2003-10-29 Simboli religiosi

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filo è radicato nella sensibilità comu- ne. E di questo dovrebbe essersi ac- corto Adel Smith: se un musulmano vuole vivere in Italia, oltre ogni prin- cipio religioso, e purché la sua reli- giosità sia rispet- tata, deve accet- tare gli usi e co- stumi del paese ospite. Non capi- sco perché nei paesi musulmani non si debba con- sumare alcool, ma se visito un paese musulma- no bevo alcool solo nei luoghi deputati (come gli hotel per euro- pei) e non vado a provocare i locali tracannando whisky da una fiaschetta davan- ti a una moschea. E se un monsi- gnore viene invi- tato a tenere una conferenza in un ambiente musul- mano, accetta di parlare in una sa- la decorata con versetti del Cora- no. L’integrazione di un’Europa sempre più affollata di extracomuni- tari deve avvenire sulla base di una reciproca tolleranza. E colgo l’occa- sione per fare un’obiezione alla mia amica Elisabetta Rasy, che recente- mente sul Sette del Corriere della Se- ra osservava che “tolleranza” le pare un’espressione razzista. Ricordo che Locke aveva scritto un’epistola sulla tolleranza e un trattatello sulla tolle- ranza aveva scritto Voltaire. Può dar- si che oggi “tollerare” sia usato anche in senso spregiativo (io ti tollero an- che se ti ritengo inferiore a me, e pro- prio perché io sono superiore), ma il concetto di tolleranza ha una sua storia e dignità filosofica e rinvia alla mutua comprensione tra diversi. L’educazione dei ragazzi nelle scuole del futuro non deve basarsi sull’occultamento delle diversità, ma su tecniche pedagogiche che in- ducano a capire e ad accettare le di- versità. E da tempo si ripete che sa- rebbe bello che nelle scuole, accanto all’ora di religione (non in alternati- va per coloro che cattolici non sono) fosse istituita almeno un’ora setti- manale di storia delle religioni, così che anche un ragazzo cattolico pos- sa capire che cosa dice il Corano o co- sa pensano i buddisti o gli ebrei (e musulmani o buddisti, ma persino i cattolici, capiscano come nasce e co- sa dice la Bibbia). Invito a Adel Smith, dunque, e agli intolleranti fondamentalisti: capite e accettate usi e costumi del paese ospite. E invito agli ospitanti: fate sì che i vostri usi e costumi non diven- tino imposizione delle vostre fedi. Dopo di che si aprano tutti i dibattiti possibili sul chador e si ricordi – e da tempo consento con chi si è recente- mente espresso in questo senso – che abbiamo il diritto e il dovere di fissa- re i limiti oltre i quali qualcosa diven- ta per noi intollerabile. Per fare un esempio estremo (ed evidentemen- te incontrovertibile, ma è bene parti- re dal senso comune) possiamo ca- pire e spiegare il cannibalismo ritua- le in società lontane, ma se un mem- bro di quelle società viene da noi de- ve astenersi dal consumare carne umana, perché da noi non solo è rea- to – che sarebbe ancora poco – ma un’offesa agli usi e costumi, e quindi alla sorgente stessa dei nostri atteg- giamenti passionali. Inutile fare esercizi di giurispru- denza o di diritto ecclesiastico su ciò che appartiene all’antropologia cul- turale. Bisogna rispettare anche le zone d’ombra, per moltissimi confortanti e accoglienti, che sfug- gono ai riflettori della ragione. (segue dalla prima pagina) I n Italia Togliatti ha fatto votare i suoi per l’articolo sette della co- stituzione. La scuola francese è ri- gorosamernte laica, e tuttavia alcu- ne delle grandi correnti del cattolice- simo moderno sono fiorite proprio nella Francia repubblicana, a destra come a sinistra, da Charles Peguy e Léon Bloy a Maritain e Mounier, per arrivare sino ai preti operai, e se Fati- ma è in Portogallo, Lourdes è in Fran- cia. Quindi si vede che, anche elimi- nando i simboli religiosi dalle scuo- le, questo non incide sulla vitalità dei sentimenti religiosi. Nelle università nostre non c’è il crocifisso nelle aule, ma schiere di studenti aderiscono a Comunione e Liberazione. Di con- verso, almeno due generazioni di ita- liani hanno passato l’infanzia in au- le in cui c’era il crocifisso in mezzo al ritratto del re e a quello del duce, e sui trenta alunni di ciascuna classe par- te sono diventati atei, altri hanno fat- to la Resistenza, altri ancora, credo la maggioranza, hanno votato per la Repubblica. So- no tutti aneddoti, se volete, ma di portata storica, e ci dicono che l’e- sibizione di sim- boli sacri nelle scuole non deter- mina l’evoluzio- ne spirituale de- gli alunni. Quindi qualcuno po- trebbe dire che la questione è irrile- vante anche da un punto di vista religioso. Evidentemen- te la questione non è irrilevante in linea di princi- pio, perché il cro- cifisso in aula ri- corda che siamo un paese di tradi- zione cristiana e cattolica, e quin- di è comprensibi- le la reazione de- gli ambienti ec- clesiastici. Eppu- re anche le consi- derazioni di prin- cipio si scontrano con osservazioni di ordine che direi sociologico. Av- viene infatti che, emblema classi- co della civiltà europea, il crocifisso si è sciaguratamente laicizzato, e non da ora. Crocifissi oltraggiosa- mente tempestati di pietre preziose si sono adagiati sulla scollatura di peccatrici e cortigiane, e tutti ricor- dano il cardinal Lambertini che, ve- dendo una croce sul seno fiorente di una bella dama, faceva salaci osser- vazioni sulla dolcezza di quel calva- rio. Portano catenelle con croci ra- gazze che vanno in giro con l’ombe- lico scoperto e la gonna all’inguine. Lo scempio che la nostra società ha fatto del crocifisso è veramente ol- traggioso, ma nessuno se ne è mai scandalizzato più di tanto. Le nostre città fungheggiano di croci, e non so- lo sui campanili, e le accettiamo co- me parte del paesaggio urbano. Né credo che sia per questioni di laicità che sulle strade statali si stanno so- stituendo i crocicchi, o incroci che siano, con i rondò. Infine ricordo che, così come la mezzaluna (simbolo musulmano) appare nelle bandiere dell’Algeria, della Libia, delle Maldive, della Ma- laysia, della Mauritania, del Paki- stan, di Singapore, della Turchia e della Tunisia (eppure si parla del- l’entrata in Europa di una Turchia formalmente laica che porta un sim- bolo religioso sulla bandiera), croci e strutture cruciformi si trovano sulle bandiere di paesi laicissimi come la Svezia, la Norvegia, la Svizzera, la LA REPUBBLICA 47 MERCOLEDÌ 29 OTTOBRE 2003 Nuova Zelanda, Malta, l’Islanda, la Grecia, la Norvegia, la Finlandia, la Danimarca, l’Australia, la Gran Bre- tagna e via dicendo. Molte città ita- liane, magari con amministrazioni di sinistra, hanno una croce nel loro stemma, e nessuno ha mai protesta- to. Sarebbero tutte buone ragioni per rendere accettabile il crocifisso nelle scuole, ma come si vede non toccano affatto il sentimento religio- so. Atroce dirlo per un credente, ma la croce è diventata un simbolo seco- lare e universale. Naturalmente si potrebbe sugge- rire di mettere nelle scuole una croce nuda e cruda, come accade di trova- re anche nello studio di un arcive- scovo, per evitare il richiamo troppo evidente a una religione specifica, ma capisco che oggi come oggi la co- sa sarebbe intesa come un cedimen- to. Il problema sta altrove, e torno al- la considerazione degli effetti pas- sionali. Esistono a questo mondo de- gli usi e costumi, più radicati delle fe- di o delle rivolte contro ogni fede, e gli usi e costumi vanno rispettati. Per questo – anche se francamente non so se vi siano testi coranici che lo im- pongono – se visito una moschea mi tolgo le scarpe, altrimenti non ci va- do. Per questo una visitatrice atea è tenuta, se visita una chiesa cristiana, a non esibire abiti provocanti, altri- menti si limiti a visitare i musei. Io so- no l’essere meno superstizioso del mondo e adoro passare sotto le sca- le, ma conosco amici laicissimi e per- sino anticlericali che sono supersti- ziosi, e vanno in tilt se si rovescia il sa- le a tavola. È per me una faccenda che riguarda il loro psicologo (o il loro esorcista personale), ma se devo in- vitare gente a cena e mi accorgo che siamo in tredici, faccio in modo di portare il numero a quattordici o ne metto undici a tavola e due su un ta- volinetto laterale. La mia preoccu- pazione mi fa sorridere, ma rispetto la sensibilità, gli usi e costumi degli altri. Le reazioni addolorate e sdegnate che si sono ascoltate in questi giorni, anche da parte di persone agnosti- che, ci dicono che la croce è un fatto di antropologia culturale, il suo pro- D IA R IO di MASSIMO CACCIARI E’ atroce dirlo per un credente ma la croce è diventata un simbolo secolare e universale La questione non è certo irrilevante in linea di principio per via della tradizione NULLA contrassegna la volgarità del pen- siero più della concezione, oggi larga- mente dominante, che oppone laicità a at- to di fede. Laico può essere il credente come il non cre- dente. E così entrambi possono essere espressione del più vuoto dogmatismo. Laico non è colui che rifiuta, o peggio deride, il sacro, ma, letteralmente, colui che vi sta di fronte. Di fronte in ogni senso: discutendolo, interrogandolo, met- tendosi in discussione di fronte al suo mistero. Laico è ogni credente non superstizioso, capace, cioè, anzi desidero- so, di discutere faccia a faccia col proprio Dio. Non assicu- rato a Lui, ma appeso alla Sua presenza-assenza. E così è laico ogni non credente che sviluppi senza mai assolutiz- zare o idolatrare il proprio relativo punto di vista, la propria ricerca, e insieme sappia ascoltare la profonda analogia che la lega alla domanda del credente, alla agonia di que- st’ultimo. Quando comprenderemo con questa ampiezza il significato della laicità, allora, e soltanto allora, essa potrà essere un valore sopra il quale ricostruire la nostra dimora. LAICITÀ. UMBERTO ECO L’Italia che cresce nella tolleranza LA FRASE Lo spirito laico non è esso stesso una nuova cultura ma è la condizione per la convivenza di tutte le possibili culture. La laicità esprime piuttosto un metodo che un contenuto. Tanto è vero che quando diciamo che un intellettuale è laico non intendiamo attribuirgli un determinato sistema di idee ma che non pretende che gli altri la pensino come lui e rifiuta il braccio secolare per difenderlo DAL CROCIFISSO AI SIMBOLI DELLE ALTRE RELIGIONI NORBERTO BOBBIO LAICITÀ

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filo è radicato nella sensibilità comu-ne. E di questo dovrebbe essersi ac-corto Adel Smith: se un musulmanovuole vivere in Italia, oltre ogni prin-cipio religioso, e purché la sua reli-

giosità sia rispet-tata, deve accet-tare gli usi e co-stumi del paeseospite. Non capi-sco perché neipaesi musulmaninon si debba con-sumare alcool,ma se visito unpaese musulma-no bevo alcoolsolo nei luoghideputati (comegli hotel per euro-pei) e non vado aprovocare i localit r a c a n n a n d owhisky da unafiaschetta davan-ti a una moschea.E se un monsi-gnore viene invi-tato a tenere unaconferenza in unambiente musul-mano, accetta diparlare in una sa-la decorata conversetti del Cora-no.

