli.Ogni giorno facevamo unora di sole, cera la signorina che girava conlorologio e ci diceva per esempio: Tu sei troppo rossa, devi smettere e

    stare sotto lombrellone.Poi cera il bagno, in una zona recintata dove lacqua era bassa e non

    pericolosa.Dopo la ricreazione, il pranzo: quasi sempre pastasciutta e carne con

    intingolo. Ricordo che per me, che a casa non cera niente, era unmangiare stupendo.Dopo il bagno ci vestivamo. Nei giorni che lacqua dellOglio era

    fredda, facevamo la doccia in uno stanzone senza soffitto, dovecerano dodici docce. Lavati, ci asciugavamo e dopo ci davano lamerenda: pane con le prugne (ricordo che ce le davano spesso, forsegliele regalavano) o pane e marmellata a quadrettino, o mortadella o

    formaggio.

    Verso sera si tornava a piedi e si cantava. E cera sempre qualchegenitore che veniva a prendere i bambini in bicicletta, specialmentealla domenica. Certe volte, quando cera il temporale, veniva mio

    pap, altre volte mio fratello: mi mettevano sul manubrio e si andava acasa cos.

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    Alla domenica cera la messa ma ci lasciavano pi tempo per giocare.Una volta o due durante lestate veniva Racagn a far ballare i burattini.

    I miei giorni pi belli dellinfanzia sono stati quelli che ho passato incolonia.

    Rosa Barozzi

    Il gioco con le cicche

    A me piaceva tanto giocare con le palline.Ci trovavamo in quattro o cinque ragazzi, scavavamo una piccolabuca in terra e giocavamo con le cicche di terracotta.

    Si tirava la pallina a turno, a spisigot e chi mandava dentro la pallinaper primo nella buca, aveva vinto. Si cominciava da lontano: prima sitirava la pallina e chi andava pi vicino alla buca era il primo che

    tirava. Poi si incominciava: a forza di spisigot si andava sempre pivicino alla buca fino a che cera uno che la mandava dentro per primo.Quello aveva vinto.Ma vinceva niente. Si giocava soltanto per divertimento

    Veneroni Spartaco

    Sotto i tombini

    Ora certe cose sono inconcepibili. Ricordo che mio padre era in

    Germania, mia madre andava alla monda dei bozzoli alle 6 delmattino e faceva dodici ore al giorno. Cos eravamo sempre soli efuori casa e alcune volte non andavamo neanche a casa a mangiare.

    Una notte era venuto un temporale e cera il Laghetto in piena, conlacqua torbida, gialla. E io e mio fratello, alle 6, eravamo gi l perfare il bagno. E passato el campr, quello che sorvegliava il Laghetto,

    e ci ha rincorsi con una stroppa gridando: Siete disgraziati a fare ilbagno a questora, in unacqua cos gialla e sporca?.Ma noi eravamo abituati a quella vita.Una volta, per raccogliere due palline cadute in un tombino, o qualchemoneta, sono andato quattro o cinque volte dentro la fogna partendo

    dal Dosso e arrivavo fino al Caff Centrale.Gli altri correvano avanti dovera il tombino, mi davano la posizione eio entravo. Il primo pezzo lo facevo in piedi, con una candela accesa

    in mano. Ma quando ero pi avanti la candela si spegneva e lunicaluce era quella che veniva dal tombino pi vicino. Dallaltezza di

    Piazza in avanti dovevo andare carponi e poi tornare indietrorinculando perch non riuscivo pi a voltarmi. Andavo gi a piedi

    nudi, carponi, con le mani dentro lacqua, ogni tanto saltavano fuoridei topi.In principio andavamo a cercare le cose cadute a noi, poi si andava acercare sotto i tombini le cose che erano cadute o buttate dentro.

    Trovavo sempre qualcosa: qualche pallina, qualche moneta da diecicentesimi. Era diventata una ricerca.Ma andavamo a pescare anche in altri posti, come sotto il ponte di

    Girelli. Girelli aveva lofficina sopra il Cavo, con una botola dentro

    alla quale buttavano tutto, quando facevano pulizia. Noi andavamo lsotto a raccogliere gli scarti di ferro e li portavamo a Toninelli. Eintanto che due si facevano pesare il ferro, un altro si riempiva le

    tasche di ottone. Ottone che unaltra volta andavamo a vendergli.

    Paolo Bona

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    A scivolare nei fossi ghiacciati

    Nei prati cerano delle fosse che quando ghiacciava, cera una spanna

    di ghiaccio. In quelle fosse cera tanto pesce che veniva dallaDelmona, si incanalava nella sariola che ora hanno coperto, ceranopesci-gatto e tinche che erano una meraviglia.L, dinverno, andavamo a lisc (scivolare sul ghiaccio). Mi ricordo

    che venivano in tanti: Nino Prandi, Delfo Corini e altri.

    Si liscava con i truculin (zoccolino) che lucidavo bene con la caligine(perch allora non avevamo i soldi per comperare il lucido) e per

    scivolare meglio mettevamo sotto un pezzettino di latta sottile.Cos scivolavi che era una meraviglia.

    Battaglie al pendent

    Nei prati dietro il Dosso cera el pendent,una scarpata che pareva le

    montagne degli indiani.Noi ragazzi facevamo per finta le frecce avvelenate come gli indiani e

    andavamo attraverso i prati fino al pendent.L facevamo i casotti con le prigioni dove mettevamo i prigionieri di

    guerra. Io ero nella squadra della Fornace con Gino Cappelli, OlgoRota e altri.Quando si dichiarava guerra si andava al pendent a fare le battaglie.Quando cera la guerra con quelli del Dosso, la squadra del Vicolo

    Spaseton ci aiutava, eravamo alleati.Al pendent si scavavano trincee, facevamo fucili di legno, archi efrecce. Nel vicolo Spaseton cerano i Pigoli, Casaretti e altri.

    Le battaglie si facevano nei prati, dove cerano fossi e macchioni per

    nascondersi.Quando cera lavanzata, sparavi e gridavi: Prigioniero!. Loprendevamo e lo portavamo via con noi. Poi, finita la guerra, si

    tornava tutti amici come prima.Con le penne di gallina ci ornavamo come indiani, mettevamo i tappisulle punte delle frecce velenose. E quando si lanciavano, se colpiviuno si gridava: Morto!. Lui cadeva gi come se fosse morto davvero.

    Era un teatro.Passavamo tanto di quel tempo a giocare!Allora cerano gruppi in ogni contrada ma non cerano discordie.

    Eravamo tutti amici, pi affiatati.Oggi unaltra cosa.

    Spartaco Veneroni

    I casotti

    Il paese era diviso in zone, ogni zona aveva la sua banda. Una dellepi forti era quella del Dosso (io facevo parte di questa), poi ceraquella della Pace (ora via Roma), del Vicolo Spaseton, del Vho.

    Ognuna amministrava, diciamo, il suo territorio: a volte non potevientrare nel territorio degli altri, altrimenti ti picchiavano.

