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Tra le braccia di un barbaro C AROL T OWNEND Harlequin Mondadori S.p.A. Via Marco D'Aviano 2 - 20131 Milano Questo volume è stato stampato nel febbraio 2012 presso la Rotolito Lombarda - Milano Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma. Questa edizione è pubblicata per accordo con Harlequin Enterprises II B.V. / S.à.r.l Luxembourg. Questa è un'opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o persone della vita reale è puramente casuale.

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CAROL TOWNEND

Tra le braccia di un barbaro

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Titolo originale dell'edizione in lingua inglese: Bound to the Barbarian

Harlequin Mills & Boon Historical Romance © 2010 Carol Townend

Traduzione di Roberta Gagliardi

Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma.

Questa edizione è pubblicata per accordo con Harlequin Enterprises II B.V. / S.à.r.l Luxembourg.

Questa è un'opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o persone della vita reale è puramente casuale.

© 2012 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano

Prima edizione I Grandi Romanzi Storici marzo 2012

Questo volume è stato stampato nel febbraio 2012

presso la Rotolito Lombarda - Milano

I GRANDI ROMANZI STORICI ISSN 1122 - 5410

Periodico settimanale n. 818 del 15/03/2012 Direttore responsabile: Alessandra Bazardi

Registrazione Tribunale di Milano n. 75 dello 01/02/1992 Spedizione in abbonamento postale a tariffa editoriale

Aut. n. 21470/2LL del 30/10/1981 DIRPOSTEL VERONA Distributore per l'Italia e per l'Estero: Press-Di Distribuzione

Stampa & Multimedia S.r.l. - 20090 Segrate (MI) Gli arretrati possono essere richiesti

contattando il Servizio Arretrati al numero: 199 162171

Harlequin Mondadori S.p.A. Via Marco D'Aviano 2 - 20131 Milano

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Ashfirth non riuscì a dissimulare lo stupore nella voce. «La principessa si trova qui?» «Sì, comandante.» Scoccando uno sguardo incredulo al capitano, il guerriero smontò da cavallo e cercò di nascondere la fitta di dolore che gli percorse la gamba. Mal-grado il riposo che si era concesso, la situazione non era migliorata. Per quanto la cavalcata dal porto, dall'altra parte delle paludi salate, non fosse stata faticosa, la gam-ba gli doleva come se i lupi l'avessero azzannata. Le fratture alle ossa dovevano di certo guarire più in fretta. Si sfilò l'elmo, lo agganciò alla sella e di-stese la gamba, cercando di non dare nell'occhio. I suoi soldati dovevano convincersi che si fosse ri-stabilito del tutto. «Che cos'è questo posto?» chiese, abbassando il copricapo in maglia metallica. «Un convento.» Non ne aveva l'aria. La cupola della chiesa si intravedeva appena dal-le mura. Una crepa che avevano cercato di sistema-re senza successo la percorreva, come se fosse il

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guscio incrinato di un uovo, e in quella spaccatura, le erbacce avevano messo radici. «Scommetto che il tetto perde» osservò Ash in tono ironico. Il Capitano Brand sorrise e scosse la testa. «Solo uno sciocco accetterebbe la vostra sfida, comandante.» Ash sbuffò, e con lo sguardo percorse mura ed edifici. Che cosa diamine aveva spinto la principes-sa in un convento anonimo alle porte di Durazzo? Per un occhio militare le mura erano in uno stato penoso: un'intera sezione, già da tempo ricoperta di licheni, era ridotta a un cumulo di pietre. Proprio nel momento in cui Ash lo osservava, si udì il tin-tinnio di una campanella e una capra pezzata balzò fuori come d'incanto. Rimase un attimo sulla pila di pietre, gli occhi misteriosi nella luce del mattino. Poi, la campanella che portava al collo tintinnò di nuovo e con un altro salto l'animale si infilò nella macchia. Ash inarcò un sopracciglio. Che cosa diavolo stava combinando la Principes-sa Theodora in quel luogo? La risposta gli balenò nella mente all'improvviso. Il convento, ai confini settentrionali dell'impero, doveva essere parso alla nobildonna un rifugio ideale. Ash distese di nuovo la gamba, preso dalla vo-glia di strozzarla: la principessa doveva aver pensa-to che quello sarebbe stato l'ultimo posto al mondo in cui l'avrebbero cercata. «E non si sbagliava...» mormorò Ash. Con un certo stupore si rese conto di trovarsi, per la prima volta dopo molti anni, un po' più vicino all'Inghil-terra, la sua terra. Quella constatazione non gli fece sentire nostalgia di casa. Grazie a Dio, aveva impa-

