Giovanni Mattazzi-Verbano e Dintorni- Indice-Prefazione e Capp. D'Annunzio e D'Azeglio

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Giovanni Mattazzi Verbano e dintorni a ritroso nel tempo Figure, eventi, nostalgie di un recente passato lontano

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http://www.ibs.it/code/9788876954436/mattazzi-giovanni/verbano-e-dintorni-a.htmlPellegrino Paola - Recensione Giovanni Mattazzi, Verbano e dintorni a ritroso nel tempo. Figure, eventi, nostalgie di un recente passato lontano, Arcipelago Edizioni, Milano 2011, pp. 280, € 20,00Il titolo promette memorie, poi, accortamente, il sottotitolo in ossimoro - recente passato lontano -richiama figure, eventi, nostalgie. Scenario: il "territorio" verbano tra le due guerre mondiali, con rimandi al Risorgimento e al secondo dopoguerra, narrato in 22 articoli (e una prefazione), nati da una collaborazione dell’autore con «Eco del Verbano», negli anni 2007-2008. Il volume entra nel genere à rebours, ma ha sapore di raccolta di elzeviri con la freschezza del senza tempo. Si avverte, leggendo, che Mattazzi è cultore sensibile del fatto narrato: informa, con lo spirito del collezionista, su dettagli, peculiarità e curiositates, rubricati con passione di storico. E proprio la storia è fonte principale alla quale attingere racconti di protagonisti “verbani”, in primis Garibaldi, l’Eroe dei tre Laghi, con l’azione congiunta da terra e dal lago finalizzata, la notte sul 31 maggio1859, all'occupazione (fallita) di Laveno, base della flottiglia da guerra austriaca. Altre evocazioni cronachistiche: Carnera, nel 1933, ospite d’onore allo Stadio del Littorio di Intra (oggi Stadio dei Pini), dà il cerimoniale calcio d’inizio a un incontro amichevole dei locali. Il gigante buono, si rivela bienfaisant perché gli intresi vincono nettamente. Ancora Carnera. Perso il titolo di campione del mondo, e ormai fuori dal milieu dei records, si cura nel 1937 alle terme di Ronco di Ghiffa, dirette dal dottor Luigi Rovetta; passeggia convalescente sul lungolago; gioca il suo nuovo ruolo nel demi-monde di personaggi testimonials, in quanto nulla è cambiato nell’immaginario popolare. E poi, ricordo di eventi in "Addio, mia bella addio…". Rievocazione di un set cinematografico all’isola Bella, ove Mario Soldati gira le scene finali di Piccolo mondo antico, da un romanzo di Fogazzaro. Siamo nel dicembre del 1940, la giornata è meteoromantica: "Spira dal Nord un vento impetuoso e il lido di Stresa è deserto e gelido. Solo un paio di barche fa la spola traghettando chiunque voglia (…) assistere alle riprese". Il regista-scrittore dirige dal pontile dell’isola e, col megafono, urla "ordini a Lattuada (suo vice )", che si trova sul più storico battello a pale del lago, il San Gottardo. Il lago, navigato in tempesta di vento, è già scenario, ma anche sfondo al lavoro di troupes. È pure medium acquatico del passaggio di personaggi mitici: cosa evidente, dal regesto dell'autore, che riformula nomi e ruoli: Mario Soldati, Alberto Lattuada, Carlo Montuori, Arturo Galea, Alida Valli, Massimo Serato. Ma la ricerca dell’autore, capziosa e intelligente, aggiunge altri apporti di arte scenica; in particolare l’evocazione del fantasmagorico e antonomasico Carro di Tespi, progetto di teatro itinerante, esordiente nel 1935 nel Verbano. Ed è il Carro in versione lirica ad attuare la mise en scène di Tosca a Intra. Dall'articolo apprendiamo com'era vivo culturalmente il milieu lacustre negli anni 30-40. L'autore ricostruisce l’aition di denominazione del carro, nato da un progetto di Antonio Valente per l’Opera nazionale dopolavoro (Ond), in riferimento a Tespi, attore (e poeta) eponimo di un mitico teatro greco del VI secolo a.C. Ancora versante spettacolo: a Stresa, il manager Villani e lo sceneggiatore Cesare Zavattini lanciano il concorso fotografico "5 mila lire per un sorriso"(1939). L’articolo "Le Miss Italia di Stresa" narra la serie lacustre del concorso che oggi si tiene a Salsomaggiore, sottolineando cronologie e volti. Ancora altri (e alti) protagonismi: divertenti gli aneddoti su d’Annunzio e la Torre di Cavandone; costruttivi, gli auspici di Massimo d’Azeglio, che riflette a Cannero, tra pittura, romanzi e spiritismo, sulla educazione civile degli italiani; commovente

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Foto di Gabriella Brusa Zappellini

Giovanni Mattazzi

Verbano e dintornia ritroso nel tempo

Figure, eventi, nostalgie di un recente passato lontano

9544367888769

ISBN 978-88-7695-443-6

€ 20,00[IVA ASSOLTA DALL’EDITORE]

