grande scrittrice · ti e con un pezzo di carbone in ... Cosa scrivessi, neppure io lo so. Ho...

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56 L’ECO DI BERGAMO VENERDÌ 28 FEBBRAIO 2014 CARLO DIGNOLA Era un tipo strano Ele- na Bono, una donna quasi incre- dibile nei suoi lineamenti netti ed enigmatici, nel suo radicato e radicale senso del destino. Persino la sua morte, mercoledì sera, a 92 anni, nell’ospedale di Lavagna, ha l’aura di un avveni- mento tutt’altro che casuale. «Mi ha colpito come sino alla fine non si sia mai lamentata delle sue condizioni di salute» racconta la sua assistente di questi anni, e amica, Stefania Venturino: «È morta come un soldato, in piedi, combattendo sino alla fine con una straordi- naria dignità, forza, cristiana sopportazione. Ancora martedì ha riservato alle sue nipoti un sorriso. Sapeva di essere alla fine ma non si è sfogata con nessuno: ha sorriso e basta». I funerali, celebrati in forma so- lenne, religiosa e civile, saranno oggi alle 15,30 nella cattedrale di N.S. Dell’Orto a Chiavari. Autore di razza Elena Bono è uno dei buchi neri della nostra cultura: autore di razza, amica e stimata negli an- ni ’50 e ’60 da Pier Paolo Pasoli- ni (che voleva fare un film da un suo testo), da Emilio Cecchi - o forse non veramente amica di nessuno, dato il carattere, soave e tagliente - al suo esordio ven- ne celebrata, soprattutto al- l’estero come una delle grandi scrittrici italiane del dopoguer- ra. Lingua densa, nutrita di re- gionalismi (romano, volsco - come diceva lei -, toscano, geno- vese, marchigiano) sapiente- mente intrecciati e letteraria- mente depurati, ci lascia poesie splendide, opere di teatro (forse quelle per cui è più conosciuta) potenti e drammatiche, una tri- logia di romanzi («Come un fiu- me come un sogno», «Una vali- gia di cuoio nero», «Fanuel Nu- ti. Giorni davanti a Dio») non facile da affrontare per il lettore abituato alle 150 paginette degli instant book, ma ricchi, profon- di. L’abbiamo conosciuta in questi ultimi anni. Il nostro giornale e Avvenire - con Ales- sandro Zaccuri - sono un po’ gli unici ad aver rimesso in luce il suo valore letterario. Nel 2011 un ricco articolo di padre Ferdi- nando Castelli su Civiltà catto- lica l’aveva riportata al rango che le appartiene. È rimasta pe- rò ignorata dalla grande stam- pa. Proprio mercoledì L’Osser- vatore Romano le ha dedicato una intera pagina. In essa lei si congedava dalle giornaliste - Silvia Guidi e Anna Roda - di- cendo: «Ho dato tutto quello che ho potuto». La sera stessa della pubblicazione Elena Bono è morta. Segnata dal destino È stata una donna costante- mente segnata dal destino. An- che con violenza (e lei sembrava intuirne misteriose ragioni). Ci aveva raccontato lei stessa i prodromi della sua vocazione letteraria, con toni pirandellia- ni, mettendo in scena se stessa autrice, incalzata, quasi perse- guitata dalle figure umane che avrebbero popolato i suoi rac- conti, forzata controvoglia a scrivere: «Ero bambina, avevo due anni; stavo seduta su uno sgabellino con una sedia davan- ti e con un pezzo di carbone in mano. “Cosa fai, Elena” mi chie- devano in casa? “Chivo”. Cosa scrivessi, neppure io lo so. Ho imparato da sola a leggere, ben prima di andare a scuola, pro- prio per poter scrivere». Poi un giorno, quasi vent’anni dopo, «ero al primo o al secondo anno di università, mentre stavo se- duta per terra ad ascoltare mu- sica tzigana ecco che all’im- provviso una voce mi detta le prime parole di “Morte di Ada- mo”: “Quando venne il suo gior- no, dopo novecentotrenta anni di vita, Adamo ritornò alla ter- ra...”. Rimasi spaventata, tutta tremante afferrai un pezzo di Elena Bono qualche anno fa nella sua casa di Chiavari FOTO GIANNI ANSALDI È morta Elena Bono grande scrittrice a lungo nell’ombra Stimata da Pasolini, al suo esordio negli anni ’50 fu considerata un vertice della letteratura italiana Poi l’isolamento nella casa di Chiavari, e l’oblio Proprio mercoledì L’Osservatore Romano le ha dedicato una pagina La sera stessa ha chiuso gli occhi per sempre nell’ospedale di Lavagna Eugenio Corti all’estero è annoverato tra i grandi È un caso analogo quello di Eugenio Corti, altro importante scrittore del ’900 a lungo ignorato dalla grande stampa. Se ne sono accorti in mortem, me- no di un mese fa: il 5 febbraio tutti i grandi quotidiani nazionali - Cor- riere, Repubblica, Stampa, Sole 24 Ore - hanno raccontato qualcosa di lui, con rispetto. Nei decenni scorsi invece mai un articolo, mai un’intervista da parte della cultu- ra mainstream. Eppure anche Corti è stato evi- dentemente uno scrittore di alta qualità: basta leggere le prime ri- ghe de Il cavallo rosso per render- sene conto. Con la placida falce del contadino che