GLI ISTITUTI DEFLATTIVI DEL CONTENZIOSO...

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GLI ISTITUTI DEFLATTIVI DEL CONTENZIOSO TRIBUTARIO Franco Carmine Latti Agenzia delle Entrate, Direttore Regionale della Liguria Lerici, 16 aprile ’10 Direzione Regionale della Liguria

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GLI ISTITUTI DEFLATTIVI DEL

CONTENZIOSO TRIBUTARIO

Franco Carmine Latti Agenzia delle Entrate, Direttore Regionale della Liguria

Lerici, 16 aprile ’10

Direzione Regionale della Liguria

Franco Carmine Latti – Agenzia delle Entrate, Direttore Regionale della Liguria

Gli istituti deflattivi del contenzioso tributario – Convegno Lerici, 16 aprile ’10

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I diversi strumenti deflattivi

Il legislatore, in particolare a partire dal 1997, ha ritenuto di affermare in maniera sempre più chiara la necessità della collaborazione e del contraddittorio nel rapporto tra Fisco e contribuente.

Ciò per rendere meno distante la fase del controllo da quella della effettiva riscossione delle imposte evase, ma anche per essere maggiormente in linea con le disposizioni contenute nello Statuto del contribuente e per assicurare il giusto equilibrio tra la pretesa erariale, da un lato, i diritti del contribuente e l’ effettiva capacità contributiva, dall’altro.

Questi sono i motivi per i quali il legislatore, con i cosiddetti istituti deflattivi del contenzioso, in tutti i casi nei quali il contribuente, trovandosi in una situazione di lite potenziale con gli Uffici, rinuncia al contenzioso e versa l’imposta, ha ritenuto di abbassare l’entità delle sanzioni e di concedere altri vantaggi, compresa una piccola copertura verso possibili futuri accertamenti, permettendo peraltro il pagamento dilazionato delle somme dovute.

I principali strumenti deflattivi del contenzioso tributario sono quattro e si possono così specificare

1) Acquiescenza (art. 15, D.Lgs. n. 218 del 1997)

2) Accertamento con adesione (art. 1 e segg., D.Lgs. 218/1997)

3) Definizione agevolata delle sanzioni (art. 17, D.Lgs. n. 472/1997)

4) Conciliazione giudiziale (art. 48, D.Lgs. n. 546/1992)

I primi tre strumenti operano in ambito ancora amministrativo, mentre invece la conciliazione giudiziale esplica efficacia in una fase successiva definita giudiziale (in quanto, in estrema sintesi, la conciliazione giudiziale ha come presupposto l’avvio di un contenzioso tributario)

Ai quattro strumenti deflativi tradizionali si sono di recente aggiunti due nuovi istituti riconducibili all’interno della più ampia tipologia dell’ accertamento con adesione (stante l’inserimento delle norme regolatrici dei due nuovi istituti all’interno del D.Lgs. 218/1997):

� Adesione ai processi verbali di constatazione (prevista dal D.L. 112/2008 – introduzione del comma 1-bis all’articolo 5 del D.Lgs. 218/1997)

� Adesione al contenuto dell’invito al contraddittorio (prevista dal D.L. 185/2008 – introduzione del nuovo articolo 5-bis al D.Lgs 218/1997)

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L’Accertamento con adesione Lineamenti generali, peculiarità , effetti premiali

E’ il più rilevante strumento deflattivo e si tratta di un istituto che, con diverse forme e appellativi (“concordato tributario”, “concordato fiscale”, “concordato a regime”) ha origini piuttosto lontane essendo stato introdotto nel nostro ordinamento giuridico già agli inizi del secolo scorso, ma di cui negli anni più recenti si è cercato di potenziare l’efficacia, coerentemente alla volontà di creare un rapporto fisco-contribuente meno conflittuale e di ridurre il contenzioso, anche per bilanciare i maggiori poteri di accertamento presuntivo via via riconosciuti agli Uffici.

E’ in sostanza un procedimento mediante il quale si addiviene ad una definizione dell’accertamento concordata in sede di contraddittorio con il contribuente, che è invitato dall’Ufficio o presenta istanza dopo aver ricevuto la notifica di un avviso di accertamento..

Il contraddittorio è la fase fondamentale dell’intero procedimento e nel suo ambito viene alla luce una componente discrezionale dispositiva (definita come discrezionalità tecnico-giuridica) in quanto la fondatezza della pretesa tributaria deve essere valutata alla luce delle obiezioni che può muoverle il contribuente, in particolare in relazione a quelle “fattispecie che si prestano a opinabili valutazioni in ordine alla loro effettiva sussistenza” 1.

Nel contraddittorio, quindi, l’Ufficio ha il compito di perseguire l’interesse erariale non necessariamente massimizzando la quantità della pretesa, bensì rendendola maggiormente fondata e acquisibile con certezza.

Naturalmente, anche a garanzia della inesistenza di qualsiasi possibilità di abusi e favoritismi, la procedura di adesione deve essere trasparente (verbalizzazione per iscritto dei contraddittori col contribuente, compiuta motivazione degli atti) come più volte espressamente ribadito dall’ Agenzia delle Entrate nei suoi interventi di prassi2.

Il procedimento deve ritenersi concluso positivamente tutte le volte che, al termine del contraddittorio il contribuente e l’ufficio pervengono ad una uniforme valutazione in ordine alla definizione dell’obbligazione tributaria (anche laddove il contribuente accetti integralmente le rettifiche proposte dall’Ufficio).

1 Corte dei Conti, sezione giurisdizionale Sicilia, sentenza 16 marzo 2005. 2 “La gestione di ogni fase del procedimento di adesione deve essere improntata al principio di trasparenza

sancito dalla legge 7 agosto 1990, n. 241, garantendo l'intelligibilita' di tutti i percorsi procedurali e motivazionali effettuati dagli Uffici (Circolare n. 65 del 28/06/2001)

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L’istituto dell’accertamento con adesione, nell’attuale versione, trova la sua fonte normativa nell’articolo 3, comma 120, della legge 662 del 1996 che conferiva delega al governo per una revisione dell’istituto dell’accertamento con adesione del contribuente all’epoca disciplinato dagli artt. 2 bis e 2 ter del D.L.n. 564 del 1994.

La citata delega dettava in modo articolato i principi ispiratori della predetta revisione dell’accertamento con adesione con l’obiettivo di superare alcuni problemi interpretativi ed operativi, eliminare alcune lacune della disciplina prevista dal D.L. n. 564 e ampliare l’ambito soggettivo e oggettivo di applicazione dell’istituto.

In esecuzione del dettato normativo di cui al citato articolo 3, comma 120, della legge 23 dicembre 1996 n. 662, è stato emanato il D.lgs. 218/1997.

Il decreto realizza sia l’ampliamento dell’ambito di applicazione dell’istituto dell’accertamento con adesione, assumendo come parametro di riferimento la conciliazione giudiziale, sia il superamento di alcuni problemi interpretativi ed operativi

I soggetti interessati

Le disposizioni contenute nel D.Lgs. 218 del 1997 hanno esteso la possibilità di definizione, in contraddittorio con l’ufficio, a tutti i contribuenti e con riferimento a tutte le categorie reddituali possedute dai medesimi.