I ventidue articoli qui raccolti sono ap-parsi su «Eco del Verbano», rivista men-sile di Arona, negli anni 2007–2008. Si tratta di brevi scritti di rievocazione sto-rica legati fra loro da un unico filo con-duttore: il Lago Maggiore. Questo, sia per le vicende narrate, tutte riguardanti il Verbano (sponda ticinese inclusa), sia per i personaggi descritti, in gran parte stra-nieri, che passarono sul lago momenti significativi della loro vita. La raccolta è, in altri termini, l’insieme della rubrica storica dell’autore, ferma agli ultimi due anni di collaborazione con il periodico. Gli avvenimenti si collocano tra le due guerre mondiali, con rimandi al Risorgimento e al secondo dopoguerra. Tra i protagonisti, alcuni sono notissimi in Italia e all’estero. Altri meno. Altri ancora del tutto dimenticati.Gli articoli su d’Azeglio e Carcano ricor-dano il patriottismo degli scrittori risor-gimentali. Quello su Garibaldi, l’alterna fortuna dei volontari negli scontri attor-no al lago, nella guerra del 1859. Tra le figure più note: Carnera, improbabile calciatore nello Stadio del Littorio di Intra. Poi, lo scrittore Hermann Hesse, frequentatore di Eranos (cenacolo cultu-rale di Ascona), e il pacifista Erich Maria Remarque, autore di Niente di nuovo sul fronte occidentale. Tra i meno noti: Felice Cavallotti, ma-niaco dei duelli, e il generale Annibale Bergonzoli, il dimenticato “barba elet-trica”. Non mancano articoli divertenti, come quello su d’Annunzio, infatuato della Torre di Cavandone.Tra le curiosità: il primo colpo di piccone dell’autostrada Milano – Laghi, Mario Soldati che nel 1940 gira all’isola Bella gli esterni di Piccolo mondo antico, le pas-serelle delle prime Miss Italia a Stresa.

Giovanni Mattazzi (Romano di Lom-bardia, 1941) proviene dal mondo delle aziende. Direttore amministrativo e finan-ziario, ha operato a lungo in società indu-striali e commerciali, italiane e straniere. Studioso di storia contemporanea, ha pubblicato saggi e volumi monogra-fici. Tra questi: Mussolini – Breviario (Rusconi 1997), Gandhi. La grande anima (Mondadori Electa 2002, tradotto in spa-gnolo e in tedesco), Che Guevara – Brevia-rio (Rusconi 1997, ristampato nel 2003 da Bompiani), L’arte Copta in Egitto e L’arte Copta in Abissinia (in AA.VV. La Storia dell ’Arte – Mondadori Electa 2006), Il tempo della speranza. Gli anni di Giovanni XXIII e John F. Kennedy (Arcipelago Edi-zioni 2009). Collabora alle pagine cultura-li di quotidiani a diffusione nazionale e al-le rubriche storiche di periodici locali. Vi-ve e lavora a Milano.

In copertina, dall’alto e in senso orario: «La Gazzetta» di Intra annuncia l’arrivo del pugile Primo Carnera; Lucia Bosè Miss Italia a Stre-sa nel 1947; Il “barba elettrica” di Cannobio, generale Annibale Bergonzoli; Concorso ippi-co di Stresa, anni Trenta (cartellone di Marcel-lo Dudovitch); Alberto Lattuada giovane aiuto – regista, sul set di Piccolo mondo antico; Oleografia di Giuseppe Garibaldi

Verbano e dintornia ritroso nel tem

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Figure, eventi, nostalgiedi un recente passato lontano

Giovanni Mattazzi

VERBANO E DINTORNIA RITROSO NEL TEMPOFigure, eventi, nostalgie di un recente passato lontano

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Un ringraziamento particolare va alla Dottoressa Virginia Martelli, DirettoreResponsabile di «EV eco del verbano», la cui disponibilità e cortesia hannoconsentito la pubblicazione di questo libro

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INDICE

Prefazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7

IArticoli apparsi su «Eco del Verbano»

nell’anno 2007

Gennaio Carnera a Intra fra calciatori e balilla. Ricordando il grande pugile friulano nel centenario della nascita . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 15Febbraio Charlotte Bara e il Teatro San Materno di Ascona.

Negli anni Venti del Novecento una rivoluzione nella danza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 19Marzo Felice Cavallotti, una vita per un duello. Passioni e morte di un radicale “fin de siècle” . . . . . . . . . . . . . 25Aprile Annibale Bergonzoli, il generale “barba elettrica”.

Dal Piave a Neghelli, da Santander a Bardia: storia di un irriducibile soldato di Cannobio . . . . . . . . . . . 31Maggio “Addio, mia bella, addio…”. Dicembre 1940: al- l’isola Bella un Piccolo mondo antico di celluloide . . . . 37Giugno Emil Ludwig e i Colloqui con Mussolini. Si riparla

del biografo ebreo tedesco, rifugiato ad Ascona, che nel 1932 intervistò il Duce del fascismo . . . . . . . . . . 43Luglio Giuseppe Garibaldi, l’Eroe dei tre Laghi. Nel Bi-Agosto centenario della nascita il ricordo di un in- tramontabile mito del Risorgimento . . . . . . . . . . . . . 49Settembre Dalla Val Formazza al Marèb. Storia di Lydia Maf- fioli e Cesare Rocca. Febbraio 1936: la tragica vi- cenda del Cantiere Gondrand in Abissinia . . . . . . . 55Ottobre Giulio Carcano a Lesa. I soggiorni lacustri del lette- rato milanese e l’amicizia con Alessandro Manzoni . . . 61Novembre Carlo Emanuele Basile podestà di Stresa. Giorna-

lista, deputato, volontario di tre guerre aderì al fa- scismo e fu prefetto della Rsi a Genova . . . . . . . . . . . 67Dicembre Il Carro di Tespi e il Lago Maggiore. Intra e Locarno:

grande successo negli anni Trenta del teatro itinerante dell’Ond . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 73

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Articoli apparsi su «Eco del Verbano»nell’anno 2008

Gennaio Quelle lapidi storiche della Gondrand. Vittimedella “Damnatio memoriae”, ricordano i caduti

della celebre società di trasporti milanese . . . . . . . . . 81Febbraio Gabriele d’Annunzio e la Torre di Cavandone . . . 85Marzo Massimo d’Azeglio a Cannero. Ricordo di un esi- lio volontario . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 91Aprile Olga Fröbe Kapteyn e il mitico Eranos. Ad Ascona,

negli anni Trenta, una signora olandese fonda uncenacolo finalizzato all’incontro fra le culture

d’Occidente e d’Oriente . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 97Maggio Autostrada Milano-Laghi. Ottantacinque anni fa il primo colpo di piccone . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 103Giugno Erich Maria Remarque. Lo scrittore tedesco, in fuga

dal nazismo, riparò a Porto Ronco nel Ticino. A 110anni dalla nascita il suo messaggio di Kameraden-

schaft resta valido . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 109Luglio Lea Schiavi Agosto La Mata Hari di Borgosesia . . . . . . . . . . . . . . . . . . 115Settembre Hermann Hesse, quel che rimane del mito. A