L’integrazionedi un’Europa

sempre più affollata di extracomuni-tari deve avvenire sulla base di unareciproca tolleranza. E colgo l’occa-sione per fare un’obiezione alla miaamica Elisabetta Rasy, che recente-mente sul Sette del Corriere della Se-ra osservava che “tolleranza” le pareun’espressione razzista. Ricordo cheLocke aveva scritto un’epistola sullatolleranza e un trattatello sulla tolle-ranza aveva scritto Voltaire. Può dar-si che oggi “tollerare” sia usato anchein senso spregiativo (io ti tollero an-che se ti ritengo inferiore a me, e pro-prio perché io sono superiore), ma ilconcetto di tolleranza ha una suastoria e dignità filosofica e rinvia allamutua comprensione tra diversi.

L’educazione dei ragazzi nellescuole del futuro non deve basarsisull’occultamento delle diversità,ma su tecniche pedagogiche che in-ducano a capire e ad accettare le di-versità. E da tempo si ripete che sa-rebbe bello che nelle scuole, accantoall’ora di religione (non in alternati-va per coloro che cattolici non sono)fosse istituita almeno un’ora setti-manale di storia delle religioni, cosìche anche un ragazzo cattolico pos-sa capire che cosa dice il Corano o co-sa pensano i buddisti o gli ebrei (emusulmani o buddisti, ma persino icattolici, capiscano come nasce e co-sa dice la Bibbia).

Invito a Adel Smith, dunque, e agliintolleranti fondamentalisti: capitee accettate usi e costumi del paeseospite. E invito agli ospitanti: fate sìche i vostri usi e costumi non diven-tino imposizione delle vostre fedi.Dopo di che si aprano tutti i dibattitipossibili sul chador e si ricordi – e datempo consento con chi si è recente-mente espresso in questo senso – cheabbiamo il diritto e il dovere di fissa-re i limiti oltre i quali qualcosa diven-ta per noi intollerabile. Per fare unesempio estremo (ed evidentemen-te incontrovertibile, ma è bene parti-re dal senso comune) possiamo ca-pire e spiegare il cannibalismo ritua-le in società lontane, ma se un mem-bro di quelle società viene da noi de-ve astenersi dal consumare carneumana, perché da noi non solo è rea-to – che sarebbe ancora poco – maun’offesa agli usi e costumi, e quindialla sorgente stessa dei nostri atteg-giamenti passionali.

Inutile fare esercizi di giurispru-denza o di diritto ecclesiastico su ciòche appartiene all’antropologia cul-turale. Bisogna rispettare anche lezone d’ombra, per moltissimiconfortanti e accoglienti, che sfug-gono ai riflettori della ragione.

(segue dalla prima pagina)

In Italia Togliatti ha fatto votare isuoi per l’articolo sette della co-stituzione. La scuola francese è ri-

gorosamernte laica, e tuttavia alcu-ne delle grandi correnti del cattolice-simo moderno sono fiorite proprionella Francia repubblicana, a destracome a sinistra, da Charles Peguy eLéon Bloy a Maritain e Mounier, perarrivare sino ai preti operai, e se Fati-ma è in Portogallo, Lourdes è in Fran-cia. Quindi si vede che, anche elimi-nando i simboli religiosi dalle scuo-le, questo non incide sulla vitalità deisentimenti religiosi. Nelle universitànostre non c’è il crocifisso nelle aule,ma schiere di studenti aderiscono aComunione e Liberazione. Di con-verso, almeno due generazioni di ita-liani hanno passato l’infanzia in au-le in cui c’era il crocifisso in mezzo alritratto del re e a quello del duce, e suitrenta alunni di ciascuna classe par-te sono diventati atei, altri hanno fat-to la Resistenza, altri ancora, credo lamaggioranza, hanno votato per laRepubblica. So-no tutti aneddoti,se volete, ma diportata storica, eci dicono che l’e-sibizione di sim-boli sacri nellescuole non deter-mina l’evoluzio-ne spirituale de-gli alunni. Quindiqualcuno po-trebbe dire che laquestione è irrile-vante anche daun punto di vistareligioso.

Evidentemen-te la questionenon è irrilevantein linea di princi-pio, perché il cro-cifisso in aula ri-corda che siamoun paese di tradi-zione cristiana ecattolica, e quin-di è comprensibi-le la reazione de-gli ambienti ec-clesiastici. Eppu-re anche le consi-derazioni di prin-cipio siscontrano conosservazioni diordine che direisociologico. Av-viene infatti che,emblema classi-co della civiltà europea, il crocifissosi è sciaguratamente laicizzato, enon da ora. Crocifissi oltraggiosa-mente tempestati di pietre preziosesi sono adagiati sulla scollatura dipeccatrici e cortigiane, e tutti ricor-dano il cardinal Lambertini che, ve-dendo una croce sul seno fiorente diuna bella dama, faceva salaci osser-vazioni sulla dolcezza di quel calva-rio. Portano catenelle con croci ra-gazze che vanno in giro con l’ombe-lico scoperto e la gonna all’inguine.Lo scempio che la nostra società hafatto del crocifisso è veramente ol-traggioso, ma nessuno se ne è maiscandalizzato più di tanto. Le nostrecittà fungheggiano di croci, e non so-lo sui campanili, e le accettiamo co-me parte del paesaggio urbano. Nécredo che sia per questioni di laicitàche sulle strade statali si stanno so-stituendo i crocicchi, o incroci chesiano, con i rondò.

Infine ricordo che, così come lamezzaluna (simbolo musulmano)appare nelle bandiere dell’Algeria,della Libia, delle Maldive, della Ma-laysia, della Mauritania, del Paki-stan, di Singapore, della Turchia edella Tunisia (eppure si parla del-l’entrata in Europa di una Turchiaformalmente laica che porta un sim-bolo religioso sulla bandiera), croci estrutture cruciformi si trovano sullebandiere di paesi laicissimi come laSvezia, la Norvegia, la Svizzera, la

LA REPUBBLICA 47MERCOLEDÌ 29 OTTOBRE 2003

Nuova Zelanda, Malta, l’Islanda, laGrecia, la Norvegia, la Finlandia, laDanimarca, l’Australia, la Gran Bre-tagna e via dicendo. Molte città ita-liane, magari con amministrazionidi sinistra, hanno una croce nel lorostemma, e nessuno ha mai protesta-to. Sarebbero tutte buone ragioniper rendere accettabile il crocifissonelle scuole, ma come si vede nontoccano affatto il sentimento religio-so. Atroce dirlo per un credente, mala croce è diventata un simbolo seco-lare e universale.

Naturalmente si potrebbe sugge-rire di mettere nelle scuole una crocenuda e cruda, come accade di trova-re anche nello studio di un arcive-scovo, per evitare il richiamo troppoevidente a una religione specifica,ma capisco che oggi come oggi la co-sa sarebbe intesa come un cedimen-to.

Il problema sta altrove, e torno al-la considerazione degli effetti pas-sionali. Esistono a questo mondo de-gli usi e costumi, più radicati delle fe-di o delle rivolte contro ogni fede, e gliusi e costumi vanno rispettati. Per

questo – anche se francamente nonso se vi siano testi coranici che lo im-pongono – se visito una moschea mitolgo le scarpe, altrimenti non ci va-do. Per questo una visitatrice atea ètenuta, se visita una chiesa cristiana,a non esibire abiti provocanti, altri-menti si limiti a visitare i musei. Io so-no l’essere meno superstizioso delmondo e adoro passare sotto le sca-le, ma conosco amici laicissimi e per-sino anticlericali che sono supersti-ziosi, e vanno in tilt se si rovescia il sa-le a tavola. È per me una faccenda cheriguarda il loro psicologo (o il loroesorcista personale), ma se devo in-vitare gente a cena e mi accorgo chesiamo in tredici, faccio in modo diportare il numero a quattordici o nemetto undici a tavola e due su un ta-volinetto laterale. La mia preoccu-pazione mi fa sorridere, ma rispettola sensibilità, gli usi e costumi deglialtri.

Le reazioni addolorate e sdegnateche si sono ascoltate in questi giorni,anche da parte di persone agnosti-che, ci dicono che la croce è un fattodi antropologia culturale, il suo pro-

DIARIOdi

MASSIMO CACCIARI

E’ atroce dirlo per uncredente ma la croce èdiventata un simbolosecolare e universale

La questione non ècerto irrilevante in

linea di principio pervia della tradizione

NULLA contrassegna la volgarità del pen-siero più della concezione, oggi larga-mente dominante, che oppone laicità a at-

to di fede. Laico può essere il credente come il non cre-dente. E così entrambi possono essere espressione del piùvuoto dogmatismo. Laico non è colui che rifiuta, o peggioderide, il sacro, ma, letteralmente, colui che vi sta di fronte.Di fronte in ogni senso: discutendolo, interrogandolo, met-tendosi in discussione di fronte al suo mistero. Laico è ognicredente non superstizioso, capace, cioè, anzi desidero-so, di discutere faccia a faccia col proprio Dio. Non assicu-rato a Lui, ma appeso alla Sua presenza-assenza. E così èlaico ogni non credente che sviluppi senza mai assolutiz-zare o idolatrare il proprio relativo punto di vista, la propriaricerca, e insieme sappia ascoltare la profonda analogiache la lega alla domanda del credente, alla agonia di que-st’ultimo. Quando comprenderemo con questa ampiezzail significato della laicità, allora, e soltanto allora, essa potràessere un valore sopra il quale ricostruire la nostra dimora.

LAICITÀ.