ruotando sulle messi evoca ben altre mietiture, all’alba di una guerra terribile: «Fine maggio 1940; avanzando lenti uno a fianco dell’altro Fer- rante e suo figlio Stefano falciava- no il prato. Alle loro spalle il caval- lino sauro attendeva attaccato al che apparivano – dove le labbra erano giunte – spezzati e bianchi come ossicine». Che anch’esse evocavano altre ossa... Ci ha pensato la Francia a se- gnalarne la vera statura: Le Monde ha celebrato Corti come «uno dei grandi scrittori italiani di oggi», Le Figaro ha parlato di «uno degli immensi scrittori contempora- nei, uno dei più grandi, forse il più grande». Facendo notare anche che Corti «lascia dietro di sé un’opera sconosciuta. Chi se ne preoccupa? Con gli occhi puntati sulla lista dei bestseller, giovani presuntuosi attribuiscono impor- tanza solo agli autori riconosciuti dalla pubblicità. Lasciamoli fare. Ognuno ha ciò che si merita». «Corti è uno scrittore che ha sempre lavorato per i posteri» ha detto il suo editore e amico Cesare Cavalleri. «È sempre stato uno scrittore di ampio respiro. Trovo appropriata la definizione di Tolstoj della nostra epoca. Il caval- lo rossoè il Guerra e pace del 900». Il suo massimo studioso, François Livi, italianista della Sor- bona di Parigi lo aveva proposto per il Nobel. Ma forse la definizio- ne letteraria più bella di Corti l’ha data Luca Doninelli: «È un narra- tore puro, uno cioè che racconta i fatti, presentando la realtà degli uomini e delle cose con rispetto, attenzione e amore, senza mai spaventarsi di fronte alla loro complessità, organizzando a que- sto scopo una macchina narrativa potente e molto raffinata». n C. D. ©RIPRODUZIONE RISERVATA carro; aveva consumata per intero la bracciata d’erba messagli da- vanti da Stefano all’inizio del lavo- ro: con avidità l’aveva mangiata, sollevando e squassando di conti- nuo la testa per respingere il colla- re voluminoso che gli scivolava lungo il collo. Adesso, senza muo- versi d’un passo, protendeva la bocca per carpire le foglie del gelso nella cui ombra era stato lasciato: insieme con le foglie strappava anche la scorza dei rami più teneri Eugenio Corti, morto il 4 febbraio carta e presi a scrivere. Mio pa- dre sulla sedia a sdraio, con un occhio aperto e uno chiuso leg- geva. Gli dico: “Papà, guarda cosa m’è successo”...». Un’opera d’arte - commenta- va - «non è qualcosa che si co- struisce a tavolino. Io ho... regi- strato. La letteratura è sempre stata qualcosa che mi succede. Scrivere per me è scrivere sotto dettatura». Amava i classici - greci e lati- ni - più che le avanguardie del ’900, perché torcevano, guasta- vano la lingua, che la Bono con- siderava come qualcosa addirit- tura di sacro. Circondata da ragazzi Nella sua luminosa casa di Chiavari, in una bella giornata dell’ultimo aprile, Elena era quasi immobile in un letto. At- torno a lei, però, c’era una gran aria di festa. I ragazzi delle scuole liguri la andavano a tro- vare, restavano colpiti dalla personalità di questa donna im- mobile in un letto ma dura e cristallina come una pietra re- stata a concentrare le sue mole- cole per millenni nel fondo del- la terra. A fior di labbra, lei dice- va che la letteratura è «un servi- zio», che le ha dato tuttavia «gioie interne e incomunicabi- li». Era convinta di dover lascia- re «una parola di speranza e non di disperazione» alle generazio- ni giovani. Che la letteratura non sia esercizio teorico ma qualcosa che «aiuta a vivere, come il mangiare e il bere». Qualcosa di essenziale «come l’aria. Se uno non ama l’arte non è più un uomo». Sapeva che la morte non era lontana, Elena Bono. La aspet- tava come il momento in cui la scelta tra bene e male che l’uo- mo ha di fronte ogni istante si pone definitivamente, il mo- mento «dell’aut-aut estremo: o/o, il Nulla oppure il Tutto. E l’uomo in genere non sceglie il Nulla. Siamo figli di Dio, dopo tutto». La attendeva come «il momento in cui conosceremo noi stessi e i grandi misteri della vita umana». Tra qualche spruzzo di pro- fumo, che con senile femminili- tà continuava a godere e a do- mandare, con quelle sue vec- chie labbra sottili disse ancora una volta parole brevi, secche come pietre. Parole ferme, sta- bili. Nella nuova edizione digitale del suo «Morte di Adamo» ha voluto inserire non solo alcune sue annotazioni inedite sui rac- conti ma anche la poesia «Tem- po di Dio», scritta subito dopo la fine della guerra: «Non è tem- po di lutti/ né di follie./ Questo è tempo di Dio./ Che aspettia- mo?/ Quale segno?/ Quale mi- racolo?». n ©RIPRODUZIONE RISERVATA Cultura [email protected] www.ecodibergamo.it C’era una volta Twitter Il vero amore è come una finestra illuminata in una notte buia. Il vero amore è una quiete accesa GIUSEPPE UNGARETTI

