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1 GIUSEPPE VERDE Garanzie, controlli costituzionali e conflitti nell’esercizio della giurisdizione (Stesura provvisoria) SOMMARIO: 1. La giurisdizione nella Costituzione: aspetto funzionale ed aspetto organizzativo. – 2. Le garanzie costituzionali dell’autonomia e dell’indipendenza del potere – ordine giudiziario. – 2.1. La “garanzia” costituzionale della riserva di legge. – 2.2. Amministrazione della giustizia e conflitti costituzionali. – 3. I “controlli” sulla magistratura: il sistema dei rapporti fra Ministro della giustizia e Consiglio superiore della magistratura nelle leggi di attuazione della Costituzione e nella giurisprudenza costituzionale. – 3.1. Alcune precisazioni sul rapporto fra CSM e Ministro della giustizia alla luce della questioni relative alla: a) iniziativa del ministro nella legge n. 195 del 1958; b) forma dei provvedimenti riguardanti i magistrati. – 4. Le riforme dell’ordinamento giudiziario. I nodi irrisolti. – 5. Il contesto attuale. – 6. Le prospettive di riforma. 1. La giurisdizione nella Costituzione: aspetto funzionale ed aspetto organizzativo Chi ha riflettuto negli ultimi decenni sul concetto di giudice, di giurisdizione, di disciplina costituzionale dell’ordine-potere giudiziario, non ha potuto prescindere dalla nostra storia costituzionale: i Padri costituenti avevano un’immagine della Costituzione come progetto da attuare, probabilmente non direttamente mediante l’opera del giudice, 1 il quale era visto come soggetto chiamato a dare in modo imparziale, terzo, neutrale applicazione alla legge 2 . L’immagine della Costituzione programma si associa a quella del giudice e della giurisdizione legata a schemi intrisi di una visione meccanica della funzione giurisdizionale. Lo scopo primario che i Costituenti intendevano perseguire con il Titolo IV, Parte II della Costituzione era quello di superare l’ordinamento pre- repubblicano che offriva al Governo «strumenti opportuni per frenare ed anche per guidare il giudiziario: quali la nomina di tutti i componenti il Consiglio superiore, la posizione assegnata al pubblico ministero nei confronti del Ministero della giustizia, e soprattutto le competenze conferite all’esecutivo in materia di nomine, di promozioni e di trasferimenti dei giudici». Al contempo, però, si deve riconoscere che in quell’ordinamento «non si giunge mai – giuridicamente – a pretendere dal giudiziario la 1 Da ultimo BARTOLE, Giudici ed attuazione dei valori costituzionali, Relazione al Convegno per il 60° anniversario della Costituzione Giurisdizione e giudici nella Costituzione, Corte di Cassazione, in Quaderni del Consiglio Superiore della Magistratura, n. 155 del 2009, 29. 2 ANGIOLINI, Giurisdizione (riserva di), in Dig. Disc. Pubbl., VII, Torino, 1991, 317, spec. 321.

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GIUSEPPE VERDE

Garanzie, controlli costituzionali e conflitti nell’esercizio della giurisdizione

(Stesura provvisoria)

SOMMARIO: 1. La giurisdizione nella Costituzione: aspetto funzionale ed aspetto organizzativo. – 2. Le garanzie costituzionali dell’autonomia e dell’indipendenza del potere – ordine giudiziario. – 2.1. La “garanzia” costituzionale della riserva di legge. – 2.2. Amministrazione della giustizia e conflitti costituzionali. – 3. I “controlli” sulla magistratura: il sistema dei rapporti fra Ministro della giustizia e Consiglio superiore della magistratura nelle leggi di attuazione della Costituzione e nella giurisprudenza costituzionale. – 3.1. Alcune precisazioni sul rapporto fra CSM e Ministro della giustizia alla luce della questioni relative alla: a) iniziativa del ministro nella legge n. 195 del 1958; b) forma dei provvedimenti riguardanti i magistrati. – 4. Le riforme dell’ordinamento giudiziario. I nodi irrisolti. – 5. Il contesto attuale. – 6. Le prospettive di riforma.

1. La giurisdizione nella Costituzione: aspetto funzionale ed aspetto organizzativo Chi ha riflettuto negli ultimi decenni sul concetto di giudice, di giurisdizione, di

disciplina costituzionale dell’ordine-potere giudiziario, non ha potuto prescindere dalla nostra storia costituzionale: i Padri costituenti avevano un’immagine della Costituzione come progetto da attuare, probabilmente non direttamente mediante l’opera del giudice,1 il quale era visto come soggetto chiamato a dare in modo imparziale, terzo, neutrale applicazione alla legge2. L’immagine della Costituzione programma si associa a quella del giudice e della giurisdizione legata a schemi intrisi di una visione meccanica della funzione giurisdizionale. Lo scopo primario che i Costituenti intendevano perseguire con il Titolo IV, Parte II della Costituzione era quello di superare l’ordinamento pre-repubblicano che offriva al Governo «strumenti opportuni per frenare ed anche per guidare il giudiziario: quali la nomina di tutti i componenti il Consiglio superiore, la posizione assegnata al pubblico ministero nei confronti del Ministero della giustizia, e soprattutto le competenze conferite all’esecutivo in materia di nomine, di promozioni e di trasferimenti dei giudici». Al contempo, però, si deve riconoscere che in quell’ordinamento «non si giunge mai – giuridicamente – a pretendere dal giudiziario la

1 Da ultimo BARTOLE, Giudici ed attuazione dei valori costituzionali, Relazione al Convegno per il

60° anniversario della Costituzione Giurisdizione e giudici nella Costituzione, Corte di Cassazione, in Quaderni del Consiglio Superiore della Magistratura, n. 155 del 2009, 29.

2 ANGIOLINI, Giurisdizione (riserva di), in Dig. Disc. Pubbl., VII, Torino, 1991, 317, spec. 321.

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meccanica esecuzione degli ordini dell’esecutivo, ed a comprometterne direttamente l’indipendenza funzionale»3.

L’impianto costituzionale così, mentre guardava al passato statutario, disegnava il futuro assetto dell’ordine giudiziario trasfigurando quegli stessi istituti: l’inamovibilità, la presenza di un organo “altro” rispetto al Governo nell’amministrazione della giustizia, l’amministrazione della giustizia «in nome del popolo» e il principio della soggezione del giudice soltanto alla legge4.

Tali guarentigie assurgevano a presidio autentico dell’autonomia e dell’indipendenza della magistratura. In particolare, successivamente all’entrata in funzione del Consiglio superiore della magistratura il quadro delle garanzie organizzative divenne centrale nell’assicurare piena effettività ai principi costituzionali, sul piano della re-interpretazione dell’ordinamento giudiziario pre-repubblicano.

Sul piano funzionale, invece, gli anni immediatamente successivi all’entrata in vigore della Costituzione vedono l’ordine giudiziario restio ad accettare le implicazioni derivanti dall’esercitare la funzione giurisdizionale in un ordinamento la cui Costituzione è norma giuridica vincolante l’esercizio della funzione legislativa ed assistita da istituti di garanzia di tipo giurisdizionale5. Premessa, come è noto per nulla scontata nei primi anni della nostra esperienza costituzionale6. Un approccio non soltanto contrario al dato positivo, ma anche in via di superamento sul piano teorico sulla base dell’insegnamento kelseniano7.

3 Entrambe le citazioni sono tratte da PALADIN, Fascismo, in Enc. dir., XVI, Milano, 1967, 887 ora

in Saggi di storia costituzionale, Bologna, 2008, 35, spec. 61. 4 Per comprendere le ragioni che portarono all’attuale configurazione della natura e della posizione

del Csm nell’ordinamento costituzionale sarebbe opportuno muovere anche dall’interpretazione della disciplina dei profili organizzativi della giustizia data dalle Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione nella sentenza del 3.2.1917 (in Foro it, 1917, I, 551). In tale decisione, nell’affermare la sottrazione alla giurisdizione del Consiglio di Stato dei provvedimenti riguardanti la promozione dei magistrati, emerse con chiarezza come anche nell’ordinamento pre-repubblicano si ritenesse l’organo di garanzia istituzionale dell’indipendenza della magistratura non «soggetto al sindacato di un organo appartenente all’amministrazione». Sulla base di tali affermazioni si avviarono le riflessioni sulla necessità di rendere percepibile e giustiziabile il principio della distinzione fra funzione amministrativa e giurisdizionale, quest’ultima affidata ad organi imparziali ed indipendenti. Per una ricostruzione dei caratteri del titolo IV parte II della Costituzione, di recente, SALAZAR, La magistratura, Roma-Bari, 2002.

5 CRISAFULLI, La Costituzione e le sue disposizioni di principio, Milano, 1952. 6 Basti citare, sul punto, le tesi avanzate in Assemblea costituente, secondo le quali la parte “di

principi” della Costituzione andava inserita in un preambolo privo di valore normativo. Sul versante dottrinale, si veda invece AMORTH, Il contenuto giuridico della Costituzione, adesso in Scritti giuridici, II, Milano, 1999, 787 ss., nonché – dopo l’entrata in vigore della Costituzione – CHIARELLI, Elasticità della Costituzione, in AA.VV, Studi di diritto costituzionale in memoria di Luigi Rossi, Milano, 1952, 50 ss.). Sul punto, di recente, cfr. BIN, Che cosa è la Costituzione?, in Quad. cost., 2007, 11 ss., spec. 22 ss.

7 KELSEN, Reine Rechtslehre. Einleitung in die rechtswissenschaftliche Problematik, Wien, 1934, trad. it. Lineamenti di dottrina pura del diritto, Torino, 1952, ed. 2000, 109. Del resto, anche l’altro grande teorico giuspositivista del diritto del XX secolo aveva un approccio alla interpretazione giuridica non dissimile da quella del Maestro praghese. Si veda, al riguardo, HART, The Concept of Law, Oxford, 1961, trad. it. Il concetto di diritto, Torino, ed. 2002, 146 ss. Sul tema della “creatività” del giudice la letteratura è sterminata. Si vedano al riguardo, pur nella varietà di impostazioni, SPAGNA MUSSO, Giudice (nozione e profili costituzionali), in Enc. dir., XVIII, 1969, 931, spec. 936.; CAPPELLETTI, Giudici legislatori?, Milano, 1984, spec. la premessa; SATTA, Norma, diritto, giurisdizione, in Studi in memoria di Carlo Esposito, Padova, 1973, III, 1623; ESPOSITO, La validità delle leggi, Milano, 1934. Cfr. anche ONIDA, L’attuazione della Costituzione fra magistratura e Corte costituzionale, in Scritti in onore di Costantino Mortati, IV, Milano, 1977, 501. Nel dibattito contemporaneo sulla funzione giurisdizionale l’autore più noto che afferma la necessaria presenza di giudizi morali nell’interpretazione giuridica è probabilmente RONALD DWORKIN, per il quale si veda soprattutto Law’s Empire, Cambridge (Ma), 1986,

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Successivamente all’entrata in funzione della Corte costituzionale, gradualmente, gli appartenenti all’ordine giudiziario iniziarono a scoprire il potenziale dirompente dei principi costituzionali. In particolare – per quel che qui specificamente interessa – rileva il principio della soggezione del giudice soltanto alla legge, nel contesto di un ordinamento che attribuisce anche a quest’ultimo la garanzia della rigidità costituzionale mediante l’instaurazione del giudizio di legittimità costituzionale delle leggi e la tutela delle proprie attribuzioni costituzionali in sede di conflitto di attribuzioni fra poteri dello Stato.