Montagnola e ad Ascona il ricordo dello scrittore tedesco-ticinese . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 121Ottobre Le “Miss Italia” di Stresa. Nel 1946, sopravvissuti alla guerra, gl’italiani tornano a sorridere . . . . . . . . . . . . . . . 127Novembre Eugenio Balzan, antifascista (ma non troppo). Am-

bizioso e capace, amministrò con successo fra le due guerre il «Corriere della Sera» . . . . . . . . . . . 133Dicembre Cannobio e il Risorgimento. La guerra del 1859 a quasi 150 anni dai fatti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 139

IIiAlbum . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 145

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Prefazione

Nel cercare documenti per articoli di rievocazione storicaapparsi sul mensile illustrato «Eco del Verbano», mi eroimbattuto nel pugile Primo Carnera e nelle sue frequenta-zioni del Lago Maggiore. Avevo appreso del breve soggiornodel campione a Ronco, per motivi di salute, negli anniTrenta del secolo scorso. Mi ripromettevo di scrivere un ar-ticolo su quel “Maciste” e l’occasione era venuta in coinci-denza con il centenario della nascita.

Collaboravo da tempo con la rivista di Arona, la cui pro-prietà – dopo la morte di Senen Lavrano, che l’aveva fondatanel 1955 e il breve periodo in cui fu retta da Claudia Squar-zanti – era passata all’Editore XY.IT di Virginia Martelli,sotto la direzione di Roberto Petruzzelli.

Ogni mese mi recavo in redazione, partendo da Milano,per affiancare Silvia Sacco (art director) nel suo lavoro d’im-paginazione dei miei articoli. Nell’Album fotografico – inappendice al libro – sono raccolti, oltre alle foto, gli “acro-cage” che accompagnarono quei servizi, pubblicati ininter-rottamente nel biennio 2007– 08. Il neologismo francesizzanteconiato da Liviano Papa – collaboratore della rivista – stava aindicare la mescolanza d’immagini creata appositamente perla pagina, priva di “testo a correre”, completa di sole illustra-zioni e didascalie. Gli “acrocage” (un’idea di Petruzzelli)nacquero ad Arona, in quei pomeriggi di fine mese, dopoun lavoro di selezione e di preparazione dei materiali che ri-chiese la pazienza e la disponibilità di Silvia, peraltro maivenute meno. E di questo le sono grato.

Tornando a Carnera, sorgeva la necessità di testimoniarela presenza in loco del boxeur (cosa non facile). In quegli

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anni, nella zona, il rappresentante dell’Onb (Opera nazio-nale balilla) era Silvio Milesi. Decisi di contattare telefoni-camente tutti i Milesi del Verbano, nella speranza dirintracciare un parente del funzionario. Risultato negativo.Ma da cosa nasce cosa. Giovan Battista Milesi, in gioventùciclista dilettante, mi fornì l’indicazione utile. A Possaccio,frazione di Verbania, Carlo Melli aveva quel che cercavo. Eda lui ottenni le foto di Carnera che, nello Stadio del Litto-rio, dà il calcio d’avvio alla partita Intra-Étoile de Chaux deFonds (3 dicembre 1933). Interrogando gli anziani del posto, ottenni altre infor-

mazioni. Nel 1937, il campione della boxe era stato ricove-rato a Ronco, frazione di Ghiffa, nella Casa di CureNaturali del dottor Luigi Rovetta. Non solo, in quel periodoaveva effettuato a Intra, da protagonista, una reclamizzatavisita alla Casa del Balilla (oggi scuola comunale GuidoCantelli). Da qui l’occasione di fotografare l’edificio nellecondizioni attuali, cercare notizie dell’inaugurazione (sfo-gliando le annate della locale«Gazzetta»), e la necessità direperire la nuova residenza del medico che, nel frattempo,si era trasferito con la famiglia a Uscio (un paesino del ge-novese), dopo aver lasciato la clinica.Grazie a Internet riuscivo a localizzare i Rovetta a Ca-

mogli e, con grande cortesia, Mariateresa Bora (moglie diGuido, studioso di reumatologia e nipote del medico diRonco) m’inviava una foto di Carnera, ritratto con Renata(figlia del fondatore), sulla terrazza della clinica, insieme adaltre persone. Visitata la scuola elementare e sentita la pre-side Nullina Nizzola, ottenevo l’autorizzazione a riprenderegl’interni dell’edificio e la palestra dove in passato si tene-vano i saggi ginnici dei balilla e degli avanguardisti. Seppiinoltre che nel parco attuale, tra la scuola e la chiesetta diSan Giuseppe, in origine erano stati posati campi da tennis.Finita la guerra, mutato il clima politico e riconvertito l’edi-ficio in Casa del Popolo, il tennis era stato sostituito da unpiù accetto gioco delle bocce.

