Gli Italiani 18/24 ottobre 2010

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WWW.GLIITALIANI.IT www.gliitaliani.it 1 Newsletter 18/24 ottobre 2010 Teste rotte e promesse. Torna Bertolaso per l’ultima missione. A Terzigno e Cagliari la fine della politica si fa a colpi di manganello. E poi inchieste sulla ecomafia a Lentini le minacce a TeleJato e l’addio di Marra l’informazione calpestata e Mauro Rostagno, che troppo spesso si dimentica della settimana MANIPOLAZIONE di fine impero

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A Terzigno e Cagliari la fine della politica si fa a colpi di manganello. E poi inchieste sulla ecomafia a Lentini le minacce a TeleJato e l’addio di Marra l’informazione calpestata e Mauro Rostagno, che troppo spesso si dimentica

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Newsletter 18/24 ottobre 2010

Teste rotte e promesse. Torna Bertolaso per l’ultima missione.A Terzigno e Cagliari la fine della politica

si fa a colpi di manganello. E poi inchieste sulla ecomafia a Lentinile minacce a TeleJato e l’addio di Marra

l’informazione calpestata e Mauro Rostagno, che troppo spesso si dimentica

della settimana

MANIPOLAZIONEdi fine impero

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Lunardi salvato dalla Camera, le teste rotte a Terzigno e le minacce a TeleJatodi Pietro Orsatti

Che c’entra Lunardi con Terzigno? Nulla. O meglio, apparentemente nulla. In realtà un collegamento si potrebbe farlo, anche se forzoso. Perché il ministro delle Infrastrutture è stato “salvato” in estremis dalla Camera che ha respinto la richiesta di autorizzazione a procedere del Tribunale dei ministri di Perugia di indagare su di lui nell’ambito dell’inchiesta Propaganda Fide/Grandi Eventi, mentre contemporaneamente polizia, prefetto, sindaco di Napoli, maggioranza di governo, super commissario alla qualunque cosa nonché capo della protezione civile (il mai troppo citato Guido Bertolaso) stavano cercando attraverso i media compiacenti di criminalizzare un’intera comunità, quella di Terzigno, che si sta opponendo strenuamente all’attivazione di una seconda discarica nel suo territorio. Territorio che ha anche la particolarità di corrispondere, lo so è solo un dettaglio ormai, con quello del Parco Nazionale del Vesuvio. Quindi la coincidenza, oltre ad alcuni nomi, è temporale. Da un lato si nega l’autorizzazione a procedere dall’altra si autorizza a bastonare.

Quindi, confermata l’immunità parlamentare a Lunardi e contemporaneamente giù botte, arresti, denunce a chi subisce le conseguenze di una pluridecennale politica assurda nella gestione dei rifiuti in Campania e ancora una più assurda gestione dell’emergenza. Che non è mai finita e che, lo sanno anche i sassi, non finirà mai se si continua a gestirla così. Botte a “mamme e camorristi” (questa l’infelice definizione di oggi della illuminata Iervolino, sindaco di Napoli). Mentre si brindava al pericolo scampato per il governo.

A questo punto non ci rimane che chiedere l’immunità anche per tutti gli abitanti di Terzigno. Almeno dalle violenze. Perché di manganellate, proclami e teste rotte in questo paese se ne vedono troppe. Che siano reali o solo annunciate come successo qualche giorno fa.

E mentre scrivo queste righe mi arriva la notizia, dal diretto interessato, di nuove minacce gravissime di morte a Pino Maniaci e ai suoi

familiari. Pino Maniaci e la sua microscopica redazione di TeleJato che sono una delle poche realtà che, su un territorio complesso e difficile come quello della provincia di Palermo, continua testardamente a fare la differenza. Contro la mafia. Contro il malaffare. Contro l’arroganza, e spesso la stupidità, del potere. Per loro di immunità, protezione e sicurezza neanche a parlarne. Scassano troppo la minchia. E va bene. Va bene così. Ma noi sappiamo. Sappiamo nomi e cognomi di mafiosi e potenti che si sentono disturbati da quel moscerino che è TeleJato. Noi sappiamo chi sono i nemici di TeleJato, quelli armati di piombo e quelli armati di penna. I paladini dell’antimafia da poltrona e del taglia e incolla, i detrattori che fanno carriera nelle paludate e osannate trasmissioni televisive care alla “gggente” che si auto assolve guardando la tv il giovedì sera. Noi sappiamo chi è che non garantisce sicurezza, chi non spende parole di sostegno e continua a sottovalutare il potere irrisolto di Cosa nostra oggi, in quel territorio e non solo.

Noi sappiamo e saremo, come sempre, accanto a Pino e a TeleJato.

19 ottobre 2010

“Ha da venì er ticket”di Riccardo Orioles

- Eh, va là! Sessantotto!”.

- Che ti devo dire. Anche allora mica la tv se l’aspettava. Intanto…

- E chi sarebbe il capo di ‘sto sessantotto? Vendola? Beppe Grillo? Di Pietro?

- Beh, mica facile fare il sessantottino se perdi tempo con un partitino intestato al tuo nome. E allora son stati proprio i capi, come li chiami tu, a sfasciare tutto. Stavolta magari se ne fa a meno.

- Vabbe’, le solite fantasie. E intanto Berlusconi…

- Ma intanto ridendo e scherzando ci abbiamo guadagnato un’opposizione. Prima non c’era e ora da sabato c’è.

- Ma dai!

- Mica lo dico io. Il Corriere lo dice. Leggi qua: “La Fiom si fa partito”., E il Corriere, quando sente guai, se ne intende…

- E il piddì? E Bersani? Che fine fanno?

- Bersani è uno serio, e a quest’ora s’è già accordato con Vendola per fare il ticket.

- Il ticket! Te lo ricordi quando c’era Prodi e Veltroni? Il vecchio e il giovane, l’Emilia solida e la città futura, i conti in ordine e la poesia…

- E dai, Veltroni… Tocco palle a solo pensarci.

- Anch’io, e difatti Veltroni ha fatto la fine che ha fatto. Ha accoltellato il povero Prodi fra l’altro. Ma Vendola è un’altra cosa. Vendola non tradisce. Bersani tiene su la baracca, e lui la spinge avanti.

* * *

Anche per noi dell’antimafia sabato è stato un bel giorno. Noi non abbiamo amici, in realtà. Non fino in fondo. Gli unici di cui ci fidiamo, sono gli operai. Sono nella stessa barca con noi. Noi abbiamo addosso la mafia, loro la Fiat. Non so qual’è peggio delle due. Ma sono nella stessa barca anche loro, l’Italia se la dividono fra loro due, nord e sud, destra e “moderati”.

Noi, ai Siciliani, l’abbiamo sempre saputo. Non abbiamo mai fatto antimafia senza pensare ai poveracci. Nè abbiamo mai appoggiato uno sciopero senza dire: “Sì, ma i veri padroni sono i Cavalieri”.

Questa è la dote che noi portiamo oggi al “movimento”, qualunque cosa sia oggi questa parola, vecchia come tutte quelle dell’altro secolo ma come molte altre della nostra storia (operai e padroni, destra e sinistra, “coppole” e “cappeddi”) nella sostanza tremendamente attuale.

Per questo dobbiamo sbrigarci a fare rete.  I tanti nostri piccoli (e meno piccoli) siti e giornali non ci bastano più. Nè possiamo affidarci ai “cappeddi” liberali, neanche quando lottano contro Re Bomba o Berlusconi. E tanto per capirci, ecco due esempi.

* * *

In Calabria un giornalista antimafioso, un certo (ché tanto non lo conoscete) Musolino. è stato trasferito d’autorità dalla direzione del suo giornale dopo aver fatto dichiarazioni “avventate” ad Anno Zero. A fargli questo scherzetto sono stati due padroni molto discussi, Citrigno e Aquino (occhio, si preparano a fare un giornale “democratico” a Roma) e un direttore “liberal”, Sansonetti. Di costui io aspetto ancora di sapere

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che cosa ne pensano i miei amici liberali, compresi i più avanzati.

In Sicilia, il giornalista più in pericolo è probabilmente Pino Maniaci, quello di Telejato, delle aggressioni in piazza e della lotta antimafia a Partinico. Quest’estate un “collega”, tale Molino, l’ha violentemente attaccato, usando anche calunnie (per le quali il suo avvocato ha offerto ora una transazione amichevole, cioè soldi, a Maniaci).

Bene, vengo sapere che questo Molino, grazie a spinte molto autorevoli di una parte (non la migliore) del Pd siciliano, è stato assunto ad Anno Zero. Santoro non conosce il background, naturalmente. Ma Maniaci, così, è un po’ più isolato (e in pericolo) di prima.

* * *

Beh, parliamo un po’ di cose di famiglia, ora. Oggi si laurea in giornalismo Giorgio Ruta (22 anni; lo conoscete dal “Clandestino”) e domani fa l’esame dell’Ordine Chiara Zappalà, un’altra dei nostri, 24 anni,  ha vinto l’Ilaria Alpi per un video con Sonia Giardina. Credo che Pippo Fava, da qualche parte, tutto sommato stia sorridendo.

www.ucuntu.org

19 ottobre 2010

“Riaprire la partita”. Sel a congresso e la sfida di Vendoladi Aldo Garzia

Lo slogan è “Riaprire la partita”, quella per la guida dell’Italia e per una ripresa di attenzione verso i temi più sociali del dibattito politico (dal lavoro alla precarietà della condizione giovanile). L’obiettivo “è ricostruire la sinistra in modo da incidere nei processi politici e culturali, concorrendo a costruire una autentica alternativa e una grande alleanza democratica per il governo del paese”.

Sinistra ecologia e libertà (Sel) si presenta con queste credenziali e gli occhi puntati da tempo su Nichi Vendola come uno dei leader del rinnovato centrosinistra al suo primo Congresso che si tiene a Firenze da oggi a domenica. Vi parteciperanno 1.450 delegati in rappresentanza di quasi 400 Circoli territoriali che hanno discusso il “Manifesto per Sinistra, Ecologia e Libertà” in cui si

definiscono le idee-forza del nuovo partito: pace e non violenza, lavoro e giustizia sociale, sapere e riconversione ecologica dell’economia e della società. Il giudizio sul Pd contenuto in questo documento non è tenero: lo si definisce polemicamente “un partito né maggioritario né autosufficiente” e soprattutto frutto di “un’operazione politica fallita”.

L’appuntamento di Firenze è l’approdo di un lungo percorso iniziato dopo le elezioni del 2008, quando Sinistra Arcobaleno guidata da Fausto Bertinotti non raggiunse il 4% necessario per accedere alla Camera e subito dopo si verificò la scissione di Rifondazione con effetti collaterali di scomposizione e ricomposizione sull’insieme della sinistra. Sel unisce oggi esponenti provenienti da Sinistra democratica (gli ex Ds che non aderirono al Pd), parte dei Verdi, del Pdci, ex esponenti di Rifondazione insieme a molti iscritti alle “Fabbriche di Vendola”, organizzazioni spontanee di non iscritti ai partiti che si sono formate intorno all’ipotesi di una candidatura del governatore della Puglia nelle eventuali primarie del centrosinistra. “Noi pensiamo che la sinistra, restando il luogo del cambiamento possibile, debba misurarsi per definizione con la responsabilità del governo – ha chiarito Claudio Fava, coordinatore di Sel nella conferenza stampa di presentazione del Congresso – anche se questo non vuol dire stare al governo a ogni costo, quanto piuttosto  costruire soluzioni per il paese”. E’ proprio questa vocazione non minoritaria uno dei tratti che differenzia Sel dalla sinistra radicale del recente passato. “Il tempo della testimonianza è finito. Vogliamo costruire un soggetto stabile, non effimero. Non saremo un circolo culturale. Puntiamo a ricostruire una presenza nel Parlamento e nelle istituzioni”, ha aggiunto Fava in conferenza stampa. Dei rapporti tra Pd e Sel hanno discusso lo scorso 12 ottobre Vendola e Pier Luigi Bersani in un pranzo svoltosi a Roma che doveva restare clandestino. Hanno parlato di un “patto di consultazione tra i due partiti” e dell’apertura di un comune “cantiere programmatico”. “Abbiamo il dovere di parlarci e di mettere in campo una strategia di salvezza per l’Italia”, è stato il giudizio di Vendola. Bersani, a sua volta, ha annunciato che “le primarie di coalizione si faranno perché le abbiamo inventate noi e ci teniamo molto”.

L’incontro tra i due leader non è però piaciuto all’ala moderata del Pd capeggiata da Walter Veltroni Giuseppe Fioroni e Paolo Gentiloni, perché limiterebbe il perimetro dei possibili

interlocutori di un centrosinistra rinnovato. L’allusione è all’Udc di Pier Ferdinando Casini e all’Api di Franscesco Rutelli. Casini non ha infatti apprezzato l’accordo tra il portavoce di Sel e il segretario del Pd: “Vendola vuole riportare la sinistra estrema in Parlamento e Bersani vuole allargare la coalizione a sinistra. Io gioco un altro campionato”. Vendola si dice invece disponibile al rapporto con l’Udc in una comune coalizione: “Di fronte a un passaggio epocale, serve una grande costruzione politica. E’ miope chi dentro i palazzi esercita veti. Io non metto veti ad altri, chi vuole portare valore aggiunto al cantiere del centrosinistra è benvenuto”.

Il problema per Vendola si potrebbe complicare se il Pd insistesse nella ricerca di un “Papa straniero” (così l’ha definito Veltroni) per la guida del centrosinistra. Un’alleanza che fosse guidata come candidato premier da Luca Cordero di Montezemolo, per fare un esempio, annullerebbe il metodo delle primarie per la scelta del leader e sarebbe forse troppo spostata al centro per trovare l’adesione di Sel. Alcuni sondaggi indicano che in eventuali primarie Vendola sarebbe anche in grado di battere Bersani. La popolarità del portavoce di Sel è molto aumentata da quando è stato eletto per la seconda volta governatore della Puglia nelle elezioni regionali dello scorso giugno, dopo aver vinto le primarie del centrosinistra per quel ruolo e aver rifiutato la richiesta che gli era stata avanzata da Massimo D’Alema e dal Pd di lasciare il posto a un altro candidato in grado di allargare i consensi del centrosinistra.

Vendola è così apparso all’elettorato del centrosinistra come un leader “nuovo” e coerente, che non si piega ai voleri delle burocrazie di partito, si sottopone al giudizio delle primarie e parla un linguaggio meno politichese di altri. Nonostante abbia 52 anni e sia stato tra i fondatori di Rifondazione nel 1991 insieme ad Armando Cossutta e Sergio Garavini, la forza di Vendola sta nel rappresentare la novità di un inedito centrosinistra, a condizione che ci siano le elezioni anticipate entro la primavera, altrimenti rischia di logorarsi nell’attesa del 2013.

Il Congresso di Sel, nella giornata di chiusura di domenica, eleggerà il suo gruppo dirigente. L’organigramma prevede Nichi Vendola presidente, Claudio Fava segretario e Fabio Mussi presidente del Comitato scientifico del partito.

