Gli aeroplani sono uno splendido soGno storia della mia vita · soci del circolo nautico di...

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GIUSEPPE COCI GLI AEROPLANI SONO UNO SPLENDIDO SOGNO Storia della mia vita a cura di Laura Coci presentazione di Ercole Ongaro Quaderni ILSRECO, n. 29, settembre 2015

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GIUSEPPE COCI

Gli aeroplani sono uno splendido soGno

storia della mia vita

a cura di Laura Cocipresentazione di Ercole Ongaro

Quaderni ILSRECO, n. 29, settembre 2015

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Indice

Presentazione, di Ercole Ongaro p. 5

Prefazione. Il faut tenter de vivre, di Laura Coci p. 9

1. Napoli (1915 – 1937) p. 13

2. Africa Orientale (1938 – 1939) p. 39

3. Cielo del Mediterraneo (1940 – 1943) p. 53

4. Cielo d’Italia (1943 – 1947) p. 119

5. Vigevano (1947 – 20[09]) p. 125

Postfazione. L’ultimo volo, di Adolfo Pascariello p. 131

Indice dei nomi p. 133

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Presentazione

di Ercole Ongaro

La collana dei Quaderni Ilsreco si apre ancora una volta ad accogliere un testo che non attiene alla storia lodigiana: ce lo ha proposto Laura Coci, nostra vice presidente e tra le fondatrici dell’Ilsreco: è la storia della vita di suo padre Giuseppe (1915-2009), di origini napoletane, che nel secondo dopoguerra ap-prodò a Vigevano, dove ha vissuto il resto dei suoi giorni.

Giuseppe Coci junior ha dettato a Laura questa autobiografia tra il novem-bre 2007 e l’agosto 2009, ormai ultranovantenne, dopo l’improvvisa morte della moglie Alberta, che l’aveva lasciato sconvolto, anche perché si era autoconvinto che sarebbe toccato a lui morire prima, avendo una ventina d’anni più di lei. Si erano sposati nel 1954, avevano avuto tre figli (Anna, Laura e Giovanni), avevano vissuto cinquantatré anni insieme: una morte non soltanto inattesa, ma in certa misura sentita come ingiusta, che aveva lasciato nell’animo e nella quotidianità di Giuseppe un vuoto disorientante. Un vuoto che ha permesso al suo passato di riaffiorare: «Fino alla morte di Alberta, ho tenuto sepolto il mio passato».

L’elaborazione del passato, processo di per sé tormentato, gli venne facilitata dalla coincidente proposta di Laura di raccontare la sua vita, per condividerla con i figli e i nipoti. Una vita di cui a Laura adolescente, enfant terrible della fami-glia, erano filtrati frammenti, che presto aveva rimosso: erano gli anni Settanta e Laura viveva la ribellione dell’adolescente alla ricerca della propria identità, di un proprio patrimonio ideale, di propri valori sui quali fondare la responsabili-tà delle scelte. Una ribellione che non risultò transitoria, perché Laura andava scoprendo l’inconciliabilità del suo cammino adulto e del suo bagaglio valoriale - l’antifascismo, i diritti, il femminismo, la pace, la giustizia, la solidarietà - con quello che aveva ispirato la vita del padre e dei nonni paterni.

I Coci erano una numerosa famiglia della media borghesia napoletana, pro-prietaria di quattro negozi di scarpe a Napoli, di cui uno nella centrale via Toledo: il nonno Giuseppe Coci (1892-1970) era il quarto di sette tra fratelli e sorelle; al padre di Laura fu pure dato il nome di Giuseppe perché, quando nacque, il pa-dre era soldato nella Grande guerra e la moglie (Concetta Vernetti, 1898-1984) non aveva notizie di lui, forse lo temeva morto. Giuseppe senior, ritornato dalla guerra, rimase affascinato dalle idee e dall’azione del fascismo rivoluzionario delle origini: fu tra i fondatori del movimento fascista a Napoli e quando, trentenne, partecipò alla marcia su Roma, portò con sé la moglie Concetta e il figlio Giusep-

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pe di sette anni, che era «la mascotte della squadra dei Falchi», una delle squadre d’azione del fascismo napoletano: in una fotografia conservata presso l’Archivio Centrale dello Stato il piccolo Giuseppe junior è sulle spalle di uno squadrista napoletano. Tutta la grande famiglia Coci era fascista, a eccezione di uno dei figli, Arturo, emigrato a Milano.

Gli affari economici procedevano con profitto per Giuseppe senior e per-mettevano un tenore di vita elevato alla famiglia: cameriera, vacanze a Capri, soci del circolo nautico di Posillipo e del gruppo escursionisti del Club Alpino Italiano; Giuseppe junior ebbe una precettrice privata per i primi tre anni di scuola elementare (espletati in due anni) e concluse il ciclo elementare all’Istituto “Giovanni Pontano” retto dai Gesuiti, le cui «costrizioni» lo allontanarono dalla pratica religiosa. Proseguì gli studi al Liceo-ginnasio “Umberto I” e diciottenne si iscrisse alla facoltà di Agraria a Portici, laureandosi a ventidue anni.

Nel 1935 Giuseppe junior aveva preso il brevetto di pilota. Nonostante l’anno prima un suo cugino, Renato Perez, fosse morto pilotando un aereo, la passione per il volo gli era entrata nel sangue e per vent’anni costituì la sua prin-cipale ragione di vita. Nel 1938 seguì la famiglia, che si era trasferita in Etiopia, a Gimma: Giuseppe senior vi era andato già nell’autunno 1935, mentre la guerra di conquista dell’Etiopia era da poco avviata; al comando di un battaglione di camicie nere condusse poi l’azione di repressione dei «ribelli», ossia dei patrioti etiopi, che dopo la caduta di Addis Abeba continuarono per qualche tempo la resistenza contro l’occupante.

A Gimma, dove i Coci gestirono una grande azienda agraria, vivendo agia-tamente, anche la moglie Concetta fu impegnata come fiduciaria femminile del fascio e si dimostrò, allora e in seguito, una fascista appassionata, al punto che il figlio la ricorda come «invasata».

Giuseppe junior rientrò in patria nel dicembre 1939, perché aveva ricevuto la cartolina precetto che gli imponeva di presentarsi all’aeroporto di Perugia il 1° febbraio 1940. Finalmente poté realizzare il suo sogno: «A me piaceva volare, volare, volare; era la mia passione». Si fece raccomandare per entrare nel gruppo dei piloti destinati agli aerosiluranti e nei seguenti tre anni - con l’Italia in guer-ra - la vita di Giuseppe Coci junior fu appesa a un filo: abilità, istinto, intuito, sangue freddo, coraggio, buona sorte gli permisero di sopravvivere, mentre molti suoi colleghi di volo vennero abbattuti o si schiantarono. Di costoro serbò vivo il ricordo, ne rievoca qui le imprese, li sentì sempre accanto a sé, perché sapeva che non era vivo perché era migliore di loro, ma perché il destino non l’aveva voluto. Tre medaglie d’argento, due di bronzo, una croce di guerra al merito: Giuseppe Coci è nei libri di storia dell’aeronautica italiana, dove è riconosciuto tra i più esperti piloti, per la sua abilità nel colpire anche in condizioni difficili e nel sor-

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tire indenne da situazioni ad alto rischio.Poi fu l’8 settembre 1943, l’annuncio della firma dell’armistizio tra Italia

e Alleati: Giuseppe junior si trovava a Littoria (Latina). L’11 settembre eseguì l’ordine di partire in volo per la Sardegna: attaccato da aerei tedeschi, il suo aereo fu colpito; decise l’ammaraggio e riuscì a portare in salvo tutti gli uomini dell’equipaggio. Nei giorni seguenti avvenne la scelta: ci fu chi scelse di volare al Nord con la Repubblica sociale italiana e chi scelse di unirsi al Sud agli Alleati. Giuseppe junior oscillò nel dubbio su quale fosse la scelta giusta. Poi la sua scelta fu di rinunciare a continuare la guerra, di «non combattere contro altri italiani». A distanza di oltre sessant’anni, nell’elaborare con Laura la narrazione di quel decisivo momento di scelta, ebbe conferma che era stata una scelta giusta: se fosse andato al Nord sarebbe quasi certamente morto e quindi non sarebbe diventato padre di Anna, Laura e Giovanni. Quindi aveva compreso che era stata una scelta di vita, che aveva messo il sigillo definitivo a tante avventure intrise di morte.

Ma non aver aderito alla Repubblica di Salò era anche stata una scelta di discontinuità con il proprio passato e quello dei Coci. Infatti nel 1944 Giuseppe junior dalla Sardegna fu spostato in Puglia ed entrò nel servizio postale aereo a servizio degli Alleati, così che a fine guerra ricevette il brevetto del generale Ale-xander, assegnato agli italiani che avevano contribuito alla causa della libertà. Né avrebbe mancato all’appuntamento con il referendum istituzionale del 2 giugno 1946: avrebbe votato Repubblica, la Repubblica nata dalla Resistenza.

Finita la guerra Giuseppe junior aveva ritrovato la madre che era rientrata dall’Etiopia dopo la sconfitta delle truppe italiane nel Corno d’Africa; nel 1946 anche il padre, Giuseppe senior, che era stato fatto prigioniero dagli inglesi, ri-entrò in Italia da un campo di prigionia in India, alle pendici dell’Himalaya. Entrambi avevano conservato la propria fede fascista. Quando avevano lasciato l’Etiopia, avevano perduto tutto: ricominciarono dal nulla in Italia, aiutati dal fratello Arturo immigrato a Milano, che commerciava pellami e propose loro di insediarsi a Vigevano per aiutarlo nella sua attività.

Giuseppe junior, trentaduenne, cessò di volare il 1° marzo 1947 e decise di ricongiungersi con i genitori a Vigevano, dove conobbe e sposò Alberta Pelagata, diventò padre e visse una vita di cittadino anonimo, idealmente senza evidenti cesure con il passato del ventennio, perché quegli anni richiamavano le sue radici familiari e avevano coinciso con l’ebbrezza della sua travolgente passione per il volo. L’autobiografia tace sugli anni vigevanesi, sulla vita di sposo e di padre, di cittadino al tempo della Repubblica: forse perché, per lui, tutto era già stato vis-suto e quello era stato narrato.

Una narrazione che, fatta da un ultranovantenne, sorprende per la nitidezza dei ricordi, la precisione dei riferimenti, il gusto dei dettagli. La sincerità del

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racconto traspare ad ogni pagina: nella immediatezza del linguaggio, nella conce-zione edonistica del vivere, nell’accettare di ricominciare ogni volta che una fase dell’esistenza si è conclusa.

A fare da controcanto al racconto di Giuseppe Coci è la redazione delle note curate da Laura: meticolose nell’informazione storica e sociale, soprattutto neces-sarie per quanto riguarda la ricostruzione del contesto napoletano e della storia dell’aeronautica italiana, in particolare delle imprese dei voli del padre durante la seconda guerra mondiale. Un atto di amore per un padre da cui i tornanti della vita l’avevano talvolta allontanata, ma l’ultimo tratto era stato percorso insieme, rielaborando il proprio vissuto, e si era rivelato un dono inatteso, che Laura ha voluto condividere, perché, come ha scritto la filosofa Maria Zambrano, ci sono «persone che, quando sono ricolme di qualcosa, non possono fare a meno di darlo e di offrirlo».

Scorre in queste pagine una storia diversa da quella che l’Ilsreco predilige e coltiva; ma è una storia che è opportuno conoscere, con cui è necessario confron-tarsi, per capire la realtà del passato e del presente.

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Prefazione

IL FAUT TENTER DE VIVRE*

di Laura Coci

iuorno, nu iourno doppo all’ato, ’sta vita è già passatatiempo, stu tiempo ch’è vulato, nun me ne sso adduonato

giorno, un giorno dopo l’altro, questa vita è già passatatempo, questo tempo che è volato, non me ne sono accorto

Peppe Barra, Piccirè (da N’attimo, 2009)

«Gli aeroplani non sono strumenti di guerra […] Gli aeroplani sono uno splendido sogno»: parole di Giovanni Battista Caproni, progettista italiano e gui-da in sogno di Jiro, giovane giapponese appassionato di volo e futuro ingegnere aereonautico, protagonista di Si alza il vento di Hayao Miyazaki, capolavoro di congedo del maestro.

Uno splendido sogno. Lo so da sempre: bambina, volavo con gli occhi di mio padre, che pure, quando sono nata, non volava da oltre dieci anni.

Impossibile pensare a lui senza volo, e senza napoletanità: Piccirè, con affet-tuosa ironia, ero io, ormai adolescente ribelle; bambina ero invece Pascà, ipocori-smo partenopeo per Pascalone ’e Nola, nome leggendario e terribile evocatore di sangue e camorra, meritato quale enfant terrible di famiglia.

Poi, ci siamo persi. Per lunghi anni l’alfabeto del passato è divenuto per me letteralmente insignificante: la cloche metallica con i fili d’acciaio tranciati, le fo-tografie degli S.79 virate in seppia, il puntatore di siluri misterioso e rotante sono ammutoliti. Fino alla morte di mia madre, acuta e improvvisa. Con delicatezza – ha suggerito l’amico Ercole – lei si è fatta da parte per consentire a noi due, a mio padre e a me, di ritrovarci e riconoscerci.

È tempo di misurarmi con la sua storia, con la storia della sua famiglia (la mia famiglia), una storia ingombrante, che è anche la mia. L’idea mi aveva attra-versata nella prima giovinezza: raccogliere e, attraverso la scrittura, restituire alla

* Paul Valéry, Le Cimetière marin (1920), v. 139. Citato in Si alza il vento di Hayao Miyazaki (Giappone, 2013).

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memoria collettiva la biografia della nonna, madre di mio padre, suo «ultimo legame con il passato», come lui ebbe a scrivere quando lei se ne andò in silenzio. Ma non era tempo, non ancora.

Nel novembre 2007 è tempo. Formulo la proposta («Papà, scriviamo la storia della tua vita») con sicurezza, e con altrettanta sicurezza ottengo la risposta che entrambi desideriamo. Mi reco a Vigevano quasi ogni settimana, con il portatile, per non perdere neppure una parola: il luogo è il “suo” studio, ove l’alfabeto del passato riacquista senso e significato, per me che ora so di nuovo ascoltarlo.

Papà compulsa fotografie, organizza ricordi, consulta documenti; gli occhi brillano, la memoria fluisce, le mani soltanto tremano un poco. Quasi non sto dietro alla dettatura, impeccabile e serrata... Oltre novant’anni di vita scorrono davanti ai suoi occhi, e ai miei, in poco più di un anno. Il 31 agosto 2009 digito l’ultimo punto dell’ultimo capoverso dell’ultimo capitolo, il più breve per nume-ro di battute (una pagina), il più lungo per estensione temporale (sessant’anni).

Lo stesso giorno a me, sgomenta, papà chiede di prendere nota delle volontà per la sua sepoltura – che dispone con accurata precisione – perché di lì a non molto prenderà congedo dalla vita.

Nelle settimane successive, fino a un nuovo novembre, lievi ritocchi e piccole precisazioni a quanto ormai è scritto e salvato (su memoria elettronica).

Il filo, dunque, è dipanato, ma non il senso. È come se mancasse una ri-sposta, l’ultima, decisiva, in grado di determinare sconfitta o vittoria. Talvolta, con gli occhi persi di un sopravvissuto, papà sembra misurare lo spazio, affinché accolga i compagni abbattuti. «Bravi – dice – erano quelli che sono morti». Af-fermazione che un anno più tardi risentirò identica da Marco Pagot, ardimentoso pilota di idrovolanti protagonista di Porco rosso, altra raffinata opera di animazio-ne di Miyazaki.

Papà ha il dubbio di non aver compiuto la scelta giusta, la scelta del sud, del re e degli alleati, agìta per istinto ma non del tutto risolta, percepita quasi come un tradimento rispetto al padre. Infine, illuminata, la risposta: «Se fossi andato al nord, sarei morto, e voi tre non ci sareste [Se tu fossi morto, papà, noi tre, le tue figlie e tuo figlio, non ci saremmo]. Dunque ho fatto bene a restare al sud, la mia scelta è stata giusta!».

Mio padre, che amava la propria gens, il volo e il buon vino (passito di Pan-telleria, vernaccia di Oristano, bianco dell’Etna si rincorrono nei suoi ricordi) ha scelto la vita, e, unito a mia madre, ha scelto noi.

Il 13 settembre 2014, a novantanove anni e un giorno dalla sua nascita, quando il lavoro di puntigliosa redazione delle note al testo è iniziato, mi reco, in quasi religioso pellegrinaggio, al cinema “Apollo” di Milano, per assistere alla proiezione di Si alza il vento di Hayao Miyazaki, capolavoro di congedo del ma-

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estro, storia di famiglia di fermo rifiuto della guerra e di struggente amore per la vita.

Le vent se lève!... Il faut tenter de vivre. Tremo per l’intera proiezione, o quasi.Nel finale, Jiro, guidato ancora una volta in sogno da Giovanni Battista Ca-

proni, saluta con dolorosa malinconia i suoi aerei da caccia abbattuti («Alla fine è andato tutto in pezzi […] Non ne è tornato indietro neanche uno». «Gli aeropla-ni sono un sogno splendido ma maledetto – replica Caproni – Andate in guerra e il ritorno non c’è! Il cielo azzurro finisce per inghiottirli tutti»). Prende finalmen-te congedo dalla giovane sposa, Naoko, che gli è premorta da tempo (evento che per mio padre, semplicemente, non era nelle possibilità). E guarda con fiducia lievemente interrogativa al proprio padre simbolico, Giovanni Battista Caproni (un bel paio di baffi e un grande amore per il volo, proprio come il mio!), il cui viso si apre in un sorriso luminoso e rassicurante: «E tu, devi vivere! Ma prima non passeresti da me? Ci sarebbe del buon vino...».

Poggio del Salice, 20 luglio 2015

A mia sorella Anna e a mio fratello Giovanni;a mio cugino Giovanni Coci, fratello in pectore;

a Edgardo Alboni, padre simbolico, in memoria;alle e ai discendenti di (bis)nonno Giovanni, la mia gens,

nel centenario della nascita di papà.

Grazie a Ercole Ongaro.

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1. NAPOLI1915 – 1937

Sono nato il 12 settembre 1915 in una casa della sezione Mercato, a Napoli1. Papà2 era in guerra e mia madre mi mise nome Giuseppe perché di mio padre non aveva notizie. Papà aveva già fatto la guerra libica, nel 1911, quando gli italiani presero la Tripolitania ai turchi: fu “volontario di un anno”, aveva dician-nove anni, si arruolò e partì nei bersaglieri3.

Allora aiutava il padre, che aveva quattro negozi di scarpe a Napoli, di cui uno grande a via Toledo, vicino alla funicolare centrale4; all’ultimo si ridussero solo al negozio centrale, dove stavano in tre: mio padre, zio Silvio e zio Arman-do, mentre zio Arturo andò a cercare fortuna a Milano. Mio padre non si poté iscrivere al liceo: fece la quinta ginnasio e poi si fermò5; il nonno gli diceva: «Vedi, i tuoi fratelli guadagnano, tu vuoi studiare e non puoi guadagnare». Fu un ricatto…

Era il quarto di sette fratelli e sorelle, figli di nonno Giovanni e di Filomena Manna. La prima era zia Anna, che aveva sposato un centurione della milizia che teneva il magazzino della legione a Napoli6, Francesco Pascariello, detto Franz; avevano due figli, Pompeo e Adriana; Pompeo aveva fatto gli studi da radiotecni-co all’ “Alessandro Volta”7, poi dopo fece la domanda per la Farnesina, una scuola dove uscivano professori di ginnastica8; lui aveva anche il diploma di maestro di sci, perché era andato per due inverni a sciare.

Il secondo era zio Arturo, che era andato a Milano e aveva preso una rap-presentanza di pellami; stava in camera affittata, viveva con una signora ebrea viennese, si chiamava Gurari o qualcosa del genere, non so se da lei ebbe un figlio…9 Era un uomo elegante, e papà gli aveva regalato la mantella azzurra dei cavalleggeri, che non avrebbe potuto portare, perché era bersagliere…

La terza era zia Assunta, che sposò Giuseppe Perez (papà gli rifiutò la tessera del partito, perché non lo considerava degno: papà era un puro), un gioielliere molto in voga allora, con un negozio a via Sanfelice, la strada che portava alla piazza della Borsa10. Avevano tre figli: Giannino, Renato e Lidia. Quella è stata una famiglia disgraziata: i tre figli premorirono alla madre. Renato morì a di-ciannove anni, nel ’34, cadde con l’aereo, un RO.511; Lidia a ventisei, di nefrite; Giannino nel dopoguerra, di cuore.

Il quinto era zio Silvio: era il burocrate dell’azienda familiare, stava al primo piano del negozio di via Toledo e teneva i conti; mio padre faceva da direttore e zio Armando (il sesto fratello) coadiuvava le vendite. Ricordo il matrimonio di zio Silvio con Margherita Calò, avevo otto o nove anni, andai a vederlo di nasco-

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sto; mi ricordo la funzione, la sposa con l’abito… era bellissima… quella era mia zia… Zia Margherita aveva un atelier di moda a sinistra di via Toledo, vicino alla Galleria Umberto12; era la figlia del padrone, monsieur Michele Calò, un lucano che aveva sposato una francese; anche la zia era nata in Francia. Zio Silvio e zia Margherita abitavano a Posillipo13 (due o tre curve prima di arrivare a casa loro ci stava il ristorante Stella); e dopo un’altra curva, nella proprietà Mandara, abitava zio Armando con zia Jolanda Spinola (prima, però, abitavano a Santa Maria Ap-parente14, vicino a noi). Vicino a dove abitavano zio Silvio e zia Margherita c’era una rampa che portava alla villa dei Calò, i genitori di zia Margherita; dall’altra parte c’era il Mausoleo di Schilizzi, di stile egizio15; c’erano i fiori di passione e i tralci d’uva… la madre di zia Margherita era di Pau16, nei paesi baschi, infatti la zia sapeva benissimo il francese; aveva una sorella, Marcella, che poi andò in Sud Africa, come dama di compagnia, a Porto Natal17. Anche zio Silvio e zia Margherita andarono in Sud Africa nel dopoguerra, nel 1959, con il loro unico figlio Giovanni (Nanni).

Zia Jolanda (Joli), la moglie di zio Armando, era una discendente di Vittorio Emanuele II e della Bella Rosina18, che il re aveva sposato con nozze morganati-che19. Ricordo che avevano un servizio di bicchieri di cristallo con lo stemma di casa reale. Jolanda era la sorella di Aimone Spinola, che poi sposò Adriana, secon-dogenita di zia Anna e zio Franz. I genitori di lei non volevano, ma era un gran-de amore: tanto fecero che la vinsero; non ho mai visto due tanto innamorati. Quando venne la guerra andarono in Portogallo e lì stettero per qualche anno20.

L’ultima era zia Emilia: aveva uno, che il nonno non voleva, e lei subì; poi, dopo un certo periodo, conobbe il maggiore dei carabinieri Alfredo Angrisani, un vedovo, che si congedò da colonnello; il nonno dovette darle una dote di cen-tomila lire. Andò ad abitare a via Cavallerizze a Chiaia, una strada lunga lunga che da via dei Mille portava alla riviera di Chiaia21.

Mia madre, Concetta Vernetti22, era la seconda di cinque sorelle e fratelli, figli di nonno Giuseppe (pure lui!) e di Sofia Sangermano: Teresa, Concetta, Vincenza, Dolores (mia coscritta, pure lei del ’15), Luigi (Luigino), il più picco-lo, che morì a diciotto anni23, in una giornata di vento: prese una tegola in testa, mia madre era come impazzita… Avevano una vecchia casa, di proprietà loro, una casa di povera gente, al rione Pignasecca24: era una casa vecchio stile, con un gradino si scendeva dentro, dove c’era la cucina, e c’era un balconcino, dove si af-facciava nonna Sofia. Pare che avessero come lontano parente un tenore famoso, che stava a Torino25. Mio nonno morì presto, perché faceva il gasista all’azienda del gas a Bagnoli26, bruciavano il carbone negli altiforni e facevano il gas; morì intossicato, corroso dal gas, a cinquant’anni o poco più.

Dopo la morte del nonno, mio padre prese Dolores come dattilografa alla

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Federazione di via Medina27; poi fece avere lui il visto per gli Stati Uniti alla famiglia di mia madre (c’erano i posti contingentati, cinquemila l’anno, non era facile28: mio padre riuscì grazie alla sua posizione politica e all’amicizia con Vincenzo Tecchio29). Prima andò Teresa, che sposò un tenore (cantava nel coro del «Metropolitan» di New York), che la chiamò30; poi Vincenza, che sposò un barbiere, fratello del tenore31; infine Dolores con la nonna Sofia (il nonno era morto da tempo); Dolores si sposò Toni32, che era maestro elementare ed era prigioniero di guerra negli Stati Uniti. Quando partirono? Sarà stato il 1932 o 1933. Non andai a salutarli, li vedevo poco… Dicevano che loro erano i parenti poveri. Vendettero pure la casa.

Non so dove si sono conosciuti papà e mammà, proprio no, papà non par-lava di tante cose con me… Io gli baciavo la mano la sera prima di andare a letto e gli dicevo: «Vedrai che un giorno arriverà anche per me il turno». Si sposarono nel 1914. Lui fece il corso per ufficiale ed era nei bersaglieri ciclisti (era la prima volta che i bersaglieri montavano in bicicletta)33; era un reparto celere, che non stava in trincea ma manteneva i collegamenti. Una volta fu ferito da un colpo di fucile che gli trapassò il naso34… Partì subito per la guerra, fu mandato con il suo reparto sul Tagliamento35. Un giorno, nell’ottobre o novembre 1917, andava con il suo plotone in avanscoperta lungo il fiume, sui ciottoli; gli austriaci dalla montagna li videro e mandarono un drappello a prenderli: «Voi ve ne venivate tutti allegri, noi vi abbiamo visto e abbiamo provveduto». Fu mandato in campo di concentramento prima in Austria, poi in Germania a Wangen36, dove rimase due anni e dove mangiava bucce di patate e torsoli di cavolo. Tornò nel 1919.

Intanto io ero andato a balia per tre anni, in campagna. Tornato a Napo-li, dopo la fine della guerra, andai ad abitare a casa del nonno in via Gennaro Serra37. Mi ricordo che non volevo farla nel vaso, volevo farla per terra, come in campagna. Dicevo: «Mamma, no’ esce…».

Dai balconi vedevamo ogni sera la macchina del principe di Piemonte (il futuro Umberto II), che andava a trovare la duchessa… Come si chiamava… No, non me lo ricordo38.

Era un periodo che cambiavamo sempre casa, perché gli affari non andavano troppo bene, e allora toglievamo casa e tornavamo dal nonno. Era il 1920 circa. Io ho avuto quindici case in ventitré anni! Mammà cominciava a dire: «La casa non mi piace… Non ci stanno39 i soldi… Andiamo dal nonno...». Sono stato in tutti i quartieri di Napoli.

Giurai che quando sarei stato indipendente, la prima cosa che facevo mi compravo una casa, per non essere errante: «La prima cosa ch’aggia fa’: m’aggia fa’ ‘a casa»40.

Vivevamo con nonno Giovanni e nonna Filomena, che avevano una vecchia

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cameriera, Rosa. Il nonno la domenica mattina si metteva la papalina in testa e con la veste da camera andava in cucina a tirare il ragù.

La casa aveva un ingresso, il primo salotto, il secondo salotto di rappresen-tanza (quello dorato: aveva i mobili dorati), la camera da pranzo; c’erano due ca-mere che davano davanti a Palazzo Reale, in una stavamo zia Emilia e io (quando ero piccolo), nell’altra papà e mammà, dietro la camera da letto del nonno e della nonna, il bagno, poi la cucina, un altro bagno e le stanze che riaffacciavano sul corridoio da una parte e dall’altra su via San Francesco di Paola, cioè la camera di Pompeo e quella di zio Armando (che poi se n’è juto41) e la camera di zia Anna e zio Franz, capitano della milizia (non ebbero mai una casa di proprietà: quando Pompeo si stabilì a Varallo Sesia, nel dopoguerra, si portò dietro i genitori e affit-tò per loro un appartamento; morirono entrambi a Varallo). Rosa, la cameriera, dormiva in uno stanzino.

A un certo punto il nonno andò a Mergellina42, vicino alla quarta funico-lare43 e al “Giardino degli aranci”44, a palazzo Mele45; noi non abbiamo abitato con lui, perché allora abitavamo a Posillipo. La casa del nonno aveva una specie di giardino pensile, in un angolo aveva messo una piccionaia, allevava i piccioni piccoli, li ingrassava e se li mangiava. Là vicino io avevo l’insegnante di inglese, miss Hill, che aveva un gatto siamese, e io invece di parlare inglese parlavo con il gatto; vicino a noi abitava Padovani (non il fascista, Aurelio46, l’altro Padova-ni, Umberto47, che aveva due figlie – Emma e Giulia - amiche mie). A Posillipo abitavo a Villa Roccaromana48, di proprietà dei Viola, che avevano due figlie e un maschietto più piccolo; la prima era Giulia, la seconda Consiglio, che faceva un po’ la svenevole con me; la madre se ne accorse e mi disse di non andare più a trovarla. Sopra di noi c’era un polacco, Kossakovski49, un fuoriuscito. C’erano due palazzine, in una abitavano i padroni di casa, l’altra la affittavano; c’era una grande terrazza da cui si vedeva il mare.

Siamo stati due o tre anni a Posillipo e poi siamo passati a via Fiorelli, vicino al rione Amedeo50, dove c’è la funicolare centrale, che porta al Vomero51; erava-mo al primo piano di un palazzo, era una brutta casa. Avevamo una cameriera, Elena, un’istriana, che poi andò a servire a un palazzo di fronte dove c’era il vec-chio federale di mio padre. Stavamo lì quando morì mio cugino Renato Perez.

È stata l’ultima casa a Napoli: poi abbiamo fatto i bagagli per l’Africa.Ricordo la marcia su Roma, nel ’2252. Portarono pure me. Prima vennero a

Napoli, poi prendemmo il treno per Roma. Il movimento fascista a Napoli fu fondato da papà53, con Aurelio Padovani54, Andrea Carafa d’Andria (che poi si sparò nella hall dell’Excelsior)55, Vincenzo Tecchio56 (membro della Camera dei fasci e delle Corporazioni57, che poi, nel 1940, fece la Mostra delle Terre d’Oltre-mare, per la quale inviai documentazione sull’agricoltura coloniale)58. Nel ’20-

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’21 la sede del Fascio era sul ponte di Chiaia59; in quell’epoca una notte appic-carono un incendio. Io ero la mascotte della squadra dei Falchi60. A Roma andai anch’io: all’adunata in preparazione della marcia stavo in spalla a Mastrostefano. Andammo tutti e tre, anche mia madre partecipò, ma non mi portarono a sfilare, mi lasciarono alla stazione su un sedile, c’era la moglie di Padovani che mi teneva sulle ginocchia. Ma ho avuto anch’io il diploma con la medaglia61.

Ricordo anche che nel ’22, dopo la marcia su Roma, i fascisti arrestarono le Guardie regie62, un corpo armato che viaggiava con il fucile, istituito da Nitti… Mio padre ne disarmò una63.

Papà non mi parlava di politica, ma tutta la famiglia era fascista: mio nonno, mio padre, zio Silvio, zio Armando… Solo zio Arturo no, ma lui se ne stava a Milano.

Ci fu poi una scissione nel partito fascista napoletano: una parte seguì Pado-vani, che era rivoluzionario, e una parte Mussolini. Nel giugno del ‘26 Padovani stava su un balcone con una decina di persone, cedette il balcone e morirono64.

Papà faceva parte degli escursionisti del Club Alpino Italiano65. Andavamo sempre in giro per le montagne nei dintorni di Napoli: a Sant’Angelo a Tre Piz-zi66, che si vede anche da Napoli quando il tempo è buono (Tre Pizzi perché c’è il canino e altre due punte); al Monte Faito67, che sta sopra a Castellammare; al Cervialto68, al Monte Vergine…69 Avevo nove o dieci anni... Ricordo che facem-mo una gita con il Club Alpino Italiano, Ferrari era il presidente70, eravamo sette o otto persone, faceva freddo, io avevo i pantaloni corti e Ferrari molti anni dopo mi scrisse di ricordarmi quando correvo con le gambe nude. A papà piaceva cam-minare (da giovane era andato da Napoli a Roma a piedi)71, e quando poteva mi portava sempre dietro. Andavamo la domenica (non tutte le domeniche, però); partivamo la mattina presto dalla stazione di Napoli; passavamo Salerno, Ca-stellammare… Le donne erano poche, di più gli uomini, io ero il solo bambino; avevo pantaloni corti e calzettoni, pullover, maglione e giacca a vento. A qualche gita venne pure la mamma. C’era la neve, avevo freddo, zampettavo int’a neve72. Mio padre era così, bisognava fare una vita dura; mi diceva: «All’età tua io facevo già la guerra» e io gli rispondevo: «Vedrai se faccio io la guerra che ti combino!».

Con papà e mammà l’estate andavo a Capri, ai Due Golfi, sulla strada da Capri ad Anacapri73: il golfo di Napoli è a destra, a sinistra c’è il golfo con i fara-glioni e Marina Piccola74. Era una stagione felice, in cui io undicenne avevo una moglie di sedici anni, Elena Bausch, che quando mi vedeva diceva: «Mio marito!» e io scappavo... Era troppo grande… E c’era il figlio del barone Ricciardi, che avrà avuto la mia età, che aveva Marion che faceva lo stesso con lui…

E con papà ero socio del “Giovinezza”, un circolo nautico di Posillipo75. La sede del circolo era in uno chalet, poi si ingrandì e fecero il tennis e la palazzina.

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Avevo un amore contrastato, Vera Ceriani: era bionda, una bella guagliona76. Ci siamo dati qualche bacetto nello chalet; poi lei passò a un duca, poi al capitano della squadra di rugby… «Vera fu la bionda fanciulla…», scrivevo poesie. «Mi pare uno scimmione malinconico», così mi sfotteva papà, quando mi mettevo su uno scoglio, da solo. A diciotto anni feci una gara di canottaggio per il circolo, la “Lysistrata”77, ero ottava voga.

Tra i miei cugini frequentavo soprattutto i figli di zia Assunta78. Andavo sem-pre a trovare Lidia, stavano a via Partenope79, una traversa di via Santa Lucia80, al terzo piano di un palazzo da cui si vedeva il mare; le stava dietro Carlo Piperno (fratello di Mario, entrambi amici miei), poi conobbe il capovoga della Canot-tieri Napoli81 e lo sposò, rimase incinta e poco dopo morì di nefrite82. Lidia mi insegnò a ballare. Quando andai a fare i campionati di fondo a Dobbiaco83, andai a una festa che tenevano i valligiani e gli sciatori; fui invitato a ballare da una signora tedesca ma dissi di no… a Napoli andai da Lidia e le chiesi di insegnarmi a ballare. Lidia ballava scalza sui tavoli alle feste, aveva la musica nel sangue. Poi vendettero l’appartamento e andarono ad abitare sulla strada del Vomero che porta al Petraio84.

La morte di mio cugino Renato Perez85, che era il cocco di mio padre e aveva qualche mese più di me, fu un colpo per tutti. Era il 6 settembre del ’34, tornavo da Portici, dall’Università86, alle sette di sera, incontrai uno: «Hai sentito? È ca-duto Renato Perez con l’aereo». «Come… Ma quello è mio cugino!».

Io dovevo fare il brevetto87 con lui, per lui c’era posto subito perché era al-lievo sottufficiale, per me no, perché ero allievo ufficiale, avevamo meno posti, dovetti aspettare… Così il brevetto lo avevano fatto lui e Riccardo Monaco, che quel giorno volava con lui, su un altro monoposto. Pare che Riccardo gli avesse detto, prima di partire, di non stargli troppo addosso. Andò proprio così: Renato gli andò addosso con il suo apparecchio, gli rose la coda. Riccardo si salvò con il paracadute, Renato si infilò con l’aereo nell’abbaino di un palazzo88. Allora abi-tavamo al Vomero, alla Santarella89. Mi ricordo che al funerale c’erano centinaia di persone, tantissime ragazze che piangevano; in quell’epoca Renato aveva una motocicletta Benelli e la mattina andava all’aeroporto di Capodichino90 in tuta bianca; era un bel ragazzo, tutte le donne lo guardavano.

Da quando vendettero la casa a via Partenope, zia Assunta non ebbe più fortu-na. Dopo la morte dei figli, nel dopoguerra tolse casa e fu ospitata dalla sua anziana cameriera, una perugina, Agnese, che mi pare avesse un occhio ammarrato91.

Feci la prima, la seconda e la terza elementare privatamente, in due anni, con una insegnante donna; era giovane, con gli occhiali, si chiamava Cerrito92, veniva a casa mia a farmi lezione; io abitavo a Santa Maria Apparente93, sotto il corso94, in un palazzo del barone Ricciardi con un po’ di parco95. Affacciavamo sopra un

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crinale che andava a Santa Lucia. Ricordo che qualche topo veniva in casa lungo gli alberi: avevamo una cameriera, Eufrasia, che li chiamava per nome e gli dava il pane. Per fare il rassetto mia madre mi chiudeva nella camera da letto, dove c’era il portasigarette con le sigarette: io vedevo Tecchio96 che le spezzava e facevo anch’io così e buttavo i cerini sotto il letto. Mia madre se ne accorse e mi fece un liscio…97

Poi feci la quarta e la quinta dai gesuiti, al “Pontano”98, sul corso Vittorio Emanuele. È al “Pontano” che sono diventato miscredente: mi obbligavano ad andare a messa la domenica… con le loro costrizioni, mi hanno allontanato dalla religione. Una volta presi dei francobolli di papà (che già faceva la collezione) e li regalai ai compagni: il maestro mi fece stendere le mani a palme in su e le batté con la “ragione”, una lastrina di metallo.

Ero un anno avanti: infatti a neppure diciotto anni ho fatto la licenza liceale, io sono nato a settembre e la licenza la feci a giugno99.

Andavo al “Pontano” passando sopra il ponte di Chiaia, salivo per un vico-lo100; mi ricordo che con i compagni si giocava a cavalluccio, e io facevo il caval-lo; una volta incontrai mio padre con Tecchio101, mi disse: «Io capisco che vuoi scherzare, ma almeno fai il cavaliere…».

Quando mi iscrissi al ginnasio, all’“Umberto I”102, siccome abitavo vicino alla Villa Comunale103, fui assegnato alla sezione staccata, la D, a Santa Maria Apparente, dove c’era il tedesco (nelle altre sezioni si studiava l’inglese o il fran-cese). Il direttore di quella sezione si chiamava De Caro104 e aveva un figlio che era in classe con me: mi ricordo gli schiaffoni che gli dava quando non sapeva la lezione. Lì feci tutto il ginnasio, che allora durava cinque anni105. In quarta gin-nasio fui rimandato a ottobre in tedesco. Ricordo che quell’anno l’ultimo giorno di carnevale non ci dettero festa. Al grido di «sciopero sciopero» andammo a vedere la Compagnia Schwartz106, di ballerine di varietà, che andava a prendere il treno a Mergellina107. Tutta la classe ebbe cinque giorni di sospensione, i due caporioni108 ne ebbero sette; uno dei due era Ludovico Amitrano109, un bravo ragazzo, che poi ha fatto la scuola di ingegneria a Torino. E tutto pe’ annà a vvedé ‘e guaglione…110

Il liceo l’ho fatto alla sede centrale, in via Fiorelli111, che era vicino alla Ri-viera di Chiaia. Avevo un preside con gli occhiali azzurri, faceva paura solo a ve-derlo; guardava tutti quelli che entravano. Avevamo un professore di filosofia che era un timido, gli allievi se ne accorsero e al grido di «fuori fuori» lo cacciarono dall’aula; un’altra volta, mentre c’era il cambio di professore, eravamo in terza se-zione C, ci chiudemmo dentro e cominciammo a cantare: «È notte già, dormite ognor, la IIIa C è nostra proprietà».

Eravamo maschi e femmine. Dei miei compagni ricordo Giuseppe Mirabel-

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li112, che poi prese legge, diventò presidente della Prima Corte di Cassazione (il padre era avvocato, era figlio di genitori anziani) e Saverio Pappalardo113, che fece sia il liceo sia l’università con me: dovevamo fare un’azienda agricola in due, in provincia di Asti.

Il brevetto di pilota lo feci nel ’35, l’anno dopo Renato. Avevo fatto il con-corso premilitare aviatorio, che permetteva di andare sotto le armi già con il grado di sottotenente: era stato istituito per i figli di Mussolini, la pacchia durò tre anni114. Il primo anno, nel 1934, non fui preso: c’erano tre posti per ufficiali e cinque per sottufficiali (e come sottufficiale passò Renato); allora decisi di pren-dere il brevetto di volo a vela, perché era un titolo di merito aviatorio: l’appa-recchio per il volo a vela era un trabiccolo di legno e tela, tirato con un elastico, che faceva degli zumpitielli115. Il secondo anno, nel 1935, la spuntai: il primo fu Windish Graetz116, principe del Sacro Romano Impero, un pari austriaco, che poi sparì, e io fui il secondo: presi il brevetto di volo premilitare. Andavo a fare lezione a Capodichino117 alle sei di mattina, con la motocicletta della Federazio-ne, una Guzzi 500118; seduto sul sellino dietro di me stava Fabio, un asso della motocicletta. Una mattina ci scoppiò la gomma dietro e volammo tutti e due: io ebbi tre ciappe119 in testa e Fabio non si fece nulla; ricordo che arrivammo all’a-eroporto e non ci volevano medicare.

Volavamo con un RO.5 (Romeo)120; n’ata vota121, venni all’atterraggio in un punto del campo che era tutto accidentato, cappottai122 e mi trovai a testa sotto e piedi in cielo; ero legato e a quattro zampe riuscii a uscire di sotto all’appa-recchio; mi corse incontro un contadino con un fiasco, che mi chiese se volevo bere del vino; ricordo che gli risposi: «Ma che vino! Io a quest’ora non bevo!». Mi diedero sei punti sotto il mento, che si era spaccato. A casa, non sapevo che dire a mia madre: dissi che ero caduto e mi ero fatto male (dell’aeroplano era meglio non parlare, altrimenti non mi avrebbe più mandato). Quel giorno c’era da mangiare un bel gâteau di maccaroni123 con la besciamella al forno: e io che faticavo a masticare…

Abitavo allora a Montedidio124, a via Gennaro Serra125: sali a Montedidio, vai a sinistra e arrivi alla Nunziatella126, dove ci sono gli allievi della fanteria; prima di arrivare alla Nunziatella, alla fine di via Gennaro Serra, c’è un’aiuola: a destra vai a Chiaia, a sinistra alla Nunziatella; a destra c’è il ponte di Chiaia, dove nacque il fascismo. Lì c’era la sede del fascio. Mio padre era come il tesoriere del partito, curava la parte finanziaria. Lo chiamavano “il puro”.