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rato da tempo ad accettare la sua nuova vita. «Comandante?» «Se davvero la principessa si illude che queste mura ci impediranno di entrare, si dovrà ricredere.» Brand lanciò un'occhiata al muretto e sorrise. «Sì, comandante.» La luce del sole si rifletté sulla lama dell'ascia del soldato. Brand era un bravo capitano e un e-sploratore eccezionale. Appena arrivato a Durazzo, infatti, aveva trovato un uomo che li aveva indiriz-zati al nascondiglio della principessa: un convento un po' discosto da Durazzo, che dava rifugio a don-ne di ogni ceto. «Questo rudere ha un nome?» «Sì. Si chiama Santa Maria.» Il Capitano Brand si schiarì la gola, aprì la bocca e poi la richiuse, come se ci avesse ripensato. «C'è dell'altro? Su, avanti, raccontami tutto.» Brand lottò per mantenere un'espressione seria. Il capitano era, come Ash, un anglosassone origina-rio dell'Inghilterra e il suo comandante poteva leg-gergli nel pensiero come a un fratello quando, co-me in quel momento, parlavano in inglese, la loro lingua madre. «Santa Maria gode di una certa fama.» «Mi sembra che il suo unico tratto notevole sia lo stato pietoso delle mura e degli edifici.» «Il convento accoglie donne... che hanno voltato le spalle al mondo, pentite della vita che conduce-vano...» mormorò Brand. Ash inarcò un sopracciglio. «La principessa ha scelto un rifugio di peccatrici per la sua fuga?» «Proprio così, comandante.» «Doveva essere proprio disperata.»

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«Cosa intendete dire, di preciso?» «Perché, altrimenti, si sarebbe rinchiusa a Du-razzo, e addirittura tra le peccatrici? L'idea di con-volare a nozze con il Duca Nikolaos la sgomenta a tal punto?» Ash avvertì una punta di dispiacere per quella principessa in fuga che lui aveva scovato in quella landa desolata. «Perché il matrimonio con il Duca di Larissa le ripugna, comandante?» «Lo sa Dio.» Ash non aveva mai incontrato il duca di persona. Correva voce però che fosse un prode guerriero, un comandante impareggiabile e, naturalmente, un uomo d'onore. «I suoi possedi-menti si trovano nel cuore dell'impero. È un mem-bro della vecchia aristocrazia militare. La princi-pessa non potrebbe sperare in un partito migliore... il suo rifiuto è assurdo, a dir poco.» «È stata fidanzata con un principe barbaro?» «Sì, il Principe di Rascia di cui, si dice, fosse in-namorata, il che potrebbe spiegare il suo rifiuto e la sua fuga.» Ash fece una smorfia. «Adesso il princi-pe è morto. Dovrà dimenticarlo.» «Più facile a dirsi che a farsi» osservò Brand, sfregandosi il mento. «Dovrà rassegnarsi.» Ash sapeva che le princi-pesse greche erano molto ambite in tutta la cristia-nità. Evitavano tuttavia di unirsi in matrimonio fuo-ri dai confini dell'impero e consideravano tali le-gami, in realtà piuttosto rari, una sorta di penitenza. «Il principe non poteva raffrontarsi di certo al Duca Nikolaos di Larissa, il suo attuale promesso sposo. Niceforo non si lascerà sfuggire l'opportunità di imparentarsi con uno degli uomini più potenti del-l'impero: sua nipote dovrà smetterla di impuntarsi.»

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Ashfirth rivolse lo sguardo al convento. Prima di risolversi a seguirlo, la principessa gli avrebbe te-nuto testa. Lo prevedeva. Tuttavia lui, il comandan-te della Guardia Variaga, non aveva dubbi sulle proprie priorità: l'unica persona al mondo cui do-veva obbedienza era l'imperatore in persona. Giorni addietro a Costantinopoli, il vecchio im-peratore lo aveva convocato in udienza privata nei suoi alloggi al Gran Palazzo e là il guerriero aveva ammirato mosaici d'oro scintillanti che ricoprivano i muri dal pavimento fino al soffitto. In quell'occasione, l'imperatore, forse l'uomo più potente di tutta la cristianità, era crollato sul trono, come se le forze lo avessero abbandonato di colpo. Gli era parso avvizzito dall'età, e quasi sminuito dalle insegne del potere che lo circondavano. Parlava con un filo di voce. «Comandante, il promesso sposo di mia nipote Theodora, il Principe di Rascia, è morto» aveva co-minciato, «dovete riportarla a palazzo.» A voler essere precisi, la principessa non era sua nipote. Theodora era stata, però, la nipote dell'im-peratore precedente, Michele Ducas. Ma Ash si era trattenuto dal contraddire il monarca: sarebbe stato poco rispettoso fargli notare che era solo grazie al matrimonio con la giovane e bella moglie di Mi-chele, che lui ora poteva vantare un legame di pa-rentela con la principessa. «Mia nipote ha vissuto fra i barbari troppo a lun-go» aveva concluso Niceforo, «è giunto per lei il momento di tornare a palazzo. Prima di incontrare il Duca Nikolaos, suo futuro sposo, dovrà recupera-re le buone maniere della vita di corte.» Quell'incarico, dunque, aveva strappato Ash dal