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E ora chiedete scusa!di Roberto Orsatti

Dopo questa lezione chiedete scusa, chiedete scusa per ciò che avete detto, chiedete scusa ai lavoratori, alle donne, agli uomini ed ai loro figli che hanno sfilato, ballato, cantato, urlato, riso o pianto. Chiedete scusa a questo popolo che lavora o vorrebbe lavorare, che vorrebbe vivere od avere un futuro, che vuole andare in fabbrica, in ufficio, a scuola, all’università ed esprimere ciò che sente e che sa fare. Chiedete scusa a questa parte viva, vitale, positiva, produttiva, passionale di questo popolo, la maggior parte di questo popolo, gli Italiani. Chiedete scusa e vergognatevi per ciò che dite e ciò che fate, per i vostri tranelli, per la vostra superficialità, per la vostra malafede che ha cercato di seminare il terrore, la paura, il timore che accadesse qualcosa, la violenza o l’intransigenza. Chiedete scusa e vergognatevi, fate schifo! Siete stati travolti da un mare colorato e rumoroso e mai tanto rumore fu più dolce, armonioso e musicale. Chiedete scusa e tacete, non parlate, i violenti siete voi ed è una violenza ancor più grave, silenziosa, pericolosa; una violenza che uccide il nostro futuro, uccide i nostri diritti, uccide la nostra libertà e ci toglie la vita! Chiedete scusa ed imparate la lezione, siamo ancora vivi, abbiamo ancora la testa alta, non arretriamo non ne abbiamo l’intenzione, l’ Italia siamo noi.

18 ottobre 2010

Strategie dell’attenzionedi Antonio Di Persia

La cosa interessante è notare la nuova tipologia di “sovversivo”.

Pastori protestanti sardi e donne col rosario.

Tocca manganellare tutti, ma insomma un po’ di decenza.

E’ che picchiare uno o una che non ha il volto coperto, che non ti lancia fumogeni, che ti sta solo urlando di andartene da casa sua, non è mica facile.

C’è st’esercito di laureati vincitori di concorso che dirigono le operazioni, sta falange di diplomati che per fortuna sono riusciti a beccare un posto statale, che magari sognavano di fare i segugi, i poliziotti

come nei film e che invece si vedono caricati sui pullman e sulle camionette per andare a picchiare dei nuclei familiari, dei padri di famiglia, degli schedati dall’anagrafe tributaria.

Un pochino sì, il dovere, gli ordini, quello che vi pare, ma dopo un po’ uno si vergogna veramente e molla.

Non è il sessantotto, questo è chiaro, le onde studentesche per un po’ si sono infrante contro il banco surgelati dell’Ipercoop di Palazzo Chigi, e allora emergono le famiglie, il popolo, la gente, chiamateli come vi pare, insomma gente che sanguina con discrezione in val di Susa, o che si riempie scrupolosamente di lividi a Terzigno, o che sviene con dignità in Sardegna, insomma tutta gente da cui prendere esempio.

C’è la gente comune a battersi contro lo Stato, questo è il problema.. O la risorsa.

Non si sa.

Ah, un’ultima cosa: i governanti non è che sono collusi con la mafia.

Semplicemente la combattono dall’interno.

Auguri.

21 ottobre 2010

Quel giorno che smetteremodi informareil Web non ci salveràdi Francesco Piccinini

C’è stato un momento in cui una parte dell’Italia ha fatto una ribellione silenziosa, in cui, volontariamente o involontariamente, si è imposto un modello culturale consumista che rappresentava una rottura con il passato. Se l’Italia del boom economico aveva ancora un retaggio contadino e operaio, quella degli anni ’80 aveva deciso di emanciparsene completamente, rompendo i ponti con la “tradizione”. Un periodo di completa rottura, un decennio di trasformazioni che dietro una parvenza “sovrastrutturale”, in realtà, hanno cambiato radicalmente la “struttura” stessa della nostra società. Per certi aspetti gli anni

’80 sono stati “avanguardistici” e hanno spostato la produzione e la fruizione del contenuto dai mezzi tradizionali, quali stampa e libri, alla Tv. Non è un caso che, in Italia, la tv di quegli anni inizi con l’evento di Vermicino.

Oggi, erroneamente, si imputa la decadenza culturale italiana all’avvento delle tv private – che politicamente definiamo berlusconiane – mentre, con quella tremenda diretta, la Rai fece da battistrada alla “notizia gridata”, fu l’esempio “mediatico” di un “consumismo sociale”; un argine che una volta abbattuto ha avuto il suo “naturale sbocco” nella sparizione/morte/ritrovamento di Sarah Scazzi. Berlusconi, nel suo essere imprenditore, ha visto un potenziale mercato (la vicenda di Vermicino fu seguita in diretta da ben 21 milioni di italiani) e vi si immise con prepotenza. Quando nel 1994 decide di “scendere in campo” aveva operato nel settore della produzione di contenuto – a livello strutturale quindi – per quasi quindici anni, allargando il sentiero che proprio la Rai aveva creato. Attorno ad una produzione di contenuto così vasta – quella di Mediaset -, egli ha saputo “attirare un pubblico” che poi è diventato un “pubblico votante”.

La grande capacità berlusconiana è stata quella di spostare la produzione di contenuto dagli ambienti “canonici”: scuole, università, redazione dei giornali, sedi di partito, parrocchie ai programmi televisivi. Anche ai tg fu imposta una “spettacolarizzazione”, ma, anche qui, il solco fu tracciato nella tv pubblica – basti ricordare le imitazioni di Minoli fatte da Guzzanti -. Il pubblico italiano “bruto e stupido automa adoratore di feticci” trovò in quella televisione il luogo della compensazione, del sogno, del consumismo.

A questo modello, culturalmente e politicamente si era opposta, fino a quel momento, una visione “di sinistra” del mondo che aveva tra i suoi punti cardine la solidarietà e l’orgoglio di classe. Orgoglio di classe che rendeva “impensabile” la mercificazione del proprio corpo e di sé stessi, nonché un’imprescindibile moralità (il discorso di Di Vittorio alla Camera è emblematico di questo sentimento).

Con gli anni ’80 – e con la caduta del muro – è venuta di meno una weltanschauung antitetica al “consumismo laicista” (per dirla alla Pasolini) e ha lasciato la sinistra senza un modello di riferimento. L’Italia è ritornata ad essere, così, “nave senza nocchiere in gran tempesta” e ha intrapreso l’unico

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modello culturale esistente: il consumismo-berlusconiano.

I lustrini degli anni ’80 sono rimasti negli occhi e nella mente delle persone; i modelli di riferimento sono diventati le veline e i tronisti e il corpo è diventato una merce che, in mancanza del denaro, si utilizza per raggiungere gli obiettivi che la tv perora (per dirlo con le parole della Consoli: viva l’Italia, il calcio, il testosterone, gli inciuci e le buttane in preda all’ormone).

Dall’altra parte: il vuoto. Strade alternative venivano e vengono percorse alla ricerca di una soluzione immanente, non tenendo minimamente in considerazione il fatto che una cultura (o controcultura) non la si costruisce in un anno o due e che il modello berlusconiano è radicato da ormai trent’anni.

Sono nati, così, movimenti, manifestazioni, eventi che sono una risposta “sovrastrutturale” (utilizzo strutturale per intendere una produzione e sovrastrutturale un’attività che non produce ma è fine a sé stessa, un’accezione che non è né marxista, né popperiana) che non incidono minimamente sulla struttura.

La risposta che è adottata (petizioni su facebook, gruppi, flashmob) schiaccia il tutto sull’immanenza, perorando una causa dietro l’altra (attenzione, qui non si parla delle motivazioni o della “giustezza” della causa ma del suo impatto) nell’idea che la società vi risponda come un corpo colpito da un proiettile. Questa confusione nasce a causa della mancanza di percezione tra “spazio e tempo mediato” e “spazio e tempo reale”. Se nel web il sito del Comune di Napoli è, per l’utente, alla stessa distanza del sito della Mairie di Parigi, così non è nella realtà. Il tempo, che è funzione dello spazio, diventa, anch’esso tendente a 0 (oppure a infinito). Si confonde, così, il mezzo di trasmissione con il fine. Il succedersi di petizioni, lettere, gruppi crea quello che in comunicazione è chiamato: “rumore” ovvero un disturbo – anche la sovrabbondanza di stimoli è un rumore, immaginate una conversazione telefonica troppo veloce o con troppe voci insieme – che non consente la sedimentazione del processo e la possibilità che questo diventi strutturale. Paradossalmente queste iniziative sono quanto di più utile ci sia al modello consumistico-berlusconiano perché

1. Rafforzano l’in-group (le persone che si riconoscono in quel modello) che si sentono “assediate” da un out-group (“comunisti”, “toghe

rosse”, etc…) – un po’ come Mourinho con l’Inter2. Creano la percezione che ci sia un movimento compatto mentre non è così (quante persone firmano su Fb e quanti poi realmente si trovano nella realtà?)3. Creano “rumore” e sovrabbondanza di stimoli4. Creano scoraggiamento – un esempio su tutti la petizione di Repubblica sugli osservatori ONU ai seggi: 507.501 firme che non hanno portato a nulla5. Rispondono ad un impero della comunicazione con i suoi stessi mezzi6. Ci dà la parvenza di aver partecipato

Tutto questo porta due risultati:

Reazioni violente, dettate dall’esasperazione dell’impotenza. Reazioni che a sua volta sono riusate per il motivo cui al punto 1 – (perché Berlusconi non può dire che i magistrati sono disturbati mentali e Grillo può gridare Vaffanculo?)Disinteresse

La colpa non è di trent’anni di consumismo mediatico se i giovani non si sentono rappresentati: la colpa non è di Berlusconi. Quantunque la parabola politica del Presidente del Consiglio dovesse finire non significa che finirà il suo modello culturale: poiché non siamo stati capaci di costruirne un altro. La colpa è di chi, svegliandosi un bel mattino senza più base né spazi di manovra, ha reagito con gli stessi strumenti che 30 anni di televisione gli avevano dato (qual è la differenza tra un I like su FB e un televoto?). Oppure crediamo davvero che un contromodello si possa costruire urlando più forte di un avversario che ha 5 canali televisivi e svariati giornali e riviste? Una battuta facile sarebbe: Mourinho ce l’ha insegnato il Barcellona non si batte con il palleggio ma con difesa e contropiede.

La rete ha ottimi modelli di online/offline che hanno impatto reale sul territorio (il sito Fascio&Martello ne è un esempio, ma ce ne sono centinaia che potrei citare). Credo che la rete debba ritrovare il suo senso di mezzo di comunicazione e che non vada confuso con la “struttura”. La tv è stato il mezzo della “post-modernità” che ha contribuito alla disgregazione sociale mentre il web è stato il mezzo che ha ricreato il senso di comunità trasferendolo, troppo spesso, su un piano virtuale, facendo perdere il contatto tra reale e virtuale.

Per circa un decennio sono stato un volontario di un’associazione che ha come mission la creazione della pace attraverso gli scambi tra i giovani di

tutto il mondo. Ogni anno circa 30 mila studenti di 60 paesi vanno all’estero per un periodo della loro vita, ospiti di famiglie e scuole locali. In questi dieci anni ho visto cinesi imparare la parola “referendum” e americani guardare da un altro punto di vista il proprio paese; italiani diventare europei e Serbi abbracciarsi con i Bosniaci. Il vecchio “motto” dell’associazione era: cambiamo il mondo, una persona alla volta. Un esempio applicato alla nostra quotidianità viene dai fischi a Dell’Utri che l’hanno costretto ad andare via. Credo che un’azione “culturale” sarebbe stata quella di fare volantinaggio per le strade di Como nei precedenti al dibattito, avere piccolo stand in cui si spiegava chi è questo Senatore condannato in II grado per concorso esterno in associazione mafiosa, invitare le persone a disertare il dibattito spiegando le ragioni. Il web, in questo caso (attraverso FB o un sito locale creato appositamente) sarebbe stato uno spazio d’informazione di “rinforzo”: un mezzo per dare più risalto… un mezzo. La soluzione non sarebbe stata quella che tutti i comaschi avrebbero aderito ma il “seme” sarebbe stato gettato. O crediamo che un gruppo “Non vogliamo Dell’Utri a Como” sarebbe servito a qualcosa?

Credo che il mondo non si cambi con i flashmob o con i gruppi su FB credo che il mondo si cambi agendo nella struttura, sulle persone, una persona alla volta. Credo che le persone cambino se “partecipano” e l’I Like qui in basso non ha nulla ha che vedere con la partecipazione…

Agoravox.it

20 ottobre 2010

Le mistificazionidel regimedi Luigi De Magistris

Continua e non cesserà fino a quando non renderemo pulito e trasparente questo Paese la strategia della tensione nei miei confronti e di tutti coloro che non piegano la schiena al regime mafioso, corrotto e piduista. Nelle ultime ore apprendo di essere stato spiato illegalmente (secondo la Procura di Milano) da un giornale riconducibile al Presidente del Consiglio e da un finanziere evidentemente “prezzolato” .  E’ stata infatti resa nota la notizia dell’inchiesta portata avanti dalla Procura meneghina in merito ad un’attività di spionaggio pilotato, che avrebbe