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Prefazione 9

Fu un colpo di fortuna trovare quegli scatti perché anchefotografi di professione, come Enzo Azzoni di Pallanza,poco o nulla hanno in proposito. Tutto questo a riprova deltempo e della fatica spesi per le mini-ricerche qui raccolte.Fatica fisica, per la verità, come quando mi recai a fotogra-fare la Torre di Cavandone che sovrasta il lago, per docu-mentare l’articolo su Gabriele d’Annunzio. Pioveva quel giorno e arrivato a Suna presi a salire a piedi

verso l’abitato, piantato nei fianchi di monte Rosso. Se-guendo la carrozzabile che collega Suna a Cavandone, la“Torraccia” appare, all’incirca a metà strada, dopo alcunichilometri e qualche tornante. Ma era il mese di gennaio del2008 e, per riprendere da vicino la costruzione, dovetti(chiesti i necessari permessi) attraversare prati innevati,aprire cancelli in ferro, scavalcare muretti a secco a ridossodi pendii coperti di arbusti: il tutto tra fango e neve. Nonsolo. Intrapresa la via del ritorno, una sorta d’indefinibiledisagio e un sentimento crescente d’inquietudine mi miseroin sospetto. Avevo la sensazione di un percorso troppolungo rispetto all’andata. Finalmente intravedo in lonta-nanza, in un varco tra le case, la distesa del lago. «Sono rien-trato a Suna» penso, e mi tranquillizzo. Accelero il passo eraggiunta la riva, ecco apparire il mausoleo di Luigi Ca-dorna. «Maledizione! – dico tra me – ho sbagliato strada.Sono sceso a Pallanza anziché a Suna». Acrobazie anche in occasione dell’articolo sulla danza-

trice ticinese Charlotte Bara e il Teatro San Materno diAscona. L’edificio era in piena ristrutturazione e parzial-mente sottratto alla vista da pannelli e teloni. Per fotogra-farlo dovetti arrampicarmi sulla rete metallica di recinzione– molto robusta per fortuna – e scattare dopo avere infilatola macchina al di là delle maglie, reggendola con la destra,perché con l’altra mi tenevo aggrappato alla rete. Di quellavisita al borgo ticinese ho un ricordo molto vivo. Mi trovavo nel piccolo cimitero a terrazze, ricavato sul

pendio della collina, in una mattinata di fine gennaio del2007. Il solstizio d’inverno, celebrato ogni anno dai cultori

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del ritualismo pagano, era già un evento remoto. Cercavo latomba di Charlotte e andavo a colpo sicuro perché la sapevocollocata nei pressi del muro di cinta, dirimpetto al teatro.La giornata si presentava senza nuvole e a un tratto guardaiil lago. Opaco disco rosso, il sole sorgeva dalla riva opposta(versante italiano). Ancora basso sull’orizzonte, sbucava dauna montagna a triangolo. Usciva esattamente al verticedella parete nuda e, fissato a quell’ostensorio di pietra, si of-friva al cielo del mattino. Mentre tutto prendeva colore, ri-masi a osservare stupefatto e andai col pensiero al popolodi Monte Verità. Ai fautori di vita alternativa della comunitàdi naturisti e vegetariani sorta agl’inizi del Novecento apochi chilometri di distanza. E intuì le ragioni di chi, presodalla suggestione, aveva creduto di riconoscere in quei luo-ghi una sorta di primitivo Eden. Ero approdato a «Eco del Verbano» dopo la breve espe-

rienza di «MAG», pensato da Carlo Franzini e GautierZanchi. Il mensile della Idearti, diretto da Rita Ghisalbertie poi da Carlo Landriscina (redattore-capo), aveva sede aLesa, in una casa d’epoca, sulla via di scorrimento a pochimetri dal lago. Mi recavo in ufficio tre volte la settimana percurare l’amministrazione della Società. Ed era un piacere la-vorare in un ambiente tranquillo e non inquinato. E cam-minare, a primavera, tra le siepi di camelie, lungo la stradache dalla stazioncina liberty conduce al lago, toccando VillaRiva dal gigantesco faggio rosso, ultracentenario.La rivista (magazine di costume e tempo libero) veniva

diffusa gratuitamente con una tiratura di 45 mila copie sul-l’esempio dei fogli giornalieri “leggi e butta”, riuscitissimanovità milanese. Una squadra di studenti (una dozzina intutto) provvedeva a distribuirla. Indossando un apposito“davantino” pubblicitario, i ragazzi percorrevano il Verbanocon le loro motociclette con puntate in località di monta-gna, come Macugnaga. Il periodico, nelle intenzioni de-gl’ideatori, avrebbe dovuto reggersi con i proventi dellapubblicità. Ma così non avvenne e, dopo solo cinque nu-meri, fu giocoforza chiudere. La testata aveva attirato l’at-

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tenzione di Lavrano e a Franzini fu offerto di dirigere «Ecodel Verbano», cosa che egli fece insieme a Giovanni Tagini.Realizzati alcuni numeri ben riusciti, i due commisero peròun errore imperdonabile. Il logo del mensile conteneva una frase di Voltaire: «Non

approvo ciò che tu dici, ma difenderò a costo della mia vitail tuo diritto di dirlo» e la decisione di sopprimerla provocòla dura reazione del fondatore. Questo, unitamente ad altreincomprensioni, causò la fine del sodalizio. Io rimasi e con-tinuai a collaborare con i miei lavori di ricerca storica. A so-stituire Franzini, grafico di prim’ordine, arrivò Silvia Sacco,una ragazza timida e inesperta, ma con una grande voglia diapprendere. E la rivista, dopo un periodo di assestamento,riuscì a sopravvivere. Lavrano non stava bene. Soffriva diuna grave forma di diabete che lo aveva reso quasi cieco. Loaiutava nella gestione la Squarzanti, che prese la direzionedel mensile alla sua morte (14 novembre 2005) e, dopo circaun anno, ne pilotò la cessione all’Editore XY.IT. Quante volte, percorrendo in treno lo storico ponte sul

Ticino, là dove il fiume si gonfia uscendo dal lago, andai colpensiero agl’idrovolanti di Sesto Calende. Passando suquella distesa d’acqua, mi tornavano alla memoria le imma-gini sbiadite dei filmati d’epoca. Vedevo quelle macchine inapprontamento flottare sul fiume e staccarsi in volo, e mipareva di udire il rombo lancinante dei motori che tanto fa-ceva “Coppa Schneider”. Mi capitava anche d’immaginare isottili armi dei “Dopolavoro” solcare veloci lo specchio d’ac-qua, con gli equipaggi curvi nello sforzo e di avvertire i co-mandi secchi di chi scandiva i ritmi della voga. Ricordo ad Arona, in un pomeriggio d’estate, la tempesta

violenta sul lago. Poi, col diradarsi delle nubi, la Rocca diAngera stagliarsi di colpo, candida, sul fondale nero, cen-trata in pieno come in guerra dal fascio potente di una fo-toelettrica. E a Lesa, la tomba di Giulio Carcano: bellissima,ma trascurata da tempo. Quattro pesanti lapidi, consumatedagli anni, la opprimevano appoggiate ai lati. Ormai pres-soché illeggibili ricordavano la figlia Maria e la moglie Giu-

