GIOVANNI REALE · LO SPIRITUALE IN GIOVANNI REALE Marco Calì-Zucconi Curatore Con la mostra...

40
GIOVANNI REALE Antologica A cura di Marco Calì-Zucconi

Transcript of GIOVANNI REALE · LO SPIRITUALE IN GIOVANNI REALE Marco Calì-Zucconi Curatore Con la mostra...

GIOVANNI REALE

Antologica

A cura di Marco Calì-Zucconi

GIOVANNI REALE

Antologica

A cura di Marco Calì-Zucconi

Si ringrazia, in modo particolare, l’Assemblea Capitolina

per aver consentito la realizzazione del progetto.

rganizzazione a cura di

www.associazioneilcuore.it

[email protected]

Museo delle Mura

Inaugurazione 3 maggio 2013

Via di Porta San Sebastiano, 18 – 00179 Roma

Mostra: 3 – 18 Maggio 2013 – Martedì / Sabato 09:00 – 14:00

LO SPIRITUALE IN GIOVANNI REALE Marco Calì-Zucconi

Curatore Con la mostra personale, accolta presso il Museo delle Mura di Roma, Giovanni Reale espone il proprio percorso pittorico, frutto di una lunga ricerca. La scelta del Museo è funzionale alle aspettative contenutistiche dell’esposizione artistica, in quanto la sua storica struttura architettonica, costituita da due spazi rotondi, cioè le torri, collegate da un corpo centrale comunicante, risponde a pieno all’idea strutturale e contenutistica del percorso artistico ideato originalmente. Tre tappe distinte, ma collegate tra di loro attraverso uno stesso denominatore comune, inteso come un unico corpo, o viatico, della decennale ricerca artistica intrapresa dall’artista Giovanni Reale. Il Museo delle Mura si trova inserito nel complesso archeologico-architettonico della Porta San Sebastiano, che è la più grande delle porte nella cinta difensiva delle Mura Aureliane di Roma. Essa fu edificata in epoca Aureliana verso il 275. Originariamente si sa che il nome originario era Porta Appia poiché da lì passava la Via Appia, la regina viarum che cominciava poco più indietro dalla Porta Capena delle Mura Serviane, interessata da grossi movimenti di traffico cittadino. Tra i molteplici eventi relativi alla Porta, si ricorda quello del 1536, quando l’architetto Antonio da Sangallo, la trasformò in un vero e proprio arco di trionfo, in occasione dell’ingresso in Roma dell’imperatore Carlo V (avvenimento ricordato in una iscrizione sopra l’arco). All’interno di tale contesto storico, passato e presente si fondono, attraverso le narrazioni pittoriche di Giovanni Reale. Egli canalizza la propria attenzione all’esistenza in continuo divenire, nel riconoscimento della propria soggettività. Il suo fare arte riflette i movimenti dell’anima e del cuore, che lo conduce a ripercorrere movimenti evolutivi della propria esistenza umana, conducendolo verso se stesso e al rafforzamento del propri senso di appartenenza, attraverso un’arte sempre più in trasformazione. La sperimentazione è alla base della sua ricerca artistica attraverso l’uso di varie tecniche, scelte dall’artista a seconda dello stato emotivo. Così l’artista trasferisce alla tela sensazioni, emozioni, atmosfere, osservazioni, esperienze e riflessioni. La sua, non è una gestualità senza senso, ma, come già espresso, esprime le sue

scelte e le sue priorità in funzione di una strategia metodologia orientata verso un processo di integrazione e di azione. L’uso meticoloso e controllato degli utensili della spatola, del pennello, delle punte, si alterna all’irruenza psichico-energetica pittorico realizzativi. Il gesto riflessivo dell’asportazione o della sovrapposizione del colore nelle tele, bilanciano lo slancio psichico-emotivo magmatico che l’artista proietta sulla superficie pittorica. In questo senso l’artista è il veicolo responsabile dell’opera, la quale assume caratteristiche iconografiche che si identificano in uno spazio culturale aperto, senza limiti, senza compartimenti, nella sospensione di significati oggettivi oggettivamente riconoscibili e nominabili. Il segno, o il gesto pittorico, è l’unica realtà evocativa e laica, capace di trascendere l’esistente oggettivo per un immaginario di ampio respiro. A tal proposito, il pittore francese André Masson definisce due aspetti: da una parte, quello della pittura, dei suoi gesti e dei suoi strumenti creativi; dall’altra quello dell’ideografia cinese, caratterizzato dai segni asiatici, i quali non sono modelli ispiratori o fonti, bensì conduttori di energia grafica, citazioni deformate, reperibili secondo il tratto, non secondo la lettera. La semiografia di Masson ci dice che la traccia pitto-grafica, non trascende il segno in quanto scrittura significante, ma, privato del suo riferimento storico scritturale millenario, assume connotazioni di uno spazio a-significante della pulsione energetica, ovvero corporea. Propriamente al processo creativo di Giovanni Reale, il suo gesto costruisce una pianificazione, apparentemente illogica, spinto da una necessità interiore che muove il pennello secondo il proprio corpo, ritrovando la logica della propria verità. La sua pittura ci rimanda al corpo, perché è da lì che scaturiscono le realtà interiori, luci premonitrici di realtà creative nuove. Egli è consapevole del fatto: “Non so mai quello che devo fare prima. Ma ogni volta che sento un forte bisogno di dipingere, devo creare subito.” E‘ la tensione interna che spinge l’artista, per una sorta di urgenza psico-corporea, ad abbandonarsi al profondo impulso creativo, che ritroviamo in ogni punto della tela, secondo una concezione artistica, rigorosamente coerente al proprio vissuto, le cui molteplici tecniche artistiche si identificano con la sua necessità espressiva. Ciò a significare, in primo luogo, che la sua opera E’ l’elaborazione scaturita dal mondo interno dell’artista e, in secondo luogo, “L’atto creativo”, come sosteneva Kandjnsky, “è determinato dalla