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suo quartiere generale e lo aveva scaraventato nei pressi del porto di Durazzo, di fronte al portone di quel convento sperduto. Un ricovero di donne perdute. Il portone in legno di quercia, sbiadito dalle mol-te estati, aveva un aspetto più solido delle mura. Accanto allo spioncino, intagliato nel legno all'al-tezza degli occhi e che in quel momento era sbarra-to, pendeva la catena di una campana. Ash sganciò l'ascia dall'armatura e la appese al pomo della sella, accanto all'elmo. Con la coda dell'occhio vide che Brand seguiva ogni suo movi-mento. «Fai come me. Non avrebbe senso spaven-tare le donne.» A meno di ritrovarsi costretti a farlo. Solo in quel modo, forse, avrebbero potuto convincere la principessa a seguirli alla volta di Costantinopoli. «D'accordo, comandante.» Mentre Brand riponeva le armi, Ash scrutò di nuovo le mura ricoperte di licheni e si avvicinò al portone. Aprirsi un varco nelle mura e irrompere nel convento sarebbe stato veramente un gioco da ragazzi, se la principessa si fosse impuntata. Anzi, dopo il viaggio in nave, i soldati avrebbero accolto di buon grado quel diversivo e un po' di moto. La situazione delicata, tuttavia, imponeva loro la di-plomazia: si trovavano di fronte a un membro della famiglia imperiale. Brand, che non aveva perso d'occhio il proprio comandante, lanciò un'altra occhiata alle mura di cinta lasciandogli intendere che aveva intuito il suo pensiero. «Fare irruzione nel convento sarebbe pro-prio un'inezia.» «Risparmiamoglielo, per ora.» Gli indicò il por-

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tone. «E cerchiamo di farci notare. Sembra non es-serci anima viva.» «Dite che sono rimasti senza peccatrici al con-vento?» sogghignò Brand. «Con la città e il porto a due passi?» Ash si con-cesse una risatina. «Impossibile! Sono certo che la principessa si trova qui con il suo seguito. Dob-biamo farla uscire, vorrei essere di ritorno a palaz-zo per Pasqua.» Brand annuì e suonò la campanella. Ash spostò il peso da una gamba all'altra, per non caricare l'arto che gli doleva. Si augurò che la principessa non si sarebbe fatta aspettare a lungo: aveva bisogno delle cure del servo Hrodric, al più presto. Lo spioncino si aprì di scatto e Ash raddrizzò le spalle. La Principessa Theodora lo aveva costretto a cer-carla in lungo e in largo per l'impero, ma alla fine lui l'aveva trovata. E ora, aveva voglia di torcerle il collo, sebbene si rendesse conto che quella tenta-zione costituisse già in sé un tradimento nei con-fronti dell'imperatore e della famiglia Ducas. Al-l'improvviso, una donna con occhi castani lo guar-dò da dietro una grata e Ash le sorrise. «Buongiorno» la salutò lui, passando in tutta na-turalezza al greco. «Vorrei parlare con la Principes-sa Theodora.» La ragazza sgranò gli occhi. Ash ebbe l'impres-sione di udire una voce femminile e, per un attimo, quegli occhi ruotarono di lato. Qualcuno le stava parlando lì accanto. Un momento dopo, quella pun-tò di nuovo i propri occhi scuri nei suoi e Ash sentì un fremito scuoterlo nelle viscere.

