Giovanni Artero (*) APOSTOLI DEL SOCIALISMO...

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Giovanni Artero (*) APOSTOLI DEL SOCIALISMO nell’Italia nord-occidentale: Giovanni Lerda, Oddino Morgari, Costantino Lazzari, Dino Rondani (*)Buccinasco (MI) tel. 0245701875 Indice Giovanni Lerda tra massoneria e “intransigenza” Oddino Morgari. Biografia politica di un "cittadino del mondo" Costantino Lazzari. Un socialista lombardo da Bertani a Lenin. Dino Rondani. “commesso viaggiatore” del socialismo. Appendice: Generazioni e percorsi del massimalismo socialista in Lombardia. Premessa Nel territorio di quello che nel secolo scorso era il “triangolo industriale”, (Milano-Torino-Genova), vi fu un precoce sviluppo di organizzazioni operaie e contadine 1 (Società di Mutuo soccorso, 1 All’inizio del ‘900 nelle regioni del Nord-Ovest (Piemonte, Lombardia, Liguria) erano presenti 760 cooperative (con 364 mila soci) su 2200 (con 567 mila soci); 2670 (con 412 mila iscritti) Società operaie di mutuo soccorso su 6600 (con 994 mila soci); il 39,19 degli iscritti al PSI in un territorio abitato dal 25,8 della popolazione italiana. In queste tre regioni il movimento operaio e contadino ebbe caratteri che lo distinguono sia del modello emiliano (con propaggini nel mantovano e Polesine), incentrato sull'agricoltura capitalistica, sia da quello “centro-italiano” (Toscana, Marche, Umbria), regioni in cui predomina la mezzadria e la piccola impresa artigianale. Si veda: M.Degl'Innocenti Geografia e istituzioni del socialismo italiano, 1892-1914, Napoli, 1983; M.Ridolfi Il PSI e la nascita del partito di massa, Bari, 1992

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Giovanni Artero (*)

APOSTOLI DEL SOCIALISMO nell’Italia nord-occidentale: Giovanni Lerda, Oddino Morgari, Costantino Lazzari, Dino Rondani

(*)Buccinasco (MI) tel. 0245701875

Indice

Giovanni Lerda tra massoneria e “intransigenza”

Oddino Morgari. Biografia politica di un "cittadino del mondo"

Costantino Lazzari. Un socialista lombardo da Bertani a Lenin.

Dino Rondani. “commesso viaggiatore” del socialismo.

Appendice:

Generazioni e percorsi del massimalismo socialista in Lombardia.

Premessa

Nel territorio di quello che nel secolo scorso era il “triangolo industriale”, (Milano-Torino-Genova), vi fu un precoce sviluppo di organizzazioni operaie e contadine1 (Società di Mutuo soccorso,

1 All’inizio del ‘900 nelle regioni del Nord-Ovest (Piemonte, Lombardia, Liguria) erano presenti 760 cooperative (con 364 mila soci) su 2200 (con 567 mila soci); 2670 (con 412 mila iscritti) Società operaie di mutuo soccorso su 6600 (con 994 mila soci); il 39,19 degli iscritti al PSI in un territorio abitato dal 25,8 della popolazione italiana.

In queste tre regioni il movimento operaio e contadino ebbe caratteri che lo distinguono sia del modello emiliano (con propaggini nel mantovano e Polesine), incentrato sull'agricoltura capitalistica, sia da quello “centro-italiano” (Toscana, Marche, Umbria), regioni in cui predomina la mezzadria e la piccola impresa artigianale. Si veda: M.Degl'Innocenti Geografia e istituzioni del socialismo italiano, 1892-1914, Napoli, 1983; M.Ridolfi Il PSI e la nascita del partito di massa, Bari, 1992

Cooperative, Leghe sindacali, Camere del lavoro) nonché di sezioni del Partito socialista, con la conseguente formazione di una leadership che si impose anche a livello nazionale.

Da questo territorio provengono infatti molti leaders sia del socialismo (da Filippo Turati a Claudio Treves, Leonida Bissolati, Enrico Ferri…) che del movimento sindacale (da Rigola a Cabrini e Buozzi…) delle origini.

Alcuni di essi hanno destato l’interesse degli storici che hanno loro dedicato studi monografici, ma personalità che hanno ricoperto ruoli importanti - si pensi ad un Costantino Lazzari segretario del PSI nel cruciale periodo tra impresa libica e guerra mondiale - non hanno ricevuto una attenzione adeguata.

Il volume raccoglie le biografie di quattro di questi “pionieri” (uniti anche da una comune appartenenza generazionale oltre che territoriale: quindici anni separano il più anziano dal più giovane), come contributo a studi più approfonditi.

GIOVANNI LERDA (1853-1927) tra massoneria e “intransigenza”

Premessa

1. Tra positivismo e massoneria (1880-1893)

2. Lo sviluppo industriale e le origini del socialismo torinese

3. Giovanni Lerda nel socialismo torinese (1888-93)

4. Il modello socialista genovese

5. Il decennio genovese (1893-1902)

6. La lotta per la vita (1894)

7. Il Congresso di Firenze (luglio 1896).

8. Il socialismo e la sua tattica (ottobre-novembre 1896)

9. La polemica con Bernstein (1897)

10. Esilio svizzero (1898-99) e attività all’estero.

11. Il nuovo secolo e il "ferrismo" (1900-1906)

12. La frazione intransigente (1906-11)

13. Da Modena a Reggio Emilia (1911-12)

14. L'impresa libica nel quadro dell’imperialismo italiano ed europeo

15. Il congresso di Ancona, la guerra e il dopoguerra

Premessa

«Appartiene alla preistoria del socialismo ligure e del socialismo italiano. Scrivendo così, epigraficamente, di Giovanni Lerda, incido il suo nome tra quelli degli apostoli».2 Queste solenni parole dedicate alla sua leggendaria figura di pioniere del socialismo in Liguria ritraevano lo stato d'animo di devozione che seppe suscitare attorno alla sua persona3 per l'attività propagandistica e organizzativa4

Il movimentato percorso di Giovanni Lerda riflette le complesse e contrastanti esperienze di un

2 La Farandole (Luigi Campolonghi), “Il lavoro”, 24.10.1904

3 Gli operai genovesi fecero trasportare la salma a Voltri, dove nel 1952 fu commemorato il centenario della sua nascita

trentennio di storia del socialismo italiano. Formatosi nella torinese Editrice Scientifica Bocca, culla del positivismo, iscritto alla massoneria senza condividerne l'anticlericalismo di origine democratico-risorgimentale, il suo avvicinamento al marxismo è simile a quello di molti esponenti socialisti della sua generazione il più illustre dei quali fu Enrico Ferri.

I suoi tratti distintivi furono una particolare attenzione alle condizioni materiali di vita dei lavoratori ed un impegno costante sul piano della propaganda elementare. Dalla sua formazione culturale da autodidatta derivò un certo eclettismo, una concezione pedagogica della cultura e un atteggiamento di deferenza nei confronti degli intellettuali provenienti dal mondo accademico. L'occasionalità degli articoli di giornale e la contingenza dei comizi nascondevano la debolezza dei concetti che divulgava tra le folle, ma quando si trattava di dare un contributo teorico allo sviluppo del marxismo emergeva la mancanza di rigore sistematico e la frammentarietà del suo pensiero. Fu però uno dei pochi socialisti italiani che, per la sua conoscenza del tedesco e i contatti stabiliti grazie alla sua compagna Oda Olberg5, partecipò ai dibattiti della Seconda Internazionale.

Rivolse anche l'attenzione alla religione, considerandola un tramite per la realizzazione di un socialismo inteso moralmente come solidarismo da praticare all'interno della famiglia, negli ambienti del lavoro, nella vita privata. Nella iscrizione che volle sulla lapide: "visse e morì come ateo" la chiave di lettura sta nel «come», che allude al valore strumentale del suo ateismo visto, in un'ottica illuminista, come superamento della religione in nome della "ragione morale".

4 La sua compagna scrisse che «faceva, più che vita di famiglia, vita di ferrovia: non c'è quasi comunello d'Italia dove non abbia tenuto conferenze» Oda Olberg, “II Lavoro Nuovo” 24.8.1952

5 Oda Olberg (1872-1955), figlia di un ufficiale di marina, appartiene alla generazione di intellettuali tedeschi avvicinatisi alla socialdemocrazia dopo la vittoria elettorale del 1890, nel suo caso agevolata dalla lettura di La donna e il socialismo di Bebel. ll 1896 è l'anno sia de La miseria nell'industria tessile a domicilio che della collaborazione alla “Neue Zeit”. Criticò le tendenze del PSI facendo riferimento al suo partito d'origine, «partito-guida» della Seconda Internazionale. Con Lerda presentò l'OdG degli «intransigenti» al congresso di Roma del 1906, ma dopo la vittoria al congresso di Reggio Emilia si distaccò dalla frazione per l'incompatibilità del suo orientamento "kautskiano" con la linea di alleanza col sindacalismo rivoluzionario perseguita da Mussolini. Nonostante la guerra continuò la collaborazione al “Vorwarts” di Berlino e all' “Arbeiter Zeitung” di Vienna e la corrispondenza epistolare con Luisa e Karl Kautsky, ma fu strettamente sorvegliata dalla polizia. Diffidata nel 1923 per alcune corrispondenze apparse sul “Vorwarts”, aderì al PSU. Nel 1927 si stabili a Vienna, dove divenne redattrice dell' “Arbeiter Zeitung” e nel 1928 pubblicò un opuscolo intitolato alla memoria di Lerda, nel 1931 fu in Spagna, inviatavi dal partito austriaco e dall' “Arbeiter Zeitung” e l'anno dopo dette alle stampe Nationalsozialismus . I coniugi avevano avuto quattro figli: Gracco, Edgardo (nato a Genova il 29.7.1899), Marcella (nata a Roma il 3.5.1906) e Renata. Su Edgardo esiste nel Casellario Politico Centrale un fascicolo personale perchè, trasferitosi a Buenos Aires , fu assunto nel 1933 dalla polizia argentina per la lotta alla mafia. Nel 1934 si stabilì presso il figlio a Buenos Aires, dove proseguì l'attività politica come membro di varie organizzazioni socialiste e antifasciste, collaborando alla “Nuova patria” e a “Critica”, e qui morì l’11 aprile 1955.

1. Tra positivismo e massoneria (1880-1893)

Nato il 29 settembre 1853 nel forte di Fenestrelle6, in una famiglia di militari (un nonno era stato nella Grande Armata napoleonica in Russia), rimasto orfano del padre nell’infanzia, fu costretto a lasciare la scuola nautica7 per motivi economici. Trovò allora lavoro a Torino presso la Casa editrice Bocca8, in cui entrò come impiegato subalterno, ma di cui divenne direttore a soli 27 anni nominato nel 1880 dal vecchio proprietario.

La Casa curava le "Edizioni Scientifiche", in cui pubblicavano Max Nordau,9 Herbert Spencer, Enrico Ferri, Iakov A.Novicow, Scipio Sighele10, Giuseppe Sergi, Cesare Lombroso, che dirigeva anche l’Archivio di antropologia criminale, psichiatria, e medicina legale.11 L’attività editoriale lo mise in contatto con questo ambiente, da cui ricevette un'indelebile impronta, anche se la sua non fu un'accettazione acritica, ma anch'egli contribuì alla autodecomposizione del positivismo che

6 Comune montano della Val Chisone (Pinerolo) a 70 km. da Torino, era all’epoca un importante sito militare. Nel 1853, non esistendo ancora i registri di stato civile, fu iscritto sui registri di battesimo della Parrocchia di S.Luigi, depositati in copia presso il comune, come "Lerda Antoine Sebastien Jean", dimorante presso il Forte San Carlo. Il padre Bartolomeo risulta "militaire". La madre, Natalina Tarò, era di Cairo Montenotte, capoluogo della Val Bormida, in provincia di Savona.

7 Si tratta probabilmente dell’Istituto tecnico navale "Leon Pancaldo" di Savona, fondato nel 1846

8 Enzo Bottasso L' editoria torinese dopo l'Unita d'Italia, Roma, 1981

9 1849-1923. Scrittore, filosofo, leader sionista. Ilsuo libro più noto è Menzogne convenzionali

10 M.Garbari, Società ed istituzioni in Italia nelle opere sociologiche di Scipio Sighele ,Trento, 1988; N.Gridelli Velicogna, Scipio Sighele: dalla criminologia alla sociologia del diritto e della politica, Milano, 1986; E. Landolfi, Scipio Sighele: un giobertiano fra democrazia nazionale e socialismo tricolore, Roma, 1981

11 A questa rivista Lerda aveva collaborato con la recensione che avrebbe costituito più tardi il nucleo del suo saggio su La lotta per la vita. Partecipò al primo congresso internazionale di antropologia criminale a Roma nel 1885

avvenne in Italia a cavallo dei due secoli.

Torino sul finire dell'800 fu uno dei maggiori centri di diffusione del materialismo evoluzionistico, che nel mondo intellettuale torinese aveva radici lontane. Nel 1860 su invito di Francesco De Sanctis era venuto nell'Ateneo torinese come docente di biologia Jacob Moleschott, uno dei grandi maestri del materialismo, che anche dopo il suo trasferimento a Roma nel 1879 non perse i contatti con quell'ambiente, collaborando con la torinese "Rivista di filosofia scientifica".12

La frequentazione di questo ambiente culturale permeato di un'etica laica che sconfinava nell'anticlericalismo, ne favorì l'avvicinamento alla massoneria che risale al 1884, quando fu affiliato alla loggia “Dante Alighieri”13, e diede inizio a una militanza all'interno del Grand'Oriente d'Italia che fu interrotta solo dalla morte.

Nel 1892 contese il collegio di Torino 2 al liberale Edoardo Daneo, massone da più lunga data iniziato nella loggia «Pietro Micca-Ausonia». Il duello elettorale, più che una lotta “fratricida”, si inserì nella tensione fra le diverse anime della “famiglia massonica" che vide dislocarsi a favore del «sol dell’avvenire»14 scrittori, professori, scienziati e imprenditori, fiduciosi nel «fatale cammino» dell’umanità verso un progresso che doveva significare anche redenzione delle plebi.

Massone secondo una visione del progresso dell'umanità in cui il proletariato diventava il moderno fattore di elevamento culturale e il principe illuminato, non ritenne incompatibile l'appartenenza alla massoneria e quando questa fu condannata al congresso socialista di Ancona del 1914 si distaccò dal partito, senza cessare di considerarsi socialista.

2. Lo sviluppo industriale e le origini del socialismo torinese

La storia di Torino operaia e socialista è stata scritta più volte15 ma si ritiene utile fornire alcuni dati essenziali di inquadramento.

L'Esposizione Universale del 1884 aveva sancito il superamento della crisi legata al trasferimento della capitale. Su una popolazione nel 1880 di 300.000 abitanti gli addetti all'industria

12 A.Leonetti Da Andria contadina a Torino operaia, Urbino,1974: "ci seduceva allora la filosofia evoluzionista di Spencer. Ci colpivano anche, in modo o nell'altro Nietsche, Max Nordau, Hume....ci si accalorava per la filosofia positivista di Auguste Comte e di Robero Ardigò anzichè di Croce....eppure il positivismo ha condotto molti al socialismo, compreso lo stesso Zino Zini, uno dei maestri di Gramsci. Tutto il male che è nato con il riformismo e il piatto gradualismo non lo si deve certamente ad esso...la filosofia idealista ha provocato guai e guasti anche maggiori"

13 Preceduto da Camillo Olivetti, Luigi Salmoiraghi, Cesare Goldmann, Alfredo Comandini, Romeo Boselli Donzi, e seguito da Umberto Dal Medico, Giuseppe Ronchetti e Leonardo Bistolfi. Il massone che ebbe maggiore rilievo sulla sua evoluzione verso il gradualismo, fino alla partecipazione alla lega democratico-sociale durante la grande guerra, fu il matematico Giuseppe Peano, entrato nella loggia «Dante Alighieri» nel 1885, esperantista e socialista umanitario, che dinanzi a ogni invenzione poneva la domanda: «A che cosa serve? Farà abbassare il prezzo del pane?».

14 A.A. Mola, Da quale oriente sorse, nel Piemonte del 1892, il "sol dell'avvenire"? Studi Piemontesi", 1992, 1

(comprendendo anche i lavoratori a domicilio e parte degli artigiani) costituivano una quota del 20-30 %. La maggior parte delle imprese risultava già allora concentrata nei settori metallurgico e tessile con il 40% e il 19% delle imprese cittadine rispettivamente. Accanto al vecchio comparto statale (Arsenale militare, Manifattura tabacchi, Officine ferroviarie) che continuava a rappresentare il più consolidato nucleo produttivo cittadino, cresceva un tessuto di imprese private dotate di grande dinamismo che avevano dato vita a stabilimenti di medie dimensioni con maestranze operaie dalle 100 alle 300 unità e che negli anni tra la fine degli anni '80 e i primi anni '90, nonostante la rottura commerciale con la Francia e la crisi bancaria, riuscirono a consolidare il primo nucleo del capitalismo d'impresa destinato a soppiantare le produzioni governative e a fornire alla città il suo definitivo volto industriale.

Questo processo di sviluppo entrava in conflitto con una società connotata da relazioni sociali fortemente gerarchiche, da retaggi politici e culturali di tipo tradizionale e da un sistema politico-istituzionale elitario. Aveva iniziato a modificare questo quadro la crescita tumultuosa e disordinata di un proletariato proto-industriale accanto e pericolosamente intrecciato con il “ceto operaio sobrio e previdente” caro alla tradizione sabauda, crescita che era vista come una minaccia del rapporto paternalistico tra élites liberali e associazionismo operaio.

Nel 1880-81 dal ceppo della Lega della democrazia, cioè dall'area che andava dai mazziniani ai radicali e che, pur non essendo vasta e socialmente radicata come nel milanese, non era priva di organizzazioni in ambiente operaio, artigiano e piccolo-borghese, erano sorte l'Associazione democratica subalpina, il Consolato operaio, la Società di mutuo soccorso Fratellanza artigiana.

Nella primavera 1886 l'agitazione dei muratori assuse quasi le caratteristiche di una rivolta urbana con blocco dei quartieri, scontri violenti e presidio di molte zone da parte della polizia; poi vi erano state la lotta delle sigaraie e la diffusione di una piccola conflittualità negli stabilimenti manifatturieri su problemi di salario, orario, regolamenti.

Intorno a quel periodo cominciò a manifestarsi quella tendenza repubblicano-socialista che, dapprima rappresentata solo da pochi mazziniani attratti dal movimento operaio (gli avvocati Leandro Allasia e Giambattista Cagno, il giovanissimo pacifista Claudio Treves, il gasista Gianpietro Daghetto) crebbe sino a costituire il pilastro della formazione a Torino del Partito socialista.

Nel giugno 1887 nasce la “Gazzatta operaia” fondata dallo studente vercellese Luigi Galleani16, che ebbe un ruolo come elemento di mediazione tra anarchismo e movimento operaio, ma numerosi erano, in un'area dai confini incerti, i giornali che si pubblicavano nella capitale piemontese: il “Ventesimo secolo” di Giovanni Lerda, il “Grido del popolo” del tipografo Chenal, la “Squilla” di area radical-repubblicana.

Nel corso del 1888 si costituì, con l'intervento degli operaisti milanesi Lazzari e Casati, sul modello

15 P.Spriano “Storia di Torino operaia e socialista”, Torino, 1958; P.P.Bellomi “Lotte di classe, sindacalismo e riformismo a Torino 1898-1910” in “Storia del movimento operaio, del socialismo e delle lotte sociali in Piemonte”, vol. 2., Bari, 1979); M.Grandinetti“Il tempo della lotta e dell' organizzazione: linee di storia della CdL di Torino”, Milano, 1992; M. Scavino, “Con la penna e con la lima. Operai e intellettuali nella nascita del socialismo torinese. 1889-1893”, Torino, 1999

16 P.C.Masini “La giovinezza di Luigi Galleani” in “Movimento operaio”, 1954 n.3; U.Fedeli “Luigi Galleani: qurant'anni di lotte rivoluzionarie”, Cesena, 1956

dei lombardi “Figli del lavoro”, la Associazione fra i lavoratori d'ambo i sessi di città e di campagna che poco dopo si presentò come federazione locale del Partito Operaio Italiano. Fu l'unica forza in grado di intervenire nell'intensa fase di agitazioni di fabbrica e proteste operaie che attraversarono Torino nella primavera-estate 1889, con dimensioni e intensità mai raggiunte in precedenza, e i cui effetti determinarono una svolta decisiva per la configurazione del movimento operaio e socialista locale

A metà aprile del 1889, partita dai pellettieri che protestavano per una ribasso dei cottimi, ripresero le agitazioni che si infittirono ed estesero in tutti i settori, in particolare quello tessile colpito dal rialzo delle tariffe doganali.

La tendenza spontanea dell'agitazione operaia si intrecciò così con il progetto politico e organizzativo della federazione operaista che si era costituita proprio sulla tesi della centralità delle lotte economiche per lo sviluppo del socialismo come movimento politico, sostenendo un duro confronto con l'anarchismo intransigente tradizionalmente diffidente verso il concetto stesso di lotta di classe come lotta rivoluzionaria

La situazione si radicalizzò a partire dall'inizio di giugno, con una città quasi in stato d'assedio: gli arresti nei giorni 11 e 12 furono una quarantina e il 13 iniziarono i processi per direttissima con condanne da due giorni a tre mesi; anche dopo questa data si ebbero strascichi con l'entrata in scena dei panettieri e poi dei garzoni del macello civico.

Il 10 novembre 1889 si votò a Torino per rinnovare il consiglio comunale sulla base della legge del 30 dicembre 1888 che estendeva il diritto di voto a parte dell'elettorato operaio. Si determinò in occasione di queste elezioni la frattura dei democratici tra un'ala possibilista, che si inserì nella lista liberale, e un'ala più radicale che si accordò con i gruppi socialisti-operaisti per la presentazione di una lista democratico-operaia, i cui risultati furono deludenti, non andando nessuno dei candidati oltre i 1800-1900 voti.

Dopo la fallimentare campagna elettorale del 1889, sull'onda della delusione che serpeggiava, e con la ripresa delle vertenze, questa volta alle Officine ferroviarie, la parola d'ordine della fondazione della Borsa del lavoro ebbe grande successo, raccogliendo nell'estate del 1891 l'adesione dei più forti sodalizi operai a partire dall'Associazione Generale Operaia (AGO) che, forte di 6.000 soci, aveva un'immagine pubblica quasi istituzionale, e tutt'altro che scontata era la sua adesione al progetto, presentato comunque con caratteri di moderazione tali da essere accettabile ai liberali.

La proposta di fare del Primo Maggio una giornata internazionale di lotta, lanciata a Parigi nel 1889, diede luogo a Torino nel 1891 ad incidenti: sfidando il divieto prefettizio folti gruppi di dimostranti, radunatisi in piazza Statuto, furono circondati e dispersi dalle forze di polizia: quell'episodio rimase rimase a lungo impresso nella memoria collettiva della città, e fu il fatto scatenante che determinò nel noto scrittore Edmondo De Amicis, che assisteva alla scena dalle finestre del suo appartamento su quella piazza, l'interesse verso il socialismo. Nei giorni successivi vennero celebrati i processi per direttissima, che comminarono pene pesanti: da due a tre anni.

Frattanto il progetto della Camera del lavoro che, come a Milano e in altre realtà, diede luogo ad una trattativa con il Municipio per il riconoscimento e un sussidio, andava avanti: nell'estate 1891, non appena fu avviata l'organizzazione delle sezioni per arti e mestieri, passò rapidamente da poco più di 700 a quasi 4.000 aderenti.

Nel novembre 1892 si presentò una lista socialista con candidati in quattro collegi. La dura

sconfitta alle urne indusse l'area degli ex-radicali e repubblicani, della “Squilla”, della “Lega Democratica Sociale”, a prendere la decisione, nel corso di una riunione tenuta il 15 novembre 1892, di fondare la sezione del “Partito dei lavoratori di Torino e provincia”, in attesa di concordare l'affiliazione a livello nazionale. Fu una forzatura di un gruppo di organizzatori che in questo modo si candidava al ruolo di direzione del socialismo torinese in sostituzione della “vecchia guardia”.

Il quadro dirigente che guidò il processo di formazione del partito non proveniva dalle esperienze storiche del socialismo, (con l'eccezione del vecchio operaista Paolo Alessi) ma dall'associazionismo repubblicano e a dare il tono al nuovo partito più che la componente operaia, presente con Chenal, Daghetto, Racca e gli organizzatori Quirino Nofri e Morgari, fu quella dei giovani di simpatie democratiche e repubblicane provenienti dall'Università e destinati a ruoli di primo piano come Claudio Treves, Adolfo Zerboglio, Guglielmo Ferrero, Camillo Olivetti, Mario Novaro, Zino Zini, Felice Momigliano, Gina e Paola Lombroso. Fu un passaggio di consegne non formalizzato ma dovuto alle indubbie capacità organizzative di alcuni personaggi che dimostrarono di meritare un ruolo di guida nel partito e di saperlo condurre alla conquista di nuovi traguardi.

Il Partito esordì organizzando una serie di conferenze operaie a partire dal 2 dicembre e indicendo le elezioni per il rinnovo della Commissione Esecutiva della CdL che, sebbene fondata appena da un anno, languiva in difficoltà amministrative e politiche. Il nuovo gruppo dirigente restituì la CdL all'influenza socialista, cosa che aveva un significato particolare alla luce dei principi organizzativi stabiliti al Congresso di Genova, e si presentò come gruppo autonomo, dandosi una struttura unitaria al posto della precedente federazione di associazioni di mestieri e di circoli politici

Al momento dell'adesione nazionale, il 14 gennaio 1893, i soci iscritti erano solo 80, ma già il 21 confluì la Lega Democratica Sociale portando un contributo essenziale di soci e di risorse con 300 iscritti, ad aprile 1893 divenuti 400. e la “Squilla” cessò le pubblicazioni irrobustendo il “Grido del popolo”, divenuto organo ufficiale a livello locale. Al successo di questo giornale contribuì anche il declino del “Ventesimo secolo” di Lerda e Schiaparelli.