necessità interiore”, il quale è strettamente collegato a “leggi” che regolano e armonizzano i vissuti personali. Concetto, questo, ripreso e ribadito successivamente, dallo psichiatra Gustav Jung, il quale sostiene che l’atto creativo è un mezzo attraverso il quale la persona può entrare in contatto con i contenuti interni e dargli così voce, ottimizzando un suo equilibrio di vita. Quando nel 1898, l’artista pittore Odilon Redon, scrisse in una sua lettera: "Rien ne se fait en art par la volonté seule. Tout se fait par la soummission docile à la venue de l'inconscient ...", preannunciava con grande chiaroveggente lucidità, il pronunciamento del consapevole stato di sé, il quale, privato da ogni ingerenza contenutistica a sfondo religioso, politico, estetico-filosofico o altro, concentra la motivazione dell’atto creativo esclusivamente attorno all’essere, espresso con grande umiltà da Pollock, nel 1957, nel corso di una intervista rilasciata a Selden Roman: “La pittura è uno stato dell’essere… La pittura è la scoperta di sé. Ogni buon artista dipinge ciò che è.” [da Jackson Pollock Lettere, riflessioni, testimonianze – A cura di Elena Pontiggia – Ed. SE, 1991] Mai come in quest’ultimo ventennio il luogo esperienziale di umana fucina è stato così evitato . Sin da quando Edward Munch trovò la forza e il coraggio di lasciare emergere le proprie drammatiche realtà interiori e mostrarne al mondo la sua esistenza, per primo, allorquando ancora la scienza era scettica nel decodificare l’appellativo più famoso e più abusato del XX secolo: inconscio. Nella pittura di Giovanni Reale riemerge l’urgenza di offrire voce a questo aspetto, ma in aggiunta alla percezione esistenziale di tipo cosmico-spirituale. La tensione e la complessità delle linee, i movimenti intrecciati nella ricchezza delle sovrapposizioni cadenzate da segni e cromatismi in mutevole alternanza ordinata, danno l’impressione che ogni quadro può prolungarsi all’infinito e in ogni direzione. In tal senso i suoi quadri appaiono come delle complesse realtà concatenate marcati da frammenti di caos luminoso, attraverso i quali, il fruitore ritrova sorprendentemente un ordine visivo, che come Pollock, attraverso la sua esperienza dell’action painting, “fa del suo quadro non un centro coagulante e attivo, ma una unità cosmogonica in costante espansione, l’insieme di frammenti indeterminativi di un caos interiore. [da Jackson Pollock Lettere, riflessioni, testimonianze – A cura di Elena Pontiggia – Ed. SE, 1991] Tuttavia il percorso creativo di Giovanni Reale presenta uno sviluppo di stesse tematiche, sviluppate contemporaneamente sin dai suoi esordi artistici, nel corso degli anni, in una sorta di viatico

autobiografico. All’interno dei suoi lavori, compaiono elementi di tipo informale o iconografico non decodificabili, campi aperti che invitano diverse soluzioni, che l’artista ricompone nel tempo in modo sequenziale, aggiungendo nuove versioni dipinte, lasciando spazio a interpretazioni sempre nuove. Questa libertà di lasciare spazio alla libera visione, tanto cara all’artista Max Ernst, era già stata presa in considerazione dal pittore rinascimentale fiorentino, Piero di Cosimo. Vasari, per la sua capacità d'invenzione fantastica, che stupisce ancora oggi, lo definì "Ingegno astratto e difforme" Sempre Vasari ci scrive in suo proposito della sua personalità: “Recavasi spesso a vedere o animali o erbe o qualche cosa, che la natura fa per istranezza et accaso di molte volte; e ne aveva un contento et una satisfazione che lo furava tutto a sé stesso. E replicavalo ne' suoi ragionamenti tante volte, che veniva talvolta, ancor che è se n'avesse piacere, a fastidio. Fermavasi tallora a considerare un muro, dove lungamente fusse stato sputato da persone malate e ne cavava le battaglie de' cavagli e le più fantastiche città e più gran paesi che si vedesse mai; simil faceva de' nuvoli de l'aria.“ [Giorgio Vasari, Le vite de’ più eccellenti pittori, scultori e architetti, Giunti, Firenze 1568] L’esperienza del saper vedere e del saper lasciar spazio a nuove libere interpretazioni visive, coincide con ciò che Luigi Paolo Finizio definisce: “Un’immagine è una traccia mnemonica che prende la forma di una rappresentazione, che può essere interna o esterna alla nostra mente. Può cioè l’immagine essere sollecitata e costituirsi all’esterno della nostra mente o può insorgere e definirsi a suo interno …quando l’immagine visiva si costituisce all’interno della nostra mente non richiede, per essere evocata, dell’eventuale corrispondente esterno. Il primo prodotto appartiene all’immaginare il secondo al percepire. Ma più di queste essenziali distinzioni, cui vanno connesse le facoltà diverse ma non separate dei nostri processi cognitivi e sensori, qui preme tener conto del fatto che sia l’attività del vedere che del visualizzare s’innestino ai processi di senso. …In termini di significazione l’esercizio espressivo del vedere, con le sue capacità metaforiche, dà vita a un vero e proprio processo di produzione estetica. Un processo cui il vedere partecipa con le proprie qualità percettive e capacità di simbolizzazione. ” [Arte, linguaggio e senso - Luigi Paolo Finizio, Ed. Bulzoni, 1986] Il dipingere di Giovanni Reale innesca una serie di connotazioni linguistiche, estrapolati da ogni riconoscimento nominabile e allo stesso tempo atemporali, tali da trasmettere comunque