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Aggrottò la fronte. «Il vostro nome?» chiese con voce lieve, chiara e garbata. «Ashfirth Il Sassone, comandante della Guardia Variaga. L'imperatore mi ha ordinato di scortare la principessa al Gran Pal...» A quelle parole, la ragazza si ritrasse e la porti-cina dello spioncino si richiuse con un colpo secco. Stringendo i denti, il comandante scambiò uno sguardo veloce con il proprio capitano, poi entram-bi tornarono a osservare il muro mezzo sgretolato. «Le concedo ancora un po' di tempo» disse Ash. Brand si illuminò in volto. I soldati fremevano. Oltre il portone, la Principessa Theodora era ri-masta al fianco di Katerina e il suo velo color por-pora aveva ondeggiato scosso dai tremiti. «Chi c'è, Katerina, là fuori? Il duca in persona?» «Despoina? Mia signora?» «Il duca è là fuori?» Katerina premette il naso contro il portone e sbirciò i soldati attraverso una fessura. «Non so, si-gnora, se questi sono i suoi soldati. Com'è il Duca Nikolaos d'aspetto?» Lo sguardo di Katerina venne catturato dal più alto fra i due guerrieri di fronte al portone. «Uno di loro si è presentato come Ashfirth Il Sassone. Vuole parlarvi.» «Ashfirth Il Sassone?» ripeté la principessa in tono sprezzante, ma con un tremito nella voce che non sfuggì a Katerina. La serva provò tenerezza per la padrona e per quella sua lotta disperata. «Chi è Ashfirth Il Sassone?» È un guerriero alto e fiero. Con la pelle bruciata

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dal sole e screpolata dal vento, i capelli neri come l'ebano e gli occhi... Come poteva quell'uomo ave-re occhi tanto chiari e capelli così scuri? Katerina sentì un nodo stringerle la gola, e, pian piano, aprì lo spioncino per osservarlo meglio. I suoi occhi e-rano della stessa gradazione dei turchesi incastonati nella copertina del libro dei salmi della principessa. Il contrasto con i capelli color ebano la turbò, tanto era sconcertante. «Ha dichiarato di essere il comandante della Guardia Variaga e...» «I Variaghi? Per la Vergine! L'imperatore ci ha inviato le sue guardie personali.» La principessa ti-rò Katerina per la manica, facendole tintinnare i bracciali. «Sei certa?» insistette a quel punto. «Ve-di asce da guerra?» «Sì, despoina. Gli uomini a cavallo portano tutti delle asce e...» «Sono a cavallo?» A quelle parole, la voce della principessa si rasserenò un poco. «Di solito, i Va-riaghi combattono a piedi.» «Alcuni di loro sono a piedi, mia signora.» «Sono in assetto di battaglia?» «Indossano cotte di maglia.» La principessa si lasciò sfuggire un improperio che Katerina non si sarebbe mai aspettata di udire in un luogo sacro. «Principessa!» «Katerina, non fare la santa. Sai da dove vengo-no le monache che si trovano qui... le loro orecchie hanno udito di peggio.» Katerina lo dubitava, ma non replicò. Avrebbe dovuto mordersi la lingua ed evitare di sottolineare quella mancanza da parte della principessa.

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Theodora le diede una gomitata. «Non c'è alcuna traccia del duca, neanche i suoi vessilli?» La serva sbirciò oltre la grata, volgendo il capo da una parte all'altra. Avrebbe voluto passare in rassegna il gruppo di guerrieri, ma Ashfirth Il Sas-sone e il soldato al suo fianco le limitavano la visu-ale. Quant'è alto e attraente. Se non avesse quell'a-ria minacciosa... Il cavaliere non sorrideva più, an-zi, in quel momento serrava le labbra in una linea sottile. Forse quegli incredibili occhi azzurri scru-tavano proprio lei dietro le folte ciglia, ma erano gelidi e duri. E lei, che cosa si aspettava? Se l'uomo era davvero il comandante della Guardia Variaga, il corpo militare imperiale, era probabile che fosse, fra tutti quei soldati, il più inflessibile e spietato. Katerina si schiarì la gola. La lama di un'ascia da guerra scintillò al sole. «Non vedo vessilli, ma i soldati sono armati fino ai denti. Al vostro posto, non farei aspettare tanto il comandante.» «Al mio posto?» ripeté la principessa in tono irri-tato. «Quanto sei insolente oggi, schiava!» Il termine schiava trafisse Katerina come una la-ma. Eppure, per molti anni e fino al giorno in cui la principessa l'aveva comperata, la giovane era stata una schiava. C'era da stupirsi che quell'appellativo la ferisse. Katerina rivolse uno sguardo triste alla padrona, la vide mordersi il labbro e si sentì stringere il cuo-re. Sapeva bene che Theodora non era vendicativa, tuttavia, in quel momento, lo sgomento per un de-stino che la faceva inorridire, vale a dire il matri-monio con il Duca di Larissa, aveva avuto la me-glio su di lei. Purtroppo, non erano solo le schiave