Sotto il ponte di Chiaia c’era un negozio inglese, Codrington127, che vendeva coloniali128; e di fronte a questo negozio c’erano i gradoni di Chiaia129.

C’era una grande grotta naturale, e lì si facevano i pranzi, con l’altro Pado-vani, Umberto130.

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Note

1. La città di Napoli è divisa in trentuno quartieri, o sezioni: Mercato è uno di questi, il meno esteso. Si trova nel cuore della città, tra la stazione di Napoli Centrale e la zona portuale di Calata della Marinella. Il quartiere era soprannominato Case Nuove: intorno al 1890 sono infatti edificate delle palazzine di edilizia popolare nell’area compresa tra Borgo Loreto (poi raso al suolo dai bombardamenti alleati durante la seconda guerra mondiale), corso Giuseppe Garibaldi e via Stella Polare (ora corso Arnaldo Lucci).Dal 2005, anno della riorganizzazione delle tradizionali ventuno circoscrizioni cittadine, Mer-cato appartiene alla seconda Municipalità, insieme con i quartieri Avvocata, Monte Calvario, Pendino, Porto, San Giuseppe.

2. Giuseppe (Pinotto) Coci senior (Napoli 1892 – Vigevano 1970).3. La guerra italo – turca (più nota come guerra di Libia) è combattuta dal Regno d’Italia con-

tro l’impero ottomano tra il 29 settembre 1911 e il 18 ottobre 1912, per conquistare le regioni nordafricane della Tripolitania e della Cirenaica. Si conclude con la vittoria italiana e, con la firma del trattato di pace a Losanna, con il riconoscimento da parte del governo turco della sovranità del Regno d’Italia sui territori perduti durante il conflitto. L’occupazione italiana dà inizio a una lunga guerra di resistenza da parte delle popolazioni locali.Per le operazioni in Libia il Regio Esercito mobilita un Corpo d’Armata, appositamente costitu-ito, formato da circa 30.000 uomini. A questi si aggiungono truppe non inquadrate, tra le quali due reggimenti di bersaglieri (l’8° e l’11°), che assumono un ruolo determinante nella conquista di Tripoli e nelle battaglia di Sciara Sciat (ove sono attaccati e decimati) e di Henni, nell’ottobre 1911. Si veda: Angelo Del Boca, Gli italiani in Libia. Tripoli bel suol d’amore, 1860 – 1922, Mondadori, Milano 1997; e inoltre Unicef – Comitato Regione Piemonte, Cronaca e storia del Corpo dei Bersaglieri, 1836 – 1986, Daniela Piazza Editore, Torino 1986, pp. 171-183.

Giuseppe sr parte per la Libia nell’aprile 1912, inquadrato nell’11° reggimento, 1a compagnia dei bersaglieri; l’espressione volontario di un anno significa con ferma prefissata a un anno.

4. Una delle vie principali di Napoli: si snoda lungo la direttrice nord – sud da piazza Dante Alighieri a piazza Trieste e Trento. Dal 1870 è chiamata via Roma, in onore della nuova capitale del Regno d’Italia: i napoletani, però, continuano a utilizzare il toponimo tradizionale, ufficial-mente ripristinato nel 1980.

5. Giuseppe sr frequenta la classe 5a ginnasiale sezione B del Regio Liceo e Ginnasio “Giam-battista Vico” di Napoli (istituito nel 1894) nell’anno scolastico 1907/08: brillanti le valutazioni riportate nella pagella del 2° trimestre in italiano, latino, greco, storia, geografia e storia naturale (ovvero scienze naturali).

6. La Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale (MVSN) è un corpo di polizia civile con ordinamento militare istituito nel dicembre 1922, identificato con le cosiddette “Camicie Nere”. La Milizia, guidata da un comando generale (nella persona di Benito Mussolini), si articola in raggruppamenti (divisioni) e in centoundici legioni (reggimenti). Ogni legione si compone di tre

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coorti (battaglioni), a loro volta formate da tre centurie (compagnie); ogni centuria è formata da tre manipoli (plotoni) e ogni manipolo da tre squadre.

7. Oggi Istituto Tecnico “Alessandro Volta”, sito in piazza Santa Maria della Fede, in quartiere San Lorenzo, poco a nord della stazione di Napoli Centrale.

La Scuola Tecnica Municipale di Napoli è istituita nel 1864; nel 1870 è intitolata ad Alessan-dro Volta; con delibera comunale, tra il 1881 e il 1885, si trasforma in Regia Scuola Industriale alle dipendenze del Ministero dell’Industria e del Commercio, che offre formazione a meccanici, fonditori, chimici ed elettricisti.

8. L’Accademia fascista maschile di educazione fisica, o Accademia fascista della Farnesina, è istituita in seguito alla Riforma Gentile e inizia i propri corsi nel febbraio 1928; ha la finalità di formare gli insegnanti di educazione fisica delle scuole e gli istruttori ginnico-sportivi dell’Opera Nazionale Balilla.

9. La notizia è confermata da Giovanni Coci, figlio di Silvio e Margherita Calò, cugino primo di Giuseppe: il figlio di Arturo Coci e della signora Gurari sarebbe poi emigrato nello Stato di Israele. Gurari (o Gurarie) è cognome ebraico di origine ungherese.

10. Si tratta di via Cardinal Guglielmo Sanfelice, che si apre in piazza Giovanni Bovio, in quartiere Porto: vi si trova il Palazzo della Borsa. La «Gioielleria Comm. Giuseppe Perez & Fi-glio», fondata nel 1815, si trovava al civico 42.

11. Romeo, monomotore da collegamento e turismo, biposto, prodotto dalle Industrie Mec-caniche Aereonautiche Meridionali a partire dal 1929.

12. La Galleria Umberto I è adiacente al tratto terminale di via Toledo, lato orientale.13. Quartiere residenziale di Napoli, in posizione collinare.14. La Chiesa di Santa Maria Apparente si trova lungo corso Vittorio Emanuele, che si snoda

da piazza Giuseppe Mazzini a piazza Piedigrotta, lungo la collina del Vomero, alla quale si riferi-sce l’espressione vicino a noi.

15. Monumento funebre dedicato ai caduti della prima guerra mondiale di Napoli, in stile neo-egizio. Progettato e costruito tra il 1881 e il 1889 quale tomba di famiglia del banchiere Matteo Schilizzi, nel 1921 è acquistato dal Comune di Napoli e adibito a reliquiario per le salme dei caduti della Grande guerra.

16. Città capoluogo del dipartimento dei Pirenei Atlantici, nella regione francese dell’Aqui-tania.

17. L’attuale città di Durban, sull’Oceano Indiano.18. Rosa Vercellana (Nizza 1833 – Pisa 1885), la cosiddetta “Bela Rosin”, dà a Vittorio Ema-

nuele II due figli, Vittoria ed Emanuele Alberto Guerrieri. Nel 1867 Vittoria (1848-1905) sposa il marchese Giacomo Filippo Spinola e, rimasta vedova, il fratello di questo, marchese Luigi Do-menico Spinola, nel 1873. Dal primo matrimonio nascono Rosa, Vittorio Emanuele e Oberto, dal secondo Diana. Da Oberto (1871-1916) e Luisa Giosia nascono Emanuele, Aimone, Gior-gio, Gastone, Vittoria, Jolanda, Mafalda. Jolanda (nata nel 1903), sposa di Armando (ultimo fratello di Giuseppe Coci senior, nato nel 1899), è dunque bisnipote del re Vittorio Emanuele II,

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così come suo fratello Aimone, sposo di Adriana (nata nel 1914), figlia di Anna (nata nel 1888), prima sorella di Giuseppe sr.

19. «Tipo di matrimonio, in uso fin dall’età feudale e soprattutto fra persone di diverso livello sociale e in caso di unioni di secondo letto, in cui era previsto che la moglie e gli eventuali figli non potessero avere alcuna pretesa su titoli e proprietà del marito. In cambio il marito provvedeva a una donazione predefinita (la morganatica) che assicurasse il sostentamento del nucleo familia-re» (si veda www.treccani.it, URL consultato il 3.04.2015).

20. A Porto, tradizionale luogo di rifugio ed esilio dei Savoia. Qui Adriana, con i primi tre figli, raggiunge il marito tra il giugno e il luglio del 1942.

21. Via della Cavallerizza è in realtà parallela a via dei Mille e a via Riviera di Chiaia.22. Concetta Vernetti (Napoli 1898 – Vigevano 1984).23. Luigi Vernetti nasce nel 1918 e muore nel 1937.24. Il rione della Pignasecca (un largo, una via e un vico sono intitolati a questo toponimo)

si trova nei pressi di via Toledo, lato occidentale: dà accesso ai cosiddetti “Quartieri Spagnoli” della città.

25. Alfredo Vernetti (Napoli 1918 - 1993). Dopo l’esordio giovanissimo al Teatro Carignano di Torino e il tirocinio in diversi teatri lirici italiani, fino al 1959 è primo tenore al Teatro San Carlo di Napoli.

26. Quartiere di Napoli: posto al limite occidentale della città, si affaccia sul golfo di Pozzuoli, ai piedi di Posillipo. A partire dal primo decennio del Novecento e fino agli anni Novanta, Ba-gnoli è sede di uno dei più importanti insediamenti industriali del mezzogiorno (in particolare per la produzione dell’acciaio: qui ebbe sede l’Ilva).

27. In quartiere San Giuseppe, è via parallela a via Toledo e a viale Cristoforo Colombo, nei pressi di Castel Nuovo e della Stazione Marittima. Fino al 23 settembre 1943 vi si trova la sede della Federazione provinciale del Partito Fascista, spostata alla sede rionale del Vomero, in via Cimarosa, in seguito allo sgombero della fascia costiera della città sino a una distanza di 300 metri dal mare ordinato dal colonnello Walter Schöll, comandante delle truppe tedesche in cit-tà, per consentire la creazione di una “zona militare di sicurezza” probabilmente finalizzata alla distruzione del porto.

28. Nel 1921 il Congresso degli Stati Uniti, nonostante il veto del presidente Thomas Wo-odrow Wilson, adotta il Quota Act, che stabilisce le quote massime di migranti in ingresso nel paese; successivamente, nel 1924, approva l’Immigration Act, che riduce ulteriormente e sensibil-mente tali quote, in particolare ai danni delle nazioni dell’Europa mediterranea. Nel decennio 1881-1890 approdano infatti a Ellis Island circa 307.000 italiani; a partire dal 1924, il contin-gente nazionale previsto annualmente per l’Italia si abbassa a 5.677 (si veda Bruno Paradisi e Otto von Frish, Migrazioni, in Enciclopedia del Novecento [1979], in www.treccani.it, URL consultato il 3.04.2015). Scrive Luigi Luca Cavalli Sforza che «agli emigranti italiani che furono sottoposti al controllo del Q.I. [Quoziente di Intelligenza] in occasione dell’arrivo a New York o della coscrizione militare in America, fu assegnato un Q.I. pari a zero, in quanto erano analfabeti,

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e queste misure vennero usate dal Congresso per decidere che si doveva limitare a cifre bassissime la quota di immigrazione dall’Europa del Sud» (Luigi Luca Cavalli Sforza, L’evoluzione della cultura, Codice Edizioni, Torino 20082, p. 117).

29. Su Vincenzo Tecchio si veda la nota 56.30. Quale “residente permanente”, il marito di Teresa consente alla sposa l’immigrazione

legale negli Stati Uniti attraverso l’istituto del “ricongiungimento familiare”.31. Teresa e Vincenza sposano i due fratelli Messina; il primo di questi è Epifanio.32. Antonio Nazzaro.33. Con l’ordinamento del 1910, presso ogni reggimento di bersaglieri si forma un “bat-

taglione ciclisti”, soppresso nel 1919 ma ancora utilizzato durante la prima guerra mondiale (1915-1918).

34. L’episodio è raccontato da Giuseppe sr in una lettera scritta al padre dall’«Ospedale della Croce Rossa di Modena» il 30 maggio [1917]. «Il 27 mattina fui ferito nell’assalto all’Hermada. Ero arrivato coi miei bersaglieri alla trincea austriaca e nell’entrarvi per il primo fui colpito a dieci passi da un proiettile di mitragliatrice alla faccia. Ho avuto una fortuna immensa perché la ferita non è per niente grave, anzi leggerissima. Infatti la pallottola mi è entrata sotto lo zigomo destro e mi ha forato, uscendo, il naso in due parti. Quindi è questione di buchi, perché pala-to, mascella e altre ossa sono a posto e per niente lese». Lo scontro presso il monte Ermada (o Hermada), modesta altura a nord-ovest di Duino Aurisina, si colloca nell’ambito della decima battaglia dell’Isonzo, combattuta tra il 12 maggio e il 5 giugno 1917 per la riconquista da parte italiana della città di Trieste.

35. Fiume del Friuli Venezia Giulia lungo il quale si svolge uno scontro decisivo tra l’esercito italiano e quello austro-ungarico, nel più ampio quadro della battaglia di Caporetto, o dodicesi-ma battaglia dell’Isonzo, combattuta dal 24 ottobre al 12 novembre 1917. Nei giorni compresi tra il 31 ottobre e il 2 novembre 1917, le truppe italiane (tra queste i battaglioni ciclisti) dap-prima perdono il controllo della riva sinistra del fiume, quindi, nei giorni successivi, ripiegano verso il Piave.

36. Wangen im Allgäu (Algovia) si trova a circa venti chilometri a nord del lago di Costanza, nella regione del Württenberg, al confine con la Baviera.

37. Via vicinissima a piazza del Plebiscito, adiacente al lato settentrionale della Chiesa di San Francesco di Paola.

38. Umberto II di Savoia (Racconigi 1904 – Ginevra 1983), principe di Piemonte e futuro ultimo re d’Italia, soggiorna più volte a Napoli e nella città – leale alla monarchia - vive con la moglie Maria José del Belgio dal novembre 1931 all’ottobre 1935. La coppia risiede a villa Rose-bery, a Posillipo. La duchessa sua amante è forse Carolina Bobbio, cosiddetta “contessa di Napoli”, piemontese di origine e dal 1921 moglie di Giovanni Napolitano: i Napolitano abitano infatti in via Monte di Dio, perpendicolare di via Gennaro Serra, a pochi passi da piazza del Plebiscito.

39. Voce partenopea: «sono».40. Voce partenopea: «La prima cosa che devo fare: devo farmi la casa».

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41. Voce partenopea: «se ne è andato».42. Zona di Napoli in quartiere Chiaia, in riva al mare, ai piedi della collina di Posillipo.43. La funicolare Napoli Mergellina-Posillipo Alto è più nota come funicolare di Mergellina o

“quarta funicolare”, perché quarta in ordine di tempo a essere aperta in Napoli. Iniziata alla fine degli anni Venti, è inaugurata nel maggio 1931.

44. Locale molto noto e frequentato nella Napoli degli anni Trenta. Nel dopoguerra vi si esibiscono Peter Van Wood e Renato Carosone.

45. Il palazzo della famiglia Mele si trova in via Mergellina 32, accanto alla funicolare. Nel 1889 i fratelli Emiddio e Alfonso Mele fondano i Grandi Magazzini Italiani, sul modello delle Galeries Lafayette, che hanno conosciuto durante i propri viaggi a Parigi. I Grandi Magazzini Italiani hanno sede nel Palazzo della Borghesia, al civico 26 della centralissima via San Carlo, tra Castel Nuovo e il Teatro San Carlo: dopo il grande successo ottenuto nel primo Novecento – celebri i manifesti pubblicitari commissionati a grandi illustratori del tempo, ora esposti al Museo Nazionale di Capodimonte – i Magazzini chiudono nel 1932 (si veda: Maria Anto-nietta Taglialatela, Una moderna realtà della Napoli imprenditoriale di fine Ottocento. I Grandi Magazzini Italiani di Emiddio & Alfonso Mele, in Regina Margherita. Il Mito della Modernità nell’Italia Postunitaria, a cura di Elena Fontanella, Leva Arti Grafiche, Sesto San Giovanni 2011, pp. 326-331).

46. Aurelio Padovani nasce a Portici il 28 febbraio 1889 e muore a Napoli il 16 giugno 1926. «Perito industriale, partecipa alla campagna di Libia; capitano dei bersaglieri nella Grande Guer-ra, decorato con quattro medaglie d’argento. Affiliato alla massoneria di Palazzo Giustiniani, nel periodo 1919-20 aderisce ad aggregazioni politiche eterogenee (dalla Democrazia sociale a vari movimenti di ex combattenti), iscrivendosi al PNF a fine 1920. Comandante delle squadre d’azione della Campania e segretario del fascio di Napoli (1921-23), il 20 febbraio 1920 dirige una spedizione contro Torre Annunziata, roccaforte socialista. Il 1° maggio 1921 guida l’assalto al comizio comunista di piazza Mercato, nel corso del quale è ucciso un ferroviere. Nei primi mesi del 1922 pone i suoi uomini al servizio degli armatori (pur ricercando un proprio spazio d’azione sindacale nelle cooperative del porto) e organizza il crumiraggio ai danni dei lavoratori portuali.L’11 settembre mobilita gli squadristi contro il commissariato di PS di Piedigrotta, esigendo la liberazione delle camicie nere arrestate: negli scontri è percosso il commissario capo. Due giorni più tardi guida le camicie nere contro il commissariato di Torre del Greco per liberare due squa-dristi: nel corso dell’azione rimane leggermente ferito. Il 21 ottobre è nominato ispettore zonale della Campania.A inizio novembre sconfessa alcune imprese squadristiche e riordina le squadre d’azione, repri-mendo i Cavalieri del Re. A quel punto esplode il contrasto con i nazionalisti dell’onorevole Pao-lo Greco, la cui confluenza nel PNF Padovani non riesce a evitare: la sua opposizione è condotta nel nome della fedeltà all’ideale fascista e dell’avversione alle clientele liberali. Il 19 maggio 1923 offre a Mussolini le dimissioni da comandante della Milizia e da membro del direttorio fascista napoletano: «Conserverò sempre la mia camicia nera, come intatta conservo la mia divisa da ber-

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sagliere, ancora bagnata del mio sangue, per i cimenti gravi che forse ci aspettano, e per quando sarà l’ora di pagare di persona, col moschetto alla mano». Il Duce lo vuole allontanare da Napoli e nell’ottobre 1923 lo trasferisce a Bologna, assegnandogli il comando della MVSN cittadina, ma egli rifiuta l’incarico e ciò gli costa l’espulsione dal PNF per indisciplina. Il 22 ottobre 1923 Mussolini scrive al direttorio del fascio partenopeo: «Mi pare che sia proprio l’ora di finiamola [sic] col prosternarsi continuamente e inutilmente davanti alla deità irata e intrattabile del sig. capitano Padovani. [...] Egli è il fascista certamente più indisciplinato d’Italia: egli è in contatto con elementi equivoci, come quelli del Giornale d’Italia; egli è responsabile di un ammutina-mento di tutti i consoli e di tutte le legioni della Campania, che ci ha coperto di ridicolo e per il quale motivo meritava di essere consegnato al Tribunale militare. Io non lo ricevo più». In realtà il Duce lo cercherà durante la crisi Matteotti, con esiti negativi, secondo quanto lo stesso Mussolini scrive riservatamente al prefetto di Napoli l’11 agosto 1924: «Si è acerbamente doluto delle per-secuzioni del Governo contro i suoi gregari. Ha detto che intendeva restare estraneo al Fascismo nell’attesa degli avvenimenti. Conclusione: è un uomo moralmente dall’altra parte della barri-cata. Si deve tuttavia evitare che passi armi e bagaglio dalla parte di Labriola, Amendola e soci». Estraniatosi dalla vita politica attiva, mantiene un forte seguito nell’ambiente fascista cittadino, che ancora il 28 ottobre 1925 saluta l’anniversario della marcia su Roma con una manifestazione di quattromila persone (inclusi molti ufficiali della Milizia) davanti al suo studio. Il 16 giugno 1926 muore con altre otto persone per il crollo del balcone, mentre saluta una folla plaudente: l’incidente innesca sospetti di un attentato volto a eliminare un personaggio scomodo» (Mimmo Franzinelli, Squadristi. Protagonisti e tecniche della violenza fascista, 1919-1922, Mondadori, Milano 2003, pp. 247-248).Giuseppe sr e Aurelio Padovani sono dunque entrambi napoletani, vicini di età (Giuseppe sr è di tre anni più giovane), partecipano come bersaglieri alla guerra di Libia (entrambi nell’11° Reggimento) e sono membri della Loggia Massonica di Palazzo Giustiniani (dal nome del palazzo romano sede del Grande Oriente d’Italia); da questa, tuttavia, Padovani si dimette il 17 febbraio 1923, due giorni dopo la dichiarata incompatibilità da parte del Gran Consiglio del Fascismo tra adesione alla massoneria e iscrizione al Partito Nazionale Fascista. Sull’organizzazione delle squadre napoletane che partecipano alla marcia su Roma da parte di Aurelio Padovani si veda la nota 52.

47. Umberto Padovani (sul quale si veda anche la nota 53) è presidente del Circolo Nautico “Giovinezza” (poi denominato “Posillipo”, in via Posillipo 5) nel 1928, in triumvirato con Gino Palumbo e Lorenzo Sanges, e, l’anno successivo, componente del direttorio federale. «Il 15 luglio 1925 da una frangia scissionista del glorioso circolo napoletano “Italia”, nasce il circolo nautico “Giovinezza” con guidone sociale ispirato al gagliardetto fascista e presidente onorario Benito Mussolini in persona. La sede del nuovo circolo viene ospitata dai Martinelli, nella rada di loro proprietà, in via Posillipo, all’altezza di piazza San Luigi, all’interno dello storico chalet in legno che a distanza di un anno dalla fondazione fu trasportato via mare all’indirizzo attuale sull’arenile attiguo a Villa Chierchia. Nello stesso anno, causa la penuria di spazi, viene integrato un piccolo

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hangar all’interno del porto di Napoli, vi troveranno riparo un certo numero di barche e sarà utilizzato come base operativa per gli allenamenti; poter disporre di un bacino dalle acque calme costituirà un grande vantaggio per gli equipaggi del “Giovinezza” che iniziano immediatamente a mietere i primi successi. Siamo nel 1926 ed il “Giovinezza” riesce ad ottenere dal Comune, per la cifra simbolica di una lira, il fitto del villino “Mon Plasir”. Tra quest’ultimo e lo chalet in legno viene realizzato un civettuolo campo da tennis ed inizia il radicamento… “su terra ferma” del Circolo, che aprendo il salone delle feste dà il via alla sua vita sociale iniziando a ricevere ospiti illustri in occasione di manifestazioni mondane» (si veda: www.cnposillipo.org, URL consultato il 5.08.2015).Giuseppe è titolare della tessera n. 105 del Circolo Nautico Giovinezza, intitolata a Pinotto Coci junior e rilasciata il 14 luglio 1931.

48. Nota villa napoletana, costruita a partire dal 1814 su antiche grotte tufacee di Posillipo per iniziativa di Nicola Caracciolo di Roccaromana; alla fine del XIX secolo è acquistata dalla no-bile famiglia Le Mesurier di Birkenhead, che la utilizza come residenza estiva. Negli anni Trenta la proprietaria Helen Anne de Gemmis Le Mesurier, baronessa di Castel Foce, vi organizza feste e ricevimenti. Il riferimento alla famiglia Viola rimanda forse a uno dei rami della nobile famiglia Caracciolo, quello dei Viola.

49. Nome di una antica e nobile famiglia del Regno di Polonia, originaria della regione della Masovia.

50. Il rione Principe Amedeo (più noto come rione Amedeo) si trova nel quartiere Chiaia; via Giuseppe Fiorelli è una trasversale di via Carlo Poerio, a sua volta parallela di via Riviera di Chiaia.

51. Quartiere collinare di Napoli, di carattere residenziale. È collegato alla città dalla funico-lare di Chiaia, la prima costruita a Napoli, nel 1889.

52. La marcia da Napoli su Roma ha inizio il 27 ottobre 1922: come noto, il giorno succes-sivo le camicie nere fasciste entrano in Roma senza incontrare resistenza (il re Vittorio Emanuele III rifiuta di firmare lo stato d’assedio) e il 30 Benito Mussolini riceve l’incarico di formare il nuo-vo governo. È significativo che il 24 ottobre l’adunata di Napoli al campo sportivo dell’Arenaccia sia organizzata da Aurelio Padovani, che guida la sfilata per le vie della città, presenta il duce al popolo napoletano al teatro San Carlo, stabilisce le direttive di dettaglio per la marcia durante il Consiglio nazionale del partito all’Hotel Vesuvio. Giuseppe sr compare in una fotografia e in una videoripresa della marcia, pochi passi davanti a Benito Mussolini, al quale fa largo (si veda il documentario di Lino Del Fra, Cecilia Mangini, Lino Micciché, Allarmi siam fascisti, Italia 1962).

53. Giuseppe sr risulta iscritto al Partito Nazionale Fascista dal 2 dicembre 1920 (si veda il capitolo Cielo del Mediterraneo, nota 159). Il Fascio di Napoli è fondato il giorno prima, 1° dicembre 1920. Su «Il Mattino» (storico quotidiano di Napoli) del 5 dicembre 1941, all’interno dell’articolo Il sottotenente Giuseppe Coci siluratore dell’incrociatore britannico nel Mediterraneo, Giuseppe sr è detto «il fascista magnifico della vigilia che fu tra i fondatori del Fascio di Napoli».

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In Archivio Centrale dello Stato non vi sono fascicoli intestati a Giuseppe sr: la ricerca svolta sulle serie archivistiche prodotte dalla Direzione Generale di pubblica sicurezza del Ministero dell’In-terno è infatti risultata negativa. E neppure Paolo Varvaro, autore dello studio più importante sul fascismo napoletano (che ringrazio di cuore), ricorda di averne mai incrociato il nome nelle proprie frequentazioni archivistiche.Sulla storia del fascismo napoletano si vedano dunque l’ampio contributo di Paolo Varvaro, Una città fascista. Potere e società a Napoli, Sellerio, Palermo 1990, di pp. 240; e, più recente, il saggio di Pasquale Villani, Gerarchi e fascismo a Napoli (1921-1943), Il Mulino, Bologna 2013, di pp. 163. È qui riportata quasi integralmente la relazione che Eduardo Saraceno, segretario della Federazione di Napoli dal novembre 1936 al dicembre 1939, invia in forma riservata al segretario del partito in Roma con data 23 dicembre XVIII (1939); il Rapporto novità ricostruisce in modo puntuale e con apparente distacco le vicende del fascio napoletano, di particolare inte-resse nella biografia di Giuseppe sr.Nota Saraceno che una prima scissione avviene dopo il congresso dell’Augusteo del 1921, quan-do, per iniziativa di Aurelio Padovani, è approvato un ordine del giorno repubblicano, che de-termina l’allontanamento di alcuni dissidenti napoletani. Pure, sotto la guida del cosiddetto “fa-scista intransigente”, il fascio napoletano «rimase efficiente e combattivo ed ebbe la possibilità e l’onore di organizzare l’adunata di Napoli dell’ottobre 1922». Dopo l’espulsione di Padovani, però, «il fascismo napoletano ebbe completamente a disgregarsi. Rimasero nei ranghi pochi fa-scisti, la gran parte appartenevano alla Milizia, i quali seguirono l’esempio del Console generale dell’epoca, Carafa D’Andria, ritenendo giusto il concetto che una doveva essere la fede e una la disciplina» (pp. 107-120). Come nota Paolo Varvaro, dopo che «il fascismo campano di fatto si è dimesso dal fascismo», «una larga frangia di dissidenti, guidati da Tecchio, formalizza il proprio rientro nei ranghi del partito e della Milizia» in un’assemblea di pacificazione con i nazionalisti nell’ottobre 1923 (p. 19).È dunque assai probabile che Giuseppe sr, di estrazione combattentistica e di orientamento in-transigente, già inquadrato nella Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale, sia allineato agli amici Carafa D’Andria (sul quale si veda la nota 55) e Tecchio (sul quale si veda la nota 56).Alcuni anni più tardi, il 17 settembre 1931, una nota anonima (pure citata da Pasquale Villani, pp. 54-55) segnala: «Il segretario federale Schiassi è quotidianamente tradito da due elementi della sua compagine, tale avv. Picone e avv. Scottone, il primo amicissimo del Tecchio e di Pre-ziosi, è l’occhio vigile di questi sulle cose della Federazione, il secondo stando su due staffe è il tramite tra Castellino e Tecchio. I suddetti si riuniscono spesso a casa di un tal Umberto Padovani a Posillipo per la salvezza di Napoli. In questi giorni si è unito alla combriccola il famoso Cesare Cardinale in licenza. In uno di questi conversari il Tecchio sferrava un attacco al Questore di Na-poli che non lo lascia in pace e [sic] sorvegliandolo come ad un vigilato speciale» (p. 55). Come noto, Francesco (Ciccio) Picone sarà federale dal 1934 al 1936 (e il suo mandato coinciderà con il reinserimento di Tecchio ai vertici del partito); Giovanni Preziosi è il teorico dell’antisemitismo fascista; Nicolò Castellino è stato federale negli anni 1925-1926; Cesare Cardinale, già segretario

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generale delle Corporazioni sindacali di Napoli e dell’Unione provinciale del Commercio, è stato tra i principali “consiglieri sindacalisti” di Aurelio Padovani, prima di essere trasferito fuori Na-poli. Umberto Padovani, infine, è amico di Giuseppe sr, che ne frequenta la casa a Posillipo, ove per qualche tempo risiede con la famiglia; le figlie di Umberto, Emma e Giulia, sono coetanee e amiche del piccolo Giuseppe; a Posillipo ha sede il circolo nautico “Giovinezza”, di cui sono presidenti Andrea Carafa D’Andria (si veda la nota 55) e lo stesso Umberto Padovani (si vedano le note 47 e 130).

54. Si veda la nota 46.55. Andrea Carafa dei duchi D’Andria, nato a Napoli il 14 settembre 1890 e morto pure a

Napoli l’8 dicembre 1948, appartiene a una famiglia napoletana di antichissima nobiltà. Poco più che ventenne, partecipa come volontario, inquadrato nell’11° reggimento dei bersaglieri, alla guerra di Libia, alla prima guerra mondiale (nella quale è ferito due volte e mutilato) e all’impresa di Fiume al seguito di Gabriele D’Annunzio; è decorato più volte al valor militare. Appassionato di canottaggio, nel 1920 voga in otto yole (imbarcazione a remi per otto vogatori) da Napoli a Roma, fino all’Aniene. Guida le squadre della provincia durante la marcia su Roma, è segretario del Fascio di Napoli dal 1925 al 1926 e console della MVSN, nonché fondatore e primo pre-sidente del Circolo Nautico “Giovinezza” (poi denominato “Posillipo”, si veda la nota 47), dal 1925 al 1927, e successivamente dal 1932 al 1935. Prende poi parte alla guerra d’Etiopia e alla seconda guerra mondiale (ovvero all’occupazione italiana dell’Albania).È evidentemente legato da amicizia a Giuseppe sr, che gli è quasi coetaneo e che come lui ha mi-litato nell’11° reggimento dei bersaglieri, sia nella guerra di Libia sia nella prima guerra mondiale (entrambi prendono parte, forse fianco a fianco, all’assalto al monte Ermada): in una fotografia dell’archivio di famiglia, si vede infatti Giuseppe sr seduto accanto a lui, su di un letto di ospeda-le; pur non essendo datata, l’istantanea è riconducibile agli anni della Grande guerra. I rapporti tra Giuseppe sr e Andrea Carafa d’Andria sono testimoniati da cinque lettere che questo invia all’amico a Napoli: la prima del 29 dicembre 1911 da Ain Zara (in Tripolitania, ove pochi giorni prima si è combattuta una battaglia vinta dalle truppe italiane), nella quale Andrea Carafa si dice certo che l’amico lo raggiungerà a breve (cosa che in effetti accade). Le altre, senza luogo ma senza dubbio spedite da Fiume, datate nell’ordine 30 agosto 1920 (su carta intestata dell’Ufficio Co-mando dell’8° Battaglione Bersaglieri Ciclisti, con una quartina dannunziana in epigrafe); priva di data (ma certamente la seconda della serie); 28 settembre 1920 (su carta intestata dell’Ufficio del Comandante la Divisione del Comando città di Fiume); 17 ottobre 1920. Nella seconda si legge: «Quasi certamente tra non molto ritornerò a Napoli ed allora ci metteremo di lena a lavo-rare per costituire un’organizzazione antibolscevica». Giuseppe sr non raggiunge l’amico a Fiume, come forse vorrebbe, ma promuove una raccolta di fondi a sostegno dell’impresa e organizza la partenza di alcuni volontari da Napoli.Nonostante sia tra i fondatori del fascismo napoletano, Andrea Carafa non evita la rimozione per omosessualità. «L’inchiesta sulla sua supposta pederastia, ordinata direttamente dal Comando generale della milizia, aveva dato esito positivo, costringendo il duca alle dimissioni. Malgrado la

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successiva riabilitazione e la promozione nel 1935 a vicepresidente della Federazione nazionale fascista dei commercianti di bestiame e carni, l’eco dello scandalo non si spegneva e le mormo-razioni si intensificavano, anche perché, nel 1942, la rottura del matrimonio di Carafa d’Andria veniva considerata un’ulteriore prova della sua omosessualità, alimentando nuovi pettegolezzi e rinnovando le vecchie maldicenze. [Cfr. ACS, Pol.Pol., b. 241, f. “Carafa d’Andria Andrea”. Nel febbraio del 1942 il prefetto di Napoli smentiva l’accusa di pederastia nuovamente mossa contro Carafa d’Andria, al momento della sua nomina a direttore della locale Sepral [Sezione Provin-ciale dell’Alimentazione], ritenendola solo una volgare calunnia (cfr. ACS, P.S. A1 1942, b. 27, f. “Carafa d’Andria Andrea”)]» (Lorenzo Benadusi, Il nemico dell’uomo nuovo. L’omosessualità nell’esperimento totalitario fascista, Feltrinelli, Milano 2005, pp. 259 e 357n). L’accusa è forse strumentale, tesa a eliminare dalla scena politica un avversario interno, già molto vicino ad Au-relio Padovani e considerato «tra i puri del fascismo napoletano». A Napoli, infatti, «sono note le vicende sentimentali e la disavventura coniugale di Andrea Carafa», che negli anni Trenta sposa una ballerina della Compagnia di rivista “Molinari” di scena presso il Teatro Nuovo di Napoli, di nazionalità austriaca e di nome Ina, dalla quale si divide legalmente qualche tempo dopo (le cita-zioni sono tratte rispettivamente dagli articoli Andrea Carafa si uccide con una rivoltellata al cuore, pubblicato sul quotidiano napoletano «Roma» del 9 dicembre 1948, e Andrea Carafa d’Andria s’è ucciso con un colpo di rivoltella al cuore, pubblicato sul quotidiano indipendente del Mezzogiorno «Il giornale» pure il 9 dicembre 1948).Nel 1943, dopo la caduta del fascismo, è internato per quindici mesi nel campo di concentra-mento istituito dagli angloamericani nella Certosa di Padula (già campo italiano per prigionieri di guerra), dal quale tenta la fuga; dichiara la propria appartenenza al fascismo, è condannato a morte per fucilazione e successivamente graziato. Si toglie la vita l’8 dicembre 1948, alle quattro del pomeriggio, nella hall del lussuoso Hotel Excelsior, in via Partenope, sul lungomare di Napo-li. Su «La Stampa» del giorno successivo si legge che «una notissima figura di ex-gerarca fascista, già console della milizia, mutilato e più volte decorato al valor militare nella guerra del 15-18 come nelle guerre d’Africa» si è ucciso con un colpo di pistola al petto: «da qualche anno egli viveva in modo molto riservato, appartandosi da ogni manifestazione di carattere politico. Nelle sue tasche sono state rinvenute tre lettere dirette ad altrettante persone di famiglia». I funerali di Andrea Carafa si svolgono a Napoli, in forma solenne e – per iniziativa del generale Giovanni Guidotti - con gli onori militari; la salma è poi tumulata nel cimitero di Capri.Devo buona parte di queste notizie biografiche alla cortesia del duca Riccardo Carafa d’Andria, patrizio napoletano e nipote di Andrea, che ringrazio di cuore.

56. Vincenzo Tecchio nasce a Napoli il 26 aprile 1895 e muore pure a Napoli il 9 settembre 1953. Laureato in giurisprudenza, esperto di economia, proviene dall’ambiente piccolo-medio borghese dell’artigianato e del commercio della città. Partecipa alla Grande guerra ed è tra i fon-datori del movimento fascista a Napoli. È nominato segretario federale dal gennaio al maggio 1923, quando, dopo l’espulsione di Aurelio Padovani, lascia il partito; non per molto: «nell’otto-bre dello stesso anno, legati a sé i maggiori esponenti della dissidenza (Carafa D’Andria, Bifani,

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Mancuso, Cardinale), Tecchio si fa promotore di un’assemblea di pacificazione tra nazionalisti e intransigenti nel nome della comune fedeltà a Mussolini. Questa iniziativa, che consente il reinserimento dei reprobi nelle file del partito, crea i presupposti per il ritorno degli intransigenti alla guida del fascio napoletano e per l’esautoramento di una figura ormai scomoda come quel-la di Padovani» (Paolo Varvaro, Una città fascista. Potere e società a Napoli, Sellerio, Palermo 1990, p. 69). È nuovamente segretario federale, in quadrumvirato con Italo Verde, Andrea Ca-rafa D’Andria, Achille Manca, dal marzo al giugno 1925; cade però in disgrazia nel 1926, con la destituzione di Roberto Farinacci dalla segreteria del Partito Nazionale Fascista, quando sembra tramontare la sua concezione del partito quale avanguardia rivoluzionaria in ambito politico e so-ciale. Tuttavia, grazie alla sua «duttilità politica», è eletto deputato con il plebiscito e siede alla Ca-mera per tre legislature (XXVIII, XXIX e XXX, ovvero dall’aprile 1929 al febbraio 1943); a metà degli anni Trenta, con l’assunzione della carica di federale da parte di Francesco Picone (1934), riacquista una posizione centrale nell’ambito del partito, a Napoli e non solo: nel 1937 lo stesso Mussolini lo propone quale presidente del grande progetto della Mostra d’Oltremare, concepita per rilanciare Napoli quale testa di ponte per l’Impero e per celebrare l’espansione politica ed economica dell’Italia fascista nelle cosiddette terre d’oltremare. La Mostra, che Tecchio inaugura nel maggio 1940 alla presenza del re Vittorio Emanuele III, è edificata in quartiere Fuorigrotta ed è tuttora una delle principali sedi fieristiche italiane. Nota Paolo Varvaro che a Napoli «l’am-ministrazione della cosa pubblica è appannaggio di una cerchia ristretta di speculatori dotati di ampia delega da parte del potere centrale. Tecchio ne rappresenta la figura più significativa, come indicano le cariche di deputato, presidente del Centro studi per il Mezzogiorno, vice-presidente dell’Associazione italo-germanica, presidente della Navalmeccanica (gruppo Iri), consigliere di Amministrazione dell’Alfa Romeo e dell’Università degli studi. Al momento dell’occupazione alleata raggiunge Salò, dove è investito della carica di presidente dell’Iri» (p. 70). Abile mediatore, Vincenzo Tecchio ricopre incarichi sia di controllo politico sia di direzione economica: «Un solo gerarca può essere ricordato […] per essersi impegnato nel campo dello sviluppo industriale, ed è Vincenzo Tecchio [..] che perfettamente riabilitato era inserito, dalla metà degli anni Trenta, in incarichi direttivi e di grande responsabilità, portando forse ancora una carica innovativa che mancava a molti altri colleghi» (Pasquale Villani, Gerarchi e fascismo a Napoli (1921-1943), Il Mulino, Bologna 2013, p. 87).Vincenzo Tecchio compare in diverse fotografie dell’archivio di famiglia Coci: in una di queste, databile alla fine degli anni Venti, è ritratto, tra gli altri, con Italo Verde, Concetta Vernetti, Emilia Coci, Giuseppe e il cugino Giannino Perez, entrambi giovanissimi, al circolo nautico “Giovinezza”.

57. Organo legislativo del Regno d’Italia, che sostituisce la Camera dei Deputati dal 1939 al 1943, nella XXX Legislatura, durante la dittatura fascista.

58. Si veda la nota 56. «Nei padiglioni di riferimento geografico (mostra delle terre d’oltrema-re) la suddivisione è […] per aree politiche (Libia, Egeo, Governatori dell’Impero) con una serie di rassegne sui rapporti di produzione economica e sistemi di vita materiale (i prodotti dell’Im-

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pero e le opere di colonizzazione)» (Paolo Varvaro, Una città fascista. Potere e società a Napoli, Sellerio, Palermo 1990, p. 201).

59. Ponte di Napoli in quartiere San Ferdinando: collega la zona San Carlo alle Mortelle con la collina di Pizzofalcone. È posto al di sopra di via Chiaia e attraversato da via Giovanni Nico-tera: poco lontano, all’incrocio tra questa via e via Montedidio si trova la basilica di Santa Maria degli Angeli a Pizzofalcone. È significativo che proprio sul ponte di Chiaia, il 29 aprile 1947, sia fatta esplodere una bomba carta con centinaia di volantini firmati dai FAR, Fasci di Azione Rivoluzionaria, organizzazione neofascista dell’immediato dopoguerra.

60. Una delle squadre d’azione del fascismo napoletano. In Archivio Centrale dello Stato, Mostra della Rivoluzione Fascista, Archivio fotografico, Album 98, negativo 14617 (La squadra “I falchi” del Fascio di Napoli) e negativo 14613 (Aurelio Padovani e le squadre napoletane al ritor-no dalla Marcia su Roma) è testimoniata la partecipazione di Giuseppe (Pinuccio) alla Marcia su Roma: Giuseppe, che ha sette anni, è portato sulle spalle da uno squadrista.

61. Marcia Su Roma. 27 ottobre – 1 novembre 1922. «A Pinuccio Coci».62. Con Regio Decreto n. 1790 del 2 ottobre 1919 il Presidente del Consiglio Francesco

Saverio Nitti istituisce il Corpo della Regia Guardia per la Pubblica Sicurezza, alle dirette dipen-denze del Ministero dell’Interno. Costituito da quarantamila effettivi, in buona parte provenienti dall’esercito, ha un’organizzazione di tipo militare e diritto di precedenza sugli altri corpi negli interventi di ordine pubblico. Viene sciolto il 31 dicembre 1922, in seguito alla marcia su Roma, e sostituito dalla Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale.La Regia Guardia «fu il tentativo di creare un apparato di polizia moderno, in risposta ai quo-tidiani attacchi cui lo Stato liberale fu sottoposto a partire dal 1919 da parte dei suoi nemici interni. Fu un corpo di polizia armata che in certi momenti […] dimostrò sul campo la propria efficacia nell’azione militare, quale strumento di repressione della protesta, della sedizione e dello scontro armato in generale. Un rimedio, dunque, teoricamente efficace per contrastare l’azione violenta ed eversiva dei nemici interni dello Stato liberale, ma all’atto pratico inefficiente, salvo alcuni casi eccezionali e non dipendenti dalle scelte politiche centrali, bensì dall’arbitrio delle autorità di P.S. periferiche». (Luca Madrignani, Dalla psicosi rivoluzionaria alla guerra civile: la Regia Guardia per la Pubblica Sicurezza e la gestione dell’ordine pubblico nella crisi dello Stato libe-rale (1919-1922), SISSCO – Workshop Nazionale Dottorandi Storie in corso IV, 12-13 marzo 2009).