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56 L’ECO DI BERGAMOVENERDÌ 28 FEBBRAIO 2014

CARLO DIGNOLA

Era un tipo strano Ele­na Bono, una donna quasi incre­dibile nei suoi lineamenti nettied enigmatici, nel suo radicatoe radicale senso del destino.Persino la sua morte, mercoledìsera, a 92 anni, nell’ospedale diLavagna, ha l’aura di un avveni­mento tutt’altro che casuale.

«Mi ha colpito come sino allafine non si sia mai lamentatadelle sue condizioni di salute»racconta la sua assistente diquesti anni, e amica, StefaniaVenturino: «È morta come unsoldato, in piedi, combattendosino alla fine con una straordi­naria dignità, forza, cristianasopportazione. Ancora martedìha riservato alle sue nipoti unsorriso. Sapeva di essere allafine ma non si è sfogata connessuno: ha sorriso e basta». Ifunerali, celebrati in forma so­lenne, religiosa e civile, sarannooggi alle 15,30 nella cattedraledi N.S. Dell’Orto a Chiavari.

Autore di razzaElena Bono è uno dei buchi neridella nostra cultura: autore dirazza, amica e stimata negli an­ni ’50 e ’60 da Pier Paolo Pasoli­ni (che voleva fare un film da unsuo testo), da Emilio Cecchi ­ oforse non veramente amica dinessuno, dato il carattere, soavee tagliente ­ al suo esordio ven­ne celebrata, soprattutto al­l’estero come una delle grandiscrittrici italiane del dopoguer­ra. Lingua densa, nutrita di re­gionalismi (romano, volsco ­

come diceva lei ­, toscano, geno­vese, marchigiano) sapiente­mente intrecciati e letteraria­mente depurati, ci lascia poesiesplendide, opere di teatro (forsequelle per cui è più conosciuta)potenti e drammatiche, una tri­logia di romanzi («Come un fiu­me come un sogno», «Una vali­gia di cuoio nero», «Fanuel Nu­ti. Giorni davanti a Dio») nonfacile da affrontare per il lettoreabituato alle 150 paginette degliinstant book, ma ricchi, profon­