UMBERTO ECO

L’Italia che

cresce nella

tolleranza

LA FRASELo spirito laico non èesso stesso una nuova

cultura ma è lacondizione per la convivenzadi tutte le possibili culture. Lalaicità esprime piuttosto unmetodo che un contenuto.Tanto è vero che quando

diciamo che un intellettuale èlaico non intendiamo attribuirgliun determinato sistema di idee

ma che non pretende che gli altrila pensino come lui e rifiutail braccio secolare

per difenderlo

DAL CROCIFISSO AI SIMBOLI DELLE ALTRE RELIGIONI

NORBERTO

BOBBIOLAICITÀ

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48 LA REPUBBLICA MERCOLEDÌ 29 OTTOBRE 2003C U L T U R A

LA RELIGIONE IN FRANCIA E LO SPIRITO ILLUMINISTA

QUEL SIMBOLOAPPESO AL MURO

JEAN DANIEL

Se Adel Smith non fosse unitalo-egiziano convertitoall’Islam, se non avesse la

pretesa di parlare a nome di mi-gliaia di musulmani residentiin Italia, la faccenda si ridur-rebbe a un problema giuridico.Ci troveremmo davanti allabattaglia di un illuminista laicocontro l’oscurantismo religio-so, il clericalismo militante.

Di fatto, nei paesi europei, esoprattutto in Francia, «figliaprimogenita della Chiesa», e inquest’Italia che è la culla del pa-pato, le lotte per strappare laneutralità laica dello Stato so-no state nobili, epiche, gratifi-canti. Non ci sarebbe da offen-dersi per il fatto che qualcuno,foss’anche uno straniero, pro-pugni la neutralità religiosa echieda un cambiamento delleleggi contrarie a questa neutra-lità.

Quanto alla questione di fon-do, e a meno che non si tratti diun’opera d’arte o di un orna-mento secolare, non c’è ragio-ne di imporre a un bambino lospettacolo di un supplizio la cuitrascendenza non è condivisadai suoi genitori. Anche se ilpresidente Ciampi ha ritenuto,non senza ragione, di poter di-chiarare che il crocefisso fa par-te dei valori della Repubblicaitaliana. E benché vi siano statiaccordi costituzionali per la-sciare i crocefissi al loro posto.

Ma le cose stanno diversa-mente: è stato in veste di capodi un’organizzazione musul-mana, in quanto musulmano ea nome dell’Islam, che il de-nunciante ha riportato la suastrana vittoria. E così, di colpo,la lotta della libertà contro ildogma si è trasformata in lottadi una religione contro l’altra,in rivalità tra il monoteismocristiano e il monoteismo mu-sulmano.

D’un tratto si sono sprigio-nati sentori antichi ma tenacidi crociate, di Riconquista, diassedio di Vienna e di battagliadi Lepanto. Il grande arabistaamericano Bernard Lewis af-ferma tranquillamente che unconflitto plurisecolare comequello che ha contrapposto l’I-slam alla cristianità non puòscomparire come per incanto.Ed è un fatto che anche permoltissimi amici degli arabo-musulmani e della causa deipaesi dell’Islam, colonizzati evittime dell’oppressione occi-dentale, sta risorgendo d’untratto il fantasma di un Islamespansionista, prolifico e mag-gioritario. E all’improvviso ve-dono in sogno – o piuttosto inun incubo – i minareti dellemoschee incombere più altidella Tour Eiffel, delle torri diSan Gimignano, delle guglie diNotre Dame e della cattedraledi Bologna.

Da qui l’importanza di avereidee chiare, senza complessi némasochismi. Bisogna pur am-mettere che tra i musulmanidel mondo si vedono spettaco-li più penosi di quello di un cro-cefisso offerto allo sguardo de-gli scolari. E si può anche spa-zientirsi all’idea che l’ultimoospite arrivato in una casa ma-nifesti le sue esigenze di arre-damento. Come mi ha detto re-

centemente il grande antropo-logo Levi-Strauss, a propositodel velo portato a scuola, «sitratta semplicemente di unascortesia». Il dovere di un ospi-te è quello di meritarsi l’ospita-lità di chi lo accoglie, rispettan-do le usanze della sua casa.

I francesi hanno faticatomolto a far togliere i crocefissidalle scuole (e in Bretagna nonci sono riusciti). Perciò si puòcomprendere l’indignazione

di alcuni per leragazze velatea scuola. Restaperò un fatto:q u a l u n q u eforma la laicitàpossa assume-re, a Parigi o aRoma, gli ita-liani hanno ildiritto di esige-re che si rispet-ti il loro modop a r t i c o l a r e ,conforme alloro spirito na-zionale, dievolvere versol’universale.Se c’è da cam-biare la Costi-tuzione, la co-sa riguarda glii tal iani chel’hanno edifi-cata. I musul-mani dovreb-

bero poter comprendere me-glio di chiunque altro la forzadelle tradizioni.

(Traduzione di ElisabettaHorvat)

SCRITTOREJean Daniel,giornalista,saggista,scrittore, èstato tra ifondatoridelsettimanaleNouvelObservateur

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CATTIVE ABITUDINI

A proposito del veloportato a scuolaLévi-Strauss dice:è solo una scortesia

RAYMOND ARON

La società francese èdilaniata dall’opposizionetra la Chiesa e lademocrazia… In Francia,proprio il conflitto tra lospirito moderno e laChiesa è la causa ultimadelle difficoltà che lademocrazia incontra nelmantenersi liberale

JACQUES DERRIDA

L’esperienza che l’Europaha inaugurato conl’Illuminismo nei rapportitra il politico e il religioso,pur rimanendo incompiuta,ha lasciato dei segni chenon si trovano, né nelmondo musulmano, né inEstremo Oriente e neanchenella democrazia americana

PARLA AMOS LUZZATTO, PRESIDENTE DELL’UNIONE DELLE COMUNITÀ EBRAICHE ITALIANE

SE SI NEGA L’EGUAGLIANZAFRA TUTTE LE RELIGIONI

ROMA — Per Amos Luzzatto, presidente dell’U-nione delle comunità ebraiche italiane, l’ordi-nanza del giudice dell’Aquila sul crocifisso èun’occasione per discutere il tema della laicità inun paese a dominante maggioranza cattolica.

Professor Luzzatto, la richiesta di rimuovere ilcrocifisso da un’aula le è parsa una mera provo-cazione o una rivendicazione di libertà religio-sa?

«Mi piacerebbe interpretarla nel secondo mo-do. Non vorrei però che un caso così limitato, na-to dall’iniziativa di una persona che non è un mo-dello di moderazione, alterasse i termini dellaquestione. La quale esiste a prescindere dalla giu-stezza o meno della sentenza di cui si parla. Si trat-ta del diritto di cittadinanza delle minoranze reli-giose. Essa verte principalmente nella possibilitàper tutti di sentirsi, nei luoghi pubblici, uguali agli

altri. Nel non essere cioè imbarazzati da atteggia-menti o simboli che appartengono solo a una par-te della popolazione» .

In che modo un ebreo sente la laicità?«Significa appunto ciò che le dicevo. Essere

equivalente a qualsiasi altro cittadino. Non do-versi considerare minorato di qualche rappre-sentatività o di qualche diritto. Nei paesi nei qua-li si è abituati ad avere una molteplicità di cre-denze religiose — gli Stati Uniti, per esempio, o laGermania, divisa fra cattolici e protestanti — unepisodio come quello da cui siamo partiti non sipone neppure. Nei luoghi pubblici, l’accesso ditutti è equilibrato» .

Si è letto, in questi giorni, che per gli ebrei ilcrocifisso rappresenta una garanzia di libertà.Lei non è d’accordo? «Storicamente non è così.Non si può dimenticare che quel simbolo, il cro-

NELLO AJELLO

I CLASSICI

GIOVANNI DAPARIGITractatus deregiapotestate(1302-1303)

DANTEALIGHIERIDeMonarchia(1312-1313)

MARSILIO DAPADOVADefensorPacis(1324)

NICCOLÒMACHIAVELLIIl Principe(1513)

MARTINLUTEROSull’autoritàsecolare(1523)

JOHNLOCKELettera sullatolleranza(1689)

PIERREBAYLEDizionariostorico-critico(1697-1702)

VOLTAIRETrattato sullatolleranza(1723)

LUDOVICOANTONIOMURATORIDellapubblicafelicità(1748)

FRANCESCOMARIOPAGANOSaggi politici (1791-1792)

ALEXIS DETOCQUEVILLELademocraziain America(1840)

BENEDETTOCROCEStoriad’Europa nelseolo XIX(1932)

LA RIVOLUZIONE FRANCESECon l’insurrezione del 14 luglio 1789 e la presa della Bastiglia crolla l’AnticoRegime. Il 26 agosto l’Assemblea votala Dichiarazione dei diritti dell’uomo.

L’ERA DI CAVOURNel 1800, in Italia lo sviluppo del laicismo èconnesso con le vicende risorgimentali. E’Cavour in Parlamento a coniarela formula “libera Chiesa in libero Stato”.

LA PRESA DI PORTA PIAIl 20 settembre del 1870 le truppe italianeentrano a Roma e il Lazio viene annesso alRegno. La “legge delle guarantigie”,approvata nel ’71, non piacerà a Pio IX.

LE TAPPEPRINCIPALI

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LA REPUBBLICA 49MERCOLEDÌ 29 OTTOBRE 2003 C U L T U R A

ESSERE LAICO FRA CHIESA E STATO

UNA PAROLA

UN PO’ AMBIGUAPIETRO SCOPPOLA

Poche parole sono più ambiguedella laicità. La parola laicitànon ha un preciso riscontro

nel mondo anglosassone: gli ame-ricani, quando decisero di inserirenella costituzione del 1787 una di-chiarazione dei diritti approvaronoi famosi emendamenti (1791), ilprimo dei quali vieta al Congressodi “fare alcuna legge per il ricono-scimento di qualsiasi religione”.Ma questo non impedisce che la re-ligione abbia un ruolo nella vitapubblica.

E’ nel conti-nente europeoche il dibattito èstato più ampio etalvolta laceran-te. Il confrontocon la Francia èparticolarmentesignificativo. Ifrancesi hannoscritto nelle lorocostituzioni ilprincipio di lai-cità; ma nel di-battito sulla co-stituzione del1946 ci fu chi, co-me Schuman,interpretò la lai-cità nel sensodella neutralitàdello Stato; e chiinvece, come ilpresidente dellac o m m i s s i o n ePhilip, la inter-pretò come una fede. Proprio in ra-gione di questa ambiguità la parolanon compare nella costituzioneitaliana del ‘48.

Vi era stato nel corso dell’Otto-cento uno sviluppo semantico, so-

stanzialmente parallelo in Franciae Italia. Laico è, ancora nei diziona-ri agli inizi dell’Ottocento, chi nellaChiesa non è né sacerdote né mo-naco. La parola ha un significato in-terno alla Chiesa. Poi, progressiva-mente, la parola perde questo si-gnificato originario, e acquistaquello di esterno alla Chiesa: ma ciòche è esterno è neutrale o ostile?