    Nello stesso tempo si facevano vere e proprie battaglie dove cidavamo fior di legnate, picchiandoci sul serio. Allora avevo 10-11anni.Mi piaceva quel gioco perch eravamo autonomi.Nel casotto che costruivamo facevamo merenda, a volte stavamo

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    anche a pranzare; andavamo a rubare patate e zucche nei campi e le

    facevamo cuocere.Devo dire che questa rivalit tra bande cera soltanto in certi momenti,quando ci si dava appuntamento per scontrarci.Quando andavamo a scuola non cera rivalit. Fuori di scuola, ognuno

    entrava nella sua zona e iniziava la rivalit. Ma fuori del casotto edalla zona restavamo amici. Cera la rivalit fra chi faceva il casottopi bello e chi riusciva a distruggere quello dellavversario. Per cui

    eravamo sempre in allarme.Il casotto aveva lintelaiatura di legno, di pali, coperti di carezi o, se

    cera pi fantasia, di rametti e frasche. Era una sola stanza dovemangiavamo, leggevamo i giornalini, facevamo i consigli di guerra.

    Cercavamo di fare i casotti nei posti pi segreti, per esempio lungo il

    ponte della ferrovia per Canneto, o dietro al pendent, o sull "Albera"(unansa del canale Laghetto). Ricordo che una volta avevamomandato mio fratello (che aveva 4 anni meno di me) a fare la guardiasu una pianta alta e curva che andava a finire in mezzo sull "Albera".

    E caduto gi dalla pianta, dentro lacqua. Quel giorno labbiamo perso

    a pescarlo, a lavarlo, ad asciugarlo.Di battaglie ne abbiamo fatte tante. Di quella vita mi piaceva lo spiritodavventura che cera nel costruire la banda e il casotto, e lorgoglio

    quando vincevi le altre squadre. Quando ci picchiavamo ceranodiversi sistemi: cerano quelli che avevano il terrore dei bis graner(bisce dacqua) e allora legavamo alle nostre frusche delle biscie vive

    che andavamo a prendere nel Laghetto. Per cui trovavi quelli chescappavano perch avevano paura delle bisce e quelli che scappavanoperch li picchiavi. La squadra del Dosso sempre stata una delle piforti: a volte ci collegavamo con quelli dell ra bassa. Ma in genere

    via Platina era divisa in due gruppi: il Dosso e lra bassa. Io sonosempre stato nel Dosso.

    Le battaglie pi grosse erano contro la via Pace dove cerano Canova,Santo Corini, Stefano Chiari e altri.

    Certe volte bruciavamo i casotti degli altri. Avevamo preso labitudinedi bruciarli, al punto che bruciavamo anche quelli che cerano inmezzo alle viti.

    Carletto Azzoni

    Salta la mula

    Il centro di raccolta di noi ragazzi per giocare era davanti al palazzodelle suore: l si giocava alle cicche, a soldi e a salta la mula.Alla mula si giocava in quattro, o sei, anche in dieci, ragazzi eragazze. Cominciava uno che si metteva chinato in mezzo alla strada,con le mani sulle ginocchia. Il secondo partiva di corsa e lo saltava

    poggiando le mani sulla schiena e si metteva davanti al primo.Il terzo saltava sopra, andava a cavallo dei primi due e saltando lisorpassava e si metteva in testa. E via via, uno dopo laltro si faceva

    una fila lunga anche dieci ragazzi.Cos, saltando sopra agli altri e mettendosi in testa, il gioco continuava

    fin che si voleva.Allora si giocava nelle strade perch non cera il traffico di oggi. Era

    un divertimento, ed era anche una prova di forza della schiena deiragazzi, una ginnastica allegra. E se qualcuno non teneva il peso,succedeva che la fila si sfasciava e si ricominciava. Era un gioco che

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    poteva durare una mezzora ed era una bella ginnastica.

    Antonio Rocca

    Bel me

    Noi ragazzi giocavamo a cicche, palline di terracotta che sicomperavano dal tabaccaio.

    Quando si giocava in quattro o cinque si faceva la fusrae i

    mucchietti di quattro cicche (tre sotto e una sopra), si mettevano cos:uno davanti, due in fila dietro, la terza fila di tre, la quarta e la quintadi quattro o di cinque mucchi, a seconda di quanto eravamo.

    Ognuno metteva un mucchietto. Chi ne metteva due aveva il diritto dilanciare due volte la sfera. Si tirava a turno e chi buttava gi i mucchisi teneva le palline.

    Quando cerano delle fusre grosse, di 10 e anche 15 mucchi, ceranodei ragazzi pi grandi che si mettevano daccordo fra loro per fare belme. Appena i mucchi erano pronti per tirare con la sfera, saltavanofuori allimprovviso e portavano via tutte le cicche. Se ti ribellavi

    prendevi una mano di sberloni.Io provavo una gran rabbia e pensavo:Perch mi portano via le cicche, che sono mie? Perch hanno piforza di me!. Io per non ho mai pensato di farebel me con quelli pipiccoli e deboli.

    Restavo bortoloe umiliato perch se andavo a casa a dirlo ai miei cerail pericolo di prendere qualche scapaccione, e vendicarmi non potevoperch loro erano pi forti. E tacevo.

    Leducazione

    Elide Amighini

    La bacchetta sulle dita

    La Lucia G. era la mia maestra. Se qualcuno sbagliava, ci metteva in

    ginocchio con sotto i chicchi di granoturco. Ci faceva di quelle cose!Ci faceva mettere le mani cos, stese sul banco e lei con la bacchettapicchiava sulle dita.Io non ero una gran brava scolara e facevo le mie tabellone bene. Per

    quando le veniva il momento d gerlaa, la n diva che la n

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    malediva.Ora i maestri non fanno pi queste cose.

    Rosa Laghi

    Alla scuola delle suore di Vho

    In questa casa di riposo dove mi trovo ora, quando ero bambina cera

    una Scuola-collegio.

    Io ho studiato in quella scuola: qui ho incominciato ad amare litalianoe a scrivere discretamente perch cera una suora molto brava cheinsegnava litaliano.

    Il ricamo lo insegnava una certa suora Margherita: qui ho ricamato,tutta mano, la cotta e la tunica bianca di un parroco mio lontanoparente.

    Era un collegio a pagamento. Io ero esterna. Venivo il mattino etornavo la sera. La scuola era gestita dalle suore e ci sono andata dopole elementari. Facevamo tutte le materie di studio e di lavoro. Cera chiprendeva lezioni private di piano e di lingue.

    Era una bella scuola.Io preferivo litaliano: qui ho incominciato a studiare a memoria Ipromessi sposi e qualche brano lo ricordo ancora: Addio monti

    sorgenti dallacque ed elevati al cielo.

    Ero amica, ed era una cosa abbastanza commovente, della figlia deisignori Quaranta di Castelfranco: lAnna Maria. La portavano qui ognimattina in carrozza e la venivano a prendere alla sera la nonna e la

    sorella. Anna Maria si era affezionata a me e siccome veniva a scuolacon cestini pieni di ogni ben di dio da mangiare, lei offriva di quellecose buone a noi che eravamo poveri: io, lAdele Placchi e la GiuliettaBelloccio.

    Poi, siccome noi facevamo a piedi la strada per tornare a casa, lasorella dellAnna Maria ci invitava sulla carrozza e ci portava fino inpiazza a Piadena. E le suore non volevano perch noi eravamo poveree loro ricchi. Ma come, pensavo, loro ci invitano e le suore non

    vogliono. Ma com questa carit cristiana?

    Nerino Cappelli

    La rana nel calamaio

    Io avevo la maestra Bozzetti, che era ben piantata, un po nostrana e a

    scuola aveva sempre il suo fiasco di vino vicino.Un giorno il povero Maro Bonazzoli ( eravamo in primavera e nei

    fossi avevamo preso delle rane), intanto che la maestra si era voltata,ha preso in mano una piccola rana e glielha messa nel calamaio.Quando la maestra vi ha messo la penna per intingerla, ha infilzato larana che saltata fuori e ha macchiato tutto il registro.