Per effetto di tale previsione si è coordinata la disciplina dell’accertamento con adesione con quella della conciliazione giudiziale che consente che tutte le controversie possono formare oggetto di conciliazione giudiziale dinanzi alla Commissione provinciale, indipendentemente dalle caratteristiche del soggetto di imposta.

Risulta quindi superata la limitazione originariamente contenuta nel D.L. n. 564/94, per la quale i soggetti interessati al concordato erano esclusivamente i contribuenti titolari di reddito d’impresa, di lavoro autonomo o di partecipazione in qualità di soci di società di persone o di associati di associazioni professionali.

Nell’ambito dell’attuale nuova versione dell’istituto, sono quindi compresi i seguenti soggetti

� persone fisiche, imprenditori e non; � società di persone ed equiparate di cui all’art. 5 del TUIR � società di capitali ed enti di cui all’art. 87 del medesimo testo unico

L’articolo 2, comma 7, prevede anche che le norme concernenti la definizione degli accertamenti con adesione si applicano, in quanto compatibili, anche ai sostituti di imposta.

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Le cause ostative

L’attuale configurazione dell’accertamento con adesione non prevede alcuna causa ostativa alla definizione e non sono più previste le fattispecie preclusive che invece, in vigenza dei precedenti istituti, inibivano la proposta di accertamento con adesione (omessa presentazione della dichiarazione dei redditi, presentazione di dichiarazione nulla, dichiarazione non sottoscritta dal contribuente, sussistenza dell’obbligo di denuncia all’autorità giudiziaria per i reati di cui all’art. 1, comma 1, art. 2, comma 3, artt. 3 e 4 della legge n. 516/1982).

Ciò costituisce indubbiamente un incentivo al concordato, soprattutto in relazione al superamento della preclusione operante in caso di sospetto illecito penale, fermo restando che l’ammissione al procedimento è cosa diversa dal raggiungere un accordo con l’amministrazione.

Imposte definibili

La natura del reddito dichiarato dal contribuente non assume alcuna rilevanza ai fini della possibilità di definizione, a differenza di quanto disposto dall’art. 2 bis del citato D.L. n. 564, che consentiva il concordato con riferimento esclusivo a specifici elementi (esistenza, stima, inerenza e imputazione a periodo) che caratterizzano la determinazione del reddito di impresa e di lavoro autonomo.

Possono essere perciò definiti oltre ai redditi di impresa e di lavoro autonomo, anche quelli di lavoro dipendente, di capitale, i redditi fondiari e i redditi diversi.

Ciò in linea teorica, poiché, come indicato già nella Circolare n. 235/E del 1997 con la quale l’Amministrazione finanziaria illustrando il contenuto del D.Lgs. 218/97 ha fornito le prime istruzioni operative agli Uffici, “assumono peraltro prioritaria rilevanza le posizioni interessate dall'applicazione di metodologie induttive di accertamento e, comunque, dalla presenza di elementi suscettibili di apprezzamento valutativo”

La mancata previsione normativa di parametri cui informare l’adesione e l’ampliamento dell’ambito di applicazione dell’istituto non devono pertanto portare a ritenere che tutte le fattispecie, anche quelle nelle quali l’esistenza dell’obbligazione tributaria è determinabile sulla base di elementi certi, possano essere oggetto di transazione con il contribuente.

Rientrano tra le imposte definibili il contributo al servizio sanitario nazionale e l’imposta regionale sulle attività produttive.

Tipologie di accertamento definibili

Le principali fattispecie suscettibili di definizione, sulla base delle osservazioni sopra indicate sono le seguenti:

� rettifiche induttive di cui all’art. 39, primo comma, lett. d), del DPR 600/1973 e dell’art. 54, secondo comma, del DPR 633/1972 (rettifiche relative al reddito

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di impresa delle persone fisiche basate anche su presunzioni semplici, purchè queste siano gravi, precise e concordanti);

� accertamenti induttivi di cui all’art. 39, secondo comma, del DPR 600/1973 e dell’art. 55 del DPR 633/1972 (cosiddetti accertamenti induttivi extra-contabili)

� rettifiche delle dichiarazioni presentate dalle persone fisiche basate su presunzioni semplici di cui all’art. 38, terzo comma, del DPR 600/1973

� accertamenti sintetici, ex art. 38, quarto comma, del DPR 600/1973

� accertamenti d’ufficio di cui all’art. 41 del DPR 600/1973 nei casi di omessa presentazione della dichiarazione dei redditi

� accertamenti fondati sugli studi di settore o sui parametri

� atti di accertamento basati su valutazioni estimative da parte dell’ufficio, ovvero dall’UTE o da altri organi tecnici

� accertamenti basati su una diversa qualificazione del reddito, ovvero di componenti di esso (es. inquadramento di talune spese sostenute dall’impresa tra quelle di pubblicità o di rappresentanza)

� accertamenti nei confronti di sostituti di imposta relativamente ad un ammontare complessivo induttivamente determinato di compensi

Possono formare oggetto di contraddittorio anche le situazioni in cui si controverte sulla ricorrenza di nozioni (ad esempio l’inerenza) che, lasciando margini di apprezzamento all’ufficio, sono suscettibili di elementi di valutazione offerti dal contribuente.

Gli effetti dell’adesione ai fini IVA e in materia previdenziale e assistenziale

Ai sensi dell’art. 2, comma 1, del D.Lgs. 218/97 le definizione delle imposte sui redditi ha effetto anche per l’imposta sul valore aggiunto, relativamente alle fattispecie per essa rilevanti.

In via generale, pertanto, l’atto di definizione è unitario , coinvolgendo le due imposte (sui redditi e sul valore aggiunto) gravanti normalmente sul risultato dell’attività economica esercitata dai soggetti passivi, ma se la definizione concerne elementi rilevanti ai soli fini delle imposte sui redditi, il maggior imponibile definito non esplica alcun effetto ai fini IVA

Il citato articolo 2 , comma 1, del decreto legislativo in oggetto stabilisce regole precise per la determinazione dell’aliquota media da applicare ai maggiori componenti positivi di reddito oggetto di definizione e rilevanti ai fini IVA, fermo restando che l’applicazione dell’aliquota media ha ragione di essere con riferimento a definizioni relative ad accertamenti di tipo presuntivo nell’ambito dei quali risulta impossibile individuare l’aliquota IVA.

E’ importante evidenziare che pur essendo possibile definire con adesione anche fattispecie rilevanti ai soli fini dell’IVA (ultimo periodo del citato art. 2 comma 1)

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difficilmente l’istituto dell’ adesione, per sua natura, potrà trovare applicazione in relazione a controversie relative all’aliquota applicabile.

La definizione produce effetti in materia previdenziale e assistenziale (art. 2 comma 3 del D.Lgs. 218/97)

Sulle maggiori somme dovute ai fini previdenziali e assistenziali, non si applicano sanzioni e interessi (art. 2, comma 5, ultimo periodo del decreto legislativo in esame)

E’ importante evidenziare che la definizione dell’accertamento con adesione non elimina l’obbligo di conservazione delle scritture e dei documenti contabili relativi all’esercizio oggetto dell’accertamento

Gli aspetti premiali dell’adesione

Gli effetti premiali dell’istituto investono diversi profili:

� Effetti sul profilo sanzionatorio

L’obiettivo del legislatore è stato quello di introdurre un incentivo all’adesione attraverso una mitigazione degli effetti sanzionatori che fosse maggiormente premiale rispetto alle altre possibilità offerte al contribuente.

