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Rivista

Direzione scientiica: Filippo Annunziata, Paoloefisio Corrias, Fulvio Cortese, Matteo De Poli, Raffaele Di Raimo,

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Gli articoli pubblicati in questa rivista sono stati sottoposti a valutazione da parte di due revisori con il sistema del doppio cieco.

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Le garanzie nella cessione delle partecipazioni sociali nella recente giuri-sprudenza italiana: Corte d’Appello di Milano, sentenza 2801/2013

1, Tribunale

delle Imprese di Milano, ordinanza del 25 febbraio 20142 e Cassazione, sen-

tenza 19693/20143

Corte d’Appello di Milano, sentenza 2801/2013

PREMESSA Con lodo rituale introdotto con atto di nomina di arbitro datato 30 giugno 2004

C.I. s.p.a. (di seguito C.) richiedeva a M.Z., G.Z., S.R.Z., A.M.Z., P.D.Z. (di seguito Signori Z.) e alla M.Z. & C. s.a.p.a. (oggi con nuova denominazione G. & C. s.a.p.a., di seguito Z. SAS) la costituzione di un Collegio Arbitrale al fine di decide-re sulle domande ivi formulate, riguardanti (i) la dichiarazione di responsabilità dei convenuti per le violazioni delle dichiarazioni rese e delle garanzie prestate nonché degli obblighi assunti con la sottoscrizione di due differenti contratti — rispettiva-mente di opzione e di acquisizione stipulati fra C.H. S.A. e i Signori Z. in data 28 luglio 2000 — aventi per oggetto — previo esperimento di una due diligence e, all’esito, la possibilità di esperire specifiche azioni volte ad accordarsi su eventuali modifiche e/o integrazioni da apportare al contratto di acquisizione, formalizzando-le attraverso la stipula- zione di apposito emendamento — l’esercizio del diritto di opzione da parte di C.H. S.A. finalizzato all’acquisto della totalità delle azioni rap-presentative del capitale sociale di S.M.H. s.p.a. e della totalità della quota di par-tecipazione nel capitale sociale di S s.r.l., non detenuta da quest’ultima società, (ii) la condanna al risarcimento dei costi, spese e danni, sofferti da C. — quale titolare dei diritti e degli obblighi nascenti dal contratto suddetto a seguito della designa-zione effettuata da C.H. S.A. a norma dell’art. 1401 c.c. — in relazione ed in con-seguenza delle violazioni citate sub (i), oltre al pagamento delle spese arbitrali. In-tervenuta la nomina dell’arbitro da parte dei Signori Z. e costituitosi il Collegio arbi-trale mediante nomina del Presidente, le parti precisavano con le rispettive memo-rie le loro domande e formulavano — dopo le reciproche contestazioni — le istanze istruttorie, solo in parte accolte dal Collegio arbitrale il quale, disposta discussione orale e prorogato, più volte, il termine della decisione, con lodo pronunciato in con-ferenza personale in data 22 maggio, 16 ottobre e 6 novembre 2008, così definiti-vamente provvedeva: 1. Accertata la violazione da parte dei convenuti Signori Z. delle garanzie da essi prestate secondo quanto stabilito dall’art. V del contratto di acquisizione, nei termini e nei limiti di cui in motivazione, li condannava in solido fra loro al pagamento in favore di C. della complessiva somma di euro 6.401.007,30 oltre a interessi al tasso convenzionale a decorrere dal 24 marzo 2004 sino al sal-do; 2. dichiarava inammissibili le domande proposte da C. nei confronti dei conve-nuti aventi ad oggetto l’accertamento di obblighi di garanzia dei convenuti stessi rispetto a passività di carattere potenziale; 3. determinava le spese e gli onorari del

1 Pubblicata in Rivista dei dottori Commercialisti, n. 4/2013, p. 919. 2 In www.giurisprudenzadelleimprese.it. 3 In www.italgiure.giustizia.it

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procedimento arbitrale nella complessiva somma di euro 485.452,72 oltre i.v.a. e c.p.a. ponendoli a carico di C. per la metà e a carico dei signori Z. per la restante metà; 4. Respingeva tutte le altre domande, sia di merito che istruttorie proposte dalle parti.

Evidenziava, in sintesi, il giudice arbitrale, che: a) l’eccezione di prescrizione sollevata dai convenuti in relazione all’art. 1495 c.c., per aver — C. — denunciato vizi e/o difetti della cosa oggetto di compravendita oltre il termine di un anno previ-sto da tale norma — e la conseguente coeva eccezione di nullità della clausola contrattuale 7.01 nella misura in cui si sostanziava in un patto diretto a modificare la disciplina legale della prescrizione — andava respinta; infatti tale costruzione, proprio perché volta ad equiparare la prestazione di garanzia alla promessa di de-terminate qualità della cosa compra- venduta, appariva “difficilmente conciliabile con l’assunto dal quale si prendono le mosse, ossia la netta differenza esistente, sotto il profilo giuridico, tra il bene oggetto della compravendita e — le azioni o quo-te di partecipazione — il patrimonio sociale” (così pag. 49 del lodo); inoltre, un’interpretazione di tal fatta appariva contraria all’esplicita volontà negoziale de-sumibile dal testo contrattuale, volta espressamente ad escludere “ogni eventuale obbligo del compratore di denuncia od azione entro diversi termini comunque altri-menti fissati, anche a pena di decadenza” (così pag. 50 del lodo); b) parimenti in-fondata doveva ritenersi essere l’eccezione di decadenza sollevata dai convenuti Z. sotto un diverso duplice profilo, vale a dire (i) per mancato rispetto del termine di 36 mesi dalla data di esecuzione, da individuarsi non in quella in cui il contratto aveva avuto effettiva esecuzione ma in quella (10 gennaio 2001) in cui il contratto avrebbe dovuto essere eseguito ove C. avesse tempestivamente rispettato gli ob-blighi contrattuali relativi alla procedura necessaria per ottenere l’autorizzazione richiesta dalle norme europee Antitrust, (ii) ovvero per mancata osservanza del termine di trenta giorni lavorativi dalla scoperta — in capo al compratore degli eventi da ritenersi rilevanti per ritenere violata la garanzia prestata; infatti, con ri-guardo alla prima ecce- zione, non v’era dubbio che l’evento cui far decorrere il termine decadenziale doveva essere quello certo e incontrovertibile dell’effettiva esecuzione del contratto; quanto al secondo, previsto dal paragrafo 7.02 del con-tratto, questo non poteva intendersi come avere natura decadenziale, per non ave-re le parti né esplicitamente né implicitamente stabilito che “dalla mancata osser-vanza del termine (sarebbe) derivata la perdita del diritto” (così pag. 54 del lodo); c) doveva, infine, ritenersi infondata anche l’ultima eccezione di carattere generale, sollevata dai convenuti sotto il profilo della violazione della buona fede, per avere, C., avuto piena contezza — attraverso l’esperimento della due diligence — della situazione preliminare economica, finanziaria e gestionale delle società oggetto di cessione azionaria, sì da essere in grado di poter valutare, fin dall’inizio, le specifi-che circostanze che avrebbero potuto portato all’azione di garanzia, ragione per cui la domanda di garanzia azionata dal compratore sarebbe stata contraria buona fede e, dunque, preclusa in base alle disposizioni contrattuali. Infatti, secondo il collegio arbitrale, tale eccezione appariva in netto contrasto con la clausola 4.2 del contratto di opzione che aveva stabilito la preclusione di ogni pretesa da parte del compratore — e cioè di C. —, non in via generale e, dunque, in relazione alle risul-tanze della due diligence, ma in una specifica ben definita ipotesi, riferita alla spe-ciale procedura cui avrebbe dovuto attenersi il compratore ove fosse venuto a co-

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noscenza di fatti o circostanze che potevano incidere negativamente sulle condi-zioni e attività delle società oggetto di cessione qualora ne fosse venuto a cono-scenza; d) l’affermata violazione del diritto di difesa, per non essere stati, i vendito-ri, messi in condizione di poter apprestare le proprie difese nel caso di difformità o violazioni di garanzia sostanziatesi in pretese o azioni di terzi, risultava allegata in via del tutto generica, e ciò tanto più che gli Z. avevano, invece, avuto — per molti anni — un ruolo attivo di gestione nelle società oggetto di cessione e che, sotto questo profilo, non potevano non essere stati adeguatamente informati di tali even-ti.

Le pretese di C. potevano, dunque, ritenersi fondate con riguardo a tutte le do-mande sintetizzate nella tabella di cui a pag. 110 del lodo ai punti: A.1. (questioni fiscali e valutarie euro 331.846,24), A.2 (questioni previdenziali: euro 33.191,55) A.3 (Rapporti contenziosi: euro 860.221,30); A.4 (contratti e rapporti rilevanti: euro 145.919,72), A.5 (Convenzioni: euro 517.9450,00); A.6 (Violazioni di norme: euro 2.015.298,05); A7 (gestione tra la data di riferimento di Bilanci 1999 e il 30 novem-bre 2000: euro 1.081.846,50) B.3 (rapporti contenziosi successivi al 30 novembre 2000: euro 408.457,25); B.4 (procedimenti penali: euro 24.917,17) B.8 (Proprietà: euro 114.665,60); C (Gestione interinale successiva alla sottoscrizione del contrat-to di acquisizione: euro 478.899,11); D.E. (Onorari di assistenza e difesa: euro 387.794,81), in relazione alle quali il totale complessivo poteva essere determinato in euro 6.401.007,30; d) circa, per ultimo, i criteri con i quali calcolare l’indennizzo non si poteva fare riferimento ai dati di bilancio sui quali le parti si erano mostrate entrambe, in astratto, concordi, posto che era mancata l’allegazione — oltre che la prova — di una precisa correlazione tra ciascuno degli elementi indicati (minusva-lenze, fondi, accantonamenti e plusvalenze patrimoniali) ed ogni singola voce di passività, costo o danno per il quale vi era stata richiesta di indennizzo. Se ne do-veva concludere per l’impossibilità di un calcolo siffatto, stante il carattere eminen-temente esplorativo che un’eventuale perizia esperita sul punto avrebbe potuto avere.

Andavano infine rigettate le domande riconvenzionali della convenuta tendenti ad affermare (i) l’inadempimento di C. nell’esecuzione del contratto per non aver tempestivamente richiesto alla CE l’autorizzazione normativa- mente prevista (ii) l’illegittimo esercizio del diritto di opzione da parte di C. della partecipazione resi-dua in assenza di dissidi gestionali che, soli, l’avrebbero potuto giustificare; (iii) l’invalidità dei patti di opzione previsti dall’art. XII del contratto di acquisizione in re-lazione al divieto di patto leonino.

L’impugnazione dei signori Z. e Z. SAS.Avverso la decisione sopra indicata ha proposto impugnazione la sola parte convenuta esponendo undici motivi di impu-gnazione e chiedendo di- chiararsi la nullità del lodo per violazione delle regole di diritto e dunque ex art. 829, II comma c.p.c. in base alle seguenti doglianze: a) vio-lazione degli artt. 1362 e ss c.c. e 1491 c.c. nella misura in cui il lodo aveva erra-tamente ritenuto irrilevante la due diligence espletata da C. per escludere le passi-vità denunciate dai venditori da ogni obbligo risarcitorio (pag. 20-28 dell’atto di im-pugnazione); b) errata interpretazione del termine di 30 giorni per la denuncia delle violazioni da parte dei compratori, termine ritenuto dal Collegio arbitrale come non avente natura decadenziale (pag. 28-31 dell’atto di impugnazione); c) errata inter-pretazione dell’eccezione di prescrizione e della conseguente eccepita nullità della

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clausola contrattuale 7.01 (pag. 31-34 dell’atto di impugnazione); d) errata interpre-tazione del contratto, nella parte in cui il collegio arbitrale aveva ritenuto che fosse stato rispettato il termine decadenziale di 36 mesi dalla sua esecuzione per eserci-tare l’azione di garanzia, avendo, l’impugnata, prolungato il compimento dell’esecuzione stessa avvalendosi di un comportamento inadempiente (pag. 34-42 dell’atto di impugnazione); e) violazione del diritto di difesa per avere, il Collegio arbitrale, erratamente ritenuto la conoscenza in capo ai signori Z. delle “singole partite in contenzioso”, così ritenendo legittimo il comportamento di C. che “per molti anni, rendendosi pacificamente inadempiente, si era totalmente disinteressa-ta di chiamare in causa e persino di informare i signori Z. sia delle cause intrapre-se, sia delle transazioni e dei pagamenti che essa ha ritenuto spontaneamente di effettuare” (così pag. 44 dell’impugnazione); f) errata determinazione dell’indennizzo, per avere, il Collegio arbitrale, ritenuto generiche le deduzioni degli impugnanti in merito e per avere, in particolare, omesso di esaminare le richieste istruttorie che, diversamente da quanto sostenuto in sede di lodo, erano state det-tagliatamente individuate e precisate (pag. 45-56 dell’atto di impugnazione); g) er-rata determinazione del quantum dovuto al compratore in ragion della garanzia contrattualmente prevista per avere il collegio arbitrale erratamente interpretato la clausola 7.4 del contratto (pag. 57-61); h) errata interpretazione del contratto nella parte in cui il Collegio arbitrale aveva ritenuto che Conforama non fosse stata a co-noscenza del premio promesso dal gruppo S. al V. Calcio in serie A ed in particola-re della testimonianza F. da ritenersi inammissibile e inattendibile ex art. 246 c.p.c. (pag. 61-67 dell’atto di impugnazione); i) errato giudizio del collegio arbitrale circa la legittimazione passiva del sig. A.Z. e P.D.Z. (pag. 75-76). Chiedeva quindi che, annullato il lodo impugnato e aperta la fase rescissoria, fossero esaminate e accol-te tutte le domande dedotte in sede di arbitrato pure se non riportate per esteso nel presente atto di citazione in appello (pag. 67-75 dell’atto di impugnazione).

MOTIVI DELLA DECISIONE Va preliminarmente esaminata e respinta l’eccezione di inammissibilità propo-

sta dall’impugnata C. circa la natura di arbitrato internazionale del giudizio svoltosi in prima istanza, con la conseguente applicazione dell’art. 832 c.p.c. vecchio testo, che preclude, in presenza di arbitrati di tale specie, la disamina di eventuali errori di diritto di cui sia affetto il lodo impugnato ai sensi dell’art. 829, II comma c.p.c.

Assume, infatti, C. che l’arbitrato in oggetto sarebbe da considerarsi internazio-nale in quanto una delle parti del contratto di opzione e del conseguente contratto di acquisizione era la C.H. S.A. società di diritto francese che ha poi nominato, ai sensi dell’art. 1401 c.c. C. come soggetto nei confronti del quale si sarebbero pro-dotti gli effetti del contratto da essa stipulato.

L’assunto è infondato. Ed infatti, l’intervenuto subentro di C. — società di diritto italiano — nel rapporto

di cui era in origine titolare la società francese C.H. S.A. per effetto della dichiara-zione di nomina di quest’ultima, ha comportato, per la subentrante, l’acquisto dei diritti e l’assunzione degli obblighi della parte originaria con effetto ex tunc; ne con-segue l’irrilevanza del dato relativo alla nazionalità della società contraente origina-ria, dovendosi fondatamente ritenere che, ab initio, nessuna delle parti contraenti fosse da considerarsi società estera (cfr. Cass. Civ. sez. 2, Sentenza n. 7217 del 21/03/2013 secondo cui “Ai sensi degli artt. 1401 e ss. cod. civ., nel contratto per

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persona da nominare, a seguito dell’esercizio del potere di nomina, il terzo suben-tra nel contratto e, prendendo il posto della parte originaria, ne acquista i diritti ed assume gli obblighi con effetto retroattivo, dovendo, quindi, considerarsi fin dall’origine parte contra- ente. Ne consegue che la dichiarazione di nomina, attesa la funzione di far acquistare al terzo gli stessi diritti ed obblighi derivanti dal contrat-to, non può contenere alcuna modifica o variazione del suo contenuto, essendo, altrimenti, improduttiva di effetti”).

Va invece ritenuta parzialmente fondata ed esaminata con riguardo ad ogni sin-golo capo di impugnazione l’eccezione di inammissibilità sollevata in via prelimina-re dall’impugnata ai sensi dell’art. 829 c.p.c. per avere gli impugnanti “mascherato” sotto l’apparente deduzione della violazione dei canoni di ermeneutica e dunque dell’errore di diritto una richiesta di riesame nel merito della controversia. Ed infatti possono essere annoverate in tale genus — perché tendenti ad una rivalutazione dei fatti in questa sede preclusa — tutte le doglianze sollevate dagli impugnanti in merito all’interpretazione del contratto e segnatamente quelle volte a contrastare la valuta- zione di fatti o comportamenti esaminati dal Collegio arbitrale a tale fine.

E valga il vero. A) Il primo motivo di impugnazione — vedi infra sub (a) — riguarda solo appa-

rentemente l’errata interpretazione contraria a buona fede del contratto; infatti la disamina di tale motivo — tendente ad affermare la nullità del lodo, per non avere correttamente valutato “la rilevanza” della due diligence — si risolve in una diversa e opposta valutazione in fatto del comportamento di C. che gli impugnanti — in aperta confutazione con quanto ritenuto, sul punto, nel lodo — assumono essere stata nella piena conoscenza di tutta la situa- zione patrimoniale del gruppo S., le cui partecipazioni azionarie aveva in animo di acquistare, conoscenza che le avrebbe precluso la facoltà di poter azionare le garanzie previste dal contratto per-ché contrastanti con quanto accertato e conosciuto in sede di due diligence (cfr. Cass. Civ. Sez. 1, Sentenza n. 13511 del 08/06/2007 secondo cui “Il giudizio di impugnazione del lodo arbitrale ha ad oggetto unicamente la verifica della legittimi-tà della decisione resa dagli arbitri, non il riesame delle questioni di merito ad essi sottoposte: pertanto l’accertamento in fatto compiuto dagli arbitri, qual è quello concernente l’interpretazione del contratto oggetto del contendere, non è censura-bile nel giudizio di impugnazione del lodo, con la sola eccezione del caso in cui la motivazione del lodo stesso sia completamente mancante od assolutamente ca-rente”).