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lia Fontana. Fu un’impresa spostarle per scattare una fotodella grande arca, dopo averla ripulita con annaffiatoio e at-trezzi trovati sul posto, e liberata dalla bianca farina deposi-tata dai marmi. Trattandosi di ricerche storiche su personaggi del pas-

sato, la frequentazione dei cimiteri è normale cosa. Provail’emozione maggiore a Cannobio nel visitare la tomba delgenerale Annibale Bergonzoli, l’irriducibile “barba elettrica”.Due legni grezzi e spogli a formare una croce e la scritta, ap-pena scalfita: «Ho servito la Patria». E la lapide in rovinache ricorda il sottotenente di complemento Sandro Pu-gnetti, perito nel febbraio del 1941. Concittadino del gene-rale e studioso di economia corporativa, era stato conBergonzoli in Somalia al tempo dell’impresa d’Abissinia. As-sente in Spagna per motivi di studio, l’aveva raggiunto inNord-Africa dopo l’intervento dell’Italia nella Secondaguerra mondiale. Si era offerto volontario, perché nel 1939la sua classe non era stata ancora richiamata. Ventitreennecapo-manipolo della Milizia, ufficiale d’ordinanza di Ber-gonzoli, tornava di nuovo a fianco del generale. Catturatoad Agedabia, in Cirenaica, fu stroncato da una pallottolainglese che lo raggiunse dopo aver ferito un ufficiale italiano. Sparo accidentale, sentenziò “barba elettrica”, sempre ge-

neroso nei confronti del nemico: «Preferisco di credere adun errore piuttosto che ad un proposito» scrisse dalla pri-gionia, in una lettera indirizzata al padre del caduto. Ber-gonzoli aveva chiesto con insistenza al collega inglese diavere cura della sepoltura del giovane affinché, a guerra fi-nita, fosse possibile recuperarne la salma. Fu inascoltato. Ela Sirte ha cancellato ogni traccia, e il deserto ha mantenutoil segreto. La mia collaborazione a «Eco del Verbano» si è conclusa

con gli articoli qui riuniti. Rimane la nostalgia di un’espe-rienza felice.

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Febbraio

Gabriele d’Annunzio e la Torre

di Cavandone

Sempre alla ricerca di un tetto, Gabriele d’Annunzio cam-biò più volte dimora nel corso della sua movimentata esi-stenza prima di giungere all’approdo definitivo di Villa Car-gnacco sul Lago di Garda: il futuro Vittoriale. Perseguitatodai creditori – che avevano l’ardire di voler essere pagati –non poteva rimanere a lungo sul posto.

Emblematica la fuga del 1910 in Francia con l’abbando-no della Capponcina, la villa sui colli fiorentini ove avevascritto più della metà dei suoi lavori e amato Eleonora Duse,la celebre attrice drammatica. «Quando un uomo non hapiù debiti, cessa di essere giovine. Forse è per questo che iosono rimasto eternamente giovine», aveva confidato unavolta a Tom Antongini, il suo segretario factotum. Il poetapescarese voleva fare della sua vita un “capolavoro” e di con-seguenza non badava a spese. Ricavava molto dalla produ-zione letteraria della sua “officina”, ma spendeva molto dipiù.

Scelta una residenza, la stravolgeva completamente, ri-strutturandola da cima a fondo e disponendola secondo isuoi originalissimi gusti e la sua sensibilità estetica. La col-mava di oggetti strampalati, di sculture, di quadri, di ninnoliprovenienti da ogni dove. Così era accaduto per le sue nu-merose abitazioni, tra le quali: la già citata Capponcina, loChalet Saint-Dominique ad Arcachon nelle Lande francesi

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(luogo di produzione di quasi tutte le sue opere d’oltralpe),Il Serraglio a Maderno e il Vittoriale a Gardone.

Unica eccezione, la Casetta Rossa sul Canal Grande ve-neziano che d’Annunzio aveva iniziato a frequentare sin dal1896. Lì scrisse il Notturno dopo l’incidente di volo che loaveva parzialmente privato della vista. Era abitata da un suoamico tedesco il principe di Hohenlohe, amante dell’Italiae di Venezia. Scoppiata la “Grande Guerra” l’edificio, rima-sto vuoto e sequestrato perché appartenente a cittadino diPaese nemico, era stato occupato dal poeta per l’intera du-rata del conflitto. Ma per una sorta di deferenza, d’Annun-zio – contrariamente alle sue abitudini – non aveva toccatonulla.

Il vate era sempre alla ricerca di finanziatori. A trattarecon gli “usurieri” era però Antongini che per circa trent’annifigurò non solo come segretario, editore, procacciatore d’af-fari, ma anche come traente di quegli effetti che, venuti ascadenza, toglievano il buonumore al poeta. Questi, peral-tro, apparve su di essi sempre e soltanto in qualità di aval-lante. «Io, del denaro, ho un’idea fluida» diceva. E le ram-pogne dei creditori non dovevano preoccuparlo più di tan-to.

Un giorno del 1914 in Francia, avvertito da un preoccu-pato Antongini della presenza di alcuni postulanti invipe-riti, si fece all’ingresso dello studio e con un sorriso dolcemostrò al segretario, stretta nel palmo della mano, una sta-tuetta di Budda con incisa la scritta: “Me ne frego!”. A ri-prova che il celebre motto, fatto proprio dai legionari di Fiu-me nel 1920, non aveva un’origine guerriera.