In questa fase di impianto dell'organizzazione, a prendere le iniziative (formazione di una commissione di propaganda, istituzione di una scuola di partito, piano di potenziamento del “Grido”) fu un gruppo composto dall'insegnante Battelli, dal medico Norlenghi, Morgari, Daghetto, Allasia, Zerboglio, Treves, Cagno. La sezione si formò su alcune basi politiche e ideologiche: propensione all'analisi sociologica, influenza del socialismo prampoliniano-emiliano, critica dell'ordinamento borghese più moralista che marxista. Come scriverà “La Stampa” alcuni anni dopo, il partito socialista a Torino “lo fondarono un esiguo numero di persone, giovanissime quasi tutte, alcune colte, quasi tutte sentimentali e talune fino alla morbosità, agitate da sogni seducenti

di ricostruzione dell'attuale società viziata e corrotta” 17

3. Giovanni Lerda nel socialismo torinese (1880-92)

L'esperienza torinese, influenzata dal fenomeno dell'«andata al popolo» degli intellettuali, che ebbe caratteristiche illuministe e umanitario-sentimentali, incise profondamente su di lui, determinando il suo modo di concepire i rapporti tra intellettuali e classe operaia e di intendere la propaganda e l'educazione come mezzi di emancipazione.

Compì il suo tirocinio di intellettuale borghese votato alla causa del riscatto della classe lavoratrice negli anni in cui il proletariato torinese stava scrollandosi l'egomonia delle correnti moderate e legalitarie, e finalizzò il lavoro di organizzazione delle masse alla formazione di una coscienza di classe potenzialmente egemonica.

Collaborò prima al periodico di tendenza anarchica “Proximus tuus”, poi alla “Questione sociale”, ed infine divenne fondatore del “Secolo XX”, uno dei sostegni più consistenti per la Camera del lavoro.

Caratteristica comune degli articoli che scrisse per il “Secolo XX”, il cui motto era «agitate, educate, organizzate», furono l'attenzione agli aspetti biologici della questione operaia, la propaganda elementare di impronta positivista e la sottolineatura dell'importanza determinante della organizzazione. Nel primo numero, in occasione della celebrazione del Primo Maggio, rivolgendosi ai borghesi, così si espresse «Non temetela, non credetela una battaglia quella del 1.Maggio, siete troppo forti ancora... troppo grande ancora è l'ignoranza e l'ineducazione delle masse... [ma] ... per la forza della nostra educazione, della nostra volontà, del nostro numero, voi ogni giorno più perdete terreno di fronte alla nuova idea rigeneratrice... non è una sommossa, è una grande rivoluzione nelle idee, cui seguirà parallelamente la rivoluzione degli ordinamenti attuali”18

Sempre sul “Secolo XX”19 deprecò le decorative e superflue spese di certe società operaie di mutuo soccorso in occasione di cerimonie ed il loro ossequio alla borghesia. Pur non sfuggendogli il valore dell’associazionismo, forma primitiva di organizzazione di classe, ne ripudiò la

17 ”La Stampa”, 6.12.1899. Questo il bilancio, poco simpatizzante, dei caratteri del primo movimento socialista a Torino che traccerà un trentennio dopo, Piero Gobetti:”La fisionomia del vecchio socialismo torinese fu data quasi essenzialmente dall'esistenza dell'Alleanza cooperativa, grande organismo economico che si rivelò capace di sostenere la concorrenza del libero commercio nel provvedere alle esigenze del consumo ma, in sede politica, fu scuola di collaborazionismo e di spirito burocratico. Né alcuna corrente che divenisse dominante nel partito ne potè prescindere, perché questa era la vera base finanziaria del partito nella sua azione locale. Nofri, tecnico del cooperativismo, nel quale potè anche trovare il suo canonicato; Casalini, il missionario dell'igiene, il medico dei poveri, che lavorando nel suo Comune esauriva tutti i suoi ideali filantropici; Morgari, l'apostolo popolare nella lotta contro i soprusi e i privilegi, furono le figure eminenti e popolari nella psicologia rudimentale delle masse. Il «marchese» Balsamo-Crivelli, il raffinato dell'erudizione, il Pastonchi degli studi storici, e il «professore» Zino Zini recarono al quadro i necessari colori romantici, con la loro adesione aristocratica e filosofica alla causa degli umili e degli oppressi.”

18 La manifestazione di oggi, “II Secolo XX”, 3.5. 1891:

finalizzazione alla sola ricerca di maggiore benessere e ne vide la funzione positiva quando la rivendicazione economica scaturiva da una chiara coscienza della propria condizione, che le masse acquisivano solo in un’organizzazione formatrice di consapevolezza oltre che di unità.

Nel 1892 fu tra i propugnatori della partecipazione dei socialisti alle elezioni. Il Piemonte non era nuovo a candidature dell'Estrema: oltre a quella di Costantino Lazzari, nel collegio di Torino, il 20 aprile 1884 l'anarchico Amilcare Cipriani venne contrapposto a Benedetto Brin, ministro della Marina, seguito il 23 novembre 1890 da Andrea Costa, che raccolse 340 preferenze su oltre 10.000 votanti. A Novara il 23 maggio 1886 l'operaista Giuseppe Croce raccolse 239 preferenze su 13.000 votanti. Solo nel Cuneese nessun operaista o socialista contese il terreno alla lista guidata da Giovanni Giolitti, mentre nel collegio di Saluzzo era Andrea Ferrero-Gola, fratello del più famoso Giuseppe, garibaldino, già internazionalista e massone, a raccogliere il voto di protesta contro i candidati governativi.

Nelle elezioni del novembre 1892 si presentò una lista socialista con candidati in quattro collegi, con risultati deludenti: Prampolini ottenne 53 voti, Lerda 153. Mentre per Lerda il problema della sconfitta non si poneva, non avendo mai puntato sulle elezioni se non come occasione per far sentire la voce del socialismo, nella nota di commento pubblicata dalla “Squilla” e scritta da Morgari si coglieva una posizione più problematica, espressione di una cultura per la quale lotta economica e lotta politico-parlamentare formavano un tutto unico e che poneva l'esigenza di una tattica di partito integrale.

4. Il periodo genovese (1893-1902)

Giovanni Lerda si trasferì nel 1893 a Genova, dove divenne comproprietario con Giovanni Ricci della Libreria Moderna in Galleria Mazzini20. Qui curò l'introduzione di opuscoli sociologici e politici e collaborò alle attività editrici della libreria, il cui catalogo del 1907 comprendeva un volume di Marx-Engels (Pagine scelte), altrettanti di Kautsky e di Wagner, tre di Vandervelde e undici di Tolstoj,21 e tenne riunioni con studenti e operai che destarono le preoccupazioni e la segnalazione della Questura genovese.22

Riprese la sua opera di pubblicista militante sull' "Era Nuova" di cui fu uno dei fondatori nel 1894 e dove pubblicò una serie di articoli divulgativi sul "Capitale", già apparsi sul "Secolo XX" di Torino23 nel 1891-92, e alcuni studi sulle condizioni di lavoro, igieniche e di orario degli operai e su quelle dei contadini colpiti dalla crisi agraria. Come aveva parlato “Agli operai socialisti” sul giornale torinese, ammaestrandoli, col medesimo indirizzo si rivolse loro sul settimanale genovese.24

Collaborò alla costituzione delle Camere del Lavoro di Sampierdarena e Genova e partecipò ai

19 “II Secolo XX”, 4 .10.1891

20 La Galleria Mazzini fu tra Otto e Novecento un “salotto sotto vetro” con diversi luoghi di incontro per i letterati: il Caffè Diana, il Caffè Roma e la Libreria Editrice Moderna di Giovanni Ricci, che ebbe fra i suoi fra i frequentatori Ceccardo Ceccardi, Antonio Giulio Barrili, Edmondo De Amicis, Paul Bourget.

21 Alain Goussot Le fonti internazionali della cultura socialista in Italia In L'almanacco, dicembre 1991.

congressi della Federazione regionale socialista ligure in rappresentanza della federazione collegiale di Voltri.

Al primo Congresso, che ebbe luogo a Sampierdarena il 13-14 maggio 1894, nella relazione sull’azione per la conquista dei Comuni25 sostenne la tesi del decentramento amministrativo che riprese e approfondì negli studi pubblicati nel 1904 sulla “Rivista Municipale”26 il periodico dell'Associazione nazionale dei comuni d'Italia.

Fu spesso colpito da misure di polizia: multato più volte per aver promosso pubbliche conferenze non autorizzate e proposto il 16 settembre 1894 per l'assegnazione al domicilio coatto dalla questura di Genova, ma la Commissione Provinciale, con deliberazione del 15 ottobre respinse la proposta, ritenendo che «sebbene il denunciato siasi qualificato socialista evoluzionista, pur nullameno a suo carico non risulta che egli abbia manifestato idee o principi anarchici, e tanto meno che abbia fatto «propaganda in questo senso, e manifestato il deliberato proposito di «commettere vie di fatto contro gli ordinamenti sociali»27.

Tenta di dimostrare che chi si ubriaca in osteria non è un vero operaio "E' vero, alcuni disgraziatamente si danno al lusso di ubriacarsi domenica e di scioperare il lunedì, però bisognerebbe sapere quali e quanti sono questi operai in confronto al numero totale, bisognerebbe sapere se molti di loro sono veri operai, oppure semplici inscritti di nome nel nobile esercizio ...la massima parte degli avventori appartengono piuttosto a quelle basse classi di borghesi che sono merciai, venditori ambulanti, mezzani, borsaioli, tutta gente che se dal vestire e dai modi ha l'apparenza di operaio, non lo è certo per il lavoro nè per il guadagno, perchè non vi è chi non sappia che a sfruttare il lavoro vero e produttivo concorre fino all'ultimo dei rivenditori ambulanti,

22 Nella lettera della Questura di Genova del 25 novembre 1898 che lo propone per l'assegnazione al domicilio coatto si dice: «Nei centri operai di Sestri Ponente, Pegli, Fra, Voltri, fu il Lerda che vi gettò le basi della organizzazione socialista. La sua opera colà risale al 1894, quando tenne una prima conferenza sovversiva nella borgata Fabbriche, in quel di Voltri, a molti operai, che convinse ad ascriversi al partito ed eccitò ad agitarsi per raccogliere nuovi « proseliti». (Archivio di stato di Genova, Carte della Prefettura di Genova, pacco 264, fascicolo «Assegnazioni al domicilio coatto».

23 Gli articoli: «Capitalismo e miseria» del 25.7.1891; «Nutrizione e delinquenza» del 10.1.1892; «Nutrizione e intelligenza» del 21.2.1892; «Mortalità ed economia» del 3.4,1892; «Decrescenza della popolazione» del 10.4.1892

24 “Era Nuova” 22.7.1894: «Agli operai socialisti».

25 “Era nuova” 20.5.1894

26 “Rivista Municipale”, pubblicazione mensile ufficiale per gli atti dell' Associazione nazionale dei Comuni italiani. Redattore per la parte generale (che comprendeva almeno metà della rivista) era Lerda. Tra i collaboratori erano Bissolati, Carlo Canepa, Enrico Dugoni, Giacomo Ferri, Enrico Leone. Luigi Sturzo.

27 A. S. Genova, Carte della Prefettura, pacco 264.

una turba di parassiti che vivono improduttivamente e perciò largamente"28

L'interesse per le condizioni del lavoro operaio lo spinse a proporre al quarto Congresso socialista ligure, svoltosi a Genova nell'aprile 1896, che operai di tutte le categorie iscritti al Partito raccogliessero sul luogo della propria diretta esperienza di lavoro dati e statistiche concernenti la loro condizione.29 Tali dati, elaborati, furono pubblicati negli «opuscoli da un centesimo», col titolo Perché gli operai sono poveri 30. L’opuscolo fu sequestrato dalla Procura con l’accusa di «incitamento all’odio di classe» due settimane prima che la catastrofe di Abba Garima determinasse il crollo del regime crispino. Nel luglio 1897 fu condannato a 3 mesi e 15 giorni di detenzione, pena che in appello fu ridotta a 75 giorni e poi condonata in base all’amnistia per i reati politici concessa in seguito all’ondata di sdegno dell’opinione pubblica e all’energico intervento di Costa in Parlamento.31

Dopo un'interruzione, con lo pseudonimo "Julio" riprese l'attività giornalistica sull' “Era Nuova” nell'estate 1896 con la serie di articoli «Perché devi essere socialista» in cui le coercitive condizioni biologiche del rapporto di lavoro a cui è "innaturalmente" condannato il proletariato costituivano la base della questione operaia e dei compiti del movimento socialista, insieme con la propaganda elementare di impronta positivista e la sottolineatura dell'importanza determinante della organizzazione.

Negli innumerevoli comizi che tenne, da Voltri a Campoligure e Rossiglione, da Prà a Sestri Ponente, da Sampierdarena a Novi, con la sua vocazione di educatore conquistava l'affetto della folla, suscitando l'apprensione della polizia, sempre in moto per tamponare le sue iniziative oratorie.32

Se trattando del Lerda la Questura fino ad allora aveva parlato delle sue "manifestazioni socialistiche in senso evoluzionista, le quali escludono di voler ricorrere a vie di fatto contro la società", nel 1898 lo si schedò come «socialista rivoluzionario...caporione del Partito militante di Genova...socialista battagliero d'azione. Il magistero della parola, che egli ha facile ed insinuante, non basta ai suoi disegni: è dalla opera, è dall'azione, è dalla rivolta che egli spera il

28 G.Lerda Salari e risparmio, “Era nuova” n. 37, 1894

29 “Era Nuova”, 8.3.1896.

30 G. Lerda, Perché gli operai sono poveri, Biblioteca popolare socialista », n° 2, Genova, 1896. Riprendeva il titolo di un suo articolo sul “Secolo XX” del 2.3.1893.

31 R. Colapietra, Il '98, Milano, 1959, p. 20.

32 Nella scheda biografica del Lerda redatta dalla Prefettura di Genova si legge, in data 6 aprile 1897: «Nel collegio di Voltri tentò più volte arringare la folla sulla pubblica via, malgrado i il decreto del 14 Marzo 1897 di questa Prefettura che proibiva le concioni socialiste sulle strade e piazze pubbliche. E così nella sera del 14 Marzo tentò parlare agli elettori in Voltri nella Piazza della Pretura, ma quel delegato di P.S. gli tolse la parola e sciolse l'adunanza; tentò parlare il 16 successivo nella pubblica piazza di Pegli, ma il delegato di P.S. di Sestri Ponente glielo impedì. Tornato a Voltri sera del 19 successivo, intendeva arringare nuovamente la folla, ma il delegato di Voltri si oppose ed allora il Lerda nascostamente si portò a Prà ove parlò sulla Piazza per 20 minuti circa. Per questi fatti fu denunciato alla Pretura di Voltri per contravvenzione all'art. 434 C.P.».

conseguimento dei propri ideali»33.

Al quarto Congresso socialista ligure fu nominato membro del comitato regionale, e nel febbraio 1898 del comitato nazionale socialista in luogo del dimissionario Giovanni Vacca.

Nel collegio di Voltri fu sempre il candidato socialista, pur non essendovi mai eletto: nel 1893 ottenne 470 voti, 550 nel 1895, 812 nel 1897, 1307 nel 1900 al primo turno e 1486 in ballottaggio contro i 1700 dell'on. Pizzorni34, nel 1904 1800, nel 1909 oltre 2000, nel 1913 ben 6800.35

Nell'agosto 1902, poco prima del trasferimento a Roma, curò su “Il Martello” di Sestri Ponente la rubrica "Argomenti di legislazione, di igiene operaia e sociale"

5. Il modello socialista genovese

A Genova tra Otto e Novecento l'intreccio tra culture tradizionali (comunitarie e di mestiere) radicate nel territorio e modernità prodotta da un’industrializzazione accelerata era presente sia in una borghesia composta di grandi famiglie che gestivano in modo oligarchico attività finanziarie, commerciali e armatoriali, sia in un proletariato in prevalenza di portuali e marittimi, frammentato da antiche tradizioni di lavoro e radicato in culture di tipo preindustriale. In questo contesto l'azione svolta in ambito locale dai socialisti genovesi non potè che mettere in evidenza lo scarto tra il modello elaborato dal partito e la sua realizzazione.

Diversi rispetto al capoluogo la presenza e l'orientamento dei socialisti nei comuni del ponente, in cui si concentravano le grandi industrie meccaniche e siderurgiche: Sampierdarena, Voltri, Pontedecimo, Sestri Ponente. Quì la conquista dei comuni e l'elezione di deputati rivelarono la capacità di definire relazioni e modelli di controllo del potere locale, ma mancarono gli spazi economici necessari a consolidare il consenso e ad evitare il formarsi di una base di massa del sindacalismo rivoluzionario.

La presentazione del nuovo Partito avvenne nel marzo del 1894 con la pubblicazione dell'Era nuova, che aveva per sottotitolo periodico socialista e proponeva in prima pagina il programma del Partito dei lavoratori italiani (poi PSI)36. Prevaleva nel giornale un approccio positivista37 nell’utilizzo del metodo storico-sperimentale come fondamento scientifico contro le accuse di "interpretazione

33 Scheda del 1898 in A.S. Genova, Carte della Prefettura di Genova, pacco 264

34 In cui sfiorò il successo come mai più gli sarebbe accaduto. Il suo avversario, in minoranza al primo scrutinio, fu poi eletto col ricorso a manovre illecite nel ballottaggio. “Il Martello”, 27.6.1900: «Come fu eletto il Pizzorni».

35 M. Pignotti, Notabili, candidati, elezioni. Lotta municipale e politica nella Liguria giolittiana, Milano 2001

36 M. Milan, La stampa periodica a Genova dal 1871 al 1900, Milano, 1990, p. 214. Il giornale si pubblicò fino al 1913 con un'interruzione dal 1906 al 1910.

37 D. Cofrancesco, Filosofia e politica a Genova nell'età del positivismo, Genova, 1988.

ideologica”38 che la cultura liberale rivolgeva al movimento socialista. In un’ottica gradualista ed evoluzionista il percorso della storia è determinato dalle condizioni di struttura, il progresso è lento ma ineluttabile, l'evoluzione della società, su cui non incide né l'atto volontaristico dell'anarchico39, né il salto rivoluzionario, è fatalmente collettivista.

"Era nuova" esprimeva, soprattutto con gli articoli di Giovanni Lerda, la scelta della lotta di classe come unico strumento di soluzione della questione sociale, ribadendo il principio che "le leggi civili non possono mutare le leggi economiche". Con una serie di indagini statistiche sulle condizioni delle classi subalterne e la pubblicazione di scritti di teorici del socialismo (da Alfonso Asturaro40 a Fourier, Saint-Simon, Babeuf, Proudhon, Marx, Bakunin, Lassalle, Turati, Costa, Prampolini41) si assegnò la funzione di direzione politica del movimento economico per orientarlo in senso socialista con un programma di elevamento del livello culturale degli operai e di spostamento della mentalità delle organizzazione operaie in senso marxista.42

Al primo Congresso socialista ligure del 13-14 maggio 1894 vennero affrontate le scelte in fatto di "azione elettorale"43. La relazione di Angiolo Cabrini su "Partiti politici e religiosi" si allineò alla scelta di rigida contrapposizione “all’azione di tutti gli altri partiti che si contendono il favore della pubblica opinione”, intransigenza flessibile solo nei confronti di repubblicani collettivisti presenti nelle associazioni operaie repubblicane, cui si indirizzava la propaganda socialista, ma non dei

38 Ad esempio, "Socialismo e scienza positiva. Darwin, Spencer e Marx", Era nuova, 15 luglio 1894.

39 "Il delitto politico", ivi, 1.7.1894 e "Caffaro e il signor G.F.", ivi, 8.7.1894; e per il collettivismo "La fatalità del collettivismo", 3.6.1894. L'esposizione più sintetica della sociologia socialista è espressa nell’articolo che il giornale dedicò a "Giuseppe Mazzini e il socialismo", 10 marzo 1895, in cui si afferma: "II socialismo prescinde da qualunque elemento metafisico e teologico. Esso segue il metodo positivo, il quale ricerca sempre le leggi coll'osservazione dei fatti, colla storia, con l'esperienza. Per esso individuo e società sono due termini inseparabili e concordi della vita umana, e cosi viene a stabilirsi un equilibrio laddove volevasi scorgere un conflitto. Il principio supremo è l'interesse dei più, perché in questo interesse si legittima e si compie l'interesse individuale".

40 1854-1917. Autore di numerose pubblicazioni, in particolare: La sociologia: i sui metodi e le sue scoperte, Genova, 1897 e varie edizioni successive; Il materialismo storico e la sociologia generale : prelezione al corso di sociologia generale dell'anno 1902-1903 nell'Università di Genova, poi Modena 1910; M.Pescio, Alfonso Asturaro, in “ Le origini del socialismo in Liguria” a c. di V. Malcangi, Alessandria, 1995

41 Ai lettori " Era nuova” 21.10. 1894.

42 L. Borzani, "La palestra della mente": l'attività della Camera del lavoro di Genova per l'istruzione popolare (1900-1912) in L..Rossi , Cultura, istruzione e socialismo nell'età giolittiana, Milano,1991

43 Il congresso fu preceduto da una riunione del "Comitato coordinatore per il primo congresso socialista ligure", ivi, 20.4.1894, che provvide alla costituzione della Federazione socialista ligure e definì lo statuto.

leaders del movimento repubblicano genovese, accomunato agli altri partiti borghesi.

Nel primo periodo di vita del partito controversa fu la scelta tra le candidature intese all'elezione di socialisti e le candidature di protesta, ma non l’opzione per l’intransigenza che comportò l'assenza fino al 1902 di rappresentanti socialisti in consiglio comunale44.

L' "Era nuova" ospitò critiche nei confronti dell'amministrazione in carica, ma si trattava di osservazioni marginali che non investivano la struttura complessiva di governo della città.

L'attenzione dei socialisti genovesi fu rivolta ad assumere la direzione degli scioperi che scoppiavano spontanei dando ad essi precisi connotati di lotta di classe e puntando sulle condizioni di lavoro, soprattutto nel porto, inique per i lavoratori ma anche inadeguate al processo produttivo.

Genova operaia entrò sulla scena nazionale con lo sciopero del dicembre 1900 in difesa della Camera del Lavoro. La compattezza della protesta, la disciplina, il rifiuto della violenza, sancirono la maturità del proletariato creando però anche una retorica dell'operaio genovese, in cui i tratti stereotipati della "genovesità", il pragmatismo, la concretezza, la poca dimestichezza con la frase rivoluzionaria e i gesti impulsivi, si coniugano con un'etica volta al graduale conseguimento della promozione sociale e della elevazione morale.

La Camera del Lavoro, con gli organismi collegati: l'Università Popolare, il Consorzio delle Cooperative e il quotidiano "Il Lavoro", diventò il "Comune operaio", costituì il perno attorno a cui si definì e si costruì il socialismo genovese. Ma l’originale e complesso sistema di cooperazione, conquistato a partire dal combattivo “sciopero nero” dei carbonai del porto, non fu in grado di valorizzare la sua forza economica sul piano politico.

La tradizione democratico-mazziniana e il mutualismo furono il retroterra di un impegno che si esprimeva più attraverso istituti autonomi, dalle cooperative di resistenza e di lavoro alle case popolari, che in una azione di modifica dei poteri pubblici, rappresentando una caratteristica del movimento operaio genovese: il privilegiamento dell'iniziativa economica rispetto a quella politica e istituzionale.

La forza del riformismo genovese, la costruzione di questo tessuto di sodalizi operai, si trasformò in debolezza a Sestri Ponente e Sampierdarena, dove mancarono alla classe operaia delle grandi industrie meccaniche e siderurgiche gli spazi economici necessari a consolidare il consenso e ad evitare il formarsi di una base di massa del sindacalismo rivoluzionario, come già si è detto poco prima.

All'accusa di "opportunismo", "possibilismo politico", di "trascurare la propaganda e la formazione della coscienza socialista", di caratterizzarsi solo in iniziative imbevute di spirito utilitario, i riformisti contrapposero l'esperienza genovese, presentata insieme a Reggio Emilia come un modello dove i dibattiti e le prese di posizione ideologica, "ampolle di alchimia politica così cara agli anarcoidi senza oriente, così accetta a chi da molti anni non ha fatto che commemorazioni politiche", non intaccavano l'attività di organizzazione e l'incremento costante delle istituzioni di classe, un modello di crescita civile non faziosa o turbolenta a cui si opponevano le teorie velleitarie di "quello scarso socialismo catastrofico" che trova la sua origine nel "mezzogiorno feudale...dove non resta che giocare un terno al lotto della rivoluzione e aspettare".

"Nell'abito della svolta liberale...prese corpo un modello riformista socialista ligure che ebbe larga

44 Il primo congresso socialista ligure “ Era nuova”, 20.5.1894.

fortuna non solo localmente.....esso trovò ampia sperimentazione in forme di interrelazione tra l'istanza mutualistica, cooperativa e sindacale. Fu dato vita a un sistema riformista che per la sua rilevanza ebbe analogie con il polo riformista reggiano diretto da Camillo Prampolini e di cui massimi rappresentanti furono in sede parlamentare Giuseppe Canepa45 e Pietro Chiesa, nel movimento associativo Ludovico Calda e Gino Murialdi. Tra il 1903 e il 1904 tale sistema si strutturò organizzativamente dando vita all'Unione regionale ligure fra le associazioni di resistenza, mutualità e cooperazione, formula che anticipò la creazione su scala nazionale della cosiddetta Triplice del lavoro, all'indomani della fondazione della CGdL (1906)"46

6. “La lotta per la vita” (1894)

Il suo primo tentativo di un'esposizione elaborata ed organica dei concetti divulgati in modo frammentario nei suoi articoli e comizi, fu il saggio "La lotta per la vita"47 che riprese e allargò una recensione già apparsa nell’ "Archivio di psichiatria", in polemica al libro di Jacques Novicow48 "Les Luttes entre les sociétés humaines et leurs phases successives" 49.

Al Novicow, che applicava meccanicamente alla dinamica storico-sociale la metodologia evoluzionista darwiniana, contrappose la funzione nella realtà sociale dell'iniziativa umana come forza organizzata in vista di obiettivi selezionati consapevolmente dai «bisogni» dei diversi raggruppamenti di classe da cui, essendo contraddittori fra loro, nasceva inevitabilmente la «lotta per la vita».

Si trattava di un richiamo alla funzione determinante dell'iniziativa umana, misconosciuta da chi riteneva che la storia fosse esclusivamente il campo di gioco meccanico di forze uniformi con un loro inevitabile sviluppo. Lerda cercò di chiarire in che cosa consisteva la intelligenza organizzatrice dei raggruppamenti sociali, e cioè quali erano le concrete forze storiche nelle quali erano venuti ad articolarsi e a formarsi quei gruppi o classi.