Nel tracciare la storia di questi decenni repubblicani, si è detto che questo arcipelago che è l’ordine giudiziario è difficilmente riconducibile all’idea di un potere monolitico; che non è corretta sul piano dell’esegesi del testo costituzionale un’immagine della magistratura come blocco di potere dello Stato8. È stato altresì evidenziato che la Costituzione italiana ambisce a realizzare la giustizia anche nella giurisdizione, sia mediante la previsione di “rimedi” agli errori giudiziari (artt. 24 e 111 Cost.), sia mediante la previsione di strumenti di reazione sul piano istituzionale nei confronti di “malfunzionamenti” della giustizia per causa degli appartenenti all’ordine giudiziario (artt. 105 e 107 Cost.)9.

È possibile affermare che, a distanza di più di sessant’anni dall’instaurazione del “nuovo ordine costituzionale”, quelle guarentigie volte a presidiare l’autonomia e l’indipendenza della magistratura siano state interpretate ed attuate per realizzare l’idea di giustizia nella giurisdizione?

Al riguardo la risposta è stata sovente negativa. Se in passato è stato sostenuto che il CSM avrebbe svolto un ruolo di supplenza dinanzi alla mancata attuazione della VII disposizione transitoria della Costituzione e i giudici un ruolo di supplenza dinanzi all’inattività degli organi cui spetta la funzione d’indirizzo politico al fine di rendere effettivi i principi costituzionali, nel triennio 2005-2007 si è invece assistito al tentativo di incidere sull’amministrazione della giustizia (e della giurisdizione) con interventi che hanno posto più di una perplessità dal punto di vista costituzionale, proprio nel momento in cui si mirava a dare attuazione alla VII disposizione transitoria10.

Il primo intervento legislativo organico sull’ordinamento giudiziario (la c.d. “riforma Castelli”) sembrava orientato contro una certa interpretazione delle attribuzioni proprie del Consiglio superiore della magistratura invalsa nel cinquantennio di attività di questo organo11. La restaurazione voluta dall’allora Ministro Mastella rispondeva,

trad. it. L’impero del diritto, Milano, 1989. Al riguardo, nella dottrina italiana, cfr. SCHIAVELLO, Diritto come integrità: incubo o nobile sogno? Saggio su Ronald Dworkin, Torino, 1997.

8 BARTOLE, Giudici ed attuazione dei valori costituzionali, cit. 37. Per una ricostruzione critica delle diverse letture dell’impianto del Titolo IV, Parte II, della Costituzione, cfr. anche SALAZAR, Il Consiglio superiore della magistratura e gli altri poteri dello Stato: un’indagine attraverso la giurisprudenza costituzionale, nel Forum di Quaderni costituzionali, http://www.forumcostituzionale.it/site/images/stories/pdf/documenti_forum/paper/0010_salazar.pdf

9 FERRARI, Consiglio superiore della magistratura, in Enc. giur., VIII, Roma, 1988, 5; in relazione all’art. 111 Cost., cfr. CECCHETTI, Giusto processo (Diritto costituzionale), in Enc. dir., Appendice, V, Milano, 2001, 595.

10 PIZZORUSSO, Considerazioni generali, in La «riforma della riforma» dell’ordinamento giudiziario, in Foro it, 2008, V, 5.

11 Per indicazioni sulla prassi che ha caratterizzato i rapporti fra Ministro e Consiglio superiore sia consentito rinviare a VERDE, L’amministrazione della giustizia fra Ministro e Consiglio superiore, Padova, 1990.

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invece, alle sollecitazioni del CSM racchiuse nei pareri resi sulle proposte governative di modifica dell’ordinamento giudiziario12.

Che ruolo hanno giocato questi interventi in un contesto in cui emerge una larga insoddisfazione nel modo in cui viene assicurato il corretto esercizio della funzione giurisdizionale?

L’idea di fondo delle riforme dell’ordinamento giudiziario era quella di razionalizzare il “governo” della magistratura mediante la posizione di un quadro normativo adeguato a rendere effettivo l’esercizio del potere disciplinare; a consentire lo svolgimento secondo criteri “eteronomi” rispetto agli “editti” del CSM delle valutazioni di professionalità, anche ai fini di costruire la “carriera” del magistrato con meccanismi selettivi; ad assicurare la formazione continua dei magistrati; a ripensare l’organizzazione delle procure e degli uffici direttivi. In particolare, deve essere notato che l’esigenza sottesa ad alcuni di tali interventi sta nella necessità di rispondere a quello che è stato considerato uno dei “mali” del concreto funzionamento dell’autogoverno della magistratura: il cosiddetto “correntismo”.

L’intervento legislativo sull’ordinamento giudiziario si presenta insieme necessario ed estremamente delicato, anche perché le riforme del triennio 2005-2007 derivano dalla volontà di dare una nuova direzione all’amministrazione della giustizia senza incidere direttamente sul profilo funzionale.

A quest’ultimo proposito va evidenziato come sia ormai maturo il convincimento concernente il ruolo centrale della giurisdizione nell’attuazione della Costituzione e nel processo d’integrazione degli ordinamenti, al punto che appare diffondersi sul piano culturale l’idea del giudice come “primo custode” dei principi costituzionali, come soggetto che svolge una funzione di “garanzia” in dialettica con lo stesso legislatore ed in collaborazione con la Corte costituzionale13. In definitiva, di “tenuta” complessiva dell’ordinamento costituzionale14. In tale quadro, appare certo condivisibile il rilievo di chi ha sostenuto che «la posizione riconosciuta al giudice nel sistema costituzionale ed istituzionale deve trovare una adeguata e conforme risposta nella legge sull’ordinamento giudiziario »15.

In tale contesto si avverte sempre più che le attività riconducibili all’esercizio della funzione giurisdizionale debbano essere assistite da un elevato livello di professionalità ed efficienza. Ciò induce a verificare se il sistema di garanzie e controlli delineato nel Titolo IV della Costituzione e nella legge n. 195 del 1958 sia ancora “valido” o se, al contrario, anche in questo settore si siano registrate delle trasformazioni tali da esigere radicali interventi di riforma.

12 Relazione al Parlamento sullo Stato della giustizia. Il Consiglio superiore della magistratura e

le modifiche dell’ordinamento giudiziario, Roma 27 luglio 2006, raccolta nei Quaderni del Consiglio Superiore della Magistratura, n. 151 del 2007. http://www.csm.it/quaderni/quad_151/151.pdf.

13 Cfr., ad es., BIN, Ragionevolezza e divisione dei poteri, in AA.VV. Corte costituzionale e principio di eguaglianza, Padova, 2001, 159-184

14 Si pensi ai rilievi di ZAGREBELSKY, Il diritto mite, Torino, 1992 su I giudici e il diritto (capitolo VII).

15 ROMBOLI, Il ruolo del giudice in rapporto all’evoluzione del sistema delle fonti ed alla disciplina dell’ordinamento giudiziario, in http://www.associazionedeicostituzionalisti.it/materiali/anticipazioni/ruolo_giudice/index.html.; ID., Modelli di giudice e complessità sociale: bocca della legge, interprete, mediatore dei conflitti o difensore dei diritti?, in L’interpretazione giudiziale fra certezza del diritto ed effettività delle tutele, Agrigento, 17 e 18 settembre 2010, 12, http://appinter.csm.it/incontri/relaz/20174.pdf.

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Nelle note che seguono ho intenzione di verificare proprio quest’ultimo profilo. In questa prospettiva, farò cenno alle garanzie d’indipendenza ed autonomia dell’ordine-potere giudiziario, con particolare riferimento all’istituto della riserva di legge, e considererò le attribuzioni del Consiglio superiore e del Ministro della giustizia, anche sotto il profilo del sistema dei “controlli”.

2. Le garanzie costituzionali dell’autonomia e dell’indipendenza del potere –

ordine giudiziario. Dal testo costituzionale emerge che il riconoscimento dell’autonomia e

dell’indipendenza dell’ordine-potere giudiziario era certamente connesso con le attribuzioni costituzionali del CSM, ma era destinato a promuovere un livello di garanzia dello stesso che non si esaurisse solo nelle attribuzioni del CSM e che non determinasse un “governo autonomo” della magistratura ordinaria16.

Il nodo principale era rappresentato dall’interpretazione delle garanzie costituzionali dell’autonomia e dell’indipendenza della magistratura rispetto alle quali ritengo ancora oggi attuale l’approccio suggerito da Antonio Augusto Romano nel 1985 a detta del quale era necessario evitare che sul piano interpretativo autonomia e indipendenza venissero intesi come sinonimi e conseguentemente suggeriva di riferire l’indipendenza al potere giudiziario e l’autonomia all’ordine giudiziario17.

L’indipendenza è una prerogativa connessa con l’esercizio della funzione giurisdizionale; ne accompagna lo svolgimento, esclude condizionamenti che possono provenire da tutti quei soggetti che sono estranei ed esterni rispetto all’esercizio della funzione giurisdizionale svolta dai magistrati ordinari. Su questi presupposti il ruolo del giudice e lo svolgimento della funzione giurisdizionale non possono subire alcuna forma di condizionamento dal momento che le competenze degli altri organi non possono essere esercitate condizionando o ostacolando l’esercizio della funzione giurisdizionale. Ne consegue che chi volesse ricostruire i rapporti fra Ministro della giustizia e Consiglio superiore dovrebbe senz’altro muovere da una distinzione di competenze tra i due organi, evidenziando, però, come essi siano accomunati in una sorta di “trattamento costituzionale” che li assimila come estranei all’esercizio della funzione giurisdizionale e nei confronti dei quali può farsi valere la garanzia costituzionale dell’indipendenza.

L’autonomia del giudice nell’ordine giudiziario – nell’impostazione sopra richiamata – è invece una garanzia che esclude per ciascun giudice condizionamenti che possano provenire da altri appartenenti all’ordine.

Indipendenza nell’esercizio della funzione giurisdizionale e autonomia rispetto all’ordine giudiziario sono condizioni attraverso le quali si costruisce la libertà del ius dicere e rappresentano un valore incomprimibile nell’ordinamento. L’art. 104, 1°

16 Ciò si evince dalla disciplina relativa alla composita articolazione dell’organo di “autogoverno”

riflette la preoccupazione dei Padri della Costituzione di scongiurare un governo della magistratura totalmente avulso dagli altri poteri dello stato. Da qui la necessità d’immaginare una componente togata, una componente laica, membri di diritto e soprattutto la presidenza dell’organo affidata al Capo dello Stato. GIANNATTASIO, La magistratura, in CALAMANDREI-LEVI (diretto da), Commentario sistematico alla Costituzione Italiana, Firenze, 1950, II, 180. Per una efficace ricostruzione del dibattito cfr. FALZONE-PALERMO-COSENTINO, La Costituzione della Repubblica italiana, Milano, 1976, 341-342; CARULLO, La Costituzione della Repubblica italiana, Milano, 1959.

17 ROMANO, Autonomia e indipendenza dell’ordine giudiziario, Palermo, 1985.

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comma, Cost., pertanto, opera come argine anche nei confronti delle funzioni parlamentari di controllo, impedendo o circoscrivendo lo svolgimento degli atti ispettivi parlamentari in ambiti e secondo condizioni che non incidono sulle attività svolte dal giudice ordinario. In questa prospettiva, il parlamentare che presenta interrogazioni o interpellanze dovrebbe poter indirizzare i suoi poteri di controllo solo sugli ambiti di competenza riconducibili al Governo. Di contro, dovrebbero risultare escluse dal sindacato ispettivo tanto le attività giurisdizionali quanto le competenze del CSM. Con ciò però non si è realizzato un governo autonomo della magistratura; infatti i poteri ministeriali consentono al parlamentare di “conoscere” come siano state esercitate le funzioni che la Costituzione e la legge assegnano al CSM, atteso che dette funzioni consentono al Ministro di avanzare richieste, di conoscere l’iter procedimentale che può essere ricostruito al momento in cui il deliberato consiliare assume la forma prescritta dall’art. 17 della l. n. 195 del 1958, di chiedere informazioni ai capi delle corti, di esercitare i poteri di sorveglianza e vigilanza.