L’art. 2 comma 5 del decreto legislativo 218/97 prevede che a seguito della definizione dell’accertamento, le sanzioni per le violazioni concernenti i tributi oggetto dell’adesione commesse nel periodo di imposta, nonché per le violazioni concernenti il contenuto delle dichiarazioni relative allo stesso periodo si applicano nella misura di un quarto del minimo edittale

E’ importante specificare che solo nell’accertamento con adesione si prevede l’applicazione delle sanzioni nella misura di ¼ del minimo previsto dalla legge, negli altri isituti deflattivi ci si riferisce invece all’applicazione delle sanzioni nella misura di ¼ dell’irrogato (acquiescenza e definizione agevolata delle sanzioni) e pari a 1/3 dell’irrogato nella conciliazione giudiziale

Giova inoltre ricordare che nell’accertamento con adesione a differenza degli altri strumenti deflattivi non esiste un limite inferiore al di sotto del quale non si può scendere con la riduzione delle sanzioni

� La circostanza attenuante per i reati fiscali

Tale effetto premiale è da ricollegare a quanto previsto dall’art. 13 del D. Lgs. 74/2000: riduzione a metà delle sanzioni penali e inapplicabilità delle sanzioni accessorie previste dallo stesso decreto (art. 12) se, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado (requisito temporale), i debiti tributari (comprese le sanzioni amministrative) sono estinti mediante pagamento, anche a seguito delle speciali procedure conciliative o di adesione

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� Le limitazioni all’ulteriore azione accertatrice

Gli effetti dell’accertamento con adesione sono rilevanti, in quanto l’amministrazione finanziaria non può più intervenire a modificare il reddito accertato o concordato, mentre il contribuente non può più impugnarlo.

In via generale, il perfezionamento dell’atto di adesione, impedisce l’esercizio dell’ulteriore azione accertatrice da parte degli uffici.

Non si tratta però di un divieto assoluto poiché si è cercato di contemperare l’interesse dei contribuenti a chiudere “la partita” con il fisco per un determinato periodo di imposta con l’interesse pubblico a recuperare a tassazione macroscopiche forme di evasione non percepibili al momento dell’adesione o a proseguire l’azione accertatrice quando l’atto posto a base della definizione abbia per sua natura effetti solo parziali.

L’ulteriore azione accertatrice andrà esperita sempre nel rispetto dei termini di cui all’art. 43 del DPR 600/1973 e dell’art. 57 del DPR 633/1972 ed è ammessa solo nei seguenti casi:

� sopravviene la conoscenza di elementi che consentono l’accertamento di un maggior reddito superiore al 50% di quello definito e comunque non inferiore a 77.468,53 euro (si tratta di condizioni che devono ricorrere congiuntamente )

� l’accertamento definito era “parziale” (accertamenti di cui all’art. 41 bis del DPR 600/1973 e accertamenti di cui all’art. 54, quinto comma , del DPR 63/1972)

� la definizione ha riguardato solo redditi di partecipazione in società di persone, associazioni professionali o aziende coniugali (l’ulteriore azione accertatrice è possibile limitatamente ai redditi diversi da quelli di partecipazione)

� venga accertato, dopo la definizione della posizione personale di un socio (limitatamente ai redditi diversi da quelli di partecipazione), un maggior reddito nei confronti della società , associazione o azienda coniugale di cui il soggetto fa parte.

Inoltre gli ulteriori accertamenti sono sempre possibili, anche in assenza di elementi sopravvenuti, quando l’accertamento “definito” era basato sugli studi di settore (l’ampliamento del potere di reiterare l’accertamento basato sugli studi di settore ha trovato applicazione a partire dagli avvisi di accertamento emanati dal 1 gennaio 2005, anche in riferimento a periodo di imposta precedenti - comma 408 della Legge Finanziaria 2005 che interviene sull’articolo 70 della legge 342/2000)

Ne consegue che dopo un accertamento basato sugli studi di settore definito in adesione è possibile reiterare gli accertamenti nei confronti dello stesso contribuente con minori vincoli di quelli che si incontrano quando l’adesione si riferisce ad atti di accertamento diversi da quelli basati sugli studi di settore.

Tuttavia, come si ribadirà nell’apposito paragrafo, a norma dell’articolo 27 del DL 185/2008, per i contribuenti che aderiscono agli inviti al contraddittorio per accertamenti basati sugli studi di settore relativi alle annualità 2006 e seguenti, è

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stata fissata una franchigia: l’Amministrazione finanziaria non può procedere ad ulteriori accertamenti di tipo analitico - presuntivo, basati su presunzioni semplici, quando i ricavi o compensi non dichiarati sono pari o inferiori al 40% di quelli dichiarati e, comunque, non superiori a 50 mila euro.

Ulteriori effetti ricollegabili all’attivazione e a lla definizione dell’accertamento

Si possono evidenziare, tra le peculiarità dell’istituto, ulteriori condizioni di “favore” per il contribuente, che conseguono alla presentazione dell’istanza, o che attengono alle possibilità di definizione e pagamento concesse dalla norma.

Il “ tradizionale3” procedimento di definizione dell’accertamento può essere attivato, come noto :

� d’ufficio per iniziativa degli Uffici prima della notifica dell’avviso di accertamento (art. 5 comma 1 D.Lgs. 218/97)

oppure

� su istanza del contribuente, subordinatamente all’avvenuta notifica di un avviso di accertamento non preceduto da un invito dell’ufficio nella fase istruttoria o quando nei suoi confronti sono stati effettuati accessi, ispezioni o verifiche (art. 6 D.Lgs. 218/97)

Un importante effetto derivante dalla attivazione del procedimento attraverso la presentazione dell’istanza di accertamento con adesione attiene alla sospensione dei termini di impugnazione, poiché è previsto che il termine per ricorrere avverso il citato atto è sospeso per un periodo di 90 giorni decorrenti dalla data di presentazione dell’istanza.

Il periodo di sospensione si cumula con l’ulteriore termine di sospensione feriale dal 1° agosto al 15 settembre di ogni anno.

In conseguenza di tale disposizione, il contribuente avrà maggior tempo a disposizione per instaurare il contenzioso nel caso in cui non pervenga alla definizione

Per lo stesso periodo di 90 giorni è altresì sospeso il pagamento dell’imposta o della maggiore imposta IVA previsto dall’art. 60, comma 1, del DPR 633/1972 e l’iscrizione a ruolo a titolo provvisorio, in materia di imposte sui redditi, delle imposte relative agli imponibili accertati e ancora non definitivi d cui all’art. 15 del DPR 602/1973.

Per quanto attiene alla definizione del procedimento, secondo quanto stabilito dall’articolo 8 del decreto legislativo 218/97, il procedimento si conclude con un atto

3 In relazione alle novità introdotte dai D.L. 112/2008 e dal D.L. 185/2008 si rinvia ai successivi paragrafi

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scritto di adesione e l’adesione si perfeziona con il pagamento dell’intera somma dovuta o con il pagamento della prima rata e la presentazione della garanzia.