B) Parimenti inammissibile appare alla Corte il quarto motivo di impugnazione (vedi infra sub d) attinente all’apparente violazione delle regole di ermeneutica e dunque degli artt. 4,6 e 19 del Reg. CEE n. 4064/69 e dell’art. 2697 c.c. per non avere, il Collegio arbitrale, tenuto nel debito conto, ai fini del rigetto della domanda riconvenzionale e della tardiva esecuzione del con- tratto, l’inadempimento contrat-tuale di C., consistito nel fatto che quest’ultima avrebbe tardivamente notificato l’autorizzazione prevista dalla legge Antitrust, così attuando un comportamento inadempiente che avrebbe dovuto rilevare anche ai fini della decorrenza del termi-ne decadenziale di 36 mesi previsto dal contratto, per denunciare la violazione del-le garanzie da parte dei venditori. Infatti la doglianza in parola postula un riesame nel merito di tutti i documenti prodotti nel giudizio arbitrale e puntualmente esami-nati dal Collegio arbitrale ai fini della valutazione del preteso dedotto adempimento

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che è stato in fatto ritenuto insussistente (cfr. sul punto quanto osservato dal Colle-gio arbitrale alle pag. 115 — 116 — 117 del lodo circa il preteso ritardo di C. nell’effettuare in forma di prenotifica la comunicazione all’autorità europea della operazione che è stato ritenuto insussistente per l’assenza di “alcun elemento che consentisse di ritenere che una maggiore diligenza da parte dell’attrice avrebbe consentito di abbreviare i tempi, né alcuna indica- zione di iniziative dei Venditori — anch’essi tenuti secondo la clausola contrattuale — nei confronti C. al fine di rendere il procedimento più spedito”).

C) Anche la pretesa violazione del diritto di difesa (vedi infra sub e) dei Signori Z. e della Z. SAS che sarebbe stata perpetrata da C. per aver loro taciuto e, co-munque, non aver fornito adeguata informazioni circa “le singole partite di conten-zioso” originative delle pretese azionate in sede di domanda di garanzia, appare inammissibile, dovendo presupporre per il suo accertamento un riesame del com-portamento analizzato dagli arbitri e ritenuto non indicativo di tale disinformazione, tanto più che l’ecce- zione era stata posta in senso generico, tanto da non permet-tere di verificare nel concreto quali informazioni e quali pretese sarebbero state ta-ciute agli Z. e in che misura (cfr. pag. 60: “la conclusione sopra enunciata — dun-que l’effettiva conoscenza comunque conseguita delle azioni dei terzi — appare al Collegio particolarmente avvalorata dalla speciale situazione relativa alla presenza attiva di membri della famiglia Z. nell’ambito dell’organizzazione delle società tra-sferite in epoca successiva alla cessione azionaria ... non ritiene il Collegio che i convenuti possano limitarsi ad affermare in via del tutto generica di essere vittime di una violazione del proprio diritto di difesa previsto dal paragrafo 7.05, senza dar-si carico di indicare con sufficiente precisione le situazioni nelle quali concretamen-te tali violazioni si sarebbero verificate”).

D) Per ultimo, tutte le doglianze esposte nell’ultima parte dell’atto di impugna-zione (pag. 45-67 relative ai punti f), g), h) menzionati a pag. 12) appaiono franca-mente tese ad ottenere una pronuncia di merito da parte di codesta Corte, avendo — attraverso di esse — gli impugnanti reiterato — operando, peraltro, un mero rin-vio agli atti del giudizio arbitrale — tutte le istanze istruttorie proposte in sede arbi-trale e non altrimenti accolte, oltre che le eccezioni relative alla inattendibilità ed errata valutazione delle risultanze probatorie, doglianze che non vengono nemme-no prospettate come errori di diritto e che non appaiono nemmeno inquadrabili nel-le cause di nullità tipiche delle impugnazioni arbitrali ante riforma, trattandosi di ac-certamenti e di valutazioni riservate alla fase rescissoria. Infatti, come in più riprese chiarito dalla Corte Suprema, il giudizio di impugnazione arbitrale si compone di due fasi, la prima rescindente, finalizzata all’accertamento di eventuali nullità del lodo e che si conclude con l’annullamento del medesimo, la seconda rescissoria, che fa seguito all’annullamento e nel corso della quale il giudice ordinario procede alla ricostruzione del fatto sulla base delle prove dedotte, nella prima fase non è consentito alla Corte d’Appello procedere ad accertamenti di fatto, dovendo limitar-si all’accertamento delle eventuali nullità in cui siano incorsi gli arbitri, pronunciabili soltanto per determinati errori “in procedendo”, nonché per inosservanza delle re-gole di diritto nei limiti previsti dal medesimo art. 829 cod. proc. civ.; solo in sede rescissoria al giudice dell’impugnazione è attribuita la facoltà di riesame del merito delle domande, comunque nei limiti del “petitum” e delle “cause petendi” dedotte dinanzi agli arbitri, con la conseguenza che non sono consentite né domande nuo-

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ve rispetto a quelle proposte agli arbitri, né censure diverse da quelle tipiche indivi-duate dall’art. 829 cod. proc. civ. (cfr. Cass. Civ., Sez. 1, Sentenza n. 20880 del 08/10/2010 (Rv. 614361).

Restano pertanto da esaminare, sotto lo specifico profilo dell’errore di diritto, i due motivi di impugnazione esposti nelle pag. 28-34 dell’atto di impugnazione a proposito dell’eccezione di prescrizione e del termine di gg. 30 lavorativi previsto dal contratto al par. 7.02 per la denunzia delle passività che potevano essere op-poste ai venditori e che, a torto, gli arbitri avrebbero ritenuto non essere un termine decadenziale in rapporto al diverso termine di 36 mesi dalla data di esecuzione del contratto, indicato nel successivo para- grafo 7.04 e per il quale era prevista per i venditori una esplicita esclusione di responsabilità per effetto dell’inutile decorso del termine stesso (così testualmente pag. 16-17 del contratto di acquisizione alle-gato al contratto di opzione: 7.01 Pagamenti dei Venditori: impregiudicato ogni al-tro diritto del Compratore, i Venditori saranno obbligato a pagare al compratore (od alla persona o persone indicate dallo stesso...) la percentuale rilevante di ogni passività delle Società comunque esistente al 31 dicembre 1999 e non risultante dai bilanci 1999 ovvero di qualsiasi passività derivante da atti e/o operazioni poste in essere dalle Società entro il 31 dicembre 1999 o da circostanze o situazioni di fatto esistenti a tale data e non risultanti dai Bilanci 1999... 7.02 Procedura: ogni-qualvolta si verifichi un evento o emerga una circostanza suscettibile di dare luogo a responsabilità dei Venditori a norma del paragrafo 7-01 si applicheranno le se-guenti disposizioni i) .. il compratore darà, al più presto e in ogni caso entro il tren-tesimo giorno lavorativo successivo al momento in cui il legale rappresentante del-lo stesso ne sia venuto effettivamente a conoscenza, notizia di tale evento o circo-stanza ai Venditori, fornendone una descrizione documentata (nella misura del possibile) ed indicando, anche solo in via provvisoria, l’ammontare richiesto in di-pendenza dello stesso ... par. 7.04 esclusioni o limitazioni: in deroga alle disposi- zioni di cui al par. 7.01 in nessun caso i venditori saranno responsabili nei confronti del compratore a norme dello stesso in dipendenza o in difformità rispetto alle di-chiarazioni e garanzie contenute al precedente articolo V nel caso in cui tali ina-dempimenti o difformità non siano stati denunciati dal Compratore ai venditori entro il trentaseiesimo mese dalla data di esecuzione, fatta eccezione per ...).

Assumono, sul punto, gli impugnanti che, diversamente da quanto sostenuto dagli arbitri e, dunque, al di là dalla stessa interpretazione letterale del dato con-trattuale, che le clausole dei contratti di partecipazioni azionarie con le quali l’alienante rappresenti che il complesso dei beni e dei rapporti aziendali possieda un certo valore e una determinata composizione qualitativa, sono qualificate dalla migliore dottrina e giurisprudenza come promessa di qualità della cosa venduta con la conseguente applicazione, in casi siffatti, degli artt. 1467 c.c. e 1495 c.c. in virtù dei quali il compratore è tenuto, entro otto giorni dalla scoperta a denunciarne la mancanza di qualità onde esercitare il diritto alla garanzia che sarebbe, in ogni caso, soggetto alla prescrizione nel termine di un anno dalla consegna. Se ne deve concludere che, l’estensione contrattuale — nel caso di specie — del termine da otto a 30 giorni lavorativi non avrebbe affatto mutato la natura decadenziale del termine che, proprio in virtù di tale costruzione logico-giuridica, avrebbe dovuto es-sere ritenuto di tale tipo in quanto, per ciò stesso, non avrebbe potuto cambiare la propria natura. Inoltre tenuto conto dei tempi entro i quali (circa tre anni

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dall’esecuzione del contratto) era stata esercitata l’azione in garanzia, il termine prescrizionale di un anno previsto dal regime legale della compravendita avrebbe dovuto essere ritenuto ampiamente decorso.

Ed infatti, deve essere innanzitutto chiarito che la giurisprudenza di legittimità citata a sostegno della propria tesi da parte degli impugnanti, è stata resa a propo-sito della natura dell’oggetto della vendita delle azioni e solo per rimarcare l’ambito di applicazione - in casi siffatti - del principio sancito dall’art. 1467 c.c.; in tali circo-stanze la Corte di legittimità non ha mancato però di sottolineare i seguenti principi: a) la necessità di una specifica pattuizione delle parti sul punto, come tale svincola-ta dai termini previsti dal regime legale della compravendita; b) l’impossibilità di estendere una garanzia di tale natura al valore economico della partecipazione do-vendo, questa, essere limitata al complesso dei diritti ed obblighi che da essa po-trebbero e dovrebbero derivare (cfr. ad esempio Cass. Civ. Sez. 3, Sentenza n. 16031 del 19/07/2007 Rv. 598889 secondo cui “la cessione delle azioni di una so-cietà di capitali o di persone fisiche ha come oggetto immediato la partecipazione sociale e solo quale oggetto mediato la quota parte del patrimonio sociale che tale partecipazione rappresenta. Pertanto, le carenze o i vizi relativi alle caratteristiche e al valore dei beni ricompresi nel patrimonio sociale - e, di riverbero, alla consi-stenza economica della partecipazione - possono giustificare l’annullamento del contratto per errore o, ai sensi dell’art. 1497 cod. civ., la risoluzione per difetto di “qualità” della cosa venduta (necessariamente attinente ai diritti e obblighi che, in concreto, la partecipazione sociale sia idonea ad attribuire e non al suo valore economico), solo se il cedente abbia fornito, a tale riguardo, specifiche garanzie contrattuali, ovvero nel caso di dolo di un contraente, quando il mendacio o le omissioni sulla situazione patrimoniale della società siano accompagnate da mali-zie ed astuzie volte a realizzare l’inganno ed idonee, in concreto, a sorprendere una persona di normale diligenza).

Se ne deve concludere che, in linea con quanto affermato nel lodo impugnato, le cosiddette business warrants, lungi dal rappresentare il veicolo attraverso il qua-le i venditori promettono qualità essenziali dell’oggetto della compravendita di azioni, costituiscono patti autonomi rispetto a quest’ultima, in quanto non attengo-no all’oggetto immediato del negozio; ne deriva che ad esse non appare applicabi-le la disciplina di cui agli artt. 1495 e 1497 c.c. (cfr. per ultimo, in tal senso, seppure con riguardo al tipo di imposta da applicare alle singole clausole Cass. Civ. Sez. 5, Sentenza n. 17948 del 19/10/2012 (Rv. 624009) secondo cui: “in tema di imposta di registro, le clausole allegate ad un contratto di cessione, anche totalitaria, di azioni che attengono alla consistenza del patrimonio dell’azienda sono assoggetta-te a tributo singolarmente, a norma dell’art. 21, Comma primo, del d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, perché l’oggetto immediato della vendita di azioni è la partecipazione sociale e si estende alla consistenza o al valore del patrimonio solo per effetto di specifiche pattuizioni, frutto di autonomia contrattuale, mentre il regime della tassa- zione unica, da applicare avendo riguardo alla disposizione soggetta all’imposizione più onerosa, previsto dall’art. 21, Comma primo del medesimo D.P.R. richiede, attesa la lettera e la “ratio” di questo, che tra le diverse clausole vi sia un vincolo di connessione necessaria in virtù della legge o per esigenza obietti-va del negozio giuridico e non per volontà delle parti. (in applicazione di questo principio la S.C. ha annullato la sentenza impugnata che aveva ritenuto il rapporto

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di connessione necessaria tra la vendita di tutte le azioni di una società e le garan-zie relative all’insussistenza di sopravvenienze passive di tipo tributario, alla con-formità dei beni strumentali alla normativa vigente, ed alla copertura di costi fissi di gestione con i ricavi annuali)”.

Conclusivamente l’impugnazione appare infondata e deve essere rigettata. L’integrale soccombenza giustifica la condanna degli impugnanti — in so- lido

fra loro — al rimborso alla controparte delle spese del giudizio che, avuto riguardo al valore della causa e alla natura delle questioni oggetto di trattazione nonché all’impegno profuso nella partecipazione alle singole fasi del processo, si liquidano, per compensi in euro 18.000,00, oltre gli oneri di legge.

P.Q.M. La Corte d’Appello, definitivamente pronunciando sull’impugnazione dei Signori

Z. e di G. & C. s.a.p.a. avverso il lodo pronunciato in data 22 maggio, 16 ottobre, 4 e 6 novembre 2008, così provvede: a) Respinge l’impugnazione;

b) Condanna gli impugnanti a rimborsare a C. le spese del giudizio liquidate in euro 18.000,00 oltre ad oneri di legge.

***

Tribunale delle Imprese di Milano, ordinanza 25 febbraio 2014

L’attore IIH S.p.A. ha chiesto il sequestro conservativo di beni mobili ed immobi-

li di Cometa S.p.A. in liquidazione fino alla concorrenza di Euro 5.800.000, in fun-zione del giudizio di merito volto a “far valere la garanzia ottenuta in sede di con-tratto di cessione delle quote della società Stella film Srl nonché il risarcimento del danno per inadempimento del contratto”.

In particolare parte ricorrente invoca: 1. un obbligo di manleva che, ex art. 9.2 dell’Accordo Quadro stipulato tra Stella

Film S.p.A. e IIH S.p.A. l’11.12.2006 ed avente ad oggetto l’acquisto delle quote di Stella Film s.r.l., asseritamente assunto da controparte con riguardo a perdite fisca-li; e ciò in ragione di un accertamento compiuto dall’Agenzia delle Entrate di Napoli relativamente alla corretta determinazione di un credito d’imposta che nelle scrittu-re contabili e nei bilanci della Stella Film Srl ammontava ad euro 4.880.832,56, e che, a dire del ricorrente sarebbe stato azzerato in sede di accertamento, che, in-vero, si concludeva con l’emissione di un avviso di pagamento dell’importo di euro 355.241,00 per l’anno 2004;

secondo la ricorrente Cometa sarebbe tenuta ad indennizzarla di quanto dovuto da Stella Film s.r.l. all’erario all’esito dell’accertamento fiscale, pari, allo stato, ad euro 355.241, ma destinato ad aumentare negli anni d’imposta successivi sino a concorrenza di tutto l’ammontare del credito d’imposta indebitamente appostato;

2. il diritto ad essere risarcita dalla controparte per il danno derivante dalla vio-lazione dei principi di buona fede correttezza nella conclusione delle trattative con-trattuali (la Cometa S.p.A. avrebbe intenzionalmente fatto figurare un elevato credi-to d’imposta nei documenti contabili della società proprio per rendere “appetibile” la sua situazione patrimoniale della società ad un potenziale acquirente, onde la pre-sunta esistenza di questo credito d’imposta avrebbe indotto in errore IIH), danno che consisterebbe nel fatto di aver pagato per le azioni di Stella Film Srl un prezzo

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rivelatosi incongruente in ragione, in particolare, dell’insussistenza di un rilevante elemento dell’attivo.

Sotto il profilo del periculum in mora, parte ricorrente ha invocato lo stato di li-quidazione della Cometa S.p.A.: la liquidazione comportando la chiusura e la ces-sazione di tutte le attività della società, avrebbe in concreto determinato una note-vole riduzione del patrimonio della Cometa S.p.A. con un aumento del rischio di perdita della garanzia patrimoniale per l’attrice.