un’esperienza fruitiva, la cui elaborazione simbolica è il prolungamento dell’esperienza di chi guarda l’opera. Per dirla con le parole di Wittgenstein, “la rappresentazione di ciò che si è visto” è conforme ai significati e i valori “dell’esperienza vissuta” del singolo fruitore. E, se per Joseph Beuys “L’artista è il catalizzatore della creatività degli individui”, la pittura di Reale esprime una figurazione di Mondo, il cui prolungamento della sua esperienza creativa è, in senso heideggeriano, un Essere al Mondo. In altre parole, il suo fare arte esprime una forte affermazione della vita, sostenuto dal personale senso di appartenenza all’esistenza e al Mondo, in quanto affermazione del proprio Sé. E proprio per questo egli innesca un’indagine del senso primordiale dell’esistenza in quanto fenomeno e dell’elemento vitale primordiale. Questo spiega la ciclica enunciazione dei valori spirituali assoluti come quello della luce, del cosmo, della materia, delle forme vitali microcosmiche e macrocosmiche, del processo di autorigenerazione della Natura e il suo significato di immortalità. Il gesto creativo consapevole di Giovanni Reale si assume la responsabilità della sua narrazione ciclica, come a dire che il senso profondo dell’atto primordiale della vita, coincide proprio là dove nella fine si trova l’inizio. Il seguente catalogo, illustra la metodologia di pensiero artistico di Giovanni Reale, che si riflette nelle opere, raggruppate in sei cicli. E’ il tentativo di ripercorrere i filoni principali dell’opera complessiva, a cominciare dal senso “Della Vita”, intesa come una ricerca del senso dell’esperienza vitale, nel senso dell’esperienza del sentir-si, attraverso la presa di coscienza di vissuti corporei, in senso loweniano. Piegarsi all’ascolto interiore, significa percepire le realtà fisiologiche che orientano la Persona e il suo pensiero, nelle scelte di vita. Il senso dell’esperienza passa anche attraverso il sentimento del dolore, il quale procura un attraversamento catartico, “Metamorfosi”, che solo l’accettazione e la comprensione fenomenica conduce a un rinnovato equilibrio vitale e alla scoperta della propria sorgente vitale o “Luci dell’Anima”. Solo allora, l’umile e coraggiosa flessione del vedere dentro di sé, offre la possibilità di entrare in contatto con il linguaggio simbolico che contiene il senso dell'esperienza e del nuovo.

Così come muove il respiro, l’atto del vedere dentro innalza lo sguardo della visione, che riconosce ciò che è dentro di noi, differenziandolo da ciò che è esterno a noi, armonizzando l’inquietudine dell’esistenza. Solo allora è possibile scorgere, le eterne leggi della vita e della “Natura Immortale”, che aderiscono al senso primordiale del cosmo. Mentre il passato riacquista valore sottoforma di “Paesaggi della Memoria”. Le opere raccolte nell’ultimo ciclo “Natura Immortale” sono vere e proprie narrazioni intimistiche. Non già finestra sulla Natura, come erano adusi raffigurare gli artisti italiani, prima, e gli artisti francesi, successivamente, nella seconda metà del XIX secolo, i quali veicolavano le soggettive impressioni retinico-sensoriali attraverso il colore. Non si tratta di allegorie simboliche come le figurazioni primitive e fiabesche di Henry Rousseau. Né tantomeno rappresentazioni realistico ideologico come per i Tappeti natura dello scultore Piero Gilardi, riproducendo, in modo estremamente realistico, frammenti di ambiente naturale, a scopo di denuncia verso uno stile di vita che nel tempo diventa sempre più artificiale. Bensì, le opere di Giovanni Reale, esprimono la personale percezione intimistica dell’artista, basata sul rapporto tra sé e l’idea di una Natura che vede rinnovare l’interpretazione ideale nell’incontro tra fruitore e l’opera artistica in maniera attiva, coinvolgendo, l’osservatore stesso, a una osservazione creativa. E non conta quanto sia riconoscibile l’oggettività della Natura in sé all’interno dei quadri, quanto piuttosto il rapporto interiore con l’idea di naturalità, intesa come valore spirituale fondamentale ai valori evolutivi dell’umano. .