Tra le possibilità concesse al contribuente vi è quindi anche quella di dilazionare il pagamento: 8 rate trimestrali, oppure 12 (se l’imposta è superiore a 51.645,69 euro) con l’applicazione degli interessi legali e con la presentazione di una garanzia per il periodo della dilazione aumentato di un anno

I nuovi istituti:

l’adesione ai verbali di constatazione e la definizione dell’invito a comparire

Come specificato dall’Agenzia nei documenti di prassi emanati in relazione ai due nuovi istituti (Circolare n. 55/2008 e Circolare n. 4/2009) la loro introduzione trova giustificazione nel “dichiarato intento di semplificare la gestione dei rapporti con l’Amministrazione fiscale ispirandoli ai principi di reciproco affidamento, e di agevolare il contribuente mediante la compressione dei tempi di definizione degli accertamenti”.

Il primo istituto (“Adesione ai verbali di constatazione”) è stato introdotto dall’art. 83, comma 18, del D.L. 112/2008 (nuovo articolo 5-bis del D.Lgs. 218/97) e consente al contribuente di definire la pretesa tributaria contenuta all’interno dei processi verbali che legittimino l’Amministrazione finanziaria all’emissione di accertamenti parziali, previsti dagli articoli 41-bis del DPR 600/1973 e dall’art. 54 del DPR 63/1972.

Il secondo istituto (“Definizione degli inviti a comparire”) è stato introdotto dal comma 1 dell’articolo 27 del DL 185/2008 nell’ambito dell’art. 5 del D.Lgs. 218/97 (nuovo comma 1-bis) e estende la facoltà per il contribuente di aderire al contenuto dell’invito a comparire previsto dal comma 1 del medesimo articolo.

In pratica con tale istituto è consentito di definire già prima dell’instaurazione del contraddittorio il rapporto tributario, in materia di imposte sui redditi e di imposta sul valore aggiunto, sulla base degli elementi contenuti nell’invito stesso.

Analogo intervento è stato effettuato nell’articolo 11 del D.Lgs. 218/1997 che disciplina l’accertamento con adesione ai fini delle altre imposte indirette.

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L’ambito applicativo e il momento del perfezionamento

L’Agenzia, con le citate Circolari 55/2008 e 4/2009, ha affermato che i procedimenti previsti dal nuovo comma 1-bis dell’articolo 5 e del nuovo articolo 5-bis rappresentano entrambi “una particolare species” del più ampio “genus dell’accertamento mediante adesione del contribuente”.

I nuovi istituti sono infatti collocati all’interno del D.Lgs. 218/1997 e pertanto l’ambito applicativo coincide con quello della definizione tramite accertamento con adesione.

In tal senso la Circolare n. 4/2009 citata rinvia alle precisazioni contenute nella Circolare n. 235 del 1997, in base alla quale:

� dal punto di vista soggettivo la definizione interessa le persone fisiche, le società di persone e i soggetti ad essa equiparati, le società di capitali e gli enti;

� dal punto di vista oggettivo, può riguardare qualsiasi aspetto dell’accertamento, compresa l’ipotesi di determinazione sintetica del reddito.

Tuttavia i due nuovi istituti si distinguono dal procedimento di accertamento con adesione tout court poiché essi contengono profili innovativi, introdotti dal legislatore per il perseguimento dei principi di semplificazione e di reciproco affidamento

L’assenza del contraddittorio e l’accettazione integrale della pretesa tributaria dei contenuti dell’invito o del processo verbale rappresentano in pratica, gli elementi maggiormente significativi dei nuovi istituti.

I due procedimenti si perfezionano con modalità e termini differenti.

Il procedimento di adesione ai processi verbali consente di definire tutti i rilievi cosiddetti “sostanziali” che fanno emergere materia imponibile ai fini II.DD. e IVA, con la possibilità di definire anche quelle fattispecie per le quali si rendono applicabili le disposizioni in materia di accertamento delle imposte sui redditi (sono escluse le violazioni sostanziali relative a comparti impositivi diversi da quelli espressamente richiamati dall’art. 5-bis del D.Lgs. 218/97 come ad esempio l’imposta di registro), richiede che venga data comunicazione dell’adesione all’Ufficio dell’Agenzia delle Entrate e all’organo che ha redatto l’atto e si perfeziona con la semplice notifica dell’atto di definizione, indipendentemente dal successivo pagamento delle somme dovute.

A tal proposito la Circolare 55/2008 ha comunque chiarito che “in presenza di adesione regolarmente prestata dal contribuente al processo verbale di constatazione, il perfezionamento della definizione deve necessariamente intervenire

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mediante l’emissione dell’atto di definizione dell’accertamento parziale che riflette i contenuti del processo verbale”.

L’istituto dell’adesione ai contenuti dell’invito, che prevede un’ipotesi preclusiva 4che lo rende di fatto alternativo a quello dell’adesione ai processi verbali di constatazione di cui all’art. 5-bis, D.Lgs. 218/97, si perfeziona invece allorquando il contribuente entro il quindicesimo giorno antecedente la data fissata per la comparizione, effettui la comunicazione di adesione e contestualmente provveda al pagamento della prima o unica rata.

Gli effetti dell’adesione: aspetti premiali dei nuovi istituti

Ai fini della valutazione degli effetti delle definizioni in esame si deve aver riguardo al fatto che le disposizioni sono inserite nell’ordinaria disciplina dell’accertamento con adesione.

� Risultano pertanto applicabili le riduzioni delle sanzioni previste per le violazioni relative alla dichiarazione, nonché quelle relative agli obblighi contabili. Dal versante sanzionatorio, però, la definizione dell’invito e la definizione dei verbali consentono una riduzione delle sanzioni pari a 1/8 del minimo edittale, maggiore rispetto a quella ottenibile in sede di adesione . Analogamente a quanto si verifica nell’accertamento con adesione l’istituto del cumulo giuridico opera limitatamente al singolo tributo e al singolo periodo di imposta

� Ulteriore effetto collegato all’istituto della definizione dell’invito attiene alla citata preclusione per l’Amministrazione finanziaria di effettuare accertamenti presuntivi in caso di adesione agli inviti a comparire ai fini degli studi di settore, contenuta nel nuovo art. 10-ter della legge n. 146/1998 (introdotto dall’art. 27, comma 4 , del DL 185/2008).

� La definizione dei verbali e dell’invito presentano anche benefici sotto il profilo

penale analoghi a quelli visti riguardo all’adesione ordinaria. Infatti, nel caso in cui i rilievi contenuti nel processo verbale di constatazione o le violazioni oggetto dell’invito al contraddittorio abbiano determinato la comunicazione della notizia di reato alla competente autorità giudiziaria con l’instaurazione del conseguente

4 Secondo la Circolare n. 4/E, più volte citata “l’accertamento parziale delle imposte o maggiori imposte oggetto di violazioni constatate mediante processo verbale può esser definito solo con l’adesione al detto atto ..e non anche mediante adesione all’eventuale invito al contraddittorio..”

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processo penale, l’estinzione dell’obbligazione tributaria rende operante l’attenuante di cui all’art. 13 del D.Lgs. 74 del 20005.

� Anche per i due nuovi istituti viene concessa al contribuente la possibilità di

optare per il versamento rateale delle somme secondo le disposizioni dell’art. 8 D.Lgs. 218/97. Tuttavia non è necessario prestare garanzia, richiesta invece per l’ordinario accertamento con adesione.