La convenuta Cometa S.p.A., in liquidazione, ha chiesto di rigettare integral-mente il ricorso avversario deducendo:

quanto al Fumus boni iuris 1. che l’art. 9.16 del Contratto Quadro costituirebbe una norma di chiusura in

cui espressamente le parti convengono che “i rimedi e i diritti previsti nel contratto sostituiscono ogni altro diritto o rimedio in favore di una Parte previsto dalla legge o da altra fonte in relazione a qualsiasi difformità rispetto alle dichiarazioni e garanzie rese dall’altra Parte contenute nel presente contratto; conseguentemente, nessuna difformità (di nessun tipo e indipendentemente dalla gravità delle violazioni) rispetto alle dichiarazioni garanzie di una parte darà luogo al diritto dell’altra parte di annul-lare, risolvere rescindere o in altro modo far cessare l’efficace e gli effetti del pre-sente contratto, né al diritto di rifiutarsi di adempiere alle obbligazioni”; onde la do-manda di merito della ricorrente sarebbe inammissibile nella misura in cui invoca una tutela ulteriore oltre i limiti pattuiti;

2. nessun obbligo di indennizzo in denaro era mai stato pattuito atteso che ex art. 9.15 l’obbligo di indennizzo era previsto fosse soddisfatto esclusivamente me-diante trasferimento di azioni in pagamento;

3. qualsiasi garanzia, ove mai assunta da Cometa, sarebbe ormai cessata sia per intervenuta decadenza che per intervenuta prescrizione ex art. 1495 c.c.;

4. alcun danno la ricorrente potrebbe invocare a titolo di sproporzione tra prezzo corrisposto ed effettivo valore della società acquisita, poiché le parti non avevano in alcun modo condizionato la determinazione del prezzo al valore del credito d’imposta, ed avendo, anzi, l’acquirente effettuato approfondite verifiche, anche di ordine contabili fiscale, sia durante la negoziazione dell’operazione che ha portato sottoscrizione contratto quadro (mediante due diligence) sia successi-vamente al trasferimento delle quote, nell’ambito della predisposizione della situa-zione patrimoniale di conguaglio predisposta ai sensi del contratto, ed effettuata per mezzo di società specializzata;

5. l’art. 9.3 del contratto escluderebbe, comunque, che siano oggetto di in-dennizzo “le perdite da svalutazione di crediti i cui importi sono stati accettati da IIH”: nel caso di specie, invero, la doglianza della ricorrente in quanto riferita alla svalutazione di un credito, costituirebbe una perdita non di tipo fiscale, bensì di tipo contabile, per la quale, comunque, cui si applicherebbe - a prescindere dall’esclusione di cui al predetto art. 9.3 - il termine di decadenza convenuto, di 12 mesi dall’esecuzione del contratto, abbondantemente decorso al momento della proposizione delle contestazioni di controparte;

6. le parti avrebbero comunque pattuito una limitazione quantitativa di Euro 500.000 per l’ammontare del danno risarcibile.

Quanto al periculum in mora:

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irrilevante sarebbe in sé lo stato di liquidazione della resistente, in mancanza di allegazione e prova relative ad entità e insufficienza del patrimonio, rispetto al cre-dito vantato dalla ricorrente, sia sotto il profilo quantitativo che qualitativo.

Ciò premesso si osserva: • secondo il costante orientamento della giurisprudenza anche di questo Tri-

bunale in materia (cfr. Trib. Milano, 17.10.2002, n.12326; Trib. Milano, 26.11.2001, in Soc., 2002, 568, sulla linea di Cass., Sez.I, 21.6.1996 n.5773), il contratto di compravendita di azioni o quote di società di capitali ha come oggetto immediato la partecipazione sociale - intesa come insieme di diritti, poteri ed obblighi sia di natu-ra patrimoniale sia di natura c.d. amministrativa in cui si compendia lo status di so-cio - e soltanto quale oggetto mediato la quota parte del patrimonio sociale che la partecipazione rappresenta; sicché il valore economico della quota non attiene di per sé all’oggetto del contratto, ma alla sfera delle valutazioni motivazionali delle parti; il cessionario, quindi, ove le quote sociale cedute non abbiano le qualità pro-messe, per essere il patrimonio sociale, o i singoli beni da cui è composto, risultato diverso da quello rappresentato dal venditore al momento della stipulazione del contratto, non può far valere gli eventuali vizi o la mancanza delle qualità promes-se, salva l’ipotesi in cui le parti abbiano espressamente previsto garanzie in ordine alla consistenza patrimoniale della società, ovvero si verta in materia di dolo;

• alla luce di tale orientamento, nella specie, anzitutto risulta del tutto irrile-vante l’eccezione di decadenza e prescrizione formulata dalla resistente, atteso che la ricorrente non fa valere vizi relativi all’oggetto immediato della compravendi-ta bensì garanzie pattuite sulla consistenza patrimoniale della società oggetto dell’acquisizione, è una mala fede nella trattativa, quindi una dolosa rappresenta-zione della consistenza dell’attivo;

• si tratta perciò di stabilire, pur alla luce di una cognizione sommaria tipica di questa fase, se:

a) i fatti dedotti possano essere sussunti tra quelli che, secondo la comune volontà delle parti formavano oggetto delle garanzie offerte dalla venditrice, agli ef-fetti della responsabilità contrattuale invocata dalla società acquirente;

b) si possa individuare nella condotta della parte venditrice quella responsabi-lità precontrattuale, che l’attrice invoca (sostanzialmente in ragione del fatto che la venditrice avrebbe agito con dolo con riguardo alla sussistenza del credito d’imposta).

a) Sotto il profilo contrattuale si osserva che, se nessun elemento del pur arti-colato contratto permette di ritenere che le parti avessero condizionato o collegato il corrispettivo pattuito alla consistenza del credito d’imposta∗, le parti avevano de-dicato una parte cospicua dell’accordo negoziale a disciplinare i reciproci obblighi di indennizzo.

Per quanto qui interessa: � L’ art. 9.2 del contratto prevede un obbligo di indennizzo di parte venditrice

solo in relazione a perdite che siano contestate dalla parte acquirente entro 12

∗ Corrispettivo che invero appare commisurato alla consistenza patrimoniale di SF Srl al

momento del rogito a seguito delle Cessioni Condizionate rese efficaci dal trasferimento del-la quota Pintel; cfr. All. 7 al Contratto Quadr.

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mesi dalla data di esecuzione, ad eccezione di perdite di natura fiscale previden-ziale o giuslavoristica;

� L’art. 9.8 prevede che “nessuna parte sarà tenuta a indennizzare l’altra in relazione a qualsiasi danno relativo o connesso alla svalutazione (totale o parziale) di crediti iscritti nella situazione patrimoniale di riferimento>”

� L’art. 9.12 stabilisce che “l’ammontare complessivo dovuto per ciascuna parte ai sensi del presente articolo nove non potrà in nessun caso superare la somma di euro 500.000”.

ebbene: da un lato, la pretesa di indennizzo di parte ricorrente pare attenere al-la svalutazione di un “credito” (per quanto d’imposta) regolarmente appostato all’attivo e, quindi, ragionevolmente, considerato e valutato sia in sede di due dili-gence preventiva che di successivo conguaglio (operazione entrambe demandate a società specializzate), e non alla emersione di una perdita non contabilizzata né evidenziata in bilancio; sicché appare esclusa dagli obblighi indennizzo ai sensi dell’art. 9.8 del contratto; dall’altro, stante il limite contrattuale massimo convenzio-nalmente pattuito per l’indennizzo eventualmente dovuto (€ 500.000) non risulta sussistere il fumus della pretesa nei termini che parte ricorrente intende azionare ed in ragione dei quali ricorre per ottenere il sequestro conservativo;

b) sotto il profilo precontrattuale si osserva che, parte ricorrente intende far va-lere - per quanto si è compreso in sede di precisazione della domanda effettuata nelle note autorizzate - la responsabilità che concerne ipotesi di violazione dell’altrui libertà negoziale, realizzata mediante un comportamento doloso o colpo-so ovvero mediante l’inosservanza del precetto di buona fede; ed in effetti sussiste, alla luce dell’art. 1337 c.c., un obbligo delle parti a tenere nel corso delle trattative e nella formazione del contratto, un comportamento coerente con i principi di soli-darietà e salvaguardia dell’altrui interesse negoziale, che si oggettivano essenzial-mente in obblighi di informazione, lealtà e chiarezza; la preesistenza di questo ob-bligo e della sua eventuale violazione, fa si che non sempre e necessariamente la stipulazione successiva del contratto determini l’assorbimento di ogni lesione nella responsabilità “contrattuale” da inadempimento, poiché detta stipulazione lascia ferma la responsabilità “precontrattuale” relativamente a quella lesione dell’altrui interesse che non coincida con l’inadempimento o l’inesatto adempimento: come, ad esempio, nella specie, la lesione dell’interesse a non subire un’alterazione del contenuto del contratto (ammontare del prezzo) per effetto del dolo incidente: i venditori avrebbero con dichiarazioni mendaci sulla situazione contabile, determi-nato parte acquirenti a concludere il contratto a condizioni diverse, quanto al prez-zo, da quelle che avrebbero ritenuto convenienti se avessero conosciuto la realtà;

ciò detto circa la configurabilità in astratto della fattispecie, deve, però, osser-varsi che nel caso all’esame del Tribunale non pare sussistere alcun riscontro di un comportamento doloso di parte attrice che avrebbe indotto la controparte in errore ( profilo di tutela che non potrebbe ritenersi precluso dalla norma “di chiusura” di cui all’art. 9.12 che invero pare riferibile solo ai rimedi e alla tutela contrattuale):

- la situazione patrimoniale della società era chiaramente rappresentata, e dal momento che la società ricorrente aveva potuto effettuare un’approfondita due dili-gence, deve ritenersi che avesse certamente considerato la correttezza dei pre-supposti dell’appostazione di un sì rilevante credito d’imposta, generato dalla capi-talizzazione di costi relativi ad un immobile costruito notoriamente su un terreno

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altrui: nessuno degli elementi che avevano indotto alla capitalizzazione dei costi nella specie (capitalizzazione contestata dalla agenzia delle entrate) era invero sta-to taciuto od occultato, dal momento che nessuna censura sotto questo profilo vie-ne mossa dalla ricorrente al comportamento della controparte;

- non pare, quindi, addebitabile a dolo o mala fede della venditrice la svaluta-zione del credito, dal momento che la stessa parte acquirente - assistita da profes-sionisti di sua fiducia – non aveva rilevato alcuna incongruenza o scorrettezza nei criteri che avevano indotto la società acquisita ad appostare il credito in questione (altra e diversa questione essendo quella dell’eventuale leggerezza o imperizia con cui il soggetto incaricato dell’indagine tecnica ha compiuto la sua analisi);

- del resto l’ipotesi del dolo della resistente appare tanto meno plausibile alla lu-ce: (1) del fatto che i complessi accordi negoziali tra le odierne parti, prevedevano che Cometa divenisse socia di IIH, poiché una parte assai cospicua del prezzo percepito da Cometa (allora Stella Film spa), ovvero 4 mln di euro doveva essere reinvestita da Cometa stessa in IIH attraverso la sottoscrizione di un aumento di capitale riservato ( come poi in effetti Cometa fece, salvo poi avvalersi dell’opzione di rivendita delle azioni IIH quando questa non raggiunse l’obiettivo pattuito della quotazione); (2) del fatto che le parti avevano convenuto (art. 7 del contratto) una procedura assai stringente ed articolata di conguaglio del prezzo sulla base del confronto tra patrimonio netto all’Esecuzione e patrimonio netto di Riferimento, conguaglio che la IIH condusse non più da “terzo” estraneo alla società (come era avvenuto in sede di due diligence) bensì quale socio unico di SF srl che ne aveva espresso l’organo amministrativo, e che si concluse, ancora una volta, senza alcun rilievo sulla sussistenza o sulla valutazione del credito d’imposta.

Pertanto il ricorso va respinto. Le spese seguono la soccombenza, onde parte ricorrente deve essere condan-

nata a rifondere le spese sopportate da parte resistente che in considerazione del-le tariffe professionali e dell’impegno difensivo in concreto profuso, si liquidano in euro 8.000,00 per onorari oltre CPA e Iva come per legge.

PQM a) respinge il ricorso proposto da Italian International Holding s.p.a. nei confronti

di Cometa s.p.a in Liquidazione ( già Stella Film s.p.a.); b) condanna la ricorrente a rifondere a controparte le spese di lite liquidate in

euro 8.000,00, oltre CPA e Iva come per legge.

*** Cassazione Civile, sentenza 19693/2014 Fatto 1.- Con contratto preliminare stipulato in data 5 aprile 2000, la società Granaro-

lo s.p.a. si impegnò ad acquistare, per sé o per persona da nominare, il 100% delle azioni della società Vogliazzi Specialità Gastronomiche S.p.A., azioni che erano in proprietà dei fratelli V.G., R.A. e C..

Nel contratto fu inserita una clausola compromissoria (art. 13) che prevedeva il deferimento a un collegio arbitrale la risoluzione di eventuali controversie.

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L’alienazione definitiva delle azioni dei fratelli V. si verificò in data 28 luglio 2000, allorché esse furono girate alla società Fiore s.p.a. (appartenente al Gruppo Granarolo) nominata quale acquirente finale.

In epoca successiva alla stipula del contratto, la società Fiore s.p.a., avendo ri-scontrato numerose perdite e/o sopravvenienze passive, e ritenendo che di esse dovessero rispondere i venditori in base alla clausola convenzionale di garanzia inserita nel contratto preliminare, provvide ad attivare la procedura arbitrale chie-dendo la condanna dei venditori a pagarle gli indennizzi contrattualmente previsti di cui ai n.ri da 1-18 del contratto oltre al risarcimento dei danni, con interessi e ri-valutazione.

Si costituirono nel procedimento, da un lato, V.G., e, dall’altro, le sorelle V.R.A. e C., resistendo alle domande avversarie e proponendone altre a loro volta.

Con lodo parziale del primo ottobre 2003 furono decise alcune questioni pre-giudiziali e/o preliminari dedotte dalle parti, sulle quali il Collegio aveva trattenuto la controversia in immediata decisione.

In particolare, con tale lodo parziale il Collegio arbitrale accolse l’eccezione di decadenza dal diritto all’indennizzo formulata dai convenuti relativamente alle pre-tese di parte attrice rubricate ai nn. 1, 2, 3, 5 (nei limiti più specificamente ricono-sciuti nel predetto lodo, ossia per L.. 9,366.799), 10, 11, 12 e 17;

rigettò esplicitamente tale eccezione di decadenza per il resto (ossia quanto alle richieste di indennizzo nn. 4, 6, 7, 8, 13, 14, 15 e 16), riservando all’esito della istruttoria ogni provvedimento, sempre in tema di eccezione di decadenza, per le pretese nn. 8 e 18 rigettò ogni altra eccezione preliminare, di rito e di merito, solle-vata dalle sorelle V. sia verso la società Fiore s.p.a. che verso V.G.; riservò al defi-nitivo ogni altra decisione di merito sulle domande delle parti per cui non era stata pronunciata decadenza.

Nella successiva fase del procedimento si costituì la Granarolo s.p.a., subentra-ta alla Fiore s.p.a. (avendola incorporata a seguito di fusione), proponendo e nuo-ve domande di indennizzo relative a sopravvenienze che si sarebbero verificate nelle more del procedimento (contrassegnati dai nn. 19, 20, 21, 22 e 23).

Quindi il Collegio arbitrale, con lodo definitivo emesso in data 26 gennaio 2005: a) accertò il diritto della Granarolo s.p.a. nei confronti di V.G., V.R. e V.C. al pa-

gamento degli indennizzi contraddistinti con i nn. 4, 5, 7, 8, 9, 13, 14, 15, 16, 20, 22 e 23, nella misura in cui erano stati analiticamente riconosciuti dal Collegio mede-simo per un totale complessivo di Euro 1.530.108,05; dichiarò V.G., V.R. e V.C. tenuti, in via solidale, al pagamento in favore della Granarolo s.p.a. dell’importo come sopra determinato, “se ed in quanto non assorbito dalla somma di L. 3.210.094.865, pari ad Euro 1.657.875,64, già incassata dalla Vogliazzi S.p.A. tramite i suddetti versamenti della Banca Popolare dell’Emilia Romagna”, condan-nando i convenuti al pagamento dell’eventuale eccedenza, oltre rivalutazione e in-teressi come sopra indicati fino al saldo; dichiarò che “nei rapporti interni tra V.G., V.R. e V.C. le obbligazioni di cui ai punti precedenti si ripartiscono per l’intero in proporzione delle rispettive partecipazioni nella Vogliazzi S.p.A. da essi vendute” ed accertò ai tempo stesso “il diritto di V.G. al regresso nei confronti di V.R. e V.C., per tutte le somme da lui già pagate o che saranno pagate, in eccedenza rispetto all’importo risultante dalla predetta ripartizione proporzionale dell’obbligo solidale di indennizzo”; respinse la domanda proposta da V.R. e V.C. contro V.G. ai pianti A,

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n. 5 e B, n. 7 delle conclusioni finali; dichiarò improponibili, perché estranee alla clausola compromissoria, le domande spiegate dalle sorelle V. nei confronti di V.G. di cui ai punti A, n. 6 e B n. 8 delle conclusioni finali; in accoglimento della doman-da riconvenzionale spiegata dalle sorelle V., dichiarò la Granarolo S.p.A.. tenuta a liberarle dalle garanzie reali e personali da esse prestate per obbligazioni della Vo-gliazzi s.p.a..

Con sentenza dep. il 21 novembre 2008 la Corte di appello di Milano, in riforma della decisione impugnata, in via principale da V. G. e, incidentali, rispettivamente da V.R.A. e C., e da Granarolo s.p.a., dichiarò la nullità del lodo parziale e di quello definitivo, rigettando la domande proposte dall’attrice che condannava alla restitu-zione delle somme versate in esecuzione dei lodi impugnati.