SIGFRIDO OLIVA

Ritratto di Giovanni Reale

GIOVANNI REALE

Articolo estratto da: “Segnalazioni”, Edizioni Kappa, 2012, pp. 91-92 Sigfrido Oliva

artista, scrittore Giovanni Reale è un pittore sostanzialmente istintivo, uno che conduce la battaglia pittorica sulla spinta dell’istintività. In questo egli può ricordare, per certi versi, gli espressionisti la cui forza sta proprio nell’idea irrazionale dell’arte. Così anche Reale, in modo del tutto spontaneo e involontario, orienta il suo percorso in un ambito culturale tracciato da quel gruppo che in Germania, all’inizio del secolo scorso, prese nome di “De Brucke”. Nei quadri di Gianni infatti, specie quelli a motivi naturalistici (fiori, alberi, e simili), si privilegia una tavolozza esplosiva, vivace, fitta di contrasti più che di assonanze cromatiche. Talora la pennellata è materia, scattante e veloce come una sciabolata, riassuntiva e vigorosa; altre volte invece le stesure sono affidate a un tocco di pennello più analitico, attento nel dettaglio di una composizione geometrica. E’ il caso del ciclo iniziale di opere, in cui il pittore affronta, con disinvolta spregiudicatezza, temi e poetiche di area cubo-futuristica, dove si esalta maggiormente l’equilibrio formale e il colore che qui ha una esclusiva funzione linguistica. Ora però, al di là delle suggestioni implicite, bisogna sottolineare la costanza e l’impegno con cui Gianni Reale ha saputo realizzare, nel giro di pochissimi anni, un numero non indifferente di opere tra dipinti e grafiche di notevole valore. Ci si chiede, dove troverà il tempo e l’energia, dato che il suo impegno professionale, come si sa, è un altro ? mistero che soltanto il pittore, con la semplicità e la naturalezza che gli sono proprie, saprebbe svelarci. Ma, forse, la spiegazione è da ricercarsi nel valore che Reale stesso attribuisce alla pittura. Certo è che per lui l’arte costituisce un rifugio sicuro, un asilo in cui trovare protezione e conforto, ma anche risposte alternative ai suoi tanti perché e, soprattutto, alla sua ansia di interpretare la realtà che lo circonda.

GUIDO RAZZI Ritratto di Giovanni Reale

1984

MEDICINA e ARTE

La mostra di pittura di Giovanni Reale al Congresso di Chirurgia della Tiroide di Scanno Luciano Serpellone

giornalista Nella cornice affascinante e salubre della cittadina di Scanno si è tenuto 8 settembre 2010 il Congresso di Chirurgia della Tiroide. Ma gli argomenti non sono stati limitati alla sola medicina: parallelamente agli incontri puramente scientifici, un ampio spazio è stato riservato ad aspetti artistici e culturali generali, grafici e storici. Nell’ambito grafico un interesse particolare hanno destato i lavori dell’artista Giovanni Reale. Tale interesse è legato sia alle tematiche sia alla particolare cromaticità delle opere. Ma perché una mostra di pittura ad un Congresso medico ? l’artista ci ha sottolineato il forte legame che la sua pittura ha con la salute, essendo legata strettamente alla sua esperienza di vita e alla sua storia personale. L’attività pittorica di Reale è infatti molto recente, legata alla devastante scoperta di una malattia molto grave (comportante un trapianto di un organo) e al successivo superamento della malattia stessa, con una “rinascita” spirituale ed emotiva che, da semplice artigiano, sfociava in una immensa passione artistica. E’ curioso osservare come la particolare modalità espressiva tipica, attualmente, del Reale, sia nata dal caso che tante volte guida la vita di scienziati e artisti: da una pennellata sbagliata, venuta fuori senza premeditazione, che apriva un nuovo campo di profonda espressività. Attraverso le opere di questo artista si evidenzia continuamente proprio il tema della ricerca, del tendere verso gli elementi profondi, essenziali e modulari che costituiscono la “base invisibile” della realtà. Nella ripetizione degli elementi base, resi individuali dalla variazione cromatica “affettiva”, si sorge infatti, sempre presente, l’interesse per la trama sottostante del reale.

L’ultimo periodo, rappresentato dai quadri esposti, ci consegna alle strutture microscopiche e modulari della natura, sia esse vegetali, animale, psichica. La visione di queste opere, indispensabile al di là delle opere, illustra un percorso di ricerca forse ancora in fieri, che lo stesso autore non è in grado di guidare, espressione istintiva e quasi inconsapevole del proprio io profondo, che rende l’artista stesso meravigliato di ciò che, attraverso lo strumento pittorico, fuoriesce e si manifesta sulla tela. Un artista spontaneo ma intenso, che va seguito attentamente in questa ricerca di se stesso, che tutti vorremmo effettuare.