    Chi stato! Chi stato! diceva la maestra.Ma nessuno ha parlato e siamo stati tutti in castigo.

    Lucia BredaLa preghiera

    Mia nonna mi ha insegnato la preghiera quando la mia mamma morta. Mi diceva che ora lavevo pi vicina di quando era viva, che i

    morti sono pi vicini a noi di quando erano vivi e che la mia mammami penser sempre.

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    Io sentivo molto la mancanza di mia mamma e allora mi ha detto:Ricordati che c una santa che al di sopra dellimpossibile, anche

    nei casi disperati: Santa Rita. Quando ti trovi in difficolt, prega

    tua mamma e Santa Rita. Santa Rita per il Signore.

    Io ne ho poi avuto conferma: il 22 maggio del 1920 al mio pap (cheda tre anni era malato) il dottor Bertonati aveva ordinato una

    medicina. Era il primo anno che andavo in filanda ma era fermaperch era ancora il tempo dei bachi, non cera ancora lammasso.

    Questa medicina costava 32 lire, ma era una specialit e nessuno mela pagava, n il Comune n la Societ Operaia: nessuno ha firmato la

    ricetta. Mi hanno risposto di farmi cambiare medicina. Sono andatadal dottore e lui mi ha detto: Non sar come quello che comanda glispaghetti e gli portano i maccheroni perch di spaghetti non ce ne

    sono pi!. E dice: Mandiamolo allospedale.Come potevo fare: avevo i bachi in casa da curare, mio fratello di seianni andava a scuola, mio padre almeno teneva aperto luscio anche senon poteva far niente.

    Mi sono inginocchiata, erano le dieci e mezzo della mattina e ho

    pregato mia mamma e Santa Rita di darmi lispirazione per trovare isoldi per comperare la medicina, che ci voleva proprio per tenere acasa il pap.

    A mezzogiorno venuto a casa mio fratello. Era un marted e l doveoggi sono i giardini cera la cuccagna, e il mercato delle bestie. Evenuto in casa con in mano un borsellino, un borsellino tutto sporco di

    cacca di bestie. Mi dice: Guarda Cia che cosa ho trovato!Ci ho guardato dentro e cerano 35 lire. Ho comperato la medicina e letre lire avanzate le ho portate a don Liscietti. E lui mi ha detto:

    Bambina, tienile tu.

    Gli ho detto: No, i soldi che mi occorrevano li ho tenuti, ma di questinon so cosa farne. E glieli ho dati per accendere una candela inchiesa.

    Gino Soana

    Mio padre

    Mio padre era organista in chiesa a Piadena. In casa era severissimo:

    guai se qualcuno alzava la voce.Ricordo che una sera (allora avevamo i bachi da seta in casa), hopreso la borsa di scuola, che allora si usava con la cintura, e giocavo a

    farla girare tenendola per la cintura. Lho fatta girare troppo in alto eho spaccato il coperchio della lucerna appesa al filo che veniva dalcorridoio.Mio padre mi ha rincorso con una pertica e io sono scappato nellorto,ho saltato siepi e via nei campi al casotto.

    Secondo lui, rompere la lampadina e il coperchio della lucerna era undisastro grosso. Allora non cerano soldi, il pane costava due lire ilchilo e mi ricordo che veniva a Piadena a suonare lorgano per avere

    da don Liscietti 5 lire ogni tanto, due giorni di pane.Il mattino dopo venuto l nel casotto: si era immaginato che fossi

    andato l a dormire. Quando mi ha visto mi ha detto: Meno male chesei qui. Aveva pensato male, un figlio che scappa, l vicino c lOglio,

    a quellet un ragazzo pu ingrandire il fatto.Gli ho detto: Scusami, pap, non ho fatto apposta, non ho pensatoche il filo della luce passava per la stanza.

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    Non mi ha picchiato, gli era passata, perch quando ritrovi il figlio. Esiamo andati a casa insieme.

    Mio padre ci insegnava ad andare in chiesa, a messa e alle funzioni.Mia nonna si sedeva vicino al focolare e ci leggeva i libri della Bibbia.E noi ascoltavamo.Mio padre era molto rigoroso nelleducazione: ci insegnava a rispettare

    gli altri, a non fare il bullo, guai se le mie sorelle andavano a ballare.Se fosse qui oggi morirebbe dalla passione a vedere la libert che c.

    Certe volte ballavano da Tonani e lui, se sapeva che le sorelle ciandavano, sgridava la mamma, non voleva. Era fin troppo esigente.

    Ma ci voleva molto bene. Quando ero banconiere in Cooperativa evenivo a casa di notte perch la gente restava l a giocare a carte fintardi, lui mi aspettava e mi veniva incontro sullargine in bicicletta:

    aveva paura che qualcuno mi aggredisse e mi portasse via la biciclettacome era successo a Calcina.A lui piacevano le cose giuste: era democristiano, era retto, onesto,cristiano.

    Ascoltava tutti i consigli del parroco in modo esagerato.

    Noi gli abbiamo voluto bene: non rispondevamo mai perch,riflettendo, capivamo che aveva ragione lui. Per noi era una guidasicura. Dodici fratelli e mai abbiamo avuto da brontolare fra noi,

    siamo ancora tutti amici affezionati.

    Lucia Breda

    Il chiodo

    Mia nonna mi ha sempre insegnato che il vero scopo della famigliasono i figli e che i figli imparano dalla famiglia.Quandero bambina e sentivo dei mariti e delle mogli che

    brontolavano, io le domandavo perch brontolavano, e mia nonna midiceva:Vedi Lucia, ci vuole una grande prudenza. La prudenza riescea umiliare le persone pi forti. A tacere, a non reagire, si possono

    umiliare. Se una donna risponde al suo uomo, vien fuori poi quel che

    non deve venire.

    Prova a piantare un chiodo in una pietra:la punta si piega in su e ti

    punge. Piantala nel nodo di un legno: va un p a fondo ma non bene.

    Se invece lo pianti nel fango, il chiodo va tutto a fondo e non viene

    pi su.

    La pietra la botta e risposta, con la punta che si piega in su e

    punge. Il chiodo nel nodo resta l e lascia tutti e due inquieti. Il fango la prudenza, il tacere.

    Io ne ho avuto le prove. Ha funzionato: quando cera qualcosa dabrontolare, io tacevo e allora lui mi diceva: Con chi parlo, col muro?(perch io non gli davo risposta). E cos gli passava il nervoso

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    Paure, superstizioni e violenza

    Elsa GardaniPaura nella stalla

    Al sabato sera gli uomini andavano tutti fuori, allosteria e nella stallarestavamo soltanto noi donne. Io ero una bambina e abitavo a

    Colombarolo. Allora cerano due stalle: quella dei vitelloni e quelladelle vacche.La padrona,con la donna del bergamino, andava nella stalla delle

    vacche e noi invece in quella dei vitelloni. Era una cascina grossa, deiPuerari.Nel soffitto cera un buco, el fenr,dal quale buttavano gi il fieno.Una sera, era quasi le dieci e mezza, vien gi dal fenruna gambatutta bianca, spruzzata di borotalco. E una voce ripeteva:

    Gh Binel che diu el la mandase vur mia creder, che gh la sogamba! (E Binel che Dio lo mandase non ci credete, questa la suagamba!)