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le uniche donne costrette a piegarsi alla volontà de-gli uomini. Nemmeno una principessa riusciva a sottrarsi ai piani che gli uomini avevano in serbo per lei. Dita carezzevoli sfiorarono la mano della serva. «Scusa, Katerina.» Quest'ultima la fissò. I loro occhi erano identici, come le avevano fatto osservare più volte. Anzi, secondo Sophia, una delle nobildonne del seguito, gli occhi della serva rispecchiavano quelli della principessa non solo nel colore, ma anche nel taglio e nell'arcata sopraccigliare. E Sophia aveva visto bene, Katerina se ne era resa conto guardandosi al-lo specchio della padrona. «Di che cosa? Quello che avete detto corrispon-de al vero, despoina. Sono stata una schiava, fino al giorno in cui mi avete liberata.» Per un attimo, Katerina sentì il vecchio, sordo rancore gonfiarle il cuore. Quel sentimento non era rivolto alla principessa, la donna che l'aveva libera-ta, bensì all'uomo che, tempo addietro, l'aveva ven-duta come schiava: suo padre. Nei confronti della principessa, Katerina nutriva un sentimento di calda gratitudine e desiderava po-terla ricambiare per averla accolta nel suo seguito e averla educata perché, in fondo, lei era solo una contadina di Creta. E dunque, che cosa avrebbe po-tuto desiderare una principessa da una serva? L'espressione di Theodora si fece d'un tratto pen-sierosa. La nobildonna si sporse in avanti e sollevò una mano ingioiellata per chiudere lo spioncino di legno. Oltre il portone si udirono il tintinnio di una campanella, il belato di una capra e la risata sonora di un uomo.

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«Katerina?» disse la principessa. «Mia signora?» «Accompagnami in chiesa. C'è qualcosa su cui vorrei soffermarmi a riflettere.» «D'accordo, despoina.» Katerina non si sorprese quando la principessa le infilò la mano sottobraccio fra il tintinnio dei brac-cialetti. La nipote dell'imperatore l'aveva sempre trattata con grande affabilità, proprio come se fosse stata una delle dame del seguito, senza tener conto delle umili origini. E quando l'aveva presa sotto la propria ala, oltre alla etichetta di corte, le aveva in-segnato a usare un linguaggio elegante e a leggere. Le nobildonne dell'aristocrazia non si accorge-vano se uno schiavo subiva delle angherie. Theodora, invece, ai tempi in cui aveva incontra-to Katerina in Rascia, lo aveva notato e, quindi, a-veva voluto strappare la schiava alla sofferenza. Poi le aveva dato la libertà e le aveva offerto un posto a corte. Due dame del seguito, Sophia e Zoë, si alzarono per seguirle, ma la principessa fece loro cenno di allontanarsi. «Andatevene pure. Ora desidero rac-cogliermi in preghiera. Mi basterà la compagnia di Katerina.» Le due donne voltarono le spalle all'abbagliante luce del sole per immergersi nella fresca penombra della chiesa. La principessa condusse Katerina in una cappella laterale dominata da una statua, al-quanto terrena nell'aspetto e nei colori, della Beata Vergine. Era Maria Maddalena, concluse Katerina dopo averla osservata. La protettrice delle peccatri-ci dominava l'intero convento. La giovane, storcen-do la bocca, rivolse alla principessa uno sguardo

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furtivo. È davvero adatta a questo luogo, pensò. Una coppia di candele di sego illuminava quella nicchia all'interno della casa del Signore nella qua-le si trovavano due religiose inginocchiate davanti alla statua. Si trattava forse di due peccatrici reden-te? Mentre Katerina e la principessa si avvicinava-no, quelle alzarono lo sguardo, si fecero il segno della croce e sgattaiolarono verso la parte centrale della chiesa. «Katerina, vorrei chiederti un favore. Fra tutte le mie dame, solo tu forse puoi aiutarmi.» «Mia principessa, mi avete strappata alla schiavi-tù e condotta con voi: cerco da tempo il modo di dimostrarvi la mia gratitudine. Per voi, farei qua-lunque cosa.» «Qualunque cosa? Modera le parole, Katerina.» La principessa le rivolse un sorriso tirato. «Non sai che cosa potrei avere in mente. Si potrebbe tratta-re...» Si morse il labbro. «... di qualcosa di rischio-so per te.» Katerina afferrò la mano della padrona. «Farei qualunque cosa per voi! Dico sul serio. Come pote-te dubitare? Ditemi come vi posso essere utile.» «No.» La principessa girò la testa di scatto verso l'altare e lasciò vagare lo sguardo sulla croce. «Sa-rebbe troppo pericoloso per te. Non posso chiederti così tanto.» «Principessa...» Katerina si avvicinò. «... permet-tetemi di aiutarvi.» Occhi castani fissarono occhi castani. «Se non fosse per... mia figlia... se il comandante non ci a-vesse già trovato, non oserei.» Sospirò. «Purtroppo non ho scelta. Dovremo agire con prudenza, fare un passo alla volta.»