I Giudici: - ritennero ammissibile l’impugnazione tardiva proposta dalle sorelle V. sul rilie-

vo che, avendo deciso solo su questioni preliminari, il lodo parziale era impugnabi-le unitamente a quello definitivo e che, nonostante la decorrenza del termine breve e di quello lungo, la predetta impugnazione era da considerarsi ammissibile perché avvenuta lo stesso giorno di quella tardiva proposta dalla Granarolo s.p.a., trovan-do in questa il suo presupposto;

- considerarono proponibile l’eccezione di prescrizione sollevata per la prima volta da V.G. dopo l’emissione del lodo parziale nonché quella formulata nel pro-sieguo del giudizio arbitrale dalle sorelle V. con riferimento non solo a nuove voci di sopravvenienze passive ma anche a quelle già esaminate dal lodo parziale;

- nel merito, accolsero l’eccezione di prescrizione sollevata dai convenuti per il decorso del termine annuale previsto dall’art. 1495 c.c., sul rilievo che - rientrando il contratto di acquisizione di partecipazioni sociali nello schema della compraven-dita - trovava applicazione la garanzia legale di cui all’art. 1490 c.c., che, a stregua delle espresse pattuizioni convenute, non era limitata all’oggetto diretto e immedia-to della cessione (le quote), ma si estendeva alla qualità e alla consistenza patri-moniale del bene che costituiva l’oggetto sostanziale del trasferimento: le parteci-pazioni sociali, le quali hanno natura di beni di secondo grado, non possono esse-re ritenuti distinti o separati da quelli compresi nel patrimonio della società.

La non corrispondenza fra la consistenza quantitativa del patrimonio sociale ri-spetto quello indicato in contratto, incidendo sul valore del azioni e delle quote, in-tegrava la mancanza delle qualità promesse ex art. 1497 c.c..

L’attrice non aveva dimostrato l’esistenza di atti interruttivi della prescrizione maturata fra la data di girata delle azioni (28-7-2000) e la notifica della domanda arbitrale (2-5-2002).

In considerazione del rigetto della domanda, la Granarolo s.p.a. era condannata a restituire le somme percepite in relazione ai crediti azionati.

2.- Avverso tale decisione propone ricorso per cassazione la società Granarolo s.p.a. sulla base di ventisette motivi.

Resistono con controricorso gli intimati; V.M. C. e V.R.A. propongono ricorso incidentale condizionato affidato a un unico motivo.

V.G. ha proposto controricorso al ricorso incidentale. Le parti hanno depositato memoria illustrativa. Diritto MOTIVI DELLA DECISIONE

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RICORSO PRINCIPALE. A) LE CENSURE FORMULATE CON I MOTIVI. 1.- Il primo motivo, lamentando violazione e falsa applicazione degli artt. 1218,

1490, 1495, 1497 e/o 2946 c.c., censura la decisione gravata che, in relazione ai diritti derivanti dalle c.d. business warranties previste nell’ambito di compravendita di partecipazioni sociali, aveva ritenuto di applicare la prescrizione di cui all’art. 1495 c.c., quando invece doveva trovare applicazione quella ordinaria decennale.

Al riguardo deduce che: - le qualità di cui all’art. 1497 c.c., sono riferibili al bene oggetto della vendita,

nella specie, le azioni, mentre le c.d. business warranties concernono le caratteristiche patrimoniali, finanziarie e

reddituali della società: si tratta di clausole, previste dalla autonomia privata, che hanno a oggetto l’obbligazione traslativa facente capo al venditore, diverse dalla garanzia per vizi. La mancanza dei requisiti previsti attiene all’inesatto adempimen-to della prestazione principale che può essere fatto valere nel termine decennale.

2.- Il secondo motivo (violazione e falsa applicazione degli artt. 1218, 1490, 1495, 1497 e/o 2946 c.c.) deduce che il termine di prescrizione di cui all’art. 1495 citato è previsto per i rimedi previsti a tutela del compratore dal codice civile (azio-ne di risoluzione, quanti minoris e risarcimento dei danni) ma non per il diritto di manleva ed indennizzo, oggetto della specifica pattuizione intercorsa fra le parti, per il quale deve trovare applicazione il termine decennale di prescrizione; l’indennizzo si distingue dal risarcimento del danno in quanto ha oggetto il pregiu-dizio economico - peraltro riferibile alla società e non al compratore - e non il man-cato guadagno.

3. - Il terzo motivo (violazione e falsa applicazione degli artt. 1218, 1490, 1495, 1497 e/o 2946 c.c.) deduce che le richieste di indennizzo di cui ai n. 4-5-13-14-15-16-23, erano inerenti a sopravvenienze passive per mancato versamento di contri-buti INPS mentre quelli di cui ai n. 7-8-9-20 erano relativi a mancati pagamenti per imposte e tasse; quella n. 23 si riferiva a un esborso per inadempimento contrat-tuale. Pertanto le garanzie, avendo a oggetto la verificazione di eventi futuri rispet-to alla conclusione del contratto, non potevano integrare la mancanza delle qualità della cosa compravenduta che, ex art. 1497 citato, devono essere preesistenti.

Evidenzia in proposito la diversa natura delle varie categorie di clausole di busi-ness warranties secondo la classificazione al riguardo compiuta dalla dottrina, al-cune delle quali soltanto potrebbero rientrare nella previsione dell’art. 1497 citato. Le clausole riguardanti la insussistenza delle sopravvenienze attive e passive (eventi negativi sopravvenuti di cui non era possibile farne menzione nel bilancio) assolvono a una funzione puramente automatica, nell’interesse delle parti, dei flus-si patrimoniali attivi e passivi verificatisi successivamente alla data di riferimento della situazione patrimoniale entro un determinato ambito temporale.

Pertanto, non era applicabile alla specie il termine di cui all’art. 1495 c.c.. 4.- Il quarto motivo denuncia omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione

laddove la sentenza non aveva esaminato e considerato la specifica natura delle garanzie convenzionali ovvero che le stesse riguardavano eventi non esistenti al momento della conclusione del contratto per cui non potevano integrare le qualità promesse di cui all’art. 1497.

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5. Il quinto motivo, lamentando violazione e falsa applicazione dell’art. 1362 c.c., censura la decisione gravata che, in violazione dei criteri di ermeneutica con-trattuale, aveva attribuito alle espressioni usate nelle pattuizioni delle garanzia convenzionali un significato difforme da quello risultante dal senso letterale.

7.- Il sesto motivo, denunciando omessa, insufficiente e contraddittoria motiva-zione, censura la sentenza impugnata laddove aveva escluso la rinuncia tacita da parte di V.G. della prescrizione relativa al richiesta degli indennizzi 1-18.

Fa presente che: prima della emanazione del lodo parziale, l’eccezione era stata proposta esclu-

sivamente dalle sorelle V.; - V.G. non aveva sollevato alcuna eccezione ma aveva formulato domanda per

l’accertamento in concreto del contenuto dell’obbligo di manleva ovvero circa l’esistenza e l’esatto ammontare delle sopravvenienze lamentate da Granarolo, manifestando una volontà incompatibile con quella di valersi della prescrizione;

nell’udienza del 15 maggio 203 aveva dichiarato espressamente di non volere aderire a tale eccezione, pur avendo il Collegio arbitrale invitato le parti a precisare le conclusioni sulle questioni pregiudiziali e preliminari di merito.

8.- I motivi settimo, ottavo nono, decimo undicesimo dodicesimo, tredicesimo, quattordicesimo denunciano omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione relativamente alla efficacia di taluni documenti in merito alla interruzione della pre-scrizione e alla rinuncia tacita da parte di V.G. con riferimento alle richieste degli indennizzi 4, 5, 7, 8, 9, 15, 20, 22.

Si deduce il mancato esame della documentazione relativa alle richieste e alle comunicazioni inviate secondo quanto previsto dalle previsioni contrattuali dall’acquirente a V.G., il quale ebbe anche a riconoscere il diritto dando il suo be-nestare al pagamento in merito alle denunciate sopravvenienze passive.

9.- Il quindicesimo motivo (violazione e falsa applicazione degli artt. 1495, 1497 e 2935 c.c.) denuncia che erroneamente la sentenza aveva ritenuto la decorrenza del termine di prescrizione dalla girata delle azioni del 28 luglio 2000 quando le parti avevano previsto un pactum de non petendo, differendo il dies a quo di azio-nabilità del diritto di indennizzo: infatti, ai sensi dell’art. 5.6 del contratto le parti avevano stabilito che l’obbligo di corrispondere gli indennizzi sussisterà solo nel momento in cui la perdita, il danno e la sopravvenienza passiva si saranno prodotti.

11.- Il sedicesimo motivo (violazione e falsa applicazione degli artt. 183, 325, 326, 334, 343 e 282 c.p.c., e art. 2909 c.c., con riferimento al regime processuale anteriore al D.Lgs. n. 40 del 2006) denuncia che la Corte di Appello avrebbe erro-neamente ritenuto ammissibile l’impugnazione del lodo definitivo (e del lodo parzia-le), proposta da V.R.A. e C. contro Granarolo s.p.a. oltre il termine di 90 gg. dalla notifica del lodo, sul rilievo che sarebbe stata resa legittima dall’impugnazione della Granarolo s.p.a. Al riguardo, la ricorrente evidenzia che: il lodo definitivo era stato notificato - ad istanza di V.G. - a V.R.A., V.C. e Granarolo s.p.a. rispettivamente il 1, il 4 e il 13 aprile 2005; il successivo 29 giugno 2005, G. aveva proposto impu-gnazione; pertanto, doveva ritenersi tardiva la impugnazione incidentale proposta con la comparsa di costituzione dep. il 27 ottobre 2005 nei confronti dei soggetto diverso (Granarolo s.p.a.) dall’impugnante principale ( V.G.), e contemporanea a quella proposta da Granarolo s.p.a..

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12.- Il diciassettesimo motivo (nullità della sentenza e del procedimento in rela-zione all’art. 112 c.p.c.) denuncia l’omessa pronuncia sull’eccezione di Intervenuta, definitività (passaggio in giudicato) del lodo definitivo (e del lodo parziale).

13.- Il diciottesimo motivo denuncia omessa, insufficiente e contraddittoria moti-vazione in relazione all’intervenuto decorso del termine per impugnare il lodo defi-nitivo (e del lodo parziale).

14.- Il diciannovesimo motivo denuncia il vizio di violazione e falsa applicazione di legge in relazione agli artt. 325, 326, 827 e 828 c.p.c., per avere la Corte di Ap-pello erroneamente ritenuto ammissibile l’impugnazione del lodo parziale, promos-sa da R.A. contro Granarolo s.p.a. e avere altresì ritenuto non definitivo l’accertamento della non intervenuta prescrizione dei diritti di Granarolo s.p.a. ri-spetto alle richieste di indennizzo 1 - 18).

La Granarolo s.p.a. deduce che: il lodo che definisce parzialmente il merito e che deve essere impugnato immediatamente è quello che decide le questioni di cui alla previsione dell’art. 279 c.p.c., comma 2, nn. 3 e 4; il lodo parziale, respingendo la eccezione di prescrizione dalle esponenti, era immediatamente impugnabile e, non essendo stato impugnato nel termine di cui all’art. 828 c.p.c., era passato in giudicato nei confronti di tutte le parti in relazione, alle richieste di cui ai n.ri 1-18.

16.- Il ventesimo motivo (omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione) denuncia l’errore della sentenza laddove aveva ritenuto che fossero state ripropo-ste dopo il lodo parziale da parte delle sorelle V. le eccezioni di prescrizione con riguardo alle richieste di indennizzo di cui ai n.ri 1-18.

Le sorelle si erano limitate a proporre l’eccezione di prescrizione in relazione al-le successive e nuove pretese formulate nel prosieguo del giudizio dall’attrice.

17.- Il ventunesimo motivo (violazione e falsa applicazione dell’art. 1362 c.c.) denuncia l’erronea interpretazione degli atti processuali compiuto dalla Corte circa la ritenuta riproposizione delle eccezioni di prescrizione relativamente alle richieste di indennizzo 1-18 quando, in base alle espressioni letterali usate le sorelle V., si erano limitate a proporre l’eccezione in relazione alle successive e nuove pretese dell’attrice senza riproporre quelle oggetto di decisione da parte del lodo.

18.- Il ventiduesimo motivo denuncia la violazione dei principi e delle regole re-lative all’ordine pubblico processuale laddove la sentenza aveva ritenuto ammissi-bile la riproposizione da parte di G. dell’eccezione di prescrizione relativa alle ri-chieste degli indennizzi 1-18 successivamente all’emissione del lodo parziale.

Dopo avere rilevato l’erroneità della pronuncia laddove aveva ritenuto che sulla questione, implicitamente decisa dagli arbitri, si sarebbe formato il giudicato implici-to, deduce che - una volta che le parti siano state invitate a precisare le conclusioni sulle questioni preliminari e il Collegio abbia ormai deciso all’esito del regolare con-traddittorio - è ormai precluso alle parti (nella specie V.G.) rimettere in discussione la questione già decisa (quella avente a oggetto la prescrizione).

19.- Il ventitreesimo motivo (insufficiente motivazione) censura la sentenza lad-dove aveva ritenuto che il Collegio arbitrale, con il lodo definitivo, si fosse pronun-ciato sulla eccezione di prescrizione decisa con il lodo parziale quando invece il Collegio si era limitato a estendere le considerazioni formulate dal lodo parziale con riferimento alle nuove pretese successivamente avanzate dall’attrice.

20.- Il ventiquattresimo motivo (violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 e 1363 c.c.) denuncia la erronea interpretazione del lodo arbitrale definitivo, compiu-

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ta dalla Corte di appello, laddove aveva ritenuto che il Collegio arbitrale si fosse pronunciato sulla eccezione di prescrizione.

21.- Il venticinquesimo motivo denuncia (nullità della sentenza e del procedi-mento in relazione all’art. 112 c.p.c.) per avere i Giudici di appello condannato l’attuale ricorrente alla restituzione degli importi percepiti in esecuzione dei lodi quando non era stata formulata alcuna domanda in tal senso dalle controparti.

22.- Il ventiseiesimo motivo (violazione e falsa applicazione degli artt. 2936 e 2940 c.c.) censura la sentenza impugnata laddove aveva condannato essa ricor-rente alla restituzione delle somme in questione quando in realtà era stata la Ban-ca Popolare dell’Emilia Romagna a versare gli importi in oggetto prima della emis-sione dei lodi sulla base delle lettere di svincolo spontaneamente rilasciate da G., per cui trovava applicazione l’art. 2936 c.c., che esclude la ripetizione di un debito prescritto spontaneamente pagato.

23.- Il ventisettesimo motivo (violazione e falsa applicazione dell’art. 336 c.p.c., e del principio del contraddittorio) gli artt. 2936 e 2940 c.c.) censura la sentenza laddove aveva condannato alla restituzione di quanto sarebbe stato percepito in esecuzione dei lodi, quando le somme in oggetto erano state pagate prima della loro emissione, per cui non ricorrevano i presupposti di cui all’art. 336 posto.

B) Vanno esaminati innanzitutto i motivi che, denunciando la formazione del giudicato in relazione alla emissione del lodo definitivo e di quello parziale, hanno carattere pregiudiziale rispetto agli altri, tenuto conto che comunque la verifica del-la formazione della cosa giudicata deve essere compiuta di ufficio perché risponde a esigenze di ordine pubblico processuale.

a) MOTIVI 16, 17 e 18: IMPUGNAZIONE INCIDENTALE TARDIVA AVVERSO IL LODO PARZIALE E QUELLO DEFINITIVO PROPOSTO DA V.M. C. E R.A..

I motivi sono infondati, anche se va rettificata la motivazione al riguardo resa dalla Corte di appello laddove ha ritenuto l’ammissibilità dell’impugnazione per ef-fetto di quella incidentale (contestuale) della Granarolo s.p.a..

Qui va ricordato che, sulla base del principio dell’interesse all’impugnazione, l’impugnazione incidentale tardiva è sempre ammissibile, a tutela della reale utilità della parte, tutte le volte che l’impugnazione principale metta in discussione l’assetto di interessi derivante dalla sentenza alla quale il coobbligato solidale ave-va prestato acquiescenza; conseguentemente, è ammissibile, sia quando rivesta la forma della controimpugnazione rivolta contro il ricorrente principale, sia quando rivesta le forme della impugnazione adesiva rivolta contro la parte investita dell’impugnazione principale, anche se fondata sugli stessi motivi fatti valere dal ricorrente principale, atteso che, anche nelle cause scindibili, il suddetto interesse sorge dall’impugnazione principale, la quale, se accolta, comporterebbe una modi-fica dell’assetto delle situazioni giuridiche originariamente accettate dal coobbligato solidale (S.U.24627/2007).

Nella specie, l’interesse all’impugnazione delle sorelle V. nasceva dalla impu-gnazione principale proposta da V. G., il quale aveva fra l’altro gravato la decisione in relazione al rigetto della domanda di condanna di regresso nei confronti delle so-relle (non essendo provati gli esborsi, pag. 21 della sentenza impugnata).

b) MOTIVO 19): IMPUGNAZIONE DIFFERITA LODO PARZIALE PROPOSTO DA C.M. E V.R.A..

Il motivo è infondato.