METAMORFOSI DELLA MATERIA

NEL PERCORSO PITTORICO DI GIOVANNI REALE Paolo Luceri Sotto un profilo metodologico potrebbe sembrare eccessivo o intellettualistico il ricorso alle disquisizioni dei trattati di pittura od alle affermazioni con le quali gli artisti hanno voluto dare accesso alle loro opere, anche quando la apparente chiarezza della forma rappresentata non avrebbe dovuto esigere alcuna spiegazione, se invero dipingere, per dirla con le parole del genio leonardesco, non fosse “fare che una superficie piana si dimostri un corpo rilevato”, ed anche se non corpo – sia consentito aggiungere - sempre oggetto nello spazio, e se non corpo addirittura suono, o nota musicale, sempre riproduzione spaziale, e quindi estensione o dimensione per la quale non è possibile altro strumento di lettura che non sia l’occhio. Gli artisti che hanno inviato a vedere oltre l’immagine o che hanno dato il suggerimento non di vedere con l’occhio ma con il cuore, non hanno voluto dire di interpretare oltre i segni riprodotti o di ricorrere alla funzione visiva di altri organi fisici, ma hanno voluto dire che la pittura “si vede” ma non è quello che l’occhio vede, se a vedere non è l’intelletto. Percepire l’immagine non è ancora sufficiente a vedere. Ed allora se dovessimo dire che i quadri di Giovanni Reale devono essere visti per scorgere in essi forme di un mondo naturale infinitamente piccolo, ingrandito al microscopio, geometrie di figure apparentemente diseguali ma rispondenti altresì a precise regole (come la geometria dei frattali), grafici matematici degli strumenti di rilevazione di funzioni fisiologiche o di flussi economici o di comportamenti sociali, oppure aggregazioni informali di colori dei materiali inorganici; incorreremo nella banalità ottica di confondere l’alfabeto con il testo. Perché quelle linee, quelle figure, quelle macchie dei quadri di Reale sono riproduzione dei linguaggi affidati allo spazio, ma linguaggio e spazio compongono il testo narrato. La pittura ha sempre riprodotto i tempi della narrazione, e non solo nei cicli pittorici ma anche nella medesima opera, sia per associazioni spaziali e sia, con la prospettiva, per illusioni spaziali, scandendo dallo sfumato leonardesco alla frantumazione impressionista, fino all’accostamento di colori del primo cubismo, la

successione cronologica dell’accadimento tradotto in termini visivi, nella dialettica di luce ombra. Giovanni Reale dipinge però il tempo, non il suo tempo in quanto uomo, non il tempo della cosa umana, ma il tempo della materia che si organizza nell’essere ora questo oggetto o questa persona, ma che sarà ancora trasformandosi, o frantumandosi, non più riferimento ad un singolo aggregante. Nascere è un prendere forma della materia, ma questa non appartiene alla persona od all’oggetto, generandosi sempre la materia in altre forme. Il racconto nei quadri di Reale è registrare il momento nel quale la materia ha assunto una forma, la sua forma in cui noi non siamo: il resto è eternità o ripetizione. Ma questa forma della materia non sarà il nostro modificarci in una costellazione o in un insetto, secondo la tradizione letteraria antica e moderna sulla metamorfosi (dal mito della chioma di Berenice al racconto kafkiano), e nella quale o nel quale il personaggio continua ad avere sempre coscienza di sé, come a seguito di un trapianto di organi, poiché la materia non sarà più parte o forma né di un altro né del nostro essere, bensì ormai di esclusiva forma sua. Realtà in potenza, se il termine aristotelico può spiegare, o realtà virtuale, cui il segno linguistico di Reale non è astratto. La pittura di Reale registra così la energia della materia, quella energia che non compone più l’individualità, ma è diventata sostanza di se stessa senza distinzioni e divisioni e che non è il predicato di singolari, del tutto immanente ad una dimensione cosmologica e del tutto a-storica ad una visione umana. Registrare questo momento della materia prima che intervenga la sua metamorfosi in altre forme, o nella sua forma, è l’analisi lucida dell’artista, il racconto della scrittura delle linee, delle geometrie e dei colori, riproducendone con gli strumenti più sofisticati il percorso del tempo, che non è dell’uomo e perciò è senza storia, pur avendo comunque, almeno nella possibilità di misurare sperimentalmente, secondo il principio di indeterminatezza della fisica della scuola di Copenaghen, una successione seppure non causale di eventi. Le prime opere sono macchie di colori diversi, accostate e simmetriche, parti di un mosaico dove nessuna parte compone un disegno ma ciascuna per colore e, per equidistanza dalle altre, ha una sua unicità. Nell’osservare vicino si scoprono impercettibili differenze, ovaloidi o sfere, ma un tocco a riccio del pennello, una minuscola coda, è a significare la particolarità, il clinamen

