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Gli atteggiamenti religiosi

La comunicazione non verbale nella liturgia

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Il corpo prega

• L’espressività della persona ingloba completamente pensieri, parola, sentimenti e gesti.

• Quando comunichiamo con gli altri lo facciamo servendoci della totalità del nostro corpo, all’altro non arrivano soltanto le nostre parole, ma anche tutti i gesti che noi compiamo, che a volte possono consistere in una luce particolare negli occhi, o in un movimento concitato delle mani, o addirittura nella sola posizione del corpo che già da sola può essere indice di una disponibilità o meno all’accoglienza dell’altro.

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• Se questo è il modo di comunicare proprio dell’uomo, naturalmente è con questa stessa espressività che egli si rivolgerà anche a Dio.

• Sentimenti come il rispetto, l’umiltà, la prontezza, la fiducia, l’adorazione traspariscono attraverso il corpo e gli atteggiamenti che esso assume.

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• Gli atteggiamenti che noi troviamo prescritti nella liturgia non sono frutto di arbitrarietà, ma vogliono essere l’espressione della preghiera che dal nostro intimo sale a Dio.1

• La Chiesa non fa appello soltanto al nostro pensiero e alla nostra fede, ma chiama l’uomo integrale. La liturgia diventa così “vita”, una vita di fede che si esprime con degli atteggiamenti ricchi di simbolismo.

1Cf. Nocent A., “Gesti simboli e parola nella liturgia occidentale” , in Concilium, 16 (1980), 2, pp. 44-55.

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Il silenzio e l’ascolto

• Il silenzio e l’ascolto sono due atteggiamenti fondamentali nella liturgia cristiana, ma non solo, questi dovrebbero essere i connotati essenziali di ogni cristiano e della sua fede: “Parla, Signore: il tuo servo ti ascolta” (1 Sam 3,10).

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• Il silenzio e l’ascolto sono due atteggiamenti interdipendenti: solo a chi è capace di fare silenzio si apre la possibilità di ascoltare l’altro.

• Di solito quando ascoltiamo qualcuno la nostra mente continua a lavorare, senza curarsi delle parole pronunciate dall’altro, che scivolano via dal nostro orecchio e dal nostro cuore molto più rapidamente di una foglia spazzata dal vento.

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• Non ascoltiamo perché siamo autosufficienti e

orgogliosi: ormai sappiamo già tutto! Solo chi

è umile e sa riconoscersi povero alla presenza

di Dio e dei fratelli può essere capace di un

ascolto reale e fruttuoso.

• Ascoltare è molto di più che udire. E’ lasciarsi

interpellare dalla parola che ci raggiunge.

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• Nella celebrazione liturgica, e ogni qualvolta ci avviciniamo alle Scritture, la Parola di Dio non può essere ascoltata che in silenzio, un silenzio che non deve essere soltanto esteriore. Il silenzio permette alla Parola di entrare e crescere in noi.

• La Parola “ascoltata” non può rimanere inerte: “Come infatti la pioggia e la neve scendono dal cielo e non vi ritornano senza aver irrigato la terra, senza averla fecondata e fatta germogliare, perché dia il seme al seminatore e pane da mangiare, così sarà della parola uscita dalla mia bocca: non ritornerà a me senza effetto, senza aver operato ciò che desidero, e senza aver compiuto ciò per cui l’ho mandata” ( Is 55, 10-11).

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• L’ascolto è un atteggiamento positivo, attivo, è volontà di riedificare interiormente la parola udita, facendola così “propria”. Ascoltare la Parola di Dio è edificare la propria fede: “La Chiesa si edifica e si sviluppa con l’ascolto della Parola di Dio” (Messale Romano: Ordo Lectionum

Missae 7); “La fede si attua continuamente con l’ascolto della Parola rivelata” (OLM 47).

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• “La Chiesa del Vaticano II ha riscoperto l’importanza della Sacra Scrittura nella celebrazione liturgica” (SC 24), ed ha riaffermato la sua fede nel Cristo “presente nella sua Parola” (SC 7), ha pure prestato una rinnovata attenzione al silenzio come momento dell’azione liturgica (riprendendo così i valori di una venerabile tradizione ispirata alla Bibbia...) nell’ambito di una situazione storico-religiosa dove il silenzio è spesso sentito come un’esigenza vitale”.1

1Sartore D., “Silenzio”, in Nuovo di zionario di liturgia..., op. cit., p. 1382.