L’aver considerato l’indipendenza come garanzia costituzionale del potere giudiziario e l’autonomia come garanzia interna colloca il CSM in uno spazio costituzionale particolare, conduce conseguentemente ad escludere che l’organo di autogoverno possa essere configurato come vertice funzionale del potere giudiziario e riferire a se stesso le garanzie di cui all’articolo 104, 1° comma, Cost., garanzie che, a loro volta, non tollerano competenze ministeriali che possano condizionare o incidere sulla libertà del ius dicere18. Si comprende così il senso di quelle impostazioni dottrinali che hanno visto nel CSM un organo vecchio, in quanto connesso con una realtà ordinamentale pre-repubblicana, ma nuovo se posta in risalto la competenza costituzionale dello stesso.

2.1. La “garanzia” costituzionale della riserva di legge Nel contesto del Titolo IV, Parte II della Costituzione, le modalità concrete di

svolgimento delle funzioni di amministrazione della giustizia erano rimesse all’attuazione per via legislativa delle disposizioni costituzionali19. Con specifico riferimento a questo settore dell’ordinamento si deve, però, rilevare come risultino lontane dalla realtà le tradizionali questioni che solitamente alimentano gli studi sulla riserva di legge. Non vi è qui alcuna ragione per immaginare la possibilità che concorrano nella disciplina di settore la legge ed i regolamenti dell’esecutivo20; sappiamo che è possibile che la disciplina provenga da atti normativi primari del

18 Qui il quadro delle garanzie costituzionali si articola anche sulla soggezione del giudice solo alla

legge e sulla garanzia dell’inamovibilità. 19 Rispetto alle quali, la VII disposizione transitoria e finale aveva immaginato una particolare

forma di successione delle leggi nel tempo con riferimento all’ordinamento giudiziario del 1941 che, a detta di qualcuno, avrebbe potuto pure determinare una sorta di ultrattività delle disposizioni pre-repubblicane, mettendole al riparo dal controllo di costituzionalità. VOLPE, Ordinamento giudiziario, a) Ordinamento giudiziario generale, in Enc. dir., XXX, 1980, 836, spec. 839.

20 Sul rilievo che la riserva di legge «sia da intendere in realtà come rivolta soprattutto, se non esclusivamente, ad impedire che la materia in questione sia disciplinata da atti normativi secondari adottati da organi dell’esecutivo, mentre essa non osta alle attività normative realizzate dagli organi cui è affidata l’«amministrazione della giurisdizione», sempre che esse non interferiscano con l’attività giurisdizionale vera e propria.», PIZZORUSSO (a cura di), L’ordinamento giudiziario, Bologna, 1974, 26. V. anche MORELLI, Sub Art. 104, in CRISAFULLI-PALADIN, Commentario breve alla Costituzione, Padova, 1990, 649.

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Governo, ma si avverte qualche perplessità circa il ricorso alla decretazione d’urgenza e si prospettano le forme di reazione che il CSM potrebbe far valere ove un atto normativo primario ne impedisca lo svolgimento (su cui v. il prossimo paragrafo).

Per lungo tempo le riserve di legge previste dal Titolo IV non hanno trovato attuazione e tale circostanza ha determinato lo sviluppo dei poteri paranormativi del Consiglio superiore, i quali oggi trovano un riconoscimento esplicito nella l. n. 111 del 2007 che all’articolo 2, comma 3 – in un contesto normativo volto a circoscrivere le attività deliberative del CSM ancorandole a parametri certi – dispone che il CSM «disciplina con propria delibera gli elementi in base ai quali devono essere espresse le valutazioni dei consigli giudiziari, i parametri per consentire l’omogeneità delle valutazioni, la documentazione che i capi degli uffici devono trasmettere ai consigli giudiziari entro il mese di febbraio di ciascun anno».

Una parte della dottrina ha provato a giustificare i poteri paranormativi del CSM ancorandoli o all’autonomia dell’ordine o a una ricostruzione della riserva di legge che si atteggerebbe come riserva assoluta nei confronti dell’esecutivo21 e come riserva relativa nei confronti del CSM22. A ben vedere, l’autonomia è prerogativa dell’ordine e non garanzia consiliare e le riserve di legge nel Titolo IV della Costituzione hanno come significato minimo quello di sottoporre il giudice solo alla legge anche per quel che attiene all’amministrazione della giustizia. La Costituzione non offre una “copertura” alla attività paranormativa del CSM e conseguentemente non è rimesso alla discrezionalità del legislatore assegnare all’organo di autogoverno un potere di “disciplina” proprio perché il giudice è soggetto alla legge ma non anche alla disciplina di settore deliberata dal Consiglio superiore.

Sarebbe meglio affermare allora che la riserva di legge costituisce un limite estrinseco all’attività del CSM. Anche se nella prassi si è riscontrata una «crescente flessibilità»23 della riserva di legge di cui al comma 1 dell’art. 108 e, quanto alla riserva di cui all’art. 105, si è postulato addirittura uno stravolgimento dei rapporti fra fonte legislativa e fonti normative emananti dal CSM24.

Anche le prassi successive agli interventi di riforma testimoniano una diversa interpretazione del quadro costituzionale25. A tal proposito è significativo che la V Commissione del CSM abbia elaborato tra il 2007 ed oggi ben ventitré atti paranormativi che a vario titolo disciplinano lo status giuridico dei magistrati ordinari che aspirano a progredire in carriera. Per arrivare fino all’approvazione, nel luglio del 2010, di un atto con il quale si prova ad individuare «le fonti di normazione secondaria relative al conferimento degli incarichi direttivi e semidirettivi», predisponendo un «Testo Unico sulla Dirigenza Giudiziaria»26. L’ampiezza della discrezionalità

21 BONIFACIO-GIACOBBE, Sub art. 105, cit., 79. 22 BONIFACIO-GIACOBBE, Sub art. 105, in BRANCA-PIZZORUSSO, Commentario della Costituzione,

Bologna–Roma, 78. Spunti in ZAGREBELSKY, La responsabilità disciplinare dei magistrati: alcuni aspetti generali, in Riv. dir. proc., 1975, cit., 442-445, nt. 41.

23 VOLPE, Ordinamento giudiziario. a) Ordinamento giudiziario generale, in Enc. dir., XXX, Milano, 1980, 836 spec. 840-841.

24 DEVOTO, Costituzione del giudice e Consiglio superiore della magistratura, in Giur. cost., 1975, 3472.

25 La Corte costituzionale ha ritenuto che «tale riserva deve intendersi rispettata allorché il legislatore enunci criteri sufficientemente precisi, in grado di orientare la discrezionalità dell’organo decidente». C. cost. 284/2005, par. 7 cons. dir., che richiama la precedente C. cost. 72/1991.

26 CSM, V Commissione, Individuazione delle fonti di normazione secondaria relative al conferimento degli incarichi direttivi e semidirettivi e predisposizione di un Testo Unico sulla Dirigenza Giudiziaria, che realizzi l’integrazione di tali fonti, anche al fine di individuare moduli sinottici per la

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dell’organo è tale che anche nella formulazione del presunto “testo unico” sia ammetta che nei percorsi valutativi svolti dagli organi coinvolti nella procedura alcuni criteri fissati dallo stesso possano essere “superati” attraverso l’inserimento della formula «nulla da rilevare». Altri aspetti contenutistici dell’intervento paranormativo del CSM appaiono discutibili. È noto che la riforma del 2007 si caratterizzava per avere superato il criterio dell’anzianità come linea guida cui attenersi per la progressione in carriera, finendo per trasformare l’anzianità da criterio di merito a criterio di legittimazione per l’avanzamento in carriera27. Nelle prime prassi applicative e nella giurisprudenza amministrativa, si registra, invece, uno strano ritorno del criterio dell’anzianità in considerazione della partecipazione alla procedura di «giovani aspiranti»28 e ritenendo che la stessa anzianità possa valere come «indice dell’esperienza professionale acquisita»29 e quindi finendo per continuare a condizionare le determinazioni in tema di conferimento degli incarichi apicali.

In conclusione, il ruolo del Consiglio superiore della magistratura si è via via delineato in modo da circoscrivere le incidenze che sull’amministrazione della giustizia potevano provenire dal Governo. In questo senso, l’articolazione dei rapporti ha lentamente marginalizzato il ruolo ministeriale e, conseguentemente, escluso il potere esecutivo dal “governo” della magistratura. Inoltre, anche l’istituto della riserva di legge in tema di ordinamento giudiziario, che avrebbe dovuto consentire al legislatore di occupare con la sua decisione i poliedrici ambiti materiali a cui rimandano diverse disposizioni del titolo IV, è stata privata di un’effettiva capacità di determinare l’assetto di questo settore dell’ordinamento. L’incapacità di elaborare “un nuovo ordinamento giudiziario” e il susseguirsi convulso di episodici interventi legislativi hanno infatti rappresentato l’humus entro il quale ha preso avvio una poderosa attività sostanzialmente normativa e d’incerto fondamento che ha di fatto costituito un argine anche nei confronti del legislatore, assegnando al potere legislativo lo stesso destino già segnato per il potere esecutivo. Il CSM ha quindi assunto una posizione assolutamente determinante in tema di amministrazione della giustizia, riuscendo a marginalizzare il ruolo ministeriale nei procedimenti relativi ai magistrati ordinari ed escludendo la possibilità che la disciplina normativa del settore possa essere sostanzialmente posta dal legislatore.

2.2. Amministrazione della giustizia e conflitti costituzionali

redazione dei rapporti e dei pareri attitudinali (Circolare n. P. 19244 del 3 agosto 2010 - Delibera del 30 luglio 2010) http://www.csm.it/circolari/100730_5.pdf.

27 Camera dei Deputati, XV leg., Servizio Studi, Progetti di legge, riforma dell’Ordinamento giudiziario, AC2900. Schede di lettura, n. 218 del 16/7/2007, commento all’art. 2.

28 Cons. St. sez. IV, dec. 4/5/2010 n. 2559. 29 «[…] e quindi una volta operata la selezione dei candidati in possesso del requisito legittimante

costituito dal conseguimento della necessaria valutazione di professionalità, la durata della positiva esperienza professionale potrà rilevare come criterio di validazione dei requisiti delle attitudini e del merito. In questa prospettiva, è stato configurato un meccanismo di selezione valutativa che, partendo dal più giovane partecipante al concorso determini in linea di principio quale sia il valore aggiunto – valutabile solo all’interno dei parametri del merito e delle attitudini – da attribuire al durevole esercizio positivo delle funzioni e alla costante capacità professionale per pervenire ad una significativa ed utile valutazione comparativa degli aspiranti», così TAR Lazio, Roma, sez. I, 3/6/2010 n. 14875; sul punto anche Cons. St. sez IV, 24/5/2010 n. 3266.

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Le ricostruzioni sin qui svolte hanno un loro riflesso sul tema dei profili soggettivi ed oggettivi dei conflitti di attribuzioni fra poteri dello stato.