Parlando dell'uomo lo definì «una parte minima di un intero ed enorme organismo che gli si impone inconsciamente...che...non può reagire contro l'ambiente che in minima misura, essendone esso stesso saturo, e tanto meno poi egli può trasformarlo». In ogni società Io «sviluppo e l'opera di trasformazione non può prodursi che dalla massa». Con ciò la funzione dell'iniziativa storica veniva trasferita all'interno della massa: "ora abbiamo degli individui ignoranti,

45 M. Bettinotti, Vent'anni di movimento operaio genovese : Pietro Chiesa, Giuseppe Canepa, Lodovico Calda Milano - 1932

46 M.Degl’Innocenti Alcune considerazioni sulla cooperazione nell’età giolittiana: cultura di lotta e impresa nell’associazionismo ligure, in L. Borzani Tra solidarietà e impresa: aspetti del movimento cooperativo in Liguria 1893-1914 Genova 1993

47 La lotta per la vita “Il pensiero italiano”: repertorio mensile di studi dedicati alla prosperità e a cultura sociale,s1894 e in opuscolo: Milano, C. Aliprandi, 1894

48 Positivista francese (1842-1912)

49 Paris, F. Alcan, 1893 e 1896

che nulla comprendono, che nulla tentano determinatamente per un ideale elevato; ma i quali però, solo seguendo l'impulso dei bisogni che si fanno vivi nelle diverse classi cui appartengono, gettano lentamente le basi di un nuovo edificio sociale di cui solo più tardi la scienza studierà e determinerà il processo evolutivo».50

Affermando che «non già dall’individuo si ha la forza che deve condurre gli aggregati umani a migliori destini, ma sibbene dall’intera società o almeno da quella parte di essa che rappresenta le tendenze evolutive, che in questo momento storico vanno concentrandosi nel proletariato”51 poneva l’accento sulle tendenze evolutive della intera società, la cui forza animatrice finiva per essere non l’iniziativa autonoma del proletariato, ma la “scienza che studia e determina il processo evolutivo” di cui il proletariato era una particolare, provvisoria coagulazione. Gli artefici dell'iniziativa storica non potevano che essere gli «scienziati» socialisti delle leggi evolutive, che avrebbero agito nei confronti dell’organismo sociale così come “il biologo incrocia razze animali o innesta una specie di vegetale sull’altra”.

La sua formazione ed esperienza di propagandista lo portavano a seguire certe valutazioni implicite: che le masse si muovono solo per motivi biologici-utilitaristici e che l’intelligenza e la vita morale possono animare le masse solo se ricevono un costante apporto educativo dalle «élites» pedagogiche del Partito.

Nel suo pensiero una cosa era la «rivoluzione delle idee» e un’altra quella «degli ordinamenti», una cosa l’agitazione ideologica e un’altra il “rinnovamento fatale della società", per cui si creava un dualismo tra teoria e prassi, tra «scienza marxista» e «leggi fatali» della vita economica e sociale, colpendo così un pilastro del pensiero marxista.

Sempre nel 1894, nell’intervista "a personalità del mondo letterario, artistico e scientifico"52 respinse qualsiasi attributo emotivo «al socialismo... che è scienza...[e].. deve per quanto possibile allontanare qualunque elemento perturbatore o deprimente che potrebbe condurlo ad una falsa interpretazione delle leggi che fatalmente si sviluppano nell’attuale momento economico e sociale».

7. Il Congresso di Firenze (luglio 1896)

Al quarto Congresso nazionale del PSI, tenuto a Firenze dall'11 al 13 luglio 1896, facilitato dalla sua compagna Oda Olberg, già corrispondente della Wiener Arbeiterzeitung, iniziò l'attività di corrispondente di riviste socialiste tedesche ed austriache. Sul Sozialistische Akademiker riportò le sue impressioni sul Congresso e sulla situazione particolare in cui si trovava il movimento operaio italiano dopo la caduta del Crispi53.

Sul punto all'ordine del giorno "Organizzazione del Partito" relazionò Lazzari che sostenne l'impostazione che si era data il precedente congresso di Parma, basata sull'adesione individuale

50 La lotta per la vita, cit., pag. 312

51 Ibidem, pag. 314.

52 Pubblicata su “Vita Moderna” Giornale d’arte e di letteratura diretto da Gustavo Macchi, 1894 e poi nell' opuscolo II socialismo giudicato da letterati, artisti e scienziati italiani, con pref. di G. Macchi, Milano,1900.ta

al posto di quella delle organizzazioni. Questo criterio, che si basava sul modello della socialdemocrazia tedesca, mentre il sistema delle adesioni collettive era caratteristico del laburismo britannico, fu motivato come prova dell’avvenuta maturazione nei singoli militanti di una consapevole coscienza di classe ma era nato da considerazioni di opportunità, come espediente per sottrarsi alla repressione crispina: separare dalle sezioni di partito le organizzazioni di classe significava consentire a queste un almeno formale agnosticismo politico che le collocava nelle retrovie della battaglia preservandone l’esistenza per tempi migliori. La relazione di Lazzari insisteva sull'organizzazione politica basata sui collegi elettorali, che era stata valida quando l'infuriare delle leggi eccezionali aveva costretto i lavoratori ad organizzarsi nell'unica forma legalmente riconosciuta, ma ora rivelava la sua incapacità di esprimere a livello più alto le istanze politiche degli strati popolari, e su ciò si aprì un dibattito.

Per Lerda un'involuzione «radico socialista» si profilava nel socialismo italiano determinata da una sempre più grande distanza tra il gruppo dirigente del Partito socialista, che rischiava di diventare una "élite" sempre più orientata verso un «socialismo borghese carrieristico» e i settori popolari economicamente più svantaggiati, verso cui non erano sufficienti i discorsi rivoluzionari ma si doveva svolgere una propaganda capillare e farsi interpreti delle loro rivendicazioni ed esigenze per trasferirle a livello politico, cosa che riguardava anche gli emigrati, a favore dei quali Lerda sostenne l'istituzione di un ufficio esecutivo centrale del partito.

8. "Il socialismo e la sua tattica" (1896) e Georges Sorel

Giovanni Lerda fu tra gli iniziatori del revisionismo marxista in Italia: nel saggio "Il socialismo e la sua tattica" 54 mise in guardia da coloro che, interpretando in modo troppo rigido il materialismo storico, credevano che le trasformazioni sociali si producessero fatalmente e che la logica potesse determinare la storia.

Non era giusto dire che il socialismo sarebbe arrivato fatalmente a trionfare: per dirigere il movimento verso questo fine occorrevano le condizioni intellettuali e morali della società, venendo a mancare le quali “...si potrebbe avere anche un terribile e rigoroso feudalesimo industriale il quale, collettivizzando la produzione e regolandola per mezzo di sindacati internazionali, eliminando violentemente gli elementi coscienti ribelli, regolando sistematicamente le nascite dei figli, forte di clientele e della supina acquiescenza di una folla di lavoratori, ai quali avrebbe accordato, a prezzo della loro libertà e della loro dignità, un relativo benessere, avrebbe ottenuto artificialmente di far convergere a proprio esclusivo vantaggio l’evoluzione economica che oggi si impone come necessità”.

La sola cosa che si poteva affermare era l'avvento prossimo di una rivoluzione, ma non si poteva dire come sarebbe stata. Nell'attesa, e come preparazione della rivoluzione, occorreva rinsaldare la coscienza socialista delle masse operaie, evitare l'imborghesimento dei quadri del partito e qualunque alleanza con altri partiti, non sopravvalutare l'importanza dell'azione parlamentare, rafforzare la lotta di classe tralasciando di incorporare le classi medie ormai prossime a morire,

53 G. Lerda, Der Kongress der italienische Sozialdemokraten zu Florenz, in "Der sozialistische Akademiker" 1896, pp. 647-650.

54 In “Rivista di sociologia”, ottobre-novembre 1896, fasc. 10-11, poi in opuscolo pubblicato nel 1897 dalla Libreria Editrice Ligure.

lottare contro ogni forma di opportunismo politico e basarsi esclusivamente sulla forza del proletariato. Il partito socialista doveva essere consapevole di portare il vessillo di un diritto nuovo, che poteva realizzarsi solo con la distruzione totale della società.

L'accoglienza dello scritto da parte del PSI fu fredda: "Pubblicato nel 1897 quando, dopo il Congresso socialista italiano di Firenze, l'idea dell'alleanza elettorale coi cosiddetti partiti affini aveva acquistato largo favore ed era caldeggiata da molti dei nostri migliori, quest'opuscolo non solo non ebbe fortuna, ma i giornali del Partito avendogli negato l'onore della critica, passò sotto silenzio come se non fosse nato".55 Ebbe invece recensioni sulle riviste del movimento operaio tedesco e francese; quella sul "Devenir Social"56 colse la compresenza di elementi evoluzionistici spenceriani e di una dialettica che, senza aver assimilato la lezione marxista, spinta da esigenze di analisi nuove, tendeva a scavalcarla per adeguarsi ad una realtà storica più complessa di quella in cui si erano trovati Marx ed Engels.

Georges Sorel in molte di queste idee vide delle conferme delle sue e su altre meditò fino a farle proprie. Allora fu l'impostazione etica del socialismo che più di tutto lo colpì: “È da dispiacersi molto che Lerda non abbia sviluppato più ampiamente questa teoria, la cui importanza filosofica non sfugge a nessuno. L'autore italiano trae, infatti, dalla concezione morale del socialismo dei principi che non si troverebbero facilmente per altra via. L'interesse e l'originalità delle teorie affrontate da Lerda sono grandissime; c'è da sperare che l'autore si deciderà, un giorno, a darne una esposizione completa e originale"57

I due concetti fondamentali fatti propri da Sorel furono un'interpretazione del materialismo storico non dogmatica ma aperta alla rivalutazione degli elementi morali e intellettuali, e la riaffermazione del principio della lotta di classe intesa come ferrea opposizione del proletariato alla borghesia oltre che netta distinzione del movimento socialista dagli altri partiti favoriti dall'avanzare del parlamentarismo. E se, sullo scorcio del secolo, fu sul primo di questi concetti che Sorel soprattutto si soffermò, con i primi anni del novecento, procedendo verso la sua teorizzazione sindacalista, affermò con sempre maggior vigore anche il secondo.

La recensione di Sorel dimostra come, oltre alla influenza esercitata su di lui dai primi scritti crociani sul marxismo e prima di fare il suo incontro nel 1897 con quelli di Saverio Merlino, lo scritto che allora più lo colpì fu quello di Lerda.

Su « Le Devenir Social »58, analizzando per i lettori francesi la nascita e sviluppo del socialismo in Italia, Lerda disse con orgoglio della classe operaia italiana: «Elle est disciplinée, mais elle discute; elle a repoussé le dogme de l'autorité que lui avait inculqué la classe bourgeoise, et elle n'agit qu'après s' ètre decidée elle-mème, quelles que soient les atfirmations de ses chefs». Egli concepiva l’organizzazione operaia come spontaneità consapevole in una moralità socialista

55 G. Lerda, II socialismo e la sua tattica, Genova, Libreria Moderna. 1902. pag. 5

56 Firmata con la sigla B, “Le Devenir Social” 1897, pagg 473-474.

57 «Le Devenir social», 1897, pp. 475-476.

58 G. Lerda, Le socialisme en Italie, in Le Devenir Social, maggio 1897; la corrispondenza fu riprodotta anche nei Sozialistische Monatshafte, maggio 1897, col titolo Der Sozialismus in Italien.

metastorica, palingenesi risolutrice dei confitti di classe al di là del movimento reale della storia59.

9. La polemica con Bernstein (1897)

Il saggio "Il socialismo e la sua tattica" ebbe una coda nella polemica che egli ebbe nel 1897 con Bernstein.60 Ancora nel 1925 Paul Froelich, scrivendo l'introduzione alle opere di Rosa Luxemburg curate da Clara Zetkin e Adolf Warsky,61 ricordò Giovanni Lerda come uno dei socialisti con cui Bernstein entrò in polemica nel periodo in cui difendeva l'ortodossia marxista.

Quando il saggio di Leda fu pubblicato Bernstein, che godeva con Kautsky del prestigio di depositario del marxismo, attraversava quel travaglio ideologico che lo portò ad essere l'eretico per antonomasia della Seconda Internazionale. Negli anni 1896-'98 entrò in contatto con i fabiani inglesi e scrisse sulla "Neue Zeit" la serie di saggi "Probleme der Sozialismus" che costituirono il primo nucleo delle "Voraussetzungen des Sozialismus" che il Congresso di Hannover scomunicò nel 1899.

Gli articoli "Klassenkampf und Kompromiss" 62 con cui Bernstein rispose polemicamente al Lerda e "Die Theorie der Zusammenbruchs und der Kolonialpolitik", con cui replicò all'accusa di Belfor Bax di aver messo in dubbio la teoria degli scopi finali del socialismo63 costituirono la prima rivelazione dell'eresia di Bernstein.

Nella polemica, invece di confrontarsi l'ortodosso Bernstein col deviazionista Lerda, si verificò un capovolgimento per cui fu Lerda ad esprimere un contenuto intransigente e rivoluzionario, trovando nell'antagonista un revisionista che smantellava la sua costruzione teorica con la tecnica freddezza della dialettica formale.

Bernstein evitò di distinguere nella sovrastruttura mitologica concettuale del suo interlocutore le

59 Per cui diceva che «il movimento socialista è certo qualcosa di ben superiore e di ben diverso da quello che può essere un movimento politico della quotidiana politica» (Relazione di Lerda «Appoggio ad indirizzi di governo e partecipazioni al potere» in Resoconto dell'Xl Congresso nazionale del Partito Socialista Italiano, Roma, 1910, pag. 5) oppure: «II socialismo è una dottrina filosofica e sociale di cui il Partito nella sua azione quotidiana, negativa o positiva, è semplicemente l'espressione politica in confronto e in opposizione della politica e dei poteri della società costituita ». (In Resoconto stenografico del Xll Congresso nazionale del P.S.l. di Modena, Milano, 1912 pag. 27).

60 G. Lerda, Die Taktik der socialdemokratischen Partei, in Die Neue Zeit, n.14, gennaio 1897, pp. 420-431.

61 R. Luxemburg, Gesammelte Werke, herausg. von C.Zetkin und A. Warsky. Band III,1925, p.16.

62 E. Bernstein, Klassenkampf und Kompromiss in Die Neue Zeit, 1896-97, pp. 518-24.

63 P. Gay The dilemma of democratic socialism : Eduard Bernsteins challenge to Marx , New York, 1952

carenze speculative dalla parte genuinamente anche se confusamente rivoluzionaria. La precarietà del pensiero di Lerda lo solleticò a formulazioni teoriche che sviluppavano gli spunti evoluzionisti-riformisti dell'apparato culturale di Lerda possibili di sviluppi teorici gradualistici, benchè l'accento ideologico fosse combattivamente intransigente.

Lerda sosteneva che lo sviluppo di una società è simile a quello dell'organismo biologico: come un animale o una pianta raggiungono la massima efficienza e la più alta potenza se le loro forze componenti vitali mantengono una funzionale compattezza nei confronti degli elementi estranei, così il movimento socialista potrà raggiungere la sua più grande forza se riuscirà a mantenersi rigorosamente refrattario all'introduzione nel suo corpo di elementi estranei che potrebbero innaturalmente e fatalmente accelerare la sua crescita e decomposizione e quindi anticipare la sua estinzione come organismo autonomo. Per mantenere tale refrattarietà è necessaria l'oculata sorveglianza della guida del Partito che tenga desta l'anima rivoluzionaria delle masse impedendo loro l'equivoco tra fittizio benessere economico e reale progresso socialista.

Bernstein fondò la sua polemica sulle analogie tra gli sviluppi storici della società e l'evoluzione degli organismi naturali, tra le fasi progressive delle classi sfruttate e gli adattamenti all'ambiente delle specie vegetali ed animali. La sua tecnica polemica consisteva nell'ironizzare sulle affermazioni senza respingerle, inverandole nelle formulazioni revisioniste del suo "Lotta di classe e compromesso", che può considerarsi lo sviluppo unilaterale della parte "transigente" del pensiero del Lerda.

Dopo aver concesso la validità del parallelo tra organismo biologico e società, di cui aveva negato all'inizio la liceità, per avvalorare la sua tesi del compromesso contrapposta a quella dell'intransigenza, Bernstein affermò: «Ma anche se non si potesse dedurre dalla storia e della natura alcuna analogia o argomento per il compromesso, il discorso di Lerda ci guadagnerebbe ben poco. Poiché appena egli accenna alla questione delle leggi di sviluppo della società umana, si rivolge subito contro "quelli che interpretano il materialismo nella sua forma più angusta". Noi supponiamo che voglia dire "nella sua forma più estrema". E rinfaccia loro che "forza e materia, quando si sono elevate a consapevolezza, hanno le proprie leggi che, pur in accordo con le leggi generali, possono tuttavia modificarne gli effetti". E continua dicendo che "date le condizioni puramente economiche della trasformazione sociale perseguita dai socialisti, non è ancora data quest'ultima, ma che ad esse dovrebbero aggiungersi premesse intellettuali e morali". In altri termini non sarebbe impossibile che si adempisse un mutamento dell'ordine sociale, ma in una forma essenzialmente diversa da quella che deve essere perseguita dalla socialdemocrazia. Quest'ultimo è un pensiero del tutto giusto che non perderebbe nulla del suo peso se si aggiungesse che in un tale sviluppo, anche se soltanto temporaneo, la preponderanza dei fattori economici spingerebbe pur sempre necessariamente ai fini perseguiti dalla socialdemocrazia»64.

Le "premesse intellettuali e morali" che per Lerda possono consapevolmente modificare lo sviluppo della trasformazione sociale, per Bernstein sono una pura sovrastruttura formale che nulla aggiungerebbe al realizzarsi di una trasformazione socio-economica. Bernstein non afferma un integrale automatismo dei processi economici, la cui discutibilità si propone di affrontare nei suoi "Problemi del socialismo"; per lui i principi devono essere intrinseci e politici, forza motrice integrata nell'assetto «realistico» e dinamico delle forze politiche esistenti. In tal senso le collaborazioni e i compromessi con la borghesia, che si avviava a teorizzare, costituiscono uno strumento di direzione ideologica che garantisce una concreta accelerazione: «economia di tempo

64 E. Bernstein, Klassenkampf cit., pp. 517-518.

e di forza» dei processi di trasformazione storica di una società.

Con ciò veniva abbandonata ogni prospettiva d'iniziativa autonoma di classe che muova aIl'attacco dell'assetto sociale antagonistico, mettendolo in discussione radicalmente nelle sue fondamenta. Il determinismo si ripresentava sotto le spoglie di una subordinazione al capitalismo, fittiziamente animate da quegli ideali della conciliazione di classe in vista di una morale universale che avrebbero costituito il neokantismo del Bernstein.

Nell'accusare di astrattezza la normatività etica, la «intransigenza» suggerita dal Lerda al movimento socialista, e la sua fissazione pedagogica di formatore di masse, fino a schernirlo quale portabandiera che «corre molto attorno, ma fa assai poco», Bernstein sorvola sul carattere demistificatorio del formarsi di una coscienza di classe delle masse che "consente alla classe operaia il rifiuto della adesione acritica alla storia e quindi alle interpretazioni «realistico economistiche» che i detentori del potere danno a giustificazione del «loro» assetto sociale" 65.

Secondo Bernstein «Da diversi accenni del suo articolo si deve dedurre che Lerda ritiene la lotta della classe lavoratrice quale pura lotta di classe. Ma questo è un grosso errore. Per fare un esempio: un sindacato, in quanto tale, conduce sempre in modo mediato una parte della lotta della classe lavoratrice, in modo immediato rappresenta l'interesse particolare di un settore del proletariato borghese e un compromesso con quest'ultimo gli si addice perfettamente»66. Fu questa una delle prime affermazioni integraliste che egli formulava contro la valorizzazione del momento soggettivo della lotta di classe, la parte più acutamente intuitiva del saggio del Lerda, e che la Luxemburg così gli contestò «Secondo la concezione corrente il significato socialista della lotta sindacale e politica consiste in questo: che essa prepara il proletariato, e cioè il fattore soggettivo della trasformazione socialista, alla sua realizzazione. Secondo Bernstein consiste in ciò: che la lotta sindacale e politica deve limitare in modo graduale lo sfruttamento capitalista, sottrarre alla società capitalista sempre più il suo carattere capitalistico e darle quello socialista, in una parola deve attuare la trasformazione sociale in senso oggettivo»67. Due anni dopo, nelle sue "Premesse del socialismo" Bernstein, che aveva rimproverato l'automatismo economico del Lerda e ripreso la sua ingenuità che vedeva nel latente opportunismo parlamentaristico e carrieristico dei partiti socialisti la degradazione della "idea" e dei "principi" così si espresse «il motivo economico oggi si presenta libero, mentre prima era rivestito di rapporti di forza e di ideologie d'ogni tipo. La società moderna è rispetto alle società precedenti assai più ricca di ideologia non determinata dall' economia e dalla natura agente come forza economica o meglio, per non dare adito ad alcun equivoco, il livello oggi raggiunto dallo sviluppo economico lascia ai fattori ideologici e in particolare a quelli etici un margine d'autonomia più grande che in passato"68

Per controbattere queste «sensazionali» affermazioni Kautsky scrisse nel 1899 il pamphlet "Bernstein e il programma socialdemocratico"69 e Rosa Luxemburg nella sua recensione puntualizzò: «Bernstein deve, almeno per salvare nella forma il programma socialista, rifugiarsi in

65 G.Lerda, Die Taktik , cit., “Die Nene Zeit“, gennaio 1897, pagg. 425 e 426

66 E. Bernstein, Klassenkampf .... cit., pag. 523.

67 R.Luxemburg. op. cit., pag. 81.

68 E. Bernstein, Die Voraussetzen des Sozialismus, 1920.

una costruzione idealistica collocata al di là dello sviluppo economico e trasformare il socialismo stesso da una determinata fase storica dello sviluppo sociale in un "Principio" astratto»70 "ontologizzando" l'ideologia socialista in misura non molto diversa da quella di Lerda.

Lerda dopo la risposta conclusiva a Bernstein71 sviluppò gli elementi di latente gradualismo della sua dottrina sui Sozialistische Monatshefte, organo teorico ufficiale del revisionismo: nel 1898 il saggio Pessimismo e Storicismo 72 e nel 1900 Il significato della razza per la civiltà73.

In ambedue dilatò sempre più il primo elemento della sua dicotomia evoluzione-rivoluzione fino a ridurre i compiti dei partiti socialisti a quelli di una pedagogia antropologica, dello sviluppo più funzionale dei «centri nervosi» delle masse e della loro coscienza ridotta ad elemento di considerazione biogenetica74.

Lo scritto che aveva dato luogo alla polemica con Bernstein fu tradotto nel 1902.75 L'introduzione che vi premise risente dell'involuzione riformista che lo indusse ad accentuare le posizioni economiciste-deterministe, fino a dissociare il socialismo dalle «teorie di Marx» e «il movimento ascendente delle classi inferiori» dalle «disquisizioni accademiche»: "II socialismo italiano si è certo anche inspirato al pensiero poderoso del grande tedesco ma, sia la larga e meno dogmatica natura del nostro spirito nazionale, sia la ripugnanza per le analisi troppo sottili ed unilaterali, fatto sta che l'opera di Marx rimase patrimonio di studio agli scienziati, ma non influì nella misura che molti credono, a costituire il patrimonio del nostro pensiero socialista . Ciò significa in lingua povera che il socialismo non sta tutto e sta al di fuori delle teorie di Marx, e che per essere socialisti non è proprio necessario di essere marxisti.....In Italia l'unità del Partito non può essere scossa appunto perché le finalità del socialismo sono accettate in teoria, semplicemente come la risultante probabile e non bene determinata di una tendenza nuova e reale che si produce nella società moderna, in forza di cause economiche e di ragioni d'indole materiale e morale; perché l'azione socialista nel suo complesso, ed indipendentemente dagli speciali problemi teorici e dalle disquisizioni accademiche, si afferma con un movimento ascendente delle classi inferiori diretto alla formazione di quegli elementi ed alla conquista di quelle attività funzionali che renderanno possibile «una trasformazione profonda di tutto il meccanismo sociale»76.

69 K Kautsky, Bernstein und das sozialdemokratische Programm, Stuttgart, 1899.

70 R.Luxemburg, op. cit., pag. 75.

71 G. Lerda. Nochmals die Frage des Kompromisses, “Die Neue Zeit“ 1896-97

72 G. Lerda. Pessimismus und Storicismus, in Sozialistische Monatshefte, 1898 .

73 G. Lerda, Die Bedeutung der Rasse in die Kultur, in Sozialistische Monatshefte, 1900. pp. 330-339.

74 Non rinunciando però a spunti di demistificazione di quella che definiva la «scienza ufficiale » borghese, classista e razzista.

75 G. Lerda, II socialismo e la sua tattica, Genova, Libreria Moderna. 1902.

10. Esilio svizzero (1898-99). Attività all’estero

Di fronte alla stretta reazionaria del ministero Pelloux, per sottrarsi all'arresto emigrò clandestinamente in Svizzera nel maggio 189877 ritornando nell'aprile dell'anno dopo.

Le relazioni di collaborazione col movimento operaio estero che instaurò come esule politico, propagandista e organizzatore nel mondo dell'emigrazione, corrispondente di riviste socialiste straniere, diedero alla sua attività un aspetto di modernità, lontana dal provincialismo che caratterizzò l'apostolato socialista delle origini, e lo resero attento ai problemi della politica estera, al colonialismo e al pericolo di una guerra europea, al dibattito teorico del movimento socialista internazionale.

Erano anni difficili di crescita del movimento operaio europeo e nuovi imprevisti problemi di classe e di solidarietà si imponevano di fronte al fenomeno della emigrazione e del conseguente crumiraggio di cui si rendevano responsabili gli emigranti sostituendo il lavoro dei loro compagni di diversa nazionalità. L'internazionalismo del movimento operaio era messo a dura prova e se ne rese conto Lerda in Svizzera e poi in Germania, dove fu invitato dalla Direzione berlinese della S.P.D. dopo il Congresso di Imola del 1902.78

La sua attività di propagandista nelle zone di transito alpino del flusso migratorio degli operai verso la Svizzera e la Germania, nel Trentino, sulle montagne del Friuli, dove si recava su slitte trainate da cani,79 nella Svizzera dove si erano avute manifestazioni violente dell'insofferenza che la presenza di italiani «crumiri» destava nelle masse operaie dei cantoni tedeschi, era diretta soprattutto agli emigranti stagionali che tornavano nell'inverno e che si trovavano a lottare sia contro lo sfruttamento dei padroni stranieri, che contro l'ostilità dei compagni di lavoro svizzeri e tedeschi. Caldeggiò un Ufficio esecutivo centrale del Partito a tutela degli emigranti italiani all'estero.