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E così, sotto gli occhi stupiti di Katerina, la prin-cipessa si sfilò le forcine che le fissavano il velo color porpora al capo. «Vediamo come ti sta.» Per-lustrò la chiesa con lo sguardo per essere certa che non ci fossero occhi o orecchie indiscrete e si libe-rò dei sandali ornati di pietre preziose che spinse in direzione della serva. «Chissà se ti vanno bene.» Con un fruscio, sfilò il velo. Katerina sgranò gli occhi. «Mia signora?» La principessa la squadrava da capo a piedi, co-me se fosse una sarta e le stesse prendendo le misu-re. «Abbiamo quasi la stessa statura e i nostri occhi sono identici.» Katerina rimase a fissare i sandali sulle lastre di pietra della chiesa e un brivido freddo le percorse la schiena. «Su, Katerina, calzali. Se ti vanno bene, riceverai il comandante.» La serva deglutì. «È questo il favore che voleva-te chiedermi?» «Può darsi. Per il momento, lasciami riflettere in silenzio e infilati il velo» le rispose l'altra, evitando il suo guardo. Di lì a poco lo scatto dello spioncino, che si apri-va di nuovo, attirò l'attenzione di Ashfirth. Il guer-riero si raddrizzò e con poche falcate si avvicinò al portone. Occhi di cerbiatta era tornata e lui la riconobbe subito, sebbene in quel momento un velo le copris-se il volto. Quell'indumento era color porpora, intessuto di fili d'oro. «Comandante Ashfirth!» esclamò lei.

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La voce della donna, pur essendo ancora lieve e chiara, era percorsa da una nota nuova. Il coman-dante non avrebbe saputo dire, però, di che cosa si trattasse. Si era fatta forse più ardita? Oppure era solo più forzata? «La principessa accetta di incontrarmi?» La giovane si ritrasse appena dietro la grata di ferro. «Comandante...» lo apostrofò lei in tono a-sciutto, «la principessa desidera sapere cosa vi ha spinto fin qui.» La principessa desidera sapere... Il guerriero strinse gli occhi, diffidente. Sta prendendo tempo. Sa bene perché mi trovo qui. «Mi sto rivolgendo al-la principessa in persona?» Non poté capirlo da sé, esaminando le espressio-ni del volto della donna: quel velo maledetto na-scondeva troppo. Non gli sfuggì, tuttavia, una bre-ve esitazione, un fremito in fondo agli occhi scuri. «Comandante, rispondetemi, per favore!» Quel tono imperioso e pacato al contempo era di sicuro quello di una principessa. Un filo d'oro brillò al sole. Con ogni probabilità quella donna, la prin-cipessa, era irritata per essere stata colta alla sprov-vista dal loro arrivo, al punto che, come lui aveva ben notato, aveva lasciato cadere la sua domanda. Se le cose stavano così, lui non si sarebbe perso in tanti giri di parole. «L'Imperatore Niceforo mi ha ordinato di riac-compagnare la Principessa Theodora al Gran Pa-lazzo a Costantinopoli.» Vi fu una pausa. Un altro fremito percorse quegli occhi scuri. La ragazza girò la testa di lato e si sentì un mormorio di voci soffocate.