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avuto come protagonisti un giornalista di Panorama ed un esponente della Guardia di Finanza. Il primo commissionava al secondo l’intrusione mirata negli archivi tributari delle Fiamme Gialle per reperire (illecitamente) informazioni sensibili e riservate, che poi utilizzava per confezionare articoli infamanti e screditanti. Obiettivo: giornalisti e magistrati considerati nemici del premier, ma anche politici scomodi e critici. Tra questi, oltre a Di Pietro , Grillo  o Travaglio , figuro anch’io. Dunque sono finito  nuovamente – dopo il dossieraggio messo in atto ai miei danni quando ero magistrato – in questa zona d’ombra in cui si consuma la fine dell’informazione, ridotta a killeraggio mediatico, e della politica, involuta a dossieraggio per l’abbattimento dell’avversario e dell’oppositore. Una prassi figlia della nostra triste epoca, quella che siamo costretti a vivere nel momento in cui declina l’impero: quello di Arcore che ha governato senza freni per 16 anni. Non accetta la fine, dunque mentre crolla tenta di trascinare nel fango il paese intero, criminalizzando ogni forma di voce dissenziente che denuncia questo tentativo o la lunga soffocante stagione berlusconiana. Democrazia, istituzioni, equilibri costituzionali, opposizione: tutto travolto dallo smottamento del potere di Berlusconi. Il dossieraggio e il killeraggio mediatico non è personalmente un fenomeno nuovo. Si tratta di qualcosa che ho vissuto sulla mia pelle quando ero pm a Catanzaro e che fin da allora ho provveduto a denunciare attivando inchieste importanti. Accessi abusivi a sistemi informatici e fughe di notizie compiute per screditare la mia persona e il mio lavoro, di cui ho avvisato le autorità competenti. A seguito di questo, la Procura di Salerno ha accertato che le inchieste Poseidone e Why not mi sono state sottratte ingiustamente  e illegalmente (accuse gravissime di corruzione in atti giudiziari nei confronti di magistrati e politici, ma di tutto questo la stampa dei servi di regime degli Scodinzolini&sodali nulla dice) . Un riconoscimento a cui non poteva –   ovviamente   – seguire nessun reintegro.  Le cricche non si autoassolvono. Pago anche per aver denunciato fatti riguardanti magistrati. Mentre purtroppo  di altri filoni d’inchiesta, sempre a Salerno, nulla più si è saputo dopo la polverizzazione della Procura per mezzo dell’annientamento di pm coraggiosi come Versani e Nuzzi, oltre che del procuratore Apicella. Delegittimazione mirata  e criminale che non mi faranno, però, arretrare di un centimetro, anzi. Nei prossimi giorni pubblicherò sul mio blog e su fb atti giudiziari – ovviamente non coperti da

segreto – così il popolo potrà rendersi conto da solo, senza mediazioni.  Sempre in questi giorni  sono  state  rese note le motivazioni del gup che ha rilevato  una parte dell´originaria inchiesta Why not  da me diretta ma poi portata avanti da altri magistrati.  Il Giudice Mellace non poteva serenamente affrontare quel processo, per tanti motivi che renderò anche quelli pubblici. Alcuni di questi: il marito coinvolto in un´indagine per fatti gravissimi che portò ad arresti per corruzione, la società del marito trovata negli atti proprio del procedimento Why not, il padre imputato per reati gravissimi tra cui violenza sessuale e difeso dallo studio Pittelli (avvocato e parlamentare del PDL imputato per concorso in atti giudiziari per aver sottratto illecitamente le inchieste Why not e Poseidone poi giunte ai giudici scelti non dalla legge e dalle regole, come se un arbitro di calcio viene scelto da una delle due squadre); un altro parente pare addirittura ammazzato in un contesto da criminalità organizzata. Altro che giudice a Berlino, mi chiedo come sia possibile che il CSM mantenga questo Giudice  a Catanzaro; come abbia Mantenuto il Procuratore Aggiunto Murone e il Procuratore Generale Dolcino Favi imputati per corruzione in atti giudiziari per la sottrazione illegale di Why Not e Poseidone; come mantenga il Presidente del Tribunale del Riesame già indagata per fatti gravi a Salerno e che esercita le sue funzioni mentre il figlio avvocato difende esponenti della criminalità organizzata; come mantenga altri magistrati che hanno incompatibilità mostruose. Una melma giudiziaria che fa paura al cittadino umile, onesto, che si reca in Tribunale con il cappello in mano chiedendo giustizia. La borghesia mafiosa è fortemente radicata a Catanzaro. Sempre in questi giorni ascoltiamo i proclami di Mastella che pontifica a mezzo stampa: l’inchiesta Why not è stata ridimensionata e i giudici ‘cattivi’ possono spingerti al suicidio. Cattivi sono quei giudici fedeli solo alla Costituzione e  che  indagano anche il potere, considerando tutti i  cittadini uguali di fronte alla legge?  Mastella doveva essere indagato come hanno stabilito i magistrati ai quali egli si é rivolto denunciandomi.  I magistrati hanno detto che non si è potuto procedere oltre perchè sono stato illegalmente fermato. Le indagini non sono proseguite perché il giocatore é diventato arbitro e ha chiesto il mio trasferimento. Forse nemmeno Bokassa arriverebbe a tanto. Per quanto riguarda il ridimensionamento della portata di Why not pongo un altro quesito: dopo che è stato estromesso il titolare dell’inchiesta, azzerato la sua rete di collaborazione, affidato il lavoro ad 

magistrati  scelti con cura , poteva andare diversamente? Per fortuna esiste un’altra Italia. Quella che crede all’art.3 della Costituzione, che disprezza le manovre di personaggi deviati che  operano nei servizi segreti, nelle forze dell’ordine e  nella magistratura, che concepisce l’informazione come libera e vincolata alla verità, che crede nella politica come confronto, anche aspro ma nei limiti del rispetto morale tra i concorrenti e della legge. Un’Italia che rifiuta la strategia della tensione in atto e la macchina del fango in corso, quelle che il regime usa come armi per evitare la fine. Questa Italia non si farà intimidire. Il fango che utilizzano i lestofanti del regime per distruggere me come altri oppositori del regime sommergerà tutti coloro che stanno inquinando la democrazia e distruggendo la Costituzione nel nostro Paese.

20 ottobre 2010

Un’altra vittima che verrà presto dimenticatadi Giuseppe Gendolavigna

Io non conoscevo Salvatore. Ma anche se non era un tranviere lo considero mio collega.  E’ morto mentre lavorava onestamente per il bene della sua famiglia in un impianto che serve a migliorare un servizio pubblico. I lavori di ammodernamento di un sito in esercizio sono sempre complicati e prevederebbero una vigilanza accurata che di questi tempi significa impiego di risorse che non ci sono. E allora come si fa’ ?  Tentiamo così…tanto ci è venuta bene l’altra volta..purtroppo stavolta vi è venuta male…

Salvatore ci ha rimesso la pelle. La dinamica dei fatti sarà accertata dalla magistratura con i tempi che nel sud sono biblici (e chissà che non vi siano reticenze), ma allora quando sapremo come evitare di fare altre vittime? Le formule sono note: prevenire è meglio che curare…ma  se scarichi tutto su una sola persona come fai prevenzione? Mentre ieri sera un padre di famiglia non è tornato a casa, qualche solerte funzionario si preoccupava che il personale non creasse difficoltà bloccando lo straordinario. Non per dire, ma ormai i turni in buona parte delle aziende sono coperti mediante doppie prestazioni senza rispetto per il ristoro dei tempi di reazione.

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L A S E T T I M A N A D E G L I I T A L I A N I

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Questo significa qualche euro in più ma anche trasformare un rischio in pericolo. E allora meglio povero marinaio che ricco pescatore dice il proverbio…meglio starsene a casa magari con qualche contestazione inventata da chi ha fatto di questo lavoro un mestiere,che rischiare la vita per difendere sacche di inefficienza.

Gli organici ormai sono un retaggio del passato… oggi contano i costi e i ricavi, e se muore un povero cristo… the show must go on. Il tutto è stato annunciato ai preposti dei servizi interessati che come di consueto hanno sciorinato un repertorio di scuse ormai logore, accecati dal loro arrivismo e con lo sguardo rivolto alla propria carriera con qualche morto in più sulla coscienza che non hanno più.

Rassegna.it

24 ottobre 2010

“Tutto si tienein Italia”.Grande inchiesta sul 1988/1994di Paolo Cucchiarelli

Giovanni Spadolini diceva, ogni volta   che si trovava davanti ad un intreccio di quelli che segnano il  nostro Paese, che “In italia tutto si tiene”. Questo libro molto  bello e molto inusuale- “1994.L’anno che cambiò l’Italia”  scritto per Chiarelletere da Luigi Grimaldi e Luciano Scalettari  – perché frutto di una investigazione a tutto campo, lo dimostra  scandagliando un anno chiave della storia recente il 1994.   Si legano a quell’anno chiave tanti fatti antecedenti  apparentemente lontani tra loro che si dimostrano essere invece  “spalla a spalla”. Si tratta di  quattro storie. Quattro misteri  tra la Prima e la Seconda repubblica: Il delitto Rostagno  (1988), la tragedia del traghetto Moby Prince (1991), gli  omicidi dell’ufficiale del Sismi Vincenzo Li Causi (1993) e dei  reporter Ilaria Alpi e Miran Hrovatin (1994). Un filo lega fatti  e date che preparano la grande svolta del 1994, l’anno della  discesa in campo di Berlusconi.

La controinchiesta impiega i risultati di diverse indagini della  magistratura (da “Sistemi criminali” della Procura di Palermo a  “Cheque to cheque” della Procura di Torre Annunziata, e

molte  altre). Testimonianze e documenti inediti, in un coacervo di  omissioni, depistaggi, prove inquinate. Mogadiscio, Livorno,  Trapani, Palermo, Roma, Milano: si tratta di tappe di un unico  percorso che porta alle stragi di mafia del 1992-1993.  Un percorso che parla di traffici internazionali di armi, degli  affari sporchi dei socialisti e della mafia, soprattutto  trapanese, non quella delle coppole storte ma dei colletti  bianchi e della massoneria. Una inchiesta che mostra  da dove  nasce e con quali tappe si è sviluppata la  faccia nascosta  della Seconda repubblica. Una inchiesta che descrive, documenti  alla mano, il “gioco grande”. Ma non si tratta, come piacerebbe  a tanti romanzieri- né della “spectre” né del “grande vecchio”,  ma di un club di pupari, un magma impermeabile ad ogni  cambiamento politico e sociale del Paese, in grado di pilotare  strategicamente le azioni di una infinità di co-protagonisti  utilizzando conflitti, denari e maneggi come pedine di una  scacchiera.

Al termine del percorso risulta chiaro che questa storia mette  in evidenza un inedito evento-chiave: attorno alle bombe e ai  delitti si sono costruiti e demoliti dossier e rivelazioni,  indagini e depistaggi che nel loro complesso costituiscono una  teoria di ricatti incrociati che tutto ha paralizzato.  Seguendo, ad esempio, le tracce di questi traffici si arriva a  “padrini eccellenti” del calibro di Monzer Al Kassar, l’uomo che  aiutava gli americani a far arrivare le armi ai Contras come in  Libano e che all’inizio del 1991 mette in circolazione un enorme  carico di esplosivo dello stesso tipo di quello utilizzato dalla  mafia per le stragi del ’92 e ’93. La provenienza del T4-Rdx,  l’esplosivo militare usato da Cosa nostra nelle stragi non è mai  stata accertata. Certi sono invece i rapporti tra la cordata  internazionale che traffica l’esplosivo e le armi e le famose  navi su cui indagava Ilaria Alpi, certo è che alle cosche, per  volontà di Totò Riina, l’esplosivo vene fornito da Vincenzo  Virga, boss trapanese. E certi sono gli interessi comuni tra il  clan Santapaola, uno dei “progettisti”  delle bombe del 1992-93,  e lo stesso Monzer Al Kassar. A scavare in quegli anni c’e’ da  rimanere senza fiato

22 ottobre 2010

Nomi, cognomie infamiUn libroGiulio Cavalli

Il libro di Giulio Cavalli non è un libro come gli altri. Nomi, cognomi e infami è il diario impersonale di un anno di storie incrociate in una tournée che è scesa dal palco per diventare la sua storia: quella di un attore di teatro che vive sotto scorta da due anni. È un viaggio nel tempo e nello spazio che accompagna il lettore dall’attentato di via D’Amelio al sorriso di Bruno Caccia, dalle parole di Pippo Fava all’omicidio di don Peppe Diana passando attraverso il coraggio di Peppino Impastato, Rosario Crocetta e i ragazzi di Addiopizzo, fino a svelare la presenza della mafia al Nord che l’autore è stato tra i primi a denunciare. È anche una storia corale dedicata alle 670 persone che oggi nel nostro Paese vivono sotto tutela. È una rivoluzione morbida contro coloro che, abituati a comprarsi giudici, onorevoli, senatori, funzionari, sindaci, imprenditori, giornalisti, sanno bene che nulla possono contro la parola, quel mitra senza proiettili che instilla germi; germi di consapevolezza, germi di coscienza, germi di libertà. È una ninna nanna recitata per tenerci tutti svegli, mentre urliamo che disonorarli, comunque, è una questione d’onore.

“Credo che la scorta migliore che si possa dare a Giulio sia proprio quella di fargli sapere che siamo in tanti ad apprezzare quello che fa e che quindi le minacce che qualcuno gli rivolge le rivolge a tutti noi.” Marco Travaglio

“La lingua dell’arte ha in Cavalli un interprete d’eccellenza. Da tempo porta in scena, dei mafiosi, ‘il loro essere osceni’. Da tempo conduce contro le mafie ‘la battaglia di parola’. Il suo è un ‘antiracket culturale’consapevole che le difficoltà della stagione che il nostro Paese vive, lungi dall’imporre il silenzio, richiedono appunto – qui e ora – la parola.” Gian Carlo Caselli

Editore : Edizioni AmbientePagine : 256Prezzo : € 16,00ISBN : 978-88-96238-54-7

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Toccare con mano la disperazione non lascia mai indifferenti, è questione di umanità.

Non c’è mai stata partita, non è mai esistito un tavolo tecnico, non c’è mai stata nessuna volontà reale nel cercare valide alternative alle due discariche di Terzigno. Cesaro Luigi, Presidente della provincia di Napoli, incaricato direttamente dal premier Berlusconi di ripulire Napoli, accusato a più riprese da decine di pentiti che lo indicavano ai tempi come amico intimo di Cutolo, il professore di vesuviano fondatore della Nuova Camorra Organizzata ( Cesaro non ha mai negato questa amicizia ), poi indicato dall’ultimo pentito Vassallo come mano destra del clan Bidognetti sempre a proposito del traffico illecito di rifiuti; e amico di Cosentino salvato dalla Camera che ha negato l’autorizzazione a procedere sulle intercettazioni che lo inchiodavano.

Tutto già scritto, altro che destino, un copione preciso fin nelle virgole; appena conclusa l‘emergenza rifiuti in Campania alle provincie andava il compito di continuare il lavoro svolto dalla Presidenza del Consiglio e dal dipartimento di Protezione Civile quindi, alle provincie andavano collocati i loro uomini, come Cesaro che con i suoi mille ricattabili fantasmi nell’armadio non avrebbe potuto far altro che ubbidire.

Quanta gente, non gruppi, ma una sola grande folla come durante un concerto. Vicino a me i miei amici, armati solo di fazzoletti a ripararsi dal fumo dei lacrimogeni e dalla puzza nauseante che sale dalla discarica. Si pensa alla solita nottata passata sulla strada ad impedire il passaggio dei camion colanti liquido schifoso, invece parte un tam-tam improvviso e rapido: la seconda discarica nel Parco Nazionale del Vesuvio si aprirà, Cava Vtiello si aprirà. Ma come, le ultime analisi hanno confermato l’inquinamento delle falde acquifere! Ci sono i camion della azienda Asia sequestrati perchè beccati a sversare rifiuto cancerogeno! Scoppia la rabbia. Una rabbia che nasce dal dolore umano, dal pathos di chi si è visto tradire nuovamente, di chi si vede strappato e spogliato di ogni diritto umano. Di chi teme di esser costretto a crepare di cancro. L’ipocrisia di uno Stato che lascia respirare a migliaia di cittadini aria pregna di cellule cancerogene ma poi appoggia la giornata nazionale contro il tumore al seno o alla prostata. Roma aveva avvisato la questura anzi tempo; prevedendo lo scoppio di rabbia collettiva si ordinava un massiccio dispiegamento di agenti armati di scudi, lacrimogeni e bastoni. I manganelli sono dei bastoni, delle armi che spaccano le ossa come noci di cocco. Così è stato, una strage, una ennesima strage di Stato. Si spengono le illuminazioni pubbliche tra grida e

pianti disperati, si cerca un riparo dalle cariche, cazzo, ci sono ragazzini, vecchiette, donne gravide e padri di famiglia; gli unici camorristi son rimasti a Roma, nelle stanze ovattate, messi al sicuro dalla loro immunità parlamentare. Io c’ero e mi assumo ogni responsabilità su queste mie dichiarazioni e descrizioni. A Terzigno lo Stato sta volutamente massacrando una intera popolazione. Lo Stato italiano sta volutamente fingendo di non conoscere gli atti e i documenti che proverebbero il traffico di rifiuti tossici, industriali ed ospedalieri mandati dentro la discarica di Terzigno. Lo Stato finge di dimenticare le tante inchieste distrutte e smembrate per mano dei loro magistrati; Magnanapoli, Globalservice, scandalo su Lady Mastella e marito.