Il suo invito alla solidarietà di classe da parte degli italiani verso i loro compagni svizzeri allorché questi ultimi passavano all'azione diretta contro il fronte padronale, si concludeva costantemente con l'appello ad un'azione coordinata nell'ambito delle organizzazioni politiche e sindacali in terra straniera, come nella Schweizerische sozialistische Partei italienischer Sprache, in cui si

76 Introduzione a Il socialismo e la sua tattica, cit., pag. 10-12

77 Scheda biografica della Questura, in AS Genova, in data 28 novembre 1898, che annota che il Lerda “nel maggio 1898 si allontanava da Genova clandestinamente e riparava in Isvizzera, ove colla parola e con scritti cooperò al movimento rivoluzionario”, formula l'ipotesi che avesse collaborato “alla preparazione delle bande armate, pronte a scendere in Italia per partecipare ai moti di Milano, Firenze ed altre regioni del regno”, e conclude: «La sua azione colà ha attirata subito l'attenzione di quel governo, che lo ha compreso nella lista dei rivoluzionari da sorvegliare attentamente».

78 “Il Martello” 31.8.1902.

79 O.Olberg Un apostolo della Giustizia e della Libertà “Il Lavoro Nuovo” 24.8.1952. Risulta segnalata in CPC, b2773 una conferenza a Belluno nel gennaio 1908 e un ciclo nel circondario di Udine nel dicembre 1912

esercitava già da tempo80 l'azione del Vergnanini.

Lo stesso appello di “solidarietà internazionalista ad un'altra giustizia” lo ripropose nel Baden dove si recò su invito della S.P.D. per fare un giro di un mese e mezzo tra gli operai italiani emigrati come ad Amburgo dove i lavoratori italiani avevano subito violenze da parte dei loro compagni tedeschi, tanto che il governo italiano aveva posto il veto al reclutamento di portuali da sostituire ai lavoratori in sciopero. Come accaduto nel Baden, il difficile lavoro di solidarizzazione che tentò di impostare tra le masse di quella città gli fruttò l'espulsione da parte delle autorità. Tornato a Genova, trasferì le sue esperienze nell'opuscolo Gli italiani all'estero, pubblicato nelle edizioni della Libreria Moderna del Ricci81.

Nel 1907 la Direzione del partito lo incaricò di risolvere alcune controversie interne al socialismo del Canton Ticino82, come aveva già fatto nel 1905 coi socialisti napoletani83.

11. Il nuovo secolo e il "ferrismo" (1902-06)

Tra la sua forzata permanenza in Svizzera e il giro in Germania, la situazione in Italia era profondamente mutata in seguito all'azione concordata di socialisti, radicali e repubblicani. Indette le elezioni politiche del giugno 1900 "II Martello" di Sestri Ponente annunciò la sua candidatura nel collegio di Voltri: l'aumentato prestigio di Lerda, circondato dal fascino dell'esilio da cui era appena rientrato, e la sua annosa instancabile attività di propagandista fecero sì che egli sfiorasse il successo come mai più gli sarebbe accaduto nelle successive candidature. Il suo avversario Pizzorni, in minoranza al primo scrutinio, fu poi eletto col ricorso a manovre illecite84 nel ballottaggio.

Rappresentante dal dicembre 1899 della Liguria al comitato nazionale del partito, al congresso nazionale del novembre 1900 a Roma fu eletto membro della Direzione, nella quale rimase fino al 1906, con Barbato, Alessandri, Lucci e Romeo Soldi.

Lerda, che fino ad allora aveva svolto una funzione di sollecitazione pedagogica, di popolarizzazione di concetti socialisti sui fogli locali e nei mille comizi in provincia, rivelò le sue carenze nella situazione di accresciuta influenza del PSI, che si trovava ora a muoversi non più solo in senso “tattico”, ma al centro del nuovo corso instaurato dalla duttile politica di Giolitti. Corresponsabile nella direzione del Partito in un momento in cui l'apertura giolittiana aveva

80 G. Lerda, Eine profetische Frage, “Die Neue Zeit“, 1898-99.

81 G. Lerda Gli italiani all'estero, Genova 1900

82 ACS, CPC, b.2773. Segnalazione del 16.5.1907 della sua presenza a Lugano da due mesi, per conferenze ma soprattutto per pacificare la sezione, in cui erano scoppiate dispute tra Serrati, Cagnoni, Olivetti. Terminato l'incarico rimane in Svizzera, perchè è segnalata il 15 luglio una sua conferenza a Basilea.

83 ACS, CPC, b.2773. Segnalazione della prefettura napoletana del 25.5.1905 della sua presenza per risolvere controversie interne.

84 «Come fu eletto il Pizzorni» “Il Martello” 27.6.1900 .

disorientato l'organizzazione operaia, che era sopravvissuta all'assalto reazionario irrigidendosi nella resistenza, non riuscì ad elaborare una linea politica più dinamica e realistica.

Rimase fisso ai «principii», alle parole d'ordine imperative che avevano salvaguardato il Partito nei tempi difficili e si trovò dalla parte dei «rivoluzionari». Di fronte era la frazione riformista, disposta ad una linea d'azione gradualistica di collaborazione con le forze democratiche che credeva di vedere nella borghesia; vicino a lui collaboratori scaltri, ma indubbiamente meno onesti, come Ferri, la cui ambiguità sedusse per un breve tempo Lerda, che divenne dopo il suo trasferimento a Roma uno dei più assidui collaboratori della rivista "Il socialismo".

Il primo scontro con l'ideologia riformista del PSI fu con Treves che lo accusò di sterile astrattezza o addirittura di “misticismo” rivolgendo il suo sarcasmo contro la vocazione degli “apostoli e patrocinatori di miseri”85. Sull' “Era Nuova” Lerda rispose che Treves, opponendosi a che più spazio fosse dedicato sull'Avanti! alla «educazione delle masse», aveva il grave torto di sottovalutare l'importanza del ruolo che nel movimento operaio deve giocare la propaganda86 .

Al congresso di Imola del settembre 1902 votò l'ordine del giorno presentato da Enrico Ferri, che coagulò la vasta opposizione, da Arturo Labriola a Rinaldo Rigola, al riformismo turatiano e fu relatore sull'organizzazione politica sostenendo «l'indipendenza» del partito per la difesa della unità di classe.

Questo congresso, che segnò un'esperienza amara nella sua carriera politica, con la proposta di Turati di abolire a causa della sua inefficienza la Direzione, a cui Lerda era stato eletto dal precedente congresso, dimostrò il disorientamento ideologico del Partito e denunziò con la vittoria di Enrico Ferri il carattere illusorio e sovrastrutturale delle differenziazioni ideologiche.

La sua permanenza genovese si concluse alla fine del 1902 con il trasferimento a Roma, dove fu tra i più assidui collaboratori e, dal dicembre 1903, redattore capo della rivista di Ferri "Il Socialismo" 87 dove dedicò molta attenzione alle esperienze straniere e ai problemi di legislazione sociale. In collaborazione con la moglie curò soprattutto la rubrica dedicata alla stampa e alla pubblicistica del movimento operaio straniero, con un particolare interesse verso alcuni aspetti dell'industrializzazione, come la sopravvivenza di forme di lavoro a domicilio e di sfruttamento del lavoro minorile, l'educazione scientifica, la polemica antiprotezionista riguardo alla Svizzera e alla crisi industriale in Inghilterra.

Intuendo la tendenza alla ricomposizione di un blocco unitario delle forze borghesi in funzione antisocialista, sottolineò come la legislazione sociale fosse una politica paternalista comune alle classi dirigenti dei paesi dove esisteva un forte movimento operaio, e come intorno ad essa andasse ricomponendosi l'«antica alleanza» tra borghesia e Chiesa che la rivoluzione francese aveva scosso.

L'adesione al ferrismo fu di impronta moralistica, prodotto di quel pedagogismo delle masse al quale costantemente si richiamò. In tal senso interpretò le rumorose campagne di stampa di Ferri,

85 “ Il Martello” 24 .6.1900.

86 La propaganda . “Era Nuova” 25.9.1900 e 9.12.1900

87 Il settimanale “Il Socialismo”, col sottotitolo: Nel pensiero la forza, fu pubblicato a Roma dal 1902 al 1905

come nel processo Bertolo88 e ne apprezzò i costanti richiami alla propaganda.

In rappresentanza del gruppo di Ferri, uscito vincitore dal congresso di Bologna dell'aprile 1904, fu confermato nella direzione nazionale. Con la dispersione della composita maggioranza ferriana-sindacalrivoluzionaria e la formazione di una corrente centrista maggioritaria denominata "integralista" con Oddino Morgari e Francesco Paoloni, si fece promotore di un nuovo raggruppamento di «intransigenti» che il repubblicano Napoleone Colajanni definì «lerdismo»89

12. La frazione intransigente (1906-12)

Il primo nucleo della frazione si formò al congresso di Roma del 1906, dove la mozione da lui presentata, che si proponeva un rilancio dell'anti-ministerialismo e la riconferma del principio della lotta di classe, ottenne solo 1.161 voti su 34.000; al congresso di Firenze del 1908 la corrente si consolidò ottenendone 5.387, pari 19%. Al congresso di Milano del 1910 migliorò le posizioni col 24% dei voti; nel 1911 a Modena conseguì 8.600 voti su 21.000 e infine nel 1912 a Reggio Emilia con 12.550 voti superò le due mozioni riformiste che ottennero complessivamente meno di 8.000 voti (senza contare i riformisti di destra già usciti). Da notare che fu essenziale per la vittoria il contributo della federazione forlivese guidata da Mussolini il cui ruolo, marginale fino ad allora, con la nomina alla direzione dell'”Avanti!” assume statura nazionale.

In diverse fasi di aggregazione e sviluppo coagulò componenti e personalità radicate nella tradizione socialista specialmente di derivazione "ferriana" e integralista assieme a esponenti provenienti dal Partito Operaio diffuso a Milano e in altre province lombarde e piemontesi nel decennio 1880-90, come Costantino Lazzari e Osvaldo Gnocchi-Viani; a loro si venne aggiungendo la Federazione giovanile ricostituita dopo la scissione sindacalista-rivoluzionaria del 1907 sotto la guida di Arturo Vella, al cui interno iniziava a svilupparsi la generazione più giovane dei Bordiga e dei Tasca che aveva fatto il suo ingresso nelle fila del socialismo tra il 1911 e il 1914 in pieno clima antiriformista e antipositivista

Al congresso di Milano del 1910 fu promosso un coordinamento, ma il passaggio ad uno stadio superiore con la costituzione in frazione avvenne con la pubblicazione il 1. maggio 1911 dell'organo ufficiale "La Soffitta", la nomina dei responsabili regionali (agosto) e del Comitato Centrale (novembre).

Nel marzo 1911 Giolitti, che si presentò con un programma democratico imperniato sul suffragio universale e sulla gestione nazionale delle assicurazioni, ma tenendo segreta l'intenzione di andare in Libia, incontrò Bissolati, che rifiutò di entrare nel ministero non sulla base dei principi, ma perché "non credeva che il Partito socialista fosse maturo per partecipare al governo" Il Gruppo Parlamentare Socialista votò comunque la fiducia al governo.

All'indomani di quel voto apparve “La Soffitta”90 che riprendeva polemicamente nel titolo

88 “ Il Socialismo”, 25.11.1903

89 N.Colajanni, I partiti politici in Italia, Roma 1912, p. 102.

90 “La Soffitta”, giornale della frazione rivoluzionaria intransigente del Partito socialista diretta da Giovanni Lerda e Costantino Lazzari uscì dal 1° maggio 1911 al 20 luglio 1912. Principali collaboratori furono: Alceste della Seta, Francesco Ciccotti, Osvaldo Gnocchi-Viani, Arturo Vella,

l'affermazione di Giolitti sul preteso accantonamento del marxismo da parte del socialismo italiano91 Questo l'editoriale di Lerda sul primo numero: "Noi abbiamo desiderato sempre un partito radicale in Italia, e ci saremmo acconciati e ci acconceremo, tanto meglio, a veder sorgere un partito magari radico-socialista; ma ciò che crediamo esiziale agli interessi del partito ed alla ascensione del proletariato è la partecipazione di uomini nostri al potere; è il vincolo, la soggezione, la depressione anzi delle residue attività combattive, inevitabile quando di un potere che non è, che non può essere nostro si devono subire le vicissitudini, le alternative e, peggio ancora, le esigenze preponderanti di interessi che, per quanto rispettabili, non collimano sovente, sovente sono addirittura antitetici a quelli del proletariato92. Constatava nel partito "depressione, sconforto, smarrimento" e per la chiarezza auspicava che Bissolati uscisse dal partito e collaborasse con Giolitti

Gnocchi Viani a sua volta affermava che "i rivoluzionari intransigenti vogliono essere i Puritani del Socialismo" 93

Per l’antico e coerente intransigentismo e antiriformismo, per la popolarità conquistata nell'attività di propagandista e organizzatore, per il fatto di essere uno dei pochi pubblicisti che vantasse anche rapporti con il movimento operaio estero, Lerda ricoprì un ruolo di primo piano nell’orientamento e nell’aggregazione di quelle forze che, in corrispondenza della crisi degli equilibri giolittiani, nel PSI ponevano esigenze politiche nuove.

Partiva però da posizioni appartenenti a momenti in larga misura storicamente superati, che le impellenti esigenze nella lotta interna al PSI, la crisi della direzione riformista e la scarsa preparazione culturale e politica degli esponenti della frazione intransigente, lasciavano in una sorta di ambiguità.

La polemica contro i riformisti di destra e gli organizzatori sindacali che auspicavano un "partito del lavoro" apolitico, la rivendicazione di una direzione centralizzata ed omogenea, il recupero del marxismo, il tentativo di dare "unità d'indirizzo ed una guida ed uno schema d’azione a tutto il movimento operaio" in contrapposizione "al socialismo pratico, frammentario, localista, corporativista e parlamentare dei riformisti", erano esigenze che emergevano nel processo di crescita del socialismo italiano.

Lerda fu un censore delle pose declamatorie, dell’improvvisazione, del verbalismo agitatorio di tanti suoi compagni di frazione e tese sempre a ricercare le ragioni storiche ed economiche dei fenomeni, ma poi non seppe indicare al partito un obiettivo che andasse al di là della direttiva di

Elia Musatti, Angelica Balabanoff, G. M. Serrati.

91 Nell'editoriale del primo numero de “La Soffitta”, 1. Maggio 1911 Alceste Della Seta spiegava il titolo deplorando che dal PSI fosse stata"abbandonata al ridicolo la figura dell'uomo che sopra ogni altro seppe comunque interpretare ed esporre scientificamente il valore dell'ideale socialista. Noi dobbiamo con Carlo Marx rifugiarci in soffitta. Marx sa che con lui si rifugiano uomini che hanno saldo cuore nelle lor convinzioni e giovani che cercano il trionfo della nostra causa nelle vecchie vie del socialismo"

92 G.Lerda "La Soffitta," 1.5.1911.

93 O. Gnocchi Viani "La Soffitta," 30.5.1911

«mantenere alta la forza educativa e direttrice dell’idea».

Il recupero del marxismo si tradusse nella riaffermazione polemica del valore prioritario della propaganda e dell’educazione delle masse sostenuto fin dagli anni torinesi.

Particolarmente marcata fu la difesa del ruolo del partito, ispirata dalla ammirazione per il modello tedesco. Fu sul tema della disciplina e dell’organizzazione del partito che si battè con particolare insistenza nel dibattito avviatosi nel 1911-12 nella sinistra socialista.

Fra un congresso e l'altro la frazione aveva lavorato alla sua organizzazione e ora che disponeva di una rete organizzativa, si apprestava a conquistare il partito sulla linea del "distacco assoluto e reciso dai riformisti"

Appaiono in gestazione gli elementi ideologici e psicologici del massimalismo, che prenderà il sopravvento a Reggio Emilia con l'apporto temporaneo del "mussolinismo". Prese rilievo il motivo del "socialismo che non muore" in opposizione alle dichiarazioni di morte presunta del marxismo ma anche in contrapposizione idealistica alla crisi teorica del socialismo, che gli intransigenti non ammettevano.

L'accento posto sulla classe fu l’elemento di fondo degli intransigenti, che cercarono di interpretare il risveglio proletario, di stimolarlo e rappresentarlo, distinguendosi in ciò dai sindacalisti rivoluzionari di Arturo Labriola dei primi del ‘900 che abbandonarono il partito e non si posero seriamente l'obbiettivo della sua conquista.

Se l'intransigentismo respingeva “la semplice tutela degli interessi” delle masse e la teoria soreliana dello sciopero generale del sindacalismo rivoluzionario, all'integralismo di Oddino Morgari e Francesco Paoloni rimproverava di ammettere, come i riformisti, la possibilità di collaborazione con i governi borghesi. Era la riaffermazione della priorità «dell'educazione socialista delle masse» fondata sulla considerazione delle «arretrate condizioni attuali del proletariato e della inconsapevolezza in cui esso si trova delle grandi leggi che dominano da storia».

Lerda era comunque consapevole dei limiti della corrente tanto da scrivere che "la frazione che finora ha assunto atteggiamenti solo negativi, non ha un programma nè un pensiero che possa guidare se domani dovrà assumere il potere"94; infatti la conquista della direzione del partito al congresso di Reggio Emilia nel 1912 non modificò l'azione del Gruppo Parlamentare rimasto in mano ai riformisti, i quali rilanciarono all'indomani della sconfitta l'iniziativa politica tanto nella Confederazione Generale del Lavoro quanto nella cooperazione e nelle amministrazioni locali, dove disponevano di un personale più qualificato di quello dei loro competitori di partito.

“Gli intransigenti che avevano conquistato la guida del partito si sforzarono di varare una serie di riforme organizzative che trasformassero il PSI: la creazione di federazioni provinciali e regionali fu uno dei terreni fondamentali di questa azione di rinnovamento. Tuttavia, nonostante gli sforzi per smantellare il sistema delle autonomie…(…)…non riuscirono a capovolgere il portato di una tradizione ormai profondamente radicata”95. Questo tentativo di ristrutturazione del partito restò in larga parte inoperante per la mancanza di funzionari, le difficoltà finanziarie e le resistenze locali, e il PSI restò un partito centro-settentrionale.

94 "La Soffitta" 29.9.1911

95 R.Martinelli « Il Partito comunista d’Italia 1921-26», Roma, 1977

Proseguiva intanto la sua instancabile opera di propagandista, testimoniato dalle segnalazioni della polizia: nell'aprile del 1907 tiene una serie di conferenze nel Ponente ligure96, a giugno alla Società A.Saffi di Genova, a settembre a Siena e a Castelnuovo Garfagnana. Nel novembre 1909 compie un giro di propaganda in provincia di Brescia97

13. Da Modena a Reggio Emilia (1911-12)

L'imperialismo fece la sua comparsa in Italia con l'impresa libica, che pose al PSI il problema dell'atteggiamento nei confronti del governo Giolitti e rappresentò un momento di coagulo del massimalismo.

Nel marzo 1911 Giolitti si presentò alla Camera con un programma democratico tenendo segreta l'intenzione di andare in Libia.98 Il Gruppo Parlamentare socialista votò la fiducia al governo che avrebbe trascinato l'Italia in guerra con la Turchia e il Paese si trovò in guerra senza dibattito, verificando i limiti del Parlamento nello Statuto albertino.

La frazione intransigente uscì tempestivamente il 1° ottobre con un combattivo manifesto "Contro l'avventura di Tripoli" da cui emergono i limiti dell'analisi delle forze imperialiste e quindi anche della linea di lotta proposta. ll manifesto insisteva sullo "sperpero di denaro", l’"inorgoglimento del nazionalismo", il pericolo di "altre imprese dilapidatrici", il sacrificio di "sangue e di vite proletarie", la "minaccia di più esperta e pericolosa reazione" aggiornando su posizioni combattive i motivi ideologici e sentimentali comuni ai socialisti non revisionisti e concludendo:"tutto ciò il socialismo non può arrestare in un attimo, non può impedire in un giorno, non può respingere per opportunismo. Tutto ciò efficacemente e vittoriosamente si combatte rimanendo sempre nella propria direttiva politica". Richiamava infine l'attenzione sul fatto che l'esercito era "composto di figli di proletari" e invitava a tutte quelle "manifestazioni che il proletariato vorrà fare a tutela dei propri interessi e a dimostrazione del fatale antagonismo fra esso e la borghesia"99

Il Congresso di Modena (15-18 ottobre 1911) si tenne pochi giorni dopo l'inizio della guerra e fu anticipato di un anno (i congressi si convocavano ogni due anni e quello precedente si era tenuto nel 1910 a Milano) per discutere sul "ministerialismo" di Bissolati e dei riformisti di destra.

Lerda intervenne "sottolineando la necessità per il PSI di «non cessare di ritenersi il rappresentante dì una dottrina che ha per postulato la necessità di un radicale e profondo mutamento della società intera» e di preoccuparsi in primo luogo dell'educazione politica delle masse. In polemica con Bussi disse che la genesi dell'impresa tripolina erano circostanze lungamente maturate e che non poteva meravigliare coloro che non si erano mai illusi di fare

96 Il 13 a Pieve di Teco con 200 persone, il 15 alla Società operaia di Rezzo, 40 persone; il 16 a Borghetto S.Spirito, il 18 a Villa S.Pietro, il 19 a Pontedassio

97 Da "Brescia nuova" del 13 novembre: il 14 a Rovato, il 15 a Montichiari, il 16 a Calcinato, il 17 a Salò, il 18 a Toscolano, il 19 a Bagnolo, il 20 a Rezzato e il 21 (domenica) due conferenze: a Verolanuova al mattino e a Quinzano al pomeriggio

98 G. Giolitti, Memorie della mia vita, pp. 287-88 e 328.

99 "La Soffitta," 1.10.1911.

diventare socialista un governo borghese. Criticò la politica priva di mordente ideologico svolta dal Partito nelle organizzazioni sindacali e cooperative e controbattè la teoria secondo cui l'appoggio socialista a Giolitti era reso necessario dall'esigenza di ottenere il suffragio elettorale universale e la Cassa Pensioni. Rimanendo fuori si poteva ottenere molto di più che «facendo gli intrusi, gli accaparratori, con scapito della dignità del Partito, della propaganda e del valore morale ed effettivo di tutta l'azione socialista sul Paese fra le masse». Senza dubbio era possibile ottenere riforme utili mediante l'attività parlamentare. Ma era cessata la partecipazione delle masse a tali riforme, si voleva che esse lasciassero traccia e servissero al miglioramento dell'uomo".100

Dopo il congresso di Modena e in vista della conquista della maggioranza Lerda, che confessò di non avere le capacità e le attitudini di un capo, aprì101 una discussione sulla piattaforma ideale e programmatica della frazione che fu una tappa significativa nella formazione del gruppo dirigente del massimalismo d'anteguerra.

Egli affermò di non credere ai dogmi ed alle formule, neppure a quelle del cosiddetto socialismo scientifico: "credo alla vita che è movimento" respingendo però l'empirismo dei riformisti ed ogni forma di dogmatismo: "sono un solitario che in molte questioni ed apprezzamenti sente diversamente e dai rivoluzionari e dai riformisti". Partito dalla constatazione che “la frazione...ha un programma" solo negativo, e dopo aver premesso che si trattava non tanto delle "esigenze della dottrina e della scienza" quanto di quelle "della disciplina, per la coordinazione del lavoro e per la psicologia delle masse", la sua proposta aveva lo scopo pragmatico di dare al partito "una guida e uno schema dell'azione". Di contro al "socialismo pratico, frammentario, localista, corporativista e parlamentare" dei riformisti rivendicò la "necessità di una revisione" già invocata al congresso di Milano.

Si trattava di restituire al Partito socialista quella "unità di indirizzo" che il riformismo, aveva distrutto anche come "unità di movimento tendenziale" La discussione e l'elaborazione di un programma della sinistra rivoluzionaria avrebbe dovuto innanzitutto procurare l'unità della frazione e garantire in un secondo tempo la "integrazione del pensiero del Partito socialista e del movimento proletario in una unità non infeconda fattrice ed educatrice."

In risposta Arturo Vella ammonì i compagni di “non cacciare anche dalla soffitta quel Carlo Marx che, volere o no, è l'unico che può dare a noi la fiaccola rischiaratrice per procedere innanzi nella buia notte della storia.102 Vedeva assai bene che si trattava di contrapporre "all'empirismo volgare dei riformisti, al pragmatismo inconsapevole degli integralisti ed al neoidealismo dei malcontenti una netta e salda concezione del divenire socialista" che non poteva non essere il marxismo. Quanto al programma di Genova, esso doveva essere ripreso in mano, come bandiera, dalla frazione rivoluzionaria. Obbiettivo fondamentale della frazione, dunque, “ricostituire gagliardamente i quadri di un partito veramente di classe che deve poggiare l'azione sua sullo spirito del marxismo che va dal Manifesto dei comunisti al programma di Genova (adattamento italiano del programma di Erfurt)".

Vella assunse una posizione di difesa ideologica rispetto agli atteggiamenti oscillanti fra il tradizionale revisionismo e il nuovo pragmatismo che fermentavano in forme più o meno

100 Pedone I congressi del PSI, vol. 2, Milano-Roma, 1958

101 G.Lerda, Dichiarazione, "La Soffitta," 29.10.1911.

102 A.Vella, In cerca d'un programma. Melanconie d'un credente, "La Soffitta" 3.11.1911

consapevoli e contrappose alle idee di Lerda le posizioni di Costantino Lazzari.103 Infine promise una serie di articoli per profilare i "lineamenti per un programma di attuale azione per la nostra frazione, programma che chiamerei massimalista per la sua derivazione dai massimi principi",

Già all'indomani del congresso l'organo della frazione constatò i progressi nei confronti dei riformisti e delle posizioni intermedie e predispose gli animi alla conquista della direzione del Partito. Dal Congresso di Firenze del 1908 a quello di Modena del 1911 la forza intermedia degli integralisti divenne irrilevante e i gruppi riformisti erano scesi da 18 mila voti a 11 mila, mentre gli intransigenti da 5 mila erano quasi raddoppiati, sicché sull'onda degli avvenimenti, non fu difficile conquistare la maggioranza nelle federazioni principali, e andare al Congresso di Reggio Emilia con la vittoria già assicurata.