Questo ultimo elemento, collegato al diverso momento previsto dal legislatore ai fini del perfezionamento dei singoli procedimenti di adesione comporta, in caso di mancato pagamento, specifiche conseguenze per ogni tipologia di adesione . � nel procedimento di adesione ordinaria l’Ufficio provvede a escutere la

garanzia prestata nel caso in cui il contribuente ometta il versamento di una delle rate successive alla prima e, solo qualora il garante non adempia all’obbligo di versamento, si provvede all’iscrizione a ruolo delle predette somme a carico del contribuente e del garante stesso.

� nell’ipotesi di adesione all’invito al contraddittorio, l’Ufficio provvede all’iscrizione a ruolo delle rate successive alla prima che il contribuente abbia omesso di versare

� relativamente all’adesione processi verbali, l’iscrizione a ruolo viene effettuata nel caso di omesso versamento delle somme dovute e cristallizzate nell’atto di definizione . Considerata la peculiarità dell’istituto, l’iscrizione a ruolo può avvenire non solo nel caso di pagamento rateale per il recupero delle rate non versate, ma anche relativamente all’intero importo, qualora alla notifica dell’atto di definizione non segua alcun versamento.

Negli ultimi due casi, non essendo prevista nessuna prestazione di garanzia, l’Amministrazione è difatti legittimata a recuperare coattivamente le somme dovute direttamente con l’iscrizione a ruolo.

Come ho ricordato nel corso del mio intervento per l’inaugurazione dell’anno giudiziario 2010, il piano aziendale triennale 2010 – 2012, illustrato dal direttore d’Agenzia dott. Attilio Befera, prevede che : “la gestione del contenzioso tributario rappresenta una fase decisiva dell’attività dell’Amministrazione finanziaria, costituendo la sede in cui si consolidano gli accertamenti e le posizioni interpretative contenute nelle circolari, nelle risoluzioni e nelle risposte agli interpelli. Il riconoscimento in giudizio della sostenibilità della pretesa erariale incrementa,

5 Al riguardo, infatti, la circolare n. 154 del 4 agosto del 2000 ha specificato che “In virtù della formula normativa “aperta”, devono ritenersi applicabili tutte le tipologie di definizione dei rapporti tributari, quali l’accertamento con adesione, la conciliazione giudiziale, l’ acquiescenza da parte del contribuente e il ravvedimento, nonché tutte quelle, eventuali, di futura introduzione”

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infatti, la credibilità dell’azione di controllo, creando fiducia nel sistema e incentivando l’adempimento spontaneo degli obblighi tributari, oltre che l’adesione del contribuente agli strumenti deflativi del contenzioso.”

L’Agenzia delle Entrate, e segnatamente gli Uffici del contenzioso, da quest’anno cercheranno, qualora ne ricorrano i presupposti, in linea con le indicazioni fornite dalla circolare n. 24/E del 15 maggio 2009, di utilizzare, ancor più che in passato, la chiusura liti mediante la procedura della conciliazione giudiziale di cui all’art. 48 del D. Lgs. n. 546/92 che, a più riprese, è stata oggetto di successive modifiche.

Prima di parlare dell’istituto, ritengo opportuno divulgare i dati quantitativi della conciliazione giudiziale in Liguria, sia per comprenderne la reale portata, sia per avere un utile riferimento di partenza, per gli anni a venire. Nel 2009 gli Uffici dell’Agenzia delle Entrate hanno concluso complessivamente 168 conciliazioni giudiziali, per un importo contestato di 11.984.026,00 €, ed un importo conciliato di 2.249.959,00 €. In considerazione del numero di ricorsi instaurati nanti le Commissioni Tributarie Provinciali della Liguria (poco meno di 5.000), si desume che le conciliazioni concluse hanno riguardato circa il 3,5% delle controversie. Inoltre, da ciò si desume che la percentuale di abbattimento sull’importo originariamente contestato è stata molto elevata (pari all’82%). In termini qualitativi, cioè rapportando l’importo contestato oggetto di conciliazione all’importo complessivamente impugnato in primo grado dai contribuenti, si evince che le conciliazioni giudiziali hanno riguardato circa il 2,2% degli importi complessivamente contestati. Ciò significa che, mettendo in relazione le due percentuali (2,2% e 3,5%), la conciliazione giudiziale ha generalmente riscontrato maggior successo nelle controversie di minor importo medio.

Tra le singole realtà territoriali, spicca per numero di conciliazioni giudiziali ed importi conciliati, la Provincia di Savona. Molto più deludenti i dati della Provincia di Genova, anche in considerazione della diversa potenzialità e peso economico del capoluogo. Delle 168 conciliazioni concluse nel 2009, tre non si sono perfezionate per mancato pagamento, mentre per quelle perfezionate, i contribuenti hanno optato in stragrande maggioranza (pari all’84%) per il versamento in un’unica soluzione piuttosto che per il pagamento rateale. Per il prossimo futuro, è facile prevedere che, a seguito delle recenti novità legislative, l’istituto della conciliazione giudiziale riscontri un crescente successo. In particolar modo riceveranno un notevole impulso le conciliazioni aventi per oggetto controversie il cui importo conciliabile non è superiore a 50.000,00 €, in considerazione del fatto che, in caso di pagamento rateale, non sarà più richiesta alcuna garanzia fidejussoria.

Premesso quanto sopra, passo ora alla trattazione dell’istituto.

La conciliazione giudiziale, fin dalla sua introduzione nell’ordinamento processuale tributario, si inserisce, al pari di altri strumenti quali l’accertamento con adesione, in un progetto di deflazione del contenzioso tributario. Infatti, lo scopo di tale istituto è quello di favorire il raggiungimento di accordi, in sede processuale, tra Amministrazione Finanziaria e contribuenti. Già la circolare ministeriale 98/E del 23

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aprile 1996, aveva chiarito la ratio deflativa della conciliazione giudiziale. Inoltre, sia la relazione governativa al disegno di legge di conversione del D.L. n. 403 del 1995, che la già citata circolare, avevano delineato la conciliazione come un ulteriore strumento appositamente predisposto per favorire una definizione concordataria non ancora matura in fase precontenziosa, ma suscettibile di realizzazione in sede contenziosa anche attraverso la fattiva opera di collaborazione ed incentivazione da parte degli organi giudicanti.

In sostanza, considerata la contiguità della conciliazione all’accertamento con adesione, la prima si presenta come una proiezione dell’accertamento con adesione in sede processuale. Tuttavia, ciò non significa che la conciliazione giudiziale abbia un ruolo marginale rispetto all’accertamento con adesione, in quanto, in sede processuale, possono essere considerati nuovi elementi/documenti, non rappresentati in sede di accertamento con adesione, stante la relativa ristrettezza dei termini per concludere l’adesione. Inoltre, anche gli stessi elementi rappresentati in sede di accertamento con adesione, possono assumere una diversa valenza a seconda delle sopravvenute interpretazioni dottrinali e di prassi, nonché in base ai più recenti orientamenti giurisprudenziali.

In sintesi, la conciliazione giudiziale, disciplinata dall’art. 48 del D. Lgs. n. 546/92, consente la definizione di qualsiasi controversia rientrante nella giurisdizione delle Commissioni tributarie.