Lo Stato condanna il VesuvioUn reportage

— Di Roberta Lemma

Roberta Lemma ha seguito, e continua a seguire, l’evolversi della situazione a Terzigno

per Gli Italiani

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Lo Stato italiano sta volutamente condannando a morte una intera regione e anche altre regioni considerato il traffico di rifiuti europeo. Lo Stato politico italiano ignora tuttavia che quelle pagine e pagine di intercettazioni che hanno tentato in ogni modo di distruggere, quegli appalti fatti aggiudicare a ditte in odor di mafia e già conosciute negli ambienti della magistratura, riposano tra le nostre mani.

Una domanda più di tutte mi preme fare, a chi non saprei, suppongo a chi crede ancora in uno Stato giusto e non deviato: è possibile da parte della popolazione pretendere vadano in porto le tante inchieste e i tanti processi che costellano la storia campana, dagli anni ’80 ad oggi, sul traffico illecito di rifiuti?

Perchè una popolazione dovrebbe accettare e fidarsi di un Luigi Cesaro, di un Nicola Cosentino, di un Silvio Berlusconi o di un Guido Bertolaso, quando la loro cronaca giudiziaria assomiglia a quella di Totò Riina?

Perchè la popolazione dovrebbe fidarsi delle rassicurazioni dell’ARPAC quando la stessa è finita sotto inchiesta per le manomissioni sui controlli ambientali?

«Qui sotto c’è di tutto». Poche parole sussurrate dai funzionari di polizia mentre camminano su di un terreno appena sequestrato. Una maxi discarica abusiva in località Giardino, Villa Literno. Una zona sottostante l’autostrada Napoli-Roma che dalla strada Domitiana conduce a Pozzuoli. Il terreno con destinazione agricola completamente recintato da blocchi di cemento prefabbricati risultava sopraelevato di circa un metro e mezzo rispetto a quelli circostanti.

Gli investigatori confermano che si stava realizzando una discarica abusiva contenente circa 72.000 metri cubi di rifiuti speciali sui quali, nel tentativo di occultarli, veniva sversato e livellato lo strato di brecciame e di brecciolino. Denunciato l’amministratore della società responsabile di quell’attività, la Fontana group di Villa Literno aggiudicatrice di numerosi appalti pubblici: dall’edilizia al trasporto e smaltimento di rifiuti in genere – in relazione a una serie di violazioni al decreto legislativo 152 del 2006 (norme in materia ambientale), nonché all’occupazione abusiva dell’area di proprietà dell’Anas. Così come per Caserta così per Terzigno, per Pianura, Chiaiano, Campania, Lombardia e ogni altra regione. Questo è quello che lo Stato intende per ciclo integrato di rifiuti?

L’arte della manipolazionee il bluffdi Bertolasodi P. O.

Creare l’emergenza per risolverla. Ovviamente davanti alle telecamere e quando la crisi sembra ormai al punto di non ritorno. La manipolazione è un’arte. E anche arte complessa, che necessità tecnica e assoluta padronanza dei mezzi di comunicazione.

È questo quello che sta accadendo a Terzigno? A quanto pare si. L’intervento oggi della Protezione civile guidata, ancora per poco, da Guido Bertolaso, di fatto cosa fa? Toglie dalle mani all’Asìa (e quindi al Comune di Napoli) la gestione della discarica a Terzigno/Boscoreale, L’hanno gestita male, questa la motivazione.  E poi Bertolaso, nell’incontro di ieri notte con i sindaci della zona, ha promesso di congelare l’apertura della seconda discarica. Congelare, non sospendere. Sono questi i due detonatori delle proteste di questi mesi precipitate nella rivolta delle ultime settimane. Ma andiamo a vedere chi ha ideato la prima discarica (e delineato anche la seconda): la Protezione civile nell’ambito delle azioni per “risolvere” l’emergenza rifiuti nel 2008. Nel maggio del 2009 apriva la discarica Ex-Sari. In un anno a saturazione. Quindi si punta a aprire la seconda a Cava Vitiello destinata ad accogliere i rifiuti della Campania per i prossimi 12 anni. Rifiuti indifferenziati, come recita Art. 9 comma 2  decreto-rifiuti: “presso le discariche è inoltre autorizzato lo smaltimento dei rifiuti contraddistinto dai seguenti codici CER: 19,01,11: ceneri pesanti e scorie contenenti sostanze pericolose; 19,01,13: ceneri leggere contenenti sostanze pericolose; 19,02,05: fanghi prodotti da trattamenti chimico-fisici contenenti sostanze pericolose; 19,12,11: altri rifiuti prodotti dal trattamento meccanico dei rifiuti contenenti sostanze pericolose”.

Poi. La crisi cresciuta questa estate. Si apprende che l’esplosione di fenomeni come miasmi e odore di putrefazione che hanno invaso nei mesi scorsi l’area sarebbero stati causati dall’arrivo di un “carico straordinario” dal casertano. Come? Daniele Fortini, amministratore delegato di Asìa lo ha dichiarato con chiarezza: «La Protezione civile,

che gestiva i flussi, su richiesta della Provincia di Caserta ci ha ordinato di accettare, il 15 luglio e il 10 agosto, 9.573 tonnellate di rifiuti putrefatti della discarica di Lo Uttaro». Putrefatti. Prima l’odore e il disagio poi l’annuncio della seconda discarica e la bomba è piazzata. In qualsiasi posto del pianeta sarebbe esplosa una rivolta come quella a cui stiamo assistendo. Altro che camorra a manovrare.

E il vertice di ieri sera? E la grande azione salvifica annunciata dal premier e dal suo uomo del fare avviato alla sua ultima missione? In una settimana verranno ripulite le aree visibile di Napoli città, tre giorni di blocco dello sversamento per eseguire rilievi (tre giorni?) e coprire e livellare con terriccio quello già sversato (la polvere sotto il tappeto?) e poi il congelamento della discarica nuova. Una crisi da far riesplodere ad arte a ridosso delle elezioni a Napoli? Oppure una magagna da scaricare sulle spalle del prossimo governo? In un modo o in un altro un intervento che poco ha di “salvifico”. Quello che si sta avviando a Napoli (e a Terzigno) è un bluff. Come quello del costruttore che vuole vendere di corsa un palazzo pericolante e non lo ristruttura ma lo tinteggia e basta.

Il vertice di ieri è servito solo a spezzare il fronte della protesta. Dividendo davanti ai media la presunta “brava gente” dai “violenti”. E lanciando un messaggio, raccolto quasi all’unanimità dai media: la camorra cavalca la protesta e ha infiltrato i blocchi a Terzigno. Bene, bravo, bis.

24 ottobre 2010

“Ero bloccata sul tetto per sfuggire alla polizia”di R. L..

Giovedi 21 ottobre, sono le 22,30 circa, si ordina lo spegnimento dell’illuminazione pubblica; i vesuviani lo sanno, è il segnale di nuove cariche.

Cala il silenzio e il cuore comincia a battere forte. Sto con una mia amica, ci guardiamo, ci comprendiamo al volo. Inutile fare gli eroi, abbiamo tutti paura e chi si è mai trovata in guerra?

Altri urlano, - non ci massacrate siamo disarmati -, la polizia sa che siamo disarmati, non è una

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questione di ordine pubblico, ci caricano perché l’ordine che hanno è quello di disperdere la folla e permettere ai camion di sversare. Alcuni poliziotti sotto al casco blu indossano delle mascherine bianche, come quelle dei manifestanti, anche loro sentono la puzza, anche loro son vittime di conati di vomito. Alla puzza presto si aggiungerà l’odore acro dei fumogeni, di roghi appiccati chissà da chi. Gli agenti si schierano, avanzano minacciosi, la Rotonda trema sotto i colpi dei loro anfibi; poi un boato, da poco lontano, viene da dentro al Parco Nazionale del Vesuvio, forse un petardo, forse un fuoco d’artificio; sono tantissimi i ristoranti in questa zona e siamo abituati ai fuochi di artificio, ma adesso tutto è stravolto, anche un tuono fa tremare le gambe. Partono le prime cariche, si alzano i manganelli, vedo correre, iniziano le urla. La folla si rompe, si corre in più direzioni, anche lo schieramento si rompe e gruppi di agenti isolano e accerchiano chi non è stato lesto a scappare: “lasciatelo stare bastardi” è il grido di chi assiste al massacro. I tanti vicoletti sconosciuti alla cronaca si gremiscono di persone in cerca di riparo,gli agenti li rincorrono, ma perché, non gli basta metterli in fuga? No, li rincorrono, è incredibile, li rincorrono brandendo il manganello. Una signora cade a terra, alza le mani, il poliziotto ha pietà. Alcuni signori tornano indietro, tutti con le mani alzate, ad aiutare la signora che ha un ginocchio sbucciato, una calza stracciata. Intanto arrivano gli sms, ci avvisano di nuovi blocchi lungo i Passanti, strada che conduce alla statale 268 e che collega Boscoreale a Napoli. Torna una calma apparente e così, al buio, la folla torna a schierarsi come la polizia. Sale il lampeggiante delle autoambulanze.

Circa duemila le persone alla Rotonda, altrettante in altri punti di Boscoreale e Terzigno; il questore chiama i rinforzi. Qualcuno tira fuori il thermos

con il caffè, sono vicino al gazebo bianco, sono mesi che è stato montato a dar riparo ai vesuviani; dalla pioggia, dal vento, dai manganelli. Una protesta civile e fatta da gente comune non può non avere con sé un thermos con il caffè o un dolce fatto in casa. La salita per la discarica è bloccata in entrambe le direzioni; siamo sotto il totale controllo dei militari; i commercianti e gli abitanti di questa lunghissima strada sono dei sequestrati, le camionette parcheggiate davanti le loro case bloccano loro il passaggio. Ma non si lamentano, sono vesuviani e stanno con i vesuviani, hanno solo paura. L’area è densamente abitata, la discarica è visibile da molti balconi, la discarica confinacon i giardini delle abitazioni, con i vigneti del Lacryma Christi. La discarica, enorme, infinita, è in pieno centro cittadino. Tutta la zona è militarizzata, sull’area pesa il Segreto di Stato, ritenuta argomento dasicurezza Nazionale. Anche lo spazio aereo è chiuso. Percorrere questa strada da mesi a questa parte significa camminare tra agenti armati, a tutte le ore del giorno e della notte. Al pulmino di una scuola calcio locale è da settimane che gli viene proibito di andare a prendere i bambini per portarli a fare l’allenamento. Anche per gli insegnanti e personale scolastico della scuola media ed elementare è difficilepassare per andare al lavoro.

Questa è la situazione degli abitanti vesuviani. L’ironia è che anche oggi si continua a fare la raccolta differenziata porta a porta tra i vicoletti, mentre a pochi metri, sulla Rotonda, sembra di stare a Kabul dopo un bombardamento. Io, testimone con i miei colleghi, non abbiamo visto un razzo partire dai manifestanti, abbiamo visto invece le cariche partire senza motivo.

22 ottobre 2010

Il sangue dei Nimbydi A.D.P.

Setti nasali, occhi, costole.

L’azione dello Stato può riassumersi in questi obiettivi, gli unici obiettivi veramente raggiunti dall’azione di repressione e dispersione.

Uno Stato può anche avere tutte le ragioni di questo mondo, ma se non si pone il problema dell’avversione collettiva ai suoi provvedimenti si sposta egli stesso verso l’attività di eversione.

E non è una forzatura di un concetto.

Andiamo per gradi:

Eversione: “Insieme di atti violenti volti alla sovversione dell’ordine costituito”

Ordine costituito: “l’insieme delle norme che fondano una società”

Tra le norme più importanti vigenti in Italia, i cardini principali sono la Costituzione (approvata il 22 dicembre del 1947) e la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo (adottata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 10 Dicembre 1948).

Chi fa eversione dunque commette atti violenti volti alla sovversione dell’insieme di norme che fondano una società.

Di conseguenza:

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chi fa eversione commette atti violenti volti alla sovversione della Costituzione e Dichiarazione universale dei dirittidell’uomo.

Per cui l’affermazione di Mantovano, secondo il quale a Terzigno vengono poste in atto azioni con “finalità vicine all’eversione”, è una confessione in piena regola.

Lo Stato sta facendo eversione a Terzigno.

Sta innanzitutto attentando all’incolumità di cittadini, non sta reprimendo le intemperanze di gruppi o bande organizzate, mascherate, attrezzate per la guerriglia.

Ci hanno anche provato ad assimilare le folle di Terzigno ai black blocs di Genova, ma poi quantomeno la diversità di atteggiamento e di abbigliamento gli ha fatto accantonare questo paragone.

Allora hanno provato a lanciare l’idea di manipolazione dei moti da parte della camorra.

Poi però si sono accorti che è improbabile che un camorrista possa pilotare le volontà di migliaia di massaie e gente qualunque fino a convincerli a farsi massacrare per difendere un SUO personale interesse.

Hanno finito le cartucce della denigrazione e del depistaggio, hanno finito gli alibi, i fumogeni da propaganda, e gli rimangono solo i manganelli da imbavagliamento, i lacrimogeni sparati volutamente ad altezza d’occhio, l’infierire sui manifestanti che non possono correre lontano dalla carica delle forze dell’ordine. Non azioni mirate, ma picchiare tutto ciò che respira.

Se poi vogliamo andare al nocciolo del problema, in buona sostanza c’è un luogo che ha già dato in materia di discariche, sversamenti, miasmi, malattie, malformazioni, degenerazioni di flora e

fauna, irrespirabilità dell’atmosfera, abbandono ed interruzione dei servizi essenziali.

E quando in questo luogo è stato proposto il bis, gli abitanti di quel luogo hanno chiesto innanzitutto di essere lasciati in pace a risolvere le conseguenze di ciò che hanno già dato, a capire quanti già accusano sintomi di malattie inquietanti e a consultare con angoscia gli esiti di analisi di laboratorio.

Nemmeno il tempo di capire cosa hanno già contratto in termini di allergie, malanni e degenerazioni, che gli si propone ancora un’altra dose di veleno, la seconda, come se fosse un richiamo dell’antitetanica, come una ulteriore dose per essere sicuri che si ammalino.

In fondo chi si ammala non può più stare in giro a protestare.

Deve stare ore al call center del CUP della ASL per farsi fissare un’ecografia tra un anno, per esempio.

E’ evidente che hanno tutte le ragioni per ribellarsi.

Come risolvere il problema?

Semplice: ripartendo i rifiuti da smaltire in tantissime discariche sparse in aree geografiche limitrofe, tante piccole frazioni di quella massa letale da abbassare in concentrazione e da distribuire nelle varie discariche che ancora sono in grado di “accettare conferimenti”, come si dice in gergo tecnico.

L’obiezione in stile NIMBY è però: “la mondezza di Napoli contiene di tutto, anche rifiuti ospedalieri, perfino carichi radioattivi”.

Già.

Come se i rifiuti presenti nelle altre discariche sparse in giro per l’Italia fossero tutti perfettamente a norma.