Alla conquista giovò anche quell'atteggiamento di combattività locale, a contatto con la base, che i rivoluzionari tennero e che fu teorizzato da Serrati poco prima del congresso vittorioso. Preso dallo sconforto per la visione della "sfrenata vita borghese-capitalistica" che imperava in Italia, in quell'angoscioso "quarto d'ora di affarismo," Serrati peccò di pessimismo e finì col ritenere che il Partito non potesse risollevarsi che il giorno in cui la borghesia si fosse spinta "fino al collo" nella speculazione e ne fosse soffocata. Intanto era possibile soltanto una via di ripresa e di riscossa: "Vado diventando localista perché mentre gli organi dirigenti del partito hanno dato il peggiore degli esempi e sono stati la pietra dello scandalo vi è invece fra le masse un terreno meravigliosamente fertile per la propaganda e la educazione socialista104

Al congresso di Reggio Emilia del 1912 Lerda si dichiarò a favore dell'espulsione dal partito dei riformisti di destra filotripolini, ma auspicò una nuova maggioranza che includesse anche i riformisti di sinistra (Modigliani) e presentò un ordine del giorno, approvato dal congresso, che pur affermando la necessità di seguire il metodo intransigente e di presentare candidature socialiste in tutti i collegi, lasciava alla Direzione la facoltà di autorizzare a votare nei ballottaggi per i candidati dei partiti affini.

All'ordine del giorno presentato da Lerda era stato proposto di aggiungere quello di Francesco Ciccotti approvato al congresso regionale di Forlì, che escludeva «ogni alleanza coi partiti cosidetti affini, a primo scrutinio e in ballottaggio, nel campo politico e amministrativo», su cui si sviluppò la discussione interna alla frazione, riunitasi la sera del 6 luglio105. Lerda fece notare che la sua mozione sulla tattica elettorale esprimeva l'orientamento di tutta la frazione, meno le sezioni romagnole, che in nome dell'unità invitò a ritirare il documento.

I romagnoli si impegnarono ad uniformarsi alla volontà della maggioranza che sarebbe emersa da una votazione la sera stessa e dopo una discussione106, l'intransigenza nelle elezioni amministrative fu approvata con 35 voti contro 16, mentre l'intransigenza nei ballottaggi di quelle politiche ebbe 32 voti contro 19.

In una seconda riunione il giorno dopo, quando tutti i delegati avevano raggiunto Reggio, Elia Musatti chiese di ripetere la votazione, senza che ciò cambiasse il risultato. La prevedibile vittoria

103 C.Lazzari, I principii ed i metodi del PSI, Milano, 1911.

104 G.M.Serrati, Necessità attuale di Idealismo, "La Soffitta," 2.6.1912.

105 I rivoluzionari. L'intransigenza assoluta di Ciccotti vittoriosa sull'ordine del giorno Lerda, «Avanti!», 7.7.1912

congressuale della frazione, ammonì Musatti, l'avrebbe posta in condizioni del tutto nuove: non si sarebbe più trattato di combattere su enunciazioni di principio, nella posizione privilegiata di chi sapeva di perdere, ma di affermare direttive che, per determinare il successo elettorale del partito, avrebbero dovuto essere applicate in modo rigoroso, cosa non facile data la diseguale distribuzione delle forze del partito sul territorio nazionale e dati gli effetti imprevedibili della nuova legge sul suffragio allargato, che rendeva difficile una soluzione univoca.

A fronte di 508 collegi elettorali il partito disponeva di un migliaio di sezioni: 900 da Roma in su, 78 da Roma in giù, isole comprese. Che cosa dovevano fare le 78 sezioni meridionali nei 201 collegi al di sotto di Roma? Porre candidature socialiste dappertutto, anche dove non esistevano sezioni? E nei moltissimi casi di ballottaggio che si sarebbero verificati là dove era possibile candidare un socialista ma non assicurarne l'elezione, e l'alternativa era tra ritirarsi e rimanere battuti? Non era meglio concentrare le forze sul collegio della provincia nella quale più facile si presentava la lotta? E in quale misura e prospettiva l'accesso al voto di nuovi strati proletari e popolari, in gran parte analfabeti, avrebbe modificato la situazione?

Il nodo della politica del partito nel meridione non fu sciolto nemmeno nella terza riunione, precedente la seduta congressuale pomeridiana dell'8 luglio, in cui Mussolini chiese l'espulsione dei destri Bissolati, Cabrini, Bonomi e Podrecca per «determinati atti» e non per le loro idee politiche e in cui si discusse nuovamente sulla questione dei ballottaggi e delle elezioni amministrative. L'«Avanti!» riferì: «alla discussione molto animata, partecipano molti oratori, ma poiché l'ora è tarda, si rinvia ogni deliberazione a domani nel pomeriggio».

Se in sede di frazione i rivoluzionari avevano approvato la mozione Ciccotti, quando la mattina del 10 si giunse al dibattito in congresso fu proposto l'OdG Lerda, approvato senza votazione. La conclusione107, che non era giustificata dai rapporti di forza, provocò la critica del riformista Nino Mazzoni: "Questo che doveva essere il Congresso della schiettezza crudele, che doveva risolversi nella più perfetta intransigenza, si trasforma in una intransigenza a primo scrutinio, diritto della

106 Storia della sinistra comunista. I, cit., p. 56: «Gli "esperti" spiegarono che ogni congresso vive di una sola grande battaglia». Ad invitare gli intransigenti a soprassedere sulla questione elettorale, per concentrare gli sforzi in sede congressuale contro i «traditori del partito», fautori dell'impresa libica, intervenne Costantino Lazzari, mentre Arturo Vella dichiarò di essere contrario non solo ai blocchi, ma anche alla conquista dei Comuni su basi intransigenti.

107 Si può supporre che la rinuncia all'ordine del giorno Ciccotti fosse dovuta alle pressioni degli intransigenti romani, impegnati nel blocco raccolto attorno a Nathan. Lerda, nel momento più acuto della crisi determinata dall'impresa libica, raccogliendo una notevole maggioranza nell'Unione Socialista Romana, si oppose alle richieste di rottura di ogni alleanza con i partiti borghesi. Cfr. La questione del blocco nell'Unione Socialista Romana, «La Soffitta», n. 19, 17 dicembre. L'ambiguità della mozione prevalsa al Congresso di Reggio Emilia è rilevata da Sergio Bertelli, Socialismo e movimento operaio a Roma dal 1911 al 1918, in «Movimento Operaio», 1955: «nella formulazione della mozione sull'indirizzo elettorale del partito, si era guardato soprattutto a Roma e si era giunti all'approvazione del principio intransigente sol perché le dimissioni di tutti i consiglieri socialisti avrebbero costretto il Nathan a nuove elezioni immediate, dalle quali si sperava un rinvigorimento (altro che secessione!) della compagine bloccarda che, si faceva notare, era rimasta nella sua composizione immutata per cinque anni, malgrado l'accresciuta influenza socialista nella città». L'uscita dell'USR dal blocco amministrativo il 31 luglio 1912 si verificò in questo contesto.

Direzione d'intervenire nei ballottaggi, e silenzio completo sulle elezioni amministrative"108

Così Modigliani, che si era pronunciato per il diritto di intervento della Direzione anche nelle elezioni amministrative, prese atto con soddisfazione che aveva prevalso la «più blanda» delle due correnti in cui era divisa la frazione intransigente, e concluse che la concezione riformista, pur sconfitta, si rivelava più rispondente alla realtà e alle necessità del partito e al tempo stesso più audace e combattiva di quella vincente.

L'intervento di Mazzoni rivelò le divergenze tra gli intransigenti. Mussolini, per quanto invitato non prese la parola in questa fase.109 Ciccotti negò che il suo OdG fosse orientato nel senso indicato da Mazzoni, e aggiunse che la mozione di Lerda, concernente solo l'indirizzo generale del partito, era quella ufficiale della frazione. Una volta affermata l'intransigenza per le elezioni politiche era inutile ribadirla per le amministrative.

Lerda, dopo aver precisato di essere contrario ai blocchi, sottolineò la necessità di distinguere tra il campo amministrativo e quello prettamente politico, accennando ai numerosi comuni delle province meridionali, in cui il proletariato si trovava di fronte le camorre, i clericali, ecc., e concluse affidando alla nuova Direzione il compito di impedire degenerazioni bloccarde.

A questo punto intervenne Giacinto Menotti Serrati, fautore dell'intransigenza assoluta, con una dichiarazione che stabiliva a nome dell'intera frazione che la nuova Direzione doveva liquidare in tempi brevi i blocchi ancora esistenti.

A suscitare la reazione di Mazzoni fu che ancora una volta la questione della Massoneria era finita in coda nell'agenda del congresso. Mazzoni definì superficiale, moralistico e astratto l'approccio al problema da parte del partito. Oltretutto non si teneva nel minimo conto il cambiamento che si era verificato nella politica della Massoneria che, da espressione di un vago anticlericalismo liberaleggiante agli inizi del secolo, era diventata un vero e proprio partito politico tra gli altri, infiltrato nelle organizzazioni operaie (a cominciare da quelle a carattere economico, in cui più facile era coltivare piccole ambizione e vanità individuali) per svolgervi un'opera di mediazione, culminata appunto nel popolarismo e nel bloccardismo110.

Questa lezione proveniva da un riformista esperto, che dirigeva allora con Argentina Altobelli la Federterra, autore di numerose inchieste e relazioni sulle condizioni della classe lavoratrice nel Settentrione, che nel corso delle polemiche post-congressuali definì la mozione Lerda un contrappeso all'ordine del giorno di Mussolini sui destri (Bissolati, Bonomi, Cabrini, Podrecca).

La formazione del Partito Socialista Riformista Italiano da parte di costoro costrinse la Direzione a

108 Resoconto stenografico del XIII Congresso Nazionale del PSI, Città di Castello, 1913, p. 255.

109 Mussolini, secondo il giornalista Michele Campana, avrebbe teorizzato il completo disinteresse del partito per le questioni economiche e amministrative. Si veda La discussione al Congresso socialista si accalora: tre tendente tra i rivoluzionari, «II Nuovo Giornale», 10.7.1912, riprodotto in B. Mussolini, Opera Omnia, IV, cit., p. 294.

110 XIII Congresso nazionale..., cit., pp. 295-297. Anche // PSI nei suoi congressi, 11, Milano, 1961, p. 212, riporta l'ordine del giorno presentato da Mazzoni sul problema della Massoneria.

definire con una circolare111 il significato della loro espulsione: si dovevano considerare espulsi anche coloro che si rendevano solidali con i quattro deputati.

Ad evitare travisamenti e forzature l'editoriale non firmato "Concordi nell'azione" sull'Avanti! del 27 precisò che l'ordine del giorno Mussolini si era riferito ad atti specifici compiuti dagli espulsi e che «nessun pensiero, nessuna tendenza, nessuna frazione» erano state coinvolte sia in esso, sia nelle delibere della Direzione55. Ma lo stesso articolo, sostenendo che «l'appoggio ad indirizzi di governo» era stato dichiarato incompatibile con la permanenza nel partito dalla mozione Lerda, dava di questa un'interpretazione che lo stesso Mazzoni ritenne di dover subito contestare: "Opinione rispettabilissima che viene fissata per cauzionare una direttiva: ed alla quale noi ci dobbiamo sottomettere per dovere di disciplina. Ma "opinione" che noi abbiamo diritto di non condividere senza che ciò debba farci considerare esclusi dal Partito112. Questa precisazione mirava a salvaguardare l'attività e l'autonomia del Gruppo parlamentare socialista, che Mussolini dalla tribuna congressuale aveva stigmatizzato, dichiarandone esaurita la funzione. Mazzoni concluse dicendo che se i deputati socialisti non volevano limitarsi a essere una «minaccia decorativa», ogni loro intervento implicava l'accettazione della schermaglia parlamentare che si determina nel gioco delle forze politiche, mentre un atteggiamento sistematicamente negativo li avrebbe trasformati in altrettante mummie.

La nuova impostazione del lavoro organizzativo che Lerda propose doveva ristabilire le condizioni per un autentico partito operaio in cui alla «scienza borghese» dei delegati ai congressi, scelti perchè potevano permettersi le spese di viaggio, sempre pronti agli «interessi personali», subentrasse un lavoro rivolto alla base di «scienza socialista» o «filologia di Marx» con l'utilizzazione del denaro a disposizione del Partito.

Dopo l'approvazione dell'OdG antimassonico di Nino Mazzoni presentò le dimissioni dal Partito, che la presidenza del congresso considerò non avvenute. Nonostante ciò e l'offerta della direzione dell'Avanti! che rifiutò, questo congresso rappresentò per lui l'inzio del tramonto.

In questo periodo si andò accostando ai riformisti di sinistra di Modigliani come dimostrava la tesi della necessità di dar vita ai blocchi nei piccoli comuni, e soprattutto la ricerca della costituzione di una maggioranza di centro, dopo l'espulsione dei bissolatiani. Del resto aveva dichiarato al congresso socialista piemontese del giugno 1912 che considerava l'intransigentismo come un fenomeno transitorio, valido fintantoché la propaganda e l'educazione non avessero fatto uscire il proletariato «dalla sua condizione di inferiorità»113

Decisa, comunque, fu la sua opposizione al «mussolinismo».

111 l'«Avanti!» 24.7.1912

112 N. Mazzoni, // Congresso di Reggio e l'appoggio agli indirizzi di governo, «Avanti!», 28 .7.1912. Una nota non firmata, apparsa sul quotidiano pochi giorni dopo nello spazio solitamente riservato ai comunicati ufficiali dell'organizzazione, ammise, sottolineando gli aspetti unitari del Congresso, la «scrupolosa esattezza» dei rilievi di Mazzoni: Per l'unità del Partito, 1.8.1912, rubrica «Vita di Partito»

113 G.Lerda “Avanti!”, 16.7.1912

14. L'impresa libica nel quadro dell’imperialismo italiano ed europeo

Lerda fu uno dei pochi socialisti italiani che, grazie alla conoscenza del tedesco, parteciparono ai dibattiti della Seconda Internazionale, introducendo nella stampa di partito tematiche come quella della trasformazione del capitalismo in imperialismo, con i rischi di guerra mondiale insiti nella lotta per accaparrarsi le materie prime e gli sbocchi mercantili.

Se già nel 1893 sulla "Critica sociale" aveva fatto esplicita professione di antimilitarismo, fu decisamente contrario alla guerra di Libia, in cui intravide un momento di svolta della politica estera giolittiana, giudicandola in parte il risultato dei processi di concentrazione industriale in atto nel paese e in parte il tardivo tentativo dell'Italia di inserirsi nelle competizioni capitalistiche internazionali. Al congresso di Reggio Emilia del 1912 si dichiarò perciò a favore dell'espulsione dal partito dei riformisti di destra filotripolini.

In una serie di lucidi articoli apparsi fra il 1911 e il 1912 sottolineò l'incapacità dei partiti socialisti della Seconda Internazionale di impedire quella guerra europea che gli sembrava sempre più inevitabile, ma da questa considerazione derivò solo la speranza che «il proletariato non si smarrisse ai fini della nuova, futura civiltà».

Il manifesto del Comitato centrale della Frazione,114 che rivendicò solo al «socialismo non degenere, non viziato, non compromesso dalle arti governative nella direttiva della propria coscienza» il diritto di condannare l'impresa libica, oppose la concezione dottrinaria del socialismo senza accettare l'impostazione salveminiana e liberista dell'antitripolismo, che proponeva un criterio differenziato nella valutazione del colonialismo in rapporto al modello liberoscambista inglese, subita invece dai riformisti di sinistra, che nelle prese di posizione, negli articoli di stampa e nei comizi usarono le accuse di «tradimento» e «ingiustificata pazzia».

La guerra libica apparve agli intransigenti un'ulteriore conferma dell’impossibilità di una collaborazione con la borghesia, e quindi come la testimonianza degli errori di indirizzo politico commessi dal riformismo nell’età giolittiana, e li portò a criticare sia l'opportunismo del gruppo bissolatiano che l'impostazione antitripolina di Treves e Turati e in genere tutte le prese di posizione «dell'ultima ora».

Lerda al congresso di Modena accusò i riformisti di non capire che l'impresa libica era maturata lentamente e che aveva radici lontane.115 Inserì l'impresa nella continuità dello sviluppo storico del paese cogliendone le matrici economiche e quelle inerenti alla politica internazionale116 nel quadro di un generale consolidamento a destra del potere della borghesia. Pertanto la guerra libica non era attribuibile a fattori patologici ma era la logica di classe a portare la borghesia italiana a Tripoli nel quadro dei rapporti di forza interni che coglievano il movimento socialista in posizione difensiva o subalterna a seguito dell'indirizzo collaborazionista dei riformisti.

114 “La Soffitta”, 1.10.1911

115 F. Pedone, op. cit., p. 164.

116 In un comizio a Siena M. Terzaghi attribuiva la causa dell'impresa alle ingerenze del capitalismo finanziario e industriale (Avanti!, 29.9.1911). Nel manifesto degli intransigenti pubblicato il 1° ottobre su La Soffitta si metteva in relazione la guerra libica con la soluzione della crisi marocchina.

Mancava però un'analisi storica delle condizioni strutturali che avevano determinato la politica espansionistica dell'Italia, per cui l'indicazione della lotta al capitalismo finanziario o al nazionalismo appariva priva di riferimenti reali, quando addirittura non portava ad una valutazione positiva delle «virtù battagliere e conquistatrici della borghesia» perché avrebbero determinato nella classe operaia un maggior senso della propria autonomia117.

Nel movimento socialista italiano gli intransigenti furono sostanzialmente assenti dal dibattito sul colonialismo e la questione tripolina118 come evidenziò il disinteresse per una campagna di stampa contro il mito della terra promessa o la condotta militare-diplomatica, anche se interventi in questo senso non mancarono nella stampa locale (“La Conquista” di Bari, II “Grido del popolo” di Torino, “La lotta di classe” di Forlì). Non si operò alcun salto qualitativo rispetto al passato, e l'impresa libica apparve piuttosto come il momento di verifica delle vecchie posizioni, anticollaborazioniste e intransigenti.

Quando conquistarono la direzione del partito e dell'Avanti!, non modificarono la linea della campagna di stampa antitripolina tenuta dai riformisti, pur accentuando le note antigiolittiane e anticollaborazioniste. Sulla questione tripolina per l’insufficiente messa a fuoco del problema mancò anche l’omogeneità dei maggiori esponenti della corrente.

Lerda sulla Soffitta, partendo dal rifiuto della tesi riformista della guerra come parentesi, si fece promotore, nel quadro di un ripensamento generale sull'età giolittiana, di una attenta analisi della borghesia italiana nel primo decennio del secolo,

Lerda nel presentare un articolo di M.Terzaghi scrisse che «da solo valeva più delle migliaia di o.d.g. e di proteste con cui il PSI credeva forse di imporre il rientro dei soldati italiani dalla Libia» soprattutto per lo sforzo di illuminare le ragioni storiche e economiche dell'impresa con quei «criteri obiettivi la mancanza dei quali aveva fatto sì che l'opposizione socialista si fosse risolta finora in vani clamori»119 .

L'autore accusò i riformisti di aver contribuito al consolidamento dell'espansionismo capitalistico colla «smobilitazione» del partito e l'offerta della «garanzia di tranquillità» attraverso una tregua sociale e il riassorbimento del malcontento popolare, facendo risalire a Giolitti il merito del regime di libertà che non era che «un bisogno per la borghesia ai fini della sua espansione economica e del suo consolidamento patrimoniale». I successivi «sdilinquimenti ministeriali» avrebbero indotto il PSI a credere che «il suo disarmo verso la borghesia fosse reciprocanza» se non addirittura che la borghesia avesse «abdicato alle sue finalità e a compiere il ciclo storico del suo ulteriore sviluppo». In realtà la borghesia non aveva mai disarmato, come dimostrato dal susseguirsi degli eccidi

117 Vindex La conquista, “ La Soffitta” 1.10.1911.

118 Significativo che Lerda ritenesse marginale il problema della pubblicazione su “La Soffitta” di un articolo filotripolino di Norlenghi (27.1.1912), a cui replicarono D. Marra (15.3.1912) e Vezio (15.2.1912). In una nota redazionale Lerda chiudeva, nell'aprile 1912, la polemica rivendicando a tutti gli iscritti la libertà di pensiero, pur nel rispetto della disciplina di partito.

119 A proposito della guerra. I tre punti di vista, “La Soffitta” 17.12.1911. Lerda nella nota redazionale aggiungeva che il problema era quello di educare il proletariato ma che, per farlo realmente, si doveva «abbandonare il sistema declamatorio» e «cessare di prospettare i problemi della vita sociale come si prospettava una figura geometrica perché... le chiacchiere erano chiacchiere».

proletari e dall'alleanza con i clericali nelle elezioni del 1904, nonché i sintomi della potenza del capitalismo italiano (conversione della rendita, incremento dei depositi bancali, quota della rendita in borsa, riserve degli istituti di emissione, ecc.). Di fronte al processo di sviluppo e di rafforzamento della borghesia, di cui l'impresa libica era una tappa importante, il movimento operaio avrebbe dovuto non tanto occuparsi della questione tripolina, quanto piuttosto procedere ad una ristrutturazione organizzativa e propagandistica, ed assumere tutte quelle iniziative che preparassero fin d'allora la resistenza «contro la invadenza guerrafondaia», perché la borghesia «reduce da Tripoli, imbaldanzita dalla vittoria» non trovasse la classe operaia indifesa. E ciò anche nella considerazione che già la magistratura «tornava sulle peste reazionarie di novantottesca memoria, che la stampa si faceva un giorno più dell'altro assertrice di un provvido restringimento dei freni, che la borghesia si imbaldanziva nei pubblici poteri, che le garanzie costituzionali tendevano ad essere allegramente livragate120».

La ricostruzione del Terzaghi, che restava quasi esclusivamente in un ambito finanziario senza una considerazione adeguata delle concentrazioni monopolistiche, era viziata da un anticollaborazionismo che considerava la borghesia come un blocco indifferenziato, privo di una sua interna dinamica, ma ebbe il merito di porre, nell'ambito della critica al concetto di trasmissione passiva del potere della borghesia, il problema dell’autonomia del partito della classe operaia, sottolineando l'esigenza di una maggiore capacità di iniziativa.

Anche Lerda, per una conoscenza diretta dei dibattiti in seno alla socialdemocrazia tedesca e i contatti personali con gli ambienti del socialismo internazionale, scrisse nel 1911-12 una serie di articoli sul capitalismo internazionale e sui processi di concentrazione industriale all'interno, che si distinsero per l'interesse verso problemi su cui il socialismo italiano era largamente assente e per alcune intuizioni felici.

Prima dell'impresa libica, nell'agosto 1911, interpretò la nomina ad ambasciatore a Costantinopoli di Garroni, legato agli Ansaldo, come una svolta nella politica estera verso una penetrazione economica in Oriente non più attraverso la semplice azione diplomatica e formale, ma attraverso «una politica di fatti e azioni», «con uomini capaci di creare una fitta rete di interessi reali». Anche l'Italia, pur con i suoi ritardi e contraddittorietà, entrava nelle competizioni capitalistiche internazionali: «È la lotta per la vita del capitalismo moderno che, pena la morte, non può rimanere inoperoso, né rinchiudersi come in altri tempi nei forzieri; è la lotta, fra i governi che tali capitali rappresentano, di nuovi mercati»121

Lerda, rilevando l'indebolimento del ruolo della diplomazia, scrisse che «la grande politica» stava passando «dalle mani dei poteri dinastici a quelle dell'alta banca e del capitalismo» e avanzò l'ipotesi che una futura confederazione degli Stati europei sarebbe stata «l'espressione della forza della nascente Internazionale capitalistica». Per l'immediato pronosticò come inevitabile una guerra europea.

Sullo stesso concetto tornò in un articolo del 17 dicembre 1911, nella considerazione della crescente rivalità tra Germania e Inghilterra, dei fermenti di rivolta nei Balcani, delle mire austriache su Salonicco. Giudicate «risibili» «le società borghesi per la pace, come i tribunali dell'Aia», dichiarò che «Il proletariato europeo non era assolutamente in grado di impedire la

120 Dal nome di un ufficiale che aveva commesso abusi sulla popolazione libica

121 G. Lerda, Nell'alta politica, “La Soffitta” 15.8.1911. Il 29.5.1912 tenne una conferenza a Corato (BA) contro la guerra italo-turca

grande guerra», ormai inevitabile.

Sottolineando le contraddizioni dell'imperialismo internazionale, nel cui ambito era entrata anche l'Italia, nello stesso tempo rilevava la debolezza delle posizioni socialiste che si alimentavano dell'illusione intorno al mito dell'Internazionale come forza sufficiente per impedire la guerra europea.

Tuttavia quando passava dall'analisi all’indicazione di direttive politiche in una situazione in rapida trasformazione restava entro la logica della Seconda Internazionale e prefigurava alcune posizioni del PSI durante la guerra mondiale, avanzando la speranza che il proletariato attraverso la guerra «non si smarrisse ai fini della nuova, futura civiltà»122

In politica interna, se segnalava i processi di concentrazione industriale anche in rapporto alla lotta sindacale123 e coglieva gli elementi di novità del quadro politico124 perveniva a conclusioni riduttive della potenzialità di iniziativa del movimento operaio, che veniva ammonito a non scendere troppo precipitosamente in sciopero, perché occorreva prima «studiare le condizioni di forza proprie e dell'avversario».

In conclusione teorizzò l'autonomia di classe, ma inserita in una prospettiva difensiva e subalterna, che preservava la dottrina e l'organizzazione dai compromessi e dall'opportunismo, senza però porsi il problema di competere per il potere con la classe antagonista e di rovesciare la tendenza a destra della politica italiana.

15. Il congresso di Ancona, la guerra e il dopoguerra

L'approvazione a Reggio Emilia dell'OdG contro la massoneria lo indusse a rassegnare immediatamente le dimissioni dal PSI, respinte dal congresso con voto unanime. Dopo aver rifiutato la direzione dell'Avanti!, continuò nella sua attività di propagandista e organizzatore socialista.