dell’universo epicureo. Sono, o potrebbero essere, elettroni e neutroni di atomi diversi, in file ordinate, come pietre colorate, in attesa di essere ricomposte in una forma funzionale, eppure ognuna nella intensità del pennello ha un suo cromatismo diverso, caratteristiche di un codice genetico, o alterazioni provocate dal contatto del polpastrello di un dito che in quelle caselle colorate ha pigiato le lettere o i segni di una composizione, elementi della tastiera di un computer o gli stracci che non sono ancora l’abito cucito dal destino di una maschera della Commedia dell’Arte. Le particelle si avvicinano, si rincorrono, si piegano come la curva della luce, si contraggono ed espandono, compongono iperboli ed ellissi, e nella rappresentazione spiegano la struttura meccanica della loro materia. E’ questo il nuovo periodo delle opere di Reale, immediatamente successivo ai primi lavori, quasi contemporaneo, ed immediato sviluppo degli inizi dell’artista. Sono fasci di quadrati e rettangoli senza spessore ma distinti, ed il loro accostamento non è, o non è solo, la composizione del colore nelle grata di Mondrian: è la composizione degli elementi semplici, onde energetiche, la trasformazione di sostanze nella loro forma dopo la perdita della funzione cui la aliena forma assunta le aveva destinate. E’ un pulsare visto nello schema di singoli fenomeni senza continuità, allineamento di momenti ontologicamente astratti dal divenire: il tempo della materia non è il tempo storico dell’uomo, non ha passato, presente, futuro, non è prospettico né tridimensionale, è “serie” e non “sviluppo”. A volte le piccole figure geometriche, incontrandosi, formano una apertura, il bianco della tavola delimitato dal disegno, ma è un biancore rotatorio di assenza, origine di una esplosione della quale la curva, la iperbole, la ellisse è traduzione grafica, o esaurimento per contrazione, come nelle stelle morte. Nel quadro del Giudizio Universale di Bosch due anime sostano inginocchiate innanzi ad una sfera di luce, un’apertura sull’ignoto come il viaggio di un nascituro verso l’estremo attraverso gli organi femminili. Se il pittore nordico rinascimentale dipinge le figure di un uomo e di una donna, Reale disconosce la individualità del genere somatico proprio per preferenza alle entità elementari che pulsano quando ex-istono, quando cioè non appartengono alla gerarchia di un composto.

Il cerchio bianco nei quadri di Reale, non è la meta escatologica: è il silenzio di una assenza ma forse per mancanza di domande più che per perdita di speranza. L’artista non interroga oltre, sospende ogni indagine avvertendo lucidamente il limite del suo campo visivo. L’artista spinge ancora il suo sguardo, mescolando i fasci di piccole figure geometriche fino a lasciare intravedere le sagome di vite unicellulari o di involucri di molluschi. Ma ancora, non sono sagome nella loro fisica natura, sono tracce od ombre di altre epoche geologiche. E’ la memoria della lunga durata, non del tempo legato agli avvenimenti, ma della struttura della materia che si trasforma, per incidenti esterni, secondo le possibilità intrinseche degli elementi: idrogeno, ossigeno, carbonio, azoto. Quattro le radici della vita per il filosofo greco Empedocle, quattro i punti cardinali, quattro gli evangelisti: un numero magico attese le valenze. Reale dipinge il processo evolutivo o meglio in convenzioni grafiche riporta quanto di esso emerge. Ma è così che non possiamo evitare di chiedere se la scelta del linguaggio pittorico, tratta dalla composizione informatica e virtuale, sia dovuta alla forma delle particelle materiali ed energetiche riprodotte, nel senso che proprio la forma di queste può essere registrata coi mezzi della moderna tecnologia, o sia invece legata ad una rappresentazione mediata dall’uso attuale degli strumenti, quale unico, od estremo, genere di espressione. La risposta è in altre opere dell’artista, dove i quadrati, i rettangoli, le figure geometriche da colori aciduli compongono impressionanti figure di animali, tratte dalla fantasia degli illustratori di libri di avventure. In questi lavori, pur ricorrendo ad un uso geometrico delle forme, l’artista esalta la composizione nei suoi elementi basilari, anche se in una accezione più istintiva e rigenerante, vicina all’esperienza di un Marc e del Cavaliere Azzurro che alle analisi senza le inclinazioni affettive del cubismo. La materia mantiene la sua forma ma dall’accorpamento emergono figure, (mai dall’illusione ottica dello spettatore), che non hanno la grafica della iperbole o dell’ellisse, non sono rappresentazioni di misure quantificabili, ed hanno la iconografia un poco decò delle stampe primi novecento. Non sembra allora che il linguaggio sia suggerito dalla forma del soggetto rappresentato ma sia invece volutamente mediato, e sperimentato, dalla tecnologia se le figure di animali non fossero espressione visiva della forma somatica (ecco più Marc che Braque) in cui la materia si è ritrasformata, ma con la