Muovendo dalle note posizioni di chi individua il “soggetto sostanziale e processuale” del conflitto in riferimento ad un “ambito di potere costituzionalmente definito”, si è riconosciuto che ciascun giudice possa essere parte in conflitto, in considerazione della funzione giurisdizionale da questo esercitata, e che parte possa essere il Consiglio superiore, in ragione dell’ambito di potere che le disposizioni costituzionali gli assegnano. Meno scontata era la possibilità che anche il Ministro della giustizia potesse essere annoverato tra i soggetti processuali. Un dubbio al riguardo era stato avanzato dalla Corte costituzionale in una pronunzia del 1981 ma successivamente superato nella giurisprudenza dei primi anni ‘90 che ha ritenuto processualmente ammissibile un conflitto sollevato autonomamente dal Ministro della giustizia, indipendentemente dalla deliberazione del Consiglio dei ministri. Questa giurisprudenza conferma pertanto l’assunto circa l’estraneità del CSM e del Ministro della giustizia rispetto all’esercizio della funzione giurisdizionale. Altra indicazione che si può trarre da tali decisioni è quella per cui, posto che la legittimazione processuale nei conflitti di attribuzione attiene sempre agli ambiti delle rispettive competenze così come definiti dalla Costituzione e dalle leggi e che il potere giudiziario si struttura come potere diffuso, il CSM non si possa configurare come l’organo di «vertice» del potere giudiziario, né come il suo rappresentante30, ma come autonomo potere dello Stato31.

Si potrebbe dire, in sintesi, che nelle attribuzioni demandate al Consiglio si riflette il principio di indipendenza funzionale della magistratura ordinaria32.

Il CSM è in posizione di indipendenza nei confronti degli altri poteri dello Stato, nel senso che non può essere sottoposto a limiti nell’esercizio delle attribuzioni ad esso costituzionalmente spettanti: possono essere prefigurati meccanismi di «controllo» affinché non ecceda dall’ambito delle proprie attribuzioni, ma non possono essere posti vincoli e condizioni al momento dell’esercizio delle attribuzioni previste dalla Costituzione33.

Si giunge così ad affrontare il nodo delle attribuzioni del Consiglio. Sul punto, sia la dottrina sia la giurisprudenza costituzionale concordano nel ritenere che il CSM sia un organo «titolare di attribuzioni di natura settoriale», disegnate al fine di prevedere che i suoi poteri incidano soltanto sullo stato giuridico dei magistrati e determinino i caratteri dell’«apparato» giudiziario34 senza intaccare il carattere diffuso dell’ordine-potere giudiziario. Esso costituisce pertanto uno «strumento essenziale» all’affermazione dell’indipendenza del magistrato di cui all’art. 104 Cost.35 ed è in ragione di ciò che deve essere ricondotto entro le sue attribuzioni «ogni provvedimento che direttamente o indirettamente possa menomarla». D’altra parte, la peculiare

30 C. cost. 142/1973. 31 C. cost. 379/1992. Cfr. DEVOTO, Ordinamento giudiziario, in Enc. giur., XXII, Roma, 2000, ad

vocem, 5. Nonostante le raffinate elaborazioni teoriche e le soluzioni individuate dalla giurisprudenza in merito alla natura degli atti del CSM e al «controllo» sugli stessi, l’interpretazione che ha dato il CSM del proprio ruolo nell’ordinamento costituzionale è quella di organo di vertice della magistratura ordinaria.

32 Cfr. GIANNATTASIO, La magistratura, cit., 174. Per le differenti accezioni di indipendenza della magistratura, DAGA, Il Consiglio superiore, cit., XIII ss.

33 ONIDA, La posizione costituzionale del Csm e i rapporti con gli altri poteri, in CARAVITA (a cura di), Magistratura, CSM e principi costituzionali, Bari, 1994, 21.

34 ONIDA, La posizione, cit., 17, 19, 20. 35 C. cost. 12/1971; 44/1968.

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posizione costituzionale del CSM non implica l’insindacabilità dei suoi atti36. Viene infatti in rilievo il principio costituzionale per cui le situazioni giuridiche soggettive dei singoli su cui si riflette l’esercizio del potere attribuito dalla Costituzione al CSM – in questo caso dei magistrati ai sensi degli artt. 101 e 104 Cost. – devono poter essere tutelate in giudizio ex art. 24 Cost.37.

Sia la settorialità delle attribuzioni dell’organo, sia la loro strumentalità rispetto all’affermazione dell’indipendenza della magistratura38, non consentono di configurare il Consiglio come il rappresentante dell’ordine giudiziario39 e portano a ritenere – solo entro tali limiti – che il CSM sia qualificabile come «organo di autogoverno» della magistratura40.

La notevole influenza esercitata dalla ricostruzione di Enzo Cheli in tema di organi costituzionali ha determinato inoltre l’affermarsi di quell’orientamento che – al di là di controversie di natura nominalistica – ascrive il CSM al novero degli organi a rilevanza costituzionale, ovvero fra quegli organi dotati di una «speciale garanzia» risultante dalla presenza di disposizioni costituzionali che li istituiscono e ne definiscono le attribuzioni41. Il CSM, infatti, se da un lato opera ad un «livello di potere» tale da non esercitare un’influenza «effettiva» sul processo di produzione delle norme primarie42, dall’altro, in quanto disciplinato da norme di rango costituzionale, rientra fra gli organi che «non possono essere soppressi – e talvolta neppure riformati in tutto o in parte – se non mediante leggi di revisione costituzionale»43.

A tal proposito, se è ormai un dato pacifico che il CSM possa difendere le proprie attribuzioni dinanzi alla Corte costituzionale, è invece fortemente dibattuta la possibilità che esso possa ricorrere per conflitto d’attribuzioni «da atto legislativo». A riguardo, è dato rilevare alcune timide indicazioni nel senso dell’ammissibilità di tale tipo di conflitto come rimedio residuale44.

La posizione della Corte è piuttosto oscillante quanto all’individuazione delle ipotesi in cui il rimedio sia in concreto attivabile, ora propendendo solo per i casi in cui l’atto legislativo comprima un diritto fondamentale, arrecandovi un pregiudizio grave ed irreparabile45, ora, da ultimo, escludendo la proponibilità del rimedio «tutte le volte che

36 SANDULLI, Atti del Consiglio superiore della magistratura e sindacato giurisdizionale, in Giust.

civ., 1963, II, 3, nota a Cons. St. sez. IV 28.11.1962 n. 752, 5. Cfr. anche PATRONO, Il CSM nei «tentacoli» della l. 241/’90, in Dir. soc., 1991, 178; Contra FERRARI, Consiglio superiore della magistratura, cit., 36, che qualifica il Csm come organo amministrativo applicando il criterio della prevalenza della natura dell’attività svolta dall’organo.

37 Problematica sottesa alla citata decisione del Cons. St. sez. IV 28.11.1962 n. 752 ed alle osservazioni di SANDULLI, Atti del Consiglio, cit., 6-7. Sulla base di quest’ultima riflessione sono state elaborate diverse ricostruzioni della natura e dell’estensione del sindacato sugli atti del Consiglio e della possibilità di qualificare il CSM come potere dello Stato nel conflitto d’attribuzioni. Cfr. CUOCOLO, Deliberazioni del Consiglio superiore della Magistratura e sindacato giurisdizionale del Consiglio di Stato, in Giur. it., 1962, III, c. 241, spec. 247, nt. 34

38 FERRI, Magistratura e potere politico, Padova, 2005, 354. 39 C. cost. 142/1973, par. 4 cons. dir. 40 ONIDA, La posizione, cit., 20-21. 41 CHELI, Organi costituzionali e organi di rilievo costituzionale, in Arch. giur. F. Serafini, 1965,

111. 42 CHELI, Organi costituzionali, cit., 100 ss. 43 PIZZORUSSO, Organizzazione pubblici poteri, in Enc. dir., XXXI, Milano, 1981, 151 spec. 154 e

155. 44 C. cost. 457/1999; C. cost. 221/2002; C. cost. ord. 343/2003; C. cost. ord. 116/2005. 45 C. cost. 161/1995; C. cost. ord. 73/1997.

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la legge, dalla quale, in ipotesi, deriva la lesione delle competenze, sia denunciabile dal soggetto interessato nel giudizio incidentale»46.

È noto che la Corte è ritornata sul tema, ritenendo che il conflitto da atto legislativo «è sollevabile, di norma, da un potere dello Stato solo a condizione che non sussista la possibilità, almeno in astratto, di attivare il rimedio della proposizione delle questione di legittimità costituzionale nell’ambito di un giudizio comune»47. Sul “requisito” della astratta possibilità di sollevare in via incidentale la questione di legittimità costituzionale la dottrina ha avuto occasione di soffermarsi criticando il più recente orientamento della Corte48. Nelle ipotesi che hanno dato luogo a conflitti d’attribuzioni, di fatto, si era dinanzi ad atti legislativi che miravano ad interferire con l’esercizio delle attribuzioni del CSM, posto dinanzi all’alternativa di esercitarle nel rispetto delle norme primarie asseritamente lesive delle proprie attribuzioni o di disattendere tale disciplina. Veniva dunque in rilievo il problema classico degli effetti della legge incostituzionale prima della dichiarazione d’incostituzionalità49. Si ricadeva in ipotesi di atto legislativo incostituzionale che non bloccava l’esercizio di attribuzioni costituzionalmente spettanti al CSM né le sopprimeva, ma che mirava meramente ad interferire o menomare l’esercizio di tali attribuzioni. In tali casi, è astrattamente possibile ipotizzare una reazione del CSM mediante un’interpretazione conforme a Costituzione o, al limite, la non applicazione delle norme ritenute incostituzionali. In quest’ultima ipotesi sarebbe dunque attivabile il sindacato in via incidentale nel corso dei giudizi instaurati dai soggetti che assumessero essere state lese le proprie posizioni da atti del CSM adottati in violazione di legge. Da qui la tesi dell’inammissibilità del conflitto d’attribuzioni fra poteri dello Stato da atto legislativo prospettata dalla Corte.

Ma, anche a voler accedere all’opinione di chi ritiene non obbligatoria la legge incostituzionale e quindi condivisibile, per certi aspetti, la soluzione indicata nella sentenza n. 284 del 2005, non va sottovalutato che essa pone comunque alcuni problemi nell’ipotesi in cui un atto normativo primario incidesse sulle attribuzioni del CSM, sopprimendole o sospendendone l’esercizio, o nei casi in cui non fosse possibile giungere all’instaurazione di un giudizio in via incidentale per l’impossibilità di configurare una questione di legittimità costituzionale dotata del requisito della rilevanza. In tali casi la lesione delle attribuzioni costituzionali dell’organo di autogoverno della magistratura non potrebbe essere sindacata con rimedi adeguati a preservare l’ordine costituzionale delle competenze50.

46 C. cost. 457/1999; C. cost. 221/2002. 47 C. cost. 284/2005 e ord. 343/2003. Critico sulla C. cost. 284/2005, BONANNI, Conflitto di

attribuzione tra poteri dello Stato: quali limiti all’impugnazione della legge?, in Giur. cost., 2005, 2771 spec. 2776.

48 Sul tema MODUGNO, D’ALESSANDRO, Residualità del conflitto fra poteri e sindacato su atti legislativi, in Giur. cost., 2007, 1613; sulla nozione di residualità e il problema del conflitto da atto legislativo CELOTTO, Una inammissibilità che non persuade, in http://www.giurcost.org/decisioni/index.html; PAJNO, Quattro notazioni sui conflitti costituzionali, in PINARDI (a cura di), Le zone d’ombra della giustizia costituzionale. I giudizi sui conflitti d’attribuzione e sull’ammissibilità del referendum abrogativo, Torino, 2007, 193, spec. 203 ss.