La definitiva uscita dal partito avvenne al congresso di Ancona del 1914, dove sulla doppia appartenenza, alla massoneria e al Partito, furono presentate tre mozioni: l'OdG Zibordi-Mussolini, per l'incompatibilità e l'espulsione, che ottenne 27 mila voti, l'OdG Matteotti, per la sola incompatibilità, con 2300 voti e l'OdG Poggi per la compatibilità che ebbe 1800 voti. Posto di fronte a questa secca alternativa, optò per la permanenza nel Grande Oriente d'Italia. Dichiarò che i

122 G. Lerda, Una ben più grande e terribile guerra, “ La Soffitta”, 17.12.1911

123 G. Lerda, Trusts, sindacati, scioperi, , “ La Soffitta” 19.11.1911

124 G. Lerda, Timeo danaos..., “La Soffitta” 15.5. 1911. Lerda scriveva che il programma democratico di Giolitti e la chiamata di Bissolati da parte del re potevano nascondere il tentativo di distogliere l'attenzione del proletariato da un intervento dell'Italia nell'impero ottomano, probabilmente nei Balcani. I sintomi di una nuova politica estera aggressiva andavano ricercati per lui in alcuni fenomeni nuovi di politica interna: «II coro della stampa italiana contro la debolezza e pusillanimità della nostra politica estera, l'esautoramento del nome e del prestigio italiano, la diminuita influenza nostra in regioni e in mezzo a popoli fra i quali la tradizione della lingua nonché quella del nome italiano si erano mantenute per tanti secoli… la nascita del partito nazionalista sbucato fuori come di sorpresa col programma della grande e forte patria italiana».

socialisti massoni non avrebbero ripudiato la loro fede politica, anche se fossero stati privati della tessera. Accennò al pericolo per il Partito del diradarsi dell'elemento intellettuale e concluse dicendo che egli ed i suoi amici non potevano accettare «questa nuova funzione che il Partito si arroga di guardare chi è battezzato e chi è circonciso»125

Il Grande Oriente d'Italia lo chiamò a far parte della propria giunta esecutiva, riconfermandolo nel 1919 sotto la gran maestranza di Ernesto Nathan. L'appartenenza alla massoneria ebbe un certo peso nel suo progressivo allinearsi su posizioni democratico-interventiste. Nel luglio 1914 fece un viaggio a Parigi, e con i socialisti francesi mantenne stretti rapporti durante tutto il periodo della guerra.

Divenuto uno dei punti di riferimento dei gruppi socialisti dissidenti, il 10 gennaio 1917 fu nominato segretario del gruppo socialista autonomo a Milano126 e a febbraio eletto insieme a Mussolini per rappresentare tale movimento al congresso dei partiti socialisti dei paesi dell'Intesa, che avrebbe dovuto svolgersi a Parigi e non ebbe luogo per il precipitare delle vicende belliche, in particolare di quelle russe.

Come segretario del gruppo milanese partecipò al congresso del partito socialista riformista tenutosi a Roma il 15-16 aprile 1917 nella sala della federazione del libro, e nel giugno successivo si recò con Arturo Labriola, I. Cappa e Orazio Raimondo in Russia per caldeggiarne la continuazione della guerra a fianco dell'Intesa127.

Fu tra i fondatori dell'Unione socialista italiana, fautrice della «lotta di difesa contro la minacciata egemonia del militarismo austrotedesco e di liberazione dei confini nazionali» in cui confluirono molti elementi dell'interventismo di sinistra, e nell'agosto 1918 entrò a far parte della sua direzione centrale. Il 2 novembre 1919 fu incluso nelle liste del «Partito del lavoro» di Genova come candidato nelle elezioni politiche generali

Nonostante l'accostamento a Bissolati nel 1916-17 e l'adesione all'USI, mantenne sempre buoni rapporti con molti degli ex-compagni del PSI, soprattutto con Costantino Lazzari128 e con gli organizzatori sindacali. Il vecchio organizzatore e propagandista non riusciva a distaccarsi dal movimento operaio.

Polemizzò duramente durante il «biennio rosso» contro il massimalismo che giudicava insieme velleitario negli obiettivi e prodotto di una situazione di arretratezza economica e di insufficienza culturale, secondo il suo consueto metro di giudizio. A questo proposito, la guerra determinò profonde modifiche all'interno del partito tanto nei quadri quanto nella stessa base sociale, per cui occorre distinguere tra intransigentismo e massimalismo (rispettivamente prima e dopo la guerra),

125 Pedone, Il Partito ..., vol 2., 1902-17, cit., pag.231

126 Un informatore della polizia lo presentò come «un dissidente che si dava anima e corpo ad organizzare il nuovo partito socialista in contrapposto a quello ufficiale». In questo contesto potrebbe aver fatto da intermediario nel febbraio 1917 tra la massoneria e II Popolo d'Italia, a cui sarebbero state date 4.500 lire.

127 ACS, CPC b.2773, lettera a Oda del 24.6.1917 da Cristianaia (Copenhagen)

128 ACS, CPC b.2773: una informativa del 10 novembre 1917 riferisce che frequenta C.Lazzari.

perchè se il primo fu l'indubbia matrice del secondo, dell’originario gruppo dirigente della frazione solo pochi mantennero una posizione di primo piano (Serrati, Vella), alcuni concorsero alla formazione del PCdI mentre molti degli esponenti più rappresentativi dell’anteguerra confluirono su posizioni più moderate alla fine del conflitto, anche in relazione alla rivoluzione russa.

Concluse il suo percorso politico aderendo nel 1922 al Partito socialista unitario. Dopo l'avvento del fascismo affittò il primo piano del proprio villino di Roma al PSU, che vi impiantò gli uffici amministrativi e la redazione della Giustizia, alla sezione romana della CGdL e al sindacato ferrotranvieri. Dopo il fallito attentato di Bologna contro Mussolini del 31 ottobre, attribuito al giovane Anteo Zamboni,129 fu sottoposto a stretta sorveglianza dalla polizia e perseguitato dalle squadre fasciste, che ne saccheggiarono la casa130.

Trasferitesi a Torino131 sempre vigilato dalla polizia, morì il 17 maggio 1927, quando gli si stava preparando l'espatrio clandestino. Pare che Mussolini si riferisse a lui quando in un discorso a Torino il 27 maggio 1927 dichiarò «Anche gli irriducibili muoiono».

129 Probabilmente opera di fascisti dissidenti legati al ras bolognese Arpinati, che utilizzarono il quindicenne Anteo come capro espiatorio, pugnalandolo a morte per depistare le indagini e far sparire ogni traccia. Ved. B. Dalla Casa, Attentato al duce: le molte storie del caso Zamboni Bologna 2000

130 G. Salvemini. Scritti sul fascismo. Voi. 1. Feltrinelli, 1961, pag. 119

131 Il 3 marzo 1927, in via Massena 18

ODDINO MORGARI (1865-1944). Biografia politica di un "cittadino del mondo"

1. Il personaggio

2. Nel socialismo torinese del decennio 1890-1900

3. L’elezione nel 1897 e il Novantotto

4. L’ostruzionismo (1899)

5. L’attività all’inizio del Novecento (1900-1905)

6. Il” propagandista” Morgari e il “ciarlatano” Frizzi

7. A Torino agli inizi del secolo. Lo sciopero dei gasisti (1902)

8. Segreteria della Camera del lavoro e lotte del 1906

9. La sezione socialista torinese nel primo decennio del ‘900

10. Alla segreteria del PSI. L’”Integralismo” ( 1906-08)

11. La direzione dell’”Avanti!” (1908) e un primo "dialogo" coi cattolici

12. Attività in Parlamento e nel Paese (1907-11)

13. Con Salvemini per la questione Meridionale

14. Viaggio in Oriente e congresso di Ancona (1911-14)

15. Lo scoppio della guerra

16. L’incontro di Lugano (1915)

17. La «Missione Morgari». Parigi e Berna

18. Nel Paese in guerra (1915-16)

19. Da Zimmerwald a Kienthal

20 La Missione Ford

21. Nel Paese in guerra (1917-18)

22. La Commissione di informazione e di azione internazionale (1918)

23. La Comune di Budapest (1919)

24. I viaggi in Russia e la ricostruzione economica in Russia (1922 e1936)

25. Nell’antifascismo in Italia e in Francia (1922-44)

1. Il personaggio

Nato a Torino il 16 novembre 1865 in una famiglia di pittori (tali furono il padre Paolo Emilio, la madre Clementina Lomassi, la sorella Bice, il fratello Luigi, il più celebre, vissuto dal 1857 al 1935 e autore di numerosi affreschi132), questa parentela concorse probabilmente allo stereotipo di “bohemien”. A questa nomea contribuì l'autobiografia di Rinaldo Rigola in cui l’anziano sindacalista racconta che, eletto deputato nel 1904, non essendovi allora indennità per tale carica "l'on. Morgari mi impartiva delle lezioni di economia parlamentaristica:..."risparmio i soldi dell'albergo andando a dormire in treno. Combino il viaggio in modo che tra l'andata e il ritorno ci sia da passare l'intera notte" approfittando della franchigia ferroviaria che consentiva ai deputati di viaggiare gratuitamente."Sapevo che Morgari era capace di fare ciò ed altro ma non ero del suo avviso...non mi sentivo di spingere il mio eroismo a tal punto......non [ero ] tagliato per l'eccentricità" 133

Più seriamente, c’è sicuramente nella sua vita un lato avventuroso, un certo gusto per la vita nomade: dal soggiorno in Francia alla fine degli anni '80 alla presenza in Macedonia nel 1903 dove era accorso in occasione dell'insurrezione al dominio turco, dai due anni trascorsi in Estremo Oriente (1911-13), ai viaggi durante la guerra mondiale per riallacciare i rapporti tra i socialisti, fino alla presenza a Budapest durante la “Comune” e ai viaggi in Russia nel 1922 e alla metà degli anni '30.

Spontaneo il paragone con personaggi del socialismo dell'epoca, come Giacinto Menotti Serrati134 che trascorse una parte importante della sua vita nell'emigrazione come organizzatore dei lavoratori italiani in Svizzera e negli Stati Uniti, o come il "cittadino del mondo" Edmondo Peluso135 che ha suggerito il sottotitolo. Al di là dell’aspetto pittoresco è importante cogliere lo spessore umano e politico del personaggio che fu una figura non secondaria di un quarantennio del socialismo italiano, e nel periodo della guerra anche internazionale, trovandosi sovente al centro

132 A.M.Comanducci “I pittori italiani dell’Ottocento. Dizionario critico e documentario”, Milano, 1992, ad nomen. Era anche genero del pittore Vincenzo Fasano, avendone sposato la figlia Sofia.

133 R.Rigola Rinaldo Rigola e il movimento operaio nel biellese: autobiografia, Bari, 1930, pag. 172-3. Fu eletto alla Camera la prima volta il 3 giugno 1900 con 3.062 voti nel collegio di Biella, ciò che gli permise di rientrare dall'esilio francese per l'immunità parlamentare. Il 6 novembre 1904 fu rieletto al primo scrutinio con 3.838 voti, mentre nel giugno 1906 fu battuto per 3.664 contro i 3.872 voti del candidato liberale.

134 Natta Serrati. Vita e lettere di un rivoluzionario, Roma, 2001; A.Rosada Serrati nell'emigrazione. 1889-1911”, Roma, 1972; Vedi anche G.Miccichè Vincenzo Vacirca : un socialista itinerante , Ragusa, 1992

135 D.Gnocchi Odissea rossa. La storia dimenticata di uno dei fondatori del PCI, Torino, 2001

dei più importanti avvenimenti, fino almeno al primo dopoguerra quando verrà superato dai nuovi eventi e da una nuova generazione.

Nel sistema di valori fondativi del socialismo italiano delle origini, il carattere positivistico-sentimentale della sua adesione è comune alla maggior parte della generazione, mentre i suoi tratti distintivi sono il disinteresse, che lo portò a subire più che a ricercare le cariche direttive, e la predicazione tra le masse. Nelle cronache delle agitazioni e degli scioperi di tutta Italia, dal 1890 in poi è raro non trovare il suo nome: quando la situazione si faceva critica e occorreva la presenza di qualcuno che sapesse parlare alle masse, le sezioni del Partito e le Camere del Lavoro si rivolgevano a lui..

Nel 1885 durante il servizio di leva, che per la sua conoscenza del disegno andava svolgendo all'Istituto Geografico Militare di Firenze, ebbe luogo la sua iniziazione politica, che così rievocherà in uno scritto dei suoi ultimi anni: “nella mia adolescenza per motivi di natura psicologica ed ereditaria la mia mentalità era come una spugna pronta ad imbeversi di quel qualunque ideale umanitario che le fosse prospettato dal primo idealista in cui si sarebbe imbattuto; e volle il caso che questo fosse un mazziniano andato al par di me nella Fortezza di Basso di Firenze, ragion per cui in tre giorni fui avvinto e mi diedi a quella fede per metà politica e per metà religiosa con quella stessa ardente passione con cui un giovane vive il suo primo amore” 136

Ma fu trasferito per punizione «quando il Ministero delegò una Commissione disciplinare a giudicare di un rapporto della polizia, che [lo] denunciava come mazziniano»137 Espatriato dopo il servizio militare, raggiunse Parigi e in seguito Marsiglia dove dal settembre al dicembre del 1890 diresse il circolo mazziniano. Per usare le sue parole, scritte però a cinquant’anni dagli avvenimenti e quindi da considerare con cautela: “Quattr'anni erano passati dopo d'allora durante i quali avevo preso contatto col pensiero socialista traverso scarse ed incomplete battute, cosicchè poco a poco ero venuto a dubitare che il mazzinianesimo fosse un edificio mancante di alcuni muri maestri, ma per passare alla convinzione socialista ero impedito da diverse obiezioni suggeritemi dal buon senso dell'aspetto pratico delle questioni già vivo in me nonostante l'età giovanile. Respingevo con noia certe obiezioni volgari.....ma certi altri dubbi mi ponevano in imbarazzo: per esempio mi stringeva il cuore assistendo alla propaganda di tanti sindacalisti e socialisti che alle masse parlavano soltanto di diritti e mai di doveri...e che si disinteressavano delle sofferenze di tanti altri lavoratori solo perchè non portavano il berretto dell'operaio di fabbrica....Si poteva temere che nel nuovo assetto si scatenasse una nuova forma di sfruttamento, quella degli oziosi e dei cinici sui compagni coscienti e volonterosi.... mi chiedevo se per ottenere un corretto adempimento dei nuovi obblighi sociali non sarebbe stato necessario un regime di dittatura che avrebbe trasformato l'Eden promesso in un'immensa caserma...Il socialismo prometteva di costruire una nuova casa di cui però non presentava il piano limitandosi a magnificarlo con vaghe frasi messianiche...tutti motivi che mi portavano ad attendere che un uomo o un libro mi dimostrasse con argomenti irrefutabili che .....non era un'impresa destinata a fallire dopo immensi sacrifici per l'incapacità morale e tecnica dei suoi imprenditori e per imprevisti difetti d'un meccanismo che nessuno aveva cura di prevedere....La rivelazione mi raggiunse sotto la forma d'un volumetto venutomi sotto mano per caso e che lessi d'un fiato in una camera di un albergo di quint'ordine della vecchia Marsiglia...”L'Anno 2000” di Edoardo Bellamy, uno scrittore totalmente vuoto in fatto

136 Come divenni socialisti "Nuovo Avanti!" di Zurigo, 27.7.1939

137 “Grido del Popolo” 18.10.1913, articolo che tratteggia la sua figura di candidato alle elezioni politiche

di dottrine..[ma]..nel leggerlo io vidi la società socialista nella sua architettura e nei suoi ordinamenti e di colpo tutti i miei dubbi sparirono dalla mia mente...e poi fui certo che la società degli uguali e dei liberi non era un sogno come quello del paradiso dei cristiani, ma un meccanismo che si poteva concretamente costruire e far funzionare ... Questa verità mi folgorò nel cervello e mi fasciò di gioia tantochè ad un certo punto della lettura andai alla finestra e gridai: “ho compreso! ho compreso!” come se volessi informare tutta Marsiglia. Per qualche tempo vissi nello stato d'animo di un visionario a cui Iddio è apparso in sogno per assegnargli una qualche missione”138

2 Morgari nel socialismo torinese del decennio 1890-1900

Sullo sviluppo industriale e le origini del socialismo torinese si rinvia al paragrafo della biografia di Lerda dedicato a questo tema. Nella situazione ivi descritta si inserisce Morgari che, rientrato dalla Francia, prende parte attiva sulle pagine della Squilla alle discussioni seguite al congresso socialista di Genova del 1892 . Non proveniva dal socialismo militante, era quasi sconosciuto all'inizio al punto che il Grido del Popolo ne storpiava il nome, ma apparteneva a quell'area di repubblicani di recente conversione guardata con una certa diffidenza dai vecchi operaisti e socialisti per questo motivo.

Così viene descritto quasi cinqunt'anni dopo da un anonimo collaboratore dell'”Avanti!”: “Arrivato da dove non si sa piovve un giorno a Torino un tale con un pizzetto rossiccio ... trovò lavoro come contabile presso la cartoleria Simondelli in via Po. ....Erano allora gli impiegati pagati a mesi e Oddino ebbe l'audacia di chiedere un anticipo sullo stipendio del suo primo mese. Allora si andava a vedere il padrone con il cappello in mano e l'ordine di costui e il fatto per di più che gli venne concesso stupirono parecchi di noi della stessa ditta. Parlava un linguaggio nuovo e una sera mi invitò ad andare alla “Fratellanza operaia” .....non ricordo se a parlare ci fosse Cerutti o Chenal. Intervenne nel dibattito anche un avvocato che più tardi seppi era Claudio Treves...Passò qualche anno e il PSI fondò una sezione a Porta Palazzo sorvegliatissima dalla polizia.... Poscia la testa calda fondò un'altra sezione vicina a Piazza Filiberto frequentata da universitari: Roux, Casalini e altri. E forse anche persone di dubbia moralità, difatti una sera vedo Oddino pallido e silenzioso. Più tardi ci spiegherà l'origine del suo malumore. Aveva riscosso quella sera stessa il suo stipendio e mentre era nella Sezione un biglietto da 100 lire aveva preso il volo dal suo portafoglio. Oddino non volle denuncìare il fatto alla polizia Ne subirebbe la sezione..La gente direbbe che vi son dei ladri fra noi che vogliamo riformare il mondo. E poi chi lo ha preso forse ne aveva più bisogno di me. Così la cosa fu messa a tacere per non danneggiare la sezione” 139

Per la giornata del Primo Maggio 1993 il partito tenne 13 conferenze in città e altre 4 in provincia, dando così l'immagine di un'organizzazione forte e radicata sul territorio. Il 28 maggio Morgari tenne un comizio al Teatro Nazionale in appoggio alla proposta di legge del deputato democratico Pietro Albertoni di abolizione dei dazi sui beni di largo consumo e di una tassazione fortemente progressiva sulle successioni. A maggio iniziò la propaganda nelle campagne attraverso conferenze e in giugno i quattro candidati alle amministrative (Morgari, Nofri, Alessi, Goria) ottenevano 1809 voti che erano anche il risultato della precedente conquista di un'importante istituzione quale la Cooperativa ferroviaria

138 Come divenni socialista, "Nuovo Avanti!" di Zurigo. 27.7.1939

139 Appuntamento con Oddino Morgari, “Nuovo Avanti!”, 11.5.1940

Nell'agosto del 1893 ad Aigues Mortes in Provenza erano avvenuti dei gravissimi scontri tra gli operai locali e quelli italiani che accettavano di lavorare nelle saline per salari più bassi, culminati nel linciaggio di una trentina di immigrati. Alle dimostrazioni antifrancesi appoggiate dal governo, i socialisti torinesi contrapposero una piccola manifestazione nel corso della quale Morgari fu arrestato e subì la sua prima condanna: dieci giorni di arresto per violazione dell'art. 434 (disobbedienza all'ordine di scioglimento d'una manifestazione)

Al congresso di Reggio Emilia del settembre 1893 Morgari non fu tra i delegati della sezione torinese, che inviò Giuseppe Battelli e Claudio Treves

Il 29 ottobre 1894 fu condannato a quattro mesi di detenzione e a 300 lire di multa per un discorso tenuto durante un banchetto a Romano Canavese. Nel novembre dello stesso anno fu sul banco degli imputati della pretura di Torino con Treves e Guglielmo Ferrero per un proclama inserito nel “Grido del Popolo” e venne definito: «uno dei più esaltati caporioni del Partito in Torino» e condannato a tre mesi di confino a Morgex (Aosta). Per concludere, il 18 febbraio 1897 a Roma, durante il processo a 120 socialisti, venne condannato ad un'ammenda di 10 lire per aver protestato contro il decreto di scioglimento della federazione socialista romana.

Dal 1896 la propaganda socialista a Torino trovò nella questione dell' amministrazione cittadina la leva più potente di agitazione. Di fronte ai problemi delle masse popolari riusciva, con un «programma minimo», a sostanziare la fede nell'avvenire di solidi motivi immediati: socializzazione dei servizi pubblici (acqua, gas, telefoni, luce), abolizione dei dazi sui consumi, giornata lavorativa di otto ore per i dipendenti municipali, facilitazioni alle cooperative, istruzione laica obbligatoria e gratuita.

Per le elezioni politiche del 1897 venne enunciato un programma più avanzato, propagandando oltre alla grande rivendicazione democratica del suffragio universale la concezione della "nazione armata”: “facciamo come in Svizzera”, dice Morgari che non si limita ad illustrare questo programma attraverso giornali e opuscoli ma insiste sulla necessità della costituzione di circoli, come strumenti fondamentali di penetrazione.

3. L'elezione nel 1897 e il “Novantotto”

Nel 1897 furono eletti in Italia 15 deputati socialisti, di cui due in collegi torinesi: Quirino Nofri, ferroviere e cooperativista e Morgari, anche se la sua candidatura fu ostacolata, come traspare da una lettera a Treves: “Ritengo non sia assolutamente necessario che i rappresentanti del Partito in Parlamento siano tutti e senza eccezione scelti nella categoria delle macchine da discorsi e da teoria, ma anche qualche volta, in quella degli uomini da lavoro e di senso pratico, atti non solo ad illustrare e a demolire, ma anche ad amministrare, organizzare, costruire. Disposto a ritirarmi di fronte a candidature operaie... non lo sono di fronte alle candidature di chiunque altro ... Dimostrami che l'interesse del Partito esige il mio ritiro. Se rimango convinto mi ritirerò»140.

Il 5 maggio 1897 esordì in Parlamento con una interrogazione sulla morte di Romeo Frezzi, legata

140 ACS, Fondo Morgari, cit. da R.Allio, Oddino Morgari socialista “Bollettino storico bibliografico subalpino” 1970, n.3-4

al tentativo di Pietro Acciarito di uccidere re Umberto I il 21 aprile 1897. La polizia avviò indagini tra gli anarchici, nel tentativo di dimostrare che l'attentato era frutto di un complotto. Durante le perquisizioni fu rinvenuta una foto di Accarito nell'abitazione del Frezzi che venne arrestato. In seguito al durissimo interrogatorio per estorcergli una confessione di complicità muore e l'autopsia rivela che la causa non è il suicidio, ma l'inaudito pestaggio141

“L'Avanti!” conduce una dura battaglia per far emergere la verità e promuove la sottoscrizione per una lapide e per la vedova, venendo naturalmente accusato di complicità morale con l'attentato. Per alcuni giorni in via delle Murate, sede del giornale, i socialisti si scontrano con gli agenti che arrestano l'amministratore Mongini, il proto, gli strilloni: Oddino Morgari e Leonida Bissolati, essendo coperti dall'immunità parlamentare, s'improvvisano strilloni, mentre il governo emana una circolare che autorizza il sequestro di stampa preventivo e sommario e dichiara inviolabile il comportamento della polizia, in polemica con la stessa autorità giudiziario che aveva spiccato il mandato di comparizione per il questore.

I funerali, il 9 maggio, sono una grande manifestazione contro la monarchia e il 22 agosto parte da Campo de' Fiori un corteo di 15000 persone contro gli assassini "morali e materiali" del Frezzi. In un primo momento il governo aveva proibito le dimostrazioni, ma i funerali erano riusciti imponenti, Tafferugli con la forza pubblica al Verano, e al Gianicolo discorsi contro il governo. Il 25 grande comizio commemorativo dei repubblicani in Campo dei Fiori, con bandiere rosse e rossonere

Intervenne più volte in favore degli operai delle manifatture tabacchi; difese i dipendenti del Ministero della Guerra che chiedevano le 10 ore. Chiese, associandosi alla campagna promossa dai partiti dell'Estrema, il trasferimento di fondi dai bilanci dei dicasteri «non produttivi», quali l'esercito e la marina militare, a quelli dell'agricoltura e dell'industria. Fece parte della prima redazione dell'«Avanti!» e ne fu amministratore; ma nel gennaio del 1898 rinunciò a quest'incarico per dedicarsi maggiormente all'opera di propaganda e motivò così le sue dimissioni: "non sono all'altezza; o dirò meglio alla bassezza di un incarico che esige spirito inquisitoriale, severità, misure di rigore. Negli impiegati e nei dipendenti di ogni fatta vedo dei compagni con cui l'estrema familiarità delle relazioni toglie la possibilità del tiranneggiare. Vedo degli uomini e dietro ogni loro pena le cause ereditarie di nutrizione, di nervi, di bisogno e di passione che quella deficienza producono e ciò mi disarma. Non sono tagliato per comandare»142

Nel 1998 il tribunale di Biella lo condannò a tre mesi e 26 giorni e ad una multa di 100 lire per eccitamento all'odio fra le classi sociali, in seguito alle parole pronunciate in una conferenza elettorale a Cossato nel 1897, in appoggio alla candidatura di Dino Rondani, anche lui eletto deputato in quella legislatura.

Nell'aprile del 1898 fu presente con Andrea Costa e Camillo Prampolini allo sciopero di Molinella e presentò diverse interrogazioni sulle cause che avevano portato allo scioglimento della cooperativa locale. Pochi giorni dopo partì con Rondani per Palermo, per sostenere la locale sezione nella lotta

141 Il primo comunicato della questura dice che è morto per suicidio, picchiando la testa contro il muro: ma il cadavere è fuori dalla cella. Secondo comunicato: è morto per aneurisma. Il pretore ordina la perizia, esce un terzo comunicato: suicidio, è saltato giú da un ballatoio alto sei metri. Alla Camera gli esponenti dell'estrema chiedono chiarezza, Cavallotti porta i risultati di un'indagine in un appassionato intervento, ma Di Rudinì si assume personalmente la responsabilità di fermare ogni indagine per scongiurare pericoli di sovversione.

142 R.Allio, Oddino Morgari cit.

contro la mafia crispina della zona.