63. Allo scioglimento della Regia Guardia contribuisce in modo determinante lo squadrismo fascista. L’episodio menzionato è documentato da una fotografia conservata nell’archivio di fami-glia: Giuseppe sr, in borghese, con il fucile in spalla, conduce per un braccio una guardia regia, in divisa.

64. Si veda la nota 46.65. Il Club Alpino Italiano – istituito nel 1863 a Torino - è una libera associazione nazionale

che, come recita l’articolo 1 del suo Statuto, «ha per iscopo l’alpinismo in ogni sua manifestazio-ne, la conoscenza e lo studio delle montagne, specialmente di quelle italiane, e la difesa del loro

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ambiente naturale» (www.cai.it, URL consultato il 5.08.2015).66. Complesso montuoso dei Monti Lattari, posti tra il golfo di Napoli e il golfo di Salerno;

comprende le cime San Michele (di 1444 metri, la più alta della catena), monte di Mezzo e monte Catiello.

67. Collocato a nord della catena montuosa dei Lattari, alto 1131 metri, è raggiungibile in funivia da Castellammare di Stabia.

68. Collocato a ovest dei monti Lattari, è alto 1316 metri.69. Massiccio a nord-ovest di Avellino, di 1480 metri, in Comune di Mercogliano, è anche

denominato Monte Partenio. Sotto la vetta sorge il veneratissimo santuario di Montevergine, costruito nelle vicinanze di antichi templi di Cibele e Vesta, sede di un celebre oracolo.

70. Giuseppe, al quale il presidente della sezione di Napoli Ferrari si rivolge affettuosamente, è titolare della tessera SuCai (Sezione Universitaria di Torino del CAI) intitolata a Pinuccio Coci, che reca i bollini relativi agli anni 1928, 1929, 1930. La sezione di Napoli, una delle prime del Club Alpino Italiano, si costituisce nel 1871. «Nel 1933 presso la sezione ha sede anche lo “Sci Club Napoli” presieduto dall’avvocato Vincenzo Tecchio», sul quale si veda la nota 56 (www.cainapoli.it, URL consultato il 5.08.2015).

71. Non si tratta di un riferimento alla Marcia su Roma: come testimonia una fotografia dell’archivio di famiglia, l’impresa si pone nel maggio 1909.

72. Voce partenopea: «sgambettavo nella neve».73. Uno dei due comuni in cui si divide l’isola; l’altro è Capri.74. Celebre baia dell’isola di Capri, a sud est dell’isola, nella quale si trovano gli altrettanto

celebri faraglioni, tre picchi rocciosi che si elevano dal mare in prossimità della costa.75. Si veda la nota 47.76. Voce partenopea: «ragazza».77. Gara di canottaggio (la più antica in Italia) tradizionalmente riservata a equipaggi esor-

dienti di otto yole (imbarcazioni a remi per otto vogatori): si svolge nello specchio d’acqua di via Caracciolo (si veda la nota 79): «La semplice partecipazione alla Lysistrata ha rappresentato per anni un autentico vanto della gioventù partenopea» (www.canottaggio.org, URL consultato il 10.07.2015).

78. Terzogenita di Giovanni Coci e Filomena Manna.79. Prospiciente Castel dell’Ovo, è prolungamento di via Caracciolo, insieme alla quale costi-

tuisce il lungomare della città e del quartiere San Ferdinando.80. Via e rione in quartiere San Ferdinando, prende il nome dal santuario parrocchiale di

Santa Lucia a Mare.81. Il “Club Canottieri Napoli” (poi “Circolo Canottieri Napoli”) è fondato nel 1914 per

promuovere la pratica e la diffusione del canottaggio. Ha sede sulla banchina di Santa Lucia Nuo-va. La voce capovoga indica il componente dell’equipaggio che dà il ritmo di voga ai rematori.

82. Probabilmente nel 1944 (Lidia nasce infatti nel 1918).83. Località montana in Val Pusteria, nella provincia di Bolzano, nota per l’ampio circuito di

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piste per lo sci da fondo. Giuseppe partecipa alla Settimana alpinistica goliardica di Bolzano, nell’e-state 1932, e ai Littoriali della neve e del ghiaccio di Ortisei, pure nella provincia di Bolzano, dal 28 gennaio al 3 febbraio 1935: è dunque probabile che il riferimento sia a questo secondo evento.

84. Si tratta di via Filippo Palizzi, o di via Luigia Sanfelice. Il Borgo Petraio, sulla collina del Vomero, è costituito da Salita del Petraio (con partenza dal corso Vittorio Emanuele), Gradini del Petraio, Vico del Petraio, Discesa del Petraio.

85. Nato nel 1915.86. Giuseppe si iscrive al primo anno del Regio Istituto superiore agrario di Portici, ovvero

alla Facoltà di Agraria dell’Università di Napoli, il 31 ottobre 1933.87. Brevetto di volo.88. «Volando nell’azzurro cielo di Napoli la mattina del 6 settembre 1934 fu rapito più oltre e

più in alto dall’eterno ideale»: così il ricordo funebre. Nell’archivio di famiglia è presente una foto scattata a documentare l’incidente: i resti del monoposto su cui volava Renato Perez risultano effettivamente ben visibili intorno a un abbaino collocato su un edificio da cui si erge una cupola barocca, nella quale si riconosce senza alcun dubbio la cupola della basilica dello Spirito Santo, che si affaccia su piazza Sette Settembre, ovvero sulla centralissima via Toledo (si veda la nota 4), poco più a sud di piazza Dante Alighieri.

89. La Santarella è una villa in stile liberty situata in via Luigia Sanfelice, all’angolo con via Filippo Palizzi, sulle pendici della collina del Vomero. Si veda la nota 84.

90. L’aeroporto della città di Napoli, a pochi chilometri dal centro cittadino.91. «Ammarrare» è voce partenopea di origine francese: «occupare; opporre; turare; coprire»

e ancora «socchiudere, accostare o chiudere del tutto porte, finestre ». L’espressione «ammarrà ‘n’uocchio a quaccuno» vale «picchiarlo in un occhio, provocandogli gonfiore»; l’aggettivo «am-marrato» vale dunque «chiuso, socchiuso» (si veda: Alessia Mignone, Francesismi nel dialetto napoletano, a cura di Marcello Marinucci, Università degli Studi di Trieste 2005). La cameriera Agnese ha dunque un occhio offeso.

92. Cognome diffuso in Italia centromeridionale (Lazio, Sicilia, Campania).93. Si veda la nota 14.94. Corso Vittorio Emanuele.95. Il palazzo non è identificato: appartiene al barone Ricciardi ma evidentemente non ha

questa denominazione. La famiglia Ricciardi è originaria di Napoli e di nobiltà piuttosto recente; il barone cui Giuseppe fa riferimento è forse Roberto, nato nel 1876.

96. Vincenzo Tecchio. Si veda la nota 56.97. Espressione del lessico familiare, analoga a fare una ripassata; equivale a «rimproverò

severamente».98. L’Istituto “Giovanni Pontano” di Napoli, già “Silvio Pellico”, retto dalla Compagnia di

Gesù, assume l’attuale denominazione nel 1877 (ed è oggi ancora attivo). Dopo aver cambiato diverse sedi, nel 1922 si trasferisce nel monumentale palazzo Spinelli di Cariati (noto come pa-lazzo Cariati), in corso Vittorio Emanuele 581. Nell’archivio di famiglia è una foto ricordo del

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gruppo classe (costituito da trentotto bambini!) del 1924, con Giuseppe in prima fila al centro: si tratta forse della classe quarta elementare, poiché il piccolo Coci ha allora nove anni.

99. Giuseppe consegue la maturità classica nel giugno 1933.100. Lasciata via Gennaro Serra, percorso un tratto di via Giovanni Nicotera e di via Santa Ca-

terina da Siena, Giuseppe probabilmente imbocca la salita Cariati, giungendo così al “Pontano”.101. Vincenzo Tecchio. Si veda la nota 56.102. Il liceo-ginnasio “Umberto I”, storico liceo classico del quartiere Chiaia, è istituito nel

1862. Vi hanno studiato importanti personalità a livello nazionale, tra cui il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Nel 1911 il liceo si trasferisce in vico Santa Maria Apparente, nell’edificio dell’ex-collegio degli Scolopi; a partire dal 1918 si stanzia in una struttura in via Giuseppe Fiorelli, mentre a Santa Maria Apparente restano le classi del ginnasio.

103. La Villa Comunale è uno dei principali giardini storici di Napoli: si estende tra piazza della Vittoria e piazza della Repubblica, lungo la Riviera di Chiaia e via Caracciolo.

104. Cognome diffusissimo in Italia meridionale, in particolare in Campania.105. La scuola media unificata, che permette l’accesso a tutte le scuole superiori, è istitui-

ta soltanto nel 1962. In precedenza, nel 1923, la Riforma Gentile articola il ciclo secondario inferiore in ginnasio (quinquennale, che dà accesso al liceo classico triennale); istituto tecnico inferiore (quadriennale, che dà accesso all’istituto tecnico superiore, anch’esso quadriennale); istituto magistrale inferiore (quadriennale, che dà accesso all’istituto magistrale superiore trien-nale); scuola complementare, dal 1928 scuola di avviamento professionale (triennale, erede della soppressa scuola tecnica già istituita dalla Legge Casati, nel 1859, con indirizzo industriale o commerciale, che non consente il proseguimento degli studi).

106. La compagnia dei fratelli austriaci Schwarz approda in Italia nel 1931 con la commedia musicale Il cavallino bianco di Ralph Benatzky, che rappresenta fino al 1934; deve la sua celebrità allo sfarzo degli allestimenti e alla bellezza delle sue ballerine: comprende infatti cinquanta bal-lerine di rivista e sedici classiche, otto danzatori stiriani e dodici classici, nonché coro e solisti.

107. La stazione ferroviaria di Napoli Mergellina si trova nell’omonima zona di Napoli, in quartiere Chiaia.

108. Voce di origine romanesca. Significa «chi è alla testa di un gruppo di gente chiassosa, o di un tumulto, di una sommossa» (si veda www.treccani.it, URL consultato il 3.04.2015).

109. Anche Amitrano è cognome largamente diffuso in Campania.110. Espressione partenopea: «E tutto per andare a vedere le [belle] ragazze...».111. Si veda la nota 50.112. Giuseppe Mirabelli (Napoli 1916 – 2005). Nel messaggio di cordoglio per la sua scom-

parsa (14 settembre 2005), l’allora Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi lo definisce «un maestro del diritto italiano, un magistrato esemplare ed un fedele servitore dello Stato». A conclusione di una brillante carriera in magistratura, è nominato Primo Presidente della Corte Suprema di Cassazione; nel 1982 presiede la Commissione ministeriale per la riforma dell’Ordi-namento Giudiziario.

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113. Cognome di origine siciliana, largamente diffuso in Campania.114. I corsi premilitari si svolgono annualmente per iniziativa della Gioventù Italiana del

Littorio presso i Fasci di combattimento di tutta Italia, per addestrare alle armi i giovani che hanno compiuto il diciottesimo anno di età, nella prospettiva del servizio militare. Il concorso cui allude Giuseppe è istituito negli anni 1934, 1935 e 1936, per Vittorio, il secondogenito di Benito Mussolini (nato nel 1916, dunque diciottenne nel 1934) e per Bruno, il terzogenito (nato nel 1918, dunque diciottenne nel 1936); quest’ultimo, ufficiale della Regia Aereonautica, perde la vita in un incidente aereo nel 1941.

115. Voce partenopea, con connotazione ironica: «saltelli».116. Si tratta quasi certamente del principe Ugo Massimiliano (Donaueschingen 1914 –

1942), tenente pilota, morto in un incidente aereo; meno probabilmente del fratello gemello di questo, Massimiliano Antonio, principe di Windisch-Graetz (Donaueschingen 1914 – Sant’An-gelo d’Alife, 1976), tenente colonnello, che sposa nel 1946 la principessa napoletana Maria Luisa Serra di Gerace-Carafa d’Andria. La famiglia è di origine austriaca e di antichissima nobiltà.

117. Si veda la nota 90.118. La Moto Guzzi è la più celebre azienda italiana di motociclette prima e dopo la guerra.

Negli anni Trenta produce diversi modelli con cilindrata corrispondente a 500 cm3.119. Voce partenopea, vale «punti», forse, in questo caso, punti metallici.120. Si veda la nota 11.121. Espressione partenopea: «un’altra volta».122. Francesismo: «Capovolgersi, detto di un velivolo che durante il rullaggio in fase di

decollo o di atterraggio, per urto contro ostacoli o per eccessiva frenatura, ruota verticalmente puntando il muso sul terreno» (www.treccani.it, URL consultato il 3.04.2015).

123. Pasticcio di pasta, tipica ricetta napoletana realizzata con infinite varianti.124. La collina di Monte di Dio, detta anche di Pizzofalcone, si trova in quartiere San Fer-

dinando ed è situata tra Borgo Santa Lucia, Chiatamone e Chiaia; il toponimo si ascrive alla presenza di una chiesa e di un convento con questo nome, fondati nel XVI secolo alla fine di via Monte di Dio e oggi non più esistenti. Montedidio è anche il titolo di un bel libro di Erri De Luca edito da Feltrinelli (Milano 2002).

125. Si veda la nota 37.126. Il complesso architettonico monumentale che ospita la Scuola militare «Nunziatella»,

uno dei più antichi istituti di formazione militare d’Italia (la fondazione risale al 1787), è situato in via Generale Parisi 16, a Monte di Dio.

127. “Codrington”, celebre drogheria internazionale di via Chiaia, offre cibi esotici a napole-tani e non solo (tra i clienti si ricorda Ernest Hemingway) dal 1886 al 2001, anno in cui l’attività chiude.

128. Ovvero prodotti provenienti dalle colonie.129. I gradoni di Chiaia, nel quartiere omonimo, uniscono via Chiaia a via Santa Caterina

da Siena. Sono costruiti per agevolare la salita sulla collina delle Mortelle: Napoli è infatti attra-

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versata da numerose vie gradinate che congiungono varie zone della città.130. Si tratta quasi certamente dell’antica grotta denominata in greco Platamion, da cui via

Chiatamone, ubicata tra il moderno rione della Vittoria e l’antico quartiere San Ferdinando, a poche centinaia di metri da piazza Plebiscito. Nelle grotte Platamonie in età greco romana si celebravano i riti di Priapo, dio della fecondità. Nell’archivio di famiglia sono due foto ricordo scattate nella grotta: in una di queste si vedono tre tavole imbandite con una trentina di com-mensali che alzano i calici: tra di loro il piccolo Giuseppe (apparentemente dell’età di sei – sette anni) e due bimbe vestite di chiaro, probabilmente Emma e Giulia, figlie di Umberto Padovani; si riconoscono inoltre Giuseppe sr e Vincenzo Tecchio.

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2. AFRICA ORIENTALE1938 - 1939

All’esame di maturità, dopo la riforma Gentile1, si portavano tutte le materie dei tre anni di liceo: dal mese di febbraio al mese degli esami, che era il giugno del 1933, andavo a studiare da Ludovico Amitrano2, che poi andò a fare ingegneria e non ne ho saputo più niente… Studiavamo dalle sei del mattino fino a sera (la mattina andavamo a scuola).

Alla maturità andai molto bene, perché il presidente di commissione era sta-to il mio insegnante di italiano in prima liceo: aveva la passione per Dante e la febbre per Dante la mischiava3 ai suoi allievi. Dietro stimolo di mio padre, io imparavo intere terzine dell’Inferno, che mi piaceva, mentre non gradivo troppo Purgatorio e Paradiso: erano soprattutto i canti di Paolo e Francesca, di Farinata degli Uberti, del conte Ugolino…4 versi che ancora oggi ricordo.

Agli esami della mia classe sono arrivato secondo o terzo: studiavo perché speravo di andare a Caserta, all’Accademia aereonautica5, e siccome papà nic-chiava e non mi dava il permesso, allora decisi di andare all’Accademia navale6. Papà non mi dava il permesso perché ero figlio unico e perché era contrario a che io facessi la carriera militare… Papà voleva che facessi l’agrario.

Mi diede il permesso di fare l’Accademia navale, che non mi piacque: chiede-vano troppo per quello che davano. Allora scrissi a papà, dicendogli che se fossi tornato a casa avrei fatto agraria; papà mi risposte: «Prima fai l’esame, poi vieni a casa».

Facevi un tirocinio preliminare di tre mesi, in cui si faceva lezione e corsa, nuoto…7 all’ultimo per pigliare punteggio si doveva fare una gara, io scelsi quella degli 800 metri, perché sui 100 avevo meno probabilità… Se commettevi qual-che fesseria, ti davano giri di corsa nel cortile dell’Accademia, dove si facevano anche delle lezioni; andavi in libera uscita due volte la settimana, e se facevi qual-cosa, oltre a darti i giri di corsa, ti toglievano la libera uscita. Il mezzo ti portava in centro di Livorno, perché l’Accademia era in una località un po’ fuori8. C’e-rano molti allievi che avevano avuto 10 all’esame di maturità. Fuori Accademia non avevo amici, in genere viaggiavamo sempre insieme tra di noi. C’era con me un compagno napoletano, Bebè Guercia9, che era di Posillipo, il quale fu ammes-so. Si fece una crociera su una nave da trasporto civile, noleggiata per l’occasione, il Città di Siracusa10, crociera in cui toccammo la Libia, Tripoli e andammo agli scavi di Sabratha Ulpia11, e poi Malta: quindici giorni d’inferno… Divisi in squa-dre, pari e impari, con elementi mischiati: quando chi doveva montare il turno si alzava, svegliava anche gli altri, che potevano alzarsi un’ora dopo12.

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E così, dopo, quando facemmo gli esami, l’esame scritto di italiano andò bene; all’orale mi interrogarono in geometria analitica e io che venivo dal classico non ne sapevo niente. Non fui ammesso.

Da qui, accettai di iscrivermi all’Università di Portici, che allora era Istituto Superiore Agrario13, e risiedeva nel Parco della città, nel Palazzo Reale14. C’era una sola donna nel mio corso; partimmo in trenta e arrivammo in otto. A Porti-ci15 andavo con il tram: c’era il tram di città e il tram fuori; tu pigliavi il tram di città da dove eri, e arrivavi al posto dove partiva il tram provinciale. Tante volte facevo a piedi il tratto del tram di città per risparmiare mezza lira. A Portici c’era una sede del GUF (Gruppo Universitario Fascista)16 dove c’era un biliardo. C’e-rano una due lezioni che erano tenute in una dipendenza dentro il Bosco Reale, e immancabilmente queste lezioni, che tu dovevi sentire, specialmente quelle di anatomia e zootecnia, erano tenute tardi, alle quattro o alle cinque del pomerig-gio. Infatti in ezoognosia17 il professore mi disse: «Io non l’ho mai vista alle mie lezioni» e mi bocciò. In entomologia18 avevamo un professore che era chiamato “l’entomologo dei cinque continenti”, perché veniva chiamato sempre all’estero, era molto quotato: Silvestri19, che poi divenne preside di facoltà; veniva chiama-to per studiare un insetto che mangiava gli altri insetti…20 Era un esame duro: si doveva presentare una cassetta con una raccolta di insetti. Mi ricordo ancora quando squartammo uno scarafaggio.

Lì c’era Mario Castellano21, che conosceva tutte le erbe selvatiche; c’era Sa-verio Pappalardo22, con me fin dalla prima ginnasiale, che abitava fuori città, al Vomero, in una specie di masseria dove aveva anche le galline. Avremmo dovuto metterci insieme dopo la laurea per gestire una masseria ad Asti. Molti nell’Isti-tuto venivano dal sud, dalla Sicilia… Allora c’erano solo quattro facoltà di agraria in Italia: Milano, Pisa, Perugia, Portici. In genere la facoltà più arrendevole era Perugia; le più ostiche Portici e Milano. Mi laureai il 5 novembre 1937 e feci l’esame di stato23 a Milano; l’esame di stato serviva per la libera professione, ed è quello famoso in cui fui raccomandato dal federale di Milano, che era Rino Parenti24. Ci portavano in un’azienda e noi, visitandola, dovevamo descrivere in una relazione tutto quello che si faceva; poi si faceva un esame orale di economia agraria, diviso in otto – dieci tesine; tu ne sceglievi una e poi ti interrogavano in due tesine estratte; a me mi interrogarono su tutte. Non mi trattarono giusta-mente per come avevo risposto, e alla fine il presidente della commissione disse ad alta voce: «Io non capisco perché si è fatto raccomandare!». Mi ero fatto rac-comandare perché non potevo permettermi di essere bocciato, in quanto dovevo partire per trasferirmi in Africa orientale; mio padre, che era partito nell’autunno ’3525, aveva richiamato la famiglia intera, composta da mia madre, che partì nell’ottobre ’37, e da me, che partii dopo l’esame di stato nel febbraio ’38.

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E così ci trasferimmo tutta la famiglia a Gimma26, capitale del Galla e Sida-ma27, che allora aveva come governatore il generale Geloso28, e in un secondo periodo il generale Gazzera29, che aveva conquistato lui il Galla e Sidama, con l’aiuto dello zio di Giulio Cesare Graziani30, che sgominò i ribelli bombardando e mitragliando31.

Partii da Napoli l’11 marzo 1938 e arrivai a Gibuti32 il 27 marzo; a Gibuti presi il treno per Addis Abeba33, dove c’era mio padre con la camionetta. Non lo vedevo da oltre due anni.

Mio padre aveva scelto di andare in Africa perché il negozio aveva qualche de-bito: infatti vendettero i locali del negozio per pagare i debiti. Questo fu l’errore del nonno34, quello di mettere tutti e quattro là, nel negozio principale, che era vicino alla funicolare centrale, in via Toledo35. Papà aveva il grado di console della Milizia36, rinunciò a un grado, divenne primo seniore e comandava un battaglio-ne (avrebbe dovuto comandare una legione)37; partì per l’Africa nell’autunno del ‘35, comandando un battaglione di Camicie Nere38 (prima fecero addestramento in campi militari nella zona vesuviana, e io andavo a trovarlo). Non partecipò alla guerra vera e propria con il negus39, ma al rastrellamento dei ribelli nella zona dell’Amara, nei due anni successivi40. Mio padre in un primo tempo doveva andare a Mogadiscio41, non so cosa successe, perché non me lo spiegarono… Papà ebbe una grana forte... Mia madre, che era ancora in Italia, andò a Roma da Teruzzi42, il generale comandante della Milizia Nazionale, e ottennero di andare a Gimma.

Il comando della Milizia era tenuto da papà: il console, come militare, co-mandava la legione lavoratori (quella di Gimma era la sesta legione lavoratori)43; la legione era composta da tutti i nazionali congedati, che portavano a casa il fucile ed erano richiamati44. Il governatore, invece, era il comandante generale del posto, faceva le leggi, era il ras del posto45. Mia madre mi diceva: «Perché non ti pigli la figlia del Governatore?». Si chiamava Linda46. Col cavolo, a me non piaceva. Il Governatore una due volte l’anno dava i ricevimenti; io mi ero fatto lo smoking bianco e nero per Mogadiscio, perché là c’era molta vita: a Gimma lo usai poco.

Fu istituita poi la Federazione dei fasci47; mia madre fu nominata fiduciaria femminile del fascio di Gimma48; era talmente invasata, che quando nel ’43 ar-rivò a Lecce con il piroscafo e mi abbracciò, mi disse: «Tu devi seguitare a com-battere», e io risposi: «So io quello che devo fare». Gliela giurai, e non andai a trovarla quando fu operata a Napoli49.

Mio padre arrivò in Africa, a Gimma, con la dottoressa Anna Resnikova, che era la moglie di Alessandro Landesman50 e pensarono che fosse sua moglie; quando arrivò mammà, dissero: «Il console ha due mogli!». Anna Resnikova poi

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ebbe la buona idea di trasferirsi ad Addis Abeba, dove faceva la dottoressa; aveva un figlio che si chiamava Sergio, che papà teneva molto su…

In Africa avevamo portato a spese del governo quaranta quintali di mobilio. Avevamo una casa grande, un baraccone di quelli che si smontano, che poggiava su muretti intervallati, che tenevano in piedi la casa… sotto potevi andare, qual-che notte ci è venuta qualche iena… di fronte c’erano le stalle con le mucche e le galline… Un giorno un gattopardo riuscì a infilarsi nel pollaio e sgozzò un po’ di galline: sentimmo le galline che strillavano… e una volta un leopardo entrò nella stalla, ricordo il leopardo che tirava un vitello da una parte e il nero dall’altra... Io avevo avuto in regalo un gattopardo piccolo; lo tenevo con la briglia legato a un pilastro della casa: i primi giorni ti potevi avvicinare, poi ringhiava e lo detti via, non si poteva più trattare, era diventato feroce.

Avevamo portato tutto: la camera da letto di papà, la libreria con tutti i libri, cinquemila volumi (mi ricordo i quaranta volumi della Storia di Cesare Cantù51). La casa era un po’ fuori città, c’erano due collinette; la nostra casa era su una di queste. Gimma era una città in costruzione, cominciavano a esserci le case in muratura (prima era un raggruppamento di tucul52); c’era una strada centrale, lì c’era il palazzo del governatore53. Noi eravamo un po’ fuori, a dieci minuti di macchina; vicino a noi c’era la Consolata, un’istituzione cattolica con delle suo-re54. Avevamo una berlina, ma quando c’erano le parate mio padre doveva andare a cavallo, e non ci sapeva andare… Io avevo imparato, avevo fatto il corso, a Na-poli andavo al maneggio. A Gimma avevo un cavallo, ma mi morì sotto, di peste fulminante55: era un bel cavallino bianco e nero… Mi morì in una gita vicino alla casa del sultano locale, Abba Gifar56, che era stipendiato dal governo italiano. Avevo anche una muletta, Gina, che una volta mi lanciò fuori: vide una carta per terra, sgroppò, io non me lo aspettavo, caddi, mi rimase il piede nella staffa e la capa57 in terra, finché non so come riuscii a risalire in sella. Tornai a casa tutto nero, perché avevano bruciato gli sterpi, e mia madre, invece di chiedermi se mi ero fatto male, mi disse: «E adesso come facciamo?».

In Africa lasciammo tutto, l’unica cosa che si è salvata dell’Africa è la mia testa di bronzo, che i miei mi fecero fare a otto anni da Meconio58, allievo del grande scultore Vincenzo Gemito, nel 192359.

La mia giornata in Africa iniziava la mattina alle sette. Mi portavano la mula sellata e andavo su a vedere la piantagione di alberi da frutta tropicale (papaie e banane). C’erano due nazionali60, uno addetto all’agricoltura, all’orto che produ-ceva ortaggi, l’altro alla stalla (erano stanziali, uno aveva una casetta in muratura, l’altro dormiva in un tucul vicino alle bestie). La stalla aveva una grande capien-za: c’erano una quarantina di vacche, messe “groppa a groppa”, con il posteriore verso l’interno, il muso verso l’esterno61. Il prezzo del mio latte era equo, perché

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lo vendevo a cinque lire al litro, il prezzo di quello dell’Italia; i due nazionali sta-vano a compartecipazione delle vendite; a loro spettava una certa cifra. La stalla io l’avevo fatta comprando bestiame nei mercati dell’interno, dove era più a buon mercato; avevo un nazionale socio, che mi scortava quando andavamo a compra-re: io facevo la parte del mercante, pagavo con i talleri di Maria Teresa, la moneta vigente nei mercati dell’interno62; c’era un po’ di rischio, ma il lavoro vero era quello di De Cet, il terzo nazionale (dell’alto Veneto), che si spuzzuliava63 lo spo-stamento del bestiame dai mercati d’acquisto a Gimma, e spesso impiegava venti giorni per arrivare alla meta. Perdemmo tutto, dopo… Sì, mi hanno pagato dei danni di guerra per il terreno, perché era stato comprato dagli indigeni, non era in concessione…64 Avevamo perfino la cameriera nazionale, che mi aveva man-dato mio cugino Pompeo65; era di Soresina, in provincia di Cremona, si chiama-va Lina; dopo che io sono partito lei sposò l’autista di papà, Toppazzini (non mi ricordo il nome); papà aveva due autisti, Toppazzini e Cedro. Lina rimpatriò poi con mammà, sul Vulcania66.

Avevamo anche due indigeni come uomini di fatica della casa, due atten-denti: uno era un eritreo (mi scrisse, ma non ho più la lettera), Ismail Negasc Abdelkader (musulmano)67, l’altro era amara, Idu Itsu (copto)68. Idu morì in combattimento quando gli inglesi arrivarono a Gimma69 e mio padre quando lo seppe pianse.

Quando andavamo a prendere il bestiame, cercavamo di andare non a caval-lo, ma a piedi; De Cet faceva da scorta; facevi capolinea da una parte, poi andavi a piedi a comprare e scambiare: a Gimma la bestia valeva il doppio di quello che la pagavi nell’interno.

Un giorno papà disse: «Facciamo un bel giro per le legioni lavoratrici»70. Par-timmo coi muletti, trovammo poi dall’altra parte del fiume Bottego71 il famoso camioncino Fiat Ardita72, fatto per le strade della colonia, perché strade non esistevano, erano piste battute. Avevamo attraversato il fiume su un muletto, tenuto per la briglia da un indigeno a piedi; nel fiume c’erano ippopotami che si facevano il bagno. La sera dormimmo all’aperto; l’attendente nero di papà, Ismail, fu punto dalle zanzare e prese la malaria; io, che pure avevo dormito all’a-perto, non presi niente. Dovemmo lasciarlo. Eravamo Toppazzini l’autista e papà a fianco; dietro, nel cassone, un capo manipolo della milizia73, che era un tenente ufficiale di ordinanza di papà, che gli spettava per grado, con Ismail (finché non lo lasciammo) e con me. Facemmo un giro enorme: dopo aver valicato il Bot-tego facemmo tutto il lato orientale e scendemmo a Mogadiscio lungo il fiume Giuba74. Ricordo che una mattina, nella savana, un leone ci attraversò la strada. Una sera arrivammo a una residenza nazionale, dove c’era il residente, l’autorità italiana del luogo; ricordo che prima facemmo una doccia, poi cenammo vicino

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al fiume Uebi Scebeli75: c’era il fiume che scorreva, il grammofono che suonava, la luna e i due dubat76, dei giganti di uno e novanta con i guanti bianchi, che ser-vivano a tavola. Era una scena poetica. Da lì arrivammo a Mogadiscio: ci siamo stati qualche giorno; era una bella città, tutta bianca, tutta nuova, perché era una colonia di vecchia data.

Da Mogadiscio passammo ad Harar77, che era la capitale dell’altro governo, e che anche era una bella cittadina, e da Harar ad Addis Abeba, quindi a Gimma. Cinquemila chilometri! Fu una gran faticata, quello sì. Papà andava a trovare i colleghi che erano al governo dove noi passavamo. Non sono stato al nord, dove c’era Gondar78.

In Eritrea sono stato di passaggio, quando sono arrivato a Gibuti, dove ho preso il treno e sono arrivato ad Addis Abeba (c’era solo una linea ferroviaria, da Gibuti ad Addis Abeba). I rapporti tra Eritrei ed Etiopi non erano buoni79: l’Eri-trea era più civile, era una vecchia colonia ed era stata sotto l’Italia parecchio80. A Massaua81 sono passato al ritorno. Da Addis Abeba a Massaua presi il pullman, nel novembre del 1939 (dopo venti mesi); mi ricordo che sul pullman c’era una prostituta che tornava in Italia e facemmo amicizia. Mi avevano chiamato con cartolina precetto e il 1° febbraio 1940 dovevo trovarmi a Perugia82.

Quando era la stagione delle piogge era da ridere: era d’estate, le macchine si impantanavano.

Sul pavimento di legno della casa si passava la nafta e non dovevi mai andare scalzo, ma sempre con gli stivali: ci sono delle formiche, le formiche penetranti83, che si incistano nel piede e depongono le uova dentro e provocano infezione, però gli indigeni ti levano la sacca delle uova (senza romperla!) con delle spine.

Io ho anche dormito nei tucul, il capo villaggio ti ospitava e tu non potevi rifiutare: mi ricordo che mammà non mi faceva neanche entrare in casa, ma mi faceva fare la doccia bollente in una dipendenza e i panni li buttava via.

Mi ricordo che dovevo andare in una concessione italiana in Kenya (di ses-santamila ettari e non so quante migliaia di pecore)84 e nascostamente fornire collegamento con lo spionaggio del posto, contro gli inglesi; prima di andare mi fece qualche lezione un ufficiale italiano a Gimma; poi la missione andò a monte.

Io stavo bene in Africa (a parte la caduta dalla muletta!): quando arrivai a Napoli, se avessi potuto, sarei tornato indietro subito. Mi piaceva la vita all’aria aperta, la vita varia, che tu creavi dal niente. Mi ricordo che con papà siamo an-dati a scegliere quel terreno lì, ci mettemmo sotto un canale che portava l’acqua al mulino indigeno; noi, a valle del canale, facevamo gli ortaggi bagnati. Cosa coltivavamo? Tutto. Veniva tutto, là. Da noi c’era il caffè, stavamo in mezzo al caffè85: avevamo le piante di caffè proprio dietro casa e c’erano anche i tucul con le sciarmutte86, le prostitute. Erano proprio là.

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Note

1. La “Riforma Gentile” prende nome dal filosofo Giovanni Gentile (Castelvetrano 1875 – Firenze 1944), che nel 1923 è nominato ministro della Pubblica Istruzione da Benito Mussolini. È una riforma complessiva del sistema scolastico italiano, in una prospettiva severa ed elitaria: secondo Gentile, infatti, gli studi superiori devono essere «aristocratici, nell’ottimo senso della parola: studi di pochi, dei migliori [...] cui l’ingegno destina di fatto, o il censo e l’affetto delle fa-miglie pretendono destinare al culto de’ più alti ideali umani» (Giovanni Gentile, L’unità della scuola media e la libertà degli studi, in «Rivista filosofica», anno IV, vol. V, 1902). L’esame di ma-turità, conclusivo del corso di studi, prevedeva per il liceo classico quattro prove scritte (italiano, latino – traduzione dal latino all’italiano, greco e ancora latino – traduzione dall’italiano al latino) e orale su tutte le materie dell’intero corso, articolato in tre anni. La commissione esaminatrice era costituita esclusivamente da docenti esterni; la votazione prevedeva tanti voti quante erano le materie; era prevista la sessione di esami di riparazione.

2. Si veda il capitolo Napoli, nota 109.3. Voce partenopea: «trasmetteva».4. Protagonisti rispettivamente dei canti V, X, XXXIII dell’Inferno di Dante.5. La reggia di Caserta è sede dell’Accademia Aeronautica (istituita nel 1923) dal 1926 al

1943.6. L’Accademia Navale di Livorno è istituita nel 1881.7. A partire dal 1929, il corso normale – al quale si accede con la maturità classica o scientifica

- risulta articolato in tre anni; l’ammissione avviene attraverso un tirocinio preliminare durante il quale i concorrenti idonei alla visita medica effettuano esercitazioni militari, marinaresche e sportive e uscite in mare con unità della Regia Marina, nonché lezioni teoriche finalizzate alla preparazione delle prove relative al concorso di ammissione.

8. L’Accademia Navale sorge sui preesistenti edifici del lazzaretto di San Jacopo, costruito nel XVII secolo per la quarantena degli equipaggi delle navi provenienti dal Levante, e del lazzaretto di San Leopoldo. Si trova a circa tre chilometri dal Porto Mediceo, in direzione sud.

9. Cognome presente in Italia meridionale (Sicilia e Campania).10. Piroscafo destinato al trasporto di passeggeri costruito nei cantieri Odero di Genova tra

il 1909 e il 1910, su commissione delle Ferrovie dello Stato; in ragione della notevole velocità, è utilizzato come incrociatore ausiliario durante la guerra italo-turca e la prima guerra mondiale; riconvertito a “nave distillatrice” nel 1931, è infine avviato alla demolizione nel 1938.

11. «Antica città costiera della Tripolitania, settanta chilometri a ovest di Tripoli. Fondata da coloni Fenici al principio dell’ultimo millennio a.C., insieme con Oea (Tripoli) e Leptis Magna, ebbe importanza come città commerciale per la fertilità del suo territorio, per le vie carovaniere che la mettevano in comunicazione con le regioni interne dell’Africa settentrionale e per il suo porto. […] Presso Sabratha si trova la modernissima cittadina di Sabratha Vulpia» (www.treccani.it, URL consultato il 5.02.2015).

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12. «Erano teste di rapa quelli della Marina, infatti hanno preso solo cotogne» (nota di Giu-seppe, con riferimento alla successiva guerra mondiale).

13. Ancora oggi la Facoltà di Agraria dell’Università degli Studi di Napoli “Federico II” ha sede nella Reggia di Portici, acquistata nel 1871 dall’Amministrazione Provinciale di Napoli, che la trasforma nella prima Scuola Superiore di Agricoltura dell’Italia meridionale e insulare. Assu-me l’attuale nome nell’anno accademico 1935/1936.

14. La Reggia di Portici è costruita nel XVIII secolo per volontà di Carlo III di Borbone; si trova all’interno di un ampio parco con giardino all’inglese (il cosiddetto Bosco Reale) e anfiteatro.

15. Portici è un comune limitrofo a Napoli, che sorge sulle pendici occidentali del Vesuvio e del Monte Somma.

16. Articolazione universitaria del Partito Nazionale Fascista. Costituiscono i GUF i giovani tra i 18 e i 21 anni iscritti a una Università, a un Istituto Superiore, a un’Accademia Militare o all’Accademia Fascista della Gioventù Italiana del Littorio.

17. Ramo della zootecnia che studia la conformazione esterna degli animali, per valutare le funzioni economiche a cui gli animali stessi possono essere adibiti.

18. Ramo della zoologia che si occupa dello studio degli insetti.19. Filippo Silvestri (Bevagna 1873 – Portici 1949). Nel 1904, poco più che trentenne, è

nominato professore di zoologia generale e agraria presso l’Istituto superiore agrario di Portici, di cui diviene poi Direttore. Il Museo di Entomologia dell’Istituto, che comprende circa duemila specie di insetti raccolti da Silvestri per oltre un cinquantennio, è tra i più importanti al mondo.

20. Filippo Silvestri è noto anche per avere introdotto, tra i primi in Italia, le sperimentazioni nel campo della lotta biologica, in particolare grazie agli studi sugli Opius, insetti imenotteri pa-rassiti delle larve dei ditteri, nemici naturali della mosca olearia e della mosca mediterranea della frutta, ditteri nocivi.

21. Cognome largamente diffuso in Campania.22. Si veda il capitolo Napoli, nota 113.23. L’esame di Stato per l’abilitazione all’esercizio della professione di dottore agronomo è

destinato all’accertamento della capacità d’uso del sapere tecnico professionale e dell’attitudine all’esercizio della professione, con particolare riguardo alle norme che regolano l’esercizio dell’at-tività professionale.

24. Rino (Efre) Parenti (Milano 1895 – Roma 1953) è federale di Milano dal 1933 al 1940. Siede alla Camera dei Fasci e delle Corporazioni per una legislatura, la XXX (dal marzo 1939 al febbraio 1943).

25. La guerra d’Etiopia, ovvero l’aggressione del Regno d’Italia allo stato sovrano dell’Impe-ro d’Etiopia, ha inizio il 3 ottobre 1935 e si conclude il 9 maggio 1936 con la proclamazione dell’Impero (RDL 754) e l’assunzione del titolo di Imperatore d’Etiopia da parte di Vittorio Emanuele III.

26. Gimma, posta circa 250 chilometri a sud-ovest della capitale Addis Abeba, è oggi la più grande città dell’Etiopia sud-occidentale. «È un paese d’altipiano, solcato da ampie e poco

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profonde valli, abbastanza popolato e coltivato a granturco, legumi, cotone, caffè ecc.» (Guida dell’Africa Orientale Italiana, Consociazione Turistica Italiana, Milano 1938, p. 528).

27. Il governatorato dei Galla e Sidama è istituito il 1º giugno 1936: è uno dei quattro gover-natorati dell’Africa Orientale Italiana che costituiscono l’Impero Italiano d’Etiopia; gli altri sono quelli di Amara (con capoluogo Gondar), di Harar (con capoluogo omonimo), di Scioà (ove si trova la capitale Addis Abeba, sede di governo e residenza del viceré). L’Africa Orientale Italiana comprende anche i governi di Eritrea (con capitale Asmara) e di Somalia (con capitale Mogadi-scio). Nel 1938 il Galla e Sidama confina a nord con l’Amara e il Sudan anglo-egiziano, a sud con il Kenya, a ovest ancora con il Sudan anglo-egiziano e a est con lo Scioà e l’Harar.

28. Carlo Geloso (Palermo 1879 – Roma 1957) partecipa alla guerra d’Etiopia con il grado di brigadiere generale d’artiglieria; nel 1936, al comando della Divisione Speciale “Laghi”, occupa la regione dei Galla e Sidama, della quale assume la carica di governatore e comandante militare.

29. Pietro Gazzera (Bene Vagienna 1879 – Cirié 1953). Generale designato di corpo d’armata è nominato Governatore dei Galla e Sidama nel 1938. Durante la Campagna dell’Africa Orien-tale Italiana, nel 1941, assume il ruolo di comandante superiore delle forze armate e di respon-sabile dello scacchiere sud, «che fronteggia il Sudan meridionale e il Kenia settentrionale e che comprende l’ex governatorato dei Galla e Sidama più alcune aliquote della Somalia», che difende tenacemente fino al 6 luglio 1941, quando il contingente italiano si arrende alle truppe alleate (Angelo Del Boca, Gli italiani in Africa orientale, III, Mondadori, Milano 2000, p. 353).

30. Giulio Cesare Graziani (Affile 1915 – Roma 1998) è pilota di aerosiluranti durante la Seconda guerra mondiale; dal 1941, con il 132° Gruppo autonomo aerosiluranti della Regia Aeronautica, partecipa a numerose missioni di siluramento nel Mediterraneo a bordo del celebre Savoia Marchetti 79 Sparviero. Medaglia d’oro al valor militare, dopo l’armistizio rimane fedele al re e aderisce all’Aeronautica cobelligerante.