«D’Annunzio è un creditore troppo sui generis – dicevadi lui un noto banchiere – Una sua cambiale non ha alcunvalore pratico (…) Una banca avrebbe più vantaggio a ven-dere a un amatore l’autografo della cambiale che a citare ilPoeta se questi non la pagasse alla scadenza».

Il romanziere aveva un debole per le torri. Da un tedescone acquistò una chiamata Ruhland, situata sulla spiaggia dellago presso Gardone. La trasformò in torre medievale e la

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Gabriele d’Annunzio a Fiume:dono del poeta a Tom Antongi-ni, il segretario “tuttofare”

Fiume d’Italia, 1920. Gabrieled’Annunzio mentre gioca a boc-ce con i suoi ufficiali nel palazzo della Reggenza del Carnaro

Album – Gabriele d’Annunzio e la Torre di Cavandone 221

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Gabriele d’Annunzio: “Arbiter elegan-tiarum”

Il poeta guerriero sullo SVA biposto, con il pilota NatalePalli. Volo su Vienna (9 agosto 1918)

Fiume d’Italia 11 giugno1920. Il vate attorniatodai suoi legionari

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Gabriele d’Annunzio e la Torre di Cavandone

ribattezzò Torre di San Marco. Affermava di averne posse-duta un’altra sul Lago Maggiore, abbandonata e romantica:la Torre di Cavandone. L’Antongini, pur ritenendosi unesperto conoscitore della zona, non l’aveva mai sentita no-minare. Epperò la torre esiste e d’Annunzio di certo la co-nobbe.

Il poeta la descrive dotata di due camere di tre metri qua-drati ciascuna, anch’esse diroccate, prive di riscaldamento.Gli accenni, fatti sempre con un sorrisetto malizioso, basta-rono a far nascere nel segretario il sospetto che questa di-mora fosse soltanto un parto della fantasia del letterato, nonessendo mai comparso un documento atto a provarne l’esi-stenza.

In realtà, si trova sulle pendici Sud-ovest del Monte Ros-so a metà strada fra Suna e Cavandone, dinanzi a un pano-rama che riconciliò con la vita persino Richard Wagner incrisi. Dalla torre, poggiata su di una roccia levigata, il monteprecipita verso Suna, adagiata lungo la riva piemontese delVerbano. La strada carrozzabile – che dal lago conduce alpaesino in collina dalle strade a ciottoli – passa poco al disopra dell’antica mulattiera, che si snoda nel bosco di gineprie larici con muriccioli a secco.

La torre era utilizzata nel medioevo con funzioni di con-trollo. Di giorno le segnalazioni venivano fatte con fumate,bandiere e invio di colombi; di notte, con fuochi su padel-loni. Forse era stata edificata sin dai tempi di Roma antica,ma di questo non esiste prova. Pio Bondioli ce ne dà una de-scrizione in La Torre di Cavandone attraverso i secoli (libroraro, stampato a Milano nel 1942, disponibile presso la Bi-blioteca Mario Rostoni dell’Università LIUC Carlo Catta-neo di Castellanza). A quel tempo la zona era signoreggiatadai Conti di Castello, alleati dei Conti di Biandrate.

La struttura attuale della costruzione risale alla fine delXII secolo. Dotata di pianta rettangolare (9 m × 7,50 m), èalta 18 m con mura in pietra e tetto spiovente a due falde.Alla base il muro ha lo spessore di 1,50 m. La porta si trovavain origine a circa tre metri dal suolo e per accedervi il guar-

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Album – Gabriele d’Annunzio e la Torre di Cavandone 219

La “Torraccia” ripresa agl’inizi degli anni Quaranta del secolo scorso, a ristrutturazione e re-stauro non ancora ultimati

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Album – Gabriele d’Annunzio e la Torre di Cavandone 223

“La Torraccia” ritratta dall’autore dell’articolo nel gennaio 2008

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diano utilizzava una scaletta a pioli che poi ritirava durantela notte. ora è stata trasformata in balcone con l’aggiuntadi un parapetto cinquecentesco in ferro battuto. Interna-mente era divisa in quattro piani con soffitti a travetti. Il pri-mo a livello della porta aveva un camino e un cesso che davaal di fuori attraverso il muro. Un altro cesso era posto allasommità della torre ed era costituito da una lastra in pietra,forata al centro, sporgente nel vuoto.

nella guerra fratricida tra novara e Vercelli, i Conti diBiandrate e quelli di Castello ebbero la peggio. La torre, di-venuta proprietà dei Visconti e poi degli Sforza, rimase aiBorromeo fino all’abolizione dei feudi voluta dalla Repub-blica Cisalpina alla fine del Settecento. Venuta meno la suafunzione di controllo fu abbandonata e soltanto il difficileaccesso la salvò dalla distruzione totale.

Le intemperie fecero il resto. I soffitti, i pavimenti e lescale, per lo più in legno, precipitarono. Con la consunzionedelle travature di sostegno crollò il tetto. Isolata e tetra, colpassare del tempo, alla torre furono associati ricordi paurosie fantastici. La gente del posto prese a chiamarla “La Tor-raccia” con un misto di disprezzo e di timore.

D’Annunzio sicuramente la visitò. La sua descrizione fat-ta all’Antongini coincide con quanto scritto dal Bondioli.Ma il futuro e intrepido violatore di Vienna e di Buccari eb-be effettivamente dimora nella torre? La vexata quaestio èdestinata a rimanere uno dei tanti enigmi irrisolti della Sto-ria. Franco Baroni Donati, scrivendo sulla «Gazzetta delLago Maggiore» del 18 giugno 1938, rifacendosi a quantonarrato nei suoi scritti dall’Antongini, propende per il sì. Diparere opposto è l’americano William B. Kaupe, allora pro-prietario della Villa Eremitaggio di Pallanza.