L’ambiguità permane a lungo sulpiano della politica e della cultura.La polemica laica e anticlericale as-sume nei due paesi, negli ultimi de-cenni dell’Ottocento e all’inizio delnuovo secolo, differenze profondenelle motivazioni, nel tono e nell’a-sprezza. In Francia l’affermazionedella laicità e la politica anticlerica-le della III Repubblica implicanoun richiamo alla ideologia rivolu-zionaria dell’ 89, che in Rousseau,come è noto, era giunta fino a pro-porsi come una religione secolarealternativa a quella cattolica.

In Italia gli uomini della Destrastorica come Cavour, Minghetti oRicasoli non si richiamano alleideologie dell’89: la laicità non im-plica ostilità alla religione, ma rico-noscimento del suo ruolo nel qua-dro delle libertà civili. Dopo il Silla-bo la crisi del movimento concilia-torista e l’affermarsi della tendenzaintransigente inasprirono il con-flitto. Nel liberalismo che si ispiraalla filosofia hegeliana lo Stato di-venta portatore di valori alternativialla Chiesa: la laicità è ideologia diStato. Ma la pressione socialista de-termina una crisi nelle file dell’an-ticlericalismo: si guarda alla Chiesae alla influenza del clero sulle mas-se popolari come a un’ancora disalvezza. Poi con il nazionalismo siannuncia una fase nuova in cui lareligione diviene instrumentum re-gni: è il quadro culturale e religiosoin cui si colloca l’intesa fra la Chie-sa cattolica e il fascismo

Alla caduta del fascismo la laicitàdello Stato affermata, anche senzaesplicito uso della parola, nella Co-stituzione è oggetto di dure criticheda parte cattolica. Si verificano nu-merosi interventi restrittivi a caricodi minoranze religiose che, pur nelclima della guerra fredda, provoca-no reazioni della Ambasciata ame-ricana a Roma. Occorrerà attende-re nel ’56 il cosiddetto disgelo costi-tuzionale perché il panorama mutiprofondamente.

Le ambiguità implicite nel con-cetto di laicità riemergono nel di-battito culturale. Lo storico crocia-no Walter Maturi, nella voce “laici-smo” del Dizionario di politica del-la Enciclopedia italiana, sottolineache “il laicismo contiene in sé unaconcezione del mondo e della vitache emancipa lo spirito umano,esplicitamente o implicitamente,dalle religioni positive”. Ma il libe-rale Valerio Zanone nel Dizionariodi politica di Bobbio e Matteuccidel 1975 indica nel laicismo nonuna ideologia ma piuttosto un me-todo, che non è sinonimo di irreli-giosità. Si distingue la laicità dal lai-cismo per sottolineare che laicità estato laico designano lo stato acon-fessionale che non garantisce san-zioni giuridiche alle norme etico re-ligiose proprie di una particolareconfessione, ma al tempo stesso ri-conosce l’esistenza delle istituzio-ni religiose e l’importanza dei prin-cipi e dello spirito religioso per la vi-ta della comunità. Su questa linea siè collocata la giurisprudenza dellaCorte costituzionale.

STORICOPietroScoppolaè studiosodelmovimentocattolico edell’Italiarepubblicana

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LA STORIA

Il termine “laicità” nonha riscontro nel mondoanglosassone. Diversoè nel resto dell’Europa

AMARTYA SEN

Nonostante vicissitudini etumulti l’India ancora non èstata costretta adabbandonare il laicismo, lademocrazia e le riforme perla sua modernizzazione. Lacostruzione di unademocrazia laica, moderna eriformista era proprio quelloche Nehru si era proposto

JÜRGEN HABERMAS

Le condizioni complesse divita delle societàpluralistiche sono ormaicompatibili solo con un tiporigoroso di universalismoche consiste nell’egualerispetto per ciascuno –cattolico o protestante,musulmano o ebreo,credente o agnostico

cifisso, è stato adoperato anche a giustificazionedi guerre crudeli. A coronamento di persecuzioniantiebraiche. E può perciò evocare ricordi cupi. E’giusto fra l’altro osservare che esso non appartie-ne neppure a tutta la Cristianità. I protestantiadorano la croce, non il crocifisso» .

Da questo a richiederne la rimozione da unascuola italiana, tuttavia, ci corre.

«Nessuno di noi intende imporre la scomparsa— dai luoghi pubblici, ripeto — di alcun simboloche venga considerato valido per tutti. E’ giusto

che tutti espongano i propri simboli nei rispettiviluoghi di rito» .

La controversia comunque è nata, professorLuzzatto. E — lo diceva lei stesso — sottintendeun problema assai ampio. Come se ne esce?

«Dopo il Concilio Vaticano Secondo sono fio-rite iniziative di grande interesse. Un apposito or-ganismo, il Segretariato per le Attività Ecumeni-che, compie uno sforzo notevole per promuove-re, tra le varie professioni religiose, un dialogo pa-ritario in cui ciascuno si presenti con i propri va-lori. Nessuno, all’interno di quell’organismo, ilSAE, ha mai preteso di spiegare ai rappresentantidelle altre fedi quali simboli si debbano adorare.In quelle sessioni di studio domina un’atmosferafraterna, che consente anche a noi ebrei di trova-re amici fra i cattolici, i valdesi, i musulmani. Unlavoro proficuo è iniziato. La strada è quella» .

I LIBRI

GUIDOCALOGEROFilosofia deldialogoEdizioni diComunità1962

FRANCESORUFFINILa libertàreligiosaFeltrinelli1991 (ult.ed.)

ARTUROCARLOJEMOLOChiesa eStato in ItaliaEinaudi 1990(ult.ed.)

ALBERTCAMUSIl mito diSisifo (1942)Bompiani1947

GEORGESWEILLStoriadell’idea laicain Francia nelsecolo XIXLaterza 1937

LUIGISALVATORELLIChiesa eStato dallarivoluzionefrancese aoggiLa NuovaItalia 1965

HERMANNLÜBBELasecolarizza-zioneIl Mulino 1970

MICHAELWALZERSullatolleranzaLaterza 1998

AMARTYASEN LaicismoindianoFeltrinelli1998

JACQUESDERRIDAIl diritto allafilosofia dalpunto di vistacosmopoliticoIl Melangolo2003

I PATTI LATERANENSINel 1929 Mussolini e il cardinal Gasparrifirmano nei palazzi del Lateranoi “Patti” tuttora vigenti che definisconoi delicati rapporti tra Stato e Chiesa.

I DIRITTI DELL’UOMOLa “Dichiarazione universale” proclamatanel 1948 dall’assemblea generaledelle Nazioni Unite riconosce a ogniindividuo il diritto alla libertà di religione.

LA COSTITUZIONE ITALIANALa Costituzione della Repubblica italianadel 1948 stabilisce l’indipendenzae la sovranità dello Stato e della Chiesa,ciascuno nel proprio ordine (art. 7).

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MINORANZE

Laicità per un ebreo significaessere equivalente a qualsiasi altrocittadino. Non doversi considerareminorato di qualche diritto

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LA REPUBBLICA 51MERCOLEDÌ 29 OTTOBRE 2003

Rimini

Esce in questi giorni Omeros(Adelphi), l’opera del 1990 di DerekWalcott che aggiorna il poema epico

ispirandosi alla figura del cantore greco.Lo scrittore caraibico, premio Nobel per laletteratura nel 1992, attua continue meta-morfosi sul personaggio di Omero checompare nei panni di sé stesso e di nume-rosi personaggi, trasformandosi in altret-tante guide e voci di un universo i cui con-fini sono dilatati oltre quelli dell’Egeo. ISette Mari del vecchio cieco comprendo-no così anche quello delle Antille, dalla cuirealtà escono i protago-nisti di Walcott. Essimantengono i nomi gre-ci, ma appartengono alsuo “mondo rovesciabi-le”: Achille ha una canoae un fucile, Ettore muoreal volante, Elena è vesti-ta di madras. Walcottmette sulla stessa pagi-na la storia antica e il co-lonialismo, l’iguana e larondine di mare, glischiavi e i pellerossa,Herman Melville e James Joyce, WinslowHomer e Canaletto, la Troia antica e la Lon-dra di oggi. Gli 8000 versi del poema sonostati tradotti da Andrea Molesini che è riu-scito a restituire la musicalità e il ritmo del-l’autore. Abbiamo incontrato Derek Wal-cott in Italia, in occasione del premio PioManzù.

Anche nella sua vita c’è un viaggio,quello dell’eroe che lascia la sua isola, vin-ce le sue battaglie e torna per regnare sul-la letteratura nazionale.

«Non l’ho vissuto in modo così melo-drammatico, né subito grandi prove o sof-ferenze. L’unica prova è stata quella di ten-tare di scrivere poesia, diessere un artista… L’u-nico parallelo che possoimmaginare è quello delviaggio, e del ritorno».

Un ritorno che è cru-ciale nella sua poetica. Adifferenza del suo com-

patriota Vidia Naipaul, lei ha portato laletteratura caraibica nel mondo, non l’haesiliata nei retroscena della sua ispirazio-ne.

«Naipaul non vuole forse essere chia-mato caraibico, ma lo è, anche se scrive inmodo negativo dei Caraibi. Come lui, ci so-no altri scrittori satirici: Evelyn Waugh èuno scrittore satirico, Swift è uno scrittoresatirico, Naipaul è uno scrittore satirico,ma vengono da paesi diversi. Questo noncambia la realtà dell’esistenza letteraria.Io non voglio apparire come l’unico scrit-tore caraibico, ce ne sono molti altri eccel-

lenti». Quando lei ha vinto il

Nobel, la sua gente si èsentita partecipe. A StLucia non solo la piazzaè intitolata a lei, ma an-che un piatto localeporta il suo nome.

«Sì, credo che sia unpiatto a base di pescefritto. La gente dei Ca-raibi era contenta e iocon loro. Quando Nai-paul ha vinto ero molto

irritato dal suo atteggiamento nei con-fronti dei Caraibi, l’avevo suggerito comecandidato, lui è riuscito a evitare perfino dinominare Trinidad nella sua prolusione».

La sua esistenza è paragonabile a uninizio, come quella di Adamo o di Robin-son Crusoe o è la ripetizione di gesti pre-cedenti?

«Ho scritto di deportati o di naufraghi ese parliamo di scrittura caraibica c’è que-sto senso di isolamento nel vivere in un’i-sola arretrata, dove non esiste una casaeditrice o un vero teatro. Nei Caraibi il sen-so della scoperta di sé stesso o del paesag-gio che ci circonda è reale, e lo dico sia da

pittore che da scrittore.Si ha un grande sensa-zione di privilegio e dipossesso quando si è ilprimo a scrivere di un’i-sola e non esiste una ve-ra letteratura prima dite. E’ stato così per tutti

gli scrittori caraibici dal dopoguerra». Un senso di possesso dovuto al piacere

di descrivere le cose per la prima volta, dinominarle per la prima volta?