31. Rodolfo Graziani (Filettino 1882 – Roma 1955). Fascista “ad honorem”, è protagonista delle guerre coloniali italiane. Tra il 1921 e il 1931, porta a compimento la conquista della Libia, rendendosi responsabile – tra l’altro - della deportazione della popolazione civile del Gebel, al fine di isolare Omar al-Mukhtar, capo della resistenza indigena: un vero e proprio genocidio, poiché nei tredici campi di concentramento italiani, costruiti nelle regioni più inospitali della Sirtica, la mortalità è altissima. La vicenda è rievocata da Graziani stesso nel volume autocelebra-tivo Cirenaica pacificata, edito nel 1932, e dal regista Moustapha Akkad nel film storico Il leone del deserto, realizzato nel 1981 e a lungo oggetto di censura in Italia, poichè «danneggia l’onore dell’esercito» (così l’allora Presidente del Consiglio Giulio Andreotti). Nel 1935 e 1936, Grazia-ni, già nominato governatore della Somalia e comandante in capo delle truppe italiane in Africa Orientale, partecipa alla guerra d’Etiopia, segnalandosi nuovamente per l’adozione di metodi feroci (esecuzioni di massa, impiego di gas, bombardamenti a tappeto) e – una volta nominato viceré - per la spietata repressione ordinata in seguito al fallito attentato contro la sua persona ad Addis Abeba, il 17 febbraio 1937. Dopo l’armistizio, è ministro della guerra della Repubblica Sociale Italiana. Condannato a diciannove anni di carcere per «collaborazionismo militare col

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tedesco» nel maggio 1950, è liberato dopo soli quattro mesi di detenzione (si veda la voce del Dizionario Biografico degli Italiani a lui intitolata, redatta da Angelo Del Boca, in www.treccani.it, URL consultato il 5.02.2015).

32. Oggi capitale dell’omonimo stato dell’Africa Orientale, già capitale della Somalia francese e sbocco marittimo ufficiale dell’Etiopia. La ferrovia Gibuti - Addis Abeba, costruita dai francesi, ha grande importanza dal punto di vista sia strategico sia commerciale.

33. Dopo la proclamazione dell’Impero da parte di Vittorio Emanuele III e Benito Mussolini, Addis Abeba è capitale del governatorato omonimo e, dal novembre 1938, del governatorato di Scioà.

34. La grande crisi di inizio anni Trenta si ripercuote pesantemente su Napoli: già nel periodo 1911-1931 «di scarsa entità sono gli incrementi nei settori agricolo, dei trasporti e nella pubblica amministrazione, mentre desta sconforto la stabilità del settore commerciale. […] Negli anni seguenti si profila la flessione del settore edilizio e di quelli metallurgico e meccanico, che tra il 1930 e il ’31 subiscono una brusca riduzione dei livelli di produzione, con la chiusura di alcune tra le maggiori aziende e il ridimensionamento delle altre». Ancora «dal 1931 al 1936 l’indice della popolazione attiva scende dal 38 al 34,8%, nove punti al di sotto della media nazionale, che è del 43,3%», mentre a partire dalla metà degli anni Trenta si aggravano la «spirale di disoc-cupazione industriale, l’aumento del costo della vita, l’incalzante fenomeno di pauperizzazione» (Paolo Varvaro, Una città fascista. Potere e società a Napoli, Sellerio, Palermo 1990, pp. 158-159 e 163-164).

35. Si veda il capitolo Napoli, nota 4.36. Si veda il capitolo Napoli, nota 6.37. Nella Milizia il grado di Console corrisponde a quello di Colonnello nel Regio Esercito;

al grado di Primo Seniore corrisponde quello di Tenente Colonnello, al comando di una coorte, ovvero di un battaglione.

38. Per la guerra d’Etiopia partono sette divisioni e due battaglioni, più alcuni reparti minori.39. Re, ovvero imperatore, d’Etiopia. Ultimo negus è Hailé Selassié (Egersa Goro 1892 – Ad-

dis Abeba 1975), incoronato nel 1930 – e dunque imperatore durante la guerra – e deposto in seguito a un colpo di stato militare nel 1974.

40. La proclamazione dell’Impero segna la fine della guerra d’Etiopia, non della resistenza delle popolazioni locali, piegata negli anni successivi da Rodolfo Graziani, su ordine esplicito di Benito Mussolini del 5 giugno 1936: «Tutti i ribelli fatti prigionieri devono essere passati per le armi», e del successivo 18 luglio: «Autorizzo ancora una volta V.E. a iniziare e condurre sistema-ticamente la politica del terrore e dello sterminio contro i ribelli e le popolazioni complici» (si veda Angelo Del Boca, Gli italiani in Africa Orientale. II. La conquista dell’Impero, Mondadori, Milano 2001, pp. 735-736).

41. Capitale della Somalia Italiana, dal 1936 sede del Governo della Somalia nell’Africa Orientale Italiana, di cui è parte costitutiva con Eritrea ed Etiopia.

42. Attilio Teruzzi (Milano 1882 – Procida 1950). Capo di Stato Maggiore della Milizia fino

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al 1935, dal 1937 al 1939 è sottosegretario al Ministero dell’Africa Italiana, dal 1939 al 1943 Ministro delle Colonie.

43. Alla fine della guerra d’Etiopia, la Milizia costituisce nell’Africa Orientale Italiana sette Legioni permanenti organizzate in due Gruppi di Legioni CC.NN. [Camicie Nere], il primo con sede ad Addis Abeba, il secondo con sede ad Asmara. Del primo fanno parte la 1a Legione “Arnaldo Mussolini”, con sede ad Addis Abeba, la 4a Legione “Filippo Corridoni” con sede ad Harar, la 5a Legione “Luigi Razza” con sede a Mogadiscio e la 6a Legione “Luigi Valcarenghi” con sede a Gimma. Di questa è comandante Giuseppe sr.

44. I nazionali sono le Camicie Nere italiane rimaste in Africa Orientale Italiana dopo la fine della guerra.

45. Tre i governatori del Galla e Sidama: Carlo Geloso (luglio 1936 – luglio 1938); Armando Felsani (luglio – agosto 1938) e Pietro Gazzera (agosto 1938 – luglio 1941). Giuseppe si riferisce a quest’ultimo.

46. Linda Gazzera è infatti menzionata nella corrispondenza di famiglia al suo rientro da Gimma, dopo la resa della città al comando inglese.

47. I fasci di combattimento che costituiscono il Partito Nazionale Fascista sono inquadrati in Federazioni dei fasci di combattimento.

48. I fasci femminili sono un’articolazione delle Federazioni; al loro interno la fiduciaria femminile ha ruolo di comando.

49. Si veda il capitolo Cielo del Mediterraneo.50. «Alessandro Landesman era un ebreo russo, di Odessa, commerciante di pellicce, fuggito

dalla rivoluzione del 1917; sua moglie, Anna Resnikova, era medico; se ne andarono poi in Africa orientale, vivevano con noi nella residenza della milizia, che era comandata da papà. Non so che fine abbiano fatto» (nota di Giuseppe a commento di una fotografia con gruppo di famiglia e amici scattata a Posillipo tra il 1919 e il 1920). Nella corrispondenza di famiglia, è una cartolina postale inviata da Roma a Pinotto Coci a firma di Anna Landesman, in data 28 maggio 1936, nella quale la pediatra chiede all’amico di poterlo raggiungere nella nuova colonia con il marito e il figlio Sergio, per trovarvi occupazione come medico. Le successive leggi razziali, in particolare il RDL 1728 del 17 novembre 1938, vietano agli «ebrei stranieri di fissare stabile dimora nel Re-gno, in Libia e nei Possedimenti dell’Egeo» (art. 17): è dunque probabile che i Landesman, per quanto protetti da Giuseppe sr, siano costretti a una nuova emigrazione.

Un Boris Landesman, nato a Odessa nel 1901 e di professione commerciante, è tra le vittime dell’eccidio delle Fosse Ardeatine.

51. Si tratta della Storia universale di Cesare Cantù (Brivio 1804 – Milano 1895) edita in trentacinque volumi tra il 1838 e il 1846.

52. Edifici a pianta circolare con tetto conico, di argilla e paglia, caratteristici dell’Africa Orientale.

53. Gimma, in posizione centrale rispetto al territorio dei Galla e Sidama, è fondata ex novo intorno al vecchio mercato popolare, chiamato Hirmata, secondo un piano regolatore che pre-

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vede la creazione di una città residenziale e rappresentativa del governatorato di cui è sede. Nel 1938 conta infatti circa 15.000 abitanti, dei quali almeno 5.000 italiani.

54. In seguito alla guerra d’Etiopia, nel 1936 il Vicariato dei Galla è articolato nei Vicariati di Harar (affidato ai Cappuccini) e Gimma (ai Missionari della Consolata) e in numerose altre Prefetture e Delegazioni Apostoliche.

55. La peste equina è una grave malattia diffusa solo nel continente africano, sostenuta da un virus e trasmessa da insetti ematofagi, che attacca cavalli, muli, asini e zebre, provocandone la morte.

56. «A cavallo fra il XVII e il XVIII secolo, il Gimma fu invaso da tribù oromo provenienti dal nord che vi instaurarono una piccola monarchia. L’ultimo re, Abba Gifàr, che si era convertito all’islamismo nella metà del XIX secolo col nome di Mohammed ibn Daud, si sottomise a Me-nelìk nel 1884. […] Abba Gifàr aveva costruito il suo maserà sulla collina di Gìren, a 2.000 metri di altitudine, sette chilometri a nord di Gimma, dove si arriva seguendo una strada che si snoda fra grandi sicomori, acacie, eucalipti, euforbie e siepi fiorite. Da qui si ha una bellissima vista su Gimma e sui monti circostanti, alti a est sulla valle dell’Omo fino a 3.400 metri. Il maserà, ora museo, è una costruzione in pietra con finiture in legno lavorato» (Alberto Vascon, Le foreste dell’Ovest etiopico, in www.etiopiamagica.it, URL consultato il 5.02.2015). L’Abba [padre] Gifàr citato da Giuseppe è quasi certamente un discendente di questo ultimo re ottocentesco.

57. Voce partenopea: «testa».58. Vincenzo Meconio (Napoli 1900 – 1945). Nel 1940, con Pasquale Monaco, realizza una

serie di bassorilievi e statue nella Torre delle Nazioni presso la Mostra d’Oltremare di Napoli. Una sua scultura in bronzo, San Giovannino, è conservata presso il Museo Civico Castelnuovo, pure di Napoli.

59. Vincenzo Gemito (Napoli 1852 – 1929), maestro della scultura realista tra Otto e No-vecento.

60. Si veda la nota 44. Qui con significato generico di «connazionali», ovvero «italiani».61. Sistema di stabulazione fissa tuttora in uso.62. Moneta ufficiale dell’Etiopia a partire dal primo Novecento, introdotta anche in Eritrea

a partire dal 1935, a seguito di un accordo tra Italia e Austria che ne autorizza il conio alla Zecca di Roma; è utilizzata accanto alla Lira dell’Africa Orientale Italiana.

63. Voce partenopea: «fare a piccoli pezzi», in questo caso, riflessivo: «effettuava piano piano, passo passo».

64. Ovvero in concessione da parte del Governo italiano.65. Si veda il capitolo Napoli.66. Si veda il capitolo Cielo del Mediterraneo, nota 160. Come si evince dalla corrispondenza

di famiglia, Lina Marchetti (coniugata Toppazzini) rientra in Italia il 24 giugno 1942, alcuni mesi prima di Concetta Vernetti, della quale dà notizie a Silvio Coci, che, con la moglie Margherita, si mantiene in stretto contatto con Giuseppe.

67. L’Eritrea è ufficialmente colonia italiana a partire dal 1890. La religione maggioritaria del paese, nonostante l’opera di evangelizzazione compiuta nel primo Novecento, è quella islamica.

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Gli ascari (ovvero i soldati di fanteria) eritrei sono affiancati alle truppe coloniali italiane nella conquista dell’Etiopia e successivamente, nella seconda guerra mondiale, contro l’esercito inglese.

68. La religione maggioritaria dell’Etiopia, fino alla riforma del 1948, è il Cristianesimo nella variante copta, di origine egiziana. È caratterizzato dalla confessione monofisita (che riconosce in Gesù Cristo la presenza di una sola natura, quella divina), distinguendosi pertanto dal cattolice-simo e dalla confessione cosiddetta ortodossa.

69. Il generale Fowkes accetta la resa di Gimma il 20 giugno 1941 ed entra in città il giorno seguente. Charles Fowkes è a capo della 22ª Brigata Africa Orientale (22nd East African Brigade), parte delle forze inglesi del generale Alan Cunningham in Kenya (Angelo Del Boca, Gli italiani in Africa orientale, III. La caduta dell’impero, Mondadori, Milano 2000, p. 503). Idu Itsu è uno degli oltre seimila ascari morti in difesa del governatorato italiano del Galla e Sidama.

70. Si veda la nota 43. Oltre alle regioni del primo gruppo, con sede centrale ad Addis Abeba, quelle del secondo, con sede centrale ad Asmara, sono le seguenti: la 2a Legione “Ivo Oliveti” con sede ad Asmara, la 3a Legione “Reginaldo Giuliani” con sede a Gondar, la 7a Legione “F. Battisti” con sede a Dessiè.

71. Omo Bottego è la denominazione attribuita al fiume Omo durante l’occupazione italiana dell’Etiopia, in memoria dell’esploratore italiano Vittorio Bottego, morto durante la sua esplo-razione nel 1897. Nasce nell’altopiano etiopico e sfocia nel lago Turkana dopo 760 chilometri, passando a poco più di cento chilometri da Gimma. Quando Giuseppe compie il suo viaggio, evidentemente non è ancora ultimato il ponte sulla strada tra Addis Abeba e Gimma, inaugurato il 21 giugno 1939.

72. La Fiat 518 Ardita, prodotta dalla Fiat dal 1933 al 1938; nella versione coloniale ha mo-tore 2000 ed è carrozzata camioncino.

73. Si vedano le note 37 e 38. Il grado di capo manipolo nella Milizia Volontaria per la Sicu-rezza Nazionale corrisponde a quello di tenente nell’Esercito Regio.

74. Fiume dell’Africa Orientale, nasce sull’altopiano etiopico dalla confluenza di tre fiumi minori, scorrendo in direzione sud verso la Somalia, e sfocia nell’Oceano Indiano dopo 875 chilometri.

75. Fiume dell’Africa Orientale, con un corso di 1930 chilometri, nasce anch’esso sull’alto-piano etiopico, bagna Mogadiscio e sfocia nell’Oceano Indiano.

76. I dubat sono un reparto del Regio Corpo Truppe Coloniali istituito nel 1924 per la difesa delle frontiere somale. Il nome deriva dal turbante bianco che ne caratterizza l’uniforme.

77. Città capoluogo dell’omonimo governatorato italiano, che comprende gran parte dell’al-tipiano somalo.

78. Città capoluogo del governatorato dell’Amara, che comprende la parte centrale e occi-dentale dell’altopiano etiopico.

79. Ascari eritrei sono inquadrati nell’esercito di occupazione italiano di stanza in Etiopia e partecipano alle operazioni di rastrellamento dei cosiddetti “ribelli”, nonché a rappresaglie e massacri.

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80. La colonia eritrea è in effetti la prima colonia del Regno d’Italia, che nel 1882 acquisisce la baia di Assab e successivamente la città di Massaua.

81. Il principale porto dell’Eritrea, affacciato sul Mar Rosso, e la seconda città per importanza dopo la capitale Asmara.

82. Giuseppe non ha assolto l’obbligo del servizio di leva: la cartolina equivale all’ordine di richiamo alle armi, per istruzione o mobilitazione, nella madrepatria.

83. Si tratta della Tunga penetrans. La femmina gravida di questa piccolissima pulce è capace di penetrare nel derma dell’ospite (mammifero di qualunque tipo, dunque anche essere umano) per portare a compimento la gestazione, nutrendosi del suo sangue e ingrossandosi nei segmenti addominali tanto da rendere difficile l’estrazione. Originaria dell’America centro-meridionale, la penetrans giunge in Africa nel XVII secolo, per diffondersi e stabilirvisi nel XIX, al seguito delle truppe coloniali; colpisce di norma i piedi: tra le dita, intorno alle unghie o sulla volta plantare, dove la pelle è più sottile.

84. Il Kenya è colonia inglese; vi sono comunque presenti aziende agricole italiane.85. Il caffè etiope (di qualità arabica) è tuttora pregiatissimo. Altromercato, nell’ambito del

circuito equo e solidale, commercializza un monorigine prodotto proprio nella regione del Sida-ma, dai soci di Sidama Coffee Farmers Cooperative Union.

86. «Termine usato dagli Italiani, durante l’occupazione delle colonie dell’Africa orien-tale e settentrionale, per indicare le prostitute indigene» (www.treccani.it, URL consultato il 3.04.2015).

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3. CIELO DEL MEDITERRANEO1940 - 1943

Nel dicembre 1939 ho dovuto lasciare l’Africa perché mi è arrivata la chia-mata di leva dall’Italia: presentarsi il 1° febbraio del 1940 all’aeroporto di Peru-gia; dovevo fare il servizio militare, che avevo rinviato a dopo la laurea. In Africa non c’era scuola di pilotaggio (c’erano aeroplani con il doppio comando1), dove-vo venire in Italia. Sono partito il 22 dicembre.

In Italia sono stato a Napoli da zia Margherita2, a via dei Mille; io dormivo su un divano letto dell’atelier; mi pare di essere stato pure da Pompeo3, al Vome-ro, e da Giulia e Amedeo Celentano4.

Sono partito da Napoli la sera del 31 gennaio, arrivai a Perugia a mezzanotte; sul treno c’era una bella ragazza, Wanda, che conobbi dopo e con cui mi fidanzai. Mi disse che si vedeva che era la prima volta che indossavo la divisa, perché ero impacciato. Lei aveva un fratello, del Genio, che è morto in Albania5. Ci vedeva-mo soltanto a Perugia la sera, quando andavo in libera uscita e il bus ci portava in città. Perugia è una bella cittadina, tu andavi di fianco all’Hotel Brufani6 e vedevi tutta la città ai tuoi piedi, e guardando a sinistra c’era l’aeroporto Sant’Egidio7.

Balbo8 aveva organizzato l’aeronautica (Mussolini, Balbo, De Bono, De Vec-chi erano i quadrumviri9; un figlio di Mussolini, Bruno10, morì in aeronautica, in Toscana, collaudando un quadrimotore italiano); Balbo fece la traversata dell’At-lantico con gli idrovolanti in formazione, aveva il record di velocità, la coppa Schneider11; era governatore della Libia e poi morì, fu abbattuto per errore. Se non fosse morto, la guerra forse non ci sarebbe stata, perché Balbo era contrario. De Bono12 andò in Africa, in Eritrea, come governatore, a lui poi subentrò Ba-doglio, che fu fatto duca di Addis Abeba13; De Vecchi14 invece andò in Somalia, pure come governatore. Mussolini non li voleva attorno.

Allora non sapevo niente della guerra: cercavo solo di volare. Ho fatto i primi nove mesi a Perugia, dove ho fatto il brevetto militare con il RO (Romeo) 4115. C’era un primo brevetto con il BA (Breda) 2516, poi il brevetto militare con il RO.41.

Su centoventi allievi (io ero uno dei sei sottotenenti), a Perugia noi avemmo quattro morti e due lanci con il paracadute: uno fui io, l’altro fu De Sanctis, uno di Como, che arrivò a terra senza scarpe. Avevo già il brevetto, mi davano gli aerei da collaudare: durante un’acrobazia mi avvitai a candela17 e mi lanciai. Finii in un uliveto. Peruzzi, che era il capitano del reparto allievi, venne e mi trovò alle prese con uno della Dicat, l’antiaerea18, e mi recuperò.

I quattro morti furono un giovane sergente istruttore che fece un rovescia-

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mento a terra, a dieci metri dal suolo, l’aereo scoppiò e lui morì; era appena uscito dalla scuola di Castiglione del Lago19 ed era stato destinato a noi come istruttore: noi eravamo a terra, vidi tutta la scena con il fratello di Wanda, che avevo invitato; poi morirono Fiocchi, Veroni, che era uno dell’esercito passato all’aeronautica, e un altro, che non ricordo.

Con Frulli20 presi due punizioni, dei giorni di arresto (perché una mattina alle otto stavamo ancora a letto): le attaccammo in faccia al letto, per sfregio.

A me piaceva volare, volare, volare; era la mia passione. Volevo bene a quella ragazza, Wanda, ma poi l’uomo è volubile, le mandai una lettera: «Non so se e quando ti sposerò» e lei mi rispose: «Per il quando avrei aspettato tutta la vita, per il se non ci sto. - e aggiunse - Me l’avevano detto: ufficiale di aviazione e na-poletano per giunta!».

Da Perugia il maresciallo addetto all’ufficio mi disse: «Dove vuole andare, caccia o bombardamento?». Alla caccia sarei andato, ero il secondo su tutta la scuola e c’era posto (andavano i primi dieci), ma mi dissero che a Gimma la cac-cia non c’era: e invece c’era il CR (Fiat) 20, un biplano21… E così mi fregarono... Allora sono andato al bombardamento; zia Jolanda22 era amica di un generale di aviazione che aveva avuto la medaglia d’oro nella prima guerra mondiale, Biani23: mi feci raccomandare da lui per entrare negli aerosiluranti24. Ad Aviano25, nell’ot-tobre 1940, ho fatto i tiri con le bombe di cemento nel fiume vicino, per eser-citazione. C’erano due aeroporti ad Aviano, uno per lo stormo di BR.2026 (che poi furono mandati in Belgio, ma fecero poco: erano bimotori, apparecchi tutti metallici, una novità per l’aviazione) e l’altro per la scuola di secondo periodo. Noi non dormivamo in aeroporto, eravamo ufficiali; dormivamo a Pordenone, la mattina pigliavamo27 il bus che ci portava ad Aviano, e ad Aviano avemmo la famosa puntata addosso di Carlo Faggioni28, che era alla scuola istruttori. Aveva la mania di volare a tre metri sopra terra, veniva da fondo campo, a dieci metri d’altezza, noi eravamo vicino all’hangar, ci buttammo tutti a terra, per paura che sbagliasse… Era un manico29…

Faggioni da complemento30 era diventato effettivo31, perché aveva fatto un corso di integrazione nel ’35 ed era istruttore ad Aviano; aveva fatto anche quasi un anno di guerra in Africa. Suo padre era console con un battaglione di Camicie Nere in Africa Orientale, tra l’Harar e la Somalia32.

In primavera, verso giugno 1941, sono andato a Napoli, dove c’era il secon-do nucleo addestramento aerosiluranti e dove poi morì il povero tenente Bosi33, istruttore, con un allievo, Piccolomini34, discendente di Enea Silvio Piccolomini, il papa Pio II35.

Vittorio Cannaviello36 era comandante del nucleo di Napoli, poi lo tolsero dall’operare e andò come addetto aeronautico fuori, nei Balcani, ma dopo lo

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sbarco in Sicilia disse: «Io voglio tornare a un reparto operante». Lo assegnarono alla squadriglia dei Quattro gatti37; nell’agosto 1943 andammo in azione io, lui e un altro, Setta38, eravamo diretti a Palermo, tornai io solo, degli altri due non s’è saputo più niente.

Mentre stavo a Napoli, nel 1941, si era mossa la flotta inglese da Gibilterra39; io non avevo finito il corso, ero ancora allievo e stavo facendo l’addestramento notturno: mi acchiapparono e mi mandarono di rinforzo in Sardegna40, e là tro-vai Francesco Di Bella41, che mi vide e disse: «Adesso ci mandano anche i lat-tanti», mi prese e mi portò in giro. «Vedi questo letto: ci stava il tal dei tali che è morto così e così; vedi là: ci stava quest’altro, morto pure lui». Dopo dieci giorni finì l’allarme e mi rimandarono a Napoli; io ero bello contento.

Il comandante del nucleo di Napoli era il maggiore Bianchi42, poi divenne Cannaviello43, che era tenente colonnello, il suo secondo era Di Luise44.

Mi ricordo ancora un volo: andai vicino a Castel dell’Ovo45 a dieci metri sull’acqua, passai vicino a un cutter46 dove c’erano delle bagnanti che mi saluta-rono. Lo vedo ancora oggi.

Nel settembre 1941 sono andato a Lecce47, e lì ho trovato Oscar Pegna48 (che poi ritrovai padreterno49 al Ministero, colonnello capo divisione, proprio alle ricompense: mi facette50 avere le medaglie in quattro e quattr’otto; un uffi-ciale americano aveva fatto aprire la mia valigia a Gorizia, dove mi trovavo nella primavera 1943, e me le aveva prese come souvenir; avevo preso una camera e la pagavo. Poi ci mandai mia madre a Gorizia, fesso fesso51 perché la misi in bocca ai titini52, che la portarono in carcere un paio di giorni).

Il 25 settembre da Lecce andai a Derna53, in Africa: ero stato assegnato alla 279a squadriglia54. Passando sulla Grecia a seimila metri d’altezza, perché tro-vammo un’ira di dio di temporale, il secondo pilota, che era un tenente che non era pratico del 7955, ma dell’8156, disse: «Andiamo su, sulle nubi». Le nubi non finivano più: eravamo arrivati a seimila metri. Allora andai giù a capofitto, tutti si raccomandavano l’anima a Dio, con il motorista che si faceva il segno della croce, fino a cinquanta metri sul mare, il mare in tempesta.

A Derna vivevamo in una baracca, e io avevo una specie di rifugio, era come una dolina sul Carso, una grotta sotterranea; eravamo tutti decentrati, gli appa-recchi al bordo del campo, e in mezzo una baracca di legno, dove ci riunivamo; quella baracca fu quella che vide il tenente Orfeo Fiumani57 che non andava d’accordo con il capitano Giulio Marini58, che lo sfruculiava59: «Tu vuoi fare la repubblica dei Fiumani»; allora Fiumani prese il piatto di pasta che aveva davanti e lo buttò a terra, ai piedi di Marini. Si prese un mese di arresti.

Io ero direttore di mensa e cercai un po’ di variare il mangiare; presi il ser-gente armiere60 Forni, pigliammo il camion e andammo a Ain el-Gazhala61; tu

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scendevi a’mmare62 e avevi sempre piede, avevo il sergente armiere dietro che aveva preparato le bombe per pescare; si buttavano le bombe e i pesci venivano a galla con le branchie fuori. Avemmo uno spettacolo che pochi hanno avuto nella vita: mentre raccoglievamo il pesce, sentimmo il rombo di tre aeroplani: era un aereo inglese in mezzo a due italiani, un Macchi63 e un G.5064, che lo tenevano ala contro ala e non lo facevano scappare, e poi sparirono nel deserto. Noi ci eravamo buttati in acqua, per precauzione.

Il 1° dicembre del 194165 abbiamo fatto la prima azione66: siamo partiti da Derna e tra Tobruch67 e Alessandria68 abbiamo colpito un incrociatore da cinquemila69, così credemmo. Dopo tre mesi dissero il nome, il Phoebe70, e ce lo contendevamo. In precedenza avevamo fatto soltanto una ricognizione notturna, da cui non rientrò un pilota. La prima medaglia d’argento71 l’avemmo per quello: pare però che il Phoebe non fosse affondato72.

Nel gennaio 1942 dovemmo scappare, ci fu l’avanzata inglese73 e andammo a Misurata74; noi tagliammo tutta la Sirte75: c’era Bengasi76, l’Arco dei Fileni77 e Misurata. A Derna mi caricai della mia brandina, la misi sull’aereo per portarme-la via. Misurata era una cittadina tutta bianca, era coltivata dai veneti che aveva mandato Balbo78: era tutto un fiore. A Misurata il comandante nostro79 si incazzò con il montatore80 nostro (quello che guardava tutto l’insieme dell’aeroplano, ma non volava, non so che fece) e gli strappò i nastrini81 davanti a tutti, a uno che non volava. Ma quello82 era nevrastenico; era giovane, aveva un anno meno di me, era del ’16 ed era capitano.

La seconda medaglia d’argento la ebbi per una azione del 22 marzo 194283: ricordo poco, fu un’azione di notte... Ero il secondo del mio capitano, Giulio Marini. Partimmo dal “K2”84, una grande spianata vicino Bengasi, vicino all’Ar-co dei Fileni, il tratto di mare tra Bengasi e Misurata, dove c’erano alberi di man-dorlo in fiore. Silurammo una formazione di navi inglesi (non c’erano ancora gli americani85), sganciai e colpii un cacciatorpediniere; tornai con l’aereo sfo-racchiato86… Quando affondavi c’era poco da fare, ma quando colpivi soltanto c’era sempre la reazione… Eravamo cinque o sei a bordo: due piloti, un armiere, un motorista, un radiotelegrafista e il fotografo, che prima non c’era. Quando dicevano “colpito” c’era da credere, che affondasse non si può sapere.

Avevamo un nuovo comandante, Di Mola87, di Bari: era mio compagno all’Accademia navale, era stato ammesso, e me lo sono trovato in aviazione dopo qualche anno; si vede che aveva cambiato arma.

Il 14-15 giugno prendemmo tutti la croce di guerra al merito, nel Mediter-raneo centrale, tra Malta, la Sicilia e Pantelleria88: era un grosso convoglio che era arrivato, di circa venti navi, che silurammo e colpimmo89. Fu Mussolini a far dare la croce di guerra a tutti gli equipaggi degli aerei che parteciparono all’azione90.

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In un convoglio c’erano portaerei (non sempre, però; quando arrivavano davan-ti alla Tunisia, le portaerei mandavano in volo i caccia, che sostituivano quelli mancanti a terra); incrociatori (navi da tre-quattromila tonnellate, anche da sei-settemila); cacciatorpedinieri (navi veloci, di duemila tonnellate, che scortavano i convogli).

A fine giugno passammo da Derna in Tunisia, poi a Gerbini in Sicilia; fui assegnato alla 278a squadriglia91: eravamo vicino Catania, c’erano delle strisce di terra fatte per atterrare e azionavamo su Malta92.

In agosto ci fu un gruppo di azioni, che è difficile da sceverare93... Partim-mo da Pantelleria94 il 12, con un’azione di siluramento nelle acque dell’isola dei Cani, davanti a Biserta95: c’era un grosso convoglio, formato da oltre venti navi, con due navi da battaglia, la Nelson e la Rodney96; silurammo un incrociatore pesante, che fu affondato97... Il 14 agosto98 partimmo pure da Pantelleria, e nelle acque di capo Bougaroni99 affrontammo un convoglio che aveva una grossa nave da battaglia, la Renown…100 ricordo che era di color ruggine. Volavo con l’appa-recchio del capo squadriglia, mi ricordo questo aeroplano con il guidoncino101 pittato sopra102, perché avevo sfasciato il mio aeroplano atterrando a Pantelleria, il 12; era un aeroporto a trecento metri sul mare, il campo era sopra, sotto c’e-rano i vigneti: il campo non aveva molto spazio, con il siluro sotto dovevi dare una spuntata del motore, superando il dislivello di qualche metro; in fondo c’e-ra il cancello Spezzaferri (dal cognome di un pilota103 che c’era andato a finire contro), gli hangar erano sotto la roccia104. Io arrivai troppo lungo e imbardai105 con il siluro sotto; aver sfasciato l’aeroplano mi costò la medaglia d’argento: ebbi quella di bronzo106. Il 14 non rientrammo a Pantelleria, ma a Elmas, in Sarde-gna107.

Di queste azioni ricordo che eravamo sul campo, avevamo volato, venne un’incursione inglese con gli aerei, che mitragliò il campo; io e altri due “nuota-vamo” sui gradini perché mitragliavano e ci riparammo nell’edificio del coman-do. Morì un nostro collega, Moretti108, che era appena atterrato e per correre al riparo andò a finire con la testa nell’elica. Non aveva potuto partecipare all’azione il giorno prima, e ci rimase…

A Pantelleria misuravamo la piazzetta109 tutte le sere: era cento metri per non so quanti… Quel fetente110 del colonnello comandante dell’aeroporto (che poi quando ci fu lo sbarco in Sicilia si arrese subito) fece un editto che non si poteva andare per le taverne: «Mi risulta che degli ufficiali vanno all’osteria a bere vino…». Neanche il vino potevamo bere! E che volevi fa’111? Bevevi il passito di Pantelleria112 sul posto: quello è buono!

E arriviamo a novembre113. Fui uno dei sei capo-equipaggio protagonisti dell’azione del 12 novembre 1942 nelle acque del porto di Bougie114, in cui fu

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abbattuto il comandante di gruppo, Carlo Emanuele Buscaglia115.Non partecipai alla prima azione di quei giorni, l’11 novembre116; ricordo

però molto bene il discorso di Buscaglia a Castelvetrano117, dove ci eravamo tra-sferiti in vista dello sbarco alleato in Algeria118: c’erano dei letti, o meglio delle brandine, a Villa Pignatelli119, e il Comandante ci fece un quadro della situazione dicendoci, in sostanza: «Gli americani fanno tanti aeroplani, carri armati, hanno un potenziale bellico illimitato… noi italiani non abbiamo niente, non possiamo sperare in nuovi aeroplani ed equipaggi, quindi dobbiamo andare avanti, durare fino all’ultimo di noi». Un discorso che ci lasciò alquanto scossi.

Il 12 novembre partimmo in sei S.79, in due pattuglie: il comandante di gruppo Carlo Emanuele Buscaglia con i gregari Marino Marini120 e Martino Aichner121, della 281a; il comandante Francesco (Cecco) Bargagna122 con Carlo Pfister123 gregario destro e con me gregario sinistro, della 278a (le due squadriglie insieme costituivano il 132° gruppo).

Ricordo quel volo avventuroso tra le montagne a pieno carico, i vuoti d’aria, la preoccupazione di non farcela a superare le montagne che si paravano davanti, le nuvole che ogni tanto ci inghiottivano e poi quel tuffo da duemila metri nel golfo di Bougie, pieno di sole che non avevamo ancora alle spalle: noi venivamo da oriente, mentre in fondo, lontano (il golfo era molto grande) a occidente, sot-to la montagna, si vedeva il porto con qualche pallone sopra (per la difesa dagli attacchi aerei, perché andavamo bassi, a pelo d’acqua), pieno di navi. La forma-zione non era compatta, ma sgranata, in quanto il Comandante nello sbucare sul golfo aveva dato tutta manetta124 e si era buttato giù a capofitto, tanto che noi della seconda pattuglia eravamo rimasti distaccati di oltre un migliaio di metri, però ci eravamo rimessi in formazione. Dunque avanti Buscaglia, dietro Aichner e Marini, quindi noi tre della 278a. A circa tre chilometri dalle navi, distinguem-mo dei punti che volteggiavano125 e pensai che sarebbe stata grigia; mi predisposi alla rotta di attacco, mentre cominciavano ad arrivare i primi colpi dell’antiaerea: la nostra pattuglia intanto si era allargata per non costituire un bersaglio più fa-cile. Non ebbi agio di osservare cosa succedeva davanti a me alla pattuglia della 281a, perché un pilota in fase di attacco si concentra solo sulle navi, anche per scegliere meglio l’obiettivo, e le manovre di attacco sono rivolte a cambiare conti-nuamente l’assetto al velivolo, onde non costituire un facile obbiettivo. Vidi però a distanza il velivolo del Comandante (e il mio motorista, Luigi Busetto126, me lo confermò) che si lasciava dietro una scia di fumo nero, per cui presunsi che fosse stato colpito, ma non distinsi se era stata la caccia ad abbatterlo. Il motorista, infatti, mi disse: «Il Comandante si è infilato in mare in fiamme»127.

Arrivato a circa sei – settecento metri da un piroscafo che si trovava fuori del porto gli sganciai il siluro, quindi feci una virata a 90° in cabrata128 verso terra

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(era una manovra poco ortodossa e pericolosa: si consigliava sempre di passare oltre le navi a volo basso), ma in quel caso passare oltre voleva dire infilarsi contro la montagna che era subito dietro al porto e allo sbarramento antiaereo di pallo-ni. E poi, si segue sempre il proprio istinto, e io mi sono sempre trovato bene… Mi buttai subito a pelo d’acqua sottocosta a tutta birra, non feci in tempo a uscire dal fuoco che notai l’acqua che ribolliva sotto di me e capii che la caccia mi aveva attaccato: infatti il motorista mi gridò che avevo due Curtiss P-40129 sopra che mi mitragliavano; uno dei due, però, venne abbattuto da Busetto con la mitragliatrice da 12,7 dorsale130, e l’altro mi lasciò andare. Mi buttai, appena sfuggito all’attacco, verso il mare aperto, quindi feci rotta solitaria verso la base, dove atterrai mezz’ora dopo gli altri. L’ultimo ad atterrare, però, fu Pfister, che aveva anch’egli subito l’attacco della caccia (aveva virato dopo lo sgancio verso il mare aperto) e noi già incominciavamo a preoccuparci per il suo ritardo131.

Dell’apparecchio di Buscaglia ebbe la medaglia d’oro alla memoria anche il fotografo, Maiore132, che era stato ferito il giorno prima ma era comunque anda-to in azione volontario. Si seppe poi, molto tempo dopo, che Buscaglia era stato salvato dagli inglesi: fu curato in un ottimo ospedale133. E quando ci fu l’armisti-zio lui optò per l’Italia del re e passò a Campo Vesuvio134; stava con un reparto di aerei americani, faceva il passaggio su questi apparecchi: erano dei bimotori osti-ci, molto pericolosi135… Lui ne volle provare uno: si imbardò, si capovolse, si in-cendiò. E così morì bruciato, per la seconda volta. La seconda volta non perdona. Il nipote di Graziani, Giulio Cesare136, era a mensa, sentì il rombo di un motore, uscì di corsa, ma Buscaglia era già in fiamme. Con quell’aeroplano morì pure il maggiore Erasi137, il “distruttore di ponti”, che andava a bombardare i ponti in Jugoslavia per tagliare le vie di comunicazione ai tedeschi, dopo l’armistizio138.

Per questa e altre azioni compiute in quei giorni di novembre, mi è stata assegnata la terza delle mie medaglie d’argento al valor militare, con la seguente motivazione:

Capo equipaggio di velivolo silurante già distintosi in precedenti vittoriose mis-sioni effettuava audaci siluramenti contro navi nemiche riparate in munitis-sime basi africane, attraversando temerariamente gli sbarramenti contraerei e sostenendo vittoriosamente aspri duelli aerei. Affondava, in tali missioni, un incrociatore leggero e un piroscafo: altri due piroscafi venivano colpiti. Rag-giunto dal fuoco nemico, che abbatteva il capo della formazione, manovrava con perizia e sangue freddo effettuando con velivolo terrestre un perfetto amma-raggio e portando a salvamento l’intero equipaggio.- Cielo del Mediterraneo Occidentale – 8 – 20 novembre 1942.

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L’ammaraggio139 menzionato nella motivazione risale alla notte del 20 no-vembre. Andammo in azione notturna di siluramento nelle acque del porto di Philippeville, in Algeria140: eravamo una pattuglia, tre aeroplani: Faggioni, Pfister e io. In fase di rientro, dopo aver sganciato il siluro, fui attaccato dalla caccia e dalla contraerea, che mi bucò il serbatoio dell’olio. Senza olio il motore si ingrip-pa141, perciò, a un certo punto, il motore cominciò a scoppiettare; decisi allora di tentare un ammaraggio di fortuna; prima di ammarare trovammo un pezzo di costa un po’ sopraelevato: era Capo Serrat142; con una strattonata di motore riuscii a passare dall’altra parte. Ammarai: una grande onda mi coprì, ma io uscii fuori dall’acqua con tutto l’aeroplano, allora decisi con tutto l’equipaggio di lasciare l’apparecchio e andare a riva a nuoto, perché il battellino di salvataggio era stato forato da colpi di mitragliatrice. Il mio secondo pilota, Reggiani143, che era campione italiano di dorso, mi fece: «Io vado avanti a cercare aiuto», e io gli dissi: «Va bene». Chiesi se c’era qualcuno che non sapeva nuotare: si fece avanti (per modo di dire, perché eravamo in acqua!) il fotografo, Intelisano144: «Io!». Allora gli feci: «Tu sta’ buono, metti la mano sulla mia spalla, che io ti porterò a nuoto a terra. Sta’ tranquillo che se arrivo io, arrivi pure tu». Presi i soldi che avevo, li misi in una busta di tabacco che era impermeabile dentro e la misi nel berretto, che mi misi in testa. E così nuotammo per qualche ora; nuotai a rana, per stancarmi meno. Il mare era forte, c’era onda. Arrivammo a riva. A un certo punto mi sentii una cosa addosso: era il mio secondo pilota con una coperta che mi voleva riscaldare. C’era una capanna di pescatori tunisini, era mezzanotte: ci prepararono un piatto di pastasciutta. La mattina dopo guardammo il mare e l’aeroplano se ne era venuto a riva tranquillo tranquillo… In questa capanna tro-vammo della gente, erano degli ortolani; caricarono il carretto con i loro ortaggi e lemme lemme145, seduti sul carro, ci portarono a Biserta146. Ci presentammo al comandante della piazza e gli dicemmo: «Noi siamo quelli dell’aeroplano che è ammarato ieri sera»147.

Mia zia Jolanda148 fu subito avvisata che mi ero salvato e che ero ammarato in Tunisia. Io imputo a ‘sti149 bagni notturni tutti i guai di reumatismi che ho: era novembre e il mare era freddo.

Philippeville: da lì gli angloamericani iniziarono ad avanzare con un grande convoglio. Da lì sono cominciate le nostre disgrazie: presero via via l’Algeria, la Tunisia, la Libia, fino allo sbarco in Sicilia150.

A Tunisi siamo stati otto o nove giorni, per poi ritornare in Italia con un apparecchio da trasporto. La cosa graziosa è che mentre stavo a Tunisi mi si avvi-cinò una vecchietta e mi disse: «Signor sottotenente, avrebbe un po’ di tempo per venire a far visita a un mio parente che è ammalato e che non ha ancora visto un ufficiale italiano?». E io andai. A Tunisi c’erano molti italiani151…

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Ebbi un mese di licenza, anche perché in gennaio sarebbe arrivata mia madre dall’Africa.

Andai a Roma. Mi ospitava la “tripolina”152, bella donna, contesa da Pfister e da me, ma portava iella153… Avevo lasciato a mia zia Jolanda il numero di tele-fono dove alloggiavo, poi mi ricordo pure che andai a trovare la sorella della zia, Mafalda154, in una pensione a Roma, in cui c’era una svizzera che mi piacque, però non ci fu niente. La sorella della zia era la moglie di un dottore in agraria, Meshkij155, di origine georgiana.

La zia mi telefonò e mi disse che la mamma sarebbe arrivata quel giorno: lo aveva sentito alla radio, era un arrivo conosciuto e reclamizzato, perché gli inglesi avevano mollato i prigionieri… Nel marzo del 1941 gli inglesi presero Addis Abeba156; gli aerei che scapparono dall’Africa furono tre aerei civili, che partirono il 3 aprile 1941: fecero 6270 chilometri di volo157.