La conciliazione giudiziale consente alle parti di comporre, dinnanzi alla sola Commissione Tributaria Provinciale, la controversia tributaria pendente tra le medesime, incontrandosi - come nella tradizione della transazione civile - in un punto intermedio rispetto alle loro opposte domande, dunque facendosi reciproche concessioni.

Che questa sia la natura del nuovo istituto si deduce anche dalla relazione ministeriale al decreto, dove si legge in particolare “l’interpretazione della direttiva del legislatore delegante non è facile, come si argomenta del resto dagli stessi lavori preparatori della legge delega. Sulla base dei dati testuali è sicuramente da escludere che il legislatore delegante abbia voluto reintrodurre in materia il concordato o aprire la via al cosiddetto riesame amministrativo, anche se da più parti auspicato. (…) Dai dati forniti dalla legge delega emerge piuttosto la previsione di un rito speciale abbreviato, che esclude ulteriori gradi di giudizio e consente di deflazionare le pendenze in sede contenziosa”.

La conciliazione ha, dunque, prevalente natura negoziale: le parti manifestano la volontà di pervenire ad una soluzione concordata della controversia, definendo i termini dell’incontro tra i rispettivi opposti interessi. Tuttavia, stante l’indisponibilità dell’obbligazione tributaria, conserva anche una natura processuale. In particolare, l’effetto processuale si concretizza nell’irreversibile chiusura del processo con la pronuncia della cessata materia del contendere e, nell’attribuzione dell’efficacia esecutiva al processo verbale nel quale viene trasposta la volontà delle parti, mentre

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l’effetto negoziale è ovviamente insito nelle reciproche concessioni/rinunce delle parti.

La rilevanza pubblica dell’accordo, il cui oggetto è rappresentato da un’obbligazione di natura tributaria impone l’intervento omologante dell’autorità, ossia del giudice tributario. L’interevento omologante del giudice, seppur di sola legittimità, costituisce idonea garanzia agli interessi di natura pubblicistica coinvolti. Trattasi, quindi, di interessi superiori rispetto a quelli propri della transazione, che, generalmente, attengono il ristretto ambito privatistico.

Ciò significa, in ultima analisi, che l’Amministrazione Finanziaria, pur vincolata dal principio di indisponibilità dell’obbligazione tributaria, può ed anzi deve, nel rispetto dei principi costituzionali di legalità e di capacità contributiva, addivenire ad una valutazione che renda l’imposizione conforme alla realtà. Realtà che talvolta, se non spesso, non è accertabile con precisione matematica, ma sulla base di presunzioni fondate sulla verosimiglianza ed inferenza statistica. Con questi limiti, e con questi presupposti, è pertanto possibile operare e ricercare la ragionevole verità. In questi termini, la riduzione della pretesa erariale è concepita, non come uno sconto transattivo sull’imposta, ma come una rideterminazione dell’imponibile. D’altra parte, è opportuno osservare anche che la riduzione della pretesa erariale avviene su un credito tributario contestato e, pertanto soltanto potenziale, e non già su un credito tributario definitivo.

Naturalmente, il contribuente affinché possa accedere alla conciliazione giudiziale dovrà aver ritualmente instaurato il processo tributario e, quindi, aver correttamente posto in essere gli adempimenti relativi alla proposizione del ricorso ed alla costituzione in giudizio. In difetto di ciò, ovvero qualora il ricorso introduttivo fosse inammissibile, verrebbe meno il presupposto stesso per l’accesso all’istituto della conciliazione e, pertanto, la medesima risulterebbe invalida. Quindi, è impossibile accedere ad una conciliazione giudiziale che riguardi anche la questione dell’ammissibilità del ricorso. Questione che, peraltro, è oggetto di controllo del presidente della Commissione Tributaria Provinciale sotto il profilo della “sussistenza dei presupposti e delle condizioni di ammissibilità” per la conciliazione, per espressa disciplina contenuta nel comma 5. Ciò costituisce ulteriore conferma che la conciliazione giudiziale è anche un istituto di natura processuale.

La conciliazione deve riguardare soltanto l’importo (quantum) dell’obbligazione tributaria, e non, almeno dichiaratamente, legittimità e fondatezza della pretesa fiscale (an). Infatti, qualora l’A.F. ritenga infondata la pretesa fiscale avanzata con l’atto impugnato, dovrà necessariamente esercitare il proprio potere di autotutela revocando l’atto emesso. In quest’ultimo caso la controversia dovrà essere dichiarata estinta per cessazione della materia del contendere ai sensi dell’art. 46 del D.Lgs. n. 546/92. A seconda che si pervenga alla definizione integrale o meno della materia del contendere, può essere rispettivamente totale o parziale. Ovvio che, nel primo caso, l’effetto deflativo del contenzioso sia maggiore.

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Detto dell’ambito di applicazione e dei presupposti, passiamo ora alla disamina del funzionamento dell’istituto della conciliazione giudiziale.

Il legislatore ha previsto che la conciliazione possa avvenire in udienza (in base a rito ordinario) o fuori udienza (in base a rito semplificato), a seconda del luogo deputato al raggiungimento dell’intesa.

La prima, disciplinata dai commi 1, 2, 3 dell’art. 48, può essere proposta da ciascuna delle parti contestualmente all’istanza di trattazione in pubblica udienza o, comunque, anche depositando separata istanza di conciliazione giudiziale presso la Commissione entro dieci giorni liberi anteriori alla data di trattazione in pubblica udienza. Tale istanza, così come l’istanza di trattazione in pubblica udienza, deve essere necessariamente notificata alle altre parti costituite in giudizio, entro i termini di cui all’art. 33 del D. Lgs. n. 546/92. Naturalmente, questa modalità di conciliazione presuppone che la trattazione avvenga in pubblica udienza.

In particolare, la proposta può essere presentata sia dal contribuente che dall’A.F. Inoltre, ai sensi e per gli effetti del comma 2, il tentativo di conciliazione può essere esperito d’ufficio, in udienza, dalla stessa Commissione Provinciale.

In quest’ultimo caso il collegio giudicante svolge unicamente un’attività di promozione della conciliazione medesima senza entrare nel merito della controversia. Tale attività d’impulso è, tuttavia, molto importante, sia perché pone le parti in posizione di assoluta parità processuale, sia perché ricorda alle stesse l’alea dell’esito ultimo del contenzioso. In sostanza, alle parti conviene certamente accordarsi preventivamente piuttosto che pervenire ad un esito uguale o, addirittura peggiore nei gradi di giudizio successivi, stante anche il rischio di incorrere in qualche errore processuale comportante la declaratoria di inammissibilità delle impugnazioni.

La conciliazione non può aver luogo oltre la prima udienza perché, come evidenziò la relazione governativa al disegno di legge di conversione del D.L. n. 41 del 23 febbraio 1995, lo scopo della norma è quello di favorire il ricorso all’istituto della conciliazione giudiziale evitando, al contempo, possibili comportamenti dilatori che, anziché deflazionare il contenzioso, lo avrebbero alimentato. Tuttavia, il 4° comma dell’art. 48 prevede espressamente che: “Qualora una delle parti abbia proposto la conciliazione e la stessa non abbia luogo nel corso della prima udienza, la commissione può assegnare un termine non superiore a sessanta giorni, per la formazione di una proposta ai sensi del comma 5.”. La Commissione Tributaria Provinciale ha, quindi, la facoltà discrezionale di rinviare la trattazione del ricorso per consentire alle parti di giungere all’accordo conciliativo fuori udienza, da sottoporre poi al successivo vaglio di legittimità. Quest’ultimo non può andare oltre la verifica della legittimità/ammissibilità dell’accordo intervenuto fra le parti, escludendo qualsiasi valutazione che attenga il merito, riservato alle parti concilianti.