    E la gamba su e gi, su e gi.Noi, che paura. Mia mamma mi stringeva e mi diceva: Vieni qui Elsa,

    cara, vieni vicino a me.Arriva un figlio e ci vede l tutti a mucchio, impaurite: Cosa avete,donne?.

    Va sul fienile

    Sua mamma gli ha portato la candela e lui salito sul fienile a vedere.Non cera nessuno: Voi siete matte, qui non c nessuno!dice. E infatti

    non cera nessuno.Dopo quattro o cinque settimane stato scoperto chi era: era stata ladonna del bergamino, che il ragazzo non aveva trovata perch era

    scesa subito senza farsi vedere. Lei sapeva lora che gli uomini

    tornavano dallosteria, scesa subito ed andata nellaltra stalla insiemealla padrona.

    Giuseppina Fontana

    La strega

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    Io da bambina sentivo parlare di streghe e tutti stavamo attenti ascoprire chi era la strega, fino a che la cosa era sicura.

    E quando cera la strega succedeva che quando cera qualcosa che sidesiderava, non riusciva.La strega, a guardarla, incanta, se la fissi negli occhi fa star male lapersona e perdere i sensi, e cadere in terra. E altre brutte cose. Questa

    una cosa verissima che sentivamo dire.

    Maria MerliLa polenta rossa

    A me capitato di trovare tra le piume del cuscino, quando eroragazza, un grumo a forma di croce. E abbiamo detto: Ci hannostregato.

    Allora abbiamo disfatto tutti il mio letto. Poi ho tolto bene quellepiume e le ho fatte vedere alla gente. E tutti dicevano: Vi hannostregato.Dopo ho disfatto la croce di piume e non pi capitato.

    Una volta credevo negli sfregamenti perch ci credevano tutti.Unaltra volta, una mattina, ho trovato la polenta tutta rossa. E ancheallora mi hanno detto: questa polenta stregata!.Ci dicevano anche che quando la polenta rossa i morti avevano

    bisogno di preghiere e si doveva pregare per loro.

    Rosa Laghi

    I fascisti picchiano mio padre

    Ricordo esattamente quando i fascisti hanno picchiato mio padre, nel22. Era appena nato Baldo e la mamma era ancora a letto, quando il

    pap andato a casa con la schiena piena di botte. Lo hanno presonellaia bassa e lhanno picchiato.Lui lavorava da Girelli e quel giorno, tornando a casa, ha capito diessere seguito perch dove ora sta Iorini allora cera una trattoria e ifascisti si radunavano l. Quando lhanno visto passare lhanno seguito

    e mio pap entrato nellaia bassa per rifugiarsi. E andato in fondo alcortile per vedere se cera qualcuno che lo faceva entrare in casa.Visto che nessuno apriva la porta perch tutti avevano paura, mentre i

    fascisti lo picchiavano da dietro sulla schiena, a un certo punto hamesso una mano nel taschino posteriore dei pantaloni. I fascisti hanno

    pensato che lui avesse la rivoltella (e pensare che in vita sua nonaveva mai visto unarma), allora qualcuno grid che era armato e

    scapparono.Io non sapevo niente, venivo dalle scuole e tenevo per mano Francoche era piccolino, e una donna mi ha detto: Va a casa, tutela, che i gdt tant a to pup!

    A casa cera gi la signora Linda e poi venuto il signor Nino Girelli,indignato. Avevano paura per la mamma, che aveva appena avutoBaldo.

    Con mio pap mi piaceva tanto stare: era quello che mi capiva di pi.

    Parlavo e discutevo con lui, mi insegnava tante cose. Mi piacevaleggere, mi parlava dei romanzi. Quando sono poi venute le primeradio, ascoltavamo le commedie al buio, la sera e mi spiegava tutto:

    lautorer, il soggetto Mio padre stato per me un gran maestro.

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    Le feste

    Carolina PedriniLa pa de Santa Lsia(La bambola di Santa Lucia)

    Io non ho mai giocato perch ogni anno cera un bambino da tenere inbraccio: o un fratellino o en baglin, un bambino non suo che mia

    mamma allattava.Mia mamma ha comperato dieci figli e insieme a questi ha preso sette

    o otto bambini da allattare. Cos la mia infanzia passata a fare labalia.

    Poi si andava anche nel campo a zappare o a spigolare, e a scuola.E appena a casa, il bambino in braccio. Tutto lanno cos.Quando arrivava Santa Lucia questo era il piatto: tre castagne cotteinfilate col refe come braccialetto o collana, qualche castagna secca,

    tre bomboncini, una fetta di ciambella, tre o quattro noccioline, un podi caramelle euna bambola. La stessa bambola per tutta linfanzia.Era una bambola di Canneto con la faccia di porcellana.Per sette o otto anni quella bambola me la facevano vedere tre o

    quattro ore la mattina di Santa Lucia e poi spariva in fondo alla cassadella biancheria e non si vedeva pi fino allanno dopo.Con quella bambola non ho mai giocato perch cera il fratellino da

    portare. Ma il fratellino non era una bambola, era un lavoro, e come: ese lo facevo cadere rischiavo di prenderle.

    Natale

    Gino Soana

    La vigilia di Natale

    Alla vigilia di Natale la mamma e la nonna facevano i tortelli: nefacevano due assi perch eravamo in 17.Alla sera, prima di cena, si andava alla funzione (le donne andavanoalla messa il mattino e poi preparavano tutto), poi si tornava a casa e

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    prima di cena, mentre i tortelli cuocevano, le donne dicevano le

    orazioni.Intanto ci mettevamo tutti a tavola e mio nonno diceva: State attentiragazzi che se entrano i capelloni ci mangiano i tortelli! (Era unabattuta sui fantasmi, che si diceva quel giorno perch era lunico che si

    mangiava bene e non pareva vero).Poi mia mamma tirava su i tortelli dalla pentola mentre mia nonnadiceva il rosario della vigilia. Una tirava su i tortelli con la mescola,

    laltra nella zuppiera li condiva. E laltra diceva il rosario.Finito il rosario, i tortelli erano pronti. Una mescolata a ciascuno e si

    mangiava.Dopo si parlava tra di noi e si andava a letto verso le 10,30. Allamattina dopo, alle 5, si andava alla messa dellalba (allora non cera

    ancora lusanza della messa di mezzanotte). Dopo la messa, andavamocon gli amici in tutte le case a bere il cicchetto: a casa mia, dai Rodelli,

    dai Bianchi, dai Peschiera, da tutti. E cos veniva quasi mezzogiorno.Allora eravamo tutti amici, quasi come una sola famiglia, non cera

    linvidia fra luno e laltro, perch eravamo, pi o meno, tutta gente che

    lavorava.Eravamo verso il 1930-32. Io avevo allora 17-18 anni.

    Carnevale

    Paolo Bona

    In maschera col Bri Bri

    Al Borgo Fornace abitava el Bri Bri.Quando cera il carnevale ci riuniva noi ragazzi della Fornace, ci

    pitturava la faccia a tutti e siccome aveva un cavallino con unrimorchio, ci faceva salire e ci portava in giro per il paese a fare lamascherata. Intanto lui sul carro suonava la fisarmonica.