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• Abbiamo in molti testi normativi post-conciliari considerazioni sul silenzio, citiamo qui soltanto quelli che riguardano la celebrazione Eucaristica: “ (durante la Messa) si deve osservare a suo tempo, come parte della celebrazione, il sacro silenzio. La sua natura dipende dal momento in cui ha luogo nelle singole celebrazioni. Così durante l’atto penitenziale e dopo l’invito alla preghiera, il silenzio aiuta il raccoglimento; dopo la lettura o l’omelia, è un richiamo a meditare brevemente ciò che si è ascoltato; dopo la comunione favorisce la preghiera interiore di lode e di ringraziamento” (Messale Romano: Principi e norme per l’PNMR n. 23).

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• Il silenzio è un elemento liturgico fondamentale: “Se qualcuno mi domandasse dove comincia la vita liturgica, io risponderei: con l’apprendimento del silenzio. Senza di esso tutto manca di serietà e resta vano... questo silenzio è la condizione prima dell’azione sacra”.1

1Guardini R., La messe , Ed. du Cerf, Paris,1957, op. cit., p. 20.

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• … questo non toglie però che il silenzio sia: “ l’elemento più trascurato, o addirittura sacrificato volutamente in nome di una partecipazione attiva, concepita erroneamente nel senso assai limitativo di voce o gesto. Si dimentica che dall’intensità con cui è vissuto questo silenzio si può misurare il grado di capacità e di preparazione dei fedeli alla vera partecipazione”.1 1Braga C., in Antonelli F.-Falsini R., Costituzione conciliare sulla Sacra Liturgia , OR, Milano, 1964, op. cit., p. 222.

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• Si fa oggi fondamentale una educazione al silenzio liturgico, poiché è nel silenzio che ci viene data la possibilità d’accesso a noi stessi e a Dio; è assolutamente da evitarsi ogni tipo di stress liturgico: solo nel silenzio si ha la possibilità di entrare in contatto con il mistero celebrato.

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• La celebrazione liturgica deve riacquistare un clima di serenità che permetta la contemplazione: “ La liturgia della Parola si deve celebrare in modo da favorire la meditazione, e per questo bisogna evitare qualunque forma di fretta che sia di ostacolo al raccoglimento” (OLM n. 28).

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• Il presidente deve essere il “maestro del

silenzio” di fronte alla comunità: “C’è

un’esigenza decisiva: il presidente deve dare

l’impressione di essere penetrato di silenzio, di

pregare lui stesso e di guidare i partecipanti

alla preghiera evitando eccessive esortazioni”.

Pardo A., “Il silenzio”, in Phase , 1978, op., cit. p. 338.

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• Sartore D. nel Nuovo dizionario di liturgia, alla voce “Silenzio”, opera una distinzione fra silenzio di raccoglimento che permette ai fedeli “di prendere coscienza di essere al cospetto di Dio e formulare nel proprio cuore la preghiera personale” (PNMR 32);

• il silenzio di appropriazione per mezzo del quale possiamo ascoltare ed interiorizzare la preghiere presidenziali; il silenzio meditativo attraverso il quale possiamo interiorizzare la Parola udita; e il silenzio di adorazione che è un silenzio “orante”, che sgorga dalla consapevolezza che la liturgia è l’anello di congiunzione con Dio, per Cristo, nello Spirito Santo.

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Stare in piedi • L’alzarsi davanti ad altre persone, lo stare in

piedi davanti ad esse è un modo per esprimere la stima e il rispetto che abbiamo nei loro confronti. Può essere anche segno di prontezza, di disponibilità a prestare attenzione

• Tutte le azioni che sono rilevanti per l’uomo vengono compiute stando in piedi: prestare un giuramento, l’insediamento ad una carica pubblica ...

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• Nella Scrittura troviamo numerosi passi che ci riportano la significatività di questo atteggiamento: il profeta Ezechiele è invitato ad ascoltare in piedi la parola che Dio sta per rivolgergli (Ez 2,1); Salomone pronuncia in piedi la preghiera di ringraziamento nel giorno della festa per la dedicazione del tempio, e in piedi lo ascoltano tutti coloro che erano presenti (1 Re 8); la moltitudine descritta nell’Apocalisse stava in piedi davanti al trono dell’Agnello (Ap 7,9-10).