Secondo il mecenate di origine tedesca, la torre «non èmai stata in possesso di Gabriele d’Annunzio che mai vi èabitato». Amante dell’arte e abituale viaggiatore, Kaupel’aveva comperata nell’aprile del 1910 – per salvarla dalla ro-vina a suo dire – da Viani, banchiere di Pallanza. In realtàViani, di antica e nobile famiglia, pittore oltre che banchie-

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re, incontrando un giorno d’Annunzio a Milano presso l’edi-tore Treves, gliel’aveva regalata affinché ne scrivesse in qual-che suo lavoro. Donazione solo verbale, però. Tant’è che poi– dimenticatosene d’Annunzio e rimasta la torre di sua pro-prietà – il Viani l’aveva ceduta all’americano.

ora “La Torraccia” appartiene alla famiglia Cerini deiVisconti di Castegnate che la acquistarono dal Kaupe nelcorso della Seconda guerra mondiale. Completamente ri-strutturata e dotata di tutti i servizi necessari conserva, ri-gorosamente inalterata, la struttura medievale del tempo.oggi è una singolare abitazione di vacanza, suggestiva e fun-zionale.

Gabriele d’Annunzio e la Torre di Cavandone

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La “Torraccia” innevata

Un’altra visione della “Torraccia” fra gli alberi

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Marzo

Massimo d’Azeglio a CanneroRicordo di un esilio volontario

«Ho da fare il Re Galantuomo?» aveva chiesto sorridendoVittorio Emanuele II un giorno del 1849. Il marchese Mas-simo Taparelli d’Azeglio, ricordandogli che nella Storia sen’erano visti veramente pochi di sovrani di tal fatta, gli sug-geriva di cominciarne la serie. «Ebbene, il mestiere mi parfacile» era stata la risposta. «E il Re Galantuomo l’abbia-mo» aveva sentenziato il primo ministro del Regno sardo,sottolineando come il giovane figlio di Carlo Alberto, suc-cedendo al padre dopo il disastro di novara, avesse tenutofede allo Statuto e pensato all’Italia e non al Piemonte.

L’aneddoto è sintomatico della natura del d’Azeglio e dicome le figure pubbliche avrebbero dovuto operare nella suaconcezione dello Stato. L’uomo politico era nato a Torinonel 1798 da nobile famiglia. Suo padre, generale dell’eserci-to, gli aveva impartito una rigida educazione tale da lasciarein lui un’impronta indelebile, bastevole a instradarlo e aesaurire quella sorta di ribellione spontanea, responsabileper un breve periodo di tempo della sua vita scapestrata. Ilragazzo amava l’arte e suonava il pianoforte.

Ancora sedicenne, aveva conosciuto Roma al seguito delpadre, inviato nelle terre del papa in missione diplomatica.nella città era poi tornato spinto dalla sua vocazione arti-stica e a partire dal 1818 aveva iniziato a distinguersi comepittore dipingendo non solo per diletto, ma anche per me-stiere. In tal modo era riuscito per alcuni anni a mantenersi

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Verbano e dintorni a ritroso nel tempo

senza ricorrere all’aiuto della famiglia. Dipingeva vedute eavvenimenti. Lo stile romantico-naturalistico ricordava certipittori fiamminghi; non per nulla era stato allievo di Mar-tino Verstappen di Anversa.

D’Azeglio apparteneva ai cultori della cosiddetta “pitturaistoriata” che consisteva nel raffigurare fatti significativi del-la storia ambientandoli in un contesto paesaggistico. Le sueopere, pur se di buona fattura, sono molto datate. Fa ecce-zione Lo studio del Pittore a Napoli (olio su tela del 1827),sintetico e singolarmente moderno nell’esecuzione. Il qua-dro, dipinto durante un soggiorno nella città partenopea –tappa obbligata per tutti i vedutisti – rappresenta lo studiodel d’Azeglio aperto all’ariosa visione del celebre golfo.

I lavori dell’artista ottocentesco sono oggi presenti neimusei importanti: specie a Torino, al Museo del Risorgi-mento (la più parte) e alla Galleria d’Arte Moderna. Unodei quadri più famosi, La disfida di Barletta, gli propiziòun buon successo anche come scrittore. Mentre eseguival’olio della famosa tenzone cavalleresca del 1503 fra campio-ni italiani e francesi (Francia e Spagna si stavano disputandol’Italia meridionale), il pittore pensò di ricavarne un libro.Questo apparve nel 1833 col titolo Ettore Fieramosca o Ladisfida di Barletta e conobbe un’immediata fortuna.

«Il mio scopo non fu raccontar novelle, bensì rialzare apoco a poco lo spirito pubblico in Italia», scriverà nei MieiRicordi. Ci si avviava al Risorgimento e il romanzo nell’esal-tare quella lontana esplosione di orgoglio nazionale, inso-spettata in soldati mercenari pronti a darsi al miglior offe-rente, sembrava invitare gl’italiani a imitare l’eroismo delFieramosca, di Fanfulla da Lodi e di quanti altri.

Ciò che mancava ai connazionali – era il senso di quellarievocazione – non erano le virtù individuali del coraggio edell’onore, ma la concezione dello Stato e la consapevolezzadi essere uniti da un comune destino. Tesi che più tardi pia-cerà molto al fascismo. Tant’è che nel 1938 il regista Ales-sandro Blasetti s’ispirerà al romanzo per il film Ettore Fie-

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Album – Massimo d’Azeglio a Cannero 225

Massimo d’Azeglio ritratto dal celebre pittore veneziano Francesco Hayez (olio su tela, 1860)

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Massimo d’Azeglio a Cannero

ramosca, caratterizzato da una forte tensione patriottica, conGino Cervi giovane protagonista.