Propongo di dotare ogni nucleo familiare di un rilevatore Geiger, di quelli per rilevare la radioattività.

E solo dopo essersi fatti un’idea di cosa già c’è nelle varie discariche si potranno esprimere opinioni sulla maggiore tossicità dei rifiuti dell’area vesuviana.

Ogni mondo è paese.

E ogni discarica è Terzigno.

Alzi la mano chi è certo che nelle discariche della propria regione affluiscono solo scarti di potature di gelsomino, fogli accartocciati di poesie, contenitori biodegradabili di pensieri e altra profumata testimonianza del vivere odierno.

Qui non si scherza.

La  mondezza è ovunque. Ed è tutta uguale.

Come il sangue di chi si fa spaccare la testa oggi facendoci vedere quale sarà il nostro futuro, quando dovremo farcela spaccare noi non per l’apertura di una discarica sotto casa nostra, ma magari per l’apertura di una centrale nucleare, o di un deposito di scorie, o di un’area estrattiva proprio in quel posticino tanto carino in cui andiamo al mare da quando eravamo piccoli.

Terzigno è il nostro futuro.

Quello che fanno a loro lo faranno a noi.

Per cui la nostra immagine è riflessa dallo schermo della tivù.

Anche quando non è spento.

23 ottobre 2010

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Macchine da guerra: Blackwater, Monsanto e Bill Gatesdi Silvia Ribeiro – «La Jornada»

Un rapporto di Jeremy Scahill su The Nation(Blackwater’s Black Ops, 15.09.10) ha rivelato che il maggiore esercito mercenario al mondo,Blackwater (ora denominato Xe Services –), ha venduto servizi d’intelligence clandestini alla multinazionale Monsanto. Blackwater è stata ribattezzata nel 2009 dopo essere divenuta famosa nel mondo per via dei numerosi resoconti sui suoi abusi in Iraq, compresi massacri di civili. Resta il maggiore appaltatore privato dei “servizi di sicurezza” del Dipartimento di Stato U.S.A, che pratica il terrorismo di stato dando al governo l’opportunità di negarlo.

Molti militari ed ex-funzionari CIA lavorano per Blackwater o società collegate create per sviare l’attenzione dalla propria cattiva reputazione e fanno alti profitti vendendo i propri vili servizi – che vanno dall’informazione e lo spionaggio all’infiltrazione, al lobbying politico fino all’addestramento paramilitare – per altri governi, banche e multinazionali.

Secondo Scahill, gli affari con le multinazionali, come Monsanto, Chevron, e giganti finanziari come Barclays e Deutsche Bank, vengono convogliati tramite due società possedute da Erik Prince, proprietario di Blackwater: Total Intelligence Solutions e Terrorism Research Center. Questi funzionari e direttori si spartiscono la Blackwater.

Uno di loro, Cofer Black, noto per la sua brutalità come uno dei direttori della CIA, è stato quello che ha stabilito il contatto con la Monsanto nel 2008 in qualità di direttore di Total Intelligence, stabilendo un contratto con la società per spiare e infiltrare organizzazioni di attivisti sui diritti animali, anti-OGM e altre attività sporche del gigante della biotecnologia.

Contattato da Scahill, il dirigente Monsanto Kevin Wilson ha rifiutato di commentare, ma ha confermato in seguito a The Nation di aver noleggiato i servizi di Total Intelligence nel 2008 e 2009, secondo la Monsanto solo per tener d’occhio le “quanto divulgato pubblicamente” da parte dei suoi oppositori. Ha aggiunto che Total Intelligence era un’«entità del tutto separata da Blackwater».

Tuttavia, Scahill ha conservato copie di e-mail di Cofer Black dopo l’incontro con Wilson per la Monsanto, dove spiega ad altri ex-agenti CIA, usando le loro e-mail presso Blackwater, che la discussione con Wilson aveva portato Total Intelligence a diventare «il braccio d’intelligence della Monsanto», per spiare attivisti e altre iniziative, compresi «i nostri impegnati a integrare legalmente questi gruppi». Per Total Intelligence Monsanto ha pagato 127mila dollari nel 2008 e 105mila nel 2009.

Non sorprende che una società impegnata nella “scienza della morte” come la Monsanto, dedita fin dall’inizio alla produzione di sostanze tossiche che spaziano dall’Agent Orange ai PCB (bifenili policlorurati), pesticidi, ormoni e semi geneticamente modificati, sia associata a un’altra società di farabutti.

Quasi simultaneamente alla pubblicazione di quest’articolo su The Nation, la Via Campesina ha riferito l’acquisto di 500mila azioni di Monsanto, per più di 23 milioni di dollari, da parte della Fondazione Bill & Melinda Gates, che con tale azione ha finito di gettare via la sua nmaschera “filantropica”. Un’altra connessione che non sorprende.

È un matrimonio fra i due più brutali monopoli nella storia dell’industrialismo: Bill Gates controlla più del 90% della quota di mercato dei software proprietari e Monsanto circa il 90% del mercato globale delle sementi transgeniche e buona parte delle sementi commerciali globali. Non esistono in alcun altro settore industriale monopoli così vasti, la cui stessa esistenza è una negazione del vantato principio della “concorrenza di mercato” del capitalismo.

Sia Gates sia Monsanto sono molto aggressivi nel difendere i loro monopoli ottenuti in malo modo.

Benché Bill Gates possa tentare di dire che la Fondazione non sia collegata ai suoi affari, tutto ciò prova che è vero il contrario: la maggior parte delle loro donazioni finiscono per favorire gli investimenti commerciali del magnate, effettivamente non “donando” alcunché: anziché pagare tasse ai forzieri statali, investe i suoi profitti là dove gli frutta economicamente, compresa la propaganda sulle loro presunte buone intenzioni.

Al contrario, le loro “donazioni” finanziano progetti distruttivi come la geoengineering (geoingegneria) o la sostituzione di medicine comunitarie naturali con medicine high-tech

brevettate nelle aree più povere del mondo. Quale coincidenza: l’ex-ministro della Sanità Julio Frenk e Ernesto Zedillo sono consulenti della Fondazione.

Come Monsanto, Gates è inoltre impegnato a tentare di distruggere l’agricoltura rurale contadina a livello mondiale, principalmente mediante l’ “Alliance for a Green Revolution in Africa” (AGRA). che funziona come un cavallo di Troia per privare i poveri agricoltori africani delle loro sementi tradizionali, sostituendole con quelle delle proprie aziende per cominciare in seguito con quelle geneticamente modificate (GM).

A tal fine, la Fondazione ha assunto Robert Horsch nel 2006, il direttore di Monsanto. Ora Gates, nell’esporre massicci profitti, ha svelato direttamente la fonte.

Blackwater, Monsanto e Gates sono tre lati della stessa figura: la macchina da guerra al pianeta e a gran parte della gente che lo abita, che siano contadini, comunità indigene, persone che vogliono condividere informazione e conoscenza, o chiunque altro non intenda soggiacere alla cappa del profitto e alla distruttività del capitalismo.

* L’autrice è ricercatrice al Gruppo ETC

«La Jornada» ,14.10.10.

Traduzione per il Centro Studi Sereno Regis a cura di Miky Lanza, con revisioni di Megachip.

Titolo originale: Machines of War: Blackwater, Monsanto, and Bill Gates

http://www.transcend.org/tms/2010/10/machines-of-war-blackwater-monsanto-and-bill-gates/

MegaChip

22 ottobre 2010

Don’t ask don’t tellIn Usa, militari gay ancora nel limbo, ristabilito il divieto di arruolamento

Una Corte d’Appello americana ha permesso di ristabilire temporaneamente il divieto di entrare nelle forze armate per gli omosessuali dichiarati.Ma gli attivisti per i diritti di gay e lesbiche hanno dichiarato di essere fiduciosi che la controversa

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politica del ‘Don’t Ask, Don’t Tell’ (‘Non chiedere, non dire’) sara’ presto abolita definitivamente.Nell’ultimo colpo di scena giudiziario, tre giudici della Corte d’Appello di San Francisco hanno sospeso l’ingiunzione di un giudice inferiore che vietava all’esercito statunitense di continuare a impedire l’accesso nelle forze armate agli omosessuali.Il Pentagono ha annunciato ieri la sua decisione di accettare le reclute dichiaratamente gay per la prima volta nella storia degli Stati Uniti, ma ha anche avvertito che il ‘Don’t Ask, Don’t Tell’ avrebbe potuto essere reintegrato dai giudici, come poi e’ successo oggi.‘Durante questo periodo transitorio di incertezza, i militari gay in servizio non devono uscire allo scoperto e le reclute devono usare cautela se scelgono di firmare’, ha detto il capo del Servicemembers Legal Defense Network, Sarvis Aubrey, un veterano dell’esercito americano

21 ottobre 2010

Siria: cresce l'economia ma anche il divario nella ricchezzada Global Voices

La Siria, formalmente Paese socialista, ha iniziato un processo di riforma economica alla fine del 2003. L'obiettivo ufficiale era quello di reintegrare il Paese nell'economia mondiale, e nel frattempo, continuare a preservare il sistema di welfare per i suoi cittadini, sotto l'egida così denominata di “Economia di mercato sociale”. Il processo ha portato a una rapida crescita del settore privato siriano, ma, allo stesso tempo, ha fatto registrare un continuo aumento dei livelli di povertà e una crescita esponenziale del divario fra redditi all'interno del settore privato.

Abu Fares si scaglia contro questo trend allarmante in un post intitolato “Il settore privato siriano: una farsa socio-economica” [en, come tutti i link successivi tranne ove diversamente indicato]:

Ufficialmente il dato divulgato circa l'intervallo di variazione dei salari nel settore privato siriano va

da un minimo di retribuzione mensile a tempo pieno di 125 dollari a un massimo di 42.000 dollari.

Questa, in poche parole, è l'attuale situazione economica in cui versa il Paese quindici anni dopo la decisione del governo di tagliare le redini e liberare il piagnucoloso sistema privato nel tentativo di sostenere la ricostruzione di un'economia avvilita. Quale contributo hanno dato al Paese le stelle nascenti e le società di grido del libero mercato siriano, i Nuovi Ricchi e gli ereditieri, i truffatori e la loro progenie, i meritevoli miliardari che si sono fatti da sè e, più rari fra questi, gli onesti imprenditori, a parte prosciugare le risorse, il potenziale e la ricchezza del territorio e devastare il suo ambiente?

Abu Fares descrive numerose anomalie e difetti del settore privato, tra cui la noncuranza nei confronti della responsabilità sociale, delle tematiche ambientali e dell'evasione fiscale.

Ehsani, un economista siriano residente negli Stati Uniti, ha pubblicato una dettagliata risposta all'articolo di Abu Fares sullo spazio commenti dedicato alla Siria nel blog del Prof. Joshua Landis, Syria Comment. In un intervento titolato “Il peccato in Siria sono i bassi salari”, Ehsani argomenta che, anche se le riforme economiche renderanno inevitabilmente qualcuno più povero, d'altro canto sono imprescindibili e devono essere portate avanti dal governo il più rapidamente possibile. Ha anche sottolineato come il problema principale non stia in termini di quanti soldi riesce a fare chi sta in cima alla vetta, ma piuttosto quanti ne guadagna chi ne sta ai suoi piedi:

Per guardare al problema in modo diverso, non dobbiamo stupirci di fronte al manager di banca che guadagna 42.000 dollari al mese, ma piuttosto rispetto al contabile che torna a casa con soli 400 dollari alla fine del mese, con i quali deve mantenere la sua famiglia. A creare costernazione non è il Four Seasons Hotel e i suoi prezzi ma il fatto che a Damasco vi sia un solo hotel a 5 stelle. Dubai ne ha più di 70. Allo stesso modo, non sono i 170.000 dollari spesi per una BMW che ci devono far arrabbiare, ma il fatto che moltissimi siriani che vivono sotto la soglia di povertà sono ancora costretti a guidare “ammaccati minibus da 9 sudati (e puzzolenti) passeggeri” .

La sua proposta è imperniata sulla riforma delle leggi sul fisco e l'introduzione di stretti controlli sull'evasione fiscale, per portare finalmente la

Siria a rompere definitivamente con la sua storia socialista:

La Siria non potrà mai risollevare la sua economia interna prima di essersi allontanata definitivamente dal socialismo. Introdurre una confusa terminologia economica tedesca e dire che siamo in “un'economia di mercato sociale” non è abbastanza. Per un Paese con così limitate risorse finanziarie, il nostro governo non ha nessun interesse nell'investire nella produzione di scarpe, vestiti, pneumatici, bottiglie d'acqua, birra, così come per gli altri 244 settori commerciali, costantemente in perdita. Ogni manager in carica in queste imprese inefficienti vede nel suo lavoro una licenza per rubare e saccheggiare.

Nella sua risposta al post, Abu Fares fa riferimento a una storia vissuta personalmente che fa parte della sua esperienza di vita nel settore privato:

Tra i molti ricordi di cui vergogno maggiormente, penso a una riunione di amministrazione per l'avvio di un nuovo progetto, un grosso stabilimento industriale in Siria, dove il principale argomento di discussione riguardava l'assunzione di capi-officina e supervisori indiani, perchè i lavoratori siriani qualificati non avrebbero mai accettato di lavorare ai salari pietosamente bassi che i membri dell'amministrazione avevano intenzione di offrire.

Il dibattito ha coinvolto molti partecipanti nelle sezioni di commento ad entrambi gli articoli. Alex, commentando il post di Ehsani, scrive che il governo siriano dovrebbe ascoltare di più, e meglio, quello che la gente vuole davvero:

Prima di decidere di convergere totalmente a destra, abbiamo bisogno che qualcuno “chieda ai siriani” quanto fortemente desiderano che il loro Paese si allontani dal socialismo. Dovrebbero essere somministrati appropriati sondaggi d'opinione invece che affidarsi solo alle opinioni degli esperti (invitando alle riunioni di governo i banchieri occidentali e i rappresentanti del partito Baath [it]) che consigliano ai politici come e quanto riformare.

di Yazan Badran · tradotto da Bianca Baggiani

24 ottobre 2010

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Vent’annidi silenzi. Ecomafiae leucemie a Lentinidi Il Carrettinno delle Idee

Può un fazzoletto di terra e agrumi fra Catania e Siracusa, un centro di sole 24.000 anime come tanti altri in Sicilia, lontano dalle insidie dei poli industriali, detenere il macabro record delle morti per leucemia? Secondo gli studi a cura dell’Azienda USL di Siracusa, di recente pubblicati sul Registro Territoriale di Patologia, è esattamente quanto avviene da vent’anni nel comune di Lentini, in provincia di Siracusa, dove di leucemia continuano a morire uomini, donne e bambini per un tasso tre volte superiore al dato nazionale. Tragica fatalità?