    Gino Soana

    Il caprone

    Per carnevale abbiamo preso en sucht (un ceppo) di legno e abbiamoscolpito la testa di una capra. Con due sproc abbiamo fatto le corna e

    le abbiamo messe. Poi abbiamo infilata la testa su un bastone e vi

    abbiamo fissato, con due chiodi, un tabarro. Il caprone era fatto.Uno di noi stava sotto il tabarro a fare il caprone, laltro lo seguiva conun secchio: era il mungitore che ogni tanto lo mungeva.

    Andavamo in tutte le stalle e nelle osterie, anche in certe case.Ricordo che siamo andati in casa dei Quaranta, e avevamo un secchionel quale cera stata della calce e cerano quindi le croste di calce secca.

    Il caprone, durante la mungitura, dava calci e se colpiva il secchio, lecroste e la polvere di calce cadevano sul pavimento e sporcavano lacasa.Le donne gridavano: Ma guardate cosa fanno questi ragazzi!

    Per ci allettavano, guardavano la scena, poi ci davano un po difrittelle, di lupini e di altre cose.

    La carovana

    Un anno mio zio, quando avevamo lasino, con il carretto ha fatto una

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    mascherata.Allora, per chiudere i focolari si usavano i para-fuochi, che di solito

    erano fatti di iuta e dipinti: cerano dipinti paesaggi e figure.Mio zio, con dieci o dodici parafuochi pitturati ha fatto, sul carro, una

    specie di carovana.Aveva combinato i quadri che sembrava proprio una carovana

    fantastica.Su quel carretto ci siamo saliti tutti quelli della famiglia. Sopra cera un

    telone dal quale usciva un tubo. In fondo al tubo avevamo messoquattro dita di cenere e un po di brace e sulla brace mettevamo degli

    stracci che facevano fumo, cos il camino fumava, sembrava che nellacarovana ci fosse una vera stufa. Davanti cera una porta-tenda. E

    davanti a tutto cera lasino che tirava.La mamma della Peschiera, che era una donna mora e sembrava unazingara davvero, vestita con una gonna lunga, faceva il gioco dellecarte e leggeva le mani nelle osterie. In unosteria cera il suo uomo,

    andata e gli ha detto: Signore, vuole che le faccia il gioco delle carte?.Lui lha guardata bene e quando lha riconosciuta le ha detto: Ma va l,

    matta!Noi eravamo tutti strutt, dipinti con nero fumo.

    PASQUA

    Carletto Azzoni

    La sgra

    La settimana prima di Pasqua noi ragazzi (e anche ragazze) si andavanelle case a prendere le catene del focolare che staccavano dalcamino.

    Ci si legava una corda in testa e si correva per le strade trascinando lacatena: le strade allora non erano asfaltate, erano bianche con sassi epolvere, e cos le catene si pulivano della caligine nera.Si andava correndo in file di otto, dieci, quindici, fino alla Delmona e

    l si lucidavano gli anelli delle catene con la sabbia e le pietre checerano sul letto del canale: si sfregavano con le mani e si facevanodiventare belle e lucide. Facevamo la gara a chi le faceva brillare dipi.

    Andavamo a prendere le catene anche nelle famiglie che non avevanoragazzi, e alla fine ci davano due o tre uova sode e colorate (gialle,

    rosse e verdi).Io, che ero il nipote del campanaro del Vho, andavo prima di tutto a

    prendere la catena del prete perch le donne, la settimana prima diPasqua, offrivano le uova al parroco e siccome nella cesta ne avevatante, ne dava cinque o sei a chi gli puliva la catena.

    Fausta LotticiLa merenda del luned

    Il sabato santo si preparava in casa la torta senza lievito che si faceva

    cuocere in una teglia sul treppiede, con le brace sotto e sul coperchiodi latta.La domenica di Pasqua si mangiavano i ravioli e le uova sode coloratecol prezzemolo e con le carte colorate che si mettevano sotto i

    candelabri del focolare.Un po di uova sode, comprese quelle raccolte dai ragazzi che erano

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    andati a lucidare le catene, si tenevano in disparte per la merenda delluned di Pasqua che facevano le ragazze nei campi.

    Erano tanti gruppi di amiche che andavano nei prati vicini alla Mottao verso la Delmona. Portavano le uova, dolci fatti in casa e vino.Si faceva un dolce con biscotti bagnati nel liquore e con sopra lamarmellata, e si metteva su un piatto lungo: lo chiamavano

    mazzolerino inglese.

    Nei campi si mangiava, si parlava, si scherzava, si raccoglievano fiori,

    poi si ritornava.I gruppi si formavano secondo le et e le amicizie, ed erano esclusi i

    genitori. Solo le ragazze.Eravamo nel 1932-33 ma lusanza dur molti anni.

    I POVERI

    Elsa GardaniSerum puaret tant( Eravamo tanto poveri)

    La Murusa

    Quando i bambini tornavano dalla scuola avevano fame e midicevano:Mamma, cosa c di merenda?

    Io non avevo nemmeno un pezzetto di pane, allora facevo arrostirepadelle di polenta e gliela mettevo sul tagliere rotondo, con su lozucchero.

    Il mio Renzo mi diceva: Sempre questa merenda, mamma!Certe volte, per cambiare, impastavo tre o quattro fette di polenta conla farina bianca e facevo la murusa,o il chisol. Spostavo la brace sulfocolare e nel mezzo mettevo la murusa a cuocere, avvolta nella carta

    bagnata per non farla attaccare. E quando i bambini venivano a casa,

    qualche volta gli davo questa merenda.

    Il cappotto

    Mia figlia, quella che ora sposata a Canneto, aveva freddo epiangeva, poverina:

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    Tutti hanno il cappotto e io no!.E io le dicevo: Cara, sai che non ho soldi, come si fa a comperarlo?Allora ho preso una coperta da soldato, sono andata da una nostravicina che era una sarta gravina ma godeva poca salute e le hoproposto un cambio: Io ti lavo le cose di tuo marito e tu mi tagli il

    cappotto. Cos ho fatto e la bambina ha avuto il cappotto.La pietanzaDove andavo a servizio mi davano come compenso la pietanza da

    portare a casa a mezzogiorno: lavrei mangiata con gli occhi, invecedicevo: Sono quattro o cinque fette di salame, le tengo, cos stasera ho

    qualcosa per i miei bambini.Con le uova andavo a prendere i fichi per la cena: quanti fichi homangiato con la polenta!

    La lapide

    Quando morto mio marito, ho aspettato a fargli mettere la lapideperch non avevo i soldi. Ho detto: Ora che la mia Bruna incomincia

    a guadagnare qualcosa, metteremo via quei soldi per la lapide. E iotutte le sere andavo a lavare i piatti per 5.000 lire al mese. Non eracome oggi che c tutto in casa, lavavo fuori, sotto una bugadera, efacevo tre ore di lavandino.

    Alla domenica mi davano una bottiglietta di vino. Mi davano ancheun po di legna, e cos ho tirato avanti.Quando ho avuto i soldi abbastanza per pagare la lapide, ho detto ai

    miei figli: Ragazzi, queste sono le 95.000 lire per mettere la lapide alpap. E cos labbiamo messa.

    Il gelato

    Alla domenica, quando veniva el Pacio , i ragazzi volevano il gelato eio soldi non ne avevo. Allora andavo nel pollaio a prendere le uova:in cambio di un uovo ci dava una parigina.Per quattro ragazzi,quattro uova!