di.L’abbiamo conosciuta in

questi ultimi anni. Il nostrogiornale e Avvenire ­ con Ales­sandro Zaccuri ­ sono un po’ gliunici ad aver rimesso in luce ilsuo valore letterario. Nel 2011un ricco articolo di padre Ferdi­nando Castelli su Civiltà catto­lica l’aveva riportata al rangoche le appartiene. È rimasta pe­rò ignorata dalla grande stam­pa. Proprio mercoledì L’Osser­

vatore Romano le ha dedicatouna intera pagina. In essa lei sicongedava dalle giornaliste ­Silvia Guidi e Anna Roda ­ di­cendo: «Ho dato tutto quelloche ho potuto». La sera stessadella pubblicazione Elena Bonoè morta.

Segnata dal destinoÈ stata una donna costante­mente segnata dal destino. An­che con violenza (e lei sembravaintuirne misteriose ragioni). Ciaveva raccontato lei stessa iprodromi della sua vocazioneletteraria, con toni pirandellia­ni, mettendo in scena se stessaautrice, incalzata, quasi perse­guitata dalle figure umane cheavrebbero popolato i suoi rac­conti, forzata controvoglia ascrivere: «Ero bambina, avevodue anni; stavo seduta su unosgabellino con una sedia davan­ti e con un pezzo di carbone inmano. “Cosa fai, Elena” mi chie­devano in casa? “Chivo”. Cosascrivessi, neppure io lo so. Hoimparato da sola a leggere, benprima di andare a scuola, pro­prio per poter scrivere». Poi ungiorno, quasi vent’anni dopo,«ero al primo o al secondo annodi università, mentre stavo se­duta per terra ad ascoltare mu­sica tzigana ecco che all’im­provviso una voce mi detta leprime parole di “Morte di Ada­mo”: “Quando venne il suo gior­no, dopo novecentotrenta annidi vita, Adamo ritornò alla ter­ra...”. Rimasi spaventata, tuttatremante afferrai un pezzo di

Elena Bono qualche anno fa nella sua casa di Chiavari FOTO GIANNI ANSALDI

È morta Elena Bonogrande scrittricea lungo nell’ombraStimata da Pasolini, al suo esordio negli anni ’50 fu considerata un vertice della letteratura italianaPoi l’isolamento nella casa di Chiavari, e l’oblio

Proprio mercoledì L’Osservatore Romano le ha

dedicato una pagina

La sera stessaha chiuso gli occhi per

sempre nell’ospedale di Lavagna

Eugenio Corti all’esteroè annoverato tra i grandi

È un caso analogo quello di

Eugenio Corti, altro importante scrittore

del ’900 a lungo ignorato dalla grande

stampa.

Se ne sono accorti in mortem, me­no di un mese fa: il 5 febbraio tuttii grandi quotidiani nazionali ­ Cor­riere, Repubblica, Stampa, Sole 24Ore ­ hanno raccontato qualcosadi lui, con rispetto. Nei decenni scorsi invece mai un articolo, maiun’intervista da parte della cultu­ra mainstream.

Eppure anche Corti è stato evi­dentemente uno scrittore di altaqualità: basta leggere le prime ri­ghe de Il cavallo rosso per render­sene conto. Con la placida falce delcontadino che ruotando sulle messi evoca ben altre mietiture,all’alba di una guerra terribile: «Fine maggio 1940; avanzando lenti uno a fianco dell’altro Fer­rante e suo figlio Stefano falciava­no il prato. Alle loro spalle il caval­lino sauro attendeva attaccato al

che apparivano – dove le labbra erano giunte – spezzati e bianchicome ossicine». Che anch’esse evocavano altre ossa...

Ci ha pensato la Francia a se­gnalarne la vera statura: Le Mondeha celebrato Corti come «uno deigrandi scrittori italiani di oggi», LeFigaro ha parlato di «uno degli immensi scrittori contempora­nei, uno dei più grandi, forse il piùgrande». Facendo notare anche che Corti «lascia dietro di sé un’opera sconosciuta. Chi se ne preoccupa? Con gli occhi puntatisulla lista dei bestseller, giovani presuntuosi attribuiscono impor­tanza solo agli autori riconosciutidalla pubblicità. Lasciamoli fare.Ognuno ha ciò che si merita».