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Simbolo della Resurrezione

• Nel simbolismo cristiano stare in piedi è il simbolo per eccellenza della resurrezione di Cristo ( Gal 5,1; Ef 6,14; Ap 5,6; 7,9; 15,2). Cf. Cibien C., “Gesti” in Nuovo Dizionario...., art., cit. pp. 609-622

• Per il cristiano stare in piedi è segno della sua libertà di redento da Gesù Cristo, esprime la sua condizione di figlio nel Figlio, per mezzo della quale ha acquisito la sua “confidenza” con Dio. Stando in piedi il cristiano manifesta la sua partecipazione alla resurrezione di Cristo, e l’appartenenza al suo corpo glorificato.1

1Cf. Martimort A.G., La chiesa in preghiera, Vol. 1,p. 202

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• Nei primi secoli l’atteggiamento dei cristiani durante la preghiera è proprio la posizione eretta. Questo atteggiamento lo ritroviamo nelle immagini delle pitture catacombali che riproducono la figura dell’ “orante”, rappresentato in piedi, con le braccia aperte e sollevate che si protendevano verso oriente, dove sorge il sole che è simbolo di Cristo risorto.

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• Questa posizione richiama, inoltre, l’idea della gioia ed era il solo atteggiamento di preghiera permesso alla Domenica e dalla Pasqua alla Pentecoste: il I Concilio di Nicea (canone 20) vietava in queste occasioni di stare in ginocchio.

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• Altra testimonianza sul valore che aveva per i cristiani nei primi secoli questo atteggiamento liturgico ci viene data da S. Giovanni Crisostomo (In Hebreos 5, 7, 2, 18, 1): “Il sacerdote non si siede, ma resta in piedi...tenersi in piedi è segno dell’azione liturgica”. Da qui deduciamo che questa era anche la posizione tipica del sacerdote nell’esercitare il suo ministero.

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Odierna liturgia cristiana

• Nell’odierna liturgia cristiana lo stare in piedi sottolinea i momenti più significativi della celebrazione: l’assemblea sta in piedi al momento dell’ingresso del celebrante in segno di rispetto verso il presidente dell’assemblea, verso colui che diviene segno visibile della presenza di Dio in mezzo al suo popolo;

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• stare in piedi durante la lettura del Vangelo indica la nostra attenzione, il rispetto e la disponibilità ad accogliere la Parola di Dio e a lasciarla agire in noi; si sta in piedi durante tutte le preghiere che il celebrante rivolge a Dio e in particolare durante la preghiera eucaristica. Colui che celebra proclama questa preghiera a nome di tutti, presidenzialmente, e quindi sarebbe più logico stare in piedi tutti in segno di adesione e di sostegno.

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• Prima di ricevere la comunione la comunità recita, in piedi, la preghiera che Gesù ha insegnato, e questo stesso atteggiamento dovrebbe essere mantenuto anche per ricevere la comunione, poiché esprime la fiducia, la dignità dei figli di Dio e la nostra situazione di popolo redento da Cristo.

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Lo stare seduti

• Stare seduti è la posizione più favorevole alla concentrazione e all’ascolto, chi sta correttamente seduto esprime nel suo aspetto un’attesa piena di attenzione; il suo corpo è disteso, sereno e fa trasparire la sua buona disposizione a prestare ascolto.

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• Nella Scrittura troviamo riportato spesso questo atteggiamento, perché secondo l’uso orientale colui che insegna con autorità sta seduto, e così Matteo ci mostra Gesù mentre pronuncia il discorso della montagna (Mt 5,1) e in tutte le occasioni in cui istruiva i suoi Discepoli.

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• Stare seduto è anche la posizione di chi ascolta con attenzione colui che insegna (Mc 3,32).

• Durante la celebrazione liturgica, nei primi secoli, sedersi era per il Vescovo e i sacerdoti un segno esteriore della loro dignità. Infatti i ministri inferiori e gli stessi diaconi erano esclusi da questo ‘consessus’ d’onore, e dovevano rimanere in piedi.