La mamma era stata in carcere ad Addis Abeba158, papà era stato fatto prigio-niero e fu mandato in India159… La mamma fu messa in carcere perché era fasci-sta; gli inglesi radunarono i civili in campi di concentramento ad Addis Abeba e poi organizzarono il rientro con due piroscafi, il Saturnia e il Vulcania160: erano piroscafi civili. Partirono alla fine del 1942, dovettero circumnavigare l’Africa (Suez era chiuso) e arrivarono a Lecce ai primi del gennaio 1943161.

Quel giorno io ero sulla banchina col cappotto militare invernale (c’era chi portava la mantella, io no) e vidi mia madre affacciata alla murata, in mezzo ad altre persone, ma la riconobbi subito; lei invece non mi riconobbe subito, con tutto che io viaggiavo sotto la murata ed ero solo; mammà mi riconobbe poi dal passo, da come passeggiavo, e si mise a sventolare, a fare ammoina162, per farsi ve-dere. Scese dalla nave, prendemmo il treno e andammo a Napoli, dove ci ospitò zia Margherita nel suo atelier163; mi arrangiai con una brandina. La prima cosa che mi disse fu: «Tu devi continuare a combattere». E io mi offesi: «Se combatto, sono fatti miei». Me la presi per tutta la vita. Il nonno Giovanni, invece, che era decentrato164 in un paese vicino Napoli, perché bombardavano, mi aveva detto: «Guagliò, dalle ‘n capa, ma statti accuorto…»165.

Sono stato poco a Roma, proprio per l’arrivo di mia madre, poi la licenza era scaduta. Tornai in Sicilia166. A Palermo richiesero un ufficiale come aiutante di volo di un generale. Andai io. Svolacchiai al suo servizio per i vari aeroporti per un mese, forse meno: ma non gli facevo mettere le mani sul volantino né in partenza né in atterraggio («Qua qua, lieva ‘e mani a’lloco»167), solo in volo! Mi mandarono in riposo, per svagarmi… Frequentavo la mia amica tripolina che stava a Palermo, allora.

Nel febbraio rientrai nel gruppo, a Gerbini168. E in quei giorni, il 20 feb-braio, morì il mio amico Carlo Pfister169, che durante un trasferimento andò a

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finire contro una montagna: veniva dalla costa, ma fece la via diretta nell’interno e andò a sbattere. Mi offrii come ufficiale per scortarlo da Catania a Livorno e passai due notti su un treno merci sotto i bombardamenti con otto bare: quella di Carlo e dei sette avieri che erano con lui170.

A Gerbini c’erano soltanto delle “strisce” (così le chiamavamo) per il decollo e l’atterraggio; stavamo a Catania, all’albergo Italia171, requisito per una parte di noi. Ero molto amico di Mario Mazzocca172, tripolino (aveva un caffè a Tripoli e perse tutto173), sottotenente pure lui. Eravamo amici proprio, ci chiamavano “i fratellini”; stavamo con due amiche: io con Maria Laura Grosso, figlia di un impiegato, lui con Liliana, figlia di un ingegnere. Di Mario non ho saputo più niente.

In quei mesi, credo nel marzo, la mamma ebbe un’operazione all’utero: fu operata a Capodimonte174, c’era una clinica… Poi la spedii su al nord (e la facetti buona ‘a fessaria175), a Gorizia, così dopo l’armistizio la misero dentro i titini176.

Nell’aprile mi mandarono a San Remo per fare quindici giorni di riposo; io feci venire la mamma a trovarmi, invece dopo sette o otto giorni mi richiamaro-no a Gorizia, perché si effettuava il raid di attacco su Gibilterra177 e c’era bisogno di un equipaggio ben addestrato per qualsiasi evenienza, che rimanesse in sede, in stato d’allarme: ed ero io.

Ad aprile, dunque, eravamo a Gorizia, tutta la squadriglia178, per ritemprarci, perché venivamo dalla Sicilia, e per preparare il volo su Gibilterra: modificarono il 79 in maniera da metterci un serbatoio supplementare da mille litri di carbu-rante, per fare il volo179. Prepararono dieci apparecchi adattati per il volo lungo, ma era al di sopra delle loro possibilità… Partirono da Istres (in Francia)180, ma fu un mezzo fallimento: l’azione non riuscì181. In sede rimasi io solo, come re-sponsabile: ero l’ufficiale più anziano ed ero addestrato a tutto… mi lasciarono a terra e mi magnai182 le mani.

A Gorizia io e Mario Mazzocca ci davamo al bel tempo; era un riposo che durò poco, perché avvenne poi lo sbarco alleato in Sicilia.

Io e Mario prendevamo le biciclette e andavamo a trovare due sorelle che abitavano nella casa di un maggiore dell’esercito italiano, in un bosco vicino al paese di Ranziano183. Erano tre sorelle, la più piccola noi la trattavamo da bam-bina, le più grandi erano una per me e una per Mario. Inforcavamo le biciclette e andavamo a passare la serata a casa di queste ragazze; quando noi in bicicletta passavamo nel bosco ci sembrava di sentire dei fruscii, perché infatti lì c’erano i partigiani184. Quando tu attraversavi quel bosco sembrava che ti parlasse, ma noi imperterriti andavamo avanti. Il maggiore padrone di casa noi non lo abbiamo mai visto. Le tre sorelle si chiamavano Renata, Gabriella (la mia, era infermiera) e la ragazzina non mi ricordo… La sera i partigiani bussavano alla casa per pren-

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dere il latte; le ragazze passarono i guai loro con i tedeschi, lo abbiamo saputo. Abbiamo saputo che Renata se la portarono via i tedeschi, in Germania, la accu-sarono di essere una spia185. Ranziano passò poi con la Jugoslavia.

Il 10 luglio avvenne lo sbarco in Sicilia, ad Augusta186. Eravamo a mensa alle ore dodici, quando per radio fu trasmesso che gli angloamericani stavano sbarcando ad Augusta, che si arrese in una giornata sola, con tutto che era arma-tissima: non resistette. Dunque eravamo a mensa, al che il comandante decise di mandare me a Littoria187 come primo equipaggio, in avanscoperta, poi sarebbero seguiti gli altri. Quindi io partii con un aeroplano della scuola, poco adatto per una missione bellica. L’11 da Littoria volai su Augusta, silurammo, ma facemmo poco o niente188. Al ritorno fu una tragedia: avevo la caccia notturna inglese dietro…189 La benzina non filtrava dai poppini (i serbatoi di riserva che stanno dietro l’ala) al motore, e a un certo punto rimasi senza benzina; lanciai l’SOS: «Accendetemi Capua!» (vicino Napoli); era l’unico aeroporto nelle vicinanze. Si accendeva soltanto un sentiero luminoso, perché c’era l’oscuramento190. Se mi sono salvato, lo debbo alla conoscenza della costa italiana da Reggio Calabria a Napoli: ho volato seguendo la costa, mi ricordo capo Palinuro…191 di notte è meglio andare sul sicuro, sul mare, perché di notte puoi trovare anche delle montagne sulla tua strada e fare la morte di Pfister192.

Atterrai e andai a finire in fondo al campo, ‘ncoppa193 ai fusti della benzina e per paura che l’aereo si incendiasse mi lanciai fuori dall’apparecchio con il pa-racadute aperto gridando: «Salvatevi ragazzi, fuori tutti!». Tutta la squadriglia poi venne a Littoria, con Faggioni e altri.

Facemmo altre azioni, in luglio e agosto194: per l’insieme di queste azioni ebbi la seconda medaglia di bronzo195. Nell’ultima azione, del 12 agosto, per-demmo il tenente colonnello Vittorio Cannaviello196, già comandante del nucleo di Napoli: andammo in azione in tre, io, lui e Setta; tornai io solo197. Furono attaccati dalla caccia, mi salvai perché mi allontanai dai due (andavo sempre solo, a meno che non fossimo in formazione). Pensavo allora che avessero fatto spec-chio: il mare rifrange la luce e ti fa uno specchio che ti abbaglia e non capisci se tocchi o non tocchi, e ti infili in mare. La mattina dopo chiesi al mio marconista, che era napoletano, dove stava, perché la sera prima non era venuto; mi rispose che era passato vicino all’aereo e aveva sentito puzza di morto. «Bel coglione, – gli dissi – non sai che finché stai con me sei sicuro?!». Lui fu sbruffone, e io pure.

Ero a Littoria quando fu proclamato l’armistizio198. Ricordo che un aereo incappò nei fili dell’alta tensione. Noi avevamo già preparato gli aerei per un’a-zione, quando poi dicemmo: «Ma che facciamo qua?». Alcuni da altre basi parti-rono, noi no199. Il 10 settembre ricevemmo l’ordine di lasciare Littoria e atterrare a Siena e da Siena di passare in Sardegna200. L’11 settembre201, quando stavamo

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per partire per la Sardegna, ci fu un apparecchio che atterrò e imbardò202. Noi di-cemmo: «Brutto segno»203. E infatti durante il tragitto, poco prima della Corsica, i tedeschi ci attaccarono con i Focke Wolf204, i caccia che avevano in Sardegna; eravamo in quattro: Faggioni205, Sponza206, Ruggeri207 e io. Prima buttarono giù Sponza, che ammarò vicino alla Corsica; poi, venti chilometri a sud ovest di capo Testa208, attaccarono me; ebbi un principio di incendio nella semiala destra, al che decisi di ammarare e volutamente lo feci in una zona che era piena di sec-che e di scogli, perché in questo modo potei diminuire la velocità; eravamo in otto persone a bordo (tre piloti: io, Reggiani209 come secondo e Tripiciano210), ammarammo vicino a un gruppo di artiglieria che stava sul posto; c’era pure la divisione “Nembo”, di paracadutisti211, credo. Avevo il motorista (che stava in piedi dietro il pilota) ferito di pallottole e nell’urto un aviere si era slogato una clavicola, un altro rotto alcune costole. Io uscii sull’ala, al che Carlo Faggioni mi fece due o tre giri sopra e io gli feci cenno di andare212. Qualche settimana dopo, il mio Comandante riuscì ad avere l’indirizzo di mia madre (mio padre era stato catturato in Africa ed era prigioniero in India213) e l’8 novembre 1943 le scrisse, rassicurandola sulla mia sorte: «Io personalmente ho visto che lui e il suo equi-paggio erano incolumi. Vi do esatta assicurazione di questo perché sono rimasto più di venti minuti sopra di loro, appunto perché volevo essere sicuro che non vi fossero dei feriti tra di loro»214.

Noi andammo a finire sulla costa, poi a Milis215. Il comando divisione ita-liano si mise d’accordo coi tedeschi: «Noi vi lasciamo liberi, non vi tocchiamo, e voi vi imbarcate per la Corsica». E così fecero216.

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Note

1. «Nelle moderne scuole di pilotaggio l’allievo pilota, dopo aver eventualmente eseguito un allenamento di rullaggio sul terreno, viene istruito col sistema a doppio comando, in un apparec-chio con due posti, generalmente in prosecuzione, forniti ambedue di tutti gli organi o strumenti di pilotaggio. Il doppio comando è disinnestabile dall’istruttore, il quale ha così la possibilità di correggere le manovre dell’allievo e di annullarle quando fossero pericolose» (Aldo Guglielmet-ti, Pilotaggio, 1935, in www.treccani.it, URL consultato il 3.04.2015).

2. Si veda il capitolo Napoli. Margherita Calò è titolare di una «Manifattura confezioni per signora» in via dei Mille al civico 16.

3. Si veda il capitolo Napoli.4. Coppia di amici di famiglia. Il cognome è diffusissimo in Campania.5. L’occupazione italiana del regno di Albania ha luogo tra il 1939 e il 1943; in particolare,

dopo l’8 settembre 1943 sono forse centoquarantamila i militari italiani di stanza nel paese, ove si trova dislocata la 9a armata dell’Albania, al comando del generale Dalmazzo, composta dal IV corpo d’armata con sede a Durazzo e dal XXV corpo d’armata con sede a Elbasan. Ne fa parte la divisione “Perugia”, alla quale probabilmente appartiene il fratello di Wanda.«La “Perugia”, al comando del generale Chiminello, era dislocata nella zona che comprende Gjirokastër (Argirocastro), Tepelenë, Përmet, Delvinë e Kelcyre, cioè, l’estremo sud dell’Albania. Dopo l’8 settembre in mancanza di ordini si decise lo spostamento verso porto Edda. Il porto si trova a Saranda (Santi Quaranta) […].Il 14 di settembre, poco prima della partenza, le postazioni della guarnigione di Grahot (Gjiro-kastër) vennero attaccate dai nazionalisti albanesi. La reazione degli italiani fu durissima; i nazio-nalisti lasciarono sul campo decine di morti, compreso il capo, Hysni Lepenica. […]Un altro agguato fu riservato a due battaglioni della “Perugia”, di stanza a Këlcyra e a Përmet, ad opera dei nazionalisti di Ali bej Këlcyra, nello spostamento verso Tepelenë (già nelle mani dei tedeschi). La perdita fu di cinquanta uomini circa. Chi si salvò rimase prigioniero dei tedeschi e fu inviato a Drashovicë in un campo provvisorio di concentramento dove già si trovavano i militari della “Parma” di stanza a Vlorë. Un altro campo si trovava a Mavrovë. Entrambi i campi vennero ripetutamente attaccati dai partigiani, e gli italiani liberati poterono proseguire tra mille peripezie la marcia verso Saranda.Nel frattempo arriva l’ordine dall’Italia di difendere Saranda dall’occupazione tedesca, in vista dell’arrivo dall’Italia delle navi che avrebbero portato via la truppa. Le navi arrivarono ma non riuscirono a portare via tutta la truppa. In attesa delle altre navi che non arriveranno mai, il 26 settembre 1943, fu respinto il tentativo dei tedeschi di occupare il porto. […].Si decise allora lo spostamento verso nord, a Porto Palermo (Vlorë) e nell’attraversamento, il generale Chiminello, sotto la pressione dei partigiani, ordina la consegna delle armi. Si evita così di ingaggiare un’altra battaglia, poiché si era quasi certi della partenza verso l’Italia. […]. Le navi non arriveranno neanche a Porto Palermo, e così la sorte dei militari italiani fu segnata. Si

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trovavano in una zona di accesi combattimenti tra partigiani e tedeschi, disarmati e senza viveri. Chi non riuscì a spingersi molto in alto, verso i monti, cadde nelle mani dei tedeschi. Il comando tedesco decise la fucilazione degli ufficiali.Il 4 ottobre 1943, a Saranda venne fucilato il generale Chiminello con altri centoventi ufficiali. Altri trentadue verranno fucilati tre giorni dopo a Kuç, roccaforte dei partigiani, caduta nelle mani dei tedeschi dopo violenti combattimenti» (Manfred Bushi, Quel maledetto giorno di set-tembre, in «Albania News» [www.albanianews.it], 21 agosto 2008, URL consultato il 3.04.2015).

6. L’Hotel Brufani Palace di Perugia (sito in piazza Italia) vanta tuttora «una vista magnifica sulla vallata umbra».

7. Oggi Aeroporto Internazionale dell’Umbria-Perugia, situato tra Perugia e Assisi in località Sant’Egidio.

8. Italo Balbo (Quartesana 1896 – Tobruch 1940) è comandante della Milizia Volontaria per la Sicurezza nazionale dal 1924 al 1925, ministro dell’Aeronautica del Regno d’Italia dal 1929 al 1933, governatore della Libia dal 1934 al 1940. Grazie a due voli transoceanici su idrovolanti in formazione (nel 1930-1931 e nel 1933) raggiunge enorme popolarità.

9. Il termine designa il segretario del Partito nazionale fascista, Michele Bianchi (Belmonte Calabro 1882 – Roma 1930), e i tre comandanti generali delle squadre d’azione, Emilio De Bono, Cesare Maria De Vecchi e Italo Balbo, ai quali su proposta di Mussolini è affidato il com-pito di preparare la marcia su Roma.

10. Si veda il capitolo Napoli, nota 114.11. La Coppa Schneider è una gara di velocità per idrovolanti, su circuito triangolare, dispu-

tata undici volte, dal 1913 al 1931 e divenuta assai celebre negli anni Venti del Novecento.La Coppa è esplicitamente menzionata in Porco rosso (Giappone, 1992), film d’animazione del regista Hayao Miyazaki, figlio di un progettista aeronautico giapponese legato all’industria bellica della seconda guerra mondiale. Il protagonista, il pilota italiano Marco Pagot (il “Porco rosso” del titolo), alla guida del suo idrovolante Savoia 21 Folgore, affronta in memorabili duelli aerei l’avversario americano Donald Curtis, alla guida del formidabile Curtiss R3C-2 (idrocorsa vin-citore della Schneider nel 1925). Non solo: «l’idrocorsa Macchi M.39 con cui [il pilota Arturo Ferrarin, che nella realtà storica, per la prima volta, nel 1920 coprì il percorso aereo Roma Tokyo] affianca Pagot nel film è proprio quello usato da Ferrarin nella Coppa Schneider del 1926»; e l’idrovolante di Porco Rosso monta un motore Fiat AS.2, con il quale Mario De Bernardi vince la Coppa nello stesso anno (Valeria Rinaldi, Hayao Miyazaki. Un mondo incantato, Ultra, Roma 2014, pp. 120-129).

12. Emilio De Bono (Cassano d’Adda 1866 – Verona 1944), maresciallo d’Italia e senatore del Regno, dopo essere stato governatore della Tripolitania italiana e ministro delle colonie, è commissario dell’Africa Orientale Italiana e governatore dell’Eritrea nel 1935.

13. Pietro Badoglio (Grazzano Monferrato 1871 – Grazzano Badoglio 1956) è nominato duca di Addis Abeba dal re Vittorio Emanuele III. Dopo la deposizione di Mussolini, il 25 luglio 1943, guida il governo di coalizione che porta l’Italia all’armistizio del 3 settembre 1943.

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14. Cesare Maria De Vecchi (Casale Monferrato 1884 – Roma 1959), generale del Regio Esercito e senatore del Regno, è governatore della Somalia dal 1923 al 1928 e successivamente governatore della colonia delle isole italiane nell’Egeo dal 1936 al 1940.

15. «Il RO.41 è un biplano di costruzione mista, metallo, legno e tela e i saettoni irrobustisco-no la velatura. La fusoliera è a traliccio di tubi di acciaio. La versione biposto era a doppio coman-do con i seggiolini disposti in tandem; i posti erano sempre scoperti e muniti di vetro tagliavento. Il RO.41 venne usato prevalentemente come addestratore nelle scuole di specialità caccia» (in www.aeronautica.difesa.it, URL consultato il 3.04.2015). Prodotto dalle Officine Aeronautiche Meridionali Romeo, è utilizzato dalla Regia Aeronautica a partire dal 1935.

16. Il BA.25 è un biplano da addestramento, monomotore, progettato e prodotto dalla So-cietà Italiana Ernesto Breda pure a partire dal 1935. È l’addestratore di base maggiormente uti-lizzato nelle scuole di volo della Regia Aeronautica.

17. Discesa in picchiata, in assetto verticale.18. La Milizia per la difesa antiaerea territoriale (DICAT), istituita nel 1930, ha il compito di

coadiuvare le forze armate nella difesa del paese da attacchi aerei nemici.19. L’aeroporto “Leopoldo Eleuteri” di Castiglione del Lago, in provincia di Perugia, è sede

della Scuola Caccia dal 1932 al 1934, e della Scuola di pilotaggio di secondo periodo a partire dal 1937; la Scuola caccia è distaccata nel vicino aeroporto di Foligno, pure in provincia di Perugia.

20. Renato Frulli, di Aulla, combatte successivamente nel bombardamento terrestre. Nell’ar-chivio di famiglia è conservato un suo bel ritratto fotografico con dedica a Giuseppe in data 12 giugno 1941: «A te carissimo Pinotto, per me Ciccio, questa mia offro a ricordo dei 16 lunghi mesi trascorsi impegnati quali compagni di volo, di camera, di liete e tristi avventure vissute in quel di Perugia e Pordenone, con il sincero augurio di prosperità nelle tue terre del Gimma, di numerose medaglie, di felici amori e con la speranza di potere ancora trascorrere giorni di cara compagnia sia in guerra ed in pace, sia sulla terra o nell’aria che insieme imparammo a solcare».

21. Il CR.20 è un biplano da caccia, progettato da Celestino Rosatelli (di qui le iniziali CR) per Fiat Aviazione; è impiegato dalla Regia Aeronautica negli anni Venti e Trenta e durante la guerra d’Etiopia.

22. Si veda il capitolo Napoli.23. Il generale Vincenzo Biani è capo divisione operazioni dello Stato Maggiore della Regia

Aeronautica durante la seconda guerra mondiale. Nel 1933, con il grado di capitano, prende parte alla Crociera del Decennale (della Regia Aeronautica) organizzata da Italo Balbo in oc-casione dell’Esposizione Universale di Chicago: è a capo di una delle otto squadriglie (la verde stellata), ciascuna costituita da tre idrovolanti, che partecipano al volo transoceanico. Nello stesso anno pubblica il volume Ali italiane sul deserto, Bemporad, Firenze 1933, ripubblicato l’anno successivo per lo stesso editore con titolo lievemente mutato in Ali sul deserto: il libro contiene il resoconto - non ufficiale, ma attendibile - delle operazioni militari italiane in Libia, in particolare del bombardamento dell’oasi di Gife avvenuto nel gennaio 1928, durante il quale sono utilizzati sulla popolazione civile gas proibiti dagli accordi internazionali (si veda Eric Salerno, Genocidio

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in Libia. Le atrocità nascoste dell’avventura coloniale italiana (1911-1931), Manifestolibri, Roma 2005, pp. 62-64).

24. Gli aerosiluranti sono aerei da bombardamento che al posto delle bombe aeree convenzio-nali trasportano un siluro, sganciato per colpire e affondare navi da guerra anche in movimento.Gli aerosiluranti italiani sono considerati, a ragione, la specialità più incisiva della Regia Aeronau-tica durante la seconda guerra mondiale.Per conoscere la specialità, è fondamentale il volume del generale Carlo Unia, Storia degli aerosi-luranti italiani, Bizzarri, Roma 1974, di pp. 428, basato sull’attenta collazione delle testimonian-ze dei piloti protagonisti delle numerosissime azioni alle quali prendono parte gli aerosiluranti. Il volume, tuttavia, non può avvalersi della consultazione delle liste della sezione storica dell’Ammi-ragliato britannico, inviate negli anni Cinquanta del secolo scorso all’Ufficio Storico della Marina Militare (USMM) italiana, nelle quali sono gli elenchi delle perdite navali angloamericane che, unitamente ai Bollettini sull’attività della Regia Aeronautica, costituiscono le fonti documentarie alla base del saggio di Francesco Mattesini, I successi degli aerosiluranti italiani e tedeschi in Mediterraneo nella 2a guerra mondiale, in «Bollettino d’Archivio dell’Ufficio Storico della Mari-na Militare», XVI, marzo 2002, pp. 9–94. Tra i contributi recenti, rigoroso e pregevole sotto il profilo iconografico il dossier di Fabio Bianchi – Antonio Maraziti, Gli aerosiluranti italiani 1940-1945. I reparti, le macchine, le imprese, «Storia militare», III, 14 (maggio-giugno 2014), di pp. 128, al pari del fascicolo monografico in lingua inglese di Marco Mattioli, Savoia Mar-chetti S.79 Sparviero Torpedo-Bomber Units, Osprey, Oxford 2014, n. 106 della collana «Osprey Combat Aircraft», di pp. 96. Per una visione d’insieme si veda invece Mirko Molteni, L’avia-zione italiana 1940-1945. Azioni belliche e scelte operative, Odoya, Bologna 2012, di pp. 638.La Regia Aeronautica entra in guerra il 10 giugno 1940 priva di una specialità aerosiluranti. «L’idrosiluramento d’alto mare» è tuttavia presente nel programma di rinnovamento e poten-ziamento delle forze aeree varato nel 1923 a seguito dell’istituzione dell’arma. Negli anni Trenta la nuova specialità stenta però ad affermarsi, per la reciproca diffidenza e la conseguente rivalità tra Regia Marina e Regia Aeronautica, che se ne contendono il controllo e la guida operativa. Il primo Reparto Sperimentale Aerosiluranti, quasi immediatamente rinominato Reparto Speciale Aerosiluranti, è infatti istituito a Gorizia il 25 luglio 1940. «Inizialmente gli S.79 del Reparto Speciale Aerosiluranti furono soltanto cinque, e uno di essi andò perduto, per affrettata prepa-razione, il 15 agosto 1940 alla prima azione bellica […]. I restanti quattro velivoli, dislocati in Libia, costituirono il 1° settembre 1940 la 278a Squadriglia, detta per il suo modesto organico dei “Quattro gatti”.A partire dal 28 ottobre di quell’anno fu istituito a Gorizia, al comando dell’allora tenente colon-nello Carlo Unia, il 1° Nucleo Addestramento Aerosiluranti, che servì a preparare entro il primo semestre del 1941 altre cinque squadriglie poi destinate nei vari settori operativi del Mediterra-neo: la 279a in Sicilia, la 282a in Libia, la 281a in Egeo, la 280a e la 283a in Sardegna. Queste due ultime squadriglie nell’estate del 1941 costituirono, ad Elmas, il 130° Gruppo Aerosiluranti S.79, che poi, in settembre, fu raggiunto in Sardegna dall’intero 36° Stormo Aerosiluranti, costituito

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dai Gruppi 108° e 109°, e totalmente equipaggiato con velivoli S.84, che si installò a Decimo-mannu.Con la costituzione di altre squadriglie – il cui personale fu in gran parte addestrato dal 2° e 3° Nucleo Addestramento Aerosiluranti, istituiti, nella seconda metà del 1942, a Capodichino (Na-poli) e a Pisa – la specialità, nel frattempo rinforzata con il 32° Stormo (Gruppi 38° e 89°), equi-paggiato con velivoli S.84, e con i Gruppi 104° e 105°, 130° e 131° che disponevano dell’S.79, raggiunse il massimo dell’incremento organico, tanto da poter contare ai primi di novembre di quell’anno su 147 velivoli ripartiti in dodici gruppi d’impiego, ciascuno su due squadriglie. Tale ripartizione organica restò inalterata fino alla fine dell’anno, quando furono disciolti alcuni repar-ti equipaggiati con S.84, mentre il 36° Stormo, e l’89° Gruppo del 32° Stormo, sostituirono tale tipo di velivolo con il più affidabile S.79, le cui prestazioni erano state migliorate con il nuovo e potente motore Alfa 128.Successivamente […] fu necessario sopprimere altri gruppi, allo scopo di concentrare la massa degli S.79 ancora operativamente disponibili (circa 70), nel Raggruppamento Aerosiluranti. Esso fu istituito il 1° giugno 1943 con i Gruppi, 89°, 41°, 131° e 108°, mentre restarono come reparti autonomi, ma in condizioni organiche completamente deficitarie, il 104° Gruppo dislocato in Egeo, il 132° a Gorizia e il 130° a Littoria (oggi Latina). Quest’ultimo Gruppo fu poi soppresso nell’estate, e i suoi restanti equipaggi furono aggregati a quelli del 132° Gruppo, che fino all’ar-mistizio del 8 settembre 1943 restò il reparto organico di maggior valore operativo, e quello che ottenne i risultati più eclatanti». (Francesco Mattesini, I successi degli aerosiluranti italiani e tedeschi in Mediterraneo nella 2a guerra mondiale, in «Bollettino d’Archivio dell’Ufficio Storico della Marina Militare», XVI, marzo 2002, pp. 9–94, alle pp. 11-12).Quanto al contributo alla guerra portato dalla specialità, nel 1940 le azioni contro la flotta bri-tannica sono effettuate soltanto «in occasione di movimenti delle forze navali nemiche». L’anno seguente registra invece «alcune azioni di rilievo, con risultati incoraggianti», che tuttavia non vanno di fatto a contrastare o impedire il passaggio di convogli scortati dalla flotta britannica, per quanto gli equipaggi vantino spesso successi superiori a quelli effettivamente conseguiti. Nel 1942, all’incremento del numero di reparti non corrisponde «una diretta proporzione del rendi-mento operativo», per cause molteplici: assenza di bersagli nella prima parte dell’anno; incapacità dell’apparato industriale italiano di rimpiazzare le perdite; penuria di carburante che non consen-te di effettuare le necessarie esercitazioni di volo, con la conseguenza di una limitata preparazione dei piloti e di una minore probabilità di sopravvivenza sul campo di battaglia; peggioramento della situazione bellica dell’Asse, dovuto alla progressiva avanzata degli Alleati; mancanza di pro-tezione da parte della caccia nazionale durante le operazioni di contrasto. L’anno successivo, ultimo anno di guerra nel Mediterraneo per l’Italia, l’attività degli aerosiluranti prosegue senza sosta. Gli equipaggi italiani sono impegnati prevalentemente in azioni notturne, pur senza averne specifica preparazione; la situazione della specialità risulta molto precaria per la penuria di piloti ed equipaggi, la scarsità di apparecchi, la carenza di carburante, a fronte del numero di navi e aeroplani a disposizione degli angloamericani. «Nonostante le straordinarie condizioni di infe-

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riorità numerica e qualitativa, gli equipaggi degli aerosiluranti […] continuarono a battersi fino all’ultimo cogliendo ancora qualche successo durante le loro ultime ed ormai solitarie missioni notturne». (Fabio Bianchi – Antonio Maraziti, Gli aerosiluranti italiani 1940-1945. I reparti, le macchine, le imprese, «Storia militare. Dossier», III, 14 (maggio-giugno 2014), pp. 20, 26, 47-53, 67).Conclude Francesco Mattesini: «Secondo i nostri dati, nel corso della seconda guerra mondiale gli aerosiluranti italiani affondarono complessivamente otto navi militari per 15.968 tds [ton-nellate di dislocamento] e quindici navi mercantili per 77.552 tsl [tonnellate di stazza lorda], e danneggiarono quattordici navi militari, per 131.688 tds [tonnellate di dislocamento], e tre navi mercantili per 23.627 tsl [tonnellate di stazza lorda]. Tali cifre possono apparire alquanto modeste, soprattutto se confrontate a quanto, esageratamente, era stato affermato dalla propa-ganda di guerra, nonché rispetto allo sforzo profuso e alle perdite subite». Più volte nel corso del 1942 il capo di stato maggiore della Regia Aeronautica generale Rino Corso Fougier richiama con durezza i comandi delle grandi unità aeree «per eliminare da questa specialità [gli aerosilu-ranti] tutti quelli che non meritano di dividerne le glorie», per prudenza o ignavia (nota del 3 settembre 1942). Ma al termine di quasi trentasette mesi di guerra, dal 15 agosto 1940 all’8 settembre 1943, le perdite «risultarono in effetti assai elevate, dal momento che dalle circa 2500 [2408 secondo Marco Mattioli] missioni belliche svolte dagli aerosiluranti non rientrarono alla base 110 aerei della specialità» e dunque «dobbiamo convenire che il rendimento complessivo ottenuto dai nostri equipaggi contro le navi militari nemiche rappresenta un elemento di tutto rispetto» (Francesco Mattesini, I successi degli aerosiluranti italiani e tedeschi in Mediterraneo nella 2a guerra mondiale, in «Bollettino d’Archivio dell’Ufficio Storico della Marina Militare», XVI, marzo 2002, pp. 9–94, alle pp. 63, 45, e ancora 63).«No one can deny that Italy’s torpedo-bomber crews well deserved the laurels of fame they ear-ned both during and after the war, not only in Italy but also abroad» (Marco Mattioli, Savoia Marchetti S.79 Sparviero Torpedo-Bomber Units, Osprey, Oxford 2014, p. 87).

25. Piccolo comune della provincia di Pordenone, in Friuli Venezia Giulia; nel 1911 vi è realizzato uno dei primi campi di aviazione per la Regia Aeronautica, divenuto base aerea NATO nel 1954. Il fiume citato poco oltre è quasi certamente il torrente Cellina.

26. Il BR.20 è un bombardiere bimotore, progettato negli anni Trenta da Celestino Rosatelli per Fiat Aviazione; è utilizzato nella guerra di Spagna e, successivamente, come aereo da adde-stramento.

27. Voce partenopea: «prendevamo».28. Carlo Faggioni (Carrara 1915 – Nettunia 1944) consegue giovanissimo, nel 1935, il bre-

vetto di pilota militare. Dopo aver preso parte alla guerra d’Etiopia, nel 1937, al ritorno in Italia è trasferito alla scuola di Aviano in qualità di istruttore. Nel 1941 è assegnato alla 281a squadriglia aerosiluranti guidata da Carlo Emanuele Buscaglia; l’anno successivo, la 281a e la 278a danno vita al 132º Gruppo aerosiluranti: in entrambe le formazioni, al comando del leggendario SM.79, compie ben ventuno azioni di siluramento. Dopo l’armistizio, nell’ottobre 1943, aderisce alla

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Repubblica Sociale Italiana; combatte nell’Aeronautica Nazionale Repubblicana quale coman-dante del 1º Gruppo Aerosiluranti “Buscaglia” fino all’abbattimento da parte della contraerea angloamericana, il 10 aprile 1944, durante la battaglia di Anzio.

29. «Nel gergo aviatorio, un bel manico, un bravo pilota (intendendosi per metonimia con manico la barra di comando dell’aereo)» (in www.treccani.it, URL consultato il 3.04.2015).

30. Ufficiale in servizio non permanente nell’arma.31. Ufficiale in servizio permanente nell’arma.32. Si veda il capitolo Africa Orientale, note 37 e 43. Giuseppe Faggioni, padre di Carlo, era

probabilmente il comandante della 4a Legione “Filippo Corridoni” della MVSN con sede ad Harar, con il grado di primo seniore, ovvero tenente colonnello, al pari di Giuseppe sr.

33. Forse il tenente Giuseppe Bosi, già attivo in Africa Orientale Italiana.34. Probabilmente Niccolò Piccolomini, appartenente al 2° Nucleo addestramento aerosilu-

ranti di Napoli Capodichino.35. Enea Silvio Piccolomini (Corsignano [oggi Pienza] 1405 – Ancona 1464) è papa dal

1458 alla morte.36. Vittorio Cannaviello (Napoli 1906 – Canale di Sicilia 1943) entra a far parte degli aero-

siluranti nel maggio 1941; nel febbraio 1942 assume il comando del 2º Nucleo Addestramento Aerosiluranti di Napoli Capodichino; nel dicembre dello stesso anno è destinato allo Stato Mag-giore della Regia Aeronautica e nella primavera del 1943 è inviato come addetto aeronautico presso la Legazione italiana di Belgrado. Dopo lo sbarco in Sicilia diviene comandante del 132° Gruppo Autonomo Aerosiluranti di stanza a Littoria; muore il 12 agosto dello stesso anno ed è insignito di medaglia d’oro al valor militare alla memoria.

37. «L’origine del simbolo araldico dei “4 Gatti” […] risale a un primo stemma della 278a Squadriglia Autonoma Aerosiluranti (quattro gatti, due bianchi e due neri sopra un siluro con la scritta Pauci sed semper immites [Pochi ma sempre all’attacco]). L’idea risale alla fine del 1940 e fu del Capitano Massimiliano Erasi, mentre il disegno dello stemma fu realizzato dal Sottotenente GAri [Genio Aeronautico ruolo ingegneri e fisico-chimici] Alessandro Maffei. A tale stemma e a una battuta del Tenente Colonnello Paolo Moci (Comandante del 28° Gruppo: “Sempre i soliti quattro gatti... in giro per il mondo”) fecero riferimento gli stemmi dei ricostituiti 28° e 132° Gruppo: entrambi raffiguravano, visti dal di dietro, quattro gatti con la coda dritta che camminavano sul mondo. I quattro gatti erano neri nello stemma del 132° e bianchi in quello del 28°. Sotto il disegno il motto Sempre i soliti» (in www.aeronautica.difesa.it, URL consultato il 2.05.2015).

38. Claudio Setta, tenente di complemento.39. Si tratta del convoglio inglese Substance, che gli aerosiluranti italiani attaccano il 23 luglio 1941.40. A Decimomannu, in Sardegna, ove si trova il 3º Nucleo Addestramento Aerosiluranti.41. Francesco (Ciccio) Aurelio Di Bella (Roccalumera 1914 – Grosseto 1972). Già in servizio

nei bombardieri terrestri, nel 1941 chiede di essere trasferito negli aerosiluranti ed è assegnato alla 283ª Squadriglia.

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42. È probabilmente il sergente maggiore Bruno Bianchi, che nel 1931 partecipa alla crociera aerea transatlantica Italia-Brasile guidata da Italo Balbo.

43. Si veda la nota 36.44. È probabilmente il capitano Guglielmo Di Luise.45. Castel dell’Ovo è il castello più antico di Napoli: proteso sul mare, si trova di fronte a

Mergellina, tra i quartieri San Ferdinando e Chiaia.46. Barca a vela a un albero, con due vele di prua (fiocco e trinchetta).47. L’aeroporto militare di Lecce-Galatina è inaugurato nel 1931. Durante la prima fase della

guerra diviene una base strategica per le operazioni nei Balcani e nel Mediterraneo.48. Tenente pilota, già attivo nella rioccupazione dell’isola di Castelrosso/Megisti, nell’Egeo

orientale, nel febbraio 1941. L’isola è divenuta celebre quale luogo di ambientazione del film Mediterraneo di Gabriele Salvatores (Italia, 1991).

49. In senso figurato, «di persona che si dà grande importanza, che si ritiene molto potente o molto capace, o è da altri ritenuta tale» (si veda www.treccani.it, URL consultato il 3.04.2015).

50. Voce partenopea: «fece».51. Voce partenopea: «stupido»; l’iterazione ha valore rafforzativo.52. Partigiani jugoslavi di Tito. Nel settembre 1943 Gorizia è teatro di una violenta battaglia

tra resistenti italiani della Brigata Proletaria (costituita da operai di Monfalcone e militari del disciolto Esercito Regio) e partigiani sloveni da una parte, truppe tedesche dall’altra. In seguito alla vittoria di queste, la città e l’intera Venezia Giulia sono annesse all’Adriatisches Küstenland (Litorale adriatico), sotto il diretto controllo nazista. Dopo la disfatta dell’esercito tedesco, dal 2 maggio al 12 giugno 1945 Gorizia è occupata dai partigiani jugoslavi di Tito, che attuano una repressione nei confronti di fascisti e militari italiani.

53. Città della Libia nord-orientale, antico capoluogo della Cirenaica, nel 1939 è costituita in provincia italiana (provincia di Derna) e ufficialmente unita, insieme alle altre tre province libiche (Tripoli, Misurata e Bengasi), al territorio nazionale.

54. La 279a squadriglia aerosiluranti.55. Il Savoia-Marchetti SM.79 Sparviero è un trimotore ad ala bassa, progettato come aereo

da trasporto civile veloce, che entra in servizio nel 1936. Costruito in legno, tela e metallo, è impiegato per la prima volta nella guerra civile in Spagna, quindi durante la seconda guerra mondiale nel Mediterraneo, prima come bombardiere, poi come aerosilurante. È denominato sia S.79 (da SIAI-Savoia, ovvero Società Idrovolanti Alta Italia e Società Anonima Costruzioni Aeronautiche Savoia, acquisita nel 1920), sia SM.79 (Savoia–Marchetti, dal nome dell’ingegner Alessandro Marchetti, capo progettista della SIAI-Savoia dal 1922). Il nome “Sparviero” gli è attribuito ufficialmente dallo Stato Maggiore della Regia Aeronautica l’11 ottobre 1940; quello di “Gobbo Maledetto” (Damned Hunchback), invece, dai piloti inglesi della RAF, a causa della “gobba” armata di mitragliatrice posta dietro l’abitacolo. «In campo aereonavale fu l’aerosilurante delle battaglie del Mediterraneo, dove pur ottenendo numerosi successi con l’affondamento di numerosi navigli da carico nemici, il costo di vite umane degli equipaggi di volo risultò elevatis-

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simo» (Il Museo storico dell’aeronautica Militare di Vigna di Valle, a cura di Massimo Mondini, Vigna di Valle 20063, pp. 54-55).

56. Il Savoia Marchetti SM.81 Pipistrello è un bombardiere trimotore ad ala bassa, che entra in servizio nel 1935. È impiegato per la prima volta nella guerra civile in Spagna, quindi durante la seconda guerra mondiale.

57. Orfeo Fiumani è componete della 281a squadriglia, dislocata nell’Egeo.58. «Il comando della 279a Sq. [squadriglia] è assunto nella prima quindicina dell’agosto

1941 dal capitano Marini Giulio e alla Sq. [squadriglia] sono assegnati il tenente di vascello os-servatore La Bella Giuseppe, i tenenti piloti Ranieri Guglielmo e Massera Mario, i sottotenenti Strani Aligi e Coci Giuseppe, tutti volontari che chiedono soltanto di combattere nella nuova specialità» (Carlo Unia, Storia degli aerosiluranti italiani, Bizzarri, Roma 1974, p. 129).

59. Voce partenopea: «stuzzicare».60. Sottufficiale addetto alle armi di bordo.61. Località situata sulla costa orientale della Libia, tra le città di Derna e Tobruch.62. Espressione partenopea: «in mare».63. L’Aeronautica Macchi, negli anni immediatamente successivi alla Grande guerra, si spe-

cializza nella costruzione di idrovolanti, che detengono più volte il record assoluto di velocità (si veda la nota 11); durante la seconda guerra mondiale produce invece alcuni dei più famosi caccia italiani: l’MC.200, l’MC.202 e l’MC.205, quest’ultimo considerato particolarmente temibile.

64. Il Fiat G.50 Freccia è un aereo da caccia - monomotore, monoplano, monoposto - pro-gettato e costruito nella seconda metà degli anni Trenta da Fiat Aviazione.

65. «Il 1° dicembre per ordine della 5a Squadra Aerea, fra le 7,45 e le 8,20 partono 3 velivoli della 279a Sq. [squadriglia] […]. Alle 11,25 partono altri 3 velivoli della stessa Sq.[squadriglia] con i seguenti equipaggi:

• Giulio Marini (Arcarisi, Chierici, Franco, Zanuttini, Paolini)• Strani (Gigli, Franchetta, Caruso, Meo)• Coci (Merlo, Cangiano, Martoni, Zamola)

alla ricerca di una f [flotta] n [navale] composta da 4 incrociatori e segnalata a nord di Tobruch […]. Alle 12,18 in posizione 32°12’N [Nord] – 24°41’E [Est] vengono avvistate 4 unità che na-vigano verso levante, in linea di fronte e a notevole velocità, apprezzata in circa 28 mgl [miglia]. Si tratta di incr. [incrociatori] e cc.tt. [cacciatorpedinieri]. I tre velivoli prendono quota e rag-giungono il lato destro della formazione nascondendosi fra le nubi. Escono poi dalle nubi a 3000 m di distanza e si dirigono all’attacco: Marini sgancia contro l’unità a poco più di 700 m […]. Strani che ha seguito il capo pattuglia nell’attacco, sgancia e ritiene di aver colpito la stessa unità. Coci con abilissima manovra attacca la stessa unità sul lato sinistro e la colpisce al centro. […] Da fonte inglese (Cunningham) si sa che l’unità silurata era il ct. [cacciatorpediniere] “Jackal”. Per i gravi danni riportati (non viene precisato se colpita da uno o più siluri) a stento l’equipaggio riuscì a riportare l’unità ad Alessandria senza che affondasse sulla rotta» (Carlo Unia, Storia degli aerosiluranti italiani, Bizzarri, Roma 1974, p. 154).