    Lucia Bellomi

    O un posto o il latte

    Un anno avevo un figlio ben messo ma il mio uiomo non lavorava e

    non potevo comperare il latte. L ad Ostiano, dove abitavo, cera il

    Presidente della Congregazione di Carit per i poveri, che passavamezzo litro di latte, un po di farina, un po di pane.Sono andata anchio da questo presidente: ho preso su il mio bambino

    e verso luna del pomeriggio, che era lora delle visite, sono andata acasa sua.Ho chiesto permesso e la serva gli dice:

    C la Lucia.Sono entrata e gli ho detto: Sono venuta a chiedere la carit: un po dilatte per questo bambino. Alla balia non posso metterlo, suo padrenon lavora: o trovate un posto per il padre o mi passate un po di latte.

    Adesso non abbiamo soldi, non possiamo far niente dice, e si ritiratonella sua stanza. Io sono rimasta nellanticamera. L cerano delle bellepoltrone: ho preso il bambino, lho fatto sedere in una poltronaappoggiata al tavolo, cos non poteva cadere, e sono andata a casa.

    Ero disperata per la fame dei miei figli.Quando il bambino si trovato solo, dopo un po si messo a

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    piangere. Il presidente dice alla serva: Va a vedere cosa c di lE lei: Signor presidente, la Lucia ha lasciato qui il bambino!.

    Non ero ancora a casa che lui mi ha raggiunta: Venite subito aprendere il vostro bambino. Vi do il latte fin che volete!.A sei mesi sono andata a dirgli basta perch me lo passava ancora.Dopo andato al caff e ha raccontato il fatto ai suoi amici, i signori

    del paese:Ho ancora il cuore sospeso diceva- perch la Lucia ha fatto un gesto

    che non mi piaciuto: mi ha lasciato il bambino.

    Gino Soana

    I mendicanti

    A casa mia il cibo era scarso. Alla mattina noi ragazzi ci svegliavamo

    con una fame da matti.Mia mamma si alzava alle 5 e mezza, sei, insieme a mio padre, cheandava a giornata.La prima cosa che faceva era la polenta perch sapeva che avevamo

    ancora fame dalla sera prima. Dalluscio della scala veniva su ilprofumo della polenta e allora saltavamo gi dal letto.Mangiavamo tre o quattro fette condite con un po di conserva. Equando la polenta era finita andavamo a raschiare le croste rimaste

    attaccate al paiolo.Tutti i pasti, finito di mangiare la mia razione, andavo a sfamarmi daimiei nonni materni, con qualche pezzo di pane avanzato o un po di

    minestra.Mia nonna era buonissima, tutti i poveri che venivano gli dava unpiatto di minestra. Ne faceva sempre abbondante, per loro. Avevanodue campetti e la casa e sono finiti in malora perch la nonna era

    troppo generosa.Tutti i mendicanti che venivano, se non aveva la minestra gli dava unpane, oppure gli faceva riscaldare la polenta.Allora i mendicanti erano molti. Veniva un certo Andrea da Rivarolo

    Mantovano, di circa 60 anni, a piedi, con il sacco in spalla. Era ungirovago, conosceva mio zio di Rivarolo e veniva sempre dai mieinonni, gli unici che davano ospitalit ai mendicanti nella loro stalletta.

    Mario PadovaniLa carit

    Questo cartone per affresco lho preparato per un concorso sul tema

    sacro: La carit bandito dalla Curia di Milano tramite il Circolo dipittura Forlanini.Io ho preparato questa scena che rappresenta un signorotto che fa lacarit, ricordando quello che si faceva a Piadena settanta anni fa, nella

    settimana prima di Natale.Io allora avevo sei o sette anni e ricordo che sotto i portici, dove cora la Banca Provinciale Lombarda, cera una fila di sacchi con farina

    bianca e gialla e pane. I poveri, ragazzi donne uomini, passavano con

    dei sacchetti in mano e l cera uno dei ricchi di Piadena che distribuivaun po di farina bianca o gialla.Ecco, ricordando quel fatto ho disegnato questo cartone, vi ho messo

    un signore, dei bambini, una donna col bambino in braccio e altri chevanno a ricevere la carit.

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    Sullo sfondo ho messo la chiesa di Vho, uno scorcio visto dal terrazzadi Amici, sul quale lestate scorsa ho dipinto un quadro.

    Lopera stata scelta dal Cardinale Martini e sar eseguita in unachiesa come affresco.

    Gino Soana

    Una gran miseria

    Mio padre faceva il calzolaio e un po pescava. Come calzolaio avevapoco da fare: qualche paio di stivali da campagna. Allora non ceralusso.

    Prendeva 9-10 lire per un paio di stivali che ci lavorava due giorni.Io aspettavo il sabato per portare a domicilio le scarpe riparate onuove, cos prendevo un po di paghetta per la domenica.

    Allora cera una gran miseria.A quel tempo, quando avevo 8 anni, noi eravamo gi in sei fratelli.Poi siamo arrivati ad essere 12 figli che, con la nonna, il nonno e unazia, facevano 17 in casa. E siccome la casa era piccola e non cera

    posto per tutti per dormire, io andavo a casa dei nonni o dai cugini;due fratelli andavano a dormire da mio zio.Per a mangiare eravamo sempre insieme.Alla mattina, per colazione, cera una polenta larga come la luna. Una

    polenta alla mattina e una alla sera.A mezzogiorno prendevamo un chilo e mezzo di pane: appena arrivatiin casa ce lo dividevamo, ognuno prendeva il suo panino e basta.

    Alla sera ancora polenta.Per fortuna mio padre aveva un campetto e rimediava un po digranoturco e di frumento.Mio nonno stato molto economico a conservare quel campetto, con

    una famiglia cos.

    IL PRIMO LAVORO

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    Antonio RoccaLa bicicletta mia

    Mio padre aveva un campetto e voleva che, finite le scuole, lavorassinei campi. Ma a me non piaceva e gli ho detto: Io mi cerco un altrolavoro. E lho fatto. Sono andato allofficina di Longo e l mi hannodetto: S, ci occorre un ragazzo.

    Quando lho detto a mio padre, voleva mandarmi fuori di casa. Avevo

    12 anni e mezzo. Come primo lavoro mi hanno fatto pestare ilcarbone, era pi grosso il martello di me. Mi mandavano anche in

    posta e alla stazione a spedire pacchetti e ci andavo con le biciclettedegli operai che venivano da Isola a Casalromano. Loro silamentavano e a me spiaceva. Allora lho detto al padrone e lui hacomperato una bicicletta doccasione. Era una di quelle biciclette che

    usavano i soldati in tempo di guerra, con le gomme piene e unportapacchi dietro per lo zaino.Con quella bicicletta ero orgoglioso, era la prima volta che avevo unabicicletta da usare io, come se fosse mia.

    Alla sera, finito il lavoro, andavo a imbucare la posta e il padrone milasciava portare a casa la bicicletta, con la quale tornavo il mattinodopo.

    Io ero felice perch alla sera giravo in bicicletta con i miei compagni eil padrone un giorno mi disse: Ti piace la bicicletta?S, mi piace.Te la vendo

    Allora prendevo 25 centesimi allora e gli ho detto: Quanto vale?Mi darai 18 lire, te le trattengo pian piano dalla busta paga. Va bene?Sono rimasto un po l e poi gli ho detto: Va bene.Ora avevo il pensiero di dirlo a mio padre, lo dissi a mia mamma e lo

    fece lei.Quando ho avuto la bicicletta mia ero il ragazzo pi felice del mondo:ci salivamo in due e anche in tre, uno in canna e uno dietro, e

    andavamo nei prati, al laghetto, dappertutto.Era diventata la bicicletta della compagnia.Questa stata la felicit pi grande che ho provato io da ragazzo.