Dalla denuncia presentata dall’avvocato Santi Terranova alla Procura della Repubblica di Siracusa per conto dei genitori delle vittime più giovani, riuniti nell’Associazione per bambini leucemici “Manuela e Michele”, sembrerebbe in realtà che “sotto” quel fazzoletto di terra e agrumi ci sia molto di più. Sembrerebbe che ad uccidere sia uno sconcertante pastone di mafia, speculazioni nazionali ed interessi esteri. Ma quali le cifre? Quanti uomini e quante donne sono morti e continuano a morire a Lentini? Su quali cause le autorità sanitarie locali stanno indagando? «In realtà  -commenta il dottor Anselmo Madeddu, referente del Registro Territoriale di Patologia di Siracusa, il primo a rendere noti i dati di Lentini- i dati da noi rilevati dimostrano che non è la provincia siracusana nel suo complesso a destare allarme, nonostante la presenza del polo industriale Augusta-Priolo-Melilli, in quanto i casi di leucemia sono addirittura al di sotto di tanti altri centri italiani. Il problema sta proprio a Lentini, dove il tasso standardizzato rilevato è del 32,1% , di cui il 13% riguarda le donne, contro il 12,7% del pool italiano.  La predominanza del sesso maschile porterebbe a pensare ai fattori chimici, ai pesticidi e tutto quanto è legato all’agrumicoltura come possibile causa principale della malattia.

Tuttavia noi siamo convinti che non è solo questo e non è solo uno il fattore di rischio che ha fatto esplodere a Lentini l’alta percentuale di casi.Ci sono infatti altre zone in Sicilia in cui l’agricoltura è praticata con prodotti dello stesso genere, ma, pur esistendo qualche caso, non ci troviamo

neanche lontanamente di fronte a tali cifre. Si tratta probabilmente di un insieme di circostanze primo fra tutti, l’uso “indiscriminato” del territorio». E a sottolineare che i pesticidi possano essere solo una delle cause, la più irrilevante forse, è purtroppo, un altro macabro record. «A venire incontro a questa teoria in effetti -continua il dottor Madeddu- è il dato allarmante relativo alla leucemia infantile. Rapportato orizzontalmente al tasso riscontrato tra i bambini delle altre città italiane, il tasso lentinese è sempre il più elevato. Nella fascia da 0 a 4 anni, infatti, si riscontra un 57,9%, a fronte, ad esempio, di un 12,4% osservato nell’intera provincia di Siracusa. Quasi 5 volte di più! Ebbene, come si fa a pensare che un bambino di due o tre mesi possa essere stato esposto agli effetti dei pesticidi? Se questo può essere ipotizzato per un adulto che per anni ha irrorato prodotti nocivi, la stessa ipotesi cade, ovviamente, per un bambino. E allora qui verrebbe da pensare ad un fatto virale, ad un’alterazione genetica o alla plausibile ingestione di prodotti agricoli contaminati. In quanto studiosi, è chiaro che non ci fermeremo alla singola ipotesi». «Quando parliamo di leucemie –conclude la dottoressa Lia Contrino, medico Igienista, anche lei responsabile del Registro Territoriale di Patologia di Siracusa- non dobbiamo scordare che non si tratta di una patologia univoca e che ne esistono diverse forme e diverse cause. Certo è però che i dati da noi rilevati, già a partire dagli anni ’80 ci dicono che storicamente e innegabilmente il tasso di mortalità per leucemia a Lentini è sempre  stato rilevante. Se dunque in questa fase non possiamo scartare alcuna ipotesi sulle cause, i dati stessi ci portano a pensare che il problema deve essere in qualche maniera legato al territorio».

PRIMA IPOTESI: L’URANIO IMPOVERITO.

A Lentini si indaga, dunque. Indagano le autorità sanitarie, indaga la magistratura. Si cerca, ma solo adesso, dopo vent’anni di morti, di capire. Si indaga però non grazie all’interessamento dei politici locali o all’attenzione della stampa isolana, bensì grazie a chi dalla tragedia della morte di un figlio è stato colpito direttamente. E a chi non vuole più vedere dei bambini morire perché nessuno fa nulla. «Nel mese di dicembre del 2005 -racconta l’avvocato Santi Terranova, professionista fra i più in vista del luogo, ormai dedito quasi a tempo pieno alla causa lentinese- si sono verificati  nel giro di pochi giorni due morti di due ragazzi per leucemia. Dopo poche settimane morì anche un’altra ragazzina.

Questa situazione, che suscitò scalpore a Lentini, mi spinse a prenderne atto in maniera ufficiale e a presentare successivamente un esposto alla Procura di Siracusa. Ho chiuso lo studio per un mese e, con l’aiuto di esperti e medici, sono riuscito ad assemblare tutto il materiale che oggi è in mano ai magistrati». Una denuncia,quella in mano al procuratore di Siracusa Roberto Campisi, che la magistratura sta seguendo scrupolosamente, ma che profila ipotesi sconcertanti.

Forse troppo per quel fazzoletto di terra e agrumi.

«Grazie all’ausilio di persone competenti –continua l’avvocato- questa mia primissima indagine ha sentito di escludere, almeno per la stragrande maggioranza delle famiglie colpite da questo fenomeno, il fattore ereditario ed altre possibili cause determinanti. Rimaneva una possibile spiegazione, per quanto inquietante e apparentemente assurda: l’esposizione alle radiazioni da parte delle vittime».

Ed è effettivamente così? Ci sono tracce di radiazioni a Lentini? E se sì, da dove vengono? Dove andarle a cercare? «Le mie indagini –afferma il legale- sono partite proprio da queste domande. E sono giunte ad una risposta più che plausibile. A Lentini si è sempre parlato di un aereo della base di Sigonella precipitato nel 1984. Di quest’incidente, che fino a un anno e mezzo fa da molti era considerato quasi una leggenda metropolitana, nulla si sapeva. Non si è mai saputo quali siano state le cause e, soprattutto, che cosa trasportasse l’aereo. Grazie alle ricerche condotte con il dottor Elio Insirello, oggi in commissione di indagine, siamo venuti a conoscenza del fatto che, come è riscontrabile anche dalle stesse riviste americane, quegli aerei erano zavorrati di barre di uranio impoverito».

«Il dato più allarmante per Lentini –mi conferma Elio Insirello, biologo e consulente tecnico per la Procura della Repubblica di Siracusa sul caso Lentini- è senz’altro la caduta del Quadrigetto C141B “Starlifter” dell’US Air Force precipitato in Contrada San Demetrio il 12 luglio del 1984. Ai tempi dell’incidente infatti le leggi italiane consentivano agli aerei cargo l’utilizzo di contrappesi fissi e mobili in uranio impoverito nelle fusoliere (oltre che nelle ali) e tali contrappesi  erano esenti da obblighi di denuncia alle autorità competenti».

Ma come è possibile che le leggi italiane consentissero il transito di un metallo così dannoso per la salute?

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«Questa legge -spiega il biologo- aveva la sua logica nel fatto che l’uranio impoverito se non viene incendiato è quasi inerte e abbondantemente al di sotto dei limiti di pericolosità per quanto concerne agenti radioattivi. Adesso le leggi italiane hanno dismesso l’utilizzo di questo materiale, sostituito con il tungsteno, ma il problema fino a questo momento è stato assolutamente ignorato e sta di fatto che per anni i nostri cieli sono stati solcati da aerei americani e quant’altro imbottiti di centinaia di chili di uranio impoverito. Alla luce di tutto questo mi sono chiesto se e in che misura quell’incidente abbia potuto incidere sulle patologie di Lentini. Il problema va ancora scandagliato, ma c’è la reale possibilità che l’uranio impoverito incendiatosi in seguito all’impatto abbia la sua incidenza e questa possibilità deve esser presa nella giusta considerazione.

Gli effetti dell’uranio bruciato sono compatibili non solo con l’insorgere della malattia (e la cronaca mondiale ci fornisce diversi esempi in tal senso, basti pensare al Kosovo) ma anche con la data in cui è stato registrato il drastico aumento delle patologie leucemiche, circa dieci anni dopo, esattamente il tempo stimato per il manifestarsi dei sintomi. Più i giorni passano, insomma, più ci rendiamo conto che i casi di leucemia a Lentini sembrano legati all’uranio impoverito. Ho chiesto con forza alle autorità politiche e istituzionali italiane e alla magistratura di ottenere una risposta ufficiale dagli USA sull’esatta quantità di uranio contenuta nell’aereo caduto nell’84 per poter stimare il danno reale. Purtroppo si tratta di elementi mobili che servono a controbilanciare di volta in volta il carico trasportato dagli aerei e per questo motivo è impossibile risalire semplicemente dal modello alla quantità di metallo caricato nella struttura. Ma fino a questo momento non abbiamo avuto esiti. Sull’incidente è stata posta dagli americani una pesante coltre di silenzio». Tutti elementi che stanno facendo assumere alla leggenda metropolitana sempre più il carattere di verosimiglianza. Ma che quell’incidente sia avvenuto e che nell’impatto il cargo abbia realmente preso fuoco lo dimostrano anche delle foto scattate al momento dell’incidente da un testimone oculare. «Mi trovavo a circa 200 metri dal luogo dell’incidente -ricorda con dovizia di particolari Alfio De Luca, ex reporter lentinese- ed erano le 12,30 circa.

Si sentì chiaramente il rumore assordante di un aereo che precipitava. Vedendo l’impatto e le fiamme presi la macchina fotografica e corsi sul luogo dell’incidente.Ebbi il tempo di fare sei o sette

foto. Subito arrivarono gli americani che bloccarono tutta l’area gridando “zona militare”, allontanando e minacciando con i fucili chi era accorso per prestare aiuto. Nel frattempo arrivarono anche i carabinieri, a cui fu affidato l’unico servizio di non far transitare nessun mezzo in quella zona. Fui costretto a fuggire perché un soldato cercò di sequestrarmi la macchina. Nascosi la macchina fotografica, scappai e dopo il dissequestro della zona, dopo circa 40 giorni, andai a recuperarla sviluppando le poche immagini che riuscii a scattare. Le foto sono adesso in mano ai magistrati». «Grazie ai pareri degli esperti e alle testimonianze -è ancora Santi Terranova- questa prima ipotesi, ha assunto una grande importanza per le indagini ed è la direzione verso cui la Procura di Siracusa sta indirizzando il maggiore sforzo operativo».

DISCARICHE, MAFIA E LEUCEMIE: QUALE NESSO?

La presenza delle radiazioni non è l’unica ipotesi che emerge dalla denuncia e il quadro si profila, se possibile, ancora più sconcertante. «Nella mia denuncia alla magistratura -prosegue infatti Terranova- ho ricordato ai procuratori che nell’88 in territorio lentinese furono scoperte delle discariche abusive, in cui veniva depositato del materiale ospedaliero proveniente dal nord. Ho documentato questa scoperta con i tre fascicoli aperti dal pretore di Lentini di allora nonché con la documentazione fotografica fatta, anche questa volta, da Alfio De Luca.Furono allora rinvenuti interi scatoloni provenienti dalla Usl n.67 del Veneto e contenenti rifiuti ospedalieri. Aperti questi scatoloni alla presenza delle autorità, il prof. Salvatore Sciacca dell’Università di Catania rilevò con il contatore geiger la presenza di radioattività a livelli altissimi. Fatto strano, quando intervennero il giorno successivo i tecnici dell’Enea, non rilevarono alcuna traccia di radioattività».«Quando mi recai su quelle discariche per documentarne la scoperta –ricorda Alfio De Luca, testimone anche di questo grave episodio- mi ritrovai davanti a scene raccapriccianti.

Due enormi cointainers contenevano tonnellate di scatole di cartone pieni di viscere ed organi umani, flebo, siringhe, buste di plastica dalle quale fuoriuscivano liquami maleodoranti, cartelle cliniche, lastre radiografiche. Lì vicino alcuni maiali facevano di quei rifiuti il loro pasto mentre altri giacevano  morti. Fotografai le carcasse, che i tecnici della regione negarono poi di aver

visto. Così come negarono che le rilevazioni del professor Sciacca nei pressi dei container e nell’area adiacente, da me documentate con le foto, fossero positive all’esame del contatore geiger che segnalava un’ altissima presenza di radiazioni. Il professor Sciacca fu preso per visionario mentre le mie foto e le testimonianze di chi era lì venivano ignorate. I miei servizi furono poi pubblicati su alcune testate nazionali (Oggi, L’Espresso, L’Europeo). Ma nonostante questo nessuno ne parlò più e siamo ancora al punto di prima». «La cosa che fa più specie –ribadisce l’avvocato- è proprio questa. Che su quei tre fascicoli aperti dalla pretura di Lentini, (il primo iscritto al n.1716/1988, il secondo al n.1716/1988, il terzo al n.1894/88) gli stessi che sono ora in mano alla magistratura furono archiviati».

Perché? A chi dava fastidio la scoperta delle discariche? E il Veneto fu mai avvisato di quel rinvenimento? «Anche su queste domande la magistratura sta attualmente indagando –risponde ancora Terranova-. Sta di fatto che continuiamo ad ignorare da quanto tempo si perpetuasse quell’ “usanza”, quanti rifiuti sono stati scaricati in quella contrada prima della scoperta, e, dopo la scoperta, dove e come sono stati smaltiti». Ma non è tutto.  «L’altra domanda -prosegue Terranova- è infatti: questi rifiuti portati qui in maniera sicuramente illegale, come venivano trasportati? La risposta sta, probabilmente nel rinvenimento, circa 15 giorni dopo la scoperta della discarica, di contenitori identici sulle spiagge di Agnone Bagni, vicino Lentini. Dopo la scoperta delle discariche si formarono dei piccoli comitati di cittadini, che facevano delle ronde nei pressi delle discariche per intercettare altri eventuali arrivi.Stranamente non arrivarono più rifiuti, ma dopo pochissimo ci ritrovammo gli stessi scatoloni sulle nostre spiagge. È chiaro che quei rifiuti arrivassero via mare e quando la situazione in quei giorni si è rivelata “calda”, chi di dovere ha pensato bene di disfarsene gettandoli in acqua».

Ecomafia?

«Nel passato anche recente -spiega ancora l’avvocato-  la DIA di Catania ha avviato numerose indagini allo scopo di accertare e reprimere reati di natura ecologica, quali quelli attinenti alle discariche abusive in territorio lentinese, ed in più di un caso sono stati accertati forti interessi della mafia, nelle vesti della famiglia Ercolano-Santapaola. Nel contesto di tali indagini furono individuati alcuni soggetti a cui, verosimilmente, poteva essere ricondotta la “gestione” delle diverse

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discariche abusive rinvenute: ad esempio gli amministratori di una tale Cooperativa “Blocchi Fiumefreddo”. L’esito di questi procedimenti, e di altri eventualmente aperti dalla Procura di Siracusa, non ci è però noto. Sembra chiaro tuttavia che il business delle discariche abusive faccia gola all’ecomafia».

ANCORA SIGONELLA, ANCORA ECOMAFIA.