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66. Con Giuseppe compiono l’azione il capitano Giulio Marini e il sottotenente Aligi Strani.67. Città della Libia nord-orientale, situata circa centosettanta chilometri a est di Derna.68. Alessandria d’Egitto: dista circa seicentosettanta chilometri da Tobruch.69. Nave da guerra relativamente leggera (in questo caso di cinquemila tonnellate) e veloce,

progettata per difendere la flotta dagli attacchi aerei.70. In base alla ricostruzione del generale Carlo Unia, non si tratta dell’incrociatore leggero

Phoebe, bensì del cacciatorpediniere Jackal, seconda unità della classe J, flottiglia di cacciator-pedinieri costituita da otto unità, i nomi delle quali iniziavano tutti con la lettera J. Il caccia-torpediniere è una nave da guerra veloce e manovrabile, dotata di grande autonomia, anch’essa progettata per difendere la flotta dagli attacchi aerei e sottomarini.

71. Questa la motivazione del Ministero della Difesa - Aeronautica: Capo equipaggio di velivo-lo aerosilurante, in ore diurne partecipava volontariamente al siluramento di un incrociatore nemico di medio tonnellaggio facente parte di una consistente formazione e noncurante della violentissima e precisa reazione contraerea sganciava alla minima distanza un siluro colpendo l’unità nemica che ra-pidamente affondava. Cielo del Mediterraneo Centro-Orientale, 1° dicembre 1941. La motivazione contiene, evidentemente, alcune inesattezze.Come scrive Margherita Calò a Giuseppe il 2 dicembre 1941, Silvio Coci informa immediata-mente dell’impresa – resa nota via radio dal Bollettino di guerra n. 549 del 3 dicembre - l’amico Vincenzo Tecchio e il quotidiano «Il Mattino» di Napoli, che ne pubblica il resoconto in due articoli del 4 dicembre (Il sottotenente Coci affondatore audace dell’incrociatore inglese) e del 5 dicembre (Il sottotenente Giuseppe Coci siluratore dell’incrociatore britannico nel Mediterraneo), entrambi corredati da fotografia.

72. Il Jackal è infatti colpito al largo del porto egiziano di Mersa Matruh l’11 maggio 1942 e autoaffondato il giorno seguente.

73. In Africa settentrionale, dopo l’occupazione di Sidi Barrani a opera dell’Esercito italiano comandato da Rodolfo Graziani (12 settembre 1940), gli inglesi sferrano un’offensiva (8 dicem-bre 1940 - 9 febbraio 1941) che si spinge fino a Bengasi. L’intervento di rinforzi aerei tedeschi e di un reggimento corazzato (Afrika Korps), al comando di Erwin Rommel, inverte i rapporti delle forze: fra il 28 marzo e il 29 aprile 1941, le forze britanniche, in una situazione di netta in-feriorità, sono costrette all’abbandono della Cirenaica. Nel corso dell’anno, il generale britannico Claude Auchinleck, disponendo delle truppe del Commonwealth dopo la capitolazione dell’Afri-ca Orientale Italiana e utilizzando i primi mezzi forniti in grande misura dagli Stati Uniti, scatena un’offensiva (11 novembre 1941 - 11 gennaio 1942) con cui riesce a rioccupare tutta la Cirenai-ca. Pochi giorni dopo il comando dell’Asse, ricevuti notevoli rinforzi, sferra la terza offensiva (21 gennaio - 10 febbraio 1942), che sorprende gli inglesi esauriti e li costringe a ritirarsi dalla Ci-renaica. Nella quarta e ultima offensiva dell’Asse (27 maggio - 30 giugno 1942), gli inglesi sono inseguiti fino all’istmo di El Alamèin, dove il 30 le forze italiane e tedesche si attestano. Il nuovo comandante inglese, Bernard Law Montgomery, il 23 ottobre sferra la terza offensiva britannica, travolgendo il 3 novembre il diaframma difensivo di El Alamèin. Tra il 17 aprile e il 13 maggio

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1943, gli angloamericani sferrano l’offensiva finale, che elimina le forze dell’Asse in Africa (www.treccani.it/enciclopedia/seconda-guerra-mondiale/, URL consultato il 4.05.2015).

74. Misurata è una città della Libia, posta all’estremità occidentale del golfo della Sirte. Gli italiani lasciano la Libia orientale arretrando verso quella occidentale.

75. Il golfo della Sirte è un’ampia insenatura sulla costa settentrionale della Libia: si estende da Misurata a occidente a Bengasi a oriente. La distanza tra le due città è di oltre ottocento chi-lometri via terra, circa cinquecento via mare (o cielo). Il verbo tagliammo allude evidentemente alla rotta più breve percorsa dagli aerei italiani.

76. Bengasi è una città della Libia, posta all’estremità orientale del golfo della Sirte. 77. L’arco dei Fileni, progettato dall’architetto Florestano Di Fausto, è eretto nel 1937 per

volontà di Italo Balbo, allora governatore della Libia, sulla via Balbia, al confine tra Tripolitania e Cirenaica. Deve il suo nome ai due fratelli cartaginesi Fileni, che garantirono alla propria città il controllo del territorio della Tripolitania a scapito dei greci di Cirene, ai quali restò quello della Cirenaica. L’arco, smantellato nel 1973, si trovava nei pressi dell’attuale città petrolifera di Ras Lanuf.

78. Su Italo Balbo si veda la nota 8.79. Giulio Marini, nato a Roma il 9 febbraio 1916. Si veda la nota 58.80. Montatore aeronautico, ovvero meccanico specializzato nel settore aeronautico.81. I cosiddetti “nastrini” sono rappresentativi delle decorazioni militari, quando queste non

sono esibite nella loro completezza: sono apposti al di sopra del taschino sinistro della giubba o della camicia d’ordinanza. Strappare i nastrini è un evidente gesto di spregio di un superiore nei confronti di un subalterno.

82. Riferimento a Giulio Marini.83. L’azione si colloca nell’ambito delle operazioni aeronavali effettuate contro un convoglio

inglese in navigazione da Alessandria a Malta: la cosiddetta seconda battaglia della Sirte (21-24 marzo 1942). «Dopo le prime segnalazioni sul complesso navale nemico, dalle quali si aveva ra-gione di arguire che vi fossero due gruppi nemici in mare, alle prime luci dell’alba del giorno 22, precisamente alle 6,30 decollano dalla Cirenaica, per muovere all’attacco del convoglio, 4 velivoli della 279a Sq. [squadriglia] con i seguenti equipaggi

• Cap. Giulio Marini […]• Ten. Dell’Anna […]• St. Pulzetti […]• St. Coci – Merlo – Franchetta – Cangiano – Caruso

[…] Alle 9,35 in Lat. [Latitudine] 34°10’ Long. [Longitudine] 19°10’ viene avvistata la f.n. [flotta navale] inglese navigante per 270°. Al momento dell’avvistamento la formazione compare contro sole e la posizione reciproca delle navi è quanto mai disordinata, come se avessero subito qualche attacco. Vengono contate con una certa difficoltà circa 20 navi in prevalenza leggere. Al centro della formazione vi sono alcuni pfi. [piroscafi] molto ben protetti dal naviglio sottile. A causa della ormai limitata autonomia dei velivoli è impossibile compiere un ampio giro per por-

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tarsi all’attacco con il sole alle spalle, pertanto il capo formazione decide di attaccare ugualmente anche in condizioni di luce sfavorevole. A circa 15.000 m di distanza il nemico apre il fuoco di sbarramento tendente a proteggere i pfi. [piroscafi] situati al centro della formazione. […] Coci attacca un ct. [cacciatorpediniere] sganciando da distanza ravvicinata. Il suo equipaggio nota la caratteristica colonna d’acqua prodotta dallo scoppio di un siluro. Risulterà in seguito che nes-suna unità è stata colpita o perlomeno gravemente danneggiata in questo attacco pur effettuato con coraggiosa decisione» (Carlo Unia, Storia degli aerosiluranti italiani, Bizzarri, Roma 1974, p. 180).

84. Denominazione del campo italiano con funzione di aeroporto presso Bengasi.85. Gli Alleati sbarcano in Marocco e Algeria l’8 novembre 1942, raggiungendo il confine

con la Tunisia nel febbraio 1943.86. Questa la motivazione del Ministero della Difesa – Aeronautica: Capo equipaggio di veli-

volo aerosilurante, in ripetute azioni contro la flotta nemica dava prova di fermezza d’animo, audacia e perizia. Il 1° dicembre si portava decisamente all’attacco di una formazione navale e, superando il violento fuoco nemico, sganciava a distanza ravvicinata il siluro contro l’incrociatore “Phoebe” affondandolo. Il 22 marzo 1942, ripetendo l’attacco contro una poderosa formazione nemica che si difendeva contro un violentissimo fuoco di sbarramento, attaccava e colpiva un cacciatorpedinie-re rientrando col velivolo segnato dal vittorioso combattimento. Cielo del Mediterraneo, dicembre 1941-marzo 1942.

87. Vito Di Mola; il cognome è largamente diffuso in Puglia.88. Si tratta della “Battaglia di mezzo giugno”: una serie di scontri aeronavali avvenuti fra il

12 e il 16 giugno 1942 nel Mediterraneo centrale e orientale. Le forze aeree e navali di Italia e Germania contrastano con successo due operazioni di rifornimento dell’isola di Malta da parte della Royal Navy: la Vigorous da Alessandria d’Egitto e la Harpoon da Gibilterra. La 279a attacca il convoglio proveniente da Alessandria.

89. «Anche dalla Libia decollavano alle 14,20 [del 15 giugno 1942], 6 aerei della 279a Sq. [squadriglia] per muovere all’attacco dello stesso convoglio. Gli equipaggi partecipanti all’azione erano i seguenti:

• Cap. Marini Giulio […]• Cap. Di Mola Vito […]• Ten. Dell’Anna Andrea […]• Ten. Servida Giampaolo […]• St. Coci Giuseppe – Serg. M. pilota Merlo Pietro – 1° aviere marc. [marconista] Can-

giano Cristoforo – av. [aviere] sc. [scelto] mot. [motorista] Franchetta Domenico – av. [aviere] sc. [scelto] arm. [armiere] Ruisi Agostino – av. [aviere] sc. [scelto] fot. [foto-grafo] Ugolini

• St. Mutti Romeo […][…] Coci lancia alle 17.35 da 1.000 m contro un incr. [incrociatore] a proravia della formazione. Uno degli specialisti ritiene di aver visto la caratteristica colonna d’acqua. Tutti i velivoli sono

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stati colpiti ma non gravemente. In seguito a messaggio ricevuto in volo atterrano anziché sulla base di partenza (K-2) sull’aeroporto di Derna.Dai documenti britannici non risulterebbe alcun successo dei 10 aerosiluranti italiani nel pome-riggio del 15 giugno. […] In seguito allo scontro di mezzo giugno, dei 17 mercantili destinati a Malta soltanto due raggiunsero l’isola» (Carlo Unia, Storia degli aerosiluranti italiani, Bizzarri, Roma 1974, pp. 209-210).

90. Questa la motivazione del Ministero della Difesa – Aeronautica: Capo di equipaggio di velivolo aerosilurante partecipava alla luminosa vittoria dell’Ala d’Italia nei giorni 14 e 15 giugno 1942 in Mediterraneo. Cielo del Mediterraneo Orientale, 14-15 giugno 1942.

91. La 278ª squadriglia è unita alla 281ª a formare il 132º Gruppo Autonomo Aerosiluranti, costituito con base a Littoria nell’aprile 1942 e dotato di sedici S.79. Nel giugno dello stesso anno, il Gruppo è trasferito alla base aerea di Gerbini, presso Catania; guidato prima da Mas-similiano Erasi, poi da Carlo Emanuele Buscaglia, prende parte alla battaglia di mezzo giugno, attaccando il convoglio alleato Harpoon diretto a Malta; nei due mesi successivi, partecipa alle azioni contro la flotta britannica nel Mediterraneo centrale.

92. La base aerea di Gerbini, situata in contrada Gerbini nella piana di Catania, è utilizzata dalla Regia Aeronautica e dalla Luftwaffe, l’aviazione militare tedesca: consta di alcuni campi agricoli trasformati in piste di atterraggio.

93. Si tratta della “Battaglia di mezzo agosto”, combattuta nel Mediterraneo centrale dall’11 al 13 agosto 1942: i mezzi aerei e navali dell’Asse attaccano un convoglio alleato diretto a rifornire l’isola di Malta (Operazione Pedestal), conseguendo un netto successo sotto il profilo tattico ma non riuscendo comunque a pregiudicare l’operatività della base nemica, di importanza strategica essenziale per il controllo del Mediterraneo.

94. L’aeroporto dell’isola, in posizione centrale nel Mediterraneo tra Sicilia e Africa, è base di partenza del 132° Gruppo.

95. Città costiera della Tunisia, posta a circa quindici chilometri da Cap Blanc, estrema punta settentrionale del continente africano. L’Isola dei Cani si trova circa venti chilometri a nord–est di Biserta.

96. Il convoglio angloamericano salpato da Gibilterra il 10 agosto comprende in realtà un numero ben superiore di navi: tredici piroscafi, due petroliere, quattro portaerei, due navi da battaglia (la Nelson e la Rodney, appunto: due corazzate tra le più potenti dell’epoca), sette incro-ciatori, sedici cacciatorpediniere, otto sommergibili e venti mezzi minori.

97. Nella battaglia sono affondati gli incrociatori Manchester (gravemente danneggiato e per-ciò autoaffondato) e Cairo, a opera di sommergibili italiani. In base alla ricostruzione del generale Carlo Unia, gli aerosiluranti affondano un cacciatorpediniere, il Foresight: «Alla stessa ora dei tuffatori [17,30 del 12 agosto 1942] sono partiti da Pantelleria anche 14 velivoli aerosiluranti del 132° Gruppo (7 della 278a e 7 della 281a Sq. [squadriglia]). Gli equipaggi a bordo sono i seguenti:

• Cap. Rivoli Ugo […]• Ten. Bargagna Francesco […]

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• Ten. Barani Guido […]• St. Moretti Vittorio […]• St. Pfister Carlo […]• St. Mazzocca Mario […]• St. Coci Giuseppe – Sergente M. Oliviero Andrea – av. [aviere] sc. [scelto] mot. [moto-

rista] Busetto Luigi – av. [aviere] sc. [scelto] marc. [marconista] Catalano Alberto – av. [aviere] sc. [scelto] arm.[armiere] Sciubinico Giuseppe

• Cap. Graziani Giulio Cesare […]• Ten. Faggioni Carlo […]• Ten. Marini Marino […]• Ten. Vinciguerra Pasquale […]• St. Aichner Martino […]• Ten. Manfredi Paolo […]• Ten. Migliaccio Aldo […]

[…] le pattuglie immediatamente dopo i tuffatori, in perfetta sincronia […] superano decisa-mente lo sbarramento ed attaccano lanciando 12 siluri, però ad una distanza troppo elevata, per cui il convoglio accosta in fuori e non subisce danni, eccetto il ct. [cacciatorpediniere] Foresight che sappiamo fu colpito a poppa, a tribordo, da un siluro […]» (Carlo Unia, Storia degli aerosi-luranti italiani, Bizzarri, Roma 1974, p. 227).

98. «L’attacco è ripetuto poco dopo [le 10.00] da 8 S.79 aerosiluranti del 132° Gruppo (dei quali 5 partiti da Pantelleria e 3 da Castelvetrano). Infatti alle 10,20 decollano 4 velivoli della 278a e 4 della 281a Sq. al comando di Graziani, Rivoli, Pfister, Manfredi, Aichner, Coci, Marino Marini (da Verona), Bargagna con i seguenti equipaggi

• Cap. Rivoli Ugo […]• Cap. Graziani Giulio Cesare […]• St. Manfredi Paolo […]• Ten. Marino Marini […]• St. Aichner Martino […]• Ten. Bargagna Francesco […]• St. Coci Giuseppe – Serg. M. Moschi Sesto – av. [aviere] sc. [scelto] marc. [marconi-

sta] Malara Francesco – 1° av. [aviere] mot. [motorista] Savio Guido – av. [aviere] sc. [scelto] all. [allievo] arm. [armiere] Sciubinico Giuseppe – av. [aviere] all. [allievo] fot. [fotografo] Mattei Cesare

• St. Pfister Carlo […]Avvistato il complesso navale l’attacco avviene alle 12,50. […] Manfredi, Aichner, Coci, Marini e Bargagna che formano l’altra pattuglia attaccano una nave da battaglia che sembra del tipo Ma-laya scortata da 3 incr. [incrociatori] ed alcuni cc.tt. [cacciatorpedinieri]. Il fuoco di sbarramento è molto intenso. […] I cinque velivoli sganciano contemporaneamente, ma in quella buriana, da una distanza troppo elevata perché i siluri possano arrivare a segno prima che le navi abbiano

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il tempo di evoluire» (Carlo Unia, Storia degli aerosiluranti italiani, Bizzarri, Roma 1974, pp. 243-245).

99. Promontorio sulla costa algerina, a metà strada circa tra Algeri e Biserta, a ovest della cittadina di Collo.

100. Incrociatore da battaglia della Royal Navy.101. Diminutivo di guidone: «insegna militare».102. Voce partenopea: «dipinto, pitturato».103. Il tenente Mario Spezzaferri, di Torre Annunziata, che si unisce alla 281a squadriglia

nell’aprile 1941, con Carlo Faggioni (sul quale si veda la nota 28).104. L’aeroporto si trova nella parte nord-occidentale dell’isola; costruito nella seconda metà degli

anni Trenta, dispone di un hangar “in galleria”, ricavato nella roccia dall’ingegner Pier Luigi Nervi.105. «Ruotare intorno al proprio asse di imbardata, di un velivolo in volo o durante il rul-

laggio sul campo», da imbardata: «In aeronautica, asse di imbardata, asse normale al piano in-dividuato dall’asse di rollio e dall’asse di beccheggio e passante per il baricentro del velivolo (in condizioni di volo normale è pressoché verticale); e imbardata, la rotazione attorno a tale asse, che può verificarsi, per cause diverse, in volo e sul campo, durante il rullaggio, nelle fasi di decollo e di atterraggio» (www.treccani.it, URL consultato il 3.04.2015).«Che vuol dire imbardare? L’aereo si inclina, fa perno su un semicarrello, l’ala tocca e tu sfasci!» (nota di Giuseppe).

106. Questa la motivazione del Ministero della Difesa – Aeronautica: Capo equipaggio di veli-volo silurante, partecipava a due successivi attacchi contro un convoglio nemico fortemente scortato da unità da guerra. Incurante della violentissima reazione contraerea e dei ripetuti attacchi della caccia avversaria, sganciava i siluri a breve distanza dagli obiettivi, contribuendo ad affondare un incrocia-tore pesante e a danneggiare altre unità da guerra. Cielo del Mediterraneo, 12-13 e 14 agosto 1942.

107. L’aeroporto della città di Cagliari, in località Elmas, è costruito nella seconda metà degli anni Trenta.

108. Il tenente pilota Vittorio Moretti muore a Pantelleria il 12 agosto, in seguito al mitra-gliamento da parte di tre caccia Beaufighter del 248th Squadron (unità dell’aviazione angloame-ricana) partiti da Malta.

109. Piazzetta Messina, al centro del paese capoluogo dell’isola.110. Voce regionale campana: persona «spregevole», per traslato da «maleodorante».111. Abbreviazione campana: «fare»112. Celebre vino isolano prodotto già in età romana da uve zibibbo.113. L’8 novembre 1942 ha inizio l’Operazione Torch, lo sbarco angloamericano guidato

dal generale Dwight Eisenhower in Marocco e in Algeria, di decisiva importanza per la vittoria alleata contro le armate italotedesche in Africa settentrionale.

114. Béjaïa (Bougie in francese) è il principale porto della Cabilia, regione costiera dell’Alge-ria; si trova a duecentotrenta chilometri circa a est di Algeri; gli angloamericani vi sbarcano un contingente di truppe l’11 novembre.

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115. Carlo Emanuele Buscaglia (Novara 1915 – Napoli 1944) consegue il brevetto di pilota militare nel 1937. Nel luglio 1940 è assegnato al Reparto Sperimentale Aerosiluranti, appena costituito a Gorizia, che nel settembre dello stesso anno diviene 278a squadriglia guidata da Massimiliano Erasi. Nel marzo 1941 è a sua volta comandante di una nuova squadriglia, la 281a, di stanza a Gadurrà sull’isola di Rodi. Nell’aprile 1942 è costituito il 132° Gruppo, che unisce la 278ª e la 281ª squadriglia: Buscaglia assume il comando del Gruppo, che dopo un periodo di addestramento a Littoria è trasferito in Sicilia, con il comando a Gerbini e le due squadriglie a Catania e a Castelvetrano. Partecipa alla battaglia di mezzo giugno ed è promosso maggiore per meriti di guerra. Partecipa alle azioni seguite allo sbarco angloamericano a Bougie l’11 e il 12 novembre: in questa data è abbattuto e dichiarato «disperso in azione»; creduto morto, gli è assegnata la medaglia d’oro al valor militare in memoria. Sopravvive invece, sbalzato fuori dall’a-bitacolo con il fotografo Francesco Maiore, è raccolto da una unità britannica e successivamente curato per le ustioni riportate in diversi ospedali militari, infine trasferito negli Stati Uniti e in-ternato in un campo di prigionia. Soltanto verso la fine del 1943, Radio Londra dà la notizia che è ancora vivo. Rientra in Italia con l’Aeronautica Cobelligerante e gli è affidato il comando del 28° Gruppo dello Stormo Baltimore, dislocato nell’aeroporto di Campo Vesuvio, in provincia di Napoli. Vittima di un incidente durante una prova di volo, il 23 agosto 1944, muore il giorno successivo nell’ospedale militare britannico di Napoli.

116. L’11 novembre 1942 una formazione di quattro S.79 comandati da Buscaglia, con gre-gari Giulio Cesare Graziani, Carlo Faggioni e Ramiro Angelucci, si dirige verso la baia di Bougie; prima di giungere sull’obiettivo gli aerosiluranti sono attaccati da alcuni caccia Spitfire: Angelucci è abbattuto e muore con l’intero equipaggio, mentre Buscaglia, Graziani e Faggioni rientrano a Castelvetrano.

117. L’aeroporto militare di Castelvetrano, nei pressi della cittadina in provincia di Trapani, è inaugurato alla fine degli anni Trenta.

118. L’8 novembre 1942 (si veda la nota 113).119. Antica villa signorile nei pressi della cittadina, posta al centro di un ampio uliveto, oggi

casa di vacanze.120. Marino Marini (Castel Goffredo 1911 – Padova 1959), pluridecorato per le sue azioni

con gli aerosiluranti, dopo l’armistizio di Cassibile resta al servizio dell’Aeronautica Nazionale Repubblicana insieme con Carlo Faggioni.

121. Martino Aichner (Trento 1918 – Verona 1994), aiutante maggiore del comandante Bu-scaglia, con Giorgio Evangelisti è autore del volume Storia degli aereosiluranti italiani e del gruppo Buscaglia, edito da Longanesi nel 1969, e, quale unico autore, del successivo volume Il gruppo Buscaglia. Aerosiluranti italiani nella seconda guerra mondiale, edito da Mursia nel 1991.

122. Il tenente Francesco Bargagna, nato a Giulianova nel 1915, muore – probabilmente in azione - il 23 maggio 1943 (come si evince da una lapide collocata nella città natale dall’asso-ciazione nazionale Arma Aeronautica e dedicata agli «aviatori aerosiluranti caduti durante la 2a Guerra mondiale»).

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123. Carlo Pfister (New York 1916 – Caltagirone 1943), nel 1940 rientra in Italia dagli Stati Uniti per arruolarsi nella Regia Aeronautica. Negli aerosiluranti partecipa alla battaglia di mezzo agosto e alle operazioni di contrasto allo sbarco alleato in Africa settentrionale, nel novembre 1942. Muore in un incidente di volo il 19 febbraio 1943; è insignito della medaglia d’oro al valor militare in memoria.

124. A tutta velocità. La manetta è la leva per il comando a mano, ovvero l’acceleratore a mano posto su imbarcazioni e aerei.

125. Evidentemente i colpi della contraerea.126. L’aviere scelto Luigi Busetto, bolognese, come motorista ha già accompagnato Giuseppe

nell’azione del 12 agosto 1942. Con lui Giuseppe riprende un’affettuosa corrispondenza negli anni Novanta.

127. Colpito dalla contraerea, l’S.79 di Buscaglia precipita in mare: il marconista, maresciallo Edmondo Balestri, e l’armiere, aviere Walter Vecchiarelli, sono già morti; mentre il copilota, ser-gente maggiore Francesco Sogliozzo, e il motorista, aviere Vittorio Vercesi, muoiono tra le fiam-me che si alzano dalla benzina che ha preso fuoco nell’impatto; Buscaglia e il fotografo, aviere Francesco Maiore, sono scaraventati fuori dall’abitacolo, gravemente feriti e ustionati, e qualche ora dopo sono tratti in salvo da un’imbarcazione britannica.

128. Manovra aeronautica che consente al velivolo di alzare il muso, con conseguente au-mento di quota.

129. Il Curtiss P-40 è un monomotore monoposto di fabbricazione statunitense, largamente impiegato dagli alleati come aereo da caccia o cacciabombardiere.

130. Si tratta di una mitragliatrice Breda–Safat da 12,7 millimetri, l’arma maggiormente utilizzata dalla Regia Aeronautica durante la seconda guerra mondiale. A bordo dell’S.79 ve ne sono tre: una fissa, montata superiormente alla cabina di pilotaggio, le altre due brandeggiabili (cioè orientabili), una in posizione ventrale e una dorsale, nella “gobba”, per la difesa di coda. Da questa postazione Luigi Busetto abbatte il caccia nemico. Una quarta mitragliatrice Lewis da 7,7 millimetri era utilizzata per fare fuoco attraverso due appositi sportelli posti sulle fiancate della fusoliera.

131. «Sempre il 12 novembre il Comando Aeronautico della Sicilia ordina al 132° Gruppo di portare nuovamente offesa – e questa volta con forze maggiori del giorno precedente – allo stesso convoglio nemico composto da 9 pfi [piroscafi] e da un numero imprecisato di naviglio da guerra sottile alla fonda nella baia di Bougie. Alle 10,50 partono 4 velivoli della 278a Sq. [squadriglia] e 2 della 281a, al comando come sempre nei giorni precedenti, del Mag. Buscaglia con i seguenti equipaggi:

• Mag. Buscaglia C.E. […]• St. Pfister Carlo […]• St. Aichner Martino […]• Ten. Bargagna Francesco […]• Ten. Marino Marini […]

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• St. Coci Giuseppe – Serg. M. Reggiani Renato – av. [aviere] sc. [scelto] mot. [motorista] Busetto Lino [Luigi] – 1° av. [aviere] sc. [scelto] marc. [marconista] Del Ponte Mario – av. [aviere] sc. [scelto] arm. [armiere] Catalano Francesco – av. [aviere] sc. [scelto] fot. [fotografo] Intelisano Agatino

[…] Gli altri velivoli delle due formazioni pur colpiti più o meno gravemente scavalcano gli alberi delle navi, abbattono un Curtis P-40 e riescono a sganciare i siluri sugli obiettivi scelti e rientrare a Castelvetrano. Gli equipaggi ritengono di aver colpito 2 pfi [piroscafi] e un terzo che probabilmente carico di munizioni è saltato in aria. Il rientro dei velivoli avviene alle 16,10» (Carlo Unia, Storia degli aerosiluranti italiani, Bizzarri, Roma 1974, p. 261).

132. Francesco Maiore muore il 27 novembre, in seguito alle ustioni riportate nell’abbatti-mento.

133. Carlo Emanuele Buscaglia è ricoverato in due ospedali militari (uno francese, uno in-glese) nei pressi di Bougie; quindi, come racconta lui stesso in un successivo resoconto, «il 28 fui trasferito in un altro ospedale britannico. Là ricevetti ottime cure e fui operato da un rinomato chirurgo» (in Mirko Molteni, L’aviazione italiana 1940-1945. Azioni belliche e scelte operative, Odoya, Bologna 2012, p. 273).

134. Base aerea nei pressi di Ottaviano, in provincia di Napoli.135. Si tratta dei Martin 187 Baltimore, bombardieri leggeri di costruzione statunitense im-

piegati dalla RAF. Dopo l’armistizio di Cassibile sono forniti in dotazione all’Aeronautica Co-belligerante Italiana e utilizzati nelle missioni verso la Jugoslavia e la Grecia, fornendo supporto aereo per le forze partigiane o nel lancio aereo di forniture. A causa della potenza dei propulsori, molto elevata rispetto al peso, risultano particolarmente pericolosi in fase di decollo e di atter-raggio.

136. Si veda il capitolo Africa orientale, nota 30.137. Massimiliano Erasi (Bagni di Lusnizza 1908 – bacino dell’Arsa 1945), già comandan-

te della prima unità aerosiluranti, la 278a squadriglia (si veda la nota 37), dopo l’armistizio di Cassibile si unisce all’Aeronautica Cobelligerante Italiana ed è assegnato al Raggruppamento Bombardamento e Trasporti; nel giugno 1944 diviene comandante del 132° Gruppo, ricostituito principalmente con gli equipaggi del 132º Gruppo aerosiluranti (ne fa parte anche Giulio Cesare Graziani) e inquadrato nello Stormo Baltimore della Balkan Air Force sotto comando britannico. Muore il 21 febbraio 1945, durante un’offensiva contro il porto situato alla foce del fiume Arsa, in Istria. Il suo velivolo, centrato dalla contraerea tedesca, esplode in volo, provocando la morte dei quattro membri dell’equipaggio.

138. Il 2 dicembre 1944 a Bioče, nei pressi di Podgorica (capitale del Montenegro), il 132º Gruppo distrugge un ponte di importanza strategica, attaccato più volte inutilmente da altri reparti della Balkan Air Force; Massimiliano Erasi è perciò soprannominato Mister Bridge (Signor Ponte) dal comando alleato.

139. Atterraggio sull’acqua, in questo caso di un aereo in condizioni di emergenza ma in volo controllato.

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140. Philippeville, già denominata Fort de France e ora Skikda, è una città costiera dell’Alge-ria nord-orientale, dotata di un importante porto commerciale. Si trova a circa quattrocentoset-tanta chilometri a est di Algeri e a circa trecentosessanta a ovest di Biserta, in Tunisia. Pochi giorni prima, l’8 novembre, con due distinte operazioni gli angloamericani sono sbarcati a Orano e ad Algeri, e di qui avanzano verso Tunisia e Libia.

141. Ovvero si verifica il grippaggio (cioè la saldatura con conseguente distruzione delle superfici di contatto) del pistone nel cilindro, appunto per scarsa lubrificazione o insufficiente raffreddamento.

142. Piccolo promontorio posto circa settanta chilometri a ovest di Biserta, in Tunisia.143. Renato Reggiani, sergente maggiore e secondo pilota, ha già fatto parte dell’equipaggio

di Giuseppe pochi giorni prima, nell’azione del 12 novembre: purtroppo, nonostante il puntuale riferimento sportivo, non è stato possibile identificarlo altrimenti. Il cognome risulta comunque largamente diffuso in Emilia.

144. Anche Agatino Intelisano, aviere scelto con funzione di fotografo, ha già fatto parte dell’equipaggio di Giuseppe pochi giorni prima, nell’azione del 12 novembre. Il cognome risulta diffuso in Sicilia, in particolare nel Messinese.

145. Piano piano.146. Si veda la nota 95.147. «Data l’impossibilità per gli aerosiluranti, ormai ridotti a qualche decina di velivoli, di

operare di giorno, in quanto verrebbero abbattuti in massa dalla caccia sempre presente e dalla contraerea delle navi, Graziani decide di effettuare un’azione notturna, approfittando dell’immi-nente fase di luna piena. L’occasione si presenta il 20 novembre in seguito alla segnalazione della presenza di un grosso convoglio nella baia di Philippeville.Graziani sceglie i seguenti equipaggi (3 della 278a e 4 della 281a Sq. [squadriglia]) fra i più adde-strati al volo notturno:

• Graziani […]• Ten. Marino Marini […]• St. Pfister Carlo […]• St. Aichner Martino […]• Ten. Faggioni Carlo […]• St. Coci Giuseppe – Serg. M. Reggiani Renato – av. [aviere] sc. [scelto] mot. [motori-

sta] Busetto Lino [Luigi] – 1° av. [aviere] sc. [scelto] marc. [marconista] Del Ponte Ma-rio – av. [aviere] sc. [scelto] arm. [armiere] Catalano Francesco – av. [aviere] sc. [scelto] fot. [fotografo] Intelisano Agatino

• St. Mazzocca Mario […]Il decollo avviene da Castelvetrano alle 15,30. Alle 17,45 alle ultime luci del crepuscolo la forma-zione era in vista dell’obiettivo (quante navi alla fonda protette da numerosi incr. [incrociatori] e cc.tt. [cacciatorpedinieri]!) e si divide in due pattuglie al comando di Graziani e Faggioni. […] Dopo lo sgancio gli equipaggi apprezzano che un pfo [piroscafo] di circa 10.000 ton. è stato si-

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curamente colpito da due siluri e si trova in fase di affondamento, che un secondo pfo [piroscafo] è stato colpito da un siluro. Un altro siluro è stato visto scoppiare ma non si è potuto stabilire il bersaglio. La corsa degli altri siluri non si è potuta osservare a causa della violentissima reazione contraerea e dell’oscurità.[…] Atterrano cinque velivoli, manca soltanto quello di Coci che da quando la formazione ha ef-fettuato lo scampo su Philippeville nessuno ha più visto. Per fortuna il mattino successivo giunge la lieta notizia che Coci con l’apparecchio gravemente colpito dalle batterie contraeree costiere, durante la fase di scampo, causa il cessato funzionamento dei motori ha ammarato con grande abilità nei pressi della costa tunisina, vicino a Capo Serrat. Si seppe poi che l’equipaggio avendo il battellino di salvataggio inservibile perché forato dai colpi di mitragliera, aveva raggiunto la costa dopo due ore di nuoto ed aveva trovato ospitalità per la notte presso arabi della zona. L’in-domani, in parte a piedi e in parte con i mezzi di trasporto più vari, aveva raggiunto Biserta e si era presentato all’Ammiraglio Comandante della Piazza» (Carlo Unia, Storia degli aerosiluranti italiani, Bizzarri, Roma 1974, pp. 265-266).

148. Jolanda Spinola, moglie di Armando Coci, fratello di Giuseppe sr. Si veda il capitolo Napoli, nota 18.

149. Forma popolare, largamente diffusa in Italia centro-meridionale: «questi».150. Lo sbarco in Sicilia avviene il 10 luglio 1943, a partire dalle coste sud-orientali dell’isola:

ha così inizio la campagna d’Italia e la lenta risalita degli alleati lungo la penisola e in Europa.151. L’emigrazione italiana verso la Tunisia (protettorato francese dal 1881) avviene in parti-

colare nel XIX e XX secolo e, per evidenti ragioni nazionalistiche, è incoraggiata dal fascismo. Il censimento del 1926 conta 89.216 italiani (numero superiore a quello degli stessi francesi), scesi a 84.935 nel 1946 e progressivamente ridotti a poche migliaia.

152. Il numero degli italiani in Libia cresce considerevolmente negli anni Trenta del Nove-cento: nel 1939 ne sono censiti 108.419, oltre il 12% della popolazione. Tuttavia, in seguito alla guerra mondiale e in particolare dopo l’avanzata angloamericana in Tripolitania e Cirenaica, molti di essi sono costretti a rientrare nella madrepatria: tra questi certamente la “tripolina” – ori-ginaria di Tripoli – cui fa cenno Giuseppe.

153. Voce partenopea: «sfortuna».154. Mafalda, sorella minore di Jolanda, è la settima e ultima figlia di Oberto Spinola e Luisa

Giosia. Si veda il capitolo Napoli, nota 18.155. Si tratta di George (Giorgio) Meshki, da cui Mafalda ha un figlio, Aimone.156. Dopo la dichiarazione di guerra al Regno Unito, l’Africa Orientale Italiana subisce ben

presto la controffensiva inglese: il generale Alan Gordon Cunningham, che nel novembre 1940 assume il comando in Kenya, conquista in poche settimane buona parte dei territori italiani: il 25 febbraio 1941 cade Mogadiscio, quindi, per la strada di Haràr, inizia l’avanzata su Addis Abeba. Il 18 marzo, nonostante la contrarietà di Mussolini, Amedeo di Savoia ordina di ripiegare lungo il fiume Auasc, rinunciando alla difesa della capitale, che viene abbandonata tra il 31 marzo e il 3 aprile; l’ingresso delle truppe inglesi con la capitolazione formale della città avviene il 6 aprile.

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Il vicerè d’Etiopia, con elementi del Governo italiano e del Comando militare, si rifugia intanto nel ridotto di Dessiè-Alagi per tentare una estrema quanto inutile resistenza: Gimma si arrende infatti il 20 giugno; Gondar, ultima roccaforte italiana in Africa Orientale, cade il 30 novembre (Angelo Del Boca, Gli italiani in Africa orientale, III. La caduta dell’impero, Mondadori, Mila-no 2000, pp. 450-463). Si veda inoltre il capitolo Africa orientale, nota 69.

157. Distanza via aria tra Addis Abeba e Roma; il 3 aprile è l’ultimo giorno dell’evacuazione del governo e dell’esercito italiano dalla capitale etiope; i civili, invece, vi sono di fatto abbando-nati.

158. In base alla testimonianza indiretta di Giovanni Coci, figlio di Silvio e di Margherita Calò, Concetta Vernetti è arrestata per aver manifestato in favore dell’Italia davanti al comando inglese di Gimma.In Etiopia, «la comunità italiana si trova esposta a pressioni, ricatti e strumentalizzazioni e […] sarà la prima ad essere radicalmente ridimensionata con una serie di massicce deportazioni» scrive Angelo Del Boca (Gli italiani in Africa orientale, III. La caduta dell’impero, Mondadori, Milano 2000, p. 534). Dopo che il comando inglese ha disposto la partenza di circa duemila persone di nazionalità italiana, ritenute pericolose o indesiderabili, tra il 29 aprile e il 12 maggio 1941, «l’evacuazione dei civili italiani subisce una battuta d’arresto e verrà ripresa in maniera massiccia soltanto nel dicembre 1941» (ibidem, p. 539).Il 25 giugno 1941 Giuseppe sr scrive al padre, a Napoli (si veda la successiva nota 159): «Per le donne e i bambini niente ancora hanno deciso di preciso, si parla dell’Italia dell’Eritrea o So-malia o qualche colonia inglese. Abbiamo vissuto e viviamo una vera tragedia noi nazionali che abbiamo le famiglie in A.O.I. [Africa Orientale Italiana]». Di Concetta Vernetti, che alterna la detenzione al campo di concentramento, la famiglia non ha notizia fino al 30 settembre 1941.«In totale, sono circa 50 mila i civili italiani che lasciano l’AOI tra il maggio 1941 e il luglio 1943, la maggior parte diretti in Italia con le navi della Croce Rossa, gli altri internati nelle vicine colonie inglesi. – scrive ancora Angelo Del Boca - Nell’attesa di essere evacuati, un’attesa che per certuni si prolunga anche per mesi o per più di un anno, i civili italiani, in gran parte donne, bambini e invalidi, vengono concentrati nel campo avio di Dire Daua, nel campo scuole e nel campo Amaresa di Haràr, e infine nei campi allestiti nel Somaliland, a Mandera, Laferug, Hargheisa.» Significativa la testimonianza di Olga Corsini Olsoufieff, che trascorre alcune setti-mane a Madera in qualità di interprete: «la mental cruelty della forzata convivenza di 80-90 per baraccone in brande quadruple (castelli); i baracconi in cui piove ed i cui pali e teloni sono rosi dalle invadenti termiti; l’insufficienza di acqua per un campo di oltre 4.000 persone, relativo su-diciume e insetti. Dubbia potabilità dell’acqua non esaminata. Insufficienza del vitto. Pericolo di maggiori epidemie. Insufficienza di medicinali e di impianti sanitari» (in Angelo Del Boca, Gli italiani in Africa orientale, III. La caduta dell’impero, Mondadori, Milano 2000, pp. 556-557).Già il 4 maggio 1941, tuttavia, il governo inglese annuncia che è disposto al rimpatrio via mare delle donne, dei ragazzi al di sotto dei sedici anni e degli uomini al di sopra dei sessanta; la rotta imposta non è quella d’Oriente, che passa per il canale di Suez (si teme l’autoaffondamento delle

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unità con conseguente blocco forzato della via di comunicazione), ma quella d’Occidente (Capo di Buona Speranza - Gibilterra), quattro volte più lunga, per circa 22.000 miglia tra andata e ritorno; le partenze avvengono da Berbera, nel Somaliland, la Somalia Britannica (ibidem, pp. 558). La trattativa con l’Italia si prolunga: «è sempre sul combustibile occorrente alle navi che dovrebbero fare il periplo dell’Africa che non si raggiunge un accordo», scrive Silvio Coci a Giu-seppe in data riconducibile al 23 settembre 1941.