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Si pone la questione circa l’ammissibilità o meno dell’impugnazione differita del lodo parziale che, come si è detto, aveva deciso questioni pregiudiziali e preliminari di merito.

Secondo la disciplina prevista dalla L. n. 25 del 1994, ratione temporis applica-bile, l’art. 827, comma 3, prevedeva e (prevede ancora): il lodo che decide par-zialmente il merito della controversia è immediatamente impugnabile, ma il lodo che risolve alcune delle questioni insorte senza definire il giudizio arbitrale è impu-gnabile solo unitamente al lodo definitivo.

L’art. 827 c.p.c., nel prevedere la immediata impugnabilità del lodo che decide parzialmente il merito, intende evidentemente riferirsi a quelle pronunce che defini-scono parte del giudizio ovvero che decidono una o più domande, che siano scin-dibili, in quanto autonome, rispetto alle altre sulle quali il giudizio deve proseguire. La norma, invece, esclude la immediata impugnabilità di quelle decisioni che risol-vano questioni di rito o preliminari di merito (diverse da quelle meramente interlo-cutorie pronunciate con ordinanze, sempre revocabili ex art. 816 c.p.c.), senza de-finire il giudizio, come per l’appunto nel caso di rigetto dell’eccezione di prescrizio-ne. Il legislatore, da un lato, ha inteso limitare il potere degli arbitri di pronunciare lodi parziali e, dall’altro, di evitare la proliferazione di giudizi di impugnazione che potrebbero rivelarsi del tutto inutili (si pensi alla ipotesi in cui con il lodo parziale il convenuto sia risultato soccombente rispetto alla eccezione di prescrizione, quan-do poi con quello definitivo sia rigettata la domanda dell’attore). La ratio della im-mediata impugnabilità deve collegarsi alla eventuale esecutività del lodo parziale e all’interesse dell’esecutato di opporvisi immediatamente.

Il Collegio, pertanto, ritiene di non condividere l’orientamento espresso da Cass. 56434 del 2012 che, richiamando Cass. 6650 del 2000 (quest’ultima, peraltro, ave-va definito statuizione attinente ad “una parte del merito” quella che aveva deciso sull’ “an debeatur”, riservando al prosieguo la decisione definitiva sul “quantum de-beatur”) ha ritenuto immediatamente impugnabile il lodo parziale, che aveva re-spinto la eccezione di invalidità della clausola arbitrale, sul rilievo che è immedia-tamente impugnabile, ai sensi dell’art. 279 c.p.c., comma 2, n. 4), il lodo che decide una questione preliminare di merito.

Orbene, deve escludersi che la nozione di lodo parziale, stabilita dal citato art. 827 citato, coincida esattamente con quella di sentenza non definitiva di cui all’art. 279 c.p.c., comma 2, laddove il n. 4) prevede che il giudice decide con sentenza (anche) quando risolve una questione preliminare senza definire il giudizio.

Pertanto, il lodo parziale è impugnabile immediatamente esclusivamente nel caso in cui, decidendo una o più domande, abbia definito il giudizio relativamente a esse. Qualora, invece, abbia deciso questioni preliminari di merito senza avere de-finito il giudizio - come appunto nella specie, in cui rigettata la eccezione di prescri-zione era stata disposta conseguentemente la prosecuzione del giudizio per l’esame nel merito delle domande sulle quali evidentemente nessuna pronuncia era stata adottata - il lodo non era immediatamente impugnabile.

C - LE BUSINESS WARRANTIES - NATURA - TERMINE DI PRESCRIZIONE (MOTIVI 1^, 2^, 3^, 4^, 5^).

1.- I motivi, stante la stretta connessione, vanno esaminati congiuntamente. Deve innanzitutto disattendersi l’eccezione di inammissibilità del terzo motivo

del ricorso principale, posto che: il quesito sintetizza i termini della questione di di-

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ritto risolutiva della controversia, relativa alle pattuizioni di cui ai pretesi indennizzi per le sopravvenienze future, senza involgere accertamenti di fatti nuovi.

2.- Il presente giudizio ha a oggetto la domanda degli indennizzi che i venditori delle azioni della società Vogliazzi si erano impegnati a corrispondere all’acquirente a garanzia di sopravvenienze passive che successivamente alla conclusione del contratto fossero emerse (derivanti dalla violazione di norme tribu-tarie e contributive nonché per inadempimento a un contratto concluso dalla socie-tà Vogliazzi con terzi).

La sentenza impugnata ha ritenuto prescritto il diritto ai sensi dell’art. 1495 c.c., ritenendo che con le pattuizioni intercorse fra le parti erano state promesse deter-minate qualità (art. 1497 c.c.) relative alla consistenza del patrimonio della società che costituiva l’oggetto sostanziale della vendita, attesa la natura di beni di secon-do grado delle azioni.

3. - La questione che si pone è: se possa trovare o meno applicazione l’art. 1497 c.c., quando il venditore con il contratto di cessione delle quote societarie ab-bia fornito espressa garanzia in merito alla situazione patrimoniale della società; in particolare, nella specie - per quel che sopra si è detto - tale indagine deve essere verificata con riferimento alle sopravvenienze passive, che sarebbero risultate suc-cessivamente alla conclusione del contratto, derivanti dalla violazione di norme fi-scali e contributive (oltre che per l’inadempimento a un contratto) oggetto dei diritti di indennizzo pattuiti.

Ciò premesso, deve essere in via generale analizzata la natura delle clausole con le quali, nel caso di cessione di partecipazioni sociali, il venditore garantisce la consistenza patrimoniale della società, obbligandosi al pagamento di un indenniz-zo in presenza del verificarsi degli eventi garantiti.

Al riguardo, è frequente nella pratica, in caso di cessione di partecipazioni so-ciali, l’inserimento di clausole con le quali il venditore rilascia tali garanzie: queste possono riguardare le caratteristiche delle quote - che costituiscono oggetto imme-diato della vendita (definite legal warranties, in quanto oggetto della tutela legale apprestata a favore dell’acquirente) - e quelle relative alla situazione patrimoniale-reddituale della società (business warranties), che tendono ad assicurare la consi-stenza e la capacità dell’impresa. Con riferimento a queste ultime è stata in dottrina formulata la classificazione in categorie a seconda dell’oggetto:

- garanzie relative alla situazione e composizione patrimoniale; - garanzie relative all’ottemperanza da parte della società della disciplina fisca-

le, valutaria, contributiva ecc.; - garanzie di sopravvenienze passive emerse successivamente al trasferimento

che siano la conseguenza di circostanze o di comportamenti anteriori; - relative al futuro reddito della società. L’analisi della natura di queste ultime clausole ha formato oggetto di ampio di-

battito in dottrina che ha assunto una posizione critica dell’orientamento della giuri-sprudenza di legittimità, secondo cui la cessione delle azioni di una società di capi-tali o di persone fisiche ha come oggetto immediato la partecipazione sociale e so-lo quale oggetto mediato la quota parte del patrimonio sociale che tale partecipa-zione rappresenta; le carenze o i vizi relativi alle caratteristiche e al valore dei beni ricompresi nel patrimonio sociale - e, di riverbero, alla consistenza economica della partecipazione - possono integrare la mancanza delle qualità promesse ex art.

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1497 c.c., solo se il cedente abbia fornito, a tale riguardo, specifiche garanzie con-trattuali (Cass. 338/1967;

1028/1973; 3625/1969; 721/1977; 5773/1996; 26690/2006). Peraltro, partendo dalla considerazione che le azioni (e le quote) delle società

di capitali costituiscono beni di “secondo grado”, in quanto non sono del tutto di-stinti e separati da quelli compresi nel patrimonio sociale, e sono rappresentative delle posizioni giuridiche spettanti ai soci in ordine alla gestione ed alla utilizzazio-ne di detti beni, funzionalmente destinati all’esercizio dell’attività sociale, Cass. 3370/2004 ha ritenuto che: anche al contratto con il quale vengono trasferite quote di una società dietro pagamento di un prezzo - contratto che rientra nella nozione di compravendita - si applicano le norme di cui all’art. 1470 c.c. e ss.; che i beni della società non possono essere considerati estranei al contratto di cessione, an-che quando il cedente non abbia fornito specifiche garanzie contrattuali, tanto più nel caso di alienazione dell’intero capitale sociale; in tal caso deve verificarsi se ri-corra l’ipotesi della mancanza delle qualità promesse. o essenziali della cosa ven-duta (art. 1497 c.c.) o della vendita di “aliud pro alio” (peraltro, nella specie, era sta-ta denunciata dall’acquirente di un albergo la mancanza della licenza necessaria per il relativo l’esercizio); il principio è stato confermato poi da Cass. 18181/2004, la quale ha precisato che la differenza tra l’effettiva consistenza quantitativa del pa-trimonio sociale rispetto a quella indicata nel contratto, incidendo sulla solidità eco-nomica e sulla produttività della società, quindi sul valore delle azioni o delle quote, può integrare la mancanza delle qualità essenziali della cosa ovvero, qualora i beni siano assolutamente privi della capacità funzionale a soddisfare i bisogni dell’acquirente, quindi “radicalmente diversi” da quelli pattuiti, l’esperimento di un’ordinaria azione di risoluzione ex art. 1453 c.c., svincolata dai termini di deca-denza e prescrizione previsti dall’art. 1495 c.c., (in quel caso era stata dal compra-tore invocata la non corrispondenza della situazione patrimoniale della società a quanto dichiarato dal venditore delle quote sociali).

Orbene, la tesi - che qui interessa – sull’applicabilità dell’art. 1497 citato nel ca-so di specifiche garanzie fornite dal cedente sulla consistenza patrimoniale - reddi-tuale della società è stata, come si è accennato, criticata dalla maggioranza degli autori i quali, pur pervenendo a conclusioni divergenti sulla qualificazione delle clausole di garanzia e sulla natura delle prestazioni alle quali si impegna il vendito-re, hanno comunque escluso i presupposti per l’applicazione della norma citata, evidenziando anche le conseguenze particolarmente gravi per il compratore che deriverebbero dall’inquadramento della fattispecie in esame in tale previsione, te-nuto conto del ridotto termine di prescrizione stabilito dall’art. 1495 c.c.. Ed invero, è innegabile che le clausole introdotte al fine di tutelare proprio la posizione del compratore finirebbero per penalizzarlo quando per la natura stessa degli eventi garantiti - come nel caso di sopravvenienze passive derivanti dalla violazione di norme fiscali e contributive - è evidente che le eventuali difformità della situazione della società rispetto a quella dichiarata possano emergere a distanza di tempo dalla conclusione del contratto, quando ormai il diritto sarebbe ampiamente pre-scritto ove si dovesse applicare la garanzia legale e il termine di prescrizione di un anno dalla consegna: le parti sono solite prevedere termini e modalità di decaden-za per fare valere le richieste di indennizzo dal momento della conoscenza degli eventi. Ed invero, il diritto all’indennizzo oggetto della garanzia dipende da eventi

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futuri e incerti, non verificabili in base allo stato patrimoniale della società, in quan-to si produce dal momento degli - e dipenderà dagli - accertamenti delle violazioni e dalle valutazioni delle autorità che determineranno le sanzioni dovute in proposi-to.

4.- L’indagine deve partire dalla considerazione che, nella ipotesi di cessione di azioni o di quote di società, oggetto della vendita sono le partecipazioni sociali e non i beni costituenti il patrimonio sociale. Quest’ultimo è di proprietà della società e non dei soci, i quali non sono titolari di un diritto reale sui beni sociali e subisco-no, per effetto dalle perdite del capitale sociale, soltanto un danno riflesso a causa della diminuzione del valore della loro partecipazione (Cass. 2087/2012; 15220/2010). Tenuto conto che il diritto alla conservazione del patrimonio sociale appartiene unicamente alla società (Cass. 4548/2012), è stata esclusa la legittima-zione del socio di una società di capitali a fare valere la pretesa risarcitoria nei con-fronti del terzo autore di un illecito commesso nei confronti della società, sul rilievo che l’illecito colpisce direttamente la società e il suo patrimonio mentre l’incidenza negativa sui diritti del socio, nascenti dalla partecipazione sociale, costituisce sol-tanto un effetto indiretto di detto pregiudizio e non conseguenza immediata e diret-ta dell’illecito (S.U. 27346/2009).

In realtà, la vendita attua il trasferimento dell’insieme delle facoltà e dei diritti che le quote conferiscono al suo titolare ovvero i diritti di partecipazione all’attività di gestione dell’impresa.

Dunque, le clausole in esame non concernono l’inadempimento o l’inesatto adempimento dell’obbligazione di trasferimento delle quote, sociali che forma og-getto del contratto di vendita. In effetti, con le clausole di garanzia, il venditore si obbliga a indennizzare il compratore, ove la consistenza patrimoniale si riveli diver-sa da quella considerata dalle parti con il contratto di cessione. Ma la consistenza patrimoniale della società garantita non integra qualità promessa dei bei venduti (le partecipazioni sociali), tenuto conto che, ai sensi dell’art. 1497 c.c., tali sono quelle che attengono alla struttura materiale, alla funzionalità o anche alla mancanza di attributi giuridici della cosa venduta.

Gli eventi relativi alla consistenza e alla redditività della società potrebbero inci-dere sul valore di mercato delle azioni, quale può risultare dal bilancio, dallo stato patrimoniale, e da ogni altro elemento che influisca sul loro valore (Cass. 16031/2007), ovvero sulla adeguatezza del prezzo pattuito e, quindi, in definitiva sulla convenienza economica dell’operazione di cessione. Ma la corrispondenza o meno del valore del bene venduto al prezzo pattuito non attiene alle qualità intrin-seche (essenziali o promesse) previste dall’art. 1497 c.c.: la misura del prezzo pat-tuito è normalmente irrilevante, a meno che non siano invocati i presupposti che consentano la rescissione per lesione ultra dimidium ovvero l’errore sul prezzo è causa di annullabilità del contratto solo qualora sia consistito in errore sulla qualità del bene.

5.- Come si è accennato, la garanzia legale prevista dagli artt. 1490 e 1497 c.c., concerne i vizi o le qualità intrinseche del bene esistenti al momento della conclu-sione del contratto. In proposito, il compratore può fare valere la difformità fra le qualità promesse e le caratteristiche effettive del bene che è oggetto della compra-vendita. La previsione di ristretti termini di decadenza e di prescrizione (che decor-re dalla consegna) risponde, invero, all’esigenza di assicurare la pronta contesta-

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zione di inesattezze nella prestazione del venditore, che la prolungata inerzia del compratore potrebbe far ritenere tollerate. Evidentemente la norma postula che si tratti di inesattezze del bene che, per loro natura, si manifestano in un ragionevole lasso di tempo e dei quali il compratore quindi si presume possa rendersi conto in tale arco temporale.

Ne consegue che sono insussistenti i presupposti della disciplina codicistica quando si tratti di garanzia fornita per le sopravvenienze passive della società che, seppure relative a fatti avvenuti prima della conclusione del contratto, si potranno manifestare anche a distanza di anni, senza che l’acquirente ne avesse potuto avere conoscenza prima.

Orbene, con le clausole in esame le parti, al fine di assicurare che il prezzo pat-tuito corrisponda al valore della società di cui siano trasferite le quote di partecipa-zione, prevedono prestazioni accessorie al trasferimento del diritto oggetto del con-tratto che sono volte a garantire l’esito economico dell’operazione. Pertanto, la ga-ranzia convenzionale ha un oggetto diverso da quella prevista dagli artt. 1490 e 1497 c.c..

Peraltro, se la cessione di azioni o quote societarie non può essere considerata in modo formalistico del tutto avulsa dalla situazione patrimoniale della società, del-la quale sono vendute le partecipazioni, le circostanze che influiscono sulla consi-stenza e la redditività potranno assumere rilevanza - alla stregua del regolamento negoziale pattuito - sotto il profilo dell’utilità pratica perseguita ovvero della causa in concreto del negozio, potendo il verificarsi degli eventi oggetto delle clausole di garanzia apprezzarsi - in base a un interpretazione del contratto secondo buona fede - con riferimento all’attuazione del sinallagma funzionale. E in particolare - ciò dicasi per completezza - nella (diversa) ipotesi in cui il compratore denunci la as-senza di autorizzazioni, licenze, permessi o quant’altro impedisca l’esercizio stesso dell’attività di impresa svolta dalla società, può giustificatamente parlarsi di ina-dempimento del venditore alla luce dei doveri di correttezza e buona fede, postu-lando le azioni trasferite la possibilità dell’attività della società di cui i soci sono par-tecipi (cfr. Cass. 2059/2000): ma l’eventuale impossibilità di esercizio dell’impresa potrà assumere rilevanza sotto il (diverso) profilo dell’aliud pro alio.

Pertanto nella specie, per quel che si è detto sopra, le pattuizioni - con cui i venditori si impegnavano a corrispondere all’acquirente un indennizzo nel caso e al momento in cui si fossero prodotti il danno, la perdita o la sopravvenienza passiva - avevano a oggetto obbligazioni accessorie assunte dal venditore in relazione al successivo eventuale manifestarsi di tali accadimenti con la previsione di modalità e termini per comunicare gli eventi o le circostanze suscettibili di generare un ob-bligo di indennizzo; non avendo a oggetto le qualità del bene oggetto della com-pravendita (le azioni), erano inapplicabili i termini di prescrizione di cui al combina-to disposto degli artt. 1497 e 1495 c.c.: il termine di prescrizione era quello ordina-rio (decennale) Gli altri motivi sono assorbiti.