    Lucia BredaA vendere ceci e lupini

    Io non ho mai giocato con la bambola perch lavevovivente. A noveanni let che si gioca, ma io avevo il fratellino da curare perch la

    mamma era morta che lui aveva un anno. Per questo io non hogiocato.Mio pap era malato e allora non cera n la paga n lassicurazione

    per chi era malato.Allora alla sera andavo a vendere i ceci e i lupini nelle osterie. AlfredoFontanella, il pap della Clara, mi portava la cesta e io li vendevo.Cos a undici anni andavo per le osterie. Tranne le Due Fontane, il

    Caff Centrale e il Leon doro, tutte le altre erano osterie.

    Ci andavo di sera. Allosteria giocavano a carte e alla morra.Di giorno invece andavo con un carrettino a fare lortolana. La Martacomperava un po di verdura dai grossisti che avevano il banco in

    piazzetta, mi insegnava i prezzi e io andavo a vendere.

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    Sandra AmighiniIn filanda

    Avevo finito la quinta, avevo 11 anni e li compivo il 24 agosto.Eravamo io, la Bruna, lOneglia e la Giannina, e abbiamo detto:Ragazze, andiamo in filanda?Deciso, andiamo a farci fare il libretto, io di nascosto perch lo zio e la

    mamma volevano farmi fare la maglierista o la sarturina (sarta).

    Sono andata in Comune a fare il libretto e poi dal dottore Glingani afarmelo timbrare. Il 7 di ottobre siamo andate dallingegner Grasselli,

    dove mia mamma faceva lassistente.Lui ci chiede: Quanto anni avete?E allora io, che ero forse la meno timida, gli dico: Abbiamo gi 11anni, siamo gi pronte per lavorare.

    Lui mi dice: Cara la m putla, sei un po piccolina, e poi ci vuole illibretto.

    Allora ho levato il libretto: E gi pronto!Allora dice: Mando a chiamare tua mamma.

    E io, pronta: Mia mamma lo sa gi.Allora va bene, ti chiamer.Dopo due giorni mi ha mandato a chiamare.

    Noi siamo entrate con lentusiasmo di vedere cose nuove.Avevo il grembiulino nero della scuola con su V elementare, e misono vista davanti donne anziane, le vecchie filere, che mettevanosoggezione..

    Ho detto alla Bruna: Diciamo che ci mettano vicine!.LOneglia voleva tornare a casa.I primi giorni di filanda le ho prese dalle vecchie filere. Cera la MariaM. del Vho che era seria, forse era una donna che soffriva, ma io a 11

    anni non potevo capirla, e quando aveva qualche problema, mettevala mano nellacqua bollente e mi spruzzava. E mi venivano levesciche.

    Allora lho detto a mia zia Nena. E lei, in strada, le ha detto: Maria, iovoglio che alla bambina tu insegni, se sbaglia falla chiamare daldirettore ma spruzzarla con lacqua bollente, no.Dopo quel fatto mi voleva bene e io non le rispondevo perch la

    consideravo come la mia maestra.Io le preparavo il lavoro: nella caldaia bollivano i bozzoli e io lefacevo el struus. Con uno spazzolino a forma di scopetta si produceva

    nellacqua una bavela di seta, una specie di filo. Lo passavamo allafilera e lei lo faceva salire su uno dei dieci piccoli rocchetti che avevadavanti.A me piaceva andare in filanda, forse perch eravamo tutte insieme e

    a me piaceva la compagnia, ridere e scherzare. Il lavoro non mi hamai pesato, anche se stavamo l dentro otto ore sopra una caldaia conlacqua a 100 gradi, le mani tutte pelate e il vapore acqueo che non sipoteva vedere da una filera allaltra.

    Noi ragazze ci volevamo bene e il lavoro ci piaceva anche sefacevamo 8 o 9 ore, e anche 13 o 14 al tempo dellammasso. Dopo

    quelle ore, viasi andava a ballare.Anche le altre erano brave filerine, tutte ragazze che lavoravano.

    Maria BarozziDa ragazza in filanda

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    A dodici anni sono andata in filanda. Dovevamo fare due chilometri:andavamo alla mattina e tornavamo a mezzogiorno, poi ci andavamo

    al pomeriggio e ritornavamo alla sera: erano otto chilometri tutti igiorni.Mia nonna, quando il tempo era brutto, mi portava da mangiare emangiavo fuori della filanda, sotto un porticato, anche dinverno.

    Quando nevicava e cera molto freddo, andavamo dalle suore.Il primo giorno di filanda ho fatto la scuinera (scopina). Avevamo tre

    filere, cera un mastellino di acqua bollente, ci mettevamo dentro legallette e cera uno spazzolone che girava e faceva el strus:noi lo

    passavamo alla filera, la filera lo scurivae quando la galletta aveva unfilo solo, lattaccava sotto alle rotelline. Cera lattacchina (che attaccavai capi allaspa), laspa girava e cos si faceva le matasse della seta.

    La prima volta avevo tre filere cattive: che lavate di faccia con lacquabollente!Quando non le riusciva bene il lavoro davano la colpa alla spazzina, anoi. E a noi lavavano la faccia! Quante lavate! Ci sgridavano,

    parevano matte. E poi cera il padrone: una volta mi ha picchiato, il

    padrone. Avevo tredici anni.Sente gridare una filera, e lui viene l:Cosa c?

    E lei: Guardi che lavoro mi fa!Allora mi ha dato uno scazzottane sulla testa e mi sono messa apiangere. Dopo, quando ti vedevano piangere, ti venivano dietro, ma

    poi ricominciavano. Cerano di quelle filere! Ho fatto una vita!Dopo quattro anni passavamo filera anche noi. Ma io non sonodiventata cattiva perch consideravamo quel che avevamo passato.Quelle cattive volevano i bei strus per fare bella figura sulle altre. Se

    l strusera grosso, il padrone le picchiava, anche.Alla sera, non vedevo lora di andare a casa. Le ragazze di oggisembrano signore quando vanno a lavorare.

    Giuseppe PlacchiHo imparato con mio padre a lavorare il ferro

    Dopo le elementari ho imparato i primi lavori di ferramenta con mio

    padre: lo aiutavo a tenere il ferro da lavorare e poi ho cominciato acostruire qualcosa: cancelli, inferriate, finestre per stalla e altri lavori.Con noi lavorava anche mia madre, al trapano e alla forgia.

    Questo lavoro mi piaceva (con cera altro lavoro e non potevo percifare confronti), soprattutto quando lavoravo alla forgia e al banco conla lima. Mi piaceva tanto creare partendo da zero. Se una cosa eradifficile, io la facevo.Mio padre era analfabeta e per fare le misure, non conoscendo il

    metro, usava icanei, delle arelle. Per misurare una finestra andava sulposto e per ogni misura tagliava el canel e veniva a casa col suomazzolino di misure.

    Certe volte non aveva il disegno, allora un mio zio, detto Calat, cheera un muratore e sapeva il disegno, glielo faceva sul tavolo di legno.