49 Sul punto, si v. ZAGREBELSKY, La giustizia costituzionale, Bologna, 1984, 272-274 e ONIDA, Pubblica amministrazione e costituzionalità delle leggi, Milano, 1967, 106, a fronte della netta posizione di MODUGNO, D’ALESSANDRO, Residualità del conflitto, cit., 1622 che, sulla scia di ESPOSITO, Il controllo giurisdizionale sulla costituzionalità delle leggi in Italia, in ID., La Costituzione italiana. Saggi, Milano, 1954, 270, affermano che non è consentito ad un organo amministrativo (quindi anche al CSM) di disapplicare una legge di dubbia costituzionalità.

50 La residualità del conflitto dovrebbe includere non soltanto l’ipotesi di «impossibilità assoluta»

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3. I “controlli” sulla magistratura: il sistema dei rapporti fra Ministro della

giustizia e Consiglio superiore della magistratura nelle leggi di attuazione della Costituzione e nella giurisprudenza costituzionale

La rivendicazione dell’indipendenza del Consiglio superiore dagli altri poteri

dello Stato si coglie anche in riferimento allo svolgimento delle competenze previste dalla l. n. 195 del 1958.

Il sistema originario avrebbe potuto determinare una «forte e sentita collaborazione»51 nei rapporti fra Ministro e Consiglio superiore. La collaborazione si sarebbe dovuta realizzare grazie al convergere di Ministro e CSM – nel rispetto delle reciproche competenze – sulle decisioni riguardanti lo status giuridico dei magistrati ordinari. Per il Consiglio l’art. 10 della l. n. 195 del 1958 definisce gli ambiti di intervento, mentre per l’organo dell’esecutivo diverse disposizioni della stessa legge delineano il suo ruolo.

La prassi, invece, ha mostrato una realtà differente. Si è infatti prospettato un particolare sistema nel quale il CSM attraverso il governo della magistratura ordinaria concorre all’indipendenza del potere giudiziario, mentre al Ministro è affidato il compito di arginare i poteri consiliari divenendo il nemico del potere giudiziario.

Con ogni probabilità ciò è dovuto ad una differente concezione del ruolo del giudice: secondo la magistratura l’indipendenza e l’autonomia, costituzionalmente garantite in ragione dello svolgimento di una funzione pienamente distinta (ma pariordinata a quella legislativa ed esecutiva) impediscono la possibilità di configurare il magistrato e l’organo di autogoverno come organi riconducibili ad un apparato amministrativo52.

Nella prospettiva della difesa della posizione del Ministro, che pure ha sempre avuto nell’ordinamento repubblicano un ruolo recessivo rispetto a quello del Consiglio superiore, invece, si è tentato d’inquadrare comunque il giudice (al di fuori dell’esercizio della iuris dictio) nell’apparato dell’amministrazione della giurisdizione e ricondurre quindi la sua attività entro i canoni tipici dello svolgimento di un’attività amministrativa53, atteso che il magistrato ordinario, oltre che esercitare la funzione giurisdizionale, può svolgere rilevanti funzioni di “gestione” dell’ufficio giudiziario.

Se a prima vista le attribuzioni costituzionali del CSM potevano essere intese come attinenti allo svolgimento di attività «sostanzialmente amministrativa», è apparso

di attivare il giudizio in via incidentale, ma anche le ipotesi in cui «l’astratta utilizzabilità di altri strumenti di tutela risulti comunque, di fatto, rimedio insufficiente od inidoneo» secondo MODUGNO, D’ALESSANDRO, Residualità del conflitto, cit., 1623. Non si trascuri la circostanza che nelle passate legislature vi è stato un uso disinvolto della decretazione d’urgenza, ad esempio, riguardo alla proroga dell’incarico del Procuratore nazionale antimafia, al fine di condizionare o quantomeno d’interferire con l’esercizio delle attribuzioni costituzionali del CSM. Sulla vicenda FERRI, Magistratura e potere politico, cit., 367 ss.

51 CARBONE, Sub Art. 110, in BRANCA-PIZZORUSSO, Commentario della Costituzione, Bologna-Roma, 1992, 110.

52 Di recente, si legga l’ordinanza di rinvio alla Corte costituzionale della Corte dei Conti, sez. I, 30.5.2005, n. 13, in merito all’art. 172 TU 115/2002 che, a detta del Collegio rimettente, sarebbe incostituzionale perché equiparerebbe i magistrati ai pubblici dipendenti quanto a responsabilità, applicando gli stessi criteri desumibili dall’art. 28 cost. sia ai funzionari amministrativi sia ai magistrati, che invece svolgono una funzione ontologicamente differente da quella amministrativa.

53 CARBONE, Sub Art. 110, cit., 118.

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evidente che il legislatore nel definire la composizione, il funzionamento e le funzioni dell’organo ha inteso caratterizzare in modo differente le funzioni del Consiglio, attribuendo natura sostanzialmente giurisdizionale ad alcune (l’esercizio del potere disciplinare) e natura sostanzialmente amministrativa ad altre54.

La dottrina ha rilevato come l’interpretazione delle disposizioni costituzionali sull’autogoverno della magistratura da parte del CSM e della stessa Corte costituzionale55 abbia portato ad una espansione delle competenze e dei poteri del CSM al punto da poter «comportare il rischio ancora peggiore di un nuovo “totalitarismo giuridico”»56, nonostante fosse vigente una disciplina che era volta in qualche modo a costringere lo spatium deliberandi del Consiglio sul piano della politica giudiziaria e dei rapporti con altri organi ed uffici dell’amministrazione della giustizia.

Come si è già avuto modo di sottolineare, mediante l’adozione di atti che indicavano in via generale criteri attinenti lo svolgimento delle attribuzioni costituzionali di carattere amministrativo, il Consiglio ha proceduto ad indirizzare prima e a controllare poi l’attività dei magistrati impegnati nello svolgimento di compiti di amministrazione della giustizia e, per certi versi, nello svolgimento della stessa funzione giurisdizionale57.

Infatti, una volta predeterminati i criteri cui teoricamente il CSM avrebbe dovuto informare la propria attività, essi sono poi stati assunti come regole in base alle quali viene valutata la legittimità dei provvedimenti che investono latu sensu lo status del magistrato adottati dagli altri organi che svolgono compiti di amministrazione della giurisdizione. In tal modo, si è detto, si è prodotto un condizionamento indiretto dell’attività degli uffici giudiziari, senza poter fondare tale potere di indirizzo e controllo sulle disposizioni costituzionali che riguardano l’autogoverno della magistratura, le quali, anzi, valorizzano i profili dell’indipendenza e dell’autonomia del singolo magistrato e concepiscono il Consiglio superiore non come il “vertice” dell’ordine giudiziario, ma come un organo che deve cooperare con altri organi all’amministrazione della giurisdizione.

Tra le manifestazioni più significative va ricordata l’attività consultiva del CSM ed il valore che l’organo prova ad attribuire ad essa; tale attività consultiva, in alcune ipotesi, ha provato ad incidere sullo svolgimento della stessa funzione legislativa ed è stata la circostanza che il destinatario della stessa attività consultiva fosse il Ministro a consentire la sovrapposizione di tali attività con le funzioni svolte dalle competenti commissioni parlamentari58.

Altro aspetto che è necessario tenere in considerazione è la torsione subita dagli strumenti parlamentari d’indirizzo e controllo59 la cui ammissibilità e il cui svolgimento

54 BARTOLE, Autonomia e indipendenza dell’ordine giudiziario, Padova, 1964, 124-125; BESSONE-

CARBONE, (voce) Consiglio superiore della magistratura, in Dig. Disc. pubbl., Torino, 1989, III, 461. 55 Ex multis C. cost. 70/1970, 143/1973, 245/1974, 71/1975. 56 DEVOTO, Costituzione del giudice, cit., 3362. 57 Puntuali riferimenti in DEVOTO, Costituzione del giudice, cit., 3364, 3374. 58 ZANON, I pareri del Consiglio Superiore della Magistratura tra leale collaborazione e divisione

dei poteri, in http://www.associazionedeicostituzionalisti.it/materiali/convegni/roma20090608/zanon_aic.pdf; ALESSE, A proposito dei presunti limiti costituzionali dell’attività consultiva del CSM, in Quad. cost., 2009, 112.

59 AMATO, L’ispezione politica del parlamento, Milano, 1968; BARTOLE, Ispezione parlamentare e Ministro di Grazia e Giustizia, in Scritti E. Tosato, III, Milano, 1984, 336; SICARDI, Controllo parlamentare, in Dig. Disc. Pubbl., IV, 1989, 94; CAPUTO, GORACCI, SMURRA,Gli atti di indirizzo e di sindacato ispettivo, in DICKMANN, STAIANO (a cura di), Funzioni parlamentari non legislative e forma di governo. L’esperienza italiana, Milano, 2008, 260

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fanno riferimento ad una competenza ministeriale, mentre nei fatti sia assai raro che si discuta di competenze effettivamente esercitate dal Ministro, mentre emerge prevalente l’intenzione di ingenerare un controllo politico sull’esercizio della funzione giurisdizionale.

Il dibattito sul ruolo del CSM nell’ordinamento italiano è fortemente condizionato dalle contingenti vicende politiche. Un dato viene però immediatamente in rilievo: nella fase di entrata in funzione dell’organo (approvazione della l. n. 195 del 1958)60, al momento della bicamerale del 1997 e poi della riforma organica dell’ordinamento giudiziario del 2005, le direttrici dell’azione politica sono state orientate verso la limitazione dei poteri di tale organo per contrastare il forte corporativismo degli appartenenti all’ordine giudiziario ed un sistema in cui la giustizia è decisamente svincolata da controlli politici, nonostante l’enorme impatto che ha avuto l’attività giudiziaria nella vita repubblicana61.

Gli strumenti evocati dal legislatore per controllare l’attività del CSM sono sempre stati individuati nell’ampliamento dei poteri del Guardasigilli. La recente riforma dell’ordinamento giudiziario ha però compiuto un passaggio ulteriore, rispetto alla Bicamerale del 1997: ha cercato di marginalizzare il CSM valorizzando altre «strutture» interne alla magistratura che influenzano l’attività dei magistrati, in particolare la Corte di Cassazione. La soluzione non è innovativa, in quanto l’idea che un organizzazione su basi verticistiche della magistratura posta sotto l’egida della Cassazione potesse rendere meglio prevedibile e controllabile l’attività dei singoli giudici emergeva già nelle soluzioni immaginate nel secondo ottocento.

Secondo alcune opinioni, invece, la soluzione non andrebbe ricercata nell’annullamento o nel ridimensionamento del ruolo del CSM ma, piuttosto, «si dovrebbe anche pensare in qual modo l’attività dello stesso CSM possa essere acquisita alla sfera dell’indirizzo politico»62.

Tali considerazioni nascono dalla presa d’atto che l’organo di autogoverno, come pure i giudici nell’esercizio della funzione giurisdizionale, ha dovuto (o voluto) supplire alle mancanze del legislatore.

Sulla base dell’attività di reinterpretazione dell’ordinamento giudiziario del 1946 alla luce dei principi di autonomia-indipendenza del giudice, il CSM si è accreditato, dinanzi agli organi di garanzia costituzionale e ai giudici amministrativi, incaricati di controllare la legittimità dei suoi atti, come «attore privilegiato nelle scelte di politica giudiziaria»63.