«In un contesto formale sì, perché lagente inventava i linguaggi, il creolo è unmeticciato fra francese e africano. Dalpunto di vista artistico, ad esempio, l’Italiaè stata quasi esaurita dai pittori. A St Luciaci sono molte probabilità che il paesaggionon sia mai stato dipinto da nessuno. E far-lo lì acquisisce delle proporzioni simili aquelle del mito. Un senso di dovere e unsenso di privilegio».

La pittura per lei è importante. InAnother Life lei racconta l’influenza che

hanno avuto due pittori su di lei.«Harold Simmons è stato il mio mento-

re, era un pittore, viveva di quello. Era de-dito all’arte. Poi si è suicidato. Andavo aimparare da lui con il pittore Dunstan St.Omer, che era mio compagno di scuola».

Quando ha deciso di non fare il pittore?«Non ho mai smesso di dipingere. L’u-

nica differenza è che faccio fatica a sepa-rarmi dai quadri. L’anno prossimo faròuna mostra a New York».

Quando scrive, ha molti ripensamenti?«Quando si invecchia si ha meno biso-

gno di scartare le cose. E’ un problema distile, non di idee. E’ l’esecuzione che con-ta».

Quindi è la realizzazione che la guidaquando scrive.

«Sempre. So che non è un concetto po-polare… L’opinione che conta alla fine èquella dei tuoi pari, degli altri poeti».

Non quella dei lettori?«No, in questo caso la poesia migliore

sarebbe l’ultima canzone pop… L’impie-gato non capirà Amleto, ma al grande arti-sta non importa che il pubblico riesca a ca-pire. Shakespeare chiamò cinicamenteuna delle sue commedie Così è se vi pare,ma poi la scrisse come voleva lui. Era co-sciente del problema, ma non si potevapiegare a scrivere della poesia inferiore alsuo livello».

Allora per chi scrive?«Per il poema. Spero che il lettore ap-

prezzi per quanto può. Ma se pensi a quel-lo che può avere successo, allora sei finito».

Cos’è la poesia per lei?«Le poesie scritte da altri, che mi com-

muovono».E la sua?«Cerco di non pensare al fatto che sto

scrivendo, cerco di evitare l’ambizione,ciò che è importante alla fine non è il su-blime ma è il quotidiano, e il quotidiano,l’ordinario può essere d’impaccio. La rive-lazione può scaturire da un’osservazionecomune».

La scrittura teatrale è diversa dallascrittura poetica?

«No, perché scrivo in versi anche per ilteatro, il linguaggio è lo stesso, il lavoro è lostesso».

Scrivere è una vocazione?«Sì, una vocazione religiosa. Sono stato

benedetto, chiamato. E’ un discorso anti-quato. Ogni scrittore serio deve avere ilsentimento della vocazione, della devo-zione. In fin dei conti tutta la letteraturapuò essere assimilata a una preghiera, chesia proferita o meno».

Wolf, il suo biografo racconta di unasua poesia scritta a 14 anni che scatenòl’accusa di eresia da parte del prete dellasua scuola.

«Perché era una poesia panteista e nonmonoteista. Metteva la natura al posto diDio, il prete era un gesuita e io ero prote-stante. Sono in buona compagnia perquanto riguarda la censura della chiesa. Lasituazione a St Lucia quando ero ragazzoera medievale. L’influenza predominantenella mia isola è quella religiosa. La chiesanon permette l’aborto, non c’è dibattito,non c’è la possibilità di scegliere».

Le piace insegnare scrittura creativa al-la Boston University?

«Insegno a studenti laureati e ho un pic-colo gruppo di autori teatrali».

E la sua compagnia teatrale?«Non abbiamo lavorato molto di recen-

te, ma sono sempre pronti».Lei andrà a Genova l’anno prossimo, al

teatro Archivolto.«Sì, farò una lettura».A cosa sta lavorando?Ho appena finito un nuovo libro che de-

vo consegnare a giorni, un poema, che par-la molto dell’Italia, dei miei viaggi in Italia,delle mie reazioni, delle mie attrazioni ri-spetto ai Caraibi».

Dov’è stato?«Molto a Milano».Qual è il titolo?«Questo è il problema. Non ho un titolo.

E’ angosciante».Omeros è un libro sul mare?«E’ un libro sulla mia isola».C’è un suo quadro in copertina.«Sì, lo stesso che sull’edizione america-

na».

SE OMERO

SBARCA

NEI CARAIBIPICO FLORIDI

Intervista/Il Nobel Derek Walcott ha scritto un poema intitolato al cantore di Ulisse

“Quando Naipaul havinto il Nobel io ero

molto irritato per il suoatteggiamento: non haneppure citato Trinidad

nel suo discorso”

Achille ha una

canoa e un fucile ,

Ettore muore al

volante, Elena è

vestita di madras:

gli eroi classici

frequentano

le Antille e

il mondo moderno

Un ritratto di Derek Walcott

Pubblichiamo i versi iniziali di Omeros

«Così al sorgere del sole, abbiamo tagliato quelle canoe».Filottete sorride per i turisti, che cercano di rubarglil’anima con le loro canon. «Il vento portò la notizia

alle laurier-cannelles, le loro foglie tremavanoquando la scure del sole colpì i cedriche vedevano le lame riflesse nei nostri occhi.

Vento, scuoti le felci. Falle suonare come il mare che nutrenoi pescatori poi tutta la vita, e le felci annuirono: “Sì,gli alberi devono morire”. Così, coi pugni in tasca,

le cime erano fredde e il respiro si arriccia in piume di nebbia, ci passiamo il rum. Chiuso il giro, ci dà la forza di farci sterminatori.

Sollevo la scure e invoco la forza nelle mani per ferire il primo cedro. Ho gli occhi pieni di rugiada, e mi faccio un altro giro di rum. Poi avanziamo».

Per quattro soldi in più, sotto un mandorlo di mare, mostra una cicatrice, marchio di un'àncora arrugginita, arrotolandosi un calzone con il lento lamento

di una conchiglia. La cicatrice s'increspava come la corolla di un riccio di mare. Non rivela la cura.«Ci sono cose» sorride «che contano più d'un dollaro».

(Traduzione di Andrea Molesini)

COSÌCOI PUGNIIN TASCA

L’incipit di “Omeros”

DEREK WALCOTT

www.kataweb.it KATAWEB ARTE. I musei, le gallerie, le mostre in Italia e nel mondo. Tutto a regola d’arte.

EDGARDA FERRI

LETIZIA BONAPARTE

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Vita, potere e tragedia della madre di Napoleone

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52 LA REPUBBLICA MERCOLEDÌ 29 OTTOBRE 2003C U L T U R A

Pietroburgo sopravvisse al-l’utopia e al regolo, alla be-nedizione e alla maledizio-

ne, all’acqua e al fuoco, al cava-liere di bronzo e al suo braccio.Quando, nel 1858, vi giunse dalmare Théophile Gautier, una lu-ce scintillante e fredda cadevadal cielo. Era un azzurro borea-le, con sfumature di latte d’opa-le, d’acciaio, di cui il nostro cie-lo mediterraneo non ha il mini-mo ricordo: un chiarore puro,bianco, siderale, che non sem-brava venire dal sole ma da unaltro pianeta. Sotto la volta lat-tea, l’immensa tovaglia del golfosi tingeva di colori mai visti. Orabianchi di madreperla, ora di fi-nissimo grigio: ora blu opachi,ora blu striati come lame di Da-masco: oppure riflessi iride-scenti; a una zona di ghiaccio le-vigato succedeva una larga stri-scia di moire. Tutto era così leg-gero, così sfumato e limpido,che non poteva essere reso nédalla tavolozza né dalle parole.In fondo emergeva lentamente,tra l’acqua lattiginosa e il cielomadreperlaceo, cinta dalla suacorona dentellata di torrette e diguglie, il profilo di Pietroburgo.L’oro scintillava sul suo diade-ma: «Il più ricco e bel diademache mai la fronte di una città ab-bia portato».

Finalmente scese la neve.Una mattina, Gautier scoprì untetto bianchissimo distaccarsisopra il cielo d’un blu leggero,dove il sole mattutino dorava difumo bianco le nubi rosa. Sulsuolo si stendeva uno spessostrato di neve vergine, dove era-no impressi soltanto i piedi stel-lati dei piccioni, numerosi comea Venezia e a Costantinopoli.Macchiando di grigio-azzurro ilbianco immacolato del suolo, ipiccioni saltellavano, batteva-no le ali, e sembravano attende-re con maggiore impazienza igrani che, ogni mattina, distri-buiva loro un mercante di com-mestibili. La neve ghiacciavad’argento le cupole d’oro dellechiese, rivelava con una lineascintillante le cornici dei fronto-ni, metteva tocchi di bianco sul-le bronzee foglie d’acanto, po-sava punti luminosi sulle spor-genze delle statue, cambiandotutti i rapporti di tono. Un reti-colo di perle avvolgeva le colon-ne gigantesche. Il granito rossa-stro diventava rosa tenero: rice-veva sui bordi un vellutato di pe-sca, trasformandosi in una ma-teria simile allepietre preziosedella Gerusa-lemme celeste.

Anche la pri-mavera —«l’impetuosa etenera, l’umidae abbacinanteprimavera arti-ca di Pietrobur-go», comeavrebbe dettoNabokov — erabellissima. I tetti risplendevano:la fanghiglia della strada era ver-niciata con un’opulenta tintaazzurro e viola. La sera della vi-gilia di Pasqua, quando Gogolimboccava il boulevard del-l’Ammiragliato scorgendo laNeva, il rosa del cielo si coprivadi bruno, gli edifici si ammanta-vano di viola, le chiese parevanodisegnate e incollate su unastoffa rosa, nella nebbia violaz-zurra brillava soltanto la gugliadel campanile di San Pietro ePaolo, riflettendosi nello spec-chio della Neva. Allora Gogolaveva l’impressione di non esse-

re a Pietroburgo, ma inun’altra città dove eragià stato prima, ma do-ve esisteva qualcosache a Pietroburgo nonaveva mai visto. La pri-mavera di Pietroburgoera il ricordo o l’allusio-ne o la speranza di unacittà che non si trova eforse non esiste in nes-sun luogo.