La naturale sensibilità artistica, sommata alle conoscenzeacquisite con lo studio, valsero al pittore la nomina a diret-tore dell’Accademia di belle Arti di Torino, tenuta sino allamorte avvenuta nel 1866, a soli sessantasette anni. D’Azegliofu un protagonista del Risorgimento, fedele a Casa Savoia.nei confronti della “questione romana” tenne però una po-sizione personale diversa da quella torinese differenziandosida Cavour.

non era un laico anticlericale, bensì un cattolico fervente.Ciò non gl’impedì di criticare in maniera oculata e talvoltaestremamente severa lo Stato pontificio e di giudicare nega-tivamente l’operato di Gregorio XVI, sordo a ogni richiestadi riforme. Con l’ascesa al soglio di Pio IX sembrò al d’Aze-glio che le migliori speranze potessero avverarsi. Incontrò ilnuovo Papa a Roma, senza esimersi dal baciargli con tra-sporto la pantofola e, pur constatando in seguito il venir me-no degli entusiasmi in lui riposti, non appoggiò mai una so-luzione di forza nei confronti dello Stato della Chiesa, arri-vando a condannare apertamente Garibaldi per la sua ini-ziativa fallita nell’Aspromonte.

A Cannero, sul Lago Maggiore, si ritirava nei momentidi malinconia. Il 16 agosto 1862, dopo la discussione in Par-lamento dell’ordine del giorno per Roma capitale, il diplo-matico intemerato scrive al suo caro amico novarese, Giu-seppe Torelli: «La qual soluzione, a mio credere, sarebbequesta. Roma sotto la legge italiana; il Papa solo in Roma;sovranità nominale; un Municipio che si chiamerebbe Se-nato (come usa) per l’éclairage, la pulizia urbana, ecc.; Romainfine città santa, ma libera come la Mecca».

D’Azeglio aveva acquistato in località Cassino, tra og-gebbio e Cannero, un rustico in pietra, edificato su di un ri-piano roccioso, lambito dalle acque del Verbano. Lo chia-mava “casino” e qui si rifugiava per riaversi dalle ricorrentidelusioni della politica, complice la sua dirittura morale chelo faceva intransigente con gli altri e ancor più con se stesso.

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nel 1860 si era dimesso dall’incarico di Governatore di Mi-lano per non «essere mescolato a pasticci, dei quali neppureson messo nella confidenza». E senza il minimo rimpiantoper i 60 mila franchi di compenso attribuiti alla funzione(dopo Villafranca, la Lombardia era divenuta possedimentofrancese per essere poi ceduta ai Savoia).

o come quando alcuni anni prima (terminata la guerradi Crimea) per uno scrupoloso eccesso di prudenza avevarinunciato a rappresentare il Regno sardo alla Conferenzadi pace di Parigi, nel febbraio del 1856, mancando di esibirsiin un consesso europeo di altissimo livello (occasione splen-didamente sfruttata da Cavour). Allora fuggiva a Canneroa scrivere e a pensare all’educazione civile e morale degl’ita-liani; in quell’esilio ove «Gli alberi son verdi, il sole scotta(…) dove nessuno s’ammala, né muore mai», là ove «si godela bramata salute».

«Abbiamo messo insieme un’Italia appena imbastita, eche conviene cucire (…) vorrei vedere nel carattere italianospuntare doti virili – si sfogava ancora una volta col Torelli,suo abituale corrispondente – vorrei vedere nelle loro venecorrere una goccia di buon sangue, e non solamente cremaalla vaniglia, o per dir meglio all’invidia: vorrei veder stoffa,sia pur macchiata (le macchie si lavano) ma stoffa forte esolida, e non cenci che non tengano il punto».

A volte era turbato, preda del pessimismo. Scrivendo al-l’amico nel maggio del 1865 rammentava di come, incon-trato un noto uomo politico e avendogli espresso la sua pie-na disponibilità a fare ogni sforzo per giungere a una ricon-ciliazione nazionale, questi gli rispondesse piccato: «… cheè incredibile come i Piemontesi odiano i Milanesi!». «Ilfatto però si è – commentava sconsolato il d’Azeglio – chein fondo del cuore, ci odiamo tutti in Italia, che è una veradelizia! Che cosa n’uscirà lo sa solo Iddio».

nel “casino” di Cannero accadeva frequentemente che visi ritrovassero numerosi ospiti e alcune stanze erano adibitealla bisogna. Refrattario agli inviti reiterati era proprio il To-relli, però, che non si decideva mai a far visita al volontario

Verbano e dintorni a ritroso nel tempo

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Copertina interna del romanzoEttore Fieramosca di Massimod’Azeglio

Incisione che ritrae il d’Azeglionegli ultimi anni della sua vita

Copertina del libro di memo-rie I miei ricordi di Massimod’Azeglio, uscito postumo e in-completo

Album – Massimo d’Azeglio a Cannero 227

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Olio su tela (1838) di Massimo d’Azeglio: il duca Emanuele Filiberto vince ifrancesi ai Campi di San Quintino

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Lo studio del Pittore a Napoli(olio su tela, 1872) di Massimod’Azeglio

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esule. Il confidente, anch’egli raffinato scrittore, si occuperàdei Ricordi (rimasti incompiuti e pubblicati postumi) ten-tando di completarli. Ma non ne avrà il tempo. Morirà tremesi dopo la scomparsa dell’autore.

«or che l’Italia s’è fatta, è d’uopo fare gl’Italiani» avevasentenziato d’Azeglio nel 1861, all’indomani della procla-mazione del Regno d’Italia. Da quel proposito lodevole so-no trascorsi soltanto centoquarantasette anni. È lecito es-sere ottimisti e non disperare.

Massimo d’Azeglio a Cannero

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Attacco di cavalleria (olio su lastra metal-lica, 1845 circa) di Massimo d’Azeglio / Illustrazione del libro di Massimo d’Aze-glio, Ettore Fieramosca ossia la disfi da di Barletta, Carrara, Milano 1872 / Scena di combattimento della celebre disfi da tra italiani e francesi (incisione)

Album –Massimo d’Azeglio a Cannero 229

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228 Verbano e dintorni a ritroso nel tempo

Particolare della Villa dell’uomo politico, scrittore e artista a Cassino di Can-nero

Scorcio di Villa d’Azeglio aCannero, edificata nei pressidel tuttora esistente casino inpietra

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