Si avverte però oggi un diffuso senso di disagio dinanzi alla posizione assunta da tale organo per la perdita di credibilità dello stesso dovuta allo spirito corporativo che ha mosso la sua azione64.

D’altro canto, sembra che il complesso assetto dei rapporti fra fonti, prassi, interpretazione costituzionale e giurisprudenza sulle attribuzioni del CSM sia divenuto «intangibile» da parte del legislatore, quasi che si sia cristallizzato e sia possibile un unico modello di attuazione delle disposizioni costituzionali sull’autogoverno.

60 Cfr., PALADIN, Per una storia costituzionale dell’Italia repubblicana, Bologna, 2004, 148. 61 MEZZANOTTE, Sulla nozione d’indipendenza del giudice, in CARAVITA (a cura di), Magistratura,

CSM e principi costituzionali, cit., 13. 62 MEZZANOTTE, Sulla nozione, cit., 15-16. 63 Cfr. Messaggio del Presidente della Repubblica di rinvio della legge delega di riforma

dell’ordinamento giudiziario del 16 dicembre 2004. 64 DEVOTO, Costituzione del giudice, cit., 3487.

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Non intendo soffermarmi in modo particolare invece sul ruolo che ha giocato il Presidente del Consiglio superiore sul piano dei controlli, visto che dapprima la dottrina65, ma poi anche la prassi, hanno confermato che a parte qualche intervento “conflittuale” durante la Presidenza Cossiga, il potenziale ruolo di “controllo” del Presidente della Repubblica appare “schiacciato” fra la disciplina costituzionale della controfirma ministeriale e le attribuzioni costituzionalmente spettanti al Ministro ed al Consiglio superiore in base alla legge n. 195 del 1958.

3.1. Alcune precisazioni sul rapporto fra CSM e Ministro della giustizia alla luce

della questioni relative alla: a) iniziativa del Ministro nella legge n. 195 del 1958; b) forma dei provvedimenti riguardanti i magistrati

A) L’iniziativa del Ministro nella l. n. 195 del 1958 Alcuni Autori hanno ritenuto che la l. n. 195 del 1958 «si ispirava chiaramente

all’idea di ridurre il Consiglio a un organo, si potrebbe dire, di consulenza rafforzata del ministro, rendendo più di un omaggio alla tradizione, dura a morire, della dipendenza del giudiziario dall’esecutivo, rimasta in piedi in molti ordinamenti pur formalmente ispirati all’idea della divisione dei poteri»66, nonostante la Costituzione disegni i rapporti fra Ministro e CSM sul piano della «netta separazione delle rispettive attribuzioni»67.

La dottrina ha comunque inteso il ruolo del Ministro, definito dall’art. 110, in senso restrittivo o comunque delimitabile in controluce, ex post, a seguito dell’accertamento delle competenze del CSM68. Ciò malgrado la Corte costituzionale abbia affermato che il Ministro sia l’unico organo politicamente responsabile per ciò che attiene all’amministrazione della giustizia69

L’art. 11, l. n. 195 del 1958, nella formulazione originaria, al primo comma prevedeva la necessità della richiesta del Ministro per promuovere le deliberazioni riguardanti i magistrati.

La Corte costituzionale con la sentenza n. 168 del 1963 ha dichiarato costituzionalmente illegittima tale disposizione nella parte in cui non prevedeva anche l’iniziativa del CSM. Vale la pena di citare per esteso alcuni passaggi di tale sentenza: «Dall’autonomia riconosciuta al Consiglio superiore, nelle materie indicate nell’art. 105 della Costituzione, non deriva, secondo che si sostiene, una netta separazione di compiti fra il Ministro guardasigilli e l’Organo preposto al governo della magistratura; come si verificherebbe se, a quest’ultimo, fosse riconosciuta (il che non è, come risulta chiaro dai lavori preparatori) un’autonomia integrale, compresa quella finanziaria, riguardante l’ordine giudiziario. Se quindi tale autonomia esclude (come pure si desume dai lavori preparatori) lo status dei magistrati, non esclude peraltro, che, fra i due organi, nel rispetto delle competenze a ciascuno attribuite, possa sussistere un rapporto di collaborazione: il quale importa che i servizi, affidati al guardasigilli dall’art. 110 della

65 Per tutti FERRARI, Consiglio superiore, cit. 66 ONIDA, La posizione, cit., 25. 67 Ibidem. 68 Per un’analisi della problematica cfr. BARTOLE, Autonomia e indipendenza dell’ordine

giudiziario, Padova, 1964, 258 e 261. 69 Corte cost. n. 142 del 1973.

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Costituzione, (…) comprendono altresì, sia l’organizzazione dei magistrati in base alle piante organiche, sia il funzionamento dei medesimi in relazione all’attività e al comportamento dei magistrati che vi sono addetti».

Tale decisione ha finito per condizionare gli altri poteri d’impulso riconosciuti al Ministro ed in particolare la disciplina della proposta formulata di concerto per il conferimento degli incarichi direttivi, la quale è stata intesa nel senso che non è immaginabile un potere ministeriale condizionante le decisioni del CSM. La formula della leale collaborazione rinvia allo svolgimento di un modulo procedimentale nel quale l’organo dell’esecutivo è consapevole di non potere condizionare in alcun modo le determinazioni che matureranno in seno al CSM. I conseguenti provvedimenti assumeranno la forma di decreti del Presidente della Repubblica controfirmati da un Ministro solo “parzialmente” proponente70.

Di contro, sarebbe possibile proporre una interpretazione non restrittiva dell’art. 110 Cost. anche in considerazione dell’art. 107, secondo comma, della Costituzione che attribuisce al Ministro la facoltà di promuovere l’azione disciplinare. Tale lettura sarebbe confermata dal fatto che le attribuzioni anzidette e gli oneri finanziari che necessariamente vi si ricollegano, impegnano la responsabilità politica del guardasigilli, come esponente del Governo, verso il Parlamento, per l’esercizio dei poteri che istituzionalmente a questo competono71; nonché dalla permanenza nell’ordinamento di poteri di sorveglianza e vigilanza in capo al Ministro.

B) La forma dei provvedimenti riguardanti i magistrati La disciplina della forma dei provvedimenti riguardanti lo status dei magistrati

«appare un omaggio non dovuto ad una concezione obsoleta del sistema costituzionale», concezione in base alla quale gli atti «materialmente» amministrativi potrebbero essere posti solo dal Governo ed in cui tendenzialmente resterebbe fermo il principio per cui l’apposizione della «clausola esecutiva» sarebbe atto di competenza del Capo dello Stato, organo apicale dell’esecutivo72.

Le giustificazioni del regime legislativo della forma di tali provvedimenti non sarebbero giustificabili neppure in ragione dell’esigenza dello svolgimento del controllo finanziario e di legittimità, in quanto, il primo potrebbe essere svolto «ex post sulla gestione del bilancio dello Stato», mentre il controllo di legittimità potrebbe essere svolto anche ove l’atto avesse un’altra forma in ragione della sua natura sostanzialmente amministrativa e della sua incidenza sulla situazione giuridica del soggetto che ne è destinatario73.

La Corte costituzionale, invece, sul presupposto che la magistratura non è «avulsa dall’ordinamento generale dello Stato, dato il carattere unitario del medesimo, in

70 L’art. 17, l. 195/1958, prevede che tali provvedimenti debbano assumere la forma di decreti

presidenziali o ministeriali, laddove la legge ciò disponga. I provvedimenti riguardanti le materie indicate nell’art. 10, nn. 1, 2 e 4, ai sensi dell’art. 11 della

stessa l. 195 possono esser adottati anche su richiesta del Ministro che, nella fase costitutiva, può presentare altresì osservazioni in merito. Nei casi disciplinati dall’art. 10, nn. 1, 2 e 4, è prevista sempre la relazione della Commissione competente. La legge prevede inoltre alcune regole per la validità delle deliberazioni e per la loro pubblicità.

71 Cfr., Corte cost. n. 168 del 1963. 72 ONIDA, La posizione, cit., 23. 73 ONIDA, La posizione, cit., 23.

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relazione al precetto dell’art. 5 della Costituzione»74 ha interpretato le disposizioni costituzionali sull’ordine-potere giudiziario nel senso che «con le norme intese a garantire l’indipendenza della Magistratura, non si intendeva stabilire una forma piena di autogoverno»75, ecco perché i provvedimenti riguardanti i magistrati, avendo carattere sostanzialmente amministrativo, assumono la forma del decreto presidenziale controfirmato dal Ministro.

Rispetto al regime di tali atti è sorto anche il problema dell’esecuzione, spettante al Ministro. La Corte costituzionale, anche in questo caso, è intervenuta in favore del CSM, configurando praticamente un obbligo in capo al Guardasigilli di darvi corso anche se le ritenga illegittimi76 e, di conseguenza, è quindi esclusa la sua responsabilità.

4. Le riforme dell’ordinamento giudiziario. I nodi irrisolti Per limitare il ruolo contiguo all’esercizio della funzione d’indirizzo politico del

Consiglio superiore, già la Commissione Bicamerale, nel 1997, aveva provato a depotenziare alcune competenze del CSM. In primo luogo, la Bicamerale intendeva ridimensionare la competenza consultiva in materia di ordinamento giudiziario di cui alla l. n. 195 del 1958, limitandola ai soli disegni di legge di iniziativa governativa; inoltre, il testo proposto dalla Commissione attribuiva al Ministro il compito di relazionare in Parlamento sullo stato della giustizia, evitando qualsiasi diretto collegamento in materia di politica giudiziaria fra i due organi e, a coronamento di questo disegno, collocava nel progetto di riforma costituzionale una disposizione che prescriveva al CSM il divieto di adottare atti d’indirizzo politico.

Al contempo il testo esitato dalla Bicamerale esplicitava in Costituzione un elenco di funzioni spettanti al Ministro, fra le quali si segnalavano l’introduzione di una apposita disposizione relativa all’esercizio dei poteri ispettivi, la previsione della facoltà di partecipare alle riunioni del CSM senza voto deliberativo (ma potendo inoltrare proposte e richieste) e l’introduzione di limitate attribuzioni ministeriali in tema di formazione dei magistrati77 .

Nel corso della seconda metà della XIII legislatura si è nuovamente posto al centro del dibattito politico il tema dell’ordinamento giudiziario78.

Lo scontro fra politica e magistratura è stato asperrimo, segnato da due “scioperi” dei magistrati e dal rinvio presidenziale del 16 dicembre 2004 della legge delega di riforma dell’ordinamento giudiziario per «evidente contrasto» con il principio dell’autonomia e dell’indipendenza della magistratura e per «la menomazione dei poteri del Consiglio superiore della magistratura», che inducevano il Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi a qualificare i motivi del rinvio come «motivi di palese incostituzionalità» della legge79.

La lesione, anzi, «l’invasione delle sfera di competenza» del Consiglio fissata nell’art. 105 Cost. veniva rinvenuta dai commentatori e dal Presidente della Repubblica

74 Corte cost. n. 168 del 1963. 75 Corte cost. n. 168 del 1963. 76 Corte cost. n. 168 del 1963. 77 FERRI, Magistratura, cit., 320 ss. 78 Sul tema della strategia delle riforme dell’ordinamento giudiziario dalla Bicamerale in poi cfr.

SENESE, Modello di Stato e riforma dell’ordinamento giudiziario, in Quest. giust., 2005, 131 ss. 79 Messaggio di rinvio del 16.12.2004, cit., punti 1 e 4.