    Visto il disegno, faceva i pezzi, poi li univa insieme bolliti a fuoco.Allora la saldatura non cera e i pezzi venivano uniti, in certe posizioni,

    facendo liquefare il ferro e unendoli con la battitura.Con mio padre ho lavorato fino al 1913, poi sono andato daSanguanini a Rivarolo Mantovano, dove si costruivano i proiettili di

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    artiglieria (facevamo il 149 che pesava, vuoto, sui 35-40 chili). Ioaiutavo a fare la tornitura interna ed esterna dei proiettili.

    Elide AmighiniA descartussaa el melegot

    Quando si raccoglieva il granoturco e lo si scartocciava, noi bambini

    andavamo ad aiutare.

    Cominciavano fin da piccoli a farci lavorare. Allora le aie erano pienedi granoturco e intanto che si scartocciava si cantava. Certe volte, sesento qualcuno che canta, mi pare di sentire ancora quei canti.

    Era un lavoro che si faceva di giorno e di sera fino a mezzanotte.Lavoravano uomini, donne e bambini.Le donne scartocciavano e gli uomini tiravano via i cartocci e li

    mettevano sul fienile.Ognuno aveva il suo mucchio perch ognuno aveva il suo granoturco.Noi bambini prendevamo, in due, il cesto, uno da una parte e unodallaltra e andavamo a vuotarlo nel mucchio intanto che loro

    continuavano a scartocciare, poi riportavamo il cesto vuoto.Intanto che lavoravano, parlavano:- Stasera cusa fet d sna? (stasera cosa fai di cena?)- Mah.go na madona de negt! (Mah..non ho niente!)

    - E domenica ndua vt? (E domenica dove vai?)- Domenica go da pess li braghini dl m putel perch mia naterper d cambiaghe! (Domenica devo rammendare i pantaloni del mio

    bambino perch non ho un altro paio di cambio)Eravamo tanto poveri che non si poteva parlare di interessi perch noncera neanche una palanca

    Giovanna MariottiA sei anni nei campi

    Sono nata a Bardelle, poi siamo venuti ad abitare a Piadena e miopadre sempre stato sotto ai Prandi. Mia mamma era un po malata e

    anche molto severa.Io da piccola non ho mai giocato. Se mi vedeva giocare con altrebambine mi chiamava:

    Vieni che c da scopare in casa o altri lavori. Mi ha messo sotto a 6anni a fare i lavori in casa e nei campi quando era il tempo di zappare

    il granoturco e le barbabietole, o di fare la foglia per i cavaler.Mio padre mi aveva comperato una piccola zappa e mi aveva

    insegnato a smuovere la crosta della terra. La smuovevo dalle dueparti e mia mamma, dietro, strappava le piantine.Era un lavoro che si faceva in ginocchio e siccome mi facevano male iginocchi, mia mamma mi infilava un paio di calzoni fuori uso di mio

    padre per ripararmeli dalla terra secca che tagliava la pelle.Con una cappella in testa si andava a incener le barbabietole. Con lascusa che ero piccolina i m ingrugnava l per terra ginocchioni a

    cernere pertiche di barbe.

    Allora cera una crisi forte e il contadino con la paga non potevavivere, allora prendevamo tante pertiche di granoturco, tante dibarbabietole e tante once di bachi e si doveva lavorare tutti.

    A cominciare dai 6 anni, quando ero in prima, le vacanze andavo alavorare nei campi, per tutti gli anni di scuola. A 14 anni poi sono

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    andata in filanda.

    Gino Soana

    Nelle stalle a vendere ceci e lupini

    Avevo 15 anni, ho fatto fare la licenza di vendita, ho comperato un podi ceci, lupini e castagne, noci e nocciole e andavo in giro per le stalle

    e le osterie di Castelfranco e Drizzona a venderle.

    Cera una stalla che era lunga pi di 60 metri, era come lalbergo diCastelfranco: cerano sempre tre filoss. I ragazzi e le ragazze nefacevano uno per loro conto.

    Poi cera il filoss delle donne.Cera un certo Franzini di Torre Picenardi che era bravissimo araccontare storie. Intanto le donne lavoravano a maglia o

    rammendavano i pantaloni e cos passava la sera.Ogni sera cera qualcosa da mangiare perch a turno le donnefacevano cuocere i beligt o altre cose. Portavano la pentola in stallacon le scodelle e mangiavano i beligt nella stalla.

    Quando andavamo a casa eravamoprofumati.I miei nonni stavano in casa, vicino alla stufa, noi invece che noneravamo capaci di stare queti, ci mandavano nella stalla. Quandotornavamo ci dicevano:

    Stai alla larga, che puzzi di stalla!

    Gino Soana

    Lasino del nonno

    Mio nonno aveva due manzette, le comperava piccole e poi leallevava. E io andavo nei campi a prendere lerba per le manzette., con

    un carrettino che tiravo io. Alla festa laiutavo: andavo sul fienile abuttar gi il fieno e la paglia e mi dava 20 o 30 centesimi di paghetta.Questo stato il mio primo lavoro, a 6 anni.Quasi tutti i giorni andavo nei campi a far lerba. Una volta ero conmio cugino Carlino e ci siamo fermati a guardare un bel nido di

    cornacchie su un grande albero. Lui era un po pigro, allora sono salitoio. Nel nido cerano i novelli, quattro e li abbiami portati a casa. Se ne salvato uno,il Checco, e gli davamo da mangiare.

    Girava nel cortile, in casa. Le mie sorelle gli facevano i complimenti.E durato pi di un anno, poi sparito.

    Quando avevo 8 anni il nonno ha comperato un asinello novellino elho addomesticato. Al carrettino che prima tiravo io abbiamo

    allungato le stanghe e gli abbiamo messo sotto lasino. Con quelloportavo al mattino i polli nei campi: pulcini, galline, pollastrelle.Quando passavo per il paese lasino correva e i ragazzi dietrocorrevano anche loro e salivano sul carrettino.

    Una volta ha infilato un sentiero stretto e ha rovesciato il carrettinocon su tutto.Alla sera, verso il tramonto, ritornavo nei campi a prendere le galline

    perch a lasciarli l di notte era pericoloso perch cerano le donnole.

    Una volta con un mio amico e con lasino sono andato nella boschinadei nonni a tagliare al pabil,un erba da dar da mangiare allasino e allemanzette. L vicino cera una pesca e sulle rive cera questa erba. Allora

    mi sono fermato a tagliarne un po. Siamo andati gi verso la riva elasino allimprovviso sprofondato fino alla pancia. Per fortuna il

  • 5/28/2018 Gruppo Padano Di Piadena - Quan Serum Putei

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    19/3/2014 Gruppo Padano di Piadena - Quan serum putei

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    carro lavevo lasciato su. Non sapevamo cosa fare perch lasino apoco a poco sprofondava come nelle sabbie mobili, senza che noi

    potessimo farci niente. Allora lo abbiamo legato per il collo con leredini e tiravamo: Ma noi due ragazzi, con la nostra forza, non ce lafacevamo.Per fortuna, dopo un po, vediamo due che passano in bicicletta

    sullargine. Erano forestieri. Li abbiamo chiamati ad aiutarci e pianpiano, uno che tirava una gamba, un altro che tirava laltra, lo abbiamo

    coricato. Poi, un po con la corda e un po tirandolo per la coda, loabbiamo trascinato sulla riva. Chi avrebbe pensato: il fango sembrava

    secco, invece sotto era molle.Da ragazzi ce ne capitavano di tutti i colori.

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