159. Giuseppe sr è catturato dal comando inglese con la guarnigione di Gimma (il generale Fowkes accetta la resa il 20 giugno 1941 ed entra in città il giorno seguente. Si veda il capitolo Africa Orientale, nota 69). Nella lettera scritta il 25 giugno al padre, si dice in attesa dell’imbar-co per la «sede definitiva della prigionia (Chenia, Sud Africa?)». Quale prigioniero di guerra è condotto a Dire Daua (Etiopia), quindi imbarcato a Berbera (Somalia). Dopo la navigazione sul Mar Rosso (con scalo ad Aden, nello Yemen) e sull’Oceano Indiano, giunge a Bombay; prosegue in treno a Bengalore e infine è tradotto a Yol, località nel Punjab, distretto di Kangra, nei pressi di Dharmsala, ai piedi del sistema himalayano del Dhola Dhar: qui, per circa diecimila ufficiali italiani, sono allestiti quattro campi di internamento, il 25, il 26, il 27 e il 28. Per diversi mesi (fino al 9 novembre 1941, quando apprende che è prigioniero di guerra), la famiglia non sa nulla di Giuseppe sr, che il 12 agosto 1941 è stato dato per disperso, né lui stesso ha alcuna notizia della moglie e del figlio (da Aden scrive al padre l’8 settembre 1941: «La certezza assoluta dell’avvenire è in noi e possiamo vincere ogni disagio e pena, tranne quella dell’incertezza sulla sorte dei nostri cari»). Come si desume dalla corrispondenza di famiglia, i fratelli riescono finalmente a comu-nicare con Giuseppe sr grazie alla possibilità di inviare radio telegrammi ai prigionieri di guerra italiani offerta dalla diplomazia vaticana. Successivamente, attraverso un complesso sistema di affrancature, la corrispondenza per Yol viaggia lungo il tragitto Chiasso – Sofia – Gerusalemme, per giungere poi in India.Scrive Sergio Antonielli (Roma 1920 – Monza 1982) nel suo bellissimo romanzo memorialistico Il campo 29, pubblicato nel 1949: «A circa mille e duecento metri di quota – le vette passavano i cinquemila – avevamo inverni con tanto di neve, anche troppa per le baracche di legno in cui dormivamo. Da marzo a giugno, però, faceva assai caldo, e da giugno a settembre la stagione delle piogge ci procurava non pochi disturbi. L’alimentazione poteva essere sufficiente in linea teorica, ma in pratica e alle lunghe dava luogo ai sintomi della denutrizione. Il male maggiore finì per essere la prigionia in sé, la febbre del filo spinato, come dicevano gli inglesi, aggravato dalla du-rata. Osservai che in quelle condizioni un uomo poteva dirsi “normale” per circa tre anni; dopo, s’incominciava a impazzire» (Sergio Antonielli, Il campo 29, Isbn Edizioni, Milano 2009, p. 11). E poco oltre: «Il tedio reclusorio, il sentimento acuto della nostra impotenza e inutilità si fecero insopportabili quando ci ritrovammo, nel ’44, prigionieri di noi stessi. L’Italia era divenuta cobelligerante degli alleati, coloro che si erano dichiarati fascisti erano stati trasferiti in un cam-po, il 25, e noi negli altri tre campi, “collaboratori” come avevamo accettato di essere chiamati» (ibidem, pp. 12-13). Giuseppe sr è tra i primi, fascisti irriducibili – nota Sergio Antonielli - per «una questione di dignità, o di fierezza» (ibidem, p. 16).

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E infatti, nella già menzionata lettera del 25 giugno 1941 al padre, Giuseppe sr scrive: «Dolore, dolore mi stringe il cuore per la mia famiglia sbandata ma l’ho ancora pieno di fierezza e di fede per l’avvenire. Trasmetti i miei saluti a Tecchio e digli che mi sono invecchiato e insecchito, ma son rimasto quale mi ha sempre conosciuto testardissimo nella passione per Santa Maria degli Angeli». Accanto alla basilica di Santa Maria degli Angeli in Pizzofalcone ha la sua prima sede il Partito Nazionale Fascista: è questa, come scrive «Il Mattino» nell’articolo del 5 dicembre 1941 (si veda la nota 71), «la sede del vecchio glorioso fascismo napoletano» (si veda il capitolo Na-poli, nota 59). La tessera n. 41756 del Fascio di combattimento di Gimma intestata a Giuseppe sr (dalla quale si evince la data di iscrizione al Partito Nazionale Fascista, il 2 dicembre 1920) risulta rinnovata dalla Federazione dei Fasci di Bophal (India) il 21 gennaio 1942. Durante la prigionia, Giuseppe sr è ricoverato due volte presso il Prisoner of War Hospital Camp: la prima dal 16 agosto al 10 ottobre 1942, per dissenteria amebica; la seconda dal 31 marzo al 28 aprile 1943 per amebiasi intestinale. Il 16 marzo 1943, Silvio Coci scrive a Giuseppe di aver predisposto la spedizione dei libri richiesti dal fratello: Maometto di Klabund (1917), Babbit di Sinclair Lewis (1922), Viaggio al termine della notte di Luis-Ferdinand Céline (1932), Lucrezia Borgia di Maria Bellonci (1939), Parlo con Bruno di Benito Mussolini (1941), oltre ai due volumi Regina Elisabet-ta ed Enrico VIII non altrimenti identificati.Infine, un Giuseppe Cocchi [Coci?] è menzionato nei diari di Antonino Corigliano (Gregorio Corigliano, I diari di mio padre. 1938-1946, Luigi Pellegrini Editore, Cosenza 2012) e come tale riportato nell’Elenco aggiornato dei prigionieri italiani a Yol (India), a cura di Giovanni Mariz-za [18.10.2012], in www.l’occidentale.it (URL consultato il 10.06.2015).

160. Il Saturnia e il Vulcania sono due motonavi italiane, in origine adibite al trasporto pas-seggeri, varate rispettivamente nel 1925 e 1926. Nel 1942, in accordo con le forze alleate, insieme con i piroscafi Caio Duilio e Giulio Cesare, sono impiegate dal governo italiano nelle operazioni di rimpatrio da Etiopia e Somalia dei civili internati e dei soldati italiani feriti. Dipinte di bianco e con i simboli della Croce Rossa sulle fiancate, le quattro navi compiono tre viaggi tra l’aprile 1942 e il settembre 1943, imbarcando in totale circa ventottomila nazionali (Angelo Del Boca, Gli italiani in Africa orientale, III. La caduta dell’impero, Mondadori, Milano 2000, p. 560).

161. Il rimpatrio dei civili italiani per mezzo delle navi bianche è ampiamente propaganda-to dal governo fascista, «deciso a conferire alla missione umanitaria un significato politico e di prestigio» (Angelo Del Boca, Gli italiani in Africa orientale, III. La caduta dell’impero, Mon-dadori, Milano 2000, p. 560). Concetta Vernetti giunge in Italia con il secondo contingente di “nazionali”: «La radio trasmette i nomi degli imbarcati ogni mattina dalle 8¼ fin circa alle 9. – scrive Margherita Calò a Giuseppe in data 13 dicembre 1942 – Domani sentiremo quelli della provincia di Napoli ed è con animo trepidante che terremo l’orecchio teso per sentire il nome di mamma tua». E il giorno seguente Silvio Coci telegrafa al nipote: «Stamane la radio ha trasmesso il nome: Coci Titta, non ti dico con quanta nostra commozione».

162. Voce partenopea: «confusione, baccano».163. Si veda il capitolo Napoli.

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164. Sfollato.165. Espressione partenopea: «Ragazzo, dagliele in testa, ma stai attento» (con allusione alle

azioni di siluramento ai danni delle navi alleate).166. Si veda la nota 115: nell’aprile 1942 è costituito il 132° Gruppo, che unisce la 278ª e

la 281ª squadriglia, con sede del comando a Gerbini e le due squadriglie di stanza a Catania e a Castelvetrano.

167. Espressione partenopea: «Dai qui, togli le mani da lì».168. Il 132° Gruppo autonomo: «formato dalle squadriglie più titolate della specialità, la 278

e la 281, venne costituito a Littoria il primo aprile del 1942 sotto il comando di Carlo Emanuele Buscaglia». Il 10 maggio il gruppo, che ha in dotazione quindici S.79, è schierato a Gerbini, pur utilizzando frequentemente la base di Pantelleria, così come avviene nella battaglia di mezzo ago-sto. In novembre il gruppo è trasferito a Castelvetrano, in dicembre a Trapani-Chinisia, quindi, nel gennaio successivo, a Decimomannu; rientra a Gerbini il 3 marzo 1943 (Fabio Bianchi – Antonio Maraziti, Gli aerosiluranti italiani 1940-1945. I reparti, le macchine, le imprese, «Storia militare. Dossier», III, 14 (maggio-giugno 2014), p. 104).

169. Si veda la nota 123.170. Nel ringraziamento fatto pubblicare dalla famiglia Pfister sul quotidiano livornese «Il

Telegrafo» a esequie avvenute, è menzionato esplicitamente «il Tenente Pinotto Coci compagno di volo del caduto, che ne accompagnò la Salma da Catania a Livorno».

171. Oggi Nuovo Hotel Italia, nella centrale piazza Trento, lungo corso Italia.172. Il sottotenente Mario Mazzocca partecipa alle azioni del 12 e del 14 agosto e del 20

novembre 1942, cui prende parte anche Giuseppe.173. Si veda la nota 152.174. Zona di Napoli, in direzione nord, fino al XVIII secolo piccolo borgo rurale, poi edifi-

cata a seguito della costruzione del borbonico Palazzo Reale. La «Clinica dei Gerani», costruita in viale dei Colli Aminei negli anni Trenta del secolo scorso (poi demolita nel 2009), è fondata – tra gli altri – dall’ostetrico Antonio Tommaselli. Come si deduce dalla corrispondenza di famiglia, è proprio «il prof. Tommaselli» a sottoporre Concetta Vernetti a intervento chirurgico nel febbraio 1943: l’operazione, «alquanto seria», richiede una convalescenza che si protrae fino alla fine del marzo successivo.

175. Espressione partenopea: «la feci bella la sciocchezza».176. Si veda la nota 52.177. L’Operazione Scoglio, di attacco alle navi alleate nella rada di Gibilterra, è ideata nel

febbraio 1943, per «dimostrare che la nostra aviazione continuava ad avere la possibilità di rag-giungere e portare offesa aerea agli obiettivi nemici, anche a quelli più lontani che l’avversario poteva considerare come irraggiungibili da parte dei nostri velivoli» (Carlo Unia, Storia degli aerosiluranti italiani, Bizzarri, Roma 1974, p. 314).

178. Gorizia è sede del 1° Nucleo Addestramento Aerosiluranti: qui, il 5 aprile 1943, si riu-niscono i superstiti della 278ª squadriglia.

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179. In questo modo, grazie al pieno di cinquemila litri di carburante, l’autonomia di volo viene portata da sei ore a dieci ore e trenta minuti (Carlo Unia, Storia degli aerosiluranti italiani, Bizzarri, Roma 1974, p. 314).

180. Città costiera della Provenza, a nord-ovest di Marsiglia. L’aeroporto militare di Istres, ancora oggi attivo, è sotto controllo tedesco dal novembre 1942 all’agosto 1944.

181. Dei dieci S.79 trasferiti a Istres, il 19 giugno 1943 ne partono nove (uno risulta danneg-giato in fase di atterraggio) e soltanto due giungono a destinazione, sganciando il siluro; gli altri si ritirano per difficoltà strutturali e condizioni atmosferiche avverse (Carlo Unia, Storia degli aerosiluranti italiani, Bizzarri, Roma 1974, pp. 314-330).

182. Voce partenopea: «mangiai».183. Piccola frazione del comune di Ranziano/Voghersca, oggi in Slovenia, a pochi chilo-

metri dal confine italiano. Dal 1920 al 1947 Ranziano fa parte del Regno d’Italia, inquadrata nel territorio – ben più ampio di quello attuale - della provincia di Gorizia. Nel maggio 1945 è occupata dai partigiani di Tito e nel 1947 annessa alla Jugoslavia; dopo la dissoluzione di questa passa alla Slovenia.

184. Nella zona opera infatti tra l’aprile e il giugno 1943 il Distaccamento Garibaldi, che in marzo si è costituito nelle Valli del Natisone: è considerato la prima formazione militare della Resistenza italiana. In zone limitrofe operano già dal 1941 le formazioni partigiane jugoslave.

185. È questa la sorte di tante donne partigiane, staffette o combattenti, catturate dai nazisti occupanti. Tra queste, nel territorio di Trieste, è nota Ondina Peteani, deportata ad Auschwitz.Non è stato possibile, purtroppo, avere notizia del destino di Renata: dopo l’8 settembre 1943, la zona di Ranziano «era il più vivace e determinato centro di resistenza sloveno a orientamento comunista e fortemente anti-italiano» - scrive Franco Miccoli dell’Istituto regionale per la storia del movimento di liberazione nel Friuli e Venezia Giulia, che ringrazio di cuore – e da questo territorio numerosi sono stati gli uomini e le donne catturati e deportati in Germania.

186. Si veda la nota 150.187. Oggi Latina; nei pressi della città, fondata nel 1932, è ancora attivo l’aeroporto militare.

Dopo la distruzione della base di Gerbini a opera degli angloamericani, i Gruppi Aerosiluranti sono riuniti in una sola unità con sede amministrativa a Pisa e base operativa a Lecce; la 278a squadriglia resta però a Littoria, ove è trasferita nel giugno 1943.

188. «L’undici luglio [1943] tre velivoli della 278 Sq. [squadriglia] al comando di Faggioni, Sponza e Coci attaccano di notte a sud-ovest di capo Murro di Porcu un convoglio fortemente scortato e protetto da velivoli da caccia. Viene lanciato il siluro contro un incrociatore leggero senza potere accertare i danni arrecati, data la violentissima reazione contraerea che ha colpito tutti i velivoli. Successivi reiterati attacchi della caccia notturna obbligano poi il St. Coci a di-rottare sulla rotta di rientro e ad atterrare sull’aeroporto di Capua» (Carlo Unia, Storia degli aerosiluranti italiani, Bizzarri, Roma 1974, p. 293).Tra il 7 e il 15 luglio 1943 gli aerosiluranti italiani mettono a segno un solo siluro (Francesco Mattesini, I successi degli aerosiluranti italiani e tedeschi in Mediterraneo nella 2a guerra mondiale,

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in «Bollettino d’Archivio dell’Ufficio Storico della Marina Militare», marzo 2002, p. 54).189. «Dato il costante predominio aereo nemico che rendeva proibitive le missioni diurne,

gli equipaggi italiani intensificarono gli attacchi notturni, meno rischiosi, ma che esponevano comunque gli aerosiluranti al pericolo costituito dalla efficiente caccia notturna alleata, la quale non solo contrastava gli attaccanti nelle immediate vicinanze degli obiettivi, ma li inseguiva anche durante la rotta di rientro, attaccandoli persino nella fase di atterraggio» (Fabio Bianchi – Antonio Maraziti, Gli aerosiluranti italiani 1940-1945. I reparti, le macchine, le imprese, «Storia militare. Dossier», III, 14 [maggio-giugno 2014], p. 67).

190. Come noto, la pratica consiste nello spegnimento delle luci degli abitati durante la not-te, per non esporli ad attacchi nemici.

191. Bellissimo promontorio roccioso della costa della Campania meridionale, situato tra il golfo di Velia e quello di Policastro, nel Cilento.

192. Si veda la nota 123.193. Voce partenopea: «sopra».194. «Nella stessa notte [18 luglio 1943] il St. Coci attaccava un convoglio navigante tra

Capo Passero e Murro di Porcu. Il siluro veniva sganciato contro un pfo [piroscafo] di 5-7000 ton. È stato notato un grosso incendio a bordo dell’unità. Violenta la reazione contraerea e reite-rati attacchi della caccia nemica» (Carlo Unia, Storia degli aerosiluranti italiani, Bizzarri, Roma 1974, p. 294).

195. Questa la motivazione del Ministero della Difesa – Aeronautica: Capo equipaggio di velivolo aerosilurante partecipava nel Mediterraneo Centrale a rischiose azioni contro naviglio nemico durante lo sbarco alleato in Sicilia, cogliendo brillanti successi e rientrando più volte col velivolo colpi-to. Chiaro esempio di virtù militari. Cielo del Mediterraneo e della Sicilia, 11 luglio-12 agosto 1943.

196. Si veda la nota 36.197. I tre aerosiluranti partono da Littoria per attaccare un convoglio nelle acque della Sicilia,

con tempo «pessimo» (Carlo Unia, Storia degli aerosiluranti italiani, Bizzarri, Roma 1974, p. 295).

198. L’armistizio di Cassibile segna la resa del Regno d’Italia agli Alleati; è firmato il 3 settem-bre 1943 e reso noto l’8 settembre successivo. «Nella prima decade di settembre del 1943 il 132° Gruppo era uno dei pochi reparti ancora operativi con nove S.79 in carico dei quali sei efficienti» (Fabio Bianchi – Antonio Maraziti, Gli aerosiluranti italiani 1940-1945. I reparti, le macchi-ne, le imprese, «Storia militare. Dossier», III, 14 (maggio-giugno 2014), p. 104).

199. L’8 settembre è prevista un’azione di aerosiluramento contro un convoglio alleato in rotta verso Salerno, al quale devono partecipare complessivamente diciannove S.79 con base a Pisa, Siena e Littoria: alle 19.30 partono regolarmente i velivoli da Pisa e Siena, mentre a Littoria il 132° Gruppo riceve l’ordine di sospendere la missione poco prima del decollo, previsto per le 20.30 (Carlo Unia, Storia degli aerosiluranti italiani, Bizzarri, Roma 1974, pp. 333-335).

200. «Alle 05,00 del 10 [settembre] il 132° Gruppo decollava con tutti i dieci velivoli in ca-rico, i due S.82 seguivano trasportando degli specialisti ed il materiale di assoluta necessità. […]

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Purtroppo il personale rimasto a Littoria non potette essere recuperato poiché l’aeroporto venne occupato dai tedeschi subito dopo la partenza del gruppo. […] Nel frattempo ad Ampugnano – Siena (ultima base libera dei Gruppi aerosiluranti dopo la perdita di quelle di Littoria e Pisa) era arrivato l’ordine del Comando 3a Squadra ai tre gruppi aerosiluranti di decollare alle prime luci del mattino dell’11 settembre per trasferirsi a Milis (Sardegna)» (Carlo Unia, Storia degli aero-siluranti italiani, Bizzarri, Roma 1974, pp. 337-339). Dopo l’8 settembre ordini e contrordini, silenzi e ritardi si susseguono anche ai danni degli equipaggi degli aerosiluranti.

201. «All’alba dell’undici settembre una prima formazione di S.79 delle Squadriglie 204 – 205 – 252 e 278 decolla da Ampugnano. Precisamente il 41° Gruppo (204 e 205 Sq. [squadri-glia]) con nove velivoli […]. La 254 Sq. [squadriglia] del 104° Gruppo con 5 velivoli […]. La 278 Sq. [squadriglia] del 132° Gruppo con 4 velivoli al comando del Cap. Faggioni – Cap. Ruggeri Leopoldo – Ten. Ottone Sponza e St. Coci Giuseppe.La 281 Sq. [squadriglia] del 132° Gruppo con 5 velivoli […] e la 253 Sq. [squadriglia] del 104° Gruppo con altri 5 velivoli […] ritardavano la partenza causa noie che presentavano i motori di due velivoli della 253 Sq. [squadriglia]. Anche un quinto velivolo della 278 Sq. [squadriglia] per noie tecniche non riusciva a partire.Il maggiore Casini approfittava del contrattempo per cercare di collegarsi con il comando della 3a squadra aerea a Roma ed avere possibilmente chiarimenti sulla situazione che si sarebbe trovata in Sardegna. Dopo vari tentativi riusciva a conferire con il Gen. Maceratini, il quale fece appena in tempo – prima che la comunicazione si interrompesse – a segnalare che l’aeroporto di Milis era occupato dai tedeschi e quindi che i velivoli non ancora partiti dovevano trasferirsi a Deci-momannu.Tramite la radio aeroportuale il Magg. Casini lanciava un messaggio col quale comunicava in chiaro la nuova destinazione, ma purtroppo dei velivoli già partiti e diretti a Milis, due soli della 252 Sq.[uadriglia] riuscirono a captare il messaggio» (Carlo Unia, Storia degli aerosiluranti ita-liani, Bizzarri, Roma 1974, p. 339-341).

202. Si veda la nota 105.203. La superstizione degli aviatori è ben nota.204. Il Focke-Wulf (FW.190) è un caccia monoposto impiegato dalla Luftwaffe a partire dal

1941: durante il conflitto è considerato tra i migliori aerei da caccia.205. Si veda la nota 28.206. Il tenente Ottone Sponza è pilota della 278a squadriglia, con la quale compie numerose

azioni di siluramento. Questa la ricostruzione del suo abbattimento effettuata dal generale Carlo Unia: «Più sfortunata fu invece la sorte della 278 Sq. [squadriglia] al comando del Cap. Faggioni durante il trasferimento con quattro velivoli (capi equipaggio: Faggioni, Ruggeri, Sponza e Coci) al seguito del Gruppo Erasi.Poiché pochi istanti prima del decollo aveva atterrato […] il Ten. Nannini, rientrato perché attac-cato dalla caccia germanica nei pressi dell’Elba, Faggioni riteneva opportuno non seguire la rotta diretta per Milis, ma spostarsi più a nord fino alla Corsica, Porto Vecchio, La Maddalena, per

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poi dirigersi su Milis. La formazione nell’attraversamento del Mar Tirreno procedeva piuttosto allargata e nei pressi di Porto Vecchio veniva intercettata da due velivoli tedeschi Mc-Gustav che attaccavano Sponza costringendolo ad ammarare». Successivamente, Ottone Sponza raggiunge fortunosamente Trieste, la propria città di origine, e si arruola poi nell’Aeronautica Nazionale Repubblicana, 1º Gruppo Aerosiluranti “Buscaglia” guidato da Carlo Faggioni, con il quale è ab-battuto dalla contraerea angloamericana, il 10 aprile 1944, durante la battaglia di Anzio. Salvato con il suo equipaggio da una vedetta statunitense, è fatto prigioniero e trasferito prima in Africa settentrionale, quindi nel campo di prigionia di Hereford (Texas) negli Stati Uniti, dal quale fugge avventurosamente per essere ripreso dopo un migliaio di chilometri. Rientra in Italia nel dopoguerra. Nel 1998 pubblica per l’editore milanese Giorgio Apostolo il volume Nato per vola-re. Carlo Faggioni asso degli aerosiluranti italiani (Carlo Unia, Storia degli aerosiluranti italiani, Bizzarri, Roma 1974, p. 343 e pp. 370-372).

207. Il tenente Leopoldo Ruggeri è come Ottone Sponza pilota della 278a Squadriglia, con la quale effettua alcune azioni di siluramento. L’11 settembre rientra a Siena – Ampugnano con Carlo Faggioni e con questo e con Ottone Sponza si arruola nell’Aeronautica Nazionale Repub-blicana, 1º Gruppo Aerosiluranti “Buscaglia”. Nel dopoguerra diviene Generale di Divisione Aerea.

208. Penisola della Sardegna settentrionale, nel territorio della Gallura prospiciente le Bocche di Bonifacio.

209. Si veda la nota 143.210. Il sottotenente Arturo Tripiciano. Il cognome è di origine siracusana.211. Costituita nel novembre 1942, la 184ª Divisione paracadutisti “Nembo” è trasferita in

Sardegna nel giugno 1943, con funzione di difesa degli aeroporti. Dopo l’armistizio, rimane in larga parte fedele al re e si attiene agli ordini del Governo italiano.

212. Scrive il generale Carlo Unia: «La formazione cercava quindi di serrare le distanze, ma il velivolo del St. Coci, gregario esterno sinistro, per il minor rendimento dei motori era rimasto leggermente arretrato e nei pressi delle Bocche di Bonifacio veniva intercettato da due Focke Wolf che dopo due attacchi proseguivano nella loro crociera verso il Nord. Sul velivolo colpito in più punti veniva anche ferito al petto da pallottola di mitragliatrice il motorista av. [aviere] sc. [scelto] Maritano Dario. Nell’entrare su terra presso Capo Testa si sviluppava un incendio nell’ala sinistra, a seguito del mitragliamento subito e il fumo invadeva subito la cabina di pilotaggio. Unica via di salvezza era quella di tentare un ammaraggio presso la costa che era vicina.L’impatto avvenne piuttosto violentemente, dato il notevole carico del velivolo e la presenza di scogli sotto il pelo dell’acqua, alle ore 11,10, a Cala Vall’Alta, nei pressi del Comando 15° Grup-po Artiglieria Costiera.Nell’ammaraggio, tutti i membri dell’equipaggio riportarono contusioni. Rimanevano feriti piuttosto seriamente l’av. [aviere] di governo Ponzo Dante che riportava la frattura di numerose costole e l’av. [aviere] fot. [fotografo] Gianoglio Alberto quella di una clavicola.Il Cap. Faggioni, che era sfuggito all’attacco della caccia e così pure il suo gregario Ten. Ruggeri,

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eseguiva due o tre puntate sull’aeroplano affiorante e solo dopo che il St. Coci, uscito dalla cabina di pilotaggio sull’ala, gli segnalava che tutto era andato bene, riprendeva la rotta per Milis» (Car-lo Unia, Storia degli aerosiluranti italiani, Bizzarri, Roma 1974, pp. 343-344).

213. Si veda la nota 159.214. Titta Coci – ovvero Concetta Vernetti – è ospitata nella casa della famiglia Vianello

di via 24 maggio 1, nel centro di Gorizia. La lettera di Carlo Faggioni le giunge l’11 novembre 1943.Il 6 luglio e successivamente il 9 settembre 2009, poche settimane prima di morire, amichevol-mente incoraggiato da Antonella Perticone, Giuseppe presenta al Ministero della Difesa una «istanza di assegnazione di medaglia d’oro al valor militare, in memoria, al capitano pilota Carlo Faggioni, comandante della 278a squadriglia aerosiluranti, 132° Gruppo di stanza a Littoria». Scrive tra l’altro: «Nessuno dei tre piloti degli aerosiluranti insigniti in vita di medaglia d’oro può vantare un numero tanto alto di azioni: né Giulio Cesare Graziani, né Giuseppe Cimicchi, né Francesco Di Bella, e neppure Martino Aichner, al quale nell’inoltrato dopoguerra è stata commutata la medaglia d’argento in medaglia d’oro». Tra il 27 marzo 1941 e il 15 agosto 1943 Carlo Faggioni ha infatti portato a compimento ventitré azioni. Per ragioni formali, l’istanza non è accolta.

215. Milis è un piccolo comune della provincia di Oristano, all’interno dell’isola. «Il St. Coci rimaneva presso il 1° Gruppo Artiglieria fino al 20 settembre, in quanto i tedeschi che stavano evacuando la Sardegna e si imbarcavano a Palau per trasferirsi in Corsica, avevano bloccato tutte le vie di comunicazione. Poteva poi raggiungere Milis con una parte dell’equipaggio (St. Tripicia-no Arturo – Serg. Magg. pil. [pilota] Reggiani Renato – av. [aviere] sc. [scelto] marc. [marconista] Fontana Pietro – 1° av. [aviere] sc. [scelto] fot. [fotografo] Saletta Evasio) e veniva aggregato al 41° gruppo. Il resto dell’equipaggio: av. [aviere] fot. [fotografo] Gianoglio Alberto – av. [aviere di] gov. [governo] Ponzo Dante e av. [aviere] sc. [scelto] mot. [motorista] Maritano Dario, rimaneva ricoverato all’ospedale di Tempio [Pausania]» (Carlo Unia, Storia degli aerosiluranti italiani, Bizzarri, Roma 1974, p. 344).

216. In Sicilia e Sardegna sono inviate tre divisioni mobili tedesche ancora prima della fine dei combattimenti in Africa settentrionale, nel maggio 1943. Dopo l’armistizio, i militari tede-schi di stanza in Sardegna ricevono l’ordine di evacuazione e di ripiegamento in Corsica, che viene portato a termine il 18 settembre; dalla Corsica si ritirano poi il 4 ottobre, ripiegando su Piombino.

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«Partendo per la Libia. Aprile 1912». Fotografia con dedica autografa di Giuseppe sr: «A mia sorella [Anna] e a mio cognato Franz con affetto. Pinotto (nell’aprile del 1912)».Archivio fotografico famiglia Coci

Campo di prigionia di Wangen (Germania), 1918 circa. Giuseppe sr (in prima fila, il primo da destra) con altri prigionieri di guerra italiani.Archivio fotografico famiglia Coci

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Primo Novecento. Ritratto fotografico di Giovanni Coci. Per gentile concessione di Giovanni Coci (South Africa)

Napoli, 1919 circa. Giuseppe sr con il figlio Giuseppe sul balcone

della casa di via Gennaro Serra.Archivio fotografico famiglia Coci

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Napoli (?), anni della Grande guerra. Giuseppe sr con Andrea Carafa d’Andria, degente in ospe-dale.Archivio fotografico famiglia Coci

Posillipo, 1920 circa. In primo piano, disteso, Arturo Coci; dietro, da sinistra: «un’amica russa di zio Arturo», Anna Resnikova Landesman, Alessandro Landesman, Concetta Vernetti, Giuseppe.Archivio fotografico famiglia Coci

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Napoli, 1922 (?). Manifestazione fascista. Al centro, con la camicia nera e il medagliere, Aurelio Padovani; alla sua destra, immediatamente dietro di lui, Giuseppe sr.Archivio fotografico famiglia Coci

Roma, 28 ottobre 1922. Mussolini e i quadrumviri entrano in Roma a conclusione della marcia sulla città. In primo piano, a destra, Giuseppe sr.Archivio fotografico famiglia Coci

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Napoli, ottobre 1922. «Adunata di Napoli e Marcia su Roma – Edizione 1937. La squadra “I falchi” del Fascio di Napoli». Archivio Centrale dello Stato, Roma, IT-ACS-AS0001-0003708-10-09244. Su concessione del Ministero per i Beni e le attività culturali, ACS, n. 1310/2015. Giuseppe è il bimbo sulle spalle dello squadrista in primo piano a sinistra.Anche in Archivio fotografico famiglia Coci

Napoli, ottobre 1922. «Adunata di Napoli e Marcia su Roma – Edizione 1937. Aurelio Padovani e le squadre napoletane al ritorno dalla Marcia su Roma». Archivio Centrale dello Stato, Roma, IT-ACS-AS0001-0003708-10-09240. Su concessione del Ministero per i Beni e le attività cultu-rali, ACS, n. 1310/2015. Giuseppe è il bimbo sulle spalle dello squadrista leggermente arretrato, alla destra di Padovani.

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Napoli, 1922. Giuseppe sr arresta una guardia regia.Archivio fotografico famiglia Coci

Napoli, 1922-23 (?). Pranzo nella grotta adiacente Villa Roccaromana, residenza di Umberto Pa-dovani. In primo piano, con la camicia bianca, il piccolo Giuseppe, nell’atto di levare il bicchiere; allo stesso tavolo le due figlie di Umberto, Emma e Giulia; il secondo a sinistra, seduto di spalle, è Giuseppe sr, mentre il sesto da destra della fila in piedi sul fondo è Vincenzo Tecchio.Archivio fotografico famiglia Coci

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Capri, 1923-24 circa. Margherita Calò e Giuseppe ad Anacapri.Archivio fotografico famiglia Coci

Capri, 22 agosto 1926. Giuseppe con i genitori ad Anacapri, in località Due Golfi.Archivio fotografico famiglia Coci

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Roccaraso, 4-5 febbraio 1928. Da sinistra: l’amico di famiglia Amedeo Celentano,

Giuseppe con la madre e il padre.Archivio fotografico famiglia Coci

Napoli, 1928-29 circa. Al circolo nautico “Giovinezza”, da sinistra: Guido Postiglione (vinci-tore dei campionati europei di vela, classe Star, del 1935 a Napoli, in equipaggio con Nando Gianturco sull’imbarcazione “Sirah”), Emilia Coci, Vincenzo Tecchio, Concetta Vernetti, Italo Verde, Emma Padovani, Giuseppe, Giannino Perez, Giulia Padovani; le due bimbe sono figlie di Umberto Padovani.Archivio fotografico famiglia Coci

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Passo Giau (Belluno), dicembre 1932. Da sinistra: Giuseppe con i cugini Pompeo Pascariello e Giannino Perez.Archivio fotografico famiglia Coci

Livorno, agosto 1933. Giuseppe sul pennone del brigantino collocato nel cortile

dell’Accademia navale e utilizzato per le esercitazioni.

Archivio fotografico famiglia Coci

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Milano, maggio 1935. Giuseppe (al centro) ai Littoriali di volo a vela.Archivio fotografico famiglia Coci

Capodichino (Napoli), 1935. Giuseppe in posa accanto al RO.5 danneggiato in seguito a un incidente di volo.Archivio fotografico famiglia Coci

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Gimma (Etiopia), 1938-39. Giuseppe con la madre e il padre.Archivio fotografico famiglia Coci

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Perugia, giugno 1940. Giuseppe in posa con un RO.41.Archivio fotografico famiglia Coci

Perugia, giugno 1940. Giuseppe, Renato Frulli e un allievo pilota davanti a un RO.41.Archivio fotografico famiglia Coci

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Aviano, 20.9.XVIII° (20 settembre 1940). Giuseppe con un S.81.Archivio fotografico famiglia Coci

Aviano, ottobre 1940. Da sinistra: gli allievi piloti Cassoni e Carnaccini con Giuseppe su di un S.81.Archivio fotografico famiglia Coci

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1941. Ritratto fotografico di Giuseppe in uniforme.Archivio fotografico famiglia Coci

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Derna (Libia), dicembre 1941. Da sinistra: i piloti Aligi Strani e Mario Frongia con Giuseppe

davanti all’hangar della base.Archivio fotografico famiglia Coci

Misurata (Libia), gennaio 1942. Giuseppe in tuta da volo.Archivio fotografico famiglia Coci

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«Trasferimento da Derna, 15 dicembre 1941». S.79 in volo.Archivio fotografico famiglia Coci

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1942. L’elica e il siluro dell’S.79 di Giuseppe.Archivio fotografico famiglia Coci

Pantelleria, battaglia di mezz’agosto 1942 (12-13-14 agosto). In primo piano Giuseppe, sullo sfondo tre Messersmith, aerei da caccia tedeschi.Archivio fotografico famiglia Coci

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Mediterraneo centrale, battaglia di mezz’agosto. Fotografia n. 1 di una serie di trentacinque scat-tate da un fotografo della squadriglia.Archivio fotografico famiglia Coci

Mediterraneo centrale, battaglia di mezz’agosto. Fotografia n. 3 di una serie di trentacinque scat-tate da un fotografo della squadriglia.Archivio fotografico famiglia Coci

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Mediterraneo centrale, battaglia di mezz’agosto. Fotografia n. 4 di una serie di trentacinque scat-tate da un fotografo della squadriglia.Archivio fotografico famiglia Coci

Mediterraneo centrale, battaglia di mezz’agosto. Fotografia n. 6 di una serie di trentacinque scat-tate da un fotografo della squadriglia.Archivio fotografico famiglia Coci

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Mediterraneo centrale, battaglia di mezz’agosto. Fotografia n. 8 di una serie di trentacinque scat-tate da un fotografo della squadriglia.Archivio fotografico famiglia Coci

Mediterraneo centrale, battaglia di mezz’agosto. Fotografia n. 11 di una serie di trentacinque scattate da un fotografo della squadriglia.Archivio fotografico famiglia Coci

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Gerbini (Catania), 16 febbraio 1943. Giuseppe (terzo da sinistra) con l’equipaggio davanti al proprio S.79.Archivio fotografico famiglia Coci

Gorizia, aprile-maggio 1943. Giuseppe in posa sulla coda del proprio aeroplano.Archivio fotografico famiglia Coci

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Milis (Oristano), ottobre 1943. Primo piano di Giuseppe.

Torino, dicembre 1946. L’equipaggio di un S.79 dello Stormo Trasporti: il capitano e primo pilota Rigoberto Salminci (secondo da sinistra) con Giuseppe, secondo pilota (terzo da sinistra), il motorista e il marconista.Archivio fotografico famiglia Coci

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Vigevano, 27 dicembre 1954. Il matrimonio di Giuseppe e Alberta Pelagata.Archivio fotografico famiglia Coci

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Vigevano, 27 dicembre 2007. Giuseppe sorride ai nipoti Aurora, Giovanni e Azra.Foto di Azra Gualterotti

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4. CIELO D’ITALIA1943 – 1947

In Sardegna rinunziai a continuare la guerra. Alcuni andarono al nord, con la Repubblica, come Carlo Faggioni1, altri al sud, con il re, come Giulio Cesare Graziani2. Un sottotenente, un effettivo3 (io ero di complemento4), mi propose di prendere un aereo e andare al nord; risposi: «O ho sbagliato allora, o sbaglio ora». Nel dubbio decisi di no5. Non volevo combattere contro altri italiani, e poi ne avevo le tasche piene, ero stato fascista, ma la guerra mi aveva rotto: avevo passato due anni di combattimenti, due abbattimenti, mi ero visto passare la vita davanti in un attimo e avevo visto tanti cadere…6 In Sardegna passai alcuni giorni a ‘mmare7, aspettando che i tedeschi evacuassero l’isola: avevano chiuso tutte le vie di comunicazione e io rimasi presso la divisione “Nembo”8. C’era un tenente che sapeva certe canzoni sporche…

Italiani c’erano non solo a Milis9, dove poi andai io, ma anche a Decimo-mannu10 e in altri due o tre campi: la Sardegna era ben munita di campi, perché vi atterravamo e facevamo rifornimento. Eravamo sotto il comando del maggiore Erasi11; la sera uscivamo, Erasi in testa, Reyer12, che era un tenente anziano, io e altri sottotenenti, infine gli avieri. Milis era un paese di neanche mille abitanti; era un posto bello per i bagni e si beveva la vernaccia buona13, ma era la morte civile. In Sardegna sono stato parecchio, quattro mesi14: passammo da Milis a Oristano15, poi a Elmas16. Nel gennaio, tornammo tutti a Lecce. Eravamo ormai lo “Stormo T”, che sta per “Trasporti”17: gli angloamericani misero il servizio postale, per tenere i collegamenti nel sud liberato; facevamo dei voli con la Sicilia e la Sardegna, portavamo posta e passeggeri, e qualche provolone… erano dei trasporti così… Che facevamo poi? Giocavamo a carte. Dagli angloamericani ebbi il diploma “Alexander”18.

Dopo la fine della guerra negli aerosiluranti andai a Catania, come caposca-lo19. Fui caposcalo a Catania, Treviso, Roma; volai tra Catania, Roma, Palermo, Bologna, Venezia, Treviso, Alghero, Milano, Torino, Bari, Lecce… Durante uno dei trasporti da Alghero a Roma portai due aragoste al mio vecchio amico Vin-cenzo Tecchio20.

In quell’epoca c’era un tenente colonnello che era comandante del presidio di Catania; questo mi voleva vedere alla mensa loro, ma io, come caposcalo, non di-pendevo da lui, bensì dal colonnello Reinero21, tenevo casa e me ne stavo per i fatti miei: gli inglesi e gli americani avevano requisito degli appartamenti e noi avemmo il primo piano di un palazzo della principessa Grimaldi in centro a Catania22. Un bel giorno questo colonnello prese il foglio di via e mi spedì a Roma; mi presentai al

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mio colonnello Reinero, che mi disse: «Piglia23 la valigia e torna subito a Catania».Fu un bel periodo: ero molto introdotto con i civili, andavamo a prendere

l’aperitivo al “Caviezel”24, in via Etnea25, e a cenare in un ristorante a Ognina26, al mare, dove c’era un grande albero, e uno di noi, un civile, saliva su questo albero e faceva: «A me la bottissima», la grande botte, per bere. Il vino era il bianco dell’Etna27, ottimo. Nel mio appartamento a palazzo Grimaldi tenevo la provvista di vino, il vino era sempre pronto.

A Catania, già dal ’43, tenevo una guagliona28, Maria Laura; era una bella ra-gazza, alta un metro e settantacinque, io sono uno e sessantotto: facevamo l’arti-colo “il”. Il padre era impiegato, la madre casalinga, non ci mollavano mai, mica ci lasciavano a quattr’occhi! La madre le diceva: «Vedi questo, ti piace? Pinotto non te lo può comprare». All’ultimo mi scocciai29 e la cosa finì. Pare che poi lei si sia fidanzata con un farmacista; la mia vendetta fu di farmi vedere a passeggio per la via Etnea con una donna bellissima ed elegantissima, la moglie di un maggiore. Ricordo ancora che aveva un cappotto color cammello. La rividi a Roma, teneva salotto30; mi invitò e conobbi il marito, un maggiore, era un imboscato31…

Nella primavera del 1945 passai a Treviso; qui ebbi un attacco di sciatica tremendo, stetti quindici giorni a letto, in casa di un direttore di banca che aveva una camera per me requisita, ma ‘sto fetente32 neanche il riscaldamento teneva in quella stanza, in pieno inverno... Avevo una Fiat per il servizio di scalo e l’autista a mezzogiorno mi portava da mangiare. Poi ci mandai mia madre, a Treviso, e a Treviso arrivò dall’Africa il baule in cui mammà aveva riunito alcuni oggetti della casa in Africa: ma arrivò solo la mia capa33 di bronzo, quella di Vincenzo Meconio, allievo del grande scultore napoletano Vincenzo Gemito, che i miei mi fecero fare a otto anni, nel ‘2334.

Quando ero a Treviso non ricordo perché mi dettero gli arresti: pigliai la macchina e andai a Padova, dal tenente colonnello Lalatta35, mio superiore: quel-lo prese gli arresti e li strappò, perché avevo ragione. Furono le due volte (questa e Catania) in cui litigai con un ufficiale.

Il 2 giugno 194636 ero caposcalo a Roma: solo in otto su ottocento votammo repubblica… e i caporioni37 cercavano gli scissionisti38. Perché votai repubblica? Perché il re era ‘nu fetente39, perché non si abbandona un esercito per scappare al sud… Dormivo in un grande albergo requisito per noi, conosciutissimo, che stava vicino piazza del Gesù40.

Non feci niente per rimanere nei trasporti, non mi piaceva. Facevo il secon-do pilota, erano apparecchi grossi e il comandante era uno dell’Ala Littoria41, prima il maggiore Trocca42, poi il capitano Salminci43. Si davano un sacco d’arie, ma erano dei padreterni44…

Il 1° marzo 1947 finii di volare, il 1° luglio mi congedai45.

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Note

1. Si veda il capitolo Cielo del Mediterraneo, nota 28.2. Si veda il capitolo Africa Orientale, nota 30.3. Si veda il capitolo Cielo del Mediterraneo, nota 31.4. Si veda il capitolo Cielo del Mediterraneo, nota 30.5. Scrive il generale Carlo Unia: «All’atto dell’armistizio, senza ordini, con un semplice pro-

clama letto alla radio, vi fu chi nel ricordo del proprio giuramento seppe obbedire senza esitazio-ne all’ordine del Governo Legittimo, quello del Re, e seguì così le leggi dell’onore e del dovere. Ritenne, quindi, di essere stato dopo l’8 settembre nel giusto e così è» (Carlo Unia, Storia degli aerosiluranti italiani, Galluzzi, Roma 1974, pp. 345-346). E scrive Martino Aichner, pilota di aerosiluranti e autore con Giorgio Evangelisti del volume Storia degli aereosiluranti italiani e del gruppo Buscaglia (Longanesi, Milano 1969): «Ai primi di ottobre ricevetti una lettera di Faggioni, m’invitava a raggiungerlo a Firenze per ricostituire il Gruppo Buscaglia nella Repubblica Sociale Italiana. Contemporaneamente m’arrivò un messaggio di Graziani: “Me ne vado al Sud per con-tinuare a combattere per l’Italia”. Due combattenti valorosi, due uomini giusti, due amici. Uno al Nord, l’altro al Sud» (pp. 281-282).