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soprattutto nelle disposizioni dell’art. 2 della legge di riforma che istituivano la Scuola superiore della magistratura, organo esterno al Consiglio, e ne individuavano le competenze attribuendo alle valutazioni positive rese dalla Scuola il rilievo di requisito necessario per la partecipazione al concorso per assumere funzioni di secondo grado.

Il testo approvato dalle Camere su iniziativa governativa si segnalava per la particolare filosofia ad esso sottesa. In particolare, è significativo che il legislatore, nel momento in cui ha avvertito un problema legato al funzionamento degli apparati giudiziari, ha ritenuto che lo stesso potesse essere risolto attraverso una nuova articolazione dei rapporti tra CSM e Ministro. È come se il problema fosse stato quello di spostare la decisione da un organo incapace di promuovere l’efficienza degli apparati giudiziari ad un altro il cui merito sarebbe rappresentato solo dal fatto di aver sacrificato alcune delle potenzialità previste nel sistema delineato dalla l. n. 195 del 1958 allo strapotere consiliare. È una scelta di politica del diritto che permane nell’ordinamento e che deve essere criticata perché, oltre a prospettare una potenziale lesione delle disposizioni costituzionali che si riferiscono al CSM, non affronta il vero problema, rappresentato dall’esigenza di progettare e realizzare un nuovo sistema di valutazione e progressione in carriera dei magistrati ordinari capace di consegnare in un arco temporale ragionevole nuovi e più efficienti apparati giudiziari. La mera sostituzione del CSM con altri organi non sarà in grado di perseguire tale finalità.

In questo contesto di forti e permanenti tensioni fra magistratura e politica, i due interventi legislativi sull’ordinamento giudiziario approvati nel corso della XV legislatura (l. n. 269 del 2006; l. n. 111 del 2007) hanno, da un lato, “spuntato le armi” a disposizione del Ministro in sede di conferimento degli incarichi direttivi e, dall’altro, lasciato immutata la disciplina in materia di ispezioni negli uffici giudiziari. Va segnalato però che la l. n. 111 del 2007 ha abrogato una disposizione che avrebbe consentito al Ministro di acquisire informazioni rilevanti per il promovimento dell’azione disciplinare per il tramite dei Consigli giudiziari. Tuttavia tale abrogazione non sembra volta a colpire i poteri ministeriali, quanto, piuttosto a ripensare il ruolo dei Consigli giudiziari, che sono configurati come organi che non hanno più poteri di vigilanza sui magistrati, ma solo sul buon funzionamento dei servizi giudiziari80.

Con l. n. 269 del 2006, infatti, è stata sospesa l’efficacia dell’art. 43 d. lgs. n. 160 del 2006, che conferiva al Ministro, usando una formulazione non priva di ambiguità, il potere di adire il giudice amministrativo «fuori dai casi di ricorso per conflitto di attribuzioni tra poteri dello Stato in relazione a quanto previsto dall’articolo 11 della legge 24 marzo 1958, n. 195, e successive modificazioni» per richiedere l’annullamento delle delibere del CSM relative al conferimento o alla proroga di incarichi direttivi. L’art. 4 c. 20 l. n. 111 del 2007 ha poi disposto l’abrogazione della disposizione, facendo rivivere la disciplina previgente alla riforma operata con l. n. 150 del 2005e d. lgs. n. 160 del 2006 per quanto riguarda la posizione del Ministro nella procedura, che resta sostanzialmente estraneo alla fase istruttoria e decisoria del procedimento in tema di conferimento d’incarichi direttivi.

Per quanto concerne il conferimento delle funzioni direttive il nuovo testo dell’art. 12 d. lgs. n. 160 del 2006 ai commi 11 e 12 prescrive meramente alcuni criteri di valutazione degli aspiranti.

L’intervento operato dalla l. n. 111 del 2007 ha dunque l’esclusiva finalità, in questo caso, di fissare alcune regole volte a razionalizzare il sistema di valutazione del

80 Cfr. art. 15 d. lgs. 26/2006.

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magistrato ai fini del conferimento degli incarichi direttivi: non incide sui moduli procedurali volti a contemperare i poteri del Ministro e del CSM, ma sulla attività di valutazione dei concorrenti spettante al CSM.

Inoltre, la l. n. 111 del 2007 ha modificato l’art. 45 c. 1 d. lgs. n. 160 del 2006 che, posto il principio della temporaneità delle funzioni direttive, disciplinava il regime della proroga.

Il vecchio testo dell’art. 45 d. lgs. n. 160 del 2006 disponeva l’obbligo, per il CSM, di acquisire il parere del Ministro sulla eventualità di una proroga dell’incarico. Il nuovo testo dell’art. 45 c. 1 d. lgs. n. 160 del 2006 spazza via tale previsione e richiede soltanto che il CSM valuti l’attività svolta dal magistrato (oltre ad estendere a quattro anni la durata della proroga).

Tali scelte normative in tema di incarichi direttivi, com’è evidente, conseguono a quella visione dei rapporti fra Ministro e CSM in tema di amministrazione della giustizia che ritiene necessario ridurre l’incidenza del ruolo del Ministro in tali decisioni in ossequio ai principi costituzionali di autonomia ed indipendenza della magistratura, che si riflettono nelle attribuzioni del CSM relative allo status dei magistrati, e che ritiene sostanzialmente ininfluente la considerazione che il magistrato che svolge incarichi direttivi è chiamato ad intervenire anche su aspetti dell’amministrazione della giustizia di competenza del Ministro81.

La l. 111 del 2007 ha invece lasciato immutata, sempre per quanto riguarda la posizione del Ministro della giustizia, la trama normativa in tema di formazione dei magistrati per quegli aspetti che conferivano al Guardasigilli poteri di proposta in tema di formazione dei magistrati e lo qualificavano come “osservatore” privilegiato delle attività di formazione svolte dalla Scuola superiore della magistratura, dovendo ricevere una relazione annuale sulle attività svolte dalla stessa82.

Sono stati, di contro, ampliati i poteri ministeriali in tema di nomina dei componenti del comitato direttivo della Scuola, ampliando la quota percentuale dei membri che può designare83. Va segnalato, però, che all’espansione dei poteri di nomina del Ministro corrisponde l’espansione dei poteri di nomina del CSM che designa la maggioranza dei membri del comitato direttivo. La nuova disciplina va nel senso di mantenere nell’orbita del CSM la Scuola, contrariamente a quanto disposto dalla riforma Castelli, che invece valorizzava maggiormente la Corte di Cassazione e l’apporto di soggetti esterni alla magistratura (il Consiglio Universitario Nazionale e il Consiglio Nazionale forense che designavano un membro ciascuno)84.

In tema di promovimento dell’azione disciplinare, di rilievo l’introduzione del termine di un anno dalla conoscenza del fatto per l’uso del potere ministeriale di segnalazione al procuratore generale presso la Corte di cassazione dei fatti di rilievo disciplinare85 e l’attribuzione del potere di incidere sulla decisione di archiviazione emessa dal Procuratore Generale86.

81 Traccia della tendenza alla marginalizzazione del ruolo del Ministro anche nella C. cost.

207/2006 par. 3.1. considerato in diritto. 82 Art. 5 d. lgs. 26/2006. 83 Cinque su dodici, art. 6 d. lgs. 26/2006. 84 Pur tenendo conto dell’obbligo di indipendenza dei membri del comitato (art. 8 d. lgs. 26/2006).

Cfr. il vecchio ed il nuovo testo dell’art. 7 d. lgs. 26/2006 sui quorum strutturali e funzionali delle sedute del Comitato.

85 Art. 14 c. 2 d. lgs. 109/2006 come mod. dall’art. 4 c. 17 l. 111/2007, art. 15 c. 1 d. lgs. 109/2006 (mod. dall’art. 1 c. 3 lett. g) l. 269/2006). In ogni caso il Procuratore generale non potrà procedere se sono

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In definitiva, i due recenti interventi legislativi consentono al Ministro, che si configura come il rappresentante del mondo della “politica”, di continuare ad esercitare quei poteri di vigilanza e controllo nei confronti dei quali la magistratura manifesta una forte insofferenza.

A fronte di una nuova disciplina in tema di valutazione della professionalità del magistrato si registra un incremento delle valutazioni indotto dalla temporaneità delle posizioni “apicali” ed un riconoscimento delle attività paranormative del Consiglio superiore, chiamato a definire criteri, parametri che dovranno essere tenuti in considerazione in sede di elaborazione dei pareri dei Consigli giudiziari. È stato notato come le riforme del 2005-2007 siano ispirate «ad una “filosofia” complessiva del tutto differente»87 e che la legge n. 111 del 2007 abbia finito per affidare al solo CSM poteri di valutazione e controllo seppur circoscritti da una serie di nuovi limiti.

In effetti, la controriforma Mastella (d.lgs. n. 269 del 2006 e l. n. 111 del 2007) affida al magistrato il potere di interlocuzione in sede di valutazione della propria professionalità, mentre le iniziative disciplinari potranno minacciosamente estendersi a valutazioni che dovrebbero essere tutelate dalla libertà del ius dicere88, nonostante il d.lgs. n. 269 del 2006 abbia abrogato alcune disposizioni “significative”89 della riforma Castelli, in particolare, i commi 2 e 3 dell’art. 1 d.lgs. n. 109 del 2006 ai sensi dei quali si stabiliva che «il magistrato, anche fuori dall’esercizio delle proprie funzioni, non deve tenere comportamenti, ancorché legittimi, che compromettano la credibilità personale, il prestigio e il decoro del magistrato o il prestigio dell’istituzione giudiziaria. Le violazioni dei doveri di cui ai commi 1 e 2 costituiscono illecito disciplinare perseguibile nelle ipotesi previste agli articoli 2, 3 e 4» e per introdurre anche l’art. 3 comma 3 bis per il quale non è configurabile un illecito disciplinare se il fatto «è di scarsa rilevanza».

Al momento è possibile ritenere che alla difficoltà di apprezzare quale sia il ruolo che il giudice deve svolgere corrisponda l’incapacità politica a progettare un intervento che possa effettivamente ridisegnare lo status giuridico del magistrato ordinario andando anche al di là della mera alternanza fra Ministro e CSM.

5. Il contesto attuale Pensare che il ruolo che il giudice è oggi chiamato a svolgere possa essere

apprezzato solo all’interno dei circuiti in cui matura l’indirizzo politico nazionale è una prospettiva che viene contraddetta dalle ben note evoluzioni dell’integrazione ordinamentale europea, sia sul fronte dell’Unione che del sistema CEDU.

Alcuni effetti immediatamente percepibili di tale fenomeno, sul piano dell’esercizio della funzione giurisdizionale, sono rappresentati dalla giurisprudenza

trascorsi più di dieci anni dagli eventi segnalati (art. 15 c. 1 bis d. lgs. 109/2006), salvo che non si ricada nelle ipotesi di sospensione del termine di cui all’art. 15 comma 8 d. lgs. 109/2006.

86 Art. 16 c. 5 bis d. lgs. 109/2006 introdotto dalla l. 269/2006. 87 SICARDI, L’oggetto della valutazione e l’attività giudiziaria (formazione, promozioni e controlli

dopo le riforme dell’ordinamento giudiziario del 2005/2007), in CAMPANELLI (a cura di), Controllare i giudici? (Cosa, chi, come perché). Atti del Convegno di Studi, Lecce, febbraio 2008, Torino, 2009, 51, spec. 75.

88 Art. 2 d.lgs. n. 109 del 2006. 89 Così ZANON, Azione disciplinare e modello di giudice, in CAMPANELLI (a cura di), Controllare i

giudici, cit., 121 spec. 131.