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Se Occhi di cerbiatta era la principessa, e questo era quasi certo, dietro il portone qualcuno le bisbi-gliava dei suggerimenti. «Il Duca Nikolaos è con voi?» lo apostrofò la donna, sollevando di nuovo lo sguardo su di lui. Ashfirth scosse il capo. «Vi raggiungerà a Costantinopoli. L'imperatore desidera vedervi recuperare...» Lasciò la frase in sospeso un attimo, cercando parole più adatte di quelle che le stava per rivolgere. Il Principe di Rascia cui lei era stata legata da promesse nuziali era un barbaro agli occhi della nobiltà greca e la notizia che lei aveva finito per innamorarsene aveva fatto inorridire la corte impe-riale. «L'imperatore desidera vedervi recuperare le abitudini della corte.» Alla morte del nobile, ucciso in un tafferuglio di confine, lo zio imperatore aveva organizzato un se-condo fidanzamento alla nipote senza esitare. Le principesse bizantine erano beni preziosi e questa discendente reale apparteneva anche a una potente famiglia: sarebbe stata ridotta alla ragione al più presto e usata per suggellare alleanze politiche e militari. Dieci anni prima, l'Imperatore Michele aveva trovato vantaggioso fidanzarla al Principe di Ra-scia, suo grande vassallo. Se questi fosse vissuto, gli accordi sarebbero stati onorati, ma la sua morte li aveva invalidati. In quel momento, non era più tanto importante controllare un reame insignificante ai confini dei domini imperiali. Un nuovo monarca sedeva sul trono e questi, minacciato com'era dall'aristocrazia militare che reclamava a gran voce un nuovo impe-

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ratore, doveva cercare nuovi alleati potenti. Offrendo la Principessa Theodora al Duca di La-rissa, Niceforo si augurava di tutto cuore di poterlo tenere a bada e assicurarsene la fedeltà nel caso in cui il conflitto che divideva i suoi generali fosse diventato ingestibile. La donna sollevò di nuovo lo sguardo su di lui. Chissà a che cosa pensa, si chiese Ashfirth, ren-dendosi conto di essere ai suoi occhi solo un barba-ro, così come lo era stato anche il Principe di Ra-scia agli occhi della corte. E in fondo lui era solo un guerriero, senza alcun possedimento, al servizio dell'imperatore. La corte lo trattava con quella tolleranza che il valore del soldato e la fedeltà all'imperatore le imponeva, sen-za dimenticare peraltro che i membri della Guardia Variaga erano barbari e mercenari. Dietro la grata, la donna ruotò il capo di lato, e senza staccare gli occhi dai suoi tese l'orecchio al proprio consigliere. Lui approfittò di quel momento per osservarla bene e si accorse che la ragazza, che fosse la principessa o meno, gli nascondeva qual-cosa. E quando con un battito di ciglia lei ruppe quel contatto, lui non aveva capito di che cosa si trattasse. «Per raggiungere Costantinopoli bisogna affron-tare un lungo viaggio per mare» gli fece notare lei, in quel tono distaccato e modulato che ora gli era familiare. «Voi non potete pretendere di vedere una principessa pronta a seguirvi nello stesso momento in cui schioccate le dita. Abbiate la compiacenza di tornare domani.» Ashfirth si trattenne a stento dal mostrarle tutta la sua disapprovazione. «Domani? Avete di certo

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ricevuto le missive dell'imperatore, principessa. Sapete bene quanto vostro zio sia... impaziente di riavervi a corte.» Si interruppe e strinse i denti. La principessa do-veva aspettarsi che lo zio alla fine le avrebbe man-dato un emissario che la riconducesse a palazzo, dopo che le erano state inviate dalla corte numerose lettere, rimaste tutte senza risposta. Di fronte al si-lenzio della nipote, l'imperatore aveva concluso che le epistole di risposta della giovane fossero andate perse per strada. Poco convinto, Ashfirth si chiede-va se davvero la principessa avesse commesso la scortesia di ignorare il carteggio dell'imperatore. Non gli aveva risposto di proposito? Occhi scuri ruotarono di nuovo su di lui, senza svelargli alcun segreto. Maledizione, aveva ragio-ne! Il viaggio sarebbe stato lungo: era meglio mor-dersi la lingua piuttosto che darle della bugiarda e partire subito con il piede sbagliato. Si trattava del-la principessa in persona, in fondo. Stai calmo. Non provocarla! «La nostra nave leverà l'ancora nel pomeriggio» tagliò corto. Occhi di cerbiatta reclinò il capo di lato per por-gere l'orecchio alla propria confidente. «Tornate tra due ore» propose. «La principessa sarà pronta a partire?» «Sì.» Il militare le rivolse un cenno del capo e si voltò. Lo scatto lieve della serratura lo informò che lo spioncino era stato chiuso. Due ore? Mettiamone in conto almeno quattro. La puntua-lità non è il forte delle donne, figuriamoci poi di