consapevolezza pittorica dello scarto tra l’illusione della figura e la concretezza delle parti, e della impossibilità a riprodurre un’entità singola figurativamente individuata. E’ l’ironia graffiante dell’artista che non muta il suo linguaggio dalle mode ma lo scopre dal suo oggetto visivo, liberato dalla illusione di forme che non siano quelle degli elementi semplici, materiali e basilari. Un’ironia affidata a due figure di uccelli, come i personaggi mozartiani del Flauto Magico, od agli Uccelli della commedia attica di Aristofane: figure che vedono volando in alto, che gli auruspici interrogano, vicine al cielo, metamorfosi di rettili, i più vicini alla terra: e nella distanza, quasi di due sfere ideali, custodiscono l’enigma della materia che si trasforma sacrificando le forme. Il religioso sacrificio delle diversità e delle aristocratiche entità singolari. La risata, anche irriverente, con la quale l’artista si libera dalle paure e dalle gratificazioni della trasformazione. Né costellazione né insetto, ma ricomposto: questa dimensione, consentita anche con materiale riciclato, non alterabile nella sua struttura, duttile, per l’uomo-artista e l’artista-uomo, costruiti entrambi di materia presa in prestito ma anche, con l’opera, data in prestito. Siamo, e in definitiva, funzioni dello scambio, non solo economico ma anche fisico ed intellettivo: ed il bene scambiato è solo in temporaneo godimento nella locazione della vita, e non è di alcuno. La riflessione dell’uomo che sembra avvertire il disagio dell’uomo bionico subisce la metamorfosi dell’artista che ne è capace di ridere: la lezione morale di Giovanni Reale. Breve è la stagione dei temi della terra, della vegetazione, della natura. Grandi tavole dove nel verde e bruno dei colori sono scomparsi i tronchi ed i rami, i fili di erba, i petali dei fiori. Una palude uniforme, pregeologica, di una vita che non ha ancora forme: è la stessa, potente della evoluzione o della creazione, della forza della materia e della natura o di un dio e della sua opera, certo di un deus sive natura. Inutile ora dire o interrogarsi, o riferirsi ad un genere formale o informale. Ciò che non si può dire è che la pittura di Giovanni Reale sia stato esprimere nell’arte i dubbi dell’uomo. Certo è stato anche questo, ma non nel senso, come si è detto nelle discussioni semiotiche, che il pessimismo della poesia del Leopardi sia stata la sua gobba. Se invero l’uomo è diventato artista, o se semplicemente l’uomo abbia sentito l’urgenza di un linguaggio immediato per affrontare le paure della sua vita e pertanto, trovandolo, rimanga nella improvvisazione fantastica di un momento, non è l’occasione per trarre delle conclusioni. La pittura

di Giovanni Reale sembra avere delle implicazioni che non si esauriscono all’apparenza di una facile notorietà od alla evasione euforica dai timori della vita. Molti scrivono e pubblicano libri, ma non sono scrittori, molti dipingono e creano con vari materiali manufatti ma rimangono per appunto manipolatori di artifici e non saranno mai artisti. Il nostro Reale ha la pazienza del mestiere: un genere di rappresentazione viene provato, ripreso, superato e poi riverificato, segno di continuità e non di interruzione. La sua pittura nasce dall’urgenza di esprimere ma senza urgenza, se è consentito il gioco di parole. Questo confrontarsi e ridiscutersi è la serietà di un artista, questo interrogarsi e svelarsi è l’onestà di un artista. Serietà che non è nell’oggetto pittorico, sia chiaro, ma nell’interrogarsi sul medesimo oggetto, per rivederlo anche nei propri limiti, anche se è il medesimo oggetto ad imprimere il linguaggio artistico, e con il rischio quindi di condizionare i mezzi espressivi già conosciuti ed impiegati. Onestà nel confessarsi non per essere sollevati da una colpa o perché costretti ad un sistema o per sopportare una sofferenza ma per confrontarsi, fino a conoscere con ironia le paure (convertendole più che nel ridicolo del borghese nel buffo dell’opera settecentesca) e ad interrogarsi, quasi nella lontananza di un ricordo o nella evanescenza o nell’incubo di un sogno, sul dolore intriso dal fondo ora verde, ora blu o rosso, dove nel e del medesimo colore guizzano, pulsano, fioriscono, si accendono, agitano la superficie, gli elementi più invisibili della materia, ingranditi da quella lente che nessun cannocchiale o microscopio possiedono: poiché non è uno strumento od un utensile, mediante il quale scoprire una realtà ignorata, ma l’ansia, cui il cognitivo eros platonico condanna, di trovare una realtà ricercata, anche se nell’inconscio nascosta, alla quale ricongiungersi. L’informale non conosce, nel senso che attribuiamo, la forma, non limita lo spazio in tracciati geometrici: è essa stessa forma dello spazio e che solo l’intelletto traduce in immagini individuabili ai fini di una descrittiva comprensione. Giovanni Reale arriva, in un percorso incalzato dal rifiuto di qualsiasi definizione stilistica, a rifiutare l’inganno compositivo dell’osservatore (sempre ossessionato dal vedere un corpo, un volto, una pietra, un fiore), a rifiutare qualsiasi dato fisico. La pittura conosce anche con amarezza, che non vi sono privilegi intellettivi o culturali della forma, in senso tradizionalmente inteso, essendo l’informale forma energetica di materia o-secondo la fisica quantistica-forma materiale di energia.