Cf. AA.VV., Dizionario Liturgico, Ed. Paoline, Roma, 1956, p.330

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• Quindi il celebrante è per eccellenza colui che sta seduto, presidente significa proprio ‘colui che sta seduto davanti’ (prae-sedere).

• Nell’odierna liturgia la prima parte della celebrazione, che è riservata all’ascolto delle letture e del salmo, il sacerdote sta seduto finché non si alza per proclamare il Vangelo. L’omelia andrebbe tenuta del celebrante di nuovo alla sede (PNMR n. 97), ma normalmente viene tenuta all’ambone anche se questo dovrebbe essere il luogo riservato solamente all’annuncio della Parola di Dio (PNMR n.272).

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• L’assemblea rimane seduta durante l’ascolto delle letture, prima del Vangelo,, durante l’omelia, al momento dell’offertorio e dopo aver ricevuto la comunione (PNMR n. 21) per sottolineare l’atteggiamento di ascolto attento, di partecipazione all’offerta e di meditazione dopo essersi accostati alla mensa eucaristica.

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Il camminare

• Camminare nella liturgia non è uno spostarsi da un luogo all’altro. Camminare è un movimento che coinvolge l’intera persona. E’ in cammino chi si è prefissa una meta, ed è in cammino chi non sa ancora dove sia diretto ma cerca, con speranza, un luogo dove trovare pace.

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• Il cammino è il simbolo della stessa vita.

• Camminare ha un ruolo simbolico molto forte

nella Scrittura : Abramo abbandona la sua

terra e si mette in cammino verso Canaan,

Isaia cammina nel deserto e va verso il monte

per incontrare il Signore, Israele è per

eccellenza il popolo che ‘cammina’ con Dio, e

accompagnato da Lui si dirige verso la terra

promessa.

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• Nel Nuovo Testamento Gesù ci appare come un instancabile camminatore, e tutta la sua missione è fatta di un continuo peregrinare

• “..Vuole in qualche modo rendere palpabile la comprensione della fede come cammino. La vita cristiana è “seguire Gesù”, è andare avanti. I primi cristiani hanno spesso identificato la fede con il cammino (At 9,2)...il camminare nella vita cristiana e, ancor di più, nella celebrazione diventa una specie di parabola della Chiesa in cammino”.1

• 1Aldazabal J., Gesti e simboli...., op. cit.,p. 242.

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• Durante l’odierna celebrazione liturgica ci sono quattro processioni che sottolineano altrettanti momenti significativi della celebrazione.

• Cf. Cibien C., “Gesti”....pp. 609-622

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• La prima è la processione di ingresso,

accompagnata dal canto (PNMR 25-26, 82-

84), che risale, secondo la testimonianza

dell’Ordo Romanus, al VII secolo.

• In quest’azione i fedeli sono invitati a

riconoscersi nella Chiesa pellegrina in

cammino verso Cristo che è simboleggiato

dall’altare.

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• La seconda è la processione al Vangelo. Il celebrante si dirige verso l’ambone portando in Vangelo e accompagnato, quando è possibile, dai ministranti con i candelieri e con l’incenso. Con quest’azione si vuole sottolineare che solo Cristo e il nostro Maestro, camminiamo verso di lui che è portatore di parole di vita eterna e Parola definitiva di Dio all’uomo.

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• La terza processione è al momento dell’offertorio. Portare processionalmente i doni all’altare vuole essere segno dell’offerta della nostra vita. Un’offerta in cammino, mai completamente realizzabile, e tuttavia ricercata con amore. Ci doniamo ogni volta, un po' per volta, perché spesso ritiriamo la nostra offerta a Dio, ma Egli non smette mai di manifestarsi come meta definitiva, pronta ad accoglierci ogni giorno della nostra vita.

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•La quarta processione è al momento della comunione, quando i fedeli si accostano a ricevere il corpo di Cristo, il suo dono più grande.