Verso l’inizio del-l’Ottocento, Madamede Staël aveva scopertoche Pietroburgo nonera soltanto la città delpotere, ma il luogo do-ve l’immaginazione el’illusione posavano leloro delicate ali di far-falle. «Gli edifici — scri-veva — sono di unabianchezza abbaglian-te, e la notte, quando laluna li illumina, sem-bra di vedere dei grandifantasmi bianchi cheguardano, immobili, ilcorso della Neva... Maile onde di un fiume misono parse così limpi-de». Per la prima volta ifantasmi erano appar-si, e presto si moltipli-carono. Nel Cavalieredi bronzo (1833) di Pu-skin il giovane Euge-nio, che aveva perdutola donna amata nell’i-nondazione del 1824,smarrisce la ragione.Gira a piedi tutto il gior-no, dorme sulle ban-chine, si ciba di tozzi dipane: i suoi abiti cado-no a pezzi, i ragazzi glitirano pietre, le frustedei cocchieri lo scudi-sciano; e si trascina co-sì, «né abitante delmondo né morta lar-va». Una notte, mentrel’onda fosca lambiva labanchina si trovò da-vanti al Cavaliere di bronzo, ilpotente signore del destino.

Eugenio lo fissò con unosguardo selvaggio:

«Gli parve/ che del terribilezar,/ subitamente ardendo d’i-ra/ il volto si fosse girato pianpiano.../ Ed egli per la piazzavuota/ fugge e si sente dietro —/ come un rombo di tuono — /un galoppo pesante e sonoro /per il lastrico squassato / e, illu-minato dalla luna pallida,/ tesoil braccio nell’alto,/ dietro a lui

corre il cavalie-re bronzo/ sulcavallo che ga-loppa sonoro;/e per tutta lanotte, il poverodemente,/ do-vunque volga ilpasso,/ dietrodi lui il bronzeoCavaliere/ga-loppa con gra-ve scalpito».

I l giovaneEugenio non era demente. Ave-va compreso che nel mondomoderno appena inaugurato, ilpotere reale non esiste: è una al-lucinazione notturna, che por-tiamo nella mente, perenne-mente inseguiti da un fantasmaminaccioso.

Negli stessi anni, Gogol risali-va la Prospettiva Nevskij — laretta interminabile disegnata daPietro, per proiettare la Russianell’utopia. «Ohi, non vi fidatedella Prospettiva! Io sempre miavvolgo più stretto nel mantelloe mi studio di non guardare glioggetti circostanti. Tutto è qui

inganno, tutto delirio, tutto è al-tro da ciò che sembra». Quandovi ficcava lo sguardo, si accorge-va che la Prospettiva mentiva adogni ora, specialmente la notte,quando miriadi di carrozze si ri-versavano dai ponti, i postiglio-ni gridavano e balzavano dai ca-valli, e il «demonio accendeva leluci per mostrare ogni cosa in unaspetto fallace». Poco dopo, ilgiovane Dostoevskij scorgeva inogni strada la figura del Sogna-tore: quest’uomo distratto, conlo sguardo of-fuscato e inca-pace di vedere,col volto palli-do e stremato,che cammina-va a testa bassa,sempre assortoin qualcosa diindicibilmentepenoso. Intan-to, tutte le cosee gli uomini di-v e n t a v a n odoppi, e un balletto fantasma-gorico di sosia riempiva le case,le strade, gli uffici, i palazzi, lementi, i libri. Non li avrebberomai più abbandonati.

Durante le notti bianche esti-ve, ogni differenza tra la luce e latenebra — la differenza su cui èfondato il mondo reale — si per-deva. Tutto era quieto e silenzio-so. La Neva sembrava dormire:solo a tratti, come in un dormi-veglia, sciabordava leggermen-te contro la riva. Poi taceva dinuovo. Un venticello si levavatardi, passando sulle onde ad-dormentate: non le risvegliava,

ma ne increspava appena la su-perficie, suscitando il presenti-mento di qualche altrove. Infinetutto — i palazzi bianchi comespettri, il cavaliere di bronzo, isognatori, i sosia, gli inverni e leestati — si riflettevano nei venti-cinque canali grandi e piccolidella Neva. Questo era Pietro-burgo: uno specchio acquatico,dove si scorgevano figure, checambiavano continuamenteforma, senza che nessuno po-tesse mai dire se erano vere o fal-

se, luminose ot e n e b r o s e ,diurne o not-turne.

Fino agli ulti-mi giorni di vi-ta, Puskin amòmoltissimo lacittà dei riflessie delle illusio-ni. Seduto dinotte nella suastanza, doveleggeva e scri-

veva senza lampada, mentre ilgiorno estivo non cedeva il pas-so alla notte, guardava dall’altoil regale corso della Neva e il suolido di granito. Tutto gli piaceva:l’aria immota del rigido invernodi Pietroburgo, la corsa delleslitte, i volti di rosa delle fanciul-le, la fiamma turchina del ponce,i palchi scintillanti dei teatri, l’a-nimazione guerresca dei fanti edei cavalli, il suono del tamburoche risvegliava la città, la lattaiache correva col secchio, il tede-sco col berretto di carta che sta-va per aprire la bottega: la ric-chezza, il lusso, l’effimero, per-

sino il tremendo e misteriosocavaliere di bronzo. Pietrobur-go era la città moderna, la cittàlieve, dove trionfavano le fanta-sie e le maschere — la stessa«leggera e aerea Pietroburgo», dicui, un secolo dopo, Nabokovavrebbe parlato con passioneinesauribile.

Nell’inizio di Guerra e Pace,che si apre nei salotti di Pietro-burgo, credo che Tolstoj volesseimitare e parodiare Puskin, loscrittore che ammirava più diogni altro. An-che lui, comePuskin, amaval’eleganza deiricevimenti: losfavillio delleparole, che ri-suonavano neisalotti: parolefutili, frivole,assurde che lepadrone di ca-sa guidavanocome direttorid’orchestra: il gioco delle ma-schere, il falso, la commedia de-gli automi, la partita a scacchi diogni giorno. Ma questa delizio-sa commedia mondana si con-cludeva col trionfo di HélèneKuragina, la sontuosa donna dimarmo, stupida e perversa, laregina dei salotti, la MadameVerdurin del principio del seco-lo. Tolstoj detestava la linea ret-ta, che dominava Pietroburgo.La vera Russia era rotonda comel’uomo primitivo immaginatoda Aristofane nel Simposio: o co-me Platon Karataev, il contadi-no dai «grandi, carezzevoli oc-

chi rotondi», che Pierre Bezu-chov incontra in prigionia. Erala tenera, sorridente, dolcissimamadre Russia contadina, chevedeva dovunque i segni, le lucie le ombre del passaggio di Dio.

* * * Qualche anno prima della

pubblicazione di Guerra e Pace,un’altra città aveva invaso esconvolto la Pietroburgo di Pu-skin: la Londra di De Quincey esoprattutto di Dickens — il più

grandioso sim-bolo cittadinodel dicianno-vesimo secolo.Dopo allora,sopra Pietro-burgo gravòsempre la Lon-dra di Dickens:la città spettra-le e fuligginosa,la città nebbio-sa, attraversocui traspariva-

no i pallidi raggi di un sole este-nuato e quasi estinto: la città in-sonne, la città del sottosuolo edel segreto, la città dominata daitopi, la città del Tedio, dei bam-bini affamati e corrotti, che ten-devano la mano ai passanti,mentre, lì vicino, il Tamigi stri-sciava come «uno Stige dai fluttid’ebano».

Quando Dostoevskij, il figliodi Dickens, rappresentò Pietro-burgo, i grandi architetti italia-ni, Rastrelli, Quarenghi e Rinal-di sparirono, insieme ai loro co-lori teneri e delicati. Non c’era-no più chiese dorate né granito

Fino agli ultimi giornidi vita Puskin amò

moltissimo quei luoghiche non si stancava dicontemplare seduto dinotte nella sua stanza

Tolstoj detestavala linea retta che

dominava nell’assettourbanistico: la veraRussia contadinaamava il rotondo

La città dei fantasmie delle grandi illusioni

PIETRO CITATI

PIETROBURGO

La primaveraera bellissima

Nabokov la descrivecome impetuosae tenera, umida e

abbacinante. Gogolne era rimasto

impressionato

Durante le nottibianche estive ladifferenza tra luce etenebra si perdevae la Neva con i suoicanali rifletteva

figure incerte,imprendibili

2/ A TRE SECOLI DALLA FONDAZIONE

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LA REPUBBLICA 53MERCOLEDÌ 29 OTTOBRE 2003 C U L T U R A

IL MONDO VISTO

DAL DI SOTTO

FERRUCCIO PARAZZOLI RACCONTA LA SUBWAY MILANESE

ENZO SICILIANO

MM Rossa di FerruccioParazzoli (OscarMondadori, pagg.

96, euro 6,80) è un libro ma-gro, matto e disperatissimo.Poche pagine, una lingua la-vorata sul limite stretto degliusi ordinari, una vicenda chepiù lineare non si immagina,di una quieta mattana, pernulla esagitata, e colmo diuna disperazione quale puòessere quella di un uomo difede che pensa a Dio sulla so-glia d’un ateismo tuttaviaimpossibile.

Di questo ateismo nonpensiate che io stia giocandodi ossimoro. Ma è Parazzoliche mi ha indirizzato a quel-la conclusione quando scri-ve: «Le porte del paradiso ter-restre non si chiusero maidietro Adamo ed Eva che ri-masero dentro insieme conl’albero e le mele. E il Serpen-te? si dirà.Dov’è il Ser-pente? Lascia-mo perdere,dettagli . FuDio, invece,che si sbatté laporta alle spal-le e li lasciò so-li. Tolse il di-sturbo, insom-ma».

Il mondo cheracconta Pa-razzoli, attra-verso un detta-glio, è quello incui Dio ha toltoil disturbo, hasbattuto la por-ta dietro le pro-prie spalle e sene andato.

Non crediate che questoracconto sia lusingante in unqualche specifico, attrezzatomodo: niente ammicchi ger-gali da padre nobile a unqualche dialetto o a unaqualche gergalità di situazio-ne o intreccio tipo Camilleri,o a cianfrusaglie pop-rock-e-così-via in chiave giovanili-stica. Niente, proprio nientedi questo.

Figurarsi: il titolo fa preci-so riferimento a una linea dimetropolitana milanese,quel tracciato che corre co-me un serpente a fauci spa-lancate da Sesto San Giovan-ni a piazzale Loreto, svoltaverso Pagano e si biforca suBisceglie e Molino Dorino.Parazzoli ci sale su da piazza-le Loreto: lui, solo lui il prota-gonista del libro, fino a DeAngeli, appesa al braccio unasacca di plastica con dentroun cambio di biancheria daportare a suo padre ricovera-to.