Qualora venga raggiunto l’accordo conciliativo, il collegio, valutata la legittimità della conciliazione, procede alla redazione di un apposito processo verbale nel quale sono determinate le somme dovute a titolo d’imposta, interessi e sanzioni. Tale

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verbale è sottoscritto dal Presidente della Commissione e dalle parti o dal loro rappresentante munito di procura speciale a conciliare. Quest’ultima viene generalmente conferita al difensore già in sede di costituzione in giudizio.

Il verbale sottoscritto costituisce titolo per la riscossione delle somme ivi indicate.

Come anticipato, qualora la conciliazione definisca tutte le questioni oggetto della controversia si avrà l’estinzione del giudizio per cessata materia del contendere, qualora, invece, definisca soltanto una parte della controversia il giudizio proseguirà in relazione alle sole questioni controverse e si avrà, conseguentemente, una sentenza mista, di parziale estinzione del giudizio e di merito.

Nel caso in cui la proposta di conciliazione con rito ordinario non superi il vaglio di legittimità e sia, perciò, dichiarata inammissibile, il giudizio prosegue normalmente.

La seconda, ovvero la conciliazione fuori udienza (o stragiudiziale), è disciplinata dal successivo comma 5 dell’art. 48 del D.Lgs. n. 546/92. In questo caso l’iniziativa spetta all’ente impositore, che, prima della data di fissazione dell’udienza, procede al deposito presso la segreteria della Commissione Tributaria Provinciale della proposta di conciliazione scritta, alla quale il contribuente ha preventivamente aderito. Per questo si parla anche di conciliazione preconcordata o con rito abbreviato rispetto a quello ordinario. Infatti, in questo caso la conciliazione avviene fuori e prima della trattazione del giudizio nanti la Commissione Tributaria Provinciale ed anche a prescindere dalla trattazione in pubblica udienza.

La proposta scritta preconcordata col contribuente deve contenere, come precisato dalla circolare ministeriale n. 98/E del 23 aprile 1996, l’indicazione della Commissione tributaria adita, i dati identificativi delle parti, le manifestazioni di volontà di conciliare delle parti con l’indicazione degli elementi oggetto della proposta conciliativa ed i relativi termini economici, la liquidazione delle somme dovute per effetto della conciliazione, la succinta motivazione delle ragioni che hanno indotto l’A.F. ad avanzare la proposta di conciliazione, l’accettazione incondizionata della proposta e delle somme dovute da parte del contribuente, la data, la sottoscrizione del titolare dell’ufficio e la sottoscrizione autografa del ricorrente.

L’Ufficio deve depositare tale proposta di conciliazione entro la data di trattazione, a prescindere dal fatto che la stessa avvenga in camera di consiglio o in pubblica udienza. Qualora la proposta di conciliazione sia presentata prima della fissazione della data di trattazione, il Presidente del Collegio, previa verifica della sussistenza dei presupposti e delle condizioni di ammissibilità, dichiara l’estinzione del giudizio con decreto presidenziale. In questo caso la conciliazione non è formalizzata mediante apposito processo verbale bensì attraverso l’anzidetto decreto presidenziale. Qualora, invece, la proposta sia presentata dopo la fissazione della data di trattazione, la stessa avrà luogo e, in tal caso, la Commissione Tributaria Provinciale si pronuncia con sentenza.

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Nel caso in cui la proposta di conciliazione con rito abbreviato non superi il vaglio di legittimità e sia, perciò, dichiarata inammissibile, il Presidente del Collegio fissa la trattazione della controversia, con provvedimento depositato in segreteria entro dieci giorni (termine ordinatorio) dalla data di presentazione della proposta stessa.

Il decreto presidenziale e la proposta di conciliazione costituiscono titolo per la riscossione delle somme conciliate.

La conciliazione, ai sensi del comma 3 dell’art. 48 del D. Lgs. n. 546/92, si perfeziona col pagamento dell’intero importo dovuto (per tributi, interessi e sanzioni amministrative in misura ridotta) ovvero della prima rata in caso di pagamento rateale entro 20 giorni dalla data di redazione del processo verbale (in caso di conciliazione in udienza) o di comunicazione del decreto presidenziale di estinzione del giudizio (in caso di conciliazione fuori udienza).

Il puntuale adempimento dell’obbligo di pagamento è condizione imprescindibile per l’efficacia della conciliazione e per la produzione degli effetti estintivi del processo pendente in Commissione Tributaria Provinciale.

Allo scopo di agevolare il contribuente, il comma 3 consente il versamento in forma rateale, con applicazione degli interessi legali, per un massimo di 8 rate trimestrali di pari importo, previa prestazione, se l’importo delle rate successive alla prima è superiore a 50.000 euro, di idonea garanzia mediante polizza fidejussoria o fideiussione bancaria ovvero rilasciata dai consorzi di garanzia collettiva dei fidi (Confidi) iscritti negli elenchi previsti dagli artt. 106 e 107 del testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, di cui al decreto legislativo n. 385/93. Questo comma è stato così modificato, prima dall’art. 1 della Legge n. 311/2004, in vigore nel periodo intercorrente tra il 1° gennaio 2005 ed il 31 dicembre 2007, e, successivamente, dall’art. 1 della Legge n. 244/2007, entrato in vigore dal 1° gennaio 2008. Il testo previgente prevedeva la prestazione di idonea garanzia secondo le modalità di cui all’art. 38 bis del D.P.R. n. 633/72, ovvero cauzione in titoli di Stato o garantiti dallo Stato, fidejussione bancaria o commerciale, polizza assicurativa fidejussoria. Tale comma risulta così ulteriormente modificato dall’art. 3, comma 1, lett. b) del D.L. n. 40 del 25 marzo 2010, entrato in vigore il 26 marzo 2010 con la pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana, che ha aggiunto, dopo le parole: “previa prestazione” le seguenti: “, se l’importo delle rate successive alla prima è superiore a 50.000 euro,”. Lo scopo ultimo di tale modifica è quello di deflazionare il contenzioso tributario incentivando la conciliazione giudiziale mediante la semplificazione della fruibilità della rateazione. Infatti, in tal modo, i contribuenti, entro il predetto limite di importo, possono accedere alla rateazione delle somme conciliate senza prestare alcuna garanzia fidejussoria. Quindi, l’A.F., qualora il contribuente non paghi le rate successive alla prima e quelle successive alla prima rata siano di importo non superiore a 50.000,00 euro, non potrà escutere alcuna garanzia. Di conseguenza, l’A.F. procederà all’iscrizione a ruolo delle rate ancora dovute sulla base del processo verbale (nel caso di conciliazione in udienza) o del decreto presidenziale di estinzione del giudizio e la proposta di conciliazione (nel caso

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di conciliazione fuori udienza) che costituiscono titolo per la riscossione delle somme conciliate.