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Lo stare in ginocchio

• Nella liturgia lo stare in ginocchio ha sostituito la prostrazione ed ha la funzione di esprimere la preghiera intensa, l’umiltà e un atteggiamento di penitenza.• Di fronte alla grandezza di Dio e al suo

mistero ogni uomo si sente piccolo, ed esprime questa sua piccolezza mettendosi in ginocchio:

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• “Nel divenire piccolo davanti a Dio c’è qualcosa di rassicurante: davanti a Dio io non devo essere ‘uno che emerge’, Egli non chiede che io mi innalzi, che mi metta in mostra, che faccia qualcosa di straordinario. Io posso sentirmi ‘sicuro’ nelle mie comuni ordinarie doti e capacità. Dio non mi mette in un situazione di stress. Inginocchiarsi davanti a Dio significa anche poter essere debole, poter accettare anche la propria vulnerabilità, avere a capacità di accettare un conforto”.1

1Kaspar P.P., Il liguaggio dei segni. Elementi di liturgia cristiana. , Queriniana, Brescia, 1988, op. cit. p.58.

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• Nella Scrittura troviamo spesso questo atteggiamento quando si vuole manifestare umiltà, adorazione o penitenza: durante l’esilio Daniele prega in ginocchio volgendo lo sguardo verso Gerusalemme (Dn 6,11), Pietro prima di risuscitare la donna morta si inginocchia e prega ( At 20,36); Gesù stesso nell’ultima cena, stando in ginocchio ha lavato i piedi ai Dodici, dicendo “vi ho dato un esempio” (Gv 13,15).

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• Durante i primi secoli lo stare in ginocchio era riservato alla preghiera privata e rifletteva un atteggiamento di penitenza e di lutto: “è richiesto di piegare le ginocchia quando si accusano i peccati davanti a Dio, supplicando ch’Egli guarisca e conceda il perdono” (Origene, 1493). La preghiera in ginocchio veniva anche associata al digiuno: “Nei giorni di digiuno e stazione, non si fa alcuna preghiera senza genuflettere” (Tertulliano).

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• Lo stare in ginocchio entrò abbastanza tardi nella liturgia occidentale e sicuramente attraverso i riti di adorazione della croce, quindi dal secolo XI in poi, quando si accentuerà l’aspetto dell’adorazione nella celebrazione comunitaria.1

1Cf. AA.VV. Dizionario liturgico, Ed.Paoline, Roma, 1956, p.330.

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• Questo atteggiamento nelle nuove rubriche liturgiche è stato notevolmente ridimensionato. L’assemblea viene invitata a mettersi in ginocchio soltanto alla consacrazione (PNMR n.221), ma in realtà ci si mette in ginocchio già dall’invocazione dello Spirito che precede la consacrazione (epiclesi).

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• Lo stare in ginocchio in questo momento esprime l’atteggiamento di adorazione di fronte al mistero eucaristico: Dio in Gesù Cristo si fa vicino agli uomini e nello Spirito ci permette di partecipare alla sua divinità.

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• Lo stesso atteggiamento potrebbe però essere espresso ugualmente anche stando in piedi, come fanno i sacerdoti concelebranti, come hanno fatto tutti i cristiani nel primo millennio, e come fanno ancora nel rito ispano-mozarabico ed in altri.

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• Stare in ginocchio rimane comunque per la preghiera privata un atteggiamento altamente espressivo e, forse, il migliore per rappresentare la nostra umiltà davanti a Dio; e nella preghiera comunitaria conserva il suo valore nella adorazione eucaristica e nelle forme di preghiera penitenziale.1

1Cf. Martimort A.G., La chiesa in preghiera ,.....p.204

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L’inchino e la genuflessione

• Questi due gesti hanno il significato di manifestare esteriormente i sentimenti di umiltà e di rispetto.

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L’inchino

• Inchinare il capo è un gesto comune sia alla vita sociale che alla liturgia. Si piega il capo di fronte alla bandiera o a una persona che riveste una carica importante in segno di rispetto e di riconoscimento dell’autorità di chi ci sta di fronte.

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• Nella celebrazione liturgica l’inchinarsi serve per significare il rispetto che noi proviamo davanti a Dio. Il sacerdote inchina profondamente il capo all’inizio e alla fine della celebrazione, per manifestare la sua umiltà davanti a Dio che lo ha chiamato a celebrare l’eucaristia, rendendolo così sua presenza visibile nell’assemblea. Inchinandosi riconosce che quanto va a celebrare, e quanto ha celebrato non è frutto delle sue capacita ma è un dono ricevuto da Dio.