6. Nel bellissimo romanzo autobiografico La promessa dell’alba, Romain Gary, pilota temera-rio delle Forces aériennes françaises libres (Forze aeree della Francia libera), così ricorda l’abbatti-mento di un compagno: «Io stetti a guardare un istante quella colonna di fumo nero che dovevo, in seguito, rivedere tante volte al di sopra degli aeroplani abbattuti. Provai in quel momento la mia prima sensazione totale e bruciante di solitudine, una solitudine che la morte di cento came-rati doveva in seguito sottolineare fino a lasciarmi quest’aria di assenza che pare io abbia in volto. A poco a poco, nel corso di quattro anni di squadriglia, il vuoto è diventato per me ciò che cono-sco di più popolato. Tutte le nuove amicizie che ho tentato dopo la guerra non hanno fatto che rendermi più sensibile a questa assenza che mi vive a fianco. Spesso ho dimenticato i volti, i loro sorrisi e le loro voci sono svaniti, ma questo mi rende il vuoto ancora più fraterno. Il cielo, l’O-ceano, la spiaggia di Big Sur deserta fino all’orizzonte: io scelgo sempre per i miei vagabondaggi i posti in cui ci sia spazio sufficiente per tutti coloro che non ci sono più» (Romain Gary, La pro-messa dell’alba, Neri Pozza, Vicenza 2006 [edizione definitiva in lingua originale 1980], p. 285).E nel bellissimo film d’animazione Porco rosso, di Hayao Miyazaki (Giappone, 1992, si veda il capitolo Cielo del Mediterraneo, nota 11), il protagonista, il pilota di idrovolanti Marco Pagot, racconta alla giovane Fio una storia della buona notte, uno scontro aereo tra italiani e tedeschi in perlustrazione sul mare Adriatico, nell’ultima estate della Grande guerra: «Tutto intorno sia i loro che i nostri cadevano come mosche. Io venivo braccato con perizia da tre aerei, non avevo neanche il tempo per fare attenzione ai miei compagni e a un certo punto dei nostri ero rimasto solo io. Ma anche così quelli non mi mollavano. Scappavo e scappavo come un forsennato, sia braccia che gambe mi si erano intorpidite, mi si erano persino accecati gli occhi. Pensai: «Ormai è finita» e fu in quel momento che d’un tratto dinanzi ai miei occhi si era fatto tutto bianco. […]

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In quella strana luminosità mi ci volle un po’ di tempo per realizzare che mi trovavo dentro alle nuvole. Ero così esausto che non mi restavano neanche le forze per governare il velivolo, eppure l’aeroplano continuava a volare da solo. […] C’era una quiete spaventosa. Il cielo era veramente stupendo e tanto più in alto c’era una misteriosa nube che scorreva in un lungo filare». Il lungo filare è la formazione degli apparecchi abbattuti, dei piloti caduti, di quanti non sono più, che prendono congedo da Marco e dalla vita.

7. Espressione partenopea: «al mare».8. Si veda il capitolo Cielo del Mediterraneo, nota 211.9. Si veda il capitolo Cielo del Mediterraneo, nota 215.10. Piccolo comune della provincia di Cagliari, già base del 3º Nucleo Addestramento Ae-

rosiluranti.11. Massimiliano Erasi. Si veda il capitolo Cielo del Mediterraneo, nota 137.12. Il capitano Alfredo Reyer decolla da Ampugnano per la Sardegna l’11 settembre 1943 al

comando di una formazione di cinque aerei della 254a squadriglia del 104° Gruppo; il 19 gennaio successivo è aggregato al 132°.

13. La vernaccia di Oristano è un ottimo vino bianco da meditazione.14. Scrive il generale Carlo Unia: «Erasi rimarrà con i suoi sette velivoli a Milis fino al 18

gennaio 1944». (Carlo Unia, Storia degli aerosiluranti italiani, Galluzzi, Roma 1974, p. 354).15. Comune della Sardegna centro occidentale; l’aeroporto di Oristano–Fenosu è istituito nel

1930 come pista di carattere militare.16. Località nei pressi di Cagliari ove nel 1937 è inaugurato l’aeroporto “Mario Mameli”, lo

scalo aereo più importante della Sardegna.17. Il 13 settembre 1943 il Maggiore pilota Gabriele Casini raggiunge Castelvetrano con

tredici velivoli e si mette a disposizione del Comandante americano della base; piloti e apparecchi italiani, in numero di quindici, si spostano dapprima ad Agrigento, quindi a Torba (Tunisia), infine si portano a Galatina e a Leverano (Lecce); al Reparto Autonomo si uniscono due piloti del calibro di Francesco Aurelio Di Bella e Giulio Cesare Graziani, che riassume il comando della 281a squadriglia. Il 16 ottobre iniziano i servizi regolari trisettimanali di trasporto con la Sarde-gna e la Sicilia. «Il ruolo “Aerosilurante” dei gloriosi reparti veniva così a cessare ufficialmente, per assumere quello di “Trasporto Aereo”». Complessivamente gli apparecchi da bombardamento, aerosiluranti e da trasporto trasferitisi al Sud sono oltre cento (Carlo Unia, Storia degli aerosilu-ranti italiani, Galluzzi, Roma 1974, pp. 354-355).

18. Il Brevetto Alexander, noto anche come Certificato al Patriota, è un riconoscimento confe-rito a partigiani e patrioti italiani dopo la seconda guerra mondiale. È così chiamato dal nome del maresciallo Harold Rupert Alexander, comandante in capo delle Forze Alleate in Italia.Il Certificate of Merit numero 091026 è rilasciato in data 30 settembre 1945 al Tenente Pilota Coci Giuseppe, «A member of the Italian armed forces who fought with the allied armies for the liberation of Italy and who is commended for his service under the allied command and for his contribution to the cause of freedom».

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19. Il caposcalo è il direttore dei servizi aeroportuali: redige i documenti doganali e sanitari; compila gli elenchi dei passeggeri; tiene aggiornati i libri degli aerei, escluso il giornale di rotta; ha la facoltà di sospendere le partenze.

20. Si veda il capitolo Napoli, nota 56. Come si evince dalla corrispondenza di famiglia, Vin-cenzo Tecchio, ormai a Roma in qualità di deputato, rappresenta per i Coci un costante punto di riferimento negli anni della guerra, in particolare nel ’41 e ’42, quando Giuseppe sr e Concetta Vernetti sono entrambi in campi di prigionia inglesi, rispettivamente in India e in Etiopia, e di loro non si ha notizia.

21. Il tenente colonnello Virginio Reinero è pilota di aerosiluranti del 104° Gruppo e pro-tagonista di diverse azioni: tra queste l’attacco al convoglio Harpoon, il 14 giugno 1942. Nel dopoguerra diviene direttore operativo della neonata Alitalia e il 5 maggio 1947 effettua il volo inaugurale della compagnia di bandiera italiana, da Torino a Roma, con un Fiat G.12 Alcione.

22. Si tratta di Palazzo Serravalle, posto nel cuore del centro storico di Catania in via Vittorio Emanuele II al civico 37; il palazzo, realizzato nel primo Settecento dall’architetto Gian Battista Vaccarini, è per secoli dimora della famiglia dei principi Grimaldi di Serravalle.

23. Voce partenopea: «prendi».24. Storico caffè di Catania, aperto nel 1914 da Alessandro Caviezel, mastro pasticcere del

Cantone dei Grigioni; raggiunge grande popolarità negli anni Trenta e Quaranta e chiude nel 1995.

25. Via principale del centro storico di Catania; si snoda con andamento rettilineo, per circa tre chilometri, da Piazza Duomo al Tondo Gioieni.

26. Antico borgo marinaro, oggi quartiere della città di Catania, con bel lungomare e porto turistico.

27. L’Etna bianco è un vino secco e delicato, prodotto esclusivamente nella provincia di Catania.

28. Si veda il capitolo Napoli, nota 76.29. Voce partenopea: «seccai».30. Ovvero riceveva nella propria casa amici e conoscenti per incontri mondani.31. «Chi […], in periodo bellico, pur avendo obblighi militari, riesce a tenersi lontano dalla

zona di operazioni, sia rimanendo nelle retrovie, sia facendosi assegnare a servizi più comodi e meno pericolosi» (si veda www.treccani.it, URL consultato il 3.04.2015).

32. Si veda il capitolo Cielo del Mediterraneo, nota 110; ‘sto sta per l’aggettivo dimostrativo «questo».

33. Si veda il capitolo Africa Orientale, nota 57.34. Si veda il capitolo Africa Orientale, nota 58.35. Il colonnello Sergio Lalatta (Parma 1903 - 1978), di famiglia aristocratica parmense,

entra nella Regia Aeronautica nel 1933 con il grado di capitano; promosso colonnello nel 1940, durante la guerra assume ruoli di responsabilità presso lo stato maggiore dell’Aeronautica; nel 1945 è nominato comandante la II Zona aerea e promosso generale di Brigata.

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36. Il 2 giugno 1946, come noto, si svolge il referendum istituzionale che determina la for-ma di stato che per volontà popolare assumerà l’Italia dopo la caduta del fascismo e la fine della guerra.

37. «Comandanti», con accezione dispregiativa.38. Letteralmente, «fautori di una scissione»; qui con il significato di minoranza invisa.39. Si veda il capitolo Cielo del Mediterraneo, nota 110; nu sta per l’articolo indeterminativo

«un».40. Centralissima piazza di Roma, che prende il nome dalla chiesa della Compagnia di Gesù;

arduo identificare l’albergo cui fa riferimento Giuseppe.41. La prima compagnia aerea di linea italiana di proprietà statale, istituita il 28 ottobre 1934

e attiva fino al 1941 nel trasporto passeggeri e nel servizio postale.42. Bruno Trocca, di Trieste, già comandante della 604a squadriglia collegamenti e soccorso.43. Rigoberto Salminci, già pilota degli idrovolanti SM.55 e SM.87 destinati al trasporto di

passeggeri negli anni Trenta e Quaranta.44. Si veda il capitolo Cielo del Mediterraneo, nota 49.45. Come si legge dalla comunicazione di collocamento in congedo, a questa data Giuseppe

– che ha il grado di tenente pilota di complemento - risiede in via Caduti della Libertà 6 (ora via Caduti Liberazione 14) a Vigevano, nella «1a Zona Aerea Territoriale».

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5. VIGEVANO1947 – 20[09]1

Durante la guerra, nel 1943, morì il nonno Giovanni2, e anche la nonna Fi-lomena3. Poi nel 1944 il cimitero di Napoli andò all’aria per un bombardamento e andarono all’aria anche le loro tombe4.

Alla fine della guerra le bombe dei tedeschi avevano fatto cadere il palazzo di proprietà del nonno, con quaranta appartamenti, a via Enrico Alvino, al Vome-ro5: la famiglia vendette il terreno e prese novecentomila lire6. E chi aveva i soldi per ricostruire?...

Dopo essere stata a Gorizia nel ’43 (ed essere stata incarcerata per due giorni dai partigiani di Tito)7, mammà andò a Pordenone (ma per poco), poi tornò a Napoli; non aveva più casa e se ne venne con me a Treviso, dove ero in servizio come caposcalo; a Treviso fu ospitata anche da un’amica dell’Africa.

Papà fu liberato dal campo di prigionia in India alcuni mesi dopo la fine della guerra e rientrò in Italia nel 19468. Stava in un campo sull’Himalaya, il numero 25, quello degli irriducibili9. Zio Arturo, che stava a Milano con la mo-glie Jana e non aveva figli10, mise mio padre a Vigevano come suo aiutante, per dargli un aiuto nel commercio di pellami. In un primo tempo papà pensava di occuparsi di francobolli11, poi divenne rappresentante di pellami12. Io li raggiunsi dopo essermi congedato13: dopo essere stati dispersi in tre continenti, eravamo ri-uniti14. Avevamo una casa in affitto a via Caduti Liberazione, dai fratelli Scotti15. C’era un cortile interno e in un magazzino tenevamo le pelli che papà vendeva. Mio padre andò poi per fittare16 una villetta a via Raffele17, e quel fetente18 di proprietario disse che ai “terroni” non dava casa. Rimasi così male che ancora me lo ricordo… Allora andammo a via Carducci19.

Si disperse, invece, la grande famiglia Coci20.Zia Anna e zio Franz raggiunsero Pompeo, che si era sposato con Pia Grober,

a Varallo Sesia; ebbero due figli, Renato e Adolfo21. La sorella di Pompeo, Adria-na, era stata in Portogallo con il marito Aimone Spinola, poi a Milano, infine a Roma; ebbero cinque figli: Vittorio, Luisa, Anna, Alberto (olimpionico di palla-nuoto a Tokio) e Francesco22.

Zio Silvio e zia Margherita rimasero a Napoli a via dei Mille23 e nel ’59 emi-grarono in Sud Africa con il loro unico figlio Giovanni, nato nel ’45, con cui ho riallacciato i rapporti di recente: ha sposato Enzina Truda e ha due figli, Claudio e Roberta24.

Dopo che le morì anche Giannino, l’ultimo figlio, zia Assunta disfece casa e andò ad abitare dalla cameriera, Agnese, al Vomero25.

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Zio Armando si trasferì a Roma con zia Jolanda; ebbero una sola figlia, Au-rora26.

Zia Emilia, sposata con il vedovo Angrisani, non ebbe figli suoi; rimase a Napoli e fu l’ultima dei fratelli e delle sorelle a morire27.

A Vigevano ricominciai dal nulla. Dopo aver costituito una società di impor-tazione ed esportazione di pellami nel ’47, impiantai un’attività manifatturiera, che mantenni fino all’88.

Nel 1954 mi sposai con Alberta Pelagata ed ebbi tre figli: Anna (nel 1955), Laura (nel 1958) e Giovanni (nel 1965). Comprai casa, finalmente, in via Gar-berini28.

Mio padre morì nel ’70, fu investito da un’automobile; mia madre nell’8429.Io sono stato fortunato, rispetto a tanti altri. Mi sono ritirato al punto giu-

sto: dopo che m’hanno buttato giù in Sardegna dissi: «Basta».Ho avuto la disavventura di perdere mia moglie dopo cinquantatré anni di

matrimonio, il 18 novembre 2007. Per molti anni, fino alla morte di Alberta, ho tenuto sepolto il mio passato.

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Note

1. Giuseppe decolla per l’ultimo volo il 25 novembre 2009.2. Si veda il capitolo Napoli; nonno Giovanni era nato nel 1859; il 30 ottobre 1942, dal

campo 26 di Yol (si veda il capitolo Cielo del Mediterraneo, nota 159), Giuseppe sr scrive al padre in via Alvino 71 a Napoli, nelle sette righe concesse ai prigionieri di guerra: «apprendo che hai un serio inconveniente per un restringimento uretrale. […] Sono quasi sette anni che non vedo te e la mamma e desidero tanto riabbracciarvi». Giovanni Coci muore alcuni giorni prima del 23 febbraio 1943, terminus ante quem deducibile dalla lettera con questa data inviata da Bosco Ma-rengo a Giuseppe dal cugino Pompeo Pascariello. Pompeo è inquadrato nell’XI Battaglione Misto del Genio Alpini della Divisione “Alpi Graie”, operativo in Montenegro (nelle località di Niksic, Savnik, Danilovgrad) nella repressione del movimento partigiano. Durante la guerra, Giuseppe intrattiene con lui una corrispondenza di tono piacevolmente scherzoso.

3. Si veda il capitolo Napoli; nonna Filomena era nata nel 1857.4. Dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943 e dopo le quattro giornate di Napoli (28 settembre

– 1° ottobre 1943), la città subisce alcuni bombardamenti tedeschi. Il primo ha luogo il 21 otto-bre 1943, l’ultimo il 24 aprile 1944. Il più intenso, uno dei più gravi della guerra, si verifica il 15 marzo 1944: risultano colpiti il centro storico, tra i decumani e via Duomo; la zona che va da via Roma a via Chiaia; il Vomero e la collina cimiteriale, posta nella parte nord-orientale della città.

5. Si veda il capitolo Napoli, nota 51. Via Enrico Alvino è una perpendicolare che unisce via Domenico Cimarosa a via San Gennaro al Vomero.

6. Il 29 novembre 1945, dal campo 25 di Yol, Giuseppe sr scrive al fratello Arturo, in Milano: «Non sei d’accordo con Silvio per la vendita del terreno; anche a me non converrebbe per quella tale preoccupazione della moneta, ma egli dice che ci vorrebbero milioni per ricostruire. Comun-que il mio giudizio non conta: fate voi». Novecentomila lire del 1945 corrispondono a meno di cinquanta milioni di lire del 2001.

7. Si veda il capitolo Cielo del Mediterraneo, nota 52.8. «Cosa dirti – scrive ancora Giuseppe sr al fratello Arturo il 29 novembre 1945 – per tutte

le tristi vicende di questi anni turbinosi? Saranno argomento a lungo delle nostre conversazioni quando ci rivedremo: Ma quando? Son convinto che la scarsezza di naviglio mi terrà ancora un pezzo lontano dal rimpatrio». Pochi giorni dopo, invece, il 15 dicembre 1945, Giuseppe sr si trova nel campo di transito di Kalyan, sulla costa occidentale dell’India, nei pressi di Bombay. Un mese più tardi è in Italia, come testimonia la cartolina di licenza straordinaria che gli è rila-sciata dal Comando Centro Alloggio n. 2 di Lecce, il 15 gennaio 1946. Il 2 febbraio, come pure testimonia il timbro di rilascio della carta annonaria provvisoria apposto sul verso della medesima cartolina, è a Treviso, ove si ricongiunge con la moglie e il figlio.

9. Si veda il capitolo Cielo del Mediterraneo, nota 159.10. Secondogenito di Giovanni e Filomena Manna, nato nel 1889 e sposato non più gio-

vanissimo con un’esule russa di nome Jana, giunta in Italia con la madre Olga. In relazione alle

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vicende dei setti figli di nonno Giovanni si veda il capitolo Napoli.11. Il desiderio di trasformare la propria passione per la filatelia in attività commerciale da

parte di Giuseppe sr emerge nella già citata lettera al fratello Arturo: «Quali i miei progetti per l’avvenire? Sono senza illusioni per me personalmente e solo preoccupato di creare un avvenire a Pinuccio [Giuseppe jr]. Se potrà lavorare bene in patria vi resteremo, altrimenti si emigrerà. Nella prima ipotesi, se in città mi darò al commercio dei francobolli, se in campagna aiuterò Pinuccio. […] Datti da fare con i francobolli repubblicani, tutti i valori ordinari ed aerei, spendi che rimborserò». Nella propria collezione, costantemente aggiornata nel dopoguerra, Giuseppe sr vantava anche un raro “Gronchi rosa”, francobollo emesso il 3 aprile 1961 in occasione del viaggio del Presidente della Repubblica Giovanni Gronchi in Perù e ritirato il giorno stesso.

12. Negli anni Cinquanta Vigevano si specializza nella produzione di calzature e articoli per calzature: testimonia quel febbrile sviluppo economico, che declina a partire dagli anni Settanta, il romanzo Il calzolaio di Vigevano, di Lucio Mastronardi, edito nel 1959 sul primo numero de «Il Menabò», rivista e collana letteraria diretta da Elio Vittorini e Italo Calvino, pubblicata da Giulio Einaudi (una copia era nella biblioteca vigevanese di Giuseppe sr).

13. il 1° luglio 1947. Si veda il capitolo Cielo d’Italia, nota 45.14. Scrive Giuseppe sr il 22 settembre 1957 a un destinatario non identificato (dalla copia,

parziale e realizzata grazie a carta carbone, della lettera, che per altro ha carattere commerciale): «[…] ho avuto, con i miei, trascorsi avventurosi negli anni terribili dal 940 al 945! Quello che Lei chiama vigoroso erede giostrava nel Mediterraneo quale pilota di Aerosiluranti e divenne quasi quasi un asso, meritando sei medaglie al valore. Oggi ha sua volta un erede di genere femminile e conduce una piccola industria, avendo dovuto cambiare l’attività svolta in A.O.I. di concessio-nario agricolo a cui si dedicò dopo la laurea in agraria. Mia moglie, dopo la sfuriata africana di fiduciaria dei Fasci femminili del Governo dei Galla-Sidamo [sic], con le conseguenti varie entra-te ed uscite dal carcere e dal campo di concentramento durante l’occupazione inglese, si è placata in una vita casalinga e provinciale anche se animata dalla solita esuberanza. Io feci la mia parte quale comandante di Legione di CC.NN. [Camicie Nere] e finii col sorbirmi cinque lunghissimi anni di prigionia in India ed ora... vivo di ricordi. Questi in brevissimi tratti le nostre vicissitudini di quegli anni che ci dispersero in tre Continenti e che la Fortuna volle infine concludere con la nostra riunione in Patria».

15. Giuseppe (Geppe) e Carlo Scotti discendono da nobile famiglia vigevanese di adozione, presente in città dal XVI secolo; Geppe Scotti è sindaco di Vigevano nel 1926 e, nel periodo fascista, podestà dal 1927 al 1936. Casa Scotti si trova nella centralissima via Caduti Liberazione (già via Caduti della Libertà), al civico già 6 ora 14: ha bel cortile con giardino interno, tipico delle dimore aristocratiche lombarde.

16. «Affittare».17. Tranquilla via nella cosiddetta “zona Fiera” (ove sorge il Palazzo delle Esposizioni, costrui-

to nel 1938 e destinato a ospitare il Salone Internazionale della Calzatura) di Vigevano, a ridosso del centro cittadino.

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18. Si veda il capitolo Cielo del Mediterraneo, nota 110.19. Altra via centrale di Vigevano, ove i Coci risiedono al civico 11.20. La diaspora, in verità, inizia durante la guerra. «Natale! – scrive da Milano Arturo Coci

al nipote Giuseppe il 24 dicembre 1941 – Quanti ricordi di anni passati. Tutti eravamo riuniti intorno ai nonni nella nostra casa. Oggi invece ognuno è dislocato in un posto, lontani l’uno dall’altro, vivendo ciascuno la sua vita. Perciò il pensiero a ciascuno di voi è più vivo nella mente e per ciascuno di voi specialmente che siete in combattimento, insieme al pensiero vanno i voti, perché la Provvidenza vi assista perché abbiate buona fortuna e sempre buona sorte».

21. La primogenita di nonno Giovanni era nata nel 1888; i suoi due figli, Pompeo e Adriana, rispettivamente nel 1912 e nel 1914. Renato nasce nel 1948; Adolfo - appassionato autore di libri sulla montagna, cultore delle tradizioni locali e del patrimonio artistico della Valsesia, medico e operatore umanitario in Nepal - nel 1951.

22. Alberto Spinola, nato nel 1949, partecipa con la nazionale maschile di pallanuoto alle Olimpiadi di Tokio, nel 1964, ove l’Italia si classifica al quarto posto. Francesco Spinola, nato nel 1951, partecipa invece ai Campionati Europei di nuoto di Lipsia (1962) e di Utrecht (1966) nella specialità dei 200 stile libero.

23. L’elegante via dei Mille si allunga nel cuore del quartiere Chiaia; si trova in posizione parallela e intermedia tra via Riviera di Chiaia e corso Vittorio Emanuele.

24. Giovanni Coci è figlio del quintogenito di nonno Giovanni, Silvio, nato nel 1894 e morto nel 1979, e di Margherita Calò, nata nel 1904 e morta nel 1989; dopo aver conseguito la laurea in medicina all’Università di Johannesburg e aver esercitato per alcuni anni la professione medica, si è dedicato per oltre trent’anni all’azienda di famiglia, la GIE, fondata da Margherita nel 1965. I suoi figli, Claudio e Roberta, nascono rispettivamente nel 1977 e nel 1981. Con Mar-gherita e Silvio Giuseppe mantiene fitto e affettuoso lo scambio epistolare negli anni della guerra.

25. La terzogenita era nata nel 1890: tutti e tre i suoi figli muoiono prima di lei (si veda il capitolo Napoli). L’espressione «l’ultimo figlio» allude al fatto che Giannino, il primogenito, sia l’ultimo figlio rimasto a zia Assunta dopo la morte di Renato e Lidia. Anche con lui Giuseppe corrisponde durante la guerra.

26. Il penultimo fratello Coci era nato nel 1899; Jolanda Spinola nel 1903; Aurora sposa il nobile Silvio Tuccimei, da cui ha tre figlie.

27. L’ultimogenita Coci era nata nel 1902. Prima di ritornare a Napoli nell’immediato dopo-guerra, Emilia risiede con il marito a Catania e a Roma.

28. Altra tranquilla via nella cosiddetta “zona Fiera” di Vigevano.29. Giuseppe sr, nato il 13 maggio 1892, muore per le conseguenze dell’investimento da

parte di un’automobile il 28 maggio 1970. Concetta Vernetti, nata il 14 settembre 1898, muore per aneurisma dell’aorta il 9 agosto 1984.

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Postfazione

L’ultimo volo

di Adolfo Pascariello

Così anche Pinotto (l’ho sempre chiamato così) è decollato per l’ultimo volo.Il più alto.Non nascondo una certa commozione ripensando ai libri che ad ogni mio

compleanno arrivavano, rigorosamente con dedica, da Vigevano.Pinotto mi aveva tenuto a battesimo.Il suo regalo era stata una medaglietta d’oro con il motto «Memento Audere

Semper» di dannunziana memoria.Non avrebbe potuto essere diverso.Papà voleva bene alla Valsesia, soprattutto ad Alagna, che conservava nel

cuore con affetto.Immagino che al suo arrivo sarà stato accolto dall’assemblea di famiglia con

la gioia domestica di un grande pranzo di Natale, non senza avergli fatto notare di essersi attardato un po’ troppo.

Lui, con calma, avrà dovuto spiegare loro che doveva terminare di mettere ordine nei suoi ricordi per lasciarci una traccia da seguire. Poi avranno ripreso il discorso da dove l’avevano lasciato.

Sono fatti così.

Varallo Sesia, 8 dicembre 2009

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Indice dei nomi

a cura di Giovanni Gualterotti

Abba Gifàr, 42, 50Aichner, Martino, 58, 78, 81, 82, 83, 93, 121Akkad, Moustapha, 47Alboni, Edgardo, 11Alexander, Harold Rupert, 7, 119, 122Alighieri, Dante, 39Al-Mukhtar, Omar, 47Amedeo di Savoia-Aosta, 85Amendola, Giovanni, 26Amitrano, Ludovico, 19, 39Andreotti, Giulio, 47Angelucci, Ramiro, 80Angrisani, Alfredo, 14, 125Antonielli, Sergio, 86, 87Arcarisi, Gioacchino, 73Auchinleck, Claude, 74

Badoglio, Pietro, 53, 66Balbo, Italo, 53, 56, 66, 67, 72, 75Balestri, Edmondo, 81Barani, Guido, 78Bargagna, Francesco, 58, 77, 78, 80, 81Barra, Peppe, 9Battisti, F. (legione con sede a Dessié, AOI), 51Bausch, Elena, 17Bellonci, Maria, 87Benadusi, Lorenzo, 30Benatzky, Ralph, 35Bianchi, Bruno, 55, 72Bianchi, Fabio, 68, 70, 88, 90Bianchi, Michele, 66Biani, Vincenzo, 54, 67Bifani (fascista intransigente), 30Bobbio, Carolina, 24Bosi, Giuseppe, 54, 71Bottego, Vittorio, 51Buscaglia, Carlo Emanuele, 58, 59, 70, 77, 80, 81, 82, 88, 92, 121Busetto, Luigi, 58, 59, 78, 81, 82, 83Bushi, Manfred, 66

Calò, Marcella, 14Calò, Margherita, 13, 14, 22, 50, 53, 61, 65, 74, 85, 87, 101, 125, 129Calò, Michele, 14Calvino, Italo, 128Cangiano, Cristoforo, 73, 75, 76Cannaviello, Vittorio, 54, 55, 63, 71Cantù, Cesare, 42, 49Caproni, Giovanni Battista, 9, 11Caracciolo (famiglia), 27Caracciolo di Roccaromana, Nicola, 27Carafa d’Andria, Andrea, 16, 28, 29-30, 31, 97Carafa d’Andria, Riccardo, 30Cardinale, Cesare, 28, 31Carlo III di Borbone, 46Carnaccini (allievo pilota), 107Carosone, Renato, 25Caruso, Vito, 73, 75Casati, Gabrio, 35Casini, Gabriele, 91, 122Cassoni (allievo pilota), 107Castellano, Mario, 40Castellino, Nicolò, 28Catalano, Alberto, 78Catalano, Francesco, 82, 83Cavalli Sforza, Luigi Luca, 23, 24Caviezel, Alessandro, 123Cedro (italiano a Gimma), 43Celentano, Amedeo, 53, 102Celentano, Giulia, 53Céline, Luis-Ferdinand, 87Ceriani, Vera , 18Cerrito (insegnante privata), 18Chierici, Fernando, 73Chiminello, Ernesto, 65, 66Ciampi, Carlo Azeglio, 35Cimicchi, Giuseppe, 93Cocchi, Giuseppe, 87Coci, Anna (1888), 13, 14, 16, 23, 95, 125Coci, Anna (1955), 5, 7, 11, 126Coci, Armando, 13, 14, 16, 17, 22, 84, 125

134

Coci, Arturo, 6, 7, 13, 17, 22, 97, 125, 127, 128, 129Coci, Assunta, 13, 18, 125, 129Coci, Aurora, 125, 129Coci, Claudio, 125, 129Coci, Emilia, 14, 16, 31, 102, 125, 129Coci, Giovanni (1859), 11, 13, 15, 33, 61, 96, 125, 127, 128, 129Coci, Giovanni (1945), 11, 14, 22, 85, 96, 125, 129Coci, Giovanni (1965), 5, 7, 11, 126Coci, Giuseppe (Pinotto, Pinuccio), 5, 6, 7, 8, 13, 27, 29, 31, 32, 33, 34, 35, 36, 37, 49, 50, 51, 52, 67, 73, 74, 75, 76, 78, 79, 81, 82, 83, 84, 86, 87, 88, 89, 90, 91, 92, 93, 96, 97, 99, 100, 101, 102, 103, 104, 105, 106, 107, 108, 109, 111, 115, 116, 117, 118, 120, 122, 124, 127, 128, 129, 131Coci, Giuseppe senior (Pinotto), 5, 6, 21, 22, 23, 24, 26, 27, 28, 29, 32, 37, 49, 71, 85, 86, 87, 95, 96, 97, 98, 100, 101, 123, 127, 128, 129Coci, Laura, 5, 7, 8, 9, 126Coci, Roberta, 125, 129Coci, Silvio, 13, 17, 22, 50, 74, 85, 86, 87, 125, 127, 129Corigliano, Antonino, 87Corigliano, Gregorio, 87Corridoni, Filippo, 49, 71Corsini Olsoufieff, Olga, 85Cunningham, Alan Gordon, 84

D’Annunzio, Gabriele, 29Dalmazzo Lorenzo, 65De Bono, Emilio, 53, 66De Caro (direttore della sezione staccata del ginnasio “Umberto I” di Napoli), 19De Cet (italiano a Gimma), 43De Gemmis Le Merurier, Helen Anne, 27De Luca, Erri, 36De Sanctis (allievo ufficiale aeronautica), 53De Vecchi, Cesare Maria, 53, 66, 67Del Boca, Angelo, 21, 47, 48, 51, 85, 87Del Fra, Lino, 27Del Ponte, Mario, 82, 83Dell’Anna, Andrea, 75, 76Di Bella, Francesco Aurelio, 55, 71, 93, 122

Di Fausto, Florestano, 75Di Luise, Guglielmo, 55, 72Di Mola, Vito, 56, 76

Einaudi, Giulio, 128Eisenhower, Dwight, 79Eleuterio, Leopoldo, 67Erasi, Massimiliano, 59, 71, 77, 80, 82, 91, 119, 122Evangelisti, Giorgio, 80, 121

Faggioni, Carlo, 54, 60, 64, 70, 71, 78, 79, 80, 83, 89, 91, 92, 93, 119, 121Faggioni, Giuseppe, 71Farinacci, Roberto, 31Felsani, Armando, 49Ferrari (presidente del CAI di Napoli), 17, 33Ferrarin, Arturo, 66Fiocchi (allievo ufficiale aeronautica), 54Fiumani, Orfeo, 55, 73Fontana, Pietro, 93Fontanella, Elena, 25Forni (sergente armiere), 55Fougier, Rino Corso, 70Fowkes, Charles, 51Franchetta, Domenico, 73, 75, 76Franco, Italo, 73Franzinelli, Mimmo, 26Frish, Otto von, 23Frongia, Mario, 109Frulli, Renato, 54, 67, 106

Gary, Romain (Kacew, Roman), 121Gazzera, Linda, 41, 49Gazzera, Pietro, 41, 47, 49Geloso, Carlo, 41, 47, 49Gemito, Vincenzo, 42, 50, 120Gentile, Giovanni, 22, 39, 45Gianoglio, Alberto, 92, 93Gianturco, Nando, 102Gigli, Aldo, 73Giosia, Luisa, 22, 84Giuliani, Reginaldo, 51Graziani, Giulio Cesare, 41, 47, 59, 78, 80, 82, 83, 93, 119, 121, 122Graziani, Rodolfo, 47, 48, 74Greco, Paolo, 25

135

Grimaldi di Serravalle (famiglia), 119, 123Grober, Pia, 125Gronchi, Giovanni, 128Grosso, Maria Laura, 62, 120Gualterotti, Azra, 118Gualterotti, Giovanni, 118, 133Guercia, Bebè, 39Guerrieri, Alberto, 22Guerrieri, Vittoria, 22Guidotti, Giovanni, 30Gurari (compagna di Arturo Coci), 13, 22

Hailé Selassié, 48Hemingway, Ernest, 36Hill (insegnante di inglese di Giuseppe), 16

Intelisano, Agatino, 60, 82, 83Itsu, Idu, 43, 51

Këlcyra, Ali bej, 65Klabund (Henschke, Alfred), 87Kossakovski (fuoriuscito polacco), 16

La Bella, Giuseppe, 73Labriola, Arturo, 26Lalatta, Sergio, 120, 123Landesman, Alessandro, 41, 49, 97Landesman, Boris, 49Landesman, Sergio, 42, 49Le Mesurier di Birkenhead (famiglia), 27Lepenica, Hysni, 65Lewis, Sinclair, 87

Maceratini, Giuseppe, 91Madrignani, Luca, 32Maffei, Alessandro, 71Maiore, Francesco, 59, 80, 81, 82Malara, Francesco, 78Mameli, Mario, 122Manca, Achille, 31Mancuso (fascista intransigente), 31Manfredi, Paolo, 78Mangini, Cecilia, 27Manna, Filomena, 13, 15, 33, 125, 127Maraziti, Antonio, 68, 70, 88, 90Marchetti, Alessandro, 72Marchetti, Lina, 43, 50

Maria José del Belgio, 24Marini, Giulio, 55, 56, 73, 74, 75, 76Marini, Marino, 58, 78, 80, 81, 83Maritano, Dario, 92, 93Marizza, Giovanni, 87Martoni, Ercole, 73Massera, Mario, 73Mastronardi, Lucio, 128Mastrostefano (squadrista dei Falchi), 17Mattei, Cesare, 78Matteotti, Giacomo, 26Mattesini, Francesco, 68, 69, 70, 89Mattioli, Marco, 68, 70Mazzocca, Mario, 62, 78, 83, 88Meconio, Vincenzo, 42, 50, 120Mele, Alfonso, 25Mele, Emiddio, 25Meo, Carmelo, 73Merlo, Pietro, 73, 75, 76Meshkij, Aimone, 84Meshkij, George, 61, 84Messina (fratello di Epifanio), 24Messina, Epifanio, 24Micciché, Lino, 27Miccoli, Franco, 89Migliaccio, Aldo, 78Mignone, Alessia, 34Mirabelli, Giuseppe, 19-20, 35Miyazaki, Hayao, 9, 10, 11, 66, 121Moci, Paolo, 71Molteni, Mirko, 68, 82Monaco, Pasquale, 50Monaco, Riccardo, 18Mondini, Massimo, 73Montgomery, Bernard Law, 75Moretti, Vittorio, 57, 78, 79Moschi, Sesto, 78Mussolini, Arnaldo, 49Mussolini, Benito, 17, 20, 21, 25, 26, 27, 31, 45, 48, 53, 56, 66, 85, 87, 98Mussolini, Bruno, 36, 53Mussolini, Vittorio, 36Mutti, Romeo, 76

Nannini, Pier Giovanni, 92Napolitano, Giorgio, 35Napolitano, Giovanni, 24

136

Nazzaro, Antonio, 15Negasc Abdelkader, Ismail, 43Nervi, Pier Luigi, 79Nitti, Francesco Saverio, 17, 32

Oliveti, Ivo, 51Oliviero, Andrea, 78Ongaro, Ercole, 5, 9, 11

Pacini, Aurora, 118Padovani, Aurelio, 16, 17, 25-26, 27, 28, 29, 30, 31, 32, 98, 99Padovani, Emma, 16, 29, 37, 100, 102Padovani, Giulia, 16, 29, 37, 100, 102Padovani, Umberto, 16, 20, 26-27, 28, 29, 37, 100, 102Palumbo, Gino, 26Paolini, Marcello, 73Pappalardo, Saverio, 20, 40Paradisi, Bruno, 23Parenti, Rino (Efre), 40, 46Pascariello, Adolfo, 125, 129, 131Pascariello, Adriana, 13, 14, 23, 125, 129Pascariello, Francesco, 13, 14, 16, 95, 125Pascariello, Pompeo, 13, 16, 43, 53, 103, 125, 127, 129Pascariello, Renato, 125, 128Pegna, Oscar, 55Pelagata, Alberta, 5, 7, 117, 126Pellegrini, Luigi, 87Perez, Giannino, 13, 31, 102, 103, 125, 129Perez, Giuseppe, 13, 22Perez, Lidia, 13, 18, 129Perez, Renato, 6, 13, 16, 18, 20, 34, 129Perticone, Antonella, 93Peruzzi (capitano allievi aeronautica), 53Peteani, Ondina, 89Pfister, Carlo, 58, 59, 60, 61, 62, 63, 78, 81, 83Piccolomini, Enea Silvio (Pio II), 54, 71Piccolomini, Niccolò, 54, 71Picone, Francesco, 28, 31Piperno, Carlo, 18Piperno, Mario, 18Ponzo, Dante, 92, 93Postiglione, Guido, 102Preziosi, Giovanni, 28

Pulzetti, Alfredo, 75

Ranieri, Guglielmo, 73Razza, Luigi, 49Reggiani, Renato, 60, 64, 82, 83, 93Reinero, Virginio, 119, 120, 123Resnikova, Anna, 41, 49, 97Reyer, Alfredo, 119, 122Ricciardi (barone), 17, 18, 34Rinaldi, Valeria, 66Rivoli, Ugo, 77, 78Rommel, Erwin, 74Rosatelli, Celestino, 67, 70Ruggeri, Leopoldo, 64, 91, 92Ruisi, Agostino, 76

Salerno, Eric, 67Saletta, Evasio, 93Salminci, Rigoberto, 116, 120, 124Salvatores, Gabriele, 72Sangermano, Sofia, 14, 15Sanges, Lorenzo, 26Saraceno, Eduardo, 28Savio, Guido, 78Schiassi, Natale, 28Schilizzi, Matteo, 14, 22Schöll, Walter, 23Schwartz (fratelli) 19, 35Sciubinico, Giuseppe, 78Scotti, Carlo, 125, 128Scotti, Giuseppe (Geppe), 125, 128Scottone (avvocato), 28Serra di Gerace-Carafa d’Andria, Maria Luisa, 36Servida, Giampaolo, 76Setta, Claudio, 55, 63, 71Silvestri, Filippo, 40, 46Sogliozzo, Francesco, 81Spezzaferri, Mario, 57, 79Spinola, Aimone, 14, 22, 23, 125Spinola, Alberto, 125, 129Spinola, Anna, 125Spinola, Diana, 22Spinola, Emanuele, 22Spinola, Francesco, 125, 129Spinola, Gastone, 22Spinola, Giacomo Filippo, 22

137

Spinola, Giorgio, 22Spinola, Jolanda, 14, 22, 54, 60, 84, 125, 129Spinola, Luigi Domenico, 22Spinola, Luisa, 125Spinola, Mafalda, 22, 61, 84Spinola, Oberto, 22, 84Spinola, Rosa, 22Spinola, Vittoria, 22Spinola, Vittorio, 125Spinola, Vittorio Emanuele, 22Sponza, Ottone, 64, 89, 91, 92Strani, Aligi, 73, 74, 109

Taglialatela, Maria Antonietta, 25Tecchio, Vincenzo, 15, 16, 19, 24, 28, 30-31, 33, 34, 35, 74, 87, 100, 102, 119, 123Teruzzi, Attilio, 41, 48Tito (Broz, Josip), 72, 89, 125Tommaselli, Antonio, 88Toppazzini (italiano a Gimma), 43Tripiciano, Arturo, 64, 92, 93Trocca, Bruno, 120, 124Truda, Enzina, 125Tuccimei, Silvio, 129

Ugolini (aviere scelto fotografo), 76Umberto II di Savoia, 15, 24Unia, Carlo, 68, 73, 74, 76, 77, 78, 79, 82, 84, 88, 89, 90, 91, 92, 93, 121, 122

Vaccarini, Gian Battista, 123Valcarenghi, Luigi, 49Valéry, Paul, 9

Van Wood, Peter, 25Varvaro, Paolo, 28, 31, 32, 48Vascon, Alberto, 50Vecchiarelli, Walter, 81Vercellana, Rosa, 14, 22Vercesi, Vittorio, 81Verde, Italo, 31, 102Vernetti, Alfredo, 23Vernetti, Concetta (Coci, Titta), 5, 6, 14, 23, 31, 50, 85, 87, 88, 93, 97, 102, 123, 129Vernetti, Dolores, 14, 15Vernetti, Giuseppe, 14Vernetti, Luigi, 14, 23Vernetti, Teresa, 14, 15, 24Vernetti, Vincenza, 14, 15, 24Veroni (allievo ufficiale aeronautica), 54Vianello (famiglia), 93Villani, Pasquale, 28, 31Vinciguerra, Pasquale, 78Viola (famiglia), 16, 27Viola, Consiglio, 16Viola, Giulia, 16Vittorini, Elio, 128Vittorio Emanuele II di Savoia, 14, 22Vittorio Emanuele III di Savoia, 27, 31, 46, 48, 66

Wilson, Thomas Woodrow, 23Windish Graetz, Massimiliano Antonio, 36Windish Graetz, Ugo Massimiliano, 20, 36

Zambrano, Maria, 8Zamola, Guerrino, 73Zanuttini, Elio, 73

Finito di stampare nel mese di Novembre 2015SOLLICITUDO Arti Grafiche

Via Selvagreca, Lodi