La legge ammette, sempre per agevolare il contribuente, anche la possibilità di un periodo di dilazione del pagamento maggiore, pari a 12 rate trimestrali di pari importo, qualora la somma complessivamente dovuta superi 51.645,69 euro.

In caso di pagamento rateale, la conciliazione si perfeziona, sempre nel termine di venti giorni, con il pagamento della prima rata e con la prestazione della garanzia di cui sopra sull’importo delle rate successive, comprensivo degli interessi al saggio legale calcolati con riferimento alla stessa data, e per il periodo di rateazione di detto importo aumentato di un anno.

Il comma 3-bis, vigente dal 1° gennaio 2005, prevede che, qualora il contribuente non paghi anche una sola delle rate successive alla prima, il garante deve versare l’importo garantito entro 30 giorni dalla notifica di apposito invito a pagare, contenente l’indicazione delle somme dovute e dei presupposti di fatto e di diritto della pretesa. Qualora il garante non versi tale importo entro il predetto termine, l’Ufficio competente provvede all’iscrizione a ruolo delle somme ancora a carico del contribuente e dello stesso garante.

Per quanto attiene gli effetti, il perfezionamento della conciliazione giudiziale comporta degli indubbi vantaggi per il contribuente che, oltre a sottrarsi all’alea ed ai costi del contenzioso tributario, beneficia di una riduzione delle sanzioni amministrative dovute che si applicano nella misura di 1/3 delle somme irrogabili in rapporto al tributo risultante dalla conciliazione. La misura delle sanzioni non può, ad ogni modo, essere inferiore ad 1/3 dei minimi edittali previsti per le violazioni più gravi relative a ciascun tributo.

Le spese del giudizio restano a carico delle parti che le hanno anticipate, come in generale previsto dall’art. 46, comma 3 del D. Lgs. n. 546/92 per i casi di cessazione della materia del contendere, cioè, in sostanza, vengono compensate.

Come anticipato, qualora la conciliazione definisca ogni aspetto della controversia, tecnicamente si ha - appunto - la cessazione della materia del contendere e, dunque, l’estinzione del giudizio (art. 46, comma 3, D. Lgs. n. 546/92), altrimenti il giudizio prosegue con oggetto ridotto ai capi della controversia per i quali le parti non si sono accordate.

Il contribuente ottiene anche rilevanti benefici sotto l’aspetto del processo penale. Infatti, a norma dell’art. 13 del D. Lgs. n. 74/2000, la pene previste per i delitti contemplati dallo stesso decreto sono ridotte fino alla metà e non si applicano le pene accessorie se, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, i debiti tributari relativi ai fatti costitutivi dei delitti medesimi sono stati estinti mediante pagamento, anche a seguito di conciliazione giudiziale. Sull’aspetto delle circostanze attenuanti, ancora attuale il punto 4.2.1. della circolare n. 154/E del 4 agosto 2000.

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Anche la riforma del processo civile avvenuta con Legge n. 69 del 18 giugno 2009 dovrebbe, indirettamente, esplicare effetti sulla conciliazione giudiziale.

L’uso del condizionale in questo caso è doveroso, come ricorda la circolare n. 17/E del 31 marzo 2010, al punto 2.7, in tema di condanna alle spese di giudizio. Infatti, l’art. 91 del c.p.c., modificato dall’anzidetta norma di riforma, prevede che, in caso di accoglimento della domanda in misura non superiore all’eventuale proposta conciliativa rifiutata senza giustificato motivo, il giudice condanni alle spese del processo la parte che ha opposto il rifiuto alla predetta proposta.

L’anzidetta circolare, in attesa che si consolidi al riguardo l’indirizzo giurisprudenziale, invita gli Uffici dell’Agenzia delle Entrate, nei casi in cui il contribuente abbia rifiutato la proposta di conciliazione giudiziale formulata, anche a seguito di tentativo di conciliazione esperito d’ufficio dal giudice, a richiedere la condanna alle spese di giudizio subordinandola alla circostanza che la Commissione Tributaria Provinciale decida in senso conforme alla proposta di conciliazione ovvero in termini ancor più favorevoli all’A.F. ( in tal senso vedasi anche la direttiva della Direzione Centrale Affari Legali e Contenzioso n. 52/2010 del 7 aprile 2010 in tema di conciliazione giudiziale).

Quindi, premesso che ciò costituisce già un chiaro orientamento favorevole dell’Agenzia delle Entrate all’applicabilità nel processo tributario del novellato art. 91 c.p.c., è indubbio che la conciliazione giudiziale di cui all’art. 48 del D. Lgs. n. 546/92 abbia una disciplina propria, diversa dalla proposta conciliativa cui si riferisce il codice di procedura civile. Tuttavia, è altrettanto pacifico che la disciplina generale della condanna alle spese di lite di cui all’art. 91 c.p.c. e ss., trovi applicazione nel processo tributario. Infatti, giova ricordare che il comma 1 dell’art. 15 del D. Lgs. n. 546/92, in tema di spese di giudizio, richiama espressamente l’art. 92, comma 2, del codice di procedura civile e, l’art. 1 comma 2 del D. Lgs. n. 546/92 effettua un rinvio generale alle norme del codice di procedura civile, per quanto non disposto dal D. Lgs. n. 546/92 e, condizionatamente al fatto che siano compatibili.

Ciò significa che condizione indispensabile affinché una norma del codice di procedura civile possa trovare applicazione in una controversia pendente nanti una Commissione Tributaria è che la questione non sia disciplinata da norme processuali proprie del contenzioso tributario. Inoltre, occorre anche che la norma civilistica, astrattamente applicabile alla fattispecie, sia compatibile con le disposizioni del D. Lgs. n. 546/92. Ovviamente, all’integrazione tra i due testi normativi concorrono anche le modifiche del codice di procedura civile introdotte con leggi successive alla pubblicazione del D. Lgs. n. 546/92.

Sul punto, ad avviso di chi scrive, sembra confermare l’anzidetto orientamento dell’Agenzia delle Entrate la sentenza n. 210 del 28 marzo 1985 emessa dalle SS.UU. della Corte di Cassazione, già richiamata dalla circolare n. 98/E del 23 aprile 1996, in tema di accertamento della compatibilità delle norme del codice di procedura civile con quelle del D.Lgs. n. 546/92. Infatti, con tale pronuncia, i giudici di legittimità hanno enunciato il principio in base al quale, per individuare l’ambito della normativa

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che deve ritenersi recepita nel processo tributario per effetto del richiamo, occorre, in primo luogo, accertare se anche nel processo tributario si configuri, senza essere disciplinata direttamente o indirettamente dalla legge relativa, una situazione processuale avente le stesse caratteristiche di quella oggetto delle disposizioni richiamate; ed, in secondo luogo, se la disciplina risultante dalle stesse sia compatibile o meno, con le norme del processo tributario o delle singole imposte, ovvero con i principi propri dell’ordinamento tributario, intesa l’incompatibilità non solo come contrasto assoluto tra le norme, ma anche limitato e tuttavia tale da comportare un’ingiustificata disarmonia.

A conclusione della presente relazione, ringrazio per l’attenzione prestata ed auspico la massima collaborazione ed incentivazione dello strumento conciliativo da parte degli organi giudicanti.