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della Corte europea dei diritti dell’uomo sull’irragionevole durata dei processi (riforma dell’art. 111 Cost. e l. n. 89 del 2001) e dalla giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea sulla responsabilità dello Stato da “atto interpretativo” (sentenze Köbler e Traghetti del Mediterraneo) che ha dei riflessi diretti sulla disciplina della responsabilità civile dei magistrati e che deve indurre il legislatore a ripensare anche la disciplina della responsabilità disciplinare90.

Tali filoni giurisprudenziali comportano, innanzitutto, la necessità di ripensare il senso del principio posto dall’art. 101 cost. («i giudici sono soggetti soltanto alla legge») e di ridefinire il regime della responsabilità del giudice. In particolare, è necessario ripercorrere il tema della responsabilità tenendo ferma l’esigenza di sanzionare la lesione di diritti ed interessi costituzionalmente garantiti alla persona e l’emanazione di provvedimenti abnormi, alla luce anche dell’art. 101 cost.91. Ora, in un ordinamento in cui il giudice è chiamato a disapplicare la legge in un contesto di inefficace tutela degli interessi cui è preordinata l’amministrazione della giustizia, resta senza risposta la questione di quali siano i criteri per valutare la sussistenza della responsabilità del giudice e decidere circa le valutazioni di professionalità.

Infatti, sebbene l’articolo 2, comma 2 della l. n. 111 del 2007 affermi che la valutazione della professionalità del magistrato si costruisce in riferimento alla sua capacità, laboriosità, diligenza e impegno, senza che possa «riguardare in nessun caso l’attività d’interpretazione di norme di diritto né quella di valutazione del fatto e delle prove», sembra proprio che quest’ultima entri prepotentemente in discussione. Per altro, già le pronunzie della Corte di Strasburgo e della Corte di Lussemburgo possono costituire un’aggressione indiretta alla libertà del ius dicere. Altri meccanismi istituzionali operano nel senso di prendere di mira la funzione giurisdizionale condizionandone l’indipendenza attraverso aspettative risarcitorie, condizionamenti politici e ridimensionamento delle competenze del CSM. Si tratta di meccanismi che qui vengono richiamati in quanto operativi nell’ordinamento e che definiscono i contorni entro i quali oggi maturano le prospettate riforme della giustizia.

L’applicazione della l. n. 89 del 2001 (c.d. “legge Pinto”) offre indicazioni nel senso delle insoddisfacenti “risposte” alla “domanda di giustizia” nel nostro Paese che è bene tenere in considerazione: al 2009, le somme richieste al Ministero dell’economia e delle finanze ammontano a oltre 145 milioni di euro92 ed i procedimenti di equa riparazione “pendenti finali” al 2009 ammontano a 42.326 con un incremento rispetto al 2008 pari al 18%93.

Sul versante delle attività parlamentari si registrano iniziative nelle quali traspare l’intenzione politica di condizionare lo svolgimento della funzione giurisdizionale.

Dal punto di vista delle attività parlamentari di controllo è noto che gli strumenti ispettivi riposti nella disponibilità di ciascun parlamentare continuano a prestarsi ad usi strumentali per obiettivi diversi da quelli che dovrebbero caratterizzare il fisiologico

90 DAL CANTO, La responsabilità del magistrato nell’ordinamento italiano. La progressiva

trasformazione di un modello: dalla responsabilità del magistrato burocrate a quella del magistrato professionista, Relazione svolta in occasione delle VI Giornate italo-spagnole di giustizia costituzionale, dedicate al “Poder judicial”, a La Coruňa, 27-28 settembre 2007, in http://www.associazionedeicostituzionalisti.it/dottrina/garanzie/AIC_dal_canto.pdf, 29 ss.

91 BONIFACIO-GIACOBBE, Sub art. 105, cit., 91. 92 Fonte: Dipartimento per gli affari di giustizia – Direzione generale contenzioso e diritti umani –

Ufficio I – decreti di condanna – cap. 1264 Ministero della Giustizia (dall’1/1/2002 al 31/12/2009 euro 145.031.031).

93 Fonte: Ministero della giustizia – Dip. Org, Giud. Pres. e Serv. Direzione generale di Statistica.

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svolgimento dei rapporti fra Parlamento e Governo94. Il risultato è lo svolgimento di atti ispettivi che con la funzione parlamentare d’indirizzo e controllo hanno sempre meno a che fare, che tentano di determinare forme di condizionamento dell’esercizio della giurisdizione e che rendono il parlamentare proponente insindacabile anche per l’uso politico che dell’atto parlamentare si farà nel circuito della comunicazione mediatica.

L’intenzione politica di esprimere un costante disvalore nei confronti dei giudici emerge pure nello svolgimento della funzione legislativa, ad esempio dalla querelle sul legittimo impedimento e sulle immunità delle Alte cariche dello Stato, dai disegni di legge in materia di intercettazioni, processo breve ovvero dalle prospettate riforme in materia di giustizia.

6. Le prospettive di riforma Al momento in cui licenzio questo contributo si è avuta notizia che in un

imminente Consiglio dei ministri sarà approvato il disegno di legge costituzionale grazie al quale dovrebbe realizzarsi la riforma del Titolo IV, della Parte II della Costituzione. Non è dato conoscere l’articolazione esatta delle proposte ma solo i temi in discussione rispetto ai quali è possibile svolgere alcune considerazioni.

È proprio necessario mettere mano ad una riforma del Titolo IV? Come ho avuto modo di evidenziare nelle precedenti pagine i molti problemi della

giustizia italiana non nascono dal testo costituzionale ma dall’attuazione delle disposizioni costituzionali. Le leggi che dal 1958 ad oggi si sono succedute non hanno contribuito a promuovere l’efficienza degli apparati giudiziari; al contrario hanno consentito al CSM di continuare ad amplificare il proprio ruolo promuovendo un governo autonomo della magistratura ordinaria sostanzialmente avulso da gli altri poteri dello Stato. Il sistema di progressione, il sistema disciplinare, il sistema degli uffici giudiziari attendono soluzioni innovative mentre la gestione autonoma corporativa dello status giuridico dei magistrati piace al CSM e non dispiace al Ministro della Giustizia. Sono sistemi gestibili politicamente e bisognerebbe agire proprio per provare a riformare questo delicato settore dell’ordinamento.

Innestare su di un sistema inefficiente due CSM significa correre il rischio di duplicare i mali che si vorrebbero eliminare. A ben vedere il problema vero è quello di poter circoscrivere la avvenuta politicizzazione delle decisioni relative ai magistrati ordinari. Probabilmente i sostenitori della riforma avvertono il bisogno di intervenire sui meccanismi che presiedono alla costituzione del CSM. Qui il ventaglio delle soluzioni è articolato. Ma il problema che va affrontato è se il CSM debba essere un organo che assicura un qualsiasi governo della magistratura o un governo autonomo della magistratura. Su questi presupposti a qualcuno appare plausibile limitare la politicità dell’organo implementando il numero dei membri del CSM scelti su base meramente politica! Non si comprende quale garanzia verrebbe assicurata da una composizione del

94 Molti atti ispettivi hanno ad oggetto attività rimesse all’apprezzamento del potere giudiziario ed

in quanto tali per essi si porrebbe un problema di ammissibilità attese le garanzie costituzionali di indipendenza e autonomia dell’ordine-potere giudiziario. Le competenze ministeriali (ex l. n. 195 del 1958) consentono l’ammissibilità di tali strumenti i quali anziché vedere nel Ministro della giustizia “l’unico organo politicamente responsabile per quanto attiene all’amministrazione della giustizia” immaginano che il Guardasigilli sia lo strumento istituzionale attraverso cui la funzione parlamentare d’indirizzo e controllo possa dirigersi direttamente sulle attività di ciascun giudice.

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CSM (o dei CSM) nella quale aumentano i membri eletti dal Parlamento in seduta comune.

Assicurare un qualsivoglia governo della magistratura potrebbe essere raggiunto attraverso meccanismi non elettorali come il sorteggio. Garantire il governo autonomo della magistratura è invece possibile soltanto attraverso meccanismi elettorali che possano mitigare il rischio del correntismo. A tal proposito, non è detto che i magistrati ordinari al momento delle elezioni per il rinnovo del CSM debbano per forza eleggere come loro rappresentanti necessariamente altri magistrati ordinari ovvero si potrebbe immaginare di incrementare il numero dei componenti laici facendoli eleggere dai magistrati ordinari anziché dal Parlamento in seduta comune.

Le considerazioni svolte in riferimento all’inefficienza del sistema legislativo esistente non consentono di vedere con favore l’amplificazione del ruolo del Ministro della giustizia. L’attuale quadro normativo contiene ampi e significativi poteri ministeriali che però sono stati intesi al minimo delle loro potenzialità. In questo contesto immaginare un organo dell’esecutivo forte significa mettere a rischio la garanzia costituzionale dell’indipendenza della magistratura ordinaria che costituisce uno dei pilastri su cui si costruisce la storia del costituzionalismo.

Mi sembra che le possibili riforme incentrate sulla costruzione di un sistema di governo della magistratura diverso perché articolato sulla presenza di due Consigli superiori e sulla rivalutazione del ruolo ministeriale non siano in grado di promuovere quella prospettiva di cambiamento che, come si è detto, deve tendere al rilancio complessivo dei servizi giudiziari nel cui contesto può essere pensata una riforma della responsabilità civile che però non deve tradursi in un generale ed indifferenziato attacco all’indipendenza e alla libertà del ius dicere.

Chi poi è preoccupato del “potere” esercitato dal CSM dovrebbe prendere consapevolezza del regime cui sono sottoposti gli atti del Consiglio superiore e dell’esistenza di un consistente contenzioso nel quale emergono in tutta evidenza le vischiosità della disciplina di attuazione del Titolo IV, Parte II della Costituzione in tema di guarentigie istituzionali dell’autonomia ed indipendenza della magistratura.

Sia la giurisprudenza amministrativa, sia quella della Corte di Cassazione sul versante della responsabilità disciplinare mostrano una tendenza ad ampliare lo spettro del sindacato sugli atti del Consiglio superiore95. È quindi evidente che il Consiglio superiore funge da «contrappeso (…) nei confronti del potere politico»96 ma non da “contrappeso efficace” nei confronti del potere giudiziario latu sensu inteso. Si dovrebbe riflettere anche su quest’aspetto per poter costruire un efficace modello di “garanzie” e “controlli” costituzionali sulla giurisdizione.

95 I dati relativi al contenzioso dinanzi agli organi di giustizia amministrativa sono certamente

influenzati dalla temporaneità degli incarichi apicali; la l. n. 111 del 2007 come conseguenza immediata ha prodotto l’effetto di impegnare CSM e Ministro nel conferimento di incarichi direttivi e semidirettivi. Si comprende che le ragioni che sostengono i deliberati consiliari non sempre vengono apprezzate positivamente dal giudice amministrativo, su cui cfr., CSM, V Commissione, Effetti della sentenza del Giudice amministrativo di annullamento di delibera consiliare con le quali sono stati conferiti incarichi direttivi (Risposta a quesito del 24 gennaio 2008), http://www.csm.it/circolari/080124_5.pdf, sulla giurisprudenza in tema di responsabilità disciplinare si veda APOSTOLI, Implicazioni costituzionali della responsabilità disciplinare dei magistrati, Milano, 2009, 197 ss.

96 SORRENTINO, Governo dei giudici e giustizia amministrativa, in CAMPANELLI (a cura di), Controllare i giudici, cit., 187, spec. 189.