Il racconto via via dipanaciò che cade sotto lo sguardo,quel che lo sguardo stimola alricordo; o sono solo descri-zioni d’una città presa nelvortice macerante di se stes-sa. MM Rossaricorda in qual-che modo 19 (una linea tra-viaria romana), titolo diqualche anno fa firmato daEdoardo Albinati. Anche

quello un libercolo che avevaun’aria del tutto corsiva ediaristica. Non voglio daquesto dedurre alcuna gene-ralità, ma forse i narratori ita-liani, quelli con l’animo ispi-rato a verità, vogliono oggisolo guardarsi attorno. Que-sto mondo che sembra cam-biare pelle d’attimo in atti-mo, e dove la pubblicità lu-minosa di banche e auto, gi-gantografate su facciate dipalazzi, su terrazzi, acceseancora a notte fonda per gliinsonni abituali, questomondo che senso ha, svuota-to com’è di storia e pieno sol-tanto di microstorie che si in-castrano e sfumano l’unanell’altra come su un vettoredi metropolitana?

Non c’è da pensare che Pa-razzoli, o anche Albinati, vo-gliano cogliere spoglie mori-bonde d’umanità al modo di

un perdigior-no quale puòessere inciso apunta secca inuna filastroccapalazzeschia-na. Il comicoin questi casi èlatitante, co-me il tragico. Sit e s t i m o n i aqui, l’ho detto,di un mondoin cui Dio si èsbattuto laporta dietro lespalle e se ne èandato altro-ve. Dove nonsappiamo, maqui non c’è.Parazzoli vap e s c a n d o ,

nella vita della città luoghi se-gnati dal dolore - e il dolore èanche il suo, per quel padrelegato a un male che gli hafatto svanire di mente me-moria e certezze, che lo spin-ge a provocarsi per cadute esconnessi comportamentifisici ancora più male sul ma-le che ha.

È un dolore pigmentato di-resti a freddo sulla pagina,ma per questo ancora piùstraziante, come quandoracconta di quell’altro mala-to vicino di stanza al padre,che chiama tutti «Ernesto,Ernesto!», il nome del fratellomorto, e lo sa e non riesce atrattenersi. O se raccontad’una donna che in metrò,all’amica che le sta vicino,mentre viaggiano, mostra il-lustrazioni d’un fascicolo,leggendo versetti dell’Anticoe del Nuovo Testamento, «Leacque brulichino... la terraproduca...», ed è commossain un’atonia che il timbrodella voce non riesce a espri-mere.

«Il monito dell’oscurità dacui ogni immagine esce perpoi ritornare»: di questo hascritto Parazzoli. Ci crediateo no, ma questo suo libro, chepare un semplice segmentoriciclato dalla vita, ha mo-menti che sembrano quelli diun unico libro possibile.

Ferruccio Parazzoli

Il libro s’intitola“MM Rossa”

è una lineadella metropolitanané palazzi bianchi né musei: la

città di Puskin scomparve al-l’improvviso, dissolvendosinelle notti bianche. C’erano sol-tanto enormi casamenti, conandroni e cortili che formicola-vano di gente: scale buie, strette,bagnate d’acqua sporca, cucineaperte quasi tutto il giorno, pic-colissimi appartamenti pieni disarti, fabbri, cuoche, tedeschi,prostitute, impiegatucci, chescendevano e salivano senza so-sta. Tutto sapeva d’afa e di ver-nice. Il vero or-rore erano gliinterni: le stan-ze di Raskol’-nikov, Svidri-gajolov, Versi-lov, Dolgo-ruckij. Qualevita poteva re-sistere in queibugigattoli pic-colissimi comearmadi o bare,tra le tappezze-rie giallognole e polverose, sottoil soffitto bassissimo, tra le sediein disordine, i divani sfondati, lepoltrone con le molle sporgenti,i letti sudici, i topi, nel tanfo diburro rancido che veniva dallecucine? Potevano nascere solostorie fantastiche, cupe, imma-ginazioni di cuori intorbidati edesasperati dalle teorie — come ilcuore di Raskol’nikov.

Pietroburgo perse l’estate.Senza accorgersene, le foglie in-giallivano, gli ultimi rari fiorisfiorivano, giungeva l’umidità ela nebbia; e quel vuoto era riem-pito da un frastuono di tamburi,

che faceva pensare alle esecu-zioni capitali. Era sempre inver-no. Di notte, il vento soffiavanelle strade deserte, sollevandooltre il limite l’acqua nera dellaFontananka e urtando gli smun-ti fanali del canale, che rispon-devano all’ululato del vento conscricchiolii acuti e penetranti.La pioggia cadeva mista a neve:violente zaffate d’acqua schiz-zavano quasi in linea orizzonta-le, come da una pompa antin-cendio, pungendo e frustando il

viso dei rarissi-mi passanticon la forza dimigliaia di spil-li. I bambinierano pallidi,gracili ed ane-mici. Avevanofacce cupe,specie i più pic-coli: quelli piùgrandi cammi-navano con legambe storte,

ondeggiando da una parte al-l’altra della strada. Vivevano insottosuoli soffocanti, che odo-ravano di panna acida e di cavo-lo, tra gli scarafaggi e le pulci, el’acqua che filtrava dai muri:senza cibo fresco, senza luce eamore.

Di questa Pietroburgo, Svidri-gajlov, il personaggio più miste-rioso di Delitto e castigo, racco-glie l’essenza. A prima vista,sembra un Mefistofele cinico,bonario e triviale, dotato di unasingolare sensibilità metafisica— come tutti i figli di Satana: ouna spia. Poi scopriamo che ha

compiuto il delitto su-premo, stuprando unabambina, e che vive,ogni istante, nella terraghiacciata del Male As-soluto. Scopriamo an-che che fa il bene, sal-vando dalla miseria edall’infamia gli umili egli offesi, come se unastrana solidarietà le-gasse i Malvagi e le Vit-time. In fondo all’ani-ma, egli è un uomovuoto, totalmente e di-speratamente vuoto,che cerca invano sti-moli per vivere. Unasera, mentre l’acquadella piena sta persommergere Pietro-burgo — l’acqua bibli-ca, sfidata da Pietro,che da allora minacciala «città maledetta» —entra in un albergo. Unportiere lo conduce inun angusto stanzinosotto le scale, dove unletto sudicio e un rozzotavolo occupano lospazio: tutta la notteSvidrigajlov ha incubi,topi gli balzano sul len-zuolo, gli strisciano so-pra il petto, bambineannegate gli ritornanonel ricordo, ridendocon una risata sfronta-ta. All’alba esce nellanebbia, sul lastricatofangoso e sdrucciole-vole, tra i viottoli ba-gnati, l’erba bagnata,gli alberi e gli arbustibagnati, e preme con-tro la testa la canna del-la pistola.

Forse, come Do-stoevskij suppone nel-l’Adolescente, Pietro-burgo era soltanto ilsogno di un sognatoremisterioso: un tempoPietro I, ora il suo dop-

pio, Svidrigajlov. Mentre Svidri-gajlov si uccide, si sveglia dal so-gno. In questo momento, il so-gno si dissolve e tutto sparisce.Non ci sono più i libri di Puskin,di Gogol e di Dostoevskij: né tut-te le persone che abbiamo vistoscendere, nell’inverno, nell’e-state, nel sole, nella nebbia, sot-to la pioggia, la Prospettiva Nev-skij. Non ci sono più le nottibianche, i giochi e gli inganni diSatana, le illusioni, i riflessi, gliscintillii delle feste, Puskin che,di notte, scrivee legge nellasua stanza sen-za la lampada, ifiocchi di nevesulle cupoledorate, HélèneKuragina, lestanze misera-bili dove si pre-para il delitto, ibambini gracilie dalle gambestorte. Non c’èpiù niente. La nebbia si sciogliee sale in cielo. E tutta la città«marcia, sdrucciolevole» si sol-leva con la nebbia, e sparisce co-me fumo. Resta soltanto la palu-de finnica di una volta, e in mez-zo ad essa, «magari per orna-mento» (dice Dostoevskij), il ca-valiere di bronzo che sprona algaloppo il suo cavallo di bronzo,sopra il granito spezzato dallafolgore celeste.

* * * Per nostra fortuna, Pietro-

burgo non è scomparsa, comeforse sperava Dostoevskij. E’

ancora là, nel Golfo di Finlan-dia, e piace moltissimo a tutti iviaggiatori e gli stranieri: per-ché è la loro città — la città di chinon ha luogo e vuole e non vuo-le cercarlo. Per lungo temponon è stata compresa. Nel 1839,il più famoso viaggiatore fran-cese dell’Ottocento, Alphonsede Custine, scriveva che «l’imi-tazione dei monumenti classicivi offende quando pensate alclima sotto il quale quei model-li sono stati goffamente tra-piantati». Per lui, a Pietroburgo,le statue antiche stridevano conla natura del suolo, col coloredel cielo, col clima e le abitudinidegli abitanti, così che assomi-gliavano ad eroi prigionieri tra inemici. Gli edifici erano spae-sati: i templi erano caduti e dal-le montagne della Grecia nellepaludi della Lapponia. Alphon-se de Custine non aveva capitoniente.

Quando contempliamo queipalazzi imperiali, quegli osser-vatori, quelle chiese, quei con-venti creati per re, ma più legge-ri di qualsiasi architettura rega-le, anche oggi ricordiamo l’Ita-lia e la Grecia. Il tenero azzurro,il tenero verde, il tenero rosaevocano la grazia di Napoliquando, quasi nello stesso pe-riodo, costruiva sé stessa. I no-bili palazzi neoclassici sanno diGrecia rivisitata, di quinte e dieroi da teatro, di mondanitàsquisite e fastose. Le cupoletted’oro diventano un elegantissi-mo gioco rococò, che la vecchiaRussia bizantina fa con sé stes-sa. Forse sta per sciamare uncorteo di maschere meridiona-li, Arlecchini e Colombine, gui-date da un re della gioia. Ma tut-to viene trapiantato: non c’è piùItalia, né Grecia, né Napoli. Nonc’è nemmeno Venezia. Qualcu-no — il vero Sognatore, il veroCavaliere di bronzo — sposta lacittà meridionale sotto un cieloartico così vasto, che nessunaGalassia può contenerla: sottoun enorme schermo di spazio edi acqua, che ingigantisce e ren-de fantastici i particolari. Men-tre la Neva è gelata, mentre glialberi e le chiese sono coperti dineve brillante, dal cielo scendeuna luce cristallina, sovranna-turale e radiosa, che superaogni diapason luminoso, comenelle tele di Turner. A quella lu-ce, la città costruita sull’acquanon resiste. Il granito non tiene,la pietra non regge, i ponti si

s c i o l g o n o .Tutta la città simuove, si spo-sta, si slancianelle regionidell’aria doveraggiunge idiaspri e gli orie i berilli dellaGerusalemmeceleste.

(2 - Fine)

NOTA. In occasione del tre-centesimo anniversario dellafondazione di Pietroburgo, Fel-trinelli ha ristampato un notis-simo libro di Ettore Lo Gatto Ilmito di Pietroburgo (pagg. 286,euro 9). Un ricchissimo mate-riale è contenuto in due libriusciti da poco in Francia: Levoyage en Russie, anthologia desvoyageurs français aux XVIII etXIX siècles, a cura di Claude DeGrève, e Saint Pétersbourg, a cu-ra di Lorraine de Meaux: en-trambi pubblicati nella colle-zione Bouquins dell’editoreLaffont.