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una che non si degna neppure di rispondere alle lettere dell'imperatore e fa di tutto per non cadere sotto le sue unghie. Accorgendosi che Brand lo stava osservando, lui allargò le braccia. «Due ore di riposo, capitano, per la metà dei soldati. Temo che la principessa non sa-rà puntuale.» «D'accordo, comandante.» La principessa si fece avanti per chiudere lo spioncino e quel comandante così alto e minaccio-so sparì dalla visuale di Katerina. «Oh!» esclamò la serva. «Che c'è?» «Zoppica.» «Chi?» indagò la principessa, sconcertata. «Ashfirth.» Quella alzò lo sguardo sulla serva, che avvampò. «Sì, zoppicava. Non me n'ero accor-ta: si nota appena...» Di fronte allo sguardo allibito della principessa, Katerina si interruppe. Non solo la padrona non condivideva quell'interesse per l'emissario dell'im-peratore, ma la stava anche guardando con un mez-zo sorriso sulle labbra, come se la vedesse con oc-chi nuovi. Dall'interno del convento giunse il pian-to di un bambino e la donna soffocò un gemito. Katerina ebbe una sorta di presentimento e av-vertì uno spasmo allo stomaco. Si sfilò in tutta fret-ta le forcine e il velo e lo porse alla padrona che lo posò di lato, con gli occhi lucidi di lacrime. «Despoina, che cosa c'è?» «Katerina, mi dispiace...» si scusò quella con vo-ce rotta e un debole sorriso. «Temo che sarò co-stretta a ricorrere al tuo aiuto.»

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«Davvero?» La serva deglutì. L'altra annuì. «Non lo farei, se questa non fosse la mia unica ancora di salvezza, capisci?» «Despoina?» Benché il pianto fosse cessato, la principessa prese la serva sottobraccio e la condusse verso la parte del convento riservata agli ospiti. «Come sai, non desidero sposare il Duca Nikolaos e tu mi hai chiesto di poter ricambiare il favore che ti ho fatto tempo fa.» Così dicendo, aprì la porta degli alloggi che le erano stati destinati e rivolse uno sguardo ansioso alla piccola tra le braccia di Sophia. «Tutto bene, despoina, la piccola sta bene.» La nobildonna si piegò appena sulla bambina. «Vero, angioletto mio?» «Che cosa dovrò fare, mia signora?» A disagio, Katerina passò con lo sguardo dalla padrona alla bambina, poi di nuovo alla padrona. «È molto semplice, Katerina: tu dovrai fingere di essere me...» mormorò.

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CHRISTINE MERRILL Un conte da sedurre

MIRANDA JARRETT Il cuore e la ragione

LONDRA, 1815 - Lady Emily decide di sedurre il marito di-venuto cieco senza rivelargli la propria identità. E lo strata-gemma porterà finalmente l'amore nelle loro vite.

VENEZIA, 1775 - Complice la magia di Venezia, Jane deci-de di seguire il cuore e non la ragione. E una notte si lascia tentare dalla passione per il bellissimo Duca di Aston...

Tra le braccia di un barbaro CAROL TOWNEND

TURCHIA, 1081 - Vestendo i panni della Principessa Theo-dora, Katerina fa breccia nel cuore di Ashfirth il Sassone. Come potrà rivelare la verità al guerriero che ormai ama?

Una proposta inattesa ANNIE BURROWS

INGHILTERRA, 1815 - Imogen sa di non essere una bellezza, e quando l'affascinante Visconte di Mildenhall chiede la sua mano, sospetta che lui abbia un secondo fine. Ma quale?

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MERIEL FULLER Prigioniera del cavaliere

MARY NICHOLS La sfida di Sir Ashley

INGHILTERRA, 1453 - Bastien decide di usare il suo fascino per convincere Lady Alice a procurargli un'udienza con il re. Lei però non è docile come sembra... e gli ruba il cuore.

INGHILTERRA, 1762 - Indagando su una banda di contrab-bandieri, Sir Ashley si imbatte nella fiera e indipendente Philippa. Tra loro nasce subito una forte attrazione, ma...

La dama del vascello TRISH ALBRIGHT

INGHILTERRA - SPAGNA - MAROCCO, 1787 - Bella e audace, Alexandra è una donna speciale. Lo pensa anche il Duca di Worthington, che infatti è disposto a tutto per conquistarla.

Un matrimonio sconveniente SUSANNA FRASER

INGHILTERRA, 1809 - Quando scopre che prima delle nozze sua moglie era fidanzata in segreto con un altro, il Visconte Selsley rimette tutto in discussione. Anche il suo amore.

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