«La terza ipotesi -continua il legale- mette in relazione ancora Sigonella e l’ecomafia. Sigonella è il centro di maggiore stoccaggio di armi nucleari di tutto il bacino mediterraneo. Ebbene, dove scaricano gli americani le scorie radioattive?» E non solo. «Di norma -ci spiega il giornalista siciliano Antonio Mazzeo che della problematica si è occupato in seno all’inchiesta “La Mega Sigonella” pubblicata su Terrelibere.org- la base utilizza la discarica consortile di contrada Armicci di Lentini, un’area ormai trasformatasi in una vera e propria bomba ecologica. Gli investigatori della D.I.A. di Catania hanno rilevato tuttavia che la base di Sigonella compare tra gli enti e le istituzioni pubbliche che per anni hanno scaricato rifiuti nella discarica gestita da Salvatore Proto, ritenuto un prestanome del clan Santapaola-Ercolano, che vanta precedenti per armi (come si legge in un rapporto della Direzione Antimafia di Catania del 1997) e che avrebbe preso parte a numerose gare d’appalto all’interno della base militare siciliana al fine di presentare “offerte di comodo” in favore di Cosa Nostra. Secondo il collaboratore di giustizia Filippo Malvagna, grazie alla famiglia Proto fu organizzato un perverso meccanismo spartitorio del business dei rifiuti nel comprensorio etneo e Sigonella. Furono inoltre riscontrati stretti legami d’affare tra la SI.A.S, la ditta della famiglia Proto, e la “Cooperativa Bosco Etneo”. La Bosco Etneo, dopo essersi aggiudicata a Sigonella il contratto denominato “Drying Beds Maintenace”, nel dicembre 1993 aveva affidato alla SI.A.S, con il consenso americano, il trasporto di rifiuti speciali derivanti dai depuratori di NAS 1 e 2». Ma il problema va ancora oltre. La base americana ospita una mastodontica struttura ospedaliera, a cui fanno capo gli 8000 soldati di stanza in Sicilia e quelli assegnati alle diverse altre basi dislocate in tutto il Mediterraneo.

Dove finisce l’ingente mole di rifiuti ospedalieri? «È alla Giano Ambiente S.r.l. -continua Mazzeo- che la Marina USA affida lo smaltimento dei rifiuti ospedalieri prodotti nelle infrastrutture sanitarie della base di Sigonella. Fondata nel 1983, la Giano Ambiente opera nel settore bonifica,

trasporto,smaltimento e trattamento rifiuti in Italia, Germania, Francia ed Austria  e vanta un fatturato annuo di circa 4 milioni di Euro. È una delle aziende di fiducia della Marina Militare italiana: la Direzione Commissariato in Sicilia le affida la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti delle basi navali di Augusta, Messina e Catania; l’impresa esegue inoltre lo smaltimento dei rifiuti industriali e tossici prodotti negli impianti di Priolo e Gela di proprietà delle principali aziende petrolchimiche. Amministratore della Giano Ambiente e principale azionista del Gruppo Giano è il noto manager siciliano Gaetano Mobilia, rinviato a giudizio con l’accusa di turbativa d’asta, falso e abuso d’ufficio. Il nome di Gaetano Mobilia è inoltre comparso nel rapporto 1998 di Greenpeace sulle Ecomafie: il manager sarebbe risultato legato alla ODM (Ocean Disposital Management) azienda con sede nelle Isole Vergini più volte sotto inchiesta per traffici di rifiuti radioattivi e tossico-nocivi destinati ad alcuni paesi africani. Negli scarni appunti sequestrati a Salvatore Riina durante il suo arresto nel 1992, compare infine il nome della società accanto alla scritta “lavori a Licata (ferrovie)”. Gli inquirenti non hanno saputo accertare le ragioni di questo interesse del boss corleonese». Ma ogni legame dovrà ancora essere chiarito dalla magistratura.

VENT’ANNI DI SILENZI.

«Adesso, dopo vent’anni di lotte -conclude Santi Terranova- staremo a vedere e daremo tempo ai magistrati di agire. Con la mia denuncia non ho l’illusione che si arrivi ad una certa e definitiva conclusione, ma il fatto stesso che “se ne parli”, che si indaghi in maniera scientifica e che venga fatto un tentativo serio da parte della magistratura di individuare il nesso di causalità, è già molto importante. Nonché un passo fondamentale per uscire dal senso pervadente di sfiducia e scetticismo di una gran parte della gente del luogo nei confronti delle autorità. Autorità non giudiziarie, che stanno facendo i passi giusti, ma politiche. Mi risuonano ancora nelle orecchie le parole dell’attuale sindaco di Lentini che mi disse, quando la mia denuncia fu resa nota in un convegno, “per cortesia non facciamo allarmismi. Potremmo danneggiare l’economia.” Ma dobbiamo preoccuparci delle arance a polpa rossa che sono state vendute a 5 centesimi, di un’economia già in ginocchio o di vite che continuano a spegnersi?

Se a livello nazionale sono partite ben tre interpellanze parlamentari, a livello locale posso

solo registrare il disinteresse della politica regionale, provinciale e comunale. Non ho mai visto nessuno dei politici della zona interessarsi al caso, pur avendo avuto tutto il tempo e il modo di farlo. Mi stupisce infine che l’unico giornale che non si è affatto occupato della faccenda sia La Sicilia. Ci sono forse degli interessi affinché la notizia non venga divulgata dalla nostra maggiore testata?»«Anche la mia esperienza è molto simile –incalza Alfio De Luca-. Proposi le foto che scattai sul luogo dell’incidente aereo alla stampa locale e nazionale, ma nessuno ha voluto mai pubblicarle. La stessa cosiddetta classe politica di allora mi intimò di non pubblicare quegli scatti perché avrebbero potuto danneggiare l’economia legata all’arancia rossa lentinese. Resta il fatto che dove è caduto l’aereo, fino ad oggi, dopo vent’anni, non cresce più un filo d’erba. E non è un caso che una donna che abitava a poche centinaia di metri dal disastro si sia ammalata di leucemia». «Da quando la leucemia infantile ha cominciato a colpire Lentini –conclude Vincenzo Laezza, presidente e fondatore dell’Associazione “Manuela e Michele”, padre di una delle giovani vittime del male –io e gli altri genitori colpiti, ma anche molti abitanti del luogo sensibili al problema, abbiamo cercato di capire i motivi di questo dramma apparentemente inspiegabile.

Già nel 1987, in seguito alla morte di mia figlia Manuela, a cui è dedicata l’associazione, e di altri bambini nel giro di pochissimo tempo, ci siamo rivolti all’autorità sanitaria locale, che per anni ha negato il problema. La risposta era sempre la stessa: ci veniva ribadito che a Lentini tutto era nella norma. Le stesse autorità politiche non ci hanno mai apertamente osteggiato nelle nostre battaglie, ma nessuno ci ha mai realmente appoggiato. Ci saremmo aspettati un supporto sostanziale, ma abbiamo avuto solo degli atti quasi dovuti, senza nessuna convinzione. Adesso staremo a vedere che direzione prenderanno le indagini. La nostra Associazione, comunque, non si fermerà fino a quando qualcuno non ci dirà come sono morti i nostri figli e finché non saremo in grado di garantire un ambiente sano alle generazioni future.

Le morti dei nostri bambini devono avere un senso».

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A Trieste è vietatosuonare per stradadi Marco Barone

Tempo addietro vagando per le strade di Trieste, incontrai dei musicisti c.d.di strada.

Sorridevano,erano allegri, erano “vivi”.

Si avvicinarono senza recarmi alcun disturbo, nessun stato di insicurezza coglieva il mio essere uomo libero, in una terra e città che voglio credere ancora libera. Chiesi cortesemente di suonare Bella Ciao.La suonarono.

In quel frangente di tempo ove anni di storia e sofferenza scorrevano sulle note di quella che dovrebbe essere il nostro inno nazionale, ho vissuto una grande emozione, una splendida sensazione che probabilmente sarà destinata e rimanere solo un ricordo di vita vissuta.

Dico questo perchè,con delibera del Comune di Trieste, entrata in vigore il 15 ottobre 2010 ( prot. Corr 2/5/42/1-2010), nella splendida città di confine,la Giunta Comunale capeggiata dal Commendatore della Repubblica nonchè Grande ufficiale, Roberto Dipiazza si dispone in via autoritaria il divieto di suonare per strada…

Tale ordinanza dal seguente titolo: “Limitazioni all’esercizio dei mestieri di strada, di suonatore ambulante, cantante, cantastorie e similari” prevede in sostanza che “dal momento che i suonatori che spesso vi insistono chiedendo anche la questua, creano notevole disturbo sia alle attività commerciali ivi presenti, sia ai passanti, aumentando così la sensazione di scadimento della qualità della vita urbana e conseguente senso di insicurezza; al fine di prevenire e di eliminare quei comportamenti che possono causare scadimento della qualità della vita e del decoro urbano”, il musicista verrà prima allontanato, se persiste avrà il sequestro dello strumento, se persiste ancora pagherà una multa di 100 euro.

Salvo che non si rientri nella categoria di “artisti particolarmente qualificati”, beh in questo caso potrà essere rilasciata una specifica autorizzazione ad esibirsi nell’ambito della zona considerata.

Ma avranno creato una commissione ad hoc per stabilire chi è artista qualificato o meno? Quali saranno i criteri? Chi ha diritto di giudicare il

“valore” della musica?Suonare uno strumento musicale per le vie di Trieste conferisce senso di insicurezza?

Follia pura.

Ma è la triste realtà affermata in Trieste.

Un tempo non lontano si passeggiava per le vie della città, imprigionata dalle catene della burocrazia e del consumismo, ascoltando le note musicali di chi con passione ed allegria elargiva note di vita; da oggi,a Trieste, ciò sarà solo mera utopia.

Sembra che il prossimo passo di questa Giunta Comunale sia quello di vietare ai giovani extracomunitari di vendere cose per strada: «Irragionevole vedere dei marcantoni che vendono libri illeggibili per via, perché non vanno a lavorare, a un’agenzia interinale, o alla Caritas?». Questo è quanto si legge sul Piccolo di Trieste

20 ottobre 2010

Marra salutae se ne vadi Vincenzo Mulè

Ha lasciato che a difenderlo ed assistirlo nel passo più importante fosse Piercamillo Davigo. Nelle prime ore del mattino di ieri, l’ex pm di Mani Pulite ha consegnato al Csm la lettera con la quale Alfonso Marra ha lasciato la magistratura. Una lettera nella quale non rassegna le dimissioni, ma chiede semplicemente «il collocamento a riposo per limiti d’età». Una richiesta della quale il Csm non può che prendere atto, in quanto Marra ha già compiuto i 70 anni, e quindi oggi la IV commissione non potrà far altro che disporre la pratica e inviarla al Plenum, che la voterà già la prossima settimana. In realtà, si tratta solo di procedimenti formali: di fatto, Marra può considerarsi già in pensione e, soprattutto, può considerare decaduti i procedimenti a suo carico aperti anche dalla Sezione Disciplinare del Csm. Quattro anni fa, nel 2006, Marra aveva chiesto e ottenuto di poter restare in servizio sino ai 75 anni: ora quella delibera sarà revocata per permettere al magistrato di andare via. L’ormai ex presidente della Corte d’Appello di Milano avrebbe dovuto essere ascoltato proprio ieri dalla Prima Commissione di Palazzo dei Marescialli, che aveva aperto nei suoi confronti una procedura di trasferimento d’ufficio per incompatibilità

ambientale. Contestazioni legate alle pressioni che sarebbero state esercitate per la sua nomina al vertice della Corte d’appello di Milano da parte di uno dei componenti della P3, Pasquale Lombardi, e del sottosegretario alla Giustizia Giacodo mo Caliendo. Marra infatti venne nominato dal Csm presidente di Corte d’appello il 3 febbraio 2010, con una maggioranza di 14 voti contro 12. Proprio di questa nomina parla al telefono Lombardi con Arcangelo Martino, un altro degli indagati per l’inchiesta sulla P3: «Allora – dice Lombardi – abbiamo fatto il presidente della corte d’appello… è tutto a posto». Nella lettera recapitata al Csm, Marra ha prima ribadito di «non essere mai venuto meno ai miei doveri». Ostentando, poi, una convinzione: «Il tempo ristabilirà la verità». Per quanto riguarda le sue dimissioni, Marra specifica che è scaturita dal timore che «nella situazione creatasi, la mia permanenza alla presidenza della Corte d’Appello di Milano possa incidere sul buon andamento dell’amministrazione giudiziaria e sull’attività degli organi di autogoverno ». Marra, con «sgomento », ma anche amarezza, fa notare poi come il Csm abbia aperto la procedura di trasferimento nei suoi confronti «fuori dai casi previsti dalla legge», sottolineando di aver sempre agito con «disciplina ed onore». Nel suo intervento, Davigo ha lanciato l’allarme che questo modo di procedere del Consiglio superiore possa determinare lesioni all’ «indipendenza individuale dei magistrati» e possa finire per consegnare le decisioni sul destino dei giudici nelle mani della giustizia amministrativa. Nemmeno 20 giorni fa, 200 magistrati di Milano in una riunione indetta dall’Anm, avevano chiesto a Marra di fare un passo indietro, lasciando la poltrona che occupava dal 3 febbraio scorso. Un invito rimasto inascoltato fino a ieri.

Anche su Terra

22 ottobre 2010

Dissesto, allarme dei geologi. L’esempio positivo della Basilicatadi Raffaele Langone

Il dato è tratto dal primo “Rapporto sullo stato del territorio italiano” realizzato dal centro studi del Consiglio nazionale dei Geologi (Cng), in collaborazione con il Cresme. Quanto al rischio

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sismico, riguarda il 50% del territorio e l’89% dei comuni. Un dissesto costato oltrre 213 miliardi di euro dal dopoguerra a oggi. Le classifiche del pericolo regione per regione su La Repubblica La logica vorrebbe che si adottassere misure preventive rivenienti da ricerche e studi in grado di suggerire e razionalizzare i necessari interventi di tutela dei territorio.. ma l’impressione che si ha è che non freghi una mazza a nessuno .. o quasi. Al disinteresse generale su questo broblema, sia nazionale che delle istituzioni regionali, c’è per fortuna una felice eccezione: La regione Basilicata

In BASILICATA  hanno dimostrato con i fatti di avere su questo tema maggiore sensibilità.. Per due anni la Regione Basilicata osserverà le principali frane che interessano l’intero territorio regionale e ne valuterà la possibile evoluzione, sulla base di ipotetici regimi climatici futuri. Scopo di questo monitoraggio è di anticipare le azioni di tutela e conservazione… del territorio, degli insediamenti e del Patrimonio Culturale. E’ quanto prevede una convenzione, approvata dalla Giunta regionale, con due Istituti del Cnr: l’Istituto Beni Archeologici e Monumentali di Tito Scalo – Potenza e l’Istituto inquinamento Atmosferico di Monterotondo – Roma.“ La convenzione, commenta l’assessore all’Ambiente Agatino Mancusi, consentirà alla Regione di dotarsi di un avanzato ed inedito strumento di conoscenza delle dinamiche di trasformazione del territorio in relazione al suo tessuto insediativo ed alle condizioni climatiche locali e regionali. Per l’ampio spettro di fenomeni che verranno censiti e monitorati – aggiunge Mancusi – il progetto, costituirà nel tempo un’imprescindibile base di conoscenza del territorio e di aggiornamento degli strumenti di Pianificazione urbanistica e Paesaggistica e di programmazione dell‘Emergenza”. Responsabili scientifici del progetto sono Maurizio Lazzari per l’Istituto Beni Archeologici e Monumentali di Tito Scalo – Potenza e Antonello Pasini per l’Istituto inquinamento Atmosferico di Monterotondo – Roma. Speriamo che altre regioni seguano l’esempio della Basilicata. !!!