I colori si accendono in tonalità fredde, le pennellate si seguono o si inseguono in un bolero di e non di Ravel, con qualche accenno alle trasposizioni pittoriche della musica da parte di Kandiskij, che in vero solo nel silenzio e solo privi di udito si ascolta: eppure è ancora un grido, ermetico, di farsi e disfarsi, incessante, senza cesure, monotono e triste come le strade e i paesaggi di Utrillo, private dalla immediatezza di una quotidiana-anche se illusoria-realtà. Un grido privato della smorfia di Munch. Una volontà prepotente di vita sostituisce la vita, e il mesto viola ed elegante senza invadenza turchino sembrano assorbire sulla tela il vivo dei rossi e degli azzurri. E’ il silenzio di un dio che tace e non risponde. I fondi sono neri o sfumature del colore medesimo delle figure che si stagliano quasi appiattite contro uno spazio privo di profondità, se di spazio può parlarsi, e contro il quale radici o scorie o filamenti di materia, mossi o palpitanti da un alito o un soffio che manca di qualsiasi fonte di principio, si contorcono e sembrano aggrapparsi, in una riproduzione senza causa e senza evento, senza storia e quindi senza tempo. L’informale è anche l’indefinito divenire di un non accaduto. I colori, nella produzione di questi ultimi anni di Reale, sono ancora più accesi ma metallici, come i colori delle insegne delle città di notte o di una pellicola di animazione e, nonostante questo e per questo, melanconici, astratti da ogni riferimento naturalistico e ricondotti ad un mondo virtuale, nel disagio di una invenzione che non ha ricordi o richiami di legende pur tradotte nella fantasia di fatti dotati di magia e di incanto. Se si osservano bene i colori, dal blu acceso di fiammanti lastre forgiate nelle officine, e non di cieli stellati, al rosso privo del suo senso di fluire di vita, che invece rimane nell’anonimato di una strada dopo un incidente o un delitto, dal viola del tessuto dei paramenti liturgici, ma non dei primi fiori del disgelo (si pensi al colore di certi anemoni), al verde di sostanze per alterare e simulare il processo clorofillare nei prodotti industriali ma non dell’erba fiorita nei campi e nelle aiuole, si è lontani anche dall’impiego di tinte estranee all’oggetto naturale scelte però per esaltare l’esplosione della luce, di sogni infantili, di arabeschi (si pensi a Matisse), perfino di aggressività, come nei fauves e non solo, si è con Reale invece nell’impiego di un colore che non trasmette intese, complicità, passioni.

La materia si spegne nello sforzo di essere stata: e questo è il solo richiamo al passato, al tempo dunque, cui neanche si è partecipato. Non si può non richiamare cumuli di macerie o rifiuti del nostro quotidiano, con i quali un drammaturgo come Samuel Bechet scrive dettagliatamente la scenografia di una brevissima opera, senza parole ma di tre suoni vocali nei quali si esaurisce la vita, il vagito, il quasi barrito del piacere sessuale in cui si procrea, il rantolo della morte, innanzi ad un mucchio di spazzatura ordinata in linea orizzontale, rappresentazione spietata della materia in Reale, non tanto di quello che è stato e non sarà più ma di quello che è, oltre la finzione, la vita medesima dell’uomo, la possibilità medesima di equiparare la materia alla vita e la vita alla materia. A volte non corpi coperti di stracci e visi disfatti o mani ossute esprimono, ma anche il blu o verde di un sacchetto di plastica riciclabile o il rosso di una mela marcita. Verrebbe da dire che il colore si accende quando le passioni si spengono. Ed in questo Reale è spietatamente pittore per saper comprendere e penetrare, ribaltando l’apparenza del significato, il colore. Perché nel dialogo mai interrotto tra colore e disegno, che solo sterili scuole accademiche contrappongono, la pittura di Reale è consapevole che ogni traccia di colore è pur sempre una linea, e Cézanne, che sapeva ricorrere all’accostamento di colori per gli effetti del chiaroscuro, aveva predicato che dipingere è costruire figure geometriche. Dalle iniziali iperboli ed ellissi Reale non si è mai dimenticato. I filamenti o foglie o petali, od elementi organici, od onde o vento sono segni di una costruzione analitica rigorosa. Dietro le apparenze la pittura informale di Reale ha la forma di figure precise: e questo percorso artistico, a volte da una prima lettura mutevole, è trovare le risposte di domande cui il dio di Reale non risponde. Allora sono tutti i colori, stesi con la spatola, grumi di tinte accese, a superare la leonardesca “superficie piana”: un abito strappato di Arlecchino: un servitore di se stesso, beffardo.

Opere

DIETRO L’OSTACOLO 2013

Olio – 40x60

ATTRAVERSO L’OSTACOLO 2013 Olio – 100x150

ECCO CHEK 2004

china – 70x100

LA SPERANZA 2006 acrilico – 100x150

PUNGENTE 2013

Olio – 40x60

PASTIGLIE DELLA FELICITA’2012 acrilico – 70x100

NATURA IMMORTALE 2012 acrilico – 70x100

LO SCHIUDERSI DELLA VITA 2013

acrilico – 70x420

NATURA MAGMATICA 2006 acrilico – 90x130

FONDO MARINO2005

olio – 80x100

FONDO MARINO 2005 olio – 100x100

NATURA IMMORTALE2013

acrilico – 40x40

MARINA 2012 acrilico – 60x80

PRIMAVERA2013

acrilico – 100x100

NATURA IMMORTALE 2013 acrilico – 70x150

NATURA IMMORTALE2005

olio – 100x100

LUCI NELLA NATURA 2013 acrilico – 70x150