Dostoevskij, in“Delitto e castigo”,immaginò che tutto,

case e quartieri,svanisse nella nebbia

e nel fumo

A fianco e sopra il titolo, due antiche

stampe di Pietroburgo. Nelle foto in basso,

a sinistra, Fëdor Dostoevskij,

a destra, Aleksandr Puskin

Jacques Derrida

Stati canagliaLa ragione del più forte è semprela migliore?

Alain Braconnier

Piccoli o grandi ansiosi?Come trasformare l’ansia in una forza

G.P.Quaglino,C.G.Cortese

Gioco di squadraCome un gruppo di lavoro può diventare una squadra eccellente

Marc Augé

Poteri di vita, poteri di morteIntroduzione a un’antropologia della repressione

Duccio Demetrio

Autoanalisi per non pazientiInquietudine e scrittura di sé

Emilia Ferreiro

AlfabetizzazioneTeoria e pratica

Novità

www.raffaellocortina.it

Gerd GigerenzerQuando i numeri ingannanoImparare a viverecon l’incertezza

www.raffaellocortina.it

Page 8: 2003-10-29 Simboli religiosi

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31029

CRDFDEDGDX SEDE: 00185 ROMA, Piazza Indipendenza 11/b, tel. 06/49821, Fax06/49822923. Spedizione abbonamento postale, articolo 2, comma 20/b,legge 662/96 - Roma.

PREZZI DI VENDITA ALL’ESTERO: Austria € 1,85; Belgio € 1,85; Canada $ 1; Danimarca Kr. 15; Finlandia € 2,00; Francia € 1,85; Germania € 1,85;Grecia € 1,60; Irlanda € 2,00; Lussemburgo € 1,85; Malta Cents 50;Monaco P. € 1,85; Norvegia Kr. 16; Olanda € 1,85; Portogallo € 1,20 (Isole

€ 1,40); Regno Unito Lst. 1,30; Rep. Ceca Kc 56; Slovenia Sit. 280; Spagna€ 1,20 (Canarie € 1,40); Svezia Kr. 15; Svizzera Fr. 2,80; Svizzera Tic. Fr.2,5 (con il Venerdì Fr. 2,80); Ungheria Ft. 300; U.S.A $ 1. Concessionaria di pubblicità: A. MANZONI & C. Milano - via Nervesa 21, tel. 02/574941

Fondatore Eugenio Scalfari Direttore Ezio Mauro

Anno 28 - Numero 254 € 0,90 in Italia (con “L’ETÀ DELL’INNOCENZA” € 5,80) mercoledì 29 ottobre 2003

�INTERNETwww.repubblica.it A B

L’AMERICANELLA TRAPPOLA

L’OFFENSIVADEL RAMADAN

Iraq, giorni di terrore: ancora una strageUn’altra autobomba esplode a Falluja: anche bambini tra i morti. La Croce Rossa: noi resteremo. Bush: “Grande pericolo, ma non ci faremo intimidire”

L’attentato a Falluja

dal nostro inviato

VITTORIO ZUCCONI

WASHINGTON

ÈSTATO il gesto, più che la voce, adire quella verità che ancora leparole ufficiali non osano dire,

che questa America è ormai intrappo-lata in un labirinto che si è costruita conle proprie mani, ma nel quale la solauscita possibile, la vittoria, si allontanaa ogni passo, come in certi sogni in-quieti.

SEGUE A PAGINA 3DANIELE MASTROGIACOMO

ALLE PAGINE 2, 3 e 4

BERNARDO VALLI

L’OFFENSIVA terroristica del Rama-dan 2003 non è l’offensiva del Tet1968. Non ancora. Nel gennaio di 35

anni fa, sulle rive del Mekong, in occasionedel capodanno vietnamita, gli americani fu-rono sorpresi da un attacco dei guerriglieriinfiltratisi in tutti gli angoli, anche in quellipiù presidiati dai Gi, come l’ambasciata Usaa Saigon e il consolato di Hue. Se li trovaro-no sotto il letto. Riuscirono a respingerli, mail trauma fu tale che a Washington si comin-ciò a pensare al ritiro di tutte le truppe (mez-zo milione) dalla penisola indocinese.

SEGUE A PAGINA 17

Esserelaici

in un mondomulticulturale

UMBERTO ECO

ALCUNI anni fa, e in parte suquesto giornale, parlandodell’ondata migratoria

che sta trasformando il nostrocontinente (migrazione di mas-sa, non semplice immigrazioneepisodica) scrivevo che nel giro ditrent’anni l’Europa sarebbe dive-nuta un continente colorato, contutte le mutazioni, adattamenti,conciliazioni e scontri che ne sa-rebbero seguiti, e avvertivo che latransizione non sarebbe stata in-dolore. La polemica che s’è aper-ta sul crocifisso nelle scuole è unepisodio di questa transizioneconflittuale, come lo è del resto lapolemica francese sul chador. Ladolorosità della transizione è chenel suo corso non sorgeranno so-lo problemi politici, legali e persi-no religiosi: è che entreranno ingioco pulsioni passionali, sullequali né si legifera né si discute. Ilcaso del crocifisso nelle scuole èuno di questi, tanto è vero che ac-comuna nelle reazioni (di segnoopposto) persone che la pensanodiversamente, credenti e noncredenti. Sulle questioni passio-nali non si ragiona: sarebbe comecercare di spiegare a un amante,sull’orlo del suicidio perché è sta-to abbandonato o abbandonata,che la vita è bella, che al mondo cisono tante altre persone amabili,che il partner infedele in fondonon aveva tutte le virtù che l’a-mante gli attribuiva. Fiato spre-cato, quello o quella soffrono, enon c’è niente da dire.

Sono irrilevanti le questionigiuridiche. Qualsiasi regio decre-to imponesse il crocifisso nellescuole, imponeva anche il ritrat-to del Re. E quindi se ci attenessi-mo ai regi decreti dovremmo ri-mettere nelle aule scolastiche ilritratto di Vittorio Emanuele III(Umberto non è stato formal-mente incoronato). Qualsiasinuovo decreto della repubblicache eliminasse il crocifisso per ra-gioni di laicità dello stato si scon-trerebbe contro gran parte delsentimento comune.

La repubblica francese proibi-sce l’esibizione di simboli religio-si nelle scuole dello Stato, né cro-cifissi né chador, se il chador è unsimbolo religioso. È una posizio-ne razionalmente accettabile,giuridicamente ineccepibile. Mala Francia moderna è nata da unarivoluzione laica, Andorra no, edè curiosamente co-governata dalpresidente francese e dal vescovodi Urgel.

SEGUE A PAGINA 47AJELLO, CACCIARI

DANIEL e SCOPPOLAALLE PAGINE 47, 48 e 49

ROMA — Per il “decretone” che ac-compagnerà la legge finanziaria il go-verno domani chiederà il voto di fidu-cia. Sulle pensioni si riaccende, duris-simo, lo scontro tra Silvio Berlusconi ei sindacati, che ieri hanno anche an-nunciato l’intenzione di proclamareun’altra giornata di sciopero genera-le: “Il dialogo è finito”. Il centrosini-stra: “Manifestazione a Roma il 9 no-vembre”. DE GENNARO, GRISERI, PETRINI e TITO

ALLE PAGINE 6 e 7

DIARIO

Rapporti di Caritas e Istat: la popolazione è in aumento grazie agli stranieri

L’Italia cresce con gli immigratiMASSIMO LIVI BACCI

L’ITALIA non può più pre-tendere d’esser “sorpre-sa” dall’immigrazione,

fenomeno “nuovo e inatteso”per una “società tradizional-mente d’emigrati”. Con l’immi-grazione conviviamo, oramai,da oltre trent’anni; già dai primiAnni 80 era evidente che il feno-meno era irreversibile e in acce-lerazione; l’esempio d’altre na-zioni ricche era lì a segnalare ladirezione di marcia. Oggi conuno stock di due milioni e mez-zo di stranieri – e forse più – stia-mo nella media europea.

SEGUE A PAGINA 17SERVIZI ALLE PAGINE 14 e 15

Filmato un trasloco di armi tra due covi

Un giuslavoristaerede di D’Antonanel mirino delle Br

ROMA – Nel mirino delle Brigate rossec’erano un giuslavorista, erede diD’Antona e, forse, un altro professoreuniversitario. Erano due infatti le in-chieste in corso nei confronti di possi-bili obiettivi, una a Roma e una Siena.Quella nella capitale potrebbe esseremolto avanti se da un paio di mesiFranco Liso, professore di diritto delLavoro presso la facoltà di Scienze Po-litiche della Sapienza, vive scortato. Gliinvestigatori poi stanno lavorando suun filmato del trasloco delle Br regi-strato dalle telecamere di un magazzi-no vicino al cimitero del Verano nelquartiere San Lorenzo a Roma.

CLAUDIA FUSANI e ELSA VINCIALLE PAGINE 8 e 9

Il premier: “Riforma necessaria”. Cgil, Cisl e Uil: così finisce il dialogo. L’Ulivo indice una manifestazione nazionale a Roma

Il governo: fiducia sulla manovraScontro Berlusconi-sindacati sulle pensioni. Verso un altro sciopero

LA MUSERUOLAALLA MAGGIORANZA

MASSIMO GIANNINI

LA LEGGE Finanziaria è un docu-mento di bilancio. Insieme aiprovvedimenti “collegati”, è la

somma algebrica degli interessi da in-centivare, del reddito da ridistribuire,delle risorse da drenare. È fatta di nu-meri, ma racchiude la vera “cifra” po-litica di un esecutivo. La sua idea fortedi governo del Paese. Blindarla con unvoto di fiducia, rendendola indispo-nibile al vaglio del Parlamento, non èmai un bel gesto di galateo istituzio-nale. Ma in fondo non è nemmenoquesto il vero “scandalo”, nella deci-sione presa ieri dal Polo.

SEGUE A PAGINA 16Il tapis roulant della stazione Tiburtina MASSIMO LUGLI A PAGINA 29

Nessun cartello avvisava dei lavori in corso. Grave anche un ferroviere

Cede il tapis roulant della stazioneturista inglese muore a Roma

“Il reclutamento in certi centri sociali”

Segio: “I nuovi brigatistiinfiltrati nel movimento”

CARLO BONINI A PAGINA 11

CON REPUBBLICA

Oggi in edicola“L’età dell’innocenza”

di Edith Wharton

Il libro a richiestaa soli 4,90 euro in più

Per gli arretrati chiamareil numero 199 130 130