A Torino si ebbe inizialmente scarsa eco dello scoppio dei moti del maggio 1898, tanto che Morgari, Nofri e Treves firmarono un manifesto della sezione in cui si lamentava «la lotta micidiale di Milano, che si combatte senza un chiaro obiettivo» e si invitavano i socialisti ad astenersi da ogni dimostrazione, a mantenere fede alla tattica evoluzionistica del partito, al gradualismo «che solo potrà portare il proletariato alla conquista del potere politico" . Il 9 maggio il generale Bava Beccaris, comandante della piazza militare di Milano, che per la proclamazione dello stato d'assedio aveva ricevuto dal capo del governo Rudinì i pieni poteri, fece trattenere Turati e Bissolati, presentatisi in questura per protestare contro l'espulsione della Kuliscioff, "essendovi evidente flagranza reato incitazione rivolta per parte entrambi", fece arrestare Andrea Costa e diede analoghe disposizioni per Morgari e il deputato socialista di Carpi Alfredo Bertesi.143

Lo stesso giorno partì per Milano ma non riuscì a trovare contatti, essendo tutti incarcerati o fuggiti; partì allora per Lugano per avere notizie più precise dai compagni là riparati. In questo viaggio l'autorità di P.S. volle vedere un legame con la tentata invasione di bande armate dalla Svizzera144.

143 M.Pecoraro ”Alfredo Bertesi: la figura e l'opera”, Modena , 1995

144 Morgari scrisse la prefazione al libro di Francesco Berutti “Le bande svizzere: episodio tipico dei moti di maggio 1898”, Arona, 1904. Così Umberto Levra smonta la leggenda in “Il colpo di stato della borghesia", Milano, 1975: “poco più di duecento operai italiani abbandonano il lavoro e, grazie a collette improvvisate, si dirigono senz'armi e senza bagagli in treno alla volta del Sempione. Prima del confine intervengono però le autorità cantonali, dirottano il treno su un binario morto, arrestano gran parte dei componenti della banda rimasti senza cibo e senz'acqua, li ammassano in un campo di concentramento improvvisato e li caricano poi su un treno speciale, dai cui finestrini spuntano malinconiche le bandiere rosse dei rivoltosi e li trasferiscono sotto scorta fino a Chiasso dove li consegnano a una compagnia di bersaglieri, tra le vivaci proteste di gran parte dell'opinione pubblica svizzera colpita dalla procedura indegna delle tradizioni liberali elvetiche … AI Sempione poche decine di italiani sfuggono all'arresto in territorio svizzero, disperdendosi sui monti; la maggior parte di essi torna indietro e alcuni altri tentano di passare il confine a piccoli gruppi … Tre sole guardie di finanza sono perciò sufficienti per arrestare, senza incontrare resistenza, il 13, il 14 e il 15 maggio, ben 49 "rivoltosi," privi di armi e spossati dalla fatica… Gli arrestati, quasi tutti in età compresa fra i 15 e i 30 anni e per lo più originari della provincia di Novara e, in subordine, del Canavese, di Torino, di Milano e di Pavia, sono immediatamente deferiti al tribunale militare di Milano con ordinanza del 19 maggio del tribunale di Domodossola, il quale si preoccupa, da un Iato, di "legittimare completamente l'operato della truppa" che ha arrestato i 49 individui e, dall'altro, di far risaltare con evidenza Ia connessione fra i fatti criminosi di Milano e la formazione e marcia delle bande In discorso; uno era lo scopo, la rivoluzione sociale; identici i mezzi, la rivolta armata ai poteri dello Stato, il saccheggio, la distruzione. Quindi è che qualunque è la denominazione giuridica a darsi ai fatti attribuiti agli arrestati, e gli articoli del Codice da applicarsi, sembra che tali fatti non possano non appartenere alla competenza dell'Autorità Militare di Milano funzionante da Tribunale Militare di Guerra, tanto per il proseguimento dell'istruttoria quanto pel giudizio”. Il tribunale militare di Milano, incurante delle testimonianze oculari di uomini d'ordine elvetici e italiani, si atterrà alla versione delle bande armate, coinvolgendovi anche il Rondani e il Vergnanini e gli altri principali esponenti socialisti e repubblicani rifugiati a Lugano

Gli arresti avvengono sulla base di elenchi predisposti dalle questure, quasi mai in flagranza di reato e per lo più senza prove e capi d'accusa, alla ricerca dei quali si procede al momento del processo.

Il commissario straordinario di Milano propose l'arresto fuori della sua giurisdizione anche di Rondani, bestia nera degli industriali biellesi perché animatore delle lotte operaie della Valsessera e di Nofri, organizzatore dei ferrovieri, Si scatena dunque la caccia benchè fosse prescritta la flagranza di reato per l'arresto di membri del parlamento.

Rondani è già riuscito a espatriare. Meno fortunati furono Nofri e Morgari. Il primo, dopo essere stato sorvegliato, è fermato a Torino la sera del 12. Morgari il 14 maggio è arrestato a Roma “essendo risultato essersi egli trovato Milano nel giorno nove quando avvennero tumulti Monforte, parendomi inoltre esistere flagranza a termini del capoverso articolo 33 codice penale essendo stato trovato deputato denaro giornale sovversivo "Avanti" e così in possesso oggetti che lo fanno presumere coautore in reato di istigazione.”

A fabbricare le prove provvide la questura di Milano, con due voluminosi rapporti all'avvocato fiscale militare. Preoccupazione primaria del questore è di ribadire il carattere insurrezionale dei tumulti, l'ideologia rivoluzionaria dei partiti socialista e repubblicano e degli anarchici, la responsabilità determinante di trentadue capi socialisti, repubblicani, anarchici che coincidono con gran parte del gruppo dirigente nazionale e locale dei tre movimenti politici.

Contro Morgari non esisteva che l'accusa di essere per Torino “quasi quello che Turati era in Milano” cioè un abile organizzatore e propagandista. Il processo presso il Tribunale militare si concluse il 12 agosto con l'assoluzione di Morgari e la condanna di Turati e del deputato repubblicano De Andreis a 12 anni (ma furono liberati l'anno successivo)

4. L'ostruzionismo

Caduto il governo Rudinì gli succedette Pelloux, che si mosse sulla stessa linea, anche se con una maggioranza parlamentare inizialmente allargata ai liberali zanardelliani e giolittiani. In materia di ordine pubblico era stato approntato un decreto che dava all'autorità di pubblica sicurezza la facoltà di "vietare, per ragioni di ordine pubblico, gli assembramenti e le riunioni politiche"; vietava di portare ed esporre in pubblico "insegne, stendardi o emblemi sediziosi"; dava facoltà al ministro dell'interno di sciogliere le “associazioni dirette a sovvertire, per vie di fatto, gli ordinamenti sociali o la costituzione dello stato"; vietava la sciopero degli "impiegati, agenti ed operai addetti alle ferrovie, alle poste, ai telegrafi, alla illuminazione pubblica"; aggravava le disposizioni penali in materia di reati di stampa estendendo la responsabilità di eventuali pubblicazioni incriminate anche agli "autori e cooperatori" delle pubblicazioni stesse, oltre che al gerente del giornale. Si trattava di un testo assai lesivo della libertà e pericoloso, poiché poteva essere il punto di partenza di ulteriori disposizioni repressive.

L'11 giugno 1899 nelle elezioni per il rinnovo parziale del consiglio comunale di Milano la coalizione dei radicali, repubblicani e socialisti ottenne 19.000 voti contro 15.000 andati alla coalizione clerico-moderata e il radicale Mussi, padre del giovane ucciso durante la manifestazione dell'anno precedente che era stata la scintilla dei moti milanesi, divenne sindaco di Milano. A

Torino, a Firenze e in altre città, furono ottenuti dai socialisti altri successi, indicativi del nuovo orientamento dello spirito pubblico, oltre che della forte ripresa delle organizzazioni operaie.

Per il governo Pelloux, l’esito delle elezioni rappresentava un campanello d'allarme; nonostante ciò decise di far passare il decreto in seconda lettura alla Camera. L'incauta mossa ebbe come effetto non solo di esasperare la volontà ostruzionistica dell'estrema sinistra, ma di far passare all'opposizione la sinistra liberale di Giolitti e Zanardelli, che fino a quel momento si era preoccupata di tenere le distanze dall'azione dell'estrema, suscitando perplessità e riserve persino in alcuni ambienti conservatori settentrionali, se non altro per ragioni di opportunità politica quando non per scrupoli legalitari.

L’ostruzionismo, già ipotizzato dai socialisti da mesi, annunciato alla Camera e parzialmente applicato alla ripresa dei lavori, si esplicò, formalmente sempre nei limiti del regolamento dell'assemblea, con la presentazione di emendamenti, con continue richieste di verifica dell'esistenza del numero legale, con discorsi fatti al solo scopo di protrarre la discussione a tempo indeterminato e che appaiono una giostra di trovate, come a esempio la pseudo arringa dell'afono Bertesi, le disquisizioni di Morgari fatte con voce lentissima, sillabando le parole, i discorsi di quattro, cinque ore di Ferri e Pantano, le provocazioni alla maggioranza per suscitare incidenti e la conseguente sospensione della seduta. L'ostruzionismo, cui non partecipò la sinistra liberale, rese assai agitata l'atmosfera dell'assemblea ed innervosì la maggioranza governativa, non abituata a quel metodo di lotta nuovo per il parlamento italiano

La seduta della Camera del 30 giugno 1899 all'ordine del giorno ha le modifiche al suo regolamento e la conversione in legge del decreto 22 giugno 1899. Terminato il primo appello sorge Prampolini a chiederne un secondo per l'approvazione del verbale, forte del regolamento della camera. Il presidente arbitrariamente rifiuta e mette ai voti il verbale per alzata e seduta, tra le proteste e le grida dell'Estrema, in un clima che diviene subito arroventato.

Quando il presidente della Camera fece preparare le urne per una votazione a scrutinio segreto vi fu uno scontro tra Bissolati e Sonnino, che vennero alle mani, mentre Prampolini Morgari e De Felice si impadronirono delle urne e le rovesciarono disperdendo le schede dei deputati che già avevano votato.

Nel tumulto generale il presidente dichiarò allora sciolta la seduta e poco dopo fu annunciata la chiusura della sessione145. La ripresa dei lavori fu stabilita per il 14 novembre.

Il giorno dopo il presidente, i vicepresidenti e i segretari della camera si riunirono per decidere quali sanzioni adottare contro i responsabili della rottura delle urne, ma l’avvenuta chiusura della sessione, avendo fatto decadere l’intero ufficio di presidenza, li pose nella condizione di non poter deliberare alcun provvedimento. A questo punto intervenne la magistratura a promuovere d’ufficio, contro Bissolati, De Felice, Morgari e Prampolini un’azione penale per avere impedito alla Camera l’esercizio di una delle sue funzioni. All’intervento del potere giudiziario non erano estranee le pressioni dell’esecutivo, che sperava così di colpire l’ostruzionismo e i suoi più battaglieri esponenti.

145 La stessa validità giuridica del decreto del 22 giugno era in questione: la Corte dei conti l'aveva registrato con riserva in quanto ledente l'assoluta competenza del potere legislativo, mentre sulla sua legittimità era stata chiamata a pronunciarsi in maniera definitiva, la prima sezione penale della Cassazione di Roma che il 20 febbraio 1900 emise una sentenza che dichiarava l'illegittimità del decreto non essendo stato approvato

La sentenza di rinvio a giudizio della corte d'appello di Roma, le requisitorie del P.M. e del procuratore generale, l'ordinanza della camera di consiglio del tribunale sono concordi - dinanzi agli imputati che sostengono di essere stati costretti a difendere con la forza i diritti della minoranza dalla violenza esercitata dal presidente dell'assemblea asservito alla maggioranza e che dichiarano perciò non solo di non aver commesso il reato a loro attribuito, ma di aver compiuto lo stretto dovere di deputati - nell'affermare il principio che, essendo "sovrana la maggioranza nelle nostre istituzioni costituzionali, non si saprebbe capire come possa la sua deliberazione qualificarsi violenza e tale da consentire una reazione fuori le linee della legalità con vie di fatto costituenti delitto." A giustificazione poi della procedura contro quattro deputati senza tener conto delle immunità parlamentari, la magistratura si appella al tipo di reato che appartiene ai delitti contro i poteri dello stato ed è quindi "evidentemente d'azione pubblica", mentre lo Statuto garantisce ai membri del parlamento di non essere arrestati soltanto nel periodo di apertura della sessione parlamentare.

La risposta di Bissolati, De Felice, Morgari e Prampolini all'intervento dei giudici romani è politicamente abile: pur ribadendo che la magistratura non ha alcun diritto di giudicare il modo in cui si svolgono le discussioni parlamentari, essi dichiarano di astenersi dal sollevare eccezioni sulla legittimità e regolarità dell'azione giudiziaria, perché a tutti "importa per ragioni politiche che il processo abbia corso colla maggiore possibile sollecitudine," per trasformare l'azione giudiziaria in un processo politico. Perciò non soltanto confermano, durante gli interrogatori, i fatti attribuiti loro dall'accusa, ma addirittura si spingono fino all'autodenuncia allo scopo di allargare sempre più le dimensioni del processo politico contro il governo146. A questo punto però il governo, dopo aver tentato di servirsi della magistratura per colpire gli ostruzionisti, è costretto a retrocedere, per evitare di divenire, dinanzi al paese, da accusatore accusato.

L'inizio del processo presso la corte d'assise di Roma è già stato fissato dal presidente il 30 ottobre, gli imputati sono già in carcere, quando la vigilia un decreto reale annuncia per il 14 novembre l'apertura della terza sessione della ventesima legislatura e, col restituire loro l'immunità parlamentare, rimette in libertà i quattro deputati socialisti evitando nello stesso tempo il processo.

Prima della chiusura della sessione parlamentare la Camera approva il 9 luglio le conclusioni della commissione incaricata di riferire sull'autorizzazione a procedere contro i deputati Turati, De Andreis, Bissolati, Andrea Costa, Morgari, Bertesi, Rondani, Pescetti per eccitamento alla guerra civile, istigazione e associazione a delinquere. Facendo proprie le argomentazioni dell'avvocato fiscale del Tribunale Militare di Milano e le conclusioni della commissione parlamentare viene data via libera all'apertura di un procedimento penale contro Turati, il repubblicano De Andreis, Morgari e il socialista toscano Pescetti.

Mentre a Montecitorio si svolgevano queste vicende il paese rimaneva tranquillo: nessuna saldatura si operò fra l'azione ostruzionistica dell'Estrema e i movimenti popolari, sia per il senso di stanchezza e frustrazione lasciato dall'esperienza del maggio precedente, sia per il rapido processo di normalizzazione seguito alle misure repressive: molte associazioni disciolte avevano potuto ricostituirsi e la maggior parte dei giornali sospesi riprendere le pubblicazioni; già nel dicembre i condannati con pene inferiori a due anni avevano riacquistato la libertà grazie a un

146 ACS, Fondo Morgari, b. 2, fasc. 2, sottofasc. 6; AGB, fasc. Processo Bissolati - Prampolini - Morgari - De Felice (atti istruttori, testimonianze raccolte dal giudice istruttore, carteggi degli avvocati difensori);

indulto e infine proprio nel giugno 1899 un secondo provvedimento di clemenza restituì la libertà anche ai rimanenti. Ma più importanti ancora erano gli effetti della fase economica ascendente che stava ormai consolidandosi i cui benefici cominciavano a filtrare vedo il basso.

5. L'attività all’inizio del Novecento (1900-1905)

Dopo la fase di repressione del biennio '98-'99, con il nuovo secolo si aprì un'epoca di riforme (pur con una dura gestione dell'ordine pubblico che degenerò in frequenti eccidi di dimostranti) e di graduale inserimento del socialismo nella compagine nazionale, che durò con fasi alterne per un quindicennio, fino allo scoppio della guerra mondiale.

Al governo presieduto da Zanardelli, con un programma di riforme liberali, per la prima volta nella loro storia i socialisti concessero il voto. Nonostante questo appoggio esterno, a seguito della campagna di stampa promossa nel 1903 da Ferri contro il ministro della Marina ammiraglio Bettolo, Morgari con il deputato liberale Franchetti propose un’inchiesta parlamentare che di fronte alla gravità delle accuse, facesse piena luce sui rapporti della Marina con le ditte fornitrici, in particolare la società Terni.

La Camera respinse la proposta con una maggioranza però piuttosto esigua (188 voti contro 149) in quanto numerosi deputati di destra avevano fatto confluire i loro voti con quelli dell’Estrema. Giolitti si dimise il giorno successivo al voto, in modo da non venir coinvolto nel declino zanardelliano, e il governo sopravvisse pochi mesi con un semplice rimpasto.

La sua attività politica non si esauriva in quella parlamentare: durante lo sciopero dei portuali di Marsiglia del 1990, andato ad incoraggiare alla lotta i lavoratori italiani, venne espulso come perturbatore dell'ordine ed accusato da alcuni giornali italiani di essere pagato dai commercianti liguri, interessati ad attrarre a sé il traffico del porto francese. A seguito del viaggio del re in Russia nel giugno 1903, venne annunciato alla Camera che lo zar avrebbe restituito la visita; egli dichiarò che "qualunque grido di acclamazione sarebbe stato un plauso allo knut"147 e che sarebbe stato accolto dai fischi dei sociaIisti. I riformisti ironizzarono sulla "politica del fischio"148 e i paventati fischi fornirono il pretesto per rinviare una visita sgradita al governo di Vienna.

Sempre nel 1903, durante l'insurrezione in Macedonia, si recò sul posto e inviò all'Avanti! una serie di articoli.

Nel 1903 Zanardelli si dimise e subentrò Giolitti, cui il Partito Socialista, a differenza di quanto fatto nei confronti del governo precedente, negò la fiducia. PersonaImente Morgari, che denunciò sempre i brogli elettorali di Giolitti, riteneva tuttavia che per l'immediato futuro soltanto un governo giolittiano avrebbe potuto procedere sulla via delle riforme e in quell'occasione egli scrisse: “Ora che Ella definitivamente non è più ministro... delle elezioni. tra l'altro. posso dirigerle questo saluto senza che Ella dubiti della mia sincerità... lo sono e sarò sempre socialista ma il progresso va per

147 “Annuario Parlamentare” 1902-5 vol. ix, pag. 891-23. Da allora Morgari fu un punto di riferimento per l'emigrazione russa in Italia, anche per l'elargizione di piccoli sussidi, fin oltre la rivoluzione d'ottobre, dopo la quale tutelò anche socialisti che non aderivano al nuovo regime, cfr. A.Venturi Rivoluzionari russi in Italia, 1917-1921, Milano, 1979, e A.Tamborra “Esuli russi in Italia dal 1905 al 1917”, Soveria M., 1977 e 2002

148 “Critica sociale” 1903, n.18-19

gradi, ed Ella è tale uomo da personificare i! progresso per un periodo di I0 o di 20 anni. Poi Ella sarà sorpassato se non camminerà con esso, ma vi è tempo di parlarne".149

Negli anni successivi Morgari fu presente a molte delle agitazioni che scoppiarono in tutta Italia: nell'aprile 1904 si recò a Torre Annunziata in occasione dello sciopero generale locale; in maggio fu nel vercellese a sostenere le rivendicazioni delle mondariso; fu presente allo sciopero dei contadini di Magliano Sabino e a quello dei minatori di Capoliveri.

Nel settembre del 1904 in un grande comizio a Milano, dopo la strage dei minatori di Buggerru (Sardegna), fu lanciata la parola d’ordine dello sciopero generale nazionale; riunitosi il 14 a Roma il Comitato Esecutivo del PSI, composto da Ferri, Lerda e Morgari, ai quali si aggiunsero il segretario amministrativo Mongini, Varazzani per il GPS e Cabrini per il Segretariato della resistenza (embrione della CgdL). decise in un primo momento di respingere la richiesta di sciopero generale, che fu comunque proclamato perchè a causa di un altro eccidio il movimento spontaneo divenne incontenibile.

6. Il propagandista Morgari e il ciarlatano Frizzi

Il 1. febbraio 1900 fondò il quindicinale "Sempre Avanti!, periodico per gli umili e i pratici", in cui riprende i moduli della sua arte propagandistica già collaudata. Alla diffusione dei principi e degli obiettivi cui sono dedicate le prime due facciate sotto il titolo “La pagina degli umili”, aggiunge “La pagina dei pratici”, con la quale si propone di dare maggior mordente alla propaganda trattando gli argomenti dell’organizzazione e gestione cooperativa, dell’amministrazione comunale, della condotta pratica degli scioperi. Interessante è la rubrica “Se fossi deputato, cosa farei?” che pubblica le risposte dei lettori.

Morgari rivela una grande capacità di volgarizzatore, teorizzando così il suo metodo di predicazione: ”Per attrarre le masse lavoratrici è necessario convincerle e per convincerle occorrerà parlare in maniera da essere compresi. Bisogna ridurre ai termini minimi il bagaglio delle idee, renderle semplici, riferirsi a dei fatti conosciuti, partire dal noto per giungere all’ignoto, servirsi di parabole e fare impiego di una lingua che altro non sia che dialetto tradotto, insomma discendere fino al basso livello culturale delle masse lavoratrici, prenderle per mano e riaccompagnarle adagio adagio all’insù”150 e a chi lo accusava di cadere nel semplicismo, rispondeva: «Bisogna dividere il lavoro. Occorrono discorsi, giornali e opuscoli per le classi colte, discorsi, giornali e opuscoli per le non istruite». A queste ultime egli rivolse specialmente la sua opera.

Essa fa appello agli stessi sentimenti elementari e profondi dell’operaio, al suo spirito di giustizia e fratellanza, convincendolo che soffre non perché i padroni siano cattivi ma perchè il sistema sociale è ingiusto. Nel povero è racchiusa la figura ideale del sofferente e dell’oppresso, accomunando il muratore e il contadino, il mendicante e la ragazza di filanda. Ad essi si rivolge badando non solo a cementarne l’unione ma a liberarli dai pregiudizi antisocialisti radicati negli strati popolari: rompendo con la tradizione dei primi fogli operai, l'atteggiamento verso la religione, la patria, le istituzioni è rispettoso: “Il socialismo non vuole distruggere né la famiglia, né la religione, né la proprietà, né la libertà. Vuole procedere con mezzi pacifici, a grado a grado…i

149 “Carteggio Giolitti”, Milano, 1962, 2. vol.

150 “Sempre Avanti!”, 1.2.1900

socialisti non vogliono spartire: mettono insieme: tutti procedono come soci». La descrizione avveniristica di una società di eguali è l'espressione di una fiducia positiva nell'evolversi dell'umanità verso un mondo di giustizia.

La tecnica della propaganda ha una suggestiva presa sentimentale e insieme regole fisse, elementari. Procede a base di dialoghi, apologhi, vignette, con una didascalica convincente e meticolosa che non ignora i richiami letterari, alla Zola, di una descrizione veristica.

Nel 1896 aveva scritto “L'arte della propaganda socialista”, pubblicata a puntate e poi raccolta in un opuscolo che ebbe vasta diffusione e fu più volte ristampato151. E' un testo didascalico, interessante oggi solo in quanto rivelatore della ideologia socialista "media" del tempo: come testi per la formazione del propagandista “colto” indicava "un riassunto delle teorie di Darwin e Spencer...Marx completerà la fondamentale triade col celeberrimo e indispensabile suo Capitale, il vangelo dei socialisti contemporanei", a cui aggiunge il "Socialisme integral" di Benoit Malon, “Socialismo e scienza positiva” di Enrico Ferri, Schaffle “La quintessenza del socialismo”, Bellamy "L'anno 2000", mentre agli operai consigliava la lettura dei giornali di partito.

L'andata al popolo, l'origine piccolo-borghese dei quadri, è proclamata così: “Sono ben spesso i migliori, codesti disertori della loro classe. Avrebbero tornaconto a mantenere il presente assetto sociale, sì mite per loro e lo combattono. Essi nel partito sono i più disinteressati. Il partito fu fondato dai disertori della classe abbiente e quasi ovunque è diretto da essi”

Sempre nel 1896 fondò il periodico “La parola del povero. Foglio di propaganda popolare”, supplemento quindicinale del "Grido del popolo" che si pubblicava con il motto “Lavoratori voi non siete piccini se non perchè state in ginocchio: alzatevi". Presentandolo scrive: ”È la parola che viene dalla risaia dove bruciano al sole fanciulle decenni e vecchi falciatori; è la parola che esce dalle fabbriche dove si consuma tanto fiore di giovinezza: è la parola che sale dalla perpetua notte delle miniere e dalle zolfatare, sepolcri di vivi: è la parola che viene dalle soffitte fredde e dai bugigattoli marci, dove si pigiano tutte le miserie. Conteneva l'interessante rubrica "Prime notizie dalla città futura" e nell'ultima pagina la pubblicità dell'Alleanza cooperativa torinese. Ebbe una notevole diffusione di massa tirando nei primi 23 numeri complessivamente più di 300.000 copie.

Sul “Sempre Avanti!” nel 1902 aveva pubblicato in appendice l’autobiografia di Arturo Frizzi, singolare personaggio di venditore ambulante convertitosi al socialismo152, che mise al servizio del partito la sua “arte” di oratore popolare. Questo scritto aveva anche lo scopo di mettere “in luce che il merito della mia riabilitazione la devo alla fede socialista che sempre mi sarà costante compagna nella lotta per l’esistenza". Per il genere di vita che conduceva, la sua richiesta di iscrizione non venne subito accettata e Bissolati, cui si era rivolto, gli rispose “sii buono, pazienta ancora, sta un po’ sotto aceto, poi in seguito rifarai la domanda, e se ti comporterai bene, come ho fiducia, sarai soddisfatto. Non dubiti, caro Leonida – io replicai- che farò meno male di quanto mi sarà possibile per rendermi degno di voi socialisti, veri apostoli di Cristo153...Voi soli meritate tutto il

151 Ora in appendice a R.Pisano “Il paradiso socialista. La propaganda socialista in Italia alla fine dell'800”, Milano, 1986. F.Andreucci “Il marxismo collettivo: Socialismo, marxismo e circolazione delle idee dalla seconda alla terza Internazionale”, Milano, 1986; G.Turi “Editoria e cultura socialista (1890-1910)”, in “A. F. Formiggini. Un editore del '900”, Bologna, 1981

152 “Arturo Frizzi, vita e opere di un ciarlatano” a c. di A.Bergonzoni, Milano, 1979

153 A. Nesti “Gesù socialista. Una tradizione popolare italiana.(1880-1920)” Torino, 1974

rispetto perchè disinteressatamente sostenete le ragioni degli umili, degli offesi, degli sfruttati. Tre anni dopo fui accettato nel Circolo di Cremona, poi per maggior comodità, causa la mia posizione di ambulante mi iscrissi alla Sezione Centrale dove pagavo le mie quote”.