«Corti è uno scrittore che hasempre lavorato per i posteri» ha

detto il suo editore e amico CesareCavalleri. «È sempre stato uno scrittore di ampio respiro. Trovoappropriata la definizione di Tolstoj della nostra epoca. Il caval­lo rosso è il Guerra e pace del 900».

Il suo massimo studioso,François Livi, italianista della Sor­bona di Parigi lo aveva proposto per il Nobel. Ma forse la definizio­ne letteraria più bella di Corti l’hadata Luca Doninelli: «È un narra­tore puro, uno cioè che raccontai fatti, presentando la realtà degliuomini e delle cose con rispetto,attenzione e amore, senza mai spaventarsi di fronte alla loro complessità, organizzando a que­sto scopo una macchina narrativapotente e molto raffinata».n C. D.

©RIPRODUZIONE RISERVATA

carro; aveva consumata per interola bracciata d’erba messagli da­vanti da Stefano all’inizio del lavo­ro: con avidità l’aveva mangiata, sollevando e squassando di conti­nuo la testa per respingere il colla­re voluminoso che gli scivolava lungo il collo. Adesso, senza muo­versi d’un passo, protendeva la bocca per carpire le foglie del gelsonella cui ombra era stato lasciato:insieme con le foglie strappava anche la scorza dei rami più teneri Eugenio Corti, morto il 4 febbraio

carta e presi a scrivere. Mio pa­dre sulla sedia a sdraio, con unocchio aperto e uno chiuso leg­geva. Gli dico: “Papà, guardacosa m’è successo”...».

Un’opera d’arte ­ commenta­va ­ «non è qualcosa che si co­struisce a tavolino. Io ho... regi­strato. La letteratura è semprestata qualcosa che mi succede.Scrivere per me è scrivere sottodettatura».

Amava i classici ­ greci e lati­ni ­ più che le avanguardie del’900, perché torcevano, guasta­vano la lingua, che la Bono con­siderava come qualcosa addirit­tura di sacro.

Circondata da ragazziNella sua luminosa casa diChiavari, in una bella giornatadell’ultimo aprile, Elena eraquasi immobile in un letto. At­torno a lei, però, c’era una granaria di festa. I ragazzi dellescuole liguri la andavano a tro­

vare, restavano colpiti dallapersonalità di questa donna im­mobile in un letto ma dura ecristallina come una pietra re­stata a concentrare le sue mole­cole per millenni nel fondo del­la terra. A fior di labbra, lei dice­va che la letteratura è «un servi­zio», che le ha dato tuttavia«gioie interne e incomunicabi­li». Era convinta di dover lascia­re «una parola di speranza e nondi disperazione» alle generazio­ni giovani. Che la letteraturanon sia esercizio teorico maqualcosa che «aiuta a vivere,come il mangiare e il bere».Qualcosa di essenziale «comel’aria. Se uno non ama l’arte nonè più un uomo».

Sapeva che la morte non eralontana, Elena Bono. La aspet­tava come il momento in cui lascelta tra bene e male che l’uo­mo ha di fronte ogni istante sipone definitivamente, il mo­mento «dell’aut­aut estremo:

o/o, il Nulla oppure il Tutto. El’uomo in genere non sceglie ilNulla. Siamo figli di Dio, dopotutto». La attendeva come «ilmomento in cui conosceremonoi stessi e i grandi misteri dellavita umana».

Tra qualche spruzzo di pro­fumo, che con senile femminili­tà continuava a godere e a do­mandare, con quelle sue vec­chie labbra sottili disse ancorauna volta parole brevi, secchecome pietre. Parole ferme, sta­bili.

Nella nuova edizione digitaledel suo «Morte di Adamo» havoluto inserire non solo alcunesue annotazioni inedite sui rac­conti ma anche la poesia «Tem­po di Dio», scritta subito dopola fine della guerra: «Non è tem­po di lutti/ né di follie./ Questoè tempo di Dio./ Che aspettia­mo?/ Quale segno?/ Quale mi­racolo?». n

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Il vero amore è come una finestra illuminata in una notte buia. Il vero amore è una quiete accesaGIUSEPPE UNGARETTI