20 ottobre 2010

Sei milioni di italiania rischio idrogeologicodi Paolo Borrello

Sono circa 6 milioni gli italiani che abitano nei 29.500 chilometri quadrati del nostro territorio

considerati ad elevato rischio idrogeologico. Lo evidenzia il primo rapporto sullo stato del territorio italiano realizzato dal centro studi del Consiglio nazionale dei Geologi (Cng), in collaborazione con il Cresme. 1.260.000 edifici sono a rischio frane e alluvioni. Di questi oltre 6.000 sono scuole, mentre gli ospedali sono 531. Le principali conclusioni del rapporto sono contenute in un articolo pubblicato nella versione on line de “La Repubblica”:

“E’ ‘un’Italia dal territorio fragile – spiega il presidente del consiglio dei geologi, Pietro Antonio De Paola -. Le aree a elevata criticità idrogeologica rappresentano il 10% della superficie italiana e riguardano l’89% dei comuni’. C’è poi l’elevato rischio sismico, che riguarda ‘circa il 50% dell’intero territorio nazionale e il 38% dei comuni’. ‘E’ chiaro – sottolinea De Paola – che con queste cifre la tutela della popolazione, il risanamento idrogeologico e la messa in sicurezza del patrimonio da eventi disastrosi diventano prioritari per il paese. Per questo è necessario che cresca la consapevolezza degli amministratori locali e della politica’. Il rapporto stila una sorta di ‘classifica’ delle regioni a più alto rischio idrogeologico. Al primo posto l’Emilia Romagna, con 4.316 chilometri quadrati di superficie esposta. A seguire il Piemonte (3.097 chilometri quadrati), la Campania (2.598), la Toscana (2.542), la Lombardia (2.114) e il Trentino-Alto Adige (1.653). Il Lazio ha 1.309 chilometri quadrati a rischio, mentre la Liguria è la regione meno a rischio con ‘soli’ 470 chilometri. In queste aree sono esattamente 1,26 milioni gli edifici a rischio, di cui circa 6.000 scuole e 531 ospedali. Ben il 19% della popolazione residente nella aree critiche vive in Campania.

Cambiano le posizioni, ma è ugualmente allarmante la classifica di chi è a elevato rischio terremoti. I comuni italiani interessati sono 725, contro i 2.344 inseriti nella lista di quelli a rischio medio. Nel primo gruppo risiedono 3 milioni di abitanti e sono presenti 6,3 milioni di edifici per 12,5 milioni di abitazioni. La regione italiana con la maggior superficie esposta al rischio elevato è la Sicilia con 22.874 chilometri quadrati e quasi 1,5 milioni di edifici, tra cui 4.856 scuole e 390 edifici ospedalieri. Seguono la Calabria (15.081 chilometri, 719.481 edifici, 3.130 scuole e 189 ospedali), la Toscana (14.408 chilometri, 563.501 edifici, 2.864 scuole e 248 ospedali), la Campania (12.319 chilometri, ben 865.778 edifici di cui 4.608 scuole e 259 ospedali) e il Lazio (10.344 chilometri, 517.508 edifici, di cui 2571 scuole e 249 ospedali).

L’Emilia Romagna ha 7.203 chilometri esposti e 329.591 edifici coinvolti, di cui 1.650 scuole e 196 edifici ospedalieri. Abruzzo e Umbria, dove si sono verificati i due più recenti e drammatici terremoti, hanno, rispettivamente, 9.032 e 6.814 chilometri quadrati ad alto rischio, una superficie in termini assoluti più bassa di tante altre regioni, ma proporzionalmente molto più alta. Completamente esenti da rischio elevato solo la Valle d’Aosta, la Sardegna e il Trentino-Alto Adige.

L’ultima parte del rapporto è dedicata ai costi per il dissesto idrogeologico e dei terremoti in Italia dal dopoguerra ad oggi. Secondo Cng e Cresme, superiori ai 213 miliardi di euro il costo, poco più di 27 i miliardi investiti dal 1996 al 2008ʺ″.

Ha ragione il presidente dei geologi a sostenere che “il risanamento idrogeologico e la messa in sicurezza del patrimonio da eventi disastrosi diventano prioritari per il paese. Per questo è necessario che cresca la consapevolezza degli amministratori locali e della politica”. Ma fino ad ora questa consapevolezza è stata del tutto insufficiente. Lo dimostrano ampiamente gli eventi, appunto “disastrosi”, che si sono verificati e che continuano a verificarsi.

18 ottobre 2010

Rostagno. I sospetti a due passi dalla Corte d’Assisedi Rino Giacalone

E’ l’ultimo passaggio, poi toccherà alla Corte di Assise di Trapani. La richiesta di rinvio a giudizio per l’omicidio del sociologo e giornalista Mauro Rostagno, 26 settembre 1988, è stata firmata dal procuratore aggiunto della Dda di Palermo Antonio Ingroia e dal pm Gaetano Paci, è adesso alla cancelleria del gup che deve fissare la data dell’udienza dove citati a comparire sono due indagati, ambedue ergastolani e mafiosi conclamati, Vincenzo Virga, capo mafia di Trapani, accusato di essere il mandante e Vito Mazzara, uomo d’onore di Valderice e Custonaci, campione di tiro al piccione come lui amava definirsi, accusato di essere uno degli esecutori materiali del delitto, il “capo banda”, altri due sarebbero stati ai suoi ordini per questo omicidio, i sospettati sono Nino Todaro e Salvatore Barone (rimasti però fuori

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dalla richiesta) seguendo anche in questo un rituale che ha portato gli investigatori della Squadra Mobile e gli esperti di balistica a sovrapporre l’omicidio Rostagno con altri delitti di mafia per i quali è stata processualmente accertata con sentenze definite la responsabilità di Mazzara. Il processo in Corte di Assise a Trapani se il gup accoglierà la richiesta di rinvio a giudizio dovrebbe cominciare non prima della prossima primavera, quando nel frattempo saranno trascorsi 23 anni da quel delitto che la mafia voleva che restasse al buio non scoperto. Per la verità non solo Cosa Nostra. Questo viene da pensare a guardare quello che è successo in tutti questi anni attorno e dentro alle indagini, “episodi “anomali” e “devianti” – scrivono i pm – ogniqualvolta le indagini hanno avuto un’accelerazione lungo direttrici “promettenti”, l’idea che vi siano state intenzioni depistanti, perfino anche istituzionali, diviene più di un sospetto”. Cosa Nostra ma non solo Cosa Nostra, un ritornello che si ripete in una canzone carica dolori e amarezze. La mafia uccise quel 26 settembre 1988 Mauro Rostagno, perché era una “camurria” come avrebbe detto Totò Riina, perché parlava troppo e male della mafia e dei suoi affari, “rompeva” come avrebbe sostenuto il capo della cupola del tempo, il “campiere” belicino don Ciccio Messina Denaro,l’uomo che ha passato il testimone mafioso al figlio, latitante Matteo, il boss che ha inventato la mafia sommersa e imprenditoriale dopo avere insanguinato mezza Italia e piazzato bombe per portare lo Stato a trattare. La mafia uccise Mauro Rostagno perché qualcuno forse suggerì a chi di dovere quali erano le sue intenzioni a proposito di informazioni da rendere al suo “popolo” televisivo dagli schermi di Rtc, la tv privata trapanese di proprietà di un imprenditore, Puccio Bulgarella che alcuni mafiosi li conosceva bene, come Angelo Siino, l’ex ministro dei Lavori Pubblici di Totò Riina. Cosa poteva andare a dire in tv Rostagno? Gli strani movimenti di aerei nell’aeroporto ufficialmente dismesso di Kinisia, vicino Birgi dei quali hanno parlato alcuni testimoni. Oppure altro: giusto in quei giorni mafia, politica e impresa a Trapani erano riusciti a mettere su un tavolino di spartizione di affari e appalti con la mediazione della massoneria. Suggeritori rimasti nell’ombra.Di mezzo poi soggetti con ruoli ambigui rimasti tuttavia giudiziariamente indenni, come l’”amico” Cicci Cardella. Di Francesco Cardella i pm negli atti depositati scrivono: “…originariamente iscritto dalla Procura di Trapani solo per favoreggiamento, e poi anche per concorso in omicidio, essendo emersi a carico dello stesso elementi di un certo

spessore indiziario, che, pur non essendo mai assurti ad un grado di gravità tale da giustificarne una formale incriminazione mediante l’adozione provvedimenti cautelari o l’esercizio dell’azione penale, d’altra parte non sono mai venuti del tutto meno, neppure alla fine di una pur prolungata attività investigativa di verifica”. Insomma i sospetti c’erano ma non sono diventate prove. I pm aggiungono: “La radicalizzazione dei contrasti fra Mauro Rostagno ed il Cardella, per ragioni mai del tutto chiarite, proprio negli ultimi mesi di vita del Rostagno; l’inverosimiglianza delle versioni fornite in momenti diversi dal Cardella medesimo, più volte contraddette da elementi logici e da risultanze obiettive; le gravi perplessità sorte perfino sulla versione fornita da Cardella circa i suoi movimenti nella sera del delitto; il giro di affari e movimenti finanziari emersi attorno alle molteplici attività del Cardella, che apparivano non incompatibili con la ricostruzione fornita da taluni testimoni, sono stati tutti elementi indiziari, oggetto di lunghi ed approfonditi accertamenti, che non hanno consentito di giungere a definitive conclusioni, né nel senso della loro totale infondatezza, né della loro conducenza probatoria”.Nel maggio di due anni addietro si arrivò all’ordinanza contro Virga e Mazzara – titolare con la moglie a Valderice di una gioielleria che si racconta fu inaugurata il pomeriggio del 19 luglio 1992 mentre a Palermo si faceva strage del giudice Borsellino e della sua scorta -  grazie ai risultati di una perizia balistica condotta dal gabinetto di Polizia Scientifica, si riscontrò che i proiettili usati negli omicidi per i quali Mazzara era stato condannato erano stati tutti caricati alla stessa maniera e che Mazzara usava un trucco per tentare di renderli non comparabili. Il tribunale del riesame bocciò questa ricostruzione, ma adesso alla richiesta di rinvio a giudizio i pm sono giunti a seguito di una nuova super perizia cui hanno partecipato ancora gli esperti della scientifica della Polizia e il prof. Livio Milone. E con un nuovo verbale di accuse, quelle del pentito di Paceco Francesco Milazzo che è stato più chiaro nel ricordo e sul fatto che ad ammazzare Rostagno fu Mazzara per conto della mafia trapanese agli ordini di Virga. “Rostagno dava fastidio a tutta Cosa Nostra! Il “via” per l’omicidio è certamente partito dalla Provincia, perché Rostagno nelle sue trasmissioni ha “toccato” qualche nome importante della Provincia”.Un delitto lontano nel tempo ma il cui processo permetterà di aprire finestre su scenari siciliani e trapanesi mai del tutto chiariti. Nel 1988 mentre si

diceva che la mafia a Trapani non esisteva, c’era e c’erano le collusioni, i comitati di affari, le mazzette pagate dalle imprese a politici e mafiosi, c’era la massoneria deviata e i servizi segreti giravano per la provincia forse non sempre stando dalla parte dello Stato. C’erano le navi cariche di veleni tossici che venivano affondate nei nostri mari e c’erano gli aerei che scaricavano droga e caricavano armi per conto di intelligence e mafiosi in società. Questo hanno raccontato molti pentiti. Questo può avere scoperto Rostagno, finendo ammazzato. La società lo ha pianto per poco tempo, lasciando per 22 anni il compito solo ad un pugno di suoi amici, arrivando anche a calpestare l’onore dei suoi familiari, finendolo con il dimenticare: d’altra parte si tratta di quella stessa società risultata spesso poco solidale coi giornalisti scomodi. La stessa società che oggi solo in apparenza si mostra diversa.

ANTIMAFIAduemila

21 ottobre 2010

Coordinamento sito webDenise FasanelliPietro OrsattiGiuliano Rosciarelli

Gruppo di lavoro e collaborazioni “organizzate”Anna Ferracuti, Massimo Scalia, SebastianoGulisano, Vincenzo Mulé, Sabrina Provenzani,Gabriele Corona, Eleonora Mastromarino, MarcoStefano Vitiello, Imd, Aldo Garzia, Emilio Vacca,Luigi De Magistris, Paolo Cento, Emilio Grimaldi,Salvo Vitale, Paride Leporace, Pino Maniaci,Giovanni Vignali, Alessio Melandri, Pino Masciari,Saskia Schumaker, Giulio Cavalli, Laura Neto,Marco Barone, Pietro Nardiello, Stefano Montesi,Alessandro Ambrosin, Nello Trocchia, RaffaeleLangone, Paolo Borrello, Mila Spicola, FrancescoSaverio Alessio, Riccardo Orioles e...altre 312 persone che hanno pubblicato econtinuano a pubblicare contenuti sulla nostrapiattaforma

PartnershipAntimafia Duemila, Global Voices, Cometa,MegaChip, Ucuntu, Rassegna.it, Agoravox.Dazebao, You Capital, CrisiTv, Il carrettino delleideeper informazioni [email protected]

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L A S E T T I M A N A D E G L I I T A L I A N I

20 4/10 ottobre 2010

Leopardi

Che fai tu, LUNA, in ciel? oR DImmi, che fai,

Silenziosa luna? […]

Ancor non sei tu paga […]

Mille cose sai tu, mille discopri,

Che son celate al semplice pastore….

Parassita del ciBresso (2)

Qualche Cota ci guadagna sempre, dal praticar persone ricche e potenti

Fregata (uccello dell’isola di Antigua)

Tale da consiglio altrui per uno SCUDO, che nol torrebbe per un quattrino

Antigue Alsophis (Antigua Racer Snake – raro serpente corridore)

Chi ha denari da recuperare, molti viaggi deve fare

Porcèddu

Villano affamato è mezzo arrabbiato

Muflone sardo

Su pastore timet pius su mozzone chi non su ladrone

(Il pastore teme più la volpe che non il ladro)

Retrovirus

Il LODO proprio, puzza

TERZo cIGNO

“Tenimme’e mmane a posto!” dicette a cozzeca a’u purpo

(“Teniamo le mani a posto!” disse la cozza al polpo)

BERTuccia cOn il Lungo nASO

Nun fa o’ vallo ‘ncoppa ‘a munnezza

(Non fare il gallo sull’immondizia)

sanTORO

Contra i pinsìr un gran rimèdi l’è e’ bichir

(Contro i pensieri, gran rimedio è il bicchiere)

MAStIno

Il savio non è mai solo: chi va coi savi diventa Saviano

FIOrMiche (uscite dalla tana il 16 ottobre)

[…]tante FIOrMiche che vengono in aiuto di altre FIOrMiche /Crescendo ogni minuto/In lieto fermento/Diventano già/Cento FIOrMiche /Schierate in lunga fila/Son mille, duemila/Son tutte le FIOrMiche/Che esistono […] Corrono/e TRE MONTI smuovono/E insieme esistono/Lottano/e TRE MONTI smuovono/E insieme esistono/Vincono/e TRE MONTI smuovono/E insieme siiii….

a cura di Sonia Ferrarottiwww.soniaferrarotti.wordpress.com

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