RICORSO INCIDENTALE CONDIZIONATO PROPOSTO DA V.M. C. E R.A.. 1.1.- L’unico motivo denuncia - qualora, in accoglimento del ricorso principale,

si fosse ritenuto passata in giudicato la statuizione del lodo parziale di rigetto della eccezione di prescrizione sollevata dalle sorelle V., l’errore compiuto dalla senten-za impugnata laddove aveva escluso la mancata estensione di tale giudicato a V.G..

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1.2.- Il ricorso è assorbito. La riforma della sentenza impugnata, laddove aveva accolto l’eccezione solle-

vata da V.G. ai sensi dell’art. 1495 c.c., comportando la caducazione della statui-zione di rigetto della domanda attorea per intervenuta prescrizione, determina la assoluta irrilevanza della affermazione circa la non estensione del lodo parziale emesso nei confronti delle sorelle V..

La sentenza va cassata in relazione ai motivi accolti, con rinvio, anche per le spese della presente fase, ad altra sezione della Corte di appello di Milano.

Il giudice di rinvio dovrà attenersi al seguente principio di diritto: “in tema di cessione delle partecipazioni sociali, le clausole con le quali il vendi-

tore assuma l’impegno di tenere indenne l’acquirente dal rischio connesso al verifi-carsi, successivamente alla conclusione del contratto, di perdite o di sopravvenien-ze passive della società hanno a oggetto obbligazioni accessorie al trasferimento del diritto oggetto del contratto, che sono volte a garantire l’esito economico dell’operazione; pertanto, non rientrando tali pattuizioni nella garanzia legale relati-va alla mancanza delle qualità promesse ai sensi dell’art. 1497 c.c., trova applica-zione la prescrizione ordinaria decennale e non quella di cui all’art. 1495 c.c., ri-chiamato dall’art. artt. 1497 c.c.”.

P.Q.M. accoglie i primi cinque motivi del ricorso principale, rigetta i motivi sedici, dicias-

sette, diciotto e diciannove, assorbiti gli altri nonché il ricorso incidentale condizio-nato, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia, anche per le spese della presente fase, ad altra sezione della Corte di appello di Milano.

***

Introduzione

Le pronunce in esame hanno affrontato la problematica relativa alla qualifica-zione e, quindi, al regime prescrizionale applicabile alle clausole di garanzia inseri-te nei contratti di acquisizione di partecipazioni sociali4, i cui modelli, provenienti

4 Si tratta di un tema ampiamente discusso in dottrina, in particolare si veda: S. AMBRO-

SINI, Trasferimento di clausole azionarie, clausole di indemnity e contratto per persona da nominare, in Contr. e Impr., 1996, p. 898; G. BERNINI, Acquisizione di società e determina-zione del prezzo, in Contr. e Impr., 1993, p. 1030; M. C. BIANCA, La vendita e la permuta, in Trattato di diritto civile, VII, fondato da F. Vassalli, Torino, 1993, p. 190; M. T. BIANCHI, Clau-sole particolari nel trasferimento di pacchetti azionari di riferimento, in Dir. Fall., 1993, I, p. 389; F. BONELLI, Giurisprudenza e dottrina su acquisizioni di società e di pacchetti azionari di riferimento, in F. BONELLI – M. DE ANDRÉ (a cura di), Acquisizioni di societá e pacchetti azio-nari di riferimento, 1990; F. BONELLI, Acquisizioni di società e di pacchetti azionari di riferi-mento: le garanzie del venditore, in Dir. Comm. Internaz., 2007, p. 293; P. CASELLA, I due sostanziali metodi di garanzia al compratore, in AA. VV., Acquisizioni di società e pacchetti azionari, p. 140; P. CORIGLIANO, Dichiarazioni e garanzie: un nuovo capitolo di una storia in-finita?, in Le Società, 2012, p. 145; P. CORRIAS, La responsabilità dell’alienante per la consi-stenza del patrimonio nelle vendite di partecipazioni azionarie di controllo, in Resp. Civile e Previdenza, 2005, p. 111; C. D’ALESSANDRO, Compravendita di partecipazioni sociali e tutela dell’acquirente, Milano, 2003; M. DE ANDRÉ, Le clausole relative al prezzo, in F. BONELLI – M. DE ANDRÉ (a cura di), Acquisizioni di società e di pacchetti azionari di riferimento, Milano,

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dagli ordinamenti di common law, e, in particolare, da quello statunitense, circolano da tempo nella realtà economica e giuridica italiana.

Si tratta, in particolare, di comprendere se dette clausole di garanzia siano da ricondurre alle garanzie legali, ex artt. 1490 e ss. c.c., previste dal legislatore con riferimento al contratto di compravendita o, invece, siano strumenti contrattuali re-golati complessivamente dall’autonomia privata e non riconducibili ad alcuno schema tipico.

Nel primo caso, in particolare, il termine prescrizionale di un anno previsto dall’art. 1495 c.c., decorrente, secondo il dato testuale, dalla consegna della cosa, dovrà essere, come noto, inderogabilmente applicato anche alle clausole negoziali in questione, con l’eventuale nullità di quelle contrastanti con la norma codicistica; nel secondo caso, invece, l’autonomia delle parti potrà liberamente prevedere ter-mini diversi entro i quali esercitare le garanzie, fermo restando l’ordinario termine prescrizionale decennale, ex art. 2946 c.c., entro cui esercitare i diritti dell’acquirente derivanti dalla garanzia stessa5.

La tematica si colloca nel quadro dello studio dello schema contrattuale dell’acquisizione di partecipazioni sociali come modello ormai non riconducibile alla compravendita tipizzata dal codice civile. Un modello, quello dell’acquisizione di partecipazioni sociali, che è invece caratterizzato da proprie peculiarità ormai con-solidate nella prassi, e che rispecchia schemi negoziali in realtà elaborati in sistemi giuridici diversi da quello italiano6 7.

1990, p. 146; G. DE NOVA, Il Sale and Purchase Agreement: un contratto commentato; lezio-ni di diritto civile 2009 raccolte e commentate da S. Zorzetto e G. Rupnik, Torino, Giappi-chelli, 2011; M. R. DE RITIS, Trasferimento di pacchetti azionari di controllo: clausole contrat-tuali e limiti all’autonomia privata, in Giur. Comm., 1997, vol. I, p. 879; S. EREDE, Durata del-le garanzie e conseguenza della loro violazione, in F. BONELLI – M. DE ANDRÉ (a cura di), Ac-quisizione di società e di pacchetti azionari di riferimento, Milano, 1990, p. 201; G. FERRI, Le Società, in F. Vassalli (fondato da) Trattato di diritto civile italiano, Torino, 1985, p. 490; G. IORIO, Struttura e funzioni delle clausole di garanzia nella vendita di partecipazioni sociali, Milano, 2006; P. MONTALENTI, La compravendita di partecipazioni azionarie, in Scritti in ono-re di Rodolfo Sacco, tomo 2, Milano, 1994, p. 767; G. PANZARINI, La tutela dell’acquirente nella vendita dei titoli di credito, in Riv. Dir. Commerciale, 1959, p. 285; L. G. PICONE, Con-tratti di acquisto di partecipazioni azionarie, Milano, 1995; M. PINTO, Le garanzie patrimoniali nella vendita di partecipazioni azionarie di controllo: qualificazione giuridica e termini di pre-scrizione, in Riv. Soc., 2003, p. 411; E. RUSSO, Le tutele legali nelle acquisizioni societarie, in I contratti di acquisizioni di società e aziende, (a cura di U. Draetta e C. Monesi), Milano, 2007, p. 439; G. SBISÁ, Società per azioni, in Riv. Trim. Proc. Civ., 1990, p. 1081; M. SPE-

RANZIN, Vendita delle partecipazioni di “controllo” e garanzie contrattuali, Milano, Giuffré, 2006; S. TERSILLA, Le clausole di garanzia nei contratti di acquisizione, in Dir. Comm. Int., 2004, p. 110; A. TINA, Il contratto di acquisizione di partecipazioni societarie, Giuffré, Milano, 2007; A. TINA, La natura giuridica delle clausole di garanzia nel trasferimento di partecipa-zioni societarie, in Giur. Comm., 2012, p. 1015; T. M. UBERTAZZI, Il procedimento di acquisi-zione di imprese, Cedam, 2008.

5 Sul punto cft. A. TINA., Le clausole di garanzia nei contratti di acquisizione, cit., p. 323. 6 F. GALGANO, Diritto ed economia alle soglie del nuovo millennio, in Contr. Impresa,

2000, p. 200, osserva che “le case madri delle multinazionali trasmettono alle società figlie operanti nei sei continenti le condizioni generali predisposte per i contratti da concludere, accompagnate da una tassativa raccomandazione, che i testi contrattuali ricevano una pura

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La problematica del rapporto tra clausole “figlie” di un ordinamento straniero e quello italiano è interessante agli occhi del comparatista poiché, a differenza della comparazione classicamente intesa come raffronto tra diversi ordinamenti, in que-sto caso si analizza se e come la circolazione di una clausola contrattuale, prove-niente da una prassi contrattuale straniera, possa essere recepita in un diverso or-dinamento.

1. Il contratto di acquisizione di partecipazioni sociali

Il contratto di acquisizione di partecipazioni sociali, inteso come contratto ormai “socialmente tipizzato” nella prassi commerciale internazionale, è il contratto attra-verso il quale, una parte, alienante, trasferisce la titolarità di un pacchetto azionario ad un’altra, acquirente. Esso è caratterizzato, tra l’altro, dal recepimento di clausole che prevedono, da una parte, specifiche garanzie a favore dell’acquirente e, dall’altra, rimedi contrattuali in caso di violazione delle garanzie stesse.

Le garanzie in esame vengono usualmente distinte, recependo la tradizionale classificazione di common law, in representations e warranties: le prime non sono altro che delle dichiarazioni del venditore che forniscono una rappresentazione del-la situazione della società le cui azioni sono oggetto di compravendita, e definisco-no, quindi, il quadro di riferimento per la determinazione del prezzo8; le seconde, invece, costituiscono garanzie in senso stretto, trasferendo a carico del venditore il rischio derivante da eventuali difformità rispetto alle garanzie prestate. Le warran-ties, in particolare, negli ordinamenti giuridici di common law, vengono qualificate come clausole contenenti una promessa o una dichiarazione di fatto, il cui inadem-pimento comporta l’obbligo di risarcire il danno9.

Le warranties, a loro volta, sono distinte in legal, le quali assicurano la proprietà e la libera disponibilità delle azioni, nonché, ad esempio, la loro piena e definitiva

e semplice trasposizione linguistica, senza alcun adattamento, neppure concettuale, ai diritti nazionali dei singoli Stati; ció che potrebbe compromettere la loro uniformità internazionale”.

7 Cft. M. BIN., La circolazione mondiale dei modelli contrattuali, in Contr. e Impr., 1993, p. 475, distingue la circolazione mondiale dei modelli contrattuali in almeno tre sotto-fenomeni: “a) la diffusione dei contratti internazionali; b)l’importazione (nei diritti interni) di nuovi tipi contrattuali; c)l’importazione di singoli testi contrattuali (o clausole)”.

8 G. ALPA-R. DELFINO (a cura di), Il contratto nel common law inglese,Cedam, 1997, p. 74; MINDY CHEN WISHART, Contract law, Oxford University Press, New York, 2005, p. 198, sot-tolinea, in particolare, che le representations rimangono “outside the contract” e si distin-guono dai c.d. terms, i quali “are enforceable undertakings to do something or to guarantee the truth of a statement”.

Representations e terms si distinguono anche con riferimento alle conseguenze ricono-sciute in caso di loro violazione, come sarà specificato nel paragrafo numero 4.1.

9 G. ALPA-R. DELFINO (a cura di), Il contratto nel common law inglese,Cedam, 1997, p. 74; MINDY CHEN WISHART, Contract law, Oxford University Press, New York, 2005, p. 507.

La warranty, in particolare, si distingue dalla condition, che rappresenta, infatti “an es-sential term, the breach of which gives the innocent party the right to terminate and claim damages for losses up termination and beyond (for loss of the bargain)”. Nel caso della war-ranty, invece, la parte non può risolvere il contratto, non essendo la clausola in esame ele-mento essenziale dello stesso.

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liberazione al momento del closing10, e in business: queste ultime, in particolare,

garantiscono circa la situazione patrimoniale e finanziaria della società e le sue prospettive reddituali.

Ancora, le business warranties si distinguono in sintetiche ed analitiche. Le pri-me, in particolare, hanno carattere generale e con esse il venditore si impegna ri-fondere al compratore o alla società le eventuali differenze negative del patrimonio sociale rispetto a quanto dichiarato e garantito dal venditore.

Le seconde, invece, garantiscono singole e specifiche previsioni in merito a de-terminate circostanze relative alla situazione patrimoniale e finanziaria della socie-tà11.

I rimedi contrattuali previsti in caso di violazione delle representations e warran-ties sono generalmente rappresentati dalle c.d. indemnity clauses, nonché dalle price adjustement clauses che obbligano il venditore, rispettivamente, a pagare un’indennità a favore del compratore e a modificare il prezzo di compravendita in considerazione delle minusvalenze attive e delle sopravvenienze passive accertate durante la due diligence, nonché prima e dopo il closing

1213. 2. La ragione della diffusione delle clausole di garanzia nell’ordinamento italiano: in particolare, le business warranties La diffusione delle clausole di representations e warranties nell’ordinamento ita-

liano e, quindi, il fenomeno della circolazione dei modelli contrattuali, di cui si è det-to, ha ricavato impulso dal fatto che la giurisprudenza italiana ha tradizionalmente sempre negato l’applicabilità delle garanzie legali previste dagli artt. 1490 e ss. c.c., con riferimento all’oggetto ultimo del contratto di acquisizione di partecipazioni sociali, e cioè la società oggetto di vendita, in assenza della previsione delle parti di esplicite clausole di garanzia14.

Si fa riferimento, in particolare, alle business warranties, non anche alle legal warranties: secondo costante giurisprudenza, infatti, oggetto del contratto di acqui-sizione è solo la quota rappresentativa del capitale sociale, non anche il suo patri-monio, i suoi beni o l’azienda.

10 Si tratta, in particolare, della fase finale delle operazioni di acquisizioni delle partecipa-

zioni sociali, nella quale il contratto “definitivo” viene effettivamente concluso e si produce l’effetto traslativo della proprietà dall’alienante all’acquirente.

11 A. TINA., Le clausole di garanzia nei contratti di acquisizione, op. cit., p. 361 e ss. 12 La conclusione del contratto di acquisizione di partecipazioni sociali, infatti, usualmen-

te avviene in diverse fasi: alla conclusione di un primo contratto con cui le parti si obbligano a concluderne uno successivo e definitivo (closing), segue una fase di due diligence durante la quale la parte acquirente accerta la reale consistenza patrimoniale e finanziaria della so-cietà target.

13 Per una disamina dei rimedi contrattuali si veda, ad esempio, A. TINA, Le clausole di garanzia nei contratti di acquisizione, op. cit., p. 477 e ss.; G. IORIO, Struttura e funzioni delle clausole di garanzia nella vendita di partecipazioni sociali, op. cit., p. 329 e ss.

14 Cft., ad esempio, Cass., 21 giugno 1996, numero 5773, in Foro it., 1996, I, p. 3382; Cass. 18 dicembre 1999, n. 14287, in Riv. Not., 2000, p. 993; Cass. 13 dicembre 2006, n. 26690; Trib. Milano, 26 novembre 2001, in Società, 2002, p. 568; Tribunale di Milano, 17 ottobre 2002, n. 12326.

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Le garanzie legali circa l’assenza di vizi e le qualità della cosa venduta, di cui agli artt. 1490 e ss. c.c., potrebbero, quindi, applicarsi, anche in assenza di specifi-ca pattuizione, alle sole legal warranties, le quali hanno ad oggetto, di per sé con-siderata, la partecipazione sociale15, oggetto diretto dell’acquisizione; lo stesso, tut-tavia, non si potrebbe dire in relazione alle business warranties che si riferiscono all’oggetto mediato dell’acquisizione, rappresentato dall’effettiva consistenza patri-moniale della società.

La parte acquirente, quindi, qualora il valore economico delle quote acquistate non abbia la consistenza promessa o presenti dei vizi, non può far valere le garan-zie legali previste in materia di compravendita, a meno che le parti non abbiano previsto esplicitamente delle clausole di garanzia contrattuali a tutela della effettiva consistenza economica delle partecipazioni acquisite, o in caso di dolo della parte venditrice16, oppure, infine, qualora si configuri una vendita di aliud pro alio

17. Si tratta, evidentemente, di un’interpretazione formalistica del contratto di ac-

quisizione in esame: specialmente nei casi di acquisizione delle partecipazioni maggioritarie o totalitarie di una società, infatti, l’interesse concreto dell’acquirente – e quindi il significato economico dell’operazione – è quello di acquisire il patrimo-nio della società acquisita, i suoi beni, e non tanto la partecipazione astrattamente intesa.

15 L’ordinanza in commento la qualifica quale “insieme di diritti, poteri ed obblighi sia di

natura patrimoniale, sia di natura c.d. amministrativa di cui si compendia lo status di socio”. 16 Si tratta, in particolare, della possibilità per l’acquirente di ottenere l’annullamento del

contratto o il risarcimento del danno nel caso, rispettivamente, del dolo determinante ex art. 1439 c.c. o del dolo incidente ex art. 1440 c.c. Sebbene entrambi i rimedi siano generalmen-te ammessi e in dottrina e in giurisprudenza, è raro, tuttavia, che siano effettivamente utiliz-zati, data la difficoltà per il compratore di provare in concreto che il venditore lo abbia dolo-samente tratto in inganno. In alcuni casi, peraltro, il dolo, determinante o incidente, è stato riconosciuto dalla giurisprudenza: si veda, ad esempio: Cass, 29 agosto 1991, n. 9227, in Riv. Dir. Comm., 1994, II, p. 379; Cass. 14 ottobre 1991, n. 10779, in Giur. It., 1993, I, p. 190; Trib. Milano, 4 giugno 1998, in Giur. It., 1998, p. 2106; Cass. 19 luglio 2007, n. 16031.