• Cf. Kaspar P.P., Il linguaggio dei segni. Elementi di liturgia

cristiana, Queriniana, Brescia, 1988, pp. 63-64

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• Il sacerdote si inchina inoltre quando pronuncia la sua preghiera personale prima di fare l’abluzione.

• Si inchina il diacono prima della proclamazione del Vangelo, e così fanno anche i sacerdoti concelebranti all’elevazione del pane e del vino.

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• Un inchino, che purtroppo passa spesso inosservato, viene compiuto insieme dal celebrante e dai fedeli alla recita della professione di fede quando si pronunciano le parole: “Per noi uomini e per la nostra salvezza discese dal cielo, e per opera dello Spirito Santo si è incarnato nel seno della Vergine Maria e si è fatto uomo”.1

1Cf. Kuhne A., Segni e simboli.., pp. 15-16

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La genuflessione

• La genuflessione è un gesto che esprime rispetto e serve a sottolineare i sentimenti di adorazione e di umiltà.

• Questo gesto deriva alla cultura romana, ed è entrato a far parte della liturgia cristiana in epoca abbastanza recente, XII - XIII secolo, e ancora nel secolo XVIII si contestava la legittimità del suo uso liturgico, poiché si vedeva in esso un gesto riservato alle autorità temporali.Cf. AA.VV., Dizionario liturgico , Ed. Paoline, Roma, 1956, p. 331.

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• L’uso della genuflessione in ambito liturgico prende piede, non a caso, nel dodicesimo secolo, quando viene introdotto il rito dell’adorazione eucaristica: ci si genuflette di fronte a Cristo Signore presente realmente nel Sacramento dell’altare.

• Il gesto della genuflessione nella liturgia odierna è stato notevolmente ridimensionato. Molte genuflessioni sono state soppresse, come quella dinanzi al Vescovo e la genuflessione doppia davanti al Santissimo esposto.

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• Durante la Messa il celebrante fa soltanto tre genuflessioni: dopo l’ostensione del pane e del calice e prima della sua comunione (PNMR n. 223).

• La genuflessione è il gesto che esprime pienamente l’atteggiamento interiore di umiltà e rispetto, e come tale merita di essere compiuto ‘bene’, soprattutto quando, entrati in chiesa, ci troviamo al cospetto di Dio.

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Il prostrarsi

• Il prostrarsi è l’atteggiamento più espressivo di umiltà, adorazione e penitenza

• Nella Scrittura è uno degli atteggiamenti più frequenti di preghiera. I fratelli di Giuseppe in Egitto si prostrano davanti a lui, intimoriti e pentiti (Gn 42,6); Abramo si prostra a terra per parlare con Dio (Gn 17,3), così fa anche Mosè davanti al Dio dell’Alleanza ( Es 34,8 ; Dt 9,18);

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• questo sarà lo stesso atteggiamento di coloro che volevano mostrare la propria adorazione a Gesù (Mt 14,33 ; 28,9). Nell’Apocalisse i ventiquattro anziani si prostrano davanti a colui che siede sul trono esprimendo così la loro umiltà e adorazione (Ap 4,10).

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• Nella celebrazione liturgica attuale la prostrazione è riservata a coloro che devono ricevere dal Vescovo la consacrazione definitiva ( vergini, diaconi, sacerdoti, abati), mentre si cantano le litanie dei Santi.

• Cf. Martimort A.G. La chiesa in preghiera , ... p. 204.

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• Difficilmente questa posizione viene utilizzata nella preghiera personale, anche se alcuni giovani a Taizé pregano proprio in questo modo.

• Abbiamo perso l’abitudine di pregare con il corpo. Prostrarsi durante la preghiera che accompagna i ‘periodi forti’ della nostra vita ha un grande potere di consolazione. Sentirsi piccoli davanti a Dio significa anche affidarsi a lui.

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• I bambini piccoli quando piangono si sdraiano a terra per manifestare il proprio dolore e, soprattutto, perché sanno che le braccia amorevoli dei genitori sono pronte a rialzarli.

• Solo chi si prostra davanti a Dio può essere da lui rialzato e accolto con amore.

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• Prossima lezione:

I gesti religiosi