Per un atto di rispetto verso i compagni aveva ritenuto doveroso abbandonare Rosina, la donna che amava ma che non era sua moglie, come di frequente succedeva nel mondo degli imbonitori. Questo gesto fu apprezzato come espressione della volontà di riabilitazione ma Morgari nella nota di commento allo scritto volle sottolineare di non considerare “come fallo” l’incontro con questa donna: “... noi rivendichiamo altamente ad ogni essere umano, come massimo bene, il diritto alla libertà dell’amore ....che prorompe fin d’ora – rivoluzionariamente – nei casi come quello narrato dall’autore, ma che avrà pratica e generale sanzione soltanto in una società socialista, allorchè l’uomo e la donna, posti su uno stesso piede d’eguaglianza economica, più non si vincoleranno che per amore, sciogliendosi quando l’amore non c’è più, senza danno materiale per alcuna delle parti, e nemmeno pei figli”

Frizzi partecipò alla vita di partito sia come propagandista che come candidato in prima persona e collaborando alla stampa socialista come diffusore ed anche inviando corrispondenze a vari fogli: "La nuova terra", "Il popolo" di Trento diretto da Cesare Battisti, ecc. Intervenne al congresso di Bologna del 1904 dichiarando "di essere venuto con simpatie riformiste ma di essere diventato intransigente dopo il discorso di Lazzari " 154. Si dimise nel 1912.

Ripubblicata col titolo “Il ciarlatano” e con la prefazione del direttore della “Giustizia” Giovanni Zibordi nel 1912, la biografia conteneva una dedica a Oddino Morgari “cui devo l’essere diventato un socialista, pratico e nemico della violenza, da qualunque parte venga. Lo chiamo con orgoglio mio padre, sebbene di due anni più giovane, perchè per me egli fu tale come per molti, che dalla sua parola appresero la vera natura del socialismo”

7. A Torino agli inizi del secolo. Lo sciopero dei gasisti (1902)

Nel 1897 in Piemonte i voti socialisti balzarono da 8.850 a 30.000, superando quelli della Lombardia. Nel capoluogo raccolsero 5.400 voti su 20.000: un torinese su quattro votava PSI. In una città dove la classe operaia crebbe nel ventennio 1881-1901 solo dal 28 al 29% della popolazione attiva, fu decisiva per i successi elettorali l'alleanza con la piccola borghesia impiegatizia, esercente ed intellettuale, che a differenza di altre città non aveva una formazione democratica che la rappresentasse (in provincia di Torino contro i 48.000 voti costituzionali e 14.000 socialisti si hanno appena 3.000 voti radicali) ma votava direttamente per i candidati socialisti.

Di estrazione borghese erano quasi tutti i quadri e i candidati nelle elezioni. Nofri e Morgari erano dirigenti di quelle associazioni mutualistiche che, col loro fitto e ramificato tessuto, fungevano da tramite fra gli interessi economici della classe operaia e dei ceti piccolo-borghesi. L'equilibrio era destinato a rompersi con i primi anni del '900 quando la nascita della grande industria avrebbe dilatato la massa operaia.

Il 1900 si aprì, per il socialismo piemontese, con la celebrazione del 7. Congresso regionale, tenuto ad Alessandria il 6 gennaio in cui il neo-sindaco della città Paolo Sacco, relatore sulla tattica, propose l'alleanza tra i partiti popolari come elemento permanente della politica socialista,

154 F.Pedone “Il Partito socialista nei suoi congressi”, vol.2., Milano, 1961

incontrando resistenze nella sezione torinese dove il riformismo era accompagnato alla chiusura ad alleanze per mancanza di partners.

Nel 1900 il PSI aveva a Torino una estesa base elettorale: oltre ai due deputati (Quirino Nofri e Morgari), 17 consiglieri comunali e 3 provinciali ed è accusato di badare essenzialmente alla lotta politica e amministrativa trascurando la lotta economica e di fabbrica. Nel giugno 1902 si accresce di altri nove consiglieri comunali provenienti dalle file della borghesia professionale e accademica.

A dicembre 1900 entrarono in sciopero i fonditori, ma non bastò la mobilitazione compatta per quasi due mesi e la solidarietà di altri lavoratori per aver la meglio sull'intransigenza degli industriali; lo sciopero sostanzialmente fallì, senza che l'organizzazione delle leghe di mestiere si sfaldasse: tra la fine del 1901 e l'inizio del 1902, la Camera del lavoro conta 6500 operai organizzati, numero comunque modesto in rapporto al totale della massa lavoratrice cittadina e se confrontato ai 28.000 d Milano. I dirigenti sindacali e i quadri di partito vivono con apprensione questa vigilia della prima grande battaglia dei lavoratori torinesi: è in gioco, a livello locale, la credibilità della linea strategica riformatrice e legalitaria che il PSI ha confermato con il voto di fiducia espresso nel febbraio 1901 al governo Zanardelli.

L'occasione sembrò giungere agli inizi di febbraio del 1902, quando gli operai gasisti delle due Società esercenti in città scendono in sciopero. L'agitazione è seguita dai dirigenti sindacali: nel salone dell’AGO dove i gasisti si sono riuniti per decidere lo sciopero sono presenti oltre al segretario della Lega, il consulente legale dei gasisti, il rappresentante della CdL e quello della Federazione nazionale, che si dichiarò favorevole allo sciopero in considerazione dei successi ottenuti dalla categoria in altre città italiane. Scontata è l'intransigenza delle due società produttrici che hanno già dimostrato, non rispondendo al memoriale, di non voler trattare. Ma un elemento nuovo e non previsto rende problematica una favorevole risoluzione della vertenza: le autorità cittadine e governative intervengono nel conflitto, vanificando ogni possibilità di vittoria operaia. Il giorno 4 il prefetto rifiuta di ricevere una delegazione operaia e invia la truppa, affinché presìdi i gasometri e contribuisca al funzionamento dei forni. Il sindaco respinge la proposta operaia di continuare a prestare servizio di accensione dei lampioni nelle vie cittadine e ne incarica gli spazzini comunali.

Morgari inviò un telegramma di protesta a Giolitti, in cui denuncia l'operato del prefetto e fa presente che ad Alessandria, in un'analoga situazione, non vi era stato l'invio della truppa e, anche a Genova, dove inizialmente erano stati mandati dei soldati, questi erano stati subito ritirati.

È di alcuni giorni dopo un secondo telegramma di protesta di Morgari, che dice fra l'altro: “Questo non si chiama garantire la pubblica sicurezza, ma parteggiare per il capitale contro il lavoro. Chiedo che si ordini al locale prefetto il ritiro dei militari o la sua immediata intromissione per risolvere la vertenza”.

Anche i consiglieri comunali socialisti, nella seduta del 12 febbraio, protestarono vivamente contro il comportamento del sindaco facendo presente che le società, legate da una convenzione con il comune, sono da considerarsi inadempienti avendo rifiutato di prendere in considerazione le richieste operaie. Nel frattempo le due società hanno invitato, pena il licenziamento, le maestranze a presentarsi al lavoro. L'appello cadde nel vuoto, ma ormai la situazione è compromessa L'intervento dei soldati e il reclutamento di crumiri ha riportato la normalità nel servizio d'illuminazione. Il 19 febbraio la proposta della commissione degli operai gasisti che la soluzione della vertenza fosse demandata a un collegio arbitrale fu rifiutata, facendo giungere al culmine l'indignazione della massa operaia torinese.

Nella notte del 20-21 sono diffusi manifestini inneggianti allo sciopero generale, nella mattina del 21 vi sono alcune astensioni spontaneamente dal lavoro, nel pomeriggio il numero degli scioperanti aumenta. Un gruppo di dimostranti è caricato dalla truppa e si effettuano alcuni arresti, alle 17 parlano alla folla Actis, Casalini e Morgari, che è il più deciso nell' invitare allo sciopero generale cittadino

In serata, la commissione esecutiva della CdL redige un manifesto, in cui prende atto della nuova situazione Non tumulti, non violenze; la classe operaia dimostra la sua forza semplicemente con l'astensione dal lavoro. Essa non ritornerà alle officine se non quando gli operai gasisti avranno ottenuto soddisfazione. I giorni seguenti sono caratterizzati da scontri tra dimostranti e forze dell'ordine, ai quali fanno seguito arresti. Allo sciopero non hanno aderito tutti i lavoratori, ma alcune avanguardie sono decise a continuare la lotta. Per cinque giorni, 10.600 operai e 5.000 operaie si astengono dal lavoro e sfilano per le vie cittadine, anche se il prefetto ha proibito ogni pubblica manifestazione.

Fu ancora Morgari nel pomeriggio del 22 febbraio a parlare alla folla invitandola a continuare la lotta, dopo che nella mattinata aveva guidato un corteo di protesta sotto il municipio . Nel frattempo il sindaco convince le due società ad accettare l'arbitrato, ma solo previa accettazione del principio dell'illicenziabilità dei crumiri, ciò che rappresenta per i gasisti una resa senza condizioni. Nonostante ciò, la CdL e la dirigenza socialista rivolgono un appello ai lavoratori affinchè riprendano il lavoro, in quanto con il loro sciopero avrebbero già vinto una grande battaglia. Anche Morgari, fino all'ultimo deciso sostenitore della lotta, firma il manifesto. In seno alla dirigenza socialista del partito e della CdL è ancora una volta prevalsa la moderazione.

Il 27 febbraio in un'adunanza all'A.G.O. Morgari cercò di spiegare il suo atteggiamento e il perché del manifesto che invitava al ritorno al lavoro, ma venne apostrofato violentemente da un anarchico che lo accusò di aver prima trascinato gli operai nello sciopero generale, rovinandoli, e di essersi poi ritratto e concluse invitando gli operai a diffidare da simili «capi» che cercavano piedistalli a spese degli operai e che sarebbero domani diventati tiranni; Morgari reagì con un ceffone. Nei giorni successivi, coperto di lettere di biasimo, pubblicò sul “Sempre Avanti!” un articolo amaro ma pacato in cui affermò di aver agito secondo coscienza .

Il 1° marzo il lodo obbliga le due società a riassumere solo 224 dei 658 scioperanti Il bilancio dell'agitazione non può esser più negativo: alla mancata riassunzione si aggiungono i 200 procedimenti penali degli arrestati.

8. La Segreteria della Camera del lavoro e le lotte del 1906

Il nuovo secolo per i socialisti torinesi inizia con la ricostruzione a metà febbraio 1900 della Camera del lavoro, con un graduale processo di riorganizzazione delle leghe.

Alla direzione della Camera del Lavoro, i cui iscritti scendono dai 5500 iniziali a 3500155, è nominato nell’aprile 1902 il tipografo Camillo Rappa, che resta in carica fino alla primavera del 1906, ed è quello della sua segreteria un periodo di ripresa (funestata però da scontri come quello del 17 settembre 1904 dove rimane ucciso l’operaio Garello): già a metà del 1903 gli iscritti sono 8000, mentre le sezioni sono salite da 36 a 58; tra queste fanno spicco quella dei tipografi con 528

155 Contemporaneamente la CdL di Milano conta 34.000 iscritti, 28.000 quella di Genova e 6.000 Bologna

soci, dei ferrovieri con 1848, dei metallurgici con 649. Queste tre sezioni comprendono più di un terzo di tutti gli organizzati.

Dopo la lunga segreteria Rappa, la direzione della Cdl viene affidata nella primavera del 1906 a Morgari che, tra contrasti di corrente e conflitti con gli anarco-sindacalisti assunse un atteggiamento più conciliante cercando di trovare accordi con le controparti, coadiuvato dal sindaco di Torino, il giolittiano Secondo Frola.

Il 3 maggio 1907 nella discussione sulla relazione morale e finanziaria, la C.E. può affermare che i soci sono aumentati da 8768 a 15626 e le sezioni da 68 a 110 “il grande numero di soci coincide con la presenza dell’on.Morgari alla segreteria per l’impulso da lui dato all’ordinamento interno e all’azione esterna. La CdL può andare orgogliosa. Anche le entrate sono aumentate da 8643 L. a 17.608”.

Durante la sua segreteria la volontà di lotta delle masse operaie torinesi pone comunque la dirigenza sindacale di fronte alla realtà di un movimento rivendicativo di un'ampiezza mai prima conosciuta.

Il 30 aprile 1906 le 800 operaie del cotonificio Bass richiedono alla direzione la riduzione dell'orario di lavoro da 11 a 10 ore. I dirigenti della CdL, considerata la disorganizzazione della categoria, sconsigliano ogni forma di lotta. Nonostante ciò il 3 maggio le cotoniere della Bass scendono in sciopero, seguite il giorno seguente da quelle degli altri cotonifici, lanifici e maglifici Il 5 maggio lavoratori dei due sessi del settore tessile sfilano per le vie cittadine. La CdL, pur dichiarando d'essere contraria allo sciopero, non si esime dall'esprimere solidarietà alle scioperanti e rende pubbliche le richieste operaie.

Lunedì 7 maggio la schiera delle scioperanti risulta ingrossata dagli operai di molti stabilimenti meccanici e chimici, che vogliono dimostrare solidarietà alla categoria in lotta. Come ormai è tradizione, gli scioperanti si assiepano davanti alla CdL; il lancio di sassi da parte di alcuni ragazzi provoca la reazione della forza dell'ordine che, guidata dal commissario di Pubblica sicurezza entra nel cortile dell’AGO, sparando sulla folla. Il bilancio è pesante: un morto, 8 feriti, 22 arrestati. I dirigenti camerali e del Partito decidono all' unanimità la proclamazione dello sciopero generale; è anche deciso di richiedere lo sciopero generale in tutta Italia: si effettuerà a Milano, Bologna, Firenze e Roma.

II giorno 8 decine di migliaia di lavoratori assistono ai comizi dei massimi esponenti socialisti. Come nel 1902, in occasione dello sciopero dei gasisti, i toni più accesi e battaglieri provengono dai discorsi di Morgari. Il 9 maggio, dopo un'imponente manifestazione popolare, Morgari parlò esaltando la forza nuova del popolo che si era venuta manifestando accanto alle tradizionali potenze dello Stato e della Chiesa, della banca e dell'industria.

Il 9 la CdL dichiara la cessazione dello sciopero. Già il 7 sera infatti, gli industriali tessili, convocati nuovamente dal sindaco, avevano deciso di accettare le richieste operaie. L'8 il prefetto aveva inoltre assicurato che sarebbe stata aperta un'inchiesta. Gli avvenimenti di Torino hanno una vasta eco a livello nazionale e uno strascico parlamentare; i deputati socialisti avendo visto bocciare la proposta intesa a scongiurare nuovi eccidi rassegnarono le dimissioni.

Quasi tutte le categorie richiedono, spesso ottenendoli, miglioramenti salariali e normativi; in alcuni casi non è nemmeno necessario il ricorso allo sciopero. La favorevole congiuntura economica consiglia gli imprenditori a non rischiare un arresto prolungato della produzione, che causerebbe una perdita di profitto. II 12 maggio gli operai carrozzieri presentano un memoriale contenente la

richiesta di un trattamento salariale e normativo analogo a quello delle fabbriche di automobili. Il 17 la carrozzeria Rothschild concede le 10 ore, l'aumento della paga delle ore straordinarie e i 10 minuti di tolleranza sull'entrata. Il 19 maggio 1906, nei locali del municipio, i padroni delle principali sartorie cittadine e una rappresentanza delle operaie del settore raggiungono un accordo, che prevede l'accoglimento di alcune delle più significative richieste del memoriale presentato dalla Lega sarte e modiste. Le uniche categorie a non ottenere sensibili miglioramenti appartengano a quei settori produttivi che non hanno potuto beneficiare della favorevole congiuntura economica.

Il 15 febbraio 1907 viene sostituito da Alessandro De Giovanni, di tendenza sindacalista-rivoluzionaria, perché chiamato alla segreteria nazionale del PSI. Se durante la sua direzione gli iscritti sono saliti, scendono a 11.570 nel 1909, a 9.009 nel 1910 e 9.392 nel 1911 e a 9.117 nel 1912 .

9. La sezione socialista torinese nel primo decennio del '900

Al congresso di Imola del 1902, che vide prevalere i riformisti, i quattro delegati della sezione torinese votano per la mozione Ferri-Labriola, senza ricadute immediate sulla sezione in maggioranza (deputati dei collegi cittadini, consiglieri comunali, commissione esecutiva della CdL) riformista; solo agli inizi del 1904 l'acceso dibattito fra le tendenze tocca anche il capoluogo piemontese. La calorosa accoglienza riservata dai socialisti torinesi a metà febbraio, ormai in clima precongressuale, a Enrico Ferri è un' anticipazione della scelta di campo della sezione.

È Riccardo Momigliano, leader della corrente intransigente, a illustrare, in un articolo di fondo del «Grido del Popolo», la posizione politica della sezione: non dovrà essere consumata alcuna scissione, ma non dovranno esserci cedimenti nel senso che il PSI non deve diventare un partito possibilista accodato a una frazione della democrazia. A Bologna, all'8. Congresso (8-11 aprile 1904), dei sette delegati torinesi sei si pronunciano nella prima votazione a favore dell'odg presentato da Labriola, mentre uno si astiene. Nella seconda, tutti i voti torinesi confluiscono sull'OdG presentato da Ferri (alleato di Arturo Labriola) che prevale e diventa segretario.

Morgari al congresso di Bologna era stato firmatario dell'OdG intermedio, presentato prevalentemente da organizzatori sindacali come Rigola, Cabrini, Reina, che si poneva tra i riformisti e la coalizione ferriana-sindacalrivoluzionaria. Preso atto della divergenza politica, rimette il suo mandato al collegio che lo ha eletto. I socialisti di Borgo Vittoria gli inviano un telegramma in cui respingono le dimissioni e salutano in lui «il valoroso soldato del Partito socialista».

Già nel 1902-1903 toni fortemente anticlericali avevano soppiantato il vecchio linguaggio usato dai primi socialisti nella loro opera di «apostolato laico». Ora che gli intransigenti hanno conquistato maggiore spazio nel quadro organizzativo del partito, la propaganda anticlericale tende a uscire dalle sale di conferenza dei circoli culturali per divenire momento di mobilitazione. Il 22 maggio, giorno della tradizionale processione di S. Bernardino in Borgo S. Paolo, sono indetti dai socialisti un corteo e un comizio anticlericali. Benché il prefetto Guiccioli non autorizzi la manifestazione, un gruppo di socialisti si dirige verso il luogo dove si deve tenere in forma privata il comizio. Le truppe caricano il corteo e arrestano Francesco Barberis, portavoce della corrente intransigente torinese. II 2 giugno 1904, nel 22° anniversario della morte di Giuseppe Garibaldi, è organizzato dai socialisti e dai repubblicani un grande corteo-comizio. Gli oratori ufficiali sono il repubblicano avv. Gorini e l'avv. Leandro Allasia, un esponente dell'ala riformista del Partito socialista. Riformisti e rivoluzionari trovano nell'anticlericalismo un momento unificante di lotta.

Dopo il referendum del novembre 1905 sulla creazione di un'azienda municipalizzata per l'energia elettrica, in cui i suffragi dei socialisti risultarono decisivi per il successo della proposta formulata dalla giunta del giolittiano Frola, si crearono condizioni per una convergenza su punti importanti: dalla riforma delle imposte, all'abolizione delle «spese di lusso», al passaggio al comune di alcuni servizi pubblici; dall'attuazione di una serie di provvedimenti annonari che tenessero basso il costo dei viveri, a una politica di acquisizioni edilizie pubbliche. Da allora sino al 1911, quando in coincidenza col dibattito sull'allargamento della cinta daziaria tornarono sulle posizioni critiche dei liberisti radicali, le ragioni del dialogo prevalsero su quelle dell'antagonismo.

Morgari nel 1906 in occasione del 9. Congresso nazionale propone la mozione “integralista” che conquista la maggioranza della sezione torinese perché, pur basata su posizioni riformiste, offre la possibilità di mantenere una posizione intransigente sul tema delle alleanze elettorali che a Torino, per mancanza di partiti affini, non si pone neppure, diventando una sorta di mito radicato ed elevato a teorema politico.

Tale facile estremismo riesce al Congresso provinciale a strappare, nonostante la loro aumentata influenza, la maggioranza ai sindacalisti-rivoluzionari. Su 28 rappresentanti delle sezioni, 14 votano l'ordine del giorno integralista e 11 quello rivoluzionario. Non diverso è l'esito preelettorale nella sezione cittadina, dove il gruppo sindacalista non è riuscito, nonostante la sua campagna per il metodo dell'azione diretta fosse stata suffragata dai successi dei lavoratori, a trasformare la natura, la composizione sociale e l'orientamento del partito in città.

10. Alla segreteria del PSI. L’”Integralismo” ( 1906-08)

Morgari si affermò sul piano nazionale in occasione del 9. Congresso di Roma dell'ottobre 1906, allorché assieme al socialista umbro Francesco Paoloni156 propose la mozione «integralista». In due articoli dal titolo “Verso il congresso nazionale socialista”, pubblicati sull' “Avanti!” del 29 e 30 settembre 1906 spiegò il significato della formula, consistente in una «sintesi dell'anima possibilista e dell'anima avvenirista del socialismo, dell'idealismo e della praticità, dell'azione diretta e dell'azione rappresentativa, dell'antistatalismo e della legislazione statale, della rivoluzione e della legalità, del sindacalismo e dell'antisindacalismo, dell'intransigenza e dell'affinismo».

Nella seduta del 7 ottobre ribadì: «Vi dico che integralismo, nella sua espressione più intima e più caratteristica, è tutto qui, nel procurare che nella coscienza del militante socialista coesistano armonizzate la nozione limpida del divenire della società futura nel grembo stesso della società futura - da affrettarsi colle riforme dirette e legislative - e la nozione dell'assetto ultimo, cercato quasi con desiderio nostalgico, per raggiungere il quale la società umana dovrà verosimilmente attraversare una catastrofe causata da un «alto là» della borghesia stancata di concessioni»157.

Non capiva come ci si potesse scontrare in lotte interne, quando tanto ancora rimaneva da fare a chiunque avesse a cuore la condizione proletaria e volesse veramente agire in favore dei diseredati. Poiché la situazione non era ancora matura per la rivoluzione, conveniva intanto operare quotidianamente con mezzi legali. Ogni socialista, doveva essere contemporaneamente riformista e rivoluzionario.

156 G.Furiozzi, Francesco Paoloni e il socialismo integrale, 1892-1917, Firenze, 1993

157 Resoconto stenografico del IX congresso nazionale, Roma, 1907, p. 64

Gli uni e gli altri voleva colpire quando scriveva che “i riformisti hanno obliato lo spirito e i fini dell'azione socialista mentre i rivoluzionari si arrestano nel culto infecondo delle supreme idealità marxiste”.

La mediazione era la sua vocazione autentica ed anche un ritorno alle origini, all'ispirazione prampoliniana dei tempi eroici, un procedimento mentale per cui il «propagandismo» e l'appello ai sentimenti appaiono in grado di risolvere i termini politici delle questioni. «L'integralismo per lui non era stato un espediente tattico per carpire una vittoria in congresso, ma uno stato d'animo. Ed è stato d'animo, quello di Morgari, di chi ama il suo partito in sincerità e in umiltà perché esso è il partito della redenzione degli oppressi»158.

L'integralismo rappresentò nel 1906-8 l'affermazione del corpo centrale del partito, fondamentalmente unitario, che ricercava nei valori propagandistici e pedagogici quella identità del socialismo italiano, che la lotta tra le tendenze sembrava minacciare. Il progetto di rilancio del Partito su basi intransigenti e classiste, nella lotta contro le spese improduttive e le spese militari, il latifondo e il sistema fiscale, un atteggiamento polemico nei confronti del blocchismo popolare, una difesa dell'istanza partitica e dell'esigenza primaria della propaganda per la formazione della «coscienza socialista» erano istanze sedimentate nella tradizione socialista italiana.

Il partito, paralizzato dai dissidi prima del 1906, si chiudeva in una posizione sostanzialmente difensiva, dì raccoglimento. Più che alla ricerca di una politica nuova, con caratteri propri, l'integralismo intendeva correggere, amalgamare, insomma integrare ciò che di positivo fosse presente nelle tendenze opposte. In pratica confermava la necessità dell'azione quotidiana di organizzazione e di propaganda, la lotta parlamentare per le riforme, lo stretto collegamento tra l'istanza politica e quella di resistenza, il fine della socializzazione come obiettivo unitario contrapposto al corporativismo economico e settoriale. Erano questi per lo più obiettivi presenti anche nel riformismo. Tipici degli integralisti semmai furono il più accentuato richiamo alla coscienza di classe, la concezione «organicistica» del proletariato che favoriva una sottolineatura più marcata dei valori del collettivismo, il ruolo più incisivo attribuito alle organizzazioni economiche e al partito, la rivendicazione di una più sostanziale autonomia del partito che escludeva alleanze sistematiche, la forte diffidenza nei confronti della borghesia, con la quale avrebbe anche potuto stringere di volta in volta accordi limitati, ma sempre nella consapevolezza che essa rappresentava l'avversario di classe. Al congresso di Roma del 1906 l'odg maggioritario ottenne 26.500 voti su 34.000 con la confluenza dei voti dei riformisti e l'adesione del Ferri, ex alleato di Labriola, che diede alla formazione del « blocco integralista unitario » il significato di «un punto di arresto contro la deviazione sindacalista e il catastrofismo».

Al congresso, che lo nominò segretario politico, il tema della propaganda-organizzazione fu ripreso più volte. In primo luogo fu deciso di istituire «segretari regionali» ai quali fosse demandato il compito della organizzazione politica ed economica: era investito così il punto importante della questione meridionale, e cioè l'esigenza di consolidare la struttura politico-organizzativa del movimento operaio e contadino del Sud, nel quale si individuava il protagonista principale della lotta per la sua emancipazione, e nello stesso tempo un fattore di riequilibrio dell'intera politica nazionale del partito. Significativa risultò la composizione della nuova direzione, che teneva conto non solo del criterio della omogeneità politica, ma anche del principio della rappresentanza regionale. Riuscirono eletti numerosi dirigenti di organizzazioni di resistenza, di federazioni di

158 G. Arfè, Storia dell'Avanti. Vol. 1, 1896-1926. Milano-Roma, 1963, p. 71

mestiere e di associazioni: da Quaglino (Federazione edilizia) a Rigola (tessili), a Del Buono e Marzetto (CdL di Firenze e Vicenza). Ciò rifletteva il peso che avevano quadri e dirigenti sindacali che, pur essendo su posizioni sostanzialmente riformiste, rivendicavano due esigenze fondamentali