Ulteriori rimedi esperibili in astratto dall’acquirente, ancorché difficilmente applicabili in concreto, sono, in primo luogo, l’aliud pro alio, nonché, in secondo luogo, la presupposizio-ne. Cass., 23 febbraio 2000, n. 2059, in Società, 2000, p. 1205, ha riconosciuto la sussi-stenza dell’aliud pro alio in un caso in cui era stata alienata una società di persone che ge-stiva una tabaccheria priva di autorizzazione alla vendita dei tabacchi; Cass., 3 dicembre 1991, n. 12921, in Nuova giur. civ. comm., 1992, I, p. 784, ha fatto applicazione dell’istituto della presupposizione in un caso in cui era stata venduta una società che possedeva solo un’imbarcazione, la quale, tuttavia, era stata oggetto di un sequestro giudiziario posto in es-sere da un terzo che affermava di averla precedentemente acquistata. Nella sentenza la Corte sottolinea, infatti, che la piena e libera proprietà dell’imbarcazione da parte della so-cietà compravenduta costituisse presupposto essenziale per le parti che avevano concluso il contratto.

17 Cft. Cass. n. 18181 del 9 settembre 2004 che ha specificato che “qualora i beni siano assolutamente privi della capacità funzionale a soddisfare i bisogni dell’acquirente, quindi “radicalmente diversi” da quelli pattuiti, l’esperimento di un’ordinaria azione di risoluzione ex art. 1453 cod. civ. svincolata dai termini di decadenza e prescrizione previsti dall’art. 1495 cod. civ.”.

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Tale costante interpretazione ha rafforzato inevitabilmente l’esigenza delle parti di prevedere specifiche garanzie, divenendo le stesse una parte fondamentale del-la negoziazione.

3. La qualificazione e il regime prescrizionale delle clausole di garanzia contrattuali

Uno dei più rilevanti problemi interpretativi che dottrina e giurisprudenza italiana si sono poste, come anticipato, è quello relativo alla qualificazione delle business warranties, alla luce dell’ordinamento italiano, e, di conseguenza, la definizione di quale sia il regime prescrizionale applicabile alle stesse e se sia possibile, inoltre, per i paciscenti, determinare liberamente un termine entro cui esercitarle.

Se infatti le clausole in esame sono qualificate alla stregua di garanzie legali ex art. 1490 e ss. c.c., dovrà trovare applicazione il termine prescrizionale annuale ex art. 1495 c.c., inderogabile ex art. 2936 c.c. Nel caso in cui, invece, non si accolga tale interpretazione, le parti potranno evidentemente prevedere termini diversi: si tratta di problema ancor più significativo sol se si consideri che la maggior parte delle volte le parti prevedono dei termini più lunghi di quello annuale sancito dall’art. 1495 c.c.

Ebbene, la dottrina maggioritaria18, nonché la giurisprudenza arbitrale19, ha concluso per la non riconducibilità delle business warranties nell’ambito delle di-sposizioni ex artt. 1490 e ss. c.c.; esse, piuttosto, rappresenterebbero autonome pattuizioni di garanzia, espressione dell’autonomia contrattuale, ex art. 1372 c.c., e disciplinate, quindi, integralmente dall’autonomia contrattuale stessa20.

18 Concludono in tal senso: F. BONELLI, Acquisizioni di società e di pacchetti azionari di ri-

ferimento, op. cit.; S. EREDE, Durata delle garanzie e conseguenze della loro violazione, op. cit.; G. FERRI, Le Società, op. cit; G. SBISÁ, Societá per azioni, op. cit.; M. SPERANZIN, Vendita delle partecipazioni di controllo e garanzie contrattuali, op. cit.; G. PANZARINI, La tutela dell’acquirente nella vendita dei titoli di credito, op. cit.;

19 Collegio arb., 22 luglio 1994, in Riv. Arb., 1996, p. 789; Collegio arb. 16 luglio 1998, in Resp. Comunic. Impresa, 2, 1999, p. 241; Collegio arb., 7 aprile 2000, in Contr. Impr., 2000, p. 959; Collegio arb. 26 gennaio 2005; Collegio arb., 14 novembre 2008, (la cui impugnazio-ne per nullità del lodo è stata decisa dalla sentenza in commento Corte d’Appello di Milano, 9 luglio 2013, n. 2801).

20 E’ opportuno sottolineare, peraltro, che la dottrina ha concluso per la inapplicabilità del termine prescrizionale annuale ex art. 1495 c.c., sposando anche diverse tesi interpretative in tema di qualificazione delle business warranties, ad esempio:

M. C. BIANCA, La vendita e la permuta, in Trattato di diritto civile, op. cit., ha concluso nel senso che la violazione delle business warranties costituisce inesattezza della prestazione traslativa, “la rappresentazione delle caratteristiche patrimoniali e finanziarie della società assume questo semplice significato: che le parti precisano il contenuto del diritto societario alienato anche in relazione ai beni che costituiscono l’oggetto mediato di tale diritto. La mancanza o l’inesattezza di tali beni può quindi costituire inesattezza della prestazione tra-slativa, integrando la fattispecie e richiamando il regime dell’inadempimento”; in tal senso si veda anche S. TERSILLA, Le clausole di garanzia nei contratti di acquisizione, in op. cit; R. CALDARONE-E. FERRERO, Il contratto di acquisizione è un contratto atipico?, op. cit., svilup-pando la tesi appena riportata, concludono nel senso che “la qualificazione della violazione delle dichiarazioni e garanzia come inesattezza della prestazione traslativa implica [>] la considerazione che tali garanzie siano elementi inscindibili del contratto di acquisizione, ne

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Da tale opzione ermeneutica deriverebbe, quindi, la non applicabilità del termi-ne prescrizionale ex art. 1495 c.c. con la conseguente prevedibilità di un termine maggiore entro cui esercitare le garanzie contrattuali, fermo restando, peraltro, il termine prescrizionale decennale ordinario ex art. 2946 c.c., inderogabile, entro cui esercitare i rimedi previsti in caso di violazione delle clausole in esame. Detto ter-mine, in particolare, decorrerebbe ex art. 2935 c.c., dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere, coincidendo nel caso in esame con il momento in cui si verifica la violazione dell’obbligo oggetto della garanzia contrattuale.

La tesi in questione, in particolare, sottolinea, in primo luogo, la inadeguatezza del ristretto termine di prescrizione entro cui si dovrebbero far valere le garanzie previste a tutela dell’acquirente in caso di eventuali difformità del patrimonio socia-le che, infatti, ben potrebbero manifestarsi dopo anni rispetto alla cessione21.

La dottrina22, in secondo luogo, osserva che la ratio giustificatrice del breve termine prescrizionale previsto dall’art. 1495 c.c. è rappresentata dall’immissione nel possesso della cosa venduta attraverso la consegna; lo stesso, tuttavia, non si può dire con riferimento al trasferimento di partecipazioni sociali e alle garanzie aventi ad oggetto il patrimonio sociale: con la cessione delle quote, infatti, non si acquisisce alcun diritto sul patrimonio sociale, né alcun potere sui beni della socie-tà stessa, con l’ulteriore conseguenza che risulta anche in concreto difficile verifica-re la sussistenza di una difformità tra il patrimonio così come rappresentato dall’alienante nel contratto e quello effettivamente trasferito. Da un lato, infatti, il compratore medesimo ha effettiva contezza della situazione economica e patrimo-niale della società solo dopo aver attivamente gestito la stessa per un tempo gene-ralmente superiore ad un anno. Dall’altro lato, non di rado alcune difformità del pa-

rappresentano la ragione economica e giuridica fondamentale e vadano pertanto a qualifi-carne la causa. Ne consegue che il contratto di acquisizione assistito dalle dichiarazioni e garanzie del venditore debba essere qualificato [>] come un contratto atipico la cui discipli-na è dettata convenzionalmente dalle parti nell’esercizio della propria autonomia contrattua-le”.

P. MONTALENTI, La compravendita di partecipazioni azionarie, op. cit., conclude nel senso che i patti di garanzia sarebbero contratti geneticamente e funzionalmente collegati; così anche S. AMBROSINI, Trasferimento di partecipazioni azionarie, op. cit.

C. D’ALESSANDRO, Compravendita di partecipazioni sociali e tutela dell’acquirente, op. cit.; P. CORRIAS, La responsabilitá dell’alienante per la consistenza del patrimonio nelle ven-dite di partecipazioni azionarie di controllo, op. cit.; E. RUSSO, Le tutele legali nelle acquisi-zioni societarie, op. cit.; A. TINA, Il contratto di acquisizione di partecipazioni sociali, op. cit. qualificano le business warranties come clausole autonome di tipo assicurativo di pura e semplice assunzione del rischio;

M. R. DE RITIS, Trasferimento di pacchetti azionari di controllo: clausole contrattuali e li-miti all’autonomia privata, op. cit., qualifica le business warranties quali promesse del fatto del terzo, ex art. 1381 c.c., l’alienante, secondo questa ricostruzione, prometterebbe un fatto della società.

21 Si veda anche: F. BONELLI, Giurisprudenza e dottrina su acquisizioni di società e pac-chetti azionari di riferimento, op. cit.; S. EREDE, Durata delle garanzie e conseguenze della loro violazione, p. 204, op. cit.; U. CARNEVALI, Garanzie nella cessione di quote sociali, p. 972.

22 Cft., ad esempio, S. EREDE, Durata delle garanzie e conseguenze della loro violazione, op. cit., p. 197 e ss.; A. TINA, op. cit., p. 305.

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trimonio rispetto a quanto garantito sono concretamente conoscibili anche molti anni dopo rispetto al trasferimento delle partecipazioni sociali.

Nonostante le osservazioni appena svolte e in contrasto con l’opinione dottrina-le maggioritaria, nonché delle decisioni arbitrali rese in materia, la giurisprudenza tradizionale23 e una parte minoritaria della dottrina24, ha per lungo tempo adottato una posizione diversa, qualificando le garanzie in esame alla stregua di qualità promesse ex art. 1497 c.c. e la necessaria applicabilità del breve termine prescri-

23 Tra le sentenze di legittimità si veda in particolare: Cass. 10 febbraio 1967, n. 338, in

Giust. Civ., 1967, I, p. 436, che afferma: “Di conseguenza la dichiarazione del venditore di azioni sociali circa la consistenza, al tempo della vendita, del patrimonio sociale, dichiara-zione fatta all’acquirente, su richiesta di questi, col contenuto di assicurare che la consisten-za dichiarata è reale [>] può comprendersi nel concetto di qualità (promessa delle azioni compravendute), se per qualità deve intendersi un elemento che caratterizza un modo di essere della res, per cui la medesima risulta più idonea a soddisfare il bisogno concreto dell’acquirente secondo le comuni esigenze economiche-sociali e se, attraverso un’espressa pattuizione, possono essere poste in rilievo, nella determinazione dell’oggetto della prestazione del venditore anche qualità non essenziali, che rispondono a particolari esigenze del compratore (art. 1497 c.c.)”; Cass., 28 marzo 1996, n. 2843, in Giur. Comm., 1998, II, p. 362; Cass., 19 luglio 2007, in Giust. civ. Mass., 2007, 7-8, dove si legge: “Nella vendita di azioni, la disciplina giuridica, invece, si ferma all'oggetto immediato e, cioè all'a-zione oggetto del contratto, mentre non si estende alla consistenza od al valore dei beni co-stituenti il patrimonio, a meno che l'acquirente, per conseguire tale risultato, non abbia fatto ricorso ad un'espressa clausola di garanzia, frutto dell'autonomia contrattuale, che consente alle parti di rafforzare, diminuire, od escludere convenzionalmente la garanzia, in modo da ricollegare esplicitamente il valore dell'azione al valore dichiarato del patrimonio sociale”. Occorre sottolineare, tuttavia, che la posizione della giurisprudenza di legittimità è rimasta solo a livello di obiter dicta poiché, come autorevole dottrina ha affermato (F. BONELLI, Ac-quisizioni di società e di partecipazioni sociali di riferimento: le garanzie del venditore, op. cit., p. 317 e ss.) “in nessuno dei casi da essa esaminati il venditore aveva prestato una ga-ranzia contrattuale a favore dell’acquirente relativamente ai beni della società venduta”.

Tra la giurisprudenza di merito, invece, si veda: Tribunale di Napoli, 11 marzo 2002, in Società 2003, p. 81; Cass. 13 dicembre 2006, n. 26690; Corte Appello di Milano, 5 giugno 1990, in Giur. it., 1991, I, 2, 387; Corte d’Appello di Milano, n. 3138/2008, inedita; Corte d’Appello di Roma, 5 marzo 2011, in Giur. Comm., 2012, 5, II, p. 1008.

24 D. SCARPA, Cessione di quota di s.r.l. e tutela dei reali interessi sottesi al negozio, op. cit., p. 347; M. PINTO, Le garanzie patrimoniali nella vendita di partecipazioni azionarie di controllo: qualificazione giuridica e termini di prescrizione, op. cit., p. 447 e ss., secondo il quale, pur dovendosi distinguere tra le diverse tipologie di business warranties, alcune di queste sono qualificabili come promesse della qualità della partecipazione compravenduta in quanto: (i) i contratti di acquisizione hanno ad oggetto le azioni e non il patrimonio della società; (ii) ciononostante “i requisiti patrimoniali della società contribuiscono ad individuare e precisare l’oggetto di quel fascio di diritti trasferiti, in cui si traduce la posizione di socio” ne consegue che “la mancanza delle qualità patrimoniali dedotte nel contratto integra una dif-formità dell’oggetto del diritto trasferito [>] con il contratto di compravendita di partecipazio-ni” che ne limita “la possibilità di utilizzazione economica o ne diminuisce il valore” [Z], la disciplina sulle garanzie per i vizi e la mancanza di qualità è applicabile “in tutti quei casi in cui l’utilizzabilità economica del diritto trasferito sia menomata da una difformità del suo og-getto rispetto a quanto concordato dalle parti”.

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zionale di un anno, ex art. 1495 c.c., decorrente, in particolare, dalla conclusione del closing

25. Le pronunce giurisprudenziali, infatti, pur partendo sempre dall’assunto secon-

do il quale si deve distinguere tra oggetto immediato (il titolo partecipativo) e ogget-to mediato (il patrimonio sociale) del contratto di acquisizione, concludono che at-traverso le business warranties le dichiarazioni del venditore contribuiscono a iden-tificare una qualità seppur mediata della res alienata. L’autonomia contrattuale, quindi, secondo questa interpretazione, non farebbe altro che includere nelle quali-tà promesse della cosa ex art. 1497 c.c., anche quelle indicate da parte venditrice nelle business warranties.

Di conseguenza, ad esse si applicherebbero, in via analogica, le norme riguar-danti la presenza di vizi o la mancanza di qualità della cosa venduta e, quindi, an-che i brevi termini di decadenza e di prescrizione, previsti ex art. 1495 c.c.

La dottrina, peraltro, nel sottolineare la scorrettezza nonché l’inopportunità di ta-le interpretazione, oltre a richiamare le argomentazione già prima riportate, non ha mancato di sottolineare, da ultimo, che costituirebbe un’incoerenza logica esclude-re, da una parte, l’applicabilità delle garanzie legali ex artt. 1490 e ss. c.c., con rife-rimento al patrimonio della società target, costituente, infatti, solo l’oggetto mediato dell’acquisizione, e al contempo affermare che una semplice clausola contrattuale possa mutare la qualificazione giuridica delle garanzie, le quali continuano, infatti, a non poter essere qualificate alla stregua di qualità delle partecipazioni26.

4. Il revirement intepretativo nella giurisprudenza di merito Le pronunce in commento sono di particolare interesse in quanto si discostano

dall’approccio ermeneutico della giurisprudenza tradizionale di cui si è detto, non riconducendo le business warranties nell’ambito degli artt. 1490 e ss. c.c.

La sentenza della Corte d’Appello di Milano, infatti, a conferma del lodo arbitrale impugnato, richiamando l’orientamento interpretativo tradizionale secondo il quale in assenza di specifiche pattuizioni delle parti, è inapplicabile la disciplina legale delle garanzie previste per il contratto di compravendita ex artt. 1490 e ss c.c., conclude che “in linea con quanto affermato dal lodo impugnato, le cosiddette bu-siness warrants, lungi dal rappresentare il veicolo attraverso il quale i venditori promettono qualità essenziali dell’oggetto della compravendita di azioni, costitui-scono patti autonomi rispetto a quest’ultima, in quanto non attengono all’oggetto immediato del negozio; ne deriva che ad esse non appare applicabile la disciplina di cui agli artt. 1495 e 1497 c.c.”.

L’ordinanza del 25 febbraio 2014 del Tribunale di Milano, seguendo una mede-sima linea di pensiero, a sua volta rigetta l’eccezione formulata da parte resistente

25 Momento assimilabile alla “consegna” di cui all’art. 1495 c.c. Cft, in particolare, supra

nota 8. 26 L. G. PICONE, I contratti di acquisto di partecipazioni azionarie, Milano, 1995, p. 92, af-

ferma: “la giurisprudenza non può prima affermare che il patrimonio è totalmente altro rispet-to all’oggetto del contratto, per poi sostenere che in realtà esiste un collegamento tra l’uno (patrimonio sociale) e l’altro (titolo scambiato) tale che la garanzia sulla consistenza del pri-mo costituisce qualità promessa del secondo”.

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circa la decadenza e la prescrizione ex art. 1495 c.c. delle business warranties previste nel contratto.

La pronuncia, in particolare, considera l’eccezione irrilevante in quanto in con-trasto con l’orientamento maggioritario della giurisprudenza, secondo il quale nel contratto di acquisizione di partecipazioni sociali sarebbe necessario distinguere tra oggetto immediato (partecipazione sociale) e oggetto mediato (patrimonio della società).

Da tale interpretazione la pronuncia fa derivare, quale diretta conseguenza, la inapplicabilità del regime legale previsto dagli artt. 1490 e ss. c.c. con riferimento all’oggetto immediato della compravendita, all’oggetto solo mediato, condividendo, quindi, anche se non esplicitamente, l’orientamento dottrinale maggioritario secon-do il quale sarebbe un’incoerenza logica negare, da un lato, l’applicabilità automa-tica delle garanzie legali della compravendita all’oggetto mediato del contratto di acquisizione e, dall’altro, sostenere che la previsione di un’esplicita garanzia de-termini la qualificazione della consistenza del patrimonio sociale quale qualità pro-messa ex art. 1497 c.c.

4.1 E nella giurisprudenza di legittimità

Sulla questione in esame, nel 2014, si è pronunciata anche la Corte di Cassa-zione, riformando la sentenza resa dalla Corte d’Appello di Milano27 che nel 2008 aveva esplicitamente optato per l’orientamento interpretativo tradizionale della giu-risprudenza.

La Corte di legittimità, in particolare, ha avallato la tesi della non applicabilità del termine prescrizionale previsto dall’art. 1495 c.c., statuendo la non qualificabilitá delle business warranties alla stregua di qualità della cosa venduta ex art. 1497 c.c. Nella pronuncia in esame si legge, infatti, che “[>]le pattuizioni – con cui i venditori si impegnavano a corrispondere all’acquirente un indennizzo nel caso e al momento in cui si fossero prodotti il danno, la perdita e la sopravvenienza passiva – avevano a oggetto obbligazioni accessorie assunte dal venditore in relazione al successivo eventuale manifestarsi di tali accadimenti con la previsione di modalità e termini per comunicare gli eventi o le circostanze suscettibili di generare un ob-bligo di indennizzo; non avendo a oggetto le qualità del bene oggetto della com-pravendita (le azioni), erano inapplicabili i termini di prescrizione di cui al combina-to disposto degli artt. 1497 e 1495 cod. civ.: il termine di prescrizione era quello or-dinario (decennale)”.

L’orientamento che sembra, dunque, essere avallato dalle recenti pronunce giu-risprudenziali appena citate appare ben più condivisibile rispetto a quello prece-dente, non solo per le argomentazioni già richiamate e sostenute dalla dottrina maggioritaria. Si tratta, si ribadisce, della considerazione, innanzitutto, della inade-guatezza del termine prescrizionale breve previsto dall’art. 1495 c.c. alle acquisi-zioni societarie28 e, soprattutto, agli interessi concreti delle parti; in secondo luogo,

27 Vedi nota numero 18, si tratta della sentenza della Corte d’Appello di Milano numero

3138/2008. 28 La Cass. 24 luglio 2014 sottolinea, in particolare, che “è innegabile che le clausole in-

trodotte al fine di tutelare proprio la posizione del compratore finirebbero per penalizzarlo quando per la natura stesa degli eventi garantiti – come nel caso di sopravvenienze passive

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della incoerenza logica derivante dal sostenere, da una parte, l’inapplicabilità della disciplina legale della compravendita al contratto di acquisizione in assenza di spe-cifiche clausole contrattuali e, dall’altra, l’applicabilità dello specifico regime pre-scrizionale ex art. 1495 c.c. nel caso in cui dette clausole siano effettivamente pre-viste dalle parti.

Ma le pronunce in esame sono condivisibili anche per un’ulteriore considerazio-ne: esse, infatti, appaiono maggiormente conformi alla originaria natura, in primo luogo, delle clausole di representations e warranties

29 e alle conseguenze derivanti dalla loro violazione, e, più in generale, dei contratti di acquisizione di partecipa-zioni sociali.

Come già accennato, infatti, le representations nell’ordinamento di common law non sono altro che delle dichiarazioni “which merely asset the truth of a given state of facts and invite reliance upon it”30 e la loro violazione integra una c.d. misrepre-sentation, assimilabile ad un illecito extracontrattuale, la quale, infatti, comporta una responsabilità in tort e, di conseguenza, il diritto al risarcimento del danno su-bito.

Proprio in considerazione di ciò appare ancora più paradossale cercare di ri-condurre la violazione di queste clausole ad un istituto di natura meramente con-trattuale, come quello proprio delle garanzie previste dal codice civile per il contrat-to di compravendita, essendo quest’ultimo un istituto che non ha nulla a che fare con l’origine delle clausole stesse.

Con riferimento, invece, alle warranties, l’ordinamento anglosassone condivide l’inquadramento contrattuale delle clausole, e precisa che dalla violazione di esse deriva il diritto di controparte di agire per il risarcimento del danno subito, equiva-lente all’interesse positivo, calcolato in via differenziale tra il vantaggio che avrebbe ottenuto nel caso in cui la garanzia fossa stata rispettata e quello ottenuto, invece, nel caso concreto.

Sebbene in questo caso le warranties entrino a far parte del contratto, tuttavia, costituisce comunque una forzatura ricondurre la violazione delle stesse ad un ri-medio speciale tipico del contratto di vendita e, come tale, del tutto diverso e di-stante dalla reazione dell’ordinamento ad un tort. Nell’ordinamento di common law, infatti, la distinzione tra responsabilità contrattuale, o meglio, da inadempimento di un’obbligazione, ed extracontrattuale è tendenzialmente meno netta rispetto ai si-stemi continentali e la concessione di un diritto risarcitorio a condizioni così diverse (prescrizione di un anno anziché ordinaria) da quelle tipiche dei fatti illeciti non sa-rebbe comprensibile.

Il diritto di origine anglosassone, infatti, non è fondato sulla enucleazione del concetto di obbligazione e, quindi, sulla distinzione tra responsabilità da inadem-pimento della stessa, da un lato, e da illecito non derivante da un precedente rap-

derivanti dalla violaizone di norme fiscali e contributive – è evidente che le eventuali difformi-tà della situazione della società rispetto a quella dichiarata possano emergere a distanza di tempo dalla conclusione del contratto, quando ormai il diritto sarebbe ormai ampiamente prescritto ove si dovesse applicare la garanzia legale e il termine di prescrizione di un anno dalla consegna [Z]”.

29 Cft., in particolare, par. 2. 30 MINDY CHEN WISHART, Contract law, Oxford University Press, New York, 2005, p. 198.

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porto obbligazionario, dall’altro lato; qualificazione, invece, tipica degli ordinamenti di civil law, i quali sono caratterizzati, infatti, da un’origine romanistica.

Nel diritto di common law che nasce, piuttosto, come strumento “rimediale” per assicurare, appunto, un rimedio laddove ciò fosse richiesto dai privati, la tutela, de-finibile, contrattuale deriva dall’evoluzione dell’utilizzo del rimedio previsto origina-riamente per gli illeciti extracontrattuali31.

Nell’un caso (representations) e nell’altro (warranties), quindi, l’opzione erme-neutica della giurisprudenza tradizionale costituisce una forzatura non ammissibile, avendo riguardo alla categorizzazione originaria degli istituti in esame.

Con riferimento, poi, in generale, alla natura dei contratti di acquisizione di par-tecipazioni sociali occorre sottolineare che, come detto al principio della presente esposizione, gli stessi sono figli di un orientamento straniero, quello anglosassone e possono così essere definiti, richiamando una nozione elaborata da autorevole dottrina, come contratti alieni32.

Si tratterebbe, cioè, di un accordo non atipico, ex art. 1322 c.c., perché non rientrante in alcuno schema legale previsto dal legislatore nazionale, ma piuttosto alieno, il quale cioè, ignora il diritto italiano e non vuole essere, quindi, qualificato alla luce del diritto italiano stesso, ma, al contrario, è elaborato per essere autosuf-ficiente, tanto che pretendere l’integrazione dello stesso con l’art. 1495 c.c., quale conseguenza alla qualificazione ex art. 1497 c.c., costituirebbe anche un’inaccettabile forzatura della sua intrinseca natura.

6. La recente proposta legislativa L’attualità e l’importanza del tema in esame, testimoniate dai numerosi interven-

ti dottrinali e giurisprudenziali, trovano conforto altresì nella recente proposta di legge, numero 1610, presentata alla Camera dei Deputati il 20 settembre del 2013, la quale si è interessata direttamente del problema in esame cercando di porre fine all’incertezza interpretativa circa il regime prescrizionale applicabile alle business warranties, manifestatasi, come detto, in dottrina e giurisprudenza.

Nella relazione alla proposta di legge si sottolinea che scopo della stessa è quello di incentivare gli investimenti esteri in Italia, prevedendo una disciplina certa avente ad oggetto le operazioni di acquisizione delle partecipazioni sociali: la rapi-da ed efficace circolazione delle azioni e delle quote rappresenta, infatti, uno degli elementi fondamentali su cui si regge la competitività di un paese.

La proposta, in particolare, vuole introdurre una sezione IV-bis al libro quarto, ti-tolo III, capo I, del codice civile, dopo le norme previste in relazione al contratto di

31 Il writ of trespass nasce nel mondo anglosassone, infatti, come rimedio giuridico per

assicurare il risarcimento del danno a chi avesse subito un’invasione illecita della propria sfera giuridica. Tale istituto, tuttavia, poiché garantiva una più immediata ed agevole tutela, a partire dal XIV secolo, è stato applicato in via analogica (trespass on the case) fino ad as-sicurare la tutela risarcitoria in caso di non diligente adempimento o di inadempimento dell’obbligazione contrattuale. Sia il primo che il secondo caso, infatti, furono assimilati ad una invasione illecita dell’altrui sfera giuridica, riconducendo così l’inadempimento all’illecito civile (trespass).

Cft. A. GAMBARO-R. SACCO, Sistemi giuridici comparati, Utet, 2008. 32 G. DE NOVA, Il contratto alieno, Giappichelli editore, Torino, 2008, p. 44.

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compravendita, due articoli, uno riferito alla cessione d’azienda (art. 1547-bis c.c.), l’altro, invece, alla vendita di partecipazioni sociali (art. 1547-ter c.c.).

L’art. 1547-ter c.c., in particolare, dovrebbe essere formulato come segue: “nel-la vendita di partecipazioni sociali i diritti derivanti dai patti relativi alla consistenza, alle caratteristiche del patrimonio, alle prospettive reddituali e alla situazione eco-nomica e finanziaria della società si prescrivono in cinque anni”.

Come attenta dottrina ha già osservato33, la norma in esame recepirebbe l’orientamento dottrinale maggioritario, nonché quello giurisprudenziale più recen-te, manifestatosi nelle pronunce qui commentate, secondo il quale le business war-ranties non potrebbero essere qualificate alla stregua di garanzie di qualità del be-ne compravenduto, ex art. 1497 c.c., con conseguente applicazione del termine prescrizionale annuale ex art. 1495 c.c.: la prescrizione, infatti, sarebbe quinquen-nale.

La relazione alla proposta di legge, in particolare, riprendendo le osservazioni della dottrina, sottolinea l’inopportunità, nell’acquisto di partecipazioni sociali, di un termine prescrizionale così breve come quello annuale; inoltre, richiama l’opzione ermeneutica che ha sottolineato la diversità tra l’oggetto immediato della compra-vendita (partecipazione sociale) e quello mediato (patrimonio della società) e la conseguente applicabilità delle garanzie legali solo all’oggetto immediato.

La proposta di legge in commento, sulla base delle precedenti considerazioni, appare meritevole per un duplice ordine di ragioni: in primo luogo, infatti, recepisce l’orientamento interpretativo maggiormente condivisibile, come già sottolineato, da un punto di vista logico giuridico, nonché per quanto riguarda l’interesse effettivo delle parti e, in particolare, dell’acquirente. La previsione di un termine di prescri-zione certo, inoltre, oltre a evitare le incertezze interpretative già manifestatesi in giurisprudenza, sicuramente può costituire un incentivo per concludere operazioni di acquisizioni in Italia, non lasciando l’eventuale acquirente nel dubbio circa l’eventuale esperibilità dei rimedi contrattuali previsti.

È opportuno sottolineare, del resto, che la scelta legislativa in esame si disco-sterebbe dagli approdi ermeneutici della dottrina e della giurisprudenza recente in-troducendo in modo innovativo un termine prescrizionale più breve rispetto a quello ordinario decennale ex art. 2946 c.c. La norma, quindi, oltre che soddisfare un’esigenza di certezza e tutelare l’acquirente liberandolo dal troppo ristretto termi-ne prescrizionale annuale ex art. 1495 c.c., sembrerebbe offrire una tutela anche all’alienante: quest’ultimo, infatti, potrebbe subire le azioni dell’acquirente solo nei cinque anni successivi alla violazione dell’obbligo assunto in garanzia.

Nel silenzio del legislatore la decorrenza del termine prescrizionale dovrebbe decorrere, secondo i criteri generali, ex art. 2935 c.c., dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere e, quindi, nei cinque anni successivi alla violazione della busi-ness warranties.

7. Conclusioni

Come già sottolineato, la problematica giuridica che si è analizzata deriva da un importante fenomeno che caratterizza il mondo del diritto, il quale rispecchia le pe-

33 M. SPERANZIN e A. TINA, Una recente proposta legislativa in tema di trasferimento di

aziende e di partecipazioni sociali, in Le Società, numero 3/2014, p. 261 e ss.

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culiarità della società contemporanea di cui è espressione, tra le quali, spicca, in primo luogo, la sua transnazionalità.

Tanto il legislatore, con la richiamata proposta legislativa, quanto la giurispru-denza più recente, da ultimo, anche di legittimità sembrano essersi orientati verso l’opzione ermeneutica - maggiormente condivisibile- che non qualifica le business warranties alla stregua di qualità promesse ex art. 1497 c.c. A fronte di tale opzio-ne ermeneutica, pertanto, il breve termine prescrizionale annuale di cui all’art. 1495 c.c. non trova applicazione, venendo per contro, in rilievo il termine ordinario de-cennale per l’orientamento giurisprudenziale sopra riportato e quello quinquennale, invece, per la proposta legislativa.

Ciò che appare più importante sottolineare, tuttavia, è che, aldilà dell’effettivo termine prescrizionale applicato, la giurisprudenza più recente, così come il legisla-tore, sembrano volersi discostare dall’atteggiamento tradizionale e tipico degli ope-ratori giuridici degli ordinamenti di civil law, ossia l’atteggiamento caratterizzato dal-la necessità di inquadrare e classificare qualsiasi strumento giuridico elaborato dall’autonomia contrattuale entro le “maglie” degli istituti civilistici tipici nazionali34. Il che, il più delle volte, sembrerebbe essere giustificato dal timore di un’eccessiva autonomia del diritto privato: autonomia, tuttavia, spesso ricercata volutamente dal-le parti per regolare autonomamente, appunto, – nei limiti concessi da ciascun or-dinamento – l’intero assetto negoziale, senza che esso debba essere “ingabbiato” negli istituti civilistici tipici dell’ordinamento nazionale.

Qualificare, pertanto, le business warranties come qualità promesse ex art. 1497 c.c. costituirebbe anche un’interpretazione inaccettabile in quanto contrastan-te con la volontà delle parti, nonché con la intrinseca natura del contratto di acqui-sizione di partecipazioni sociali. Si tratterebbe, peraltro, di un’operazione ermeneu-tica ancora meno giustificabile sol se si consideri che le norme del codice civile, risalenti al 1942, si riferiscono a una realtà economica ben diversa da quella attua-le e che, quindi, in alcuni casi, mal si attagliano ai contratti dei moderni traffici commerciali.

La problematica in esame, in particolare con la pronuncia della Corte di legitti-mità del 25 luglio 2014, sembrerebbe avvicinarsi ad una soluzione giurisprudenzia-le condivisibile e conforme alla dottrina maggioritaria, nonché alla giurisprudenza arbitrale. Sarà, quindi, fondamentale, al fine di delineare un precedente più conso-lidato, la sentenza della Corte di Cassazione che dovrà pronunciarsi sul ricorso av-verso la sentenza della Corte d’Appello di Milano n. 2801/2013.

34 Si tratta della tendenza degli interpreti italiani di cercare di ricondurre ad uno specifico

tipo legale i contratti conclusi dalle parti, al fine di individuarne la disciplina legale applicabi-le, ricorrendo solo in un secondo momento ai principi generali del codice civile.

Questa impostazione inverte di fatto l’ordine sistematico imposto dal codice civile all’art. 1323 che, infatti, dispone: “Tutti i contratti, ancorché non appartengano ai tipi che hanno una disciplina particolare, sono sottoposti alle norme generali contenute in questo titolo”. Cft. A tal proposito, G. DE NOVA, Il contratto. Dal contratto tipico al contratto alieno, Cedam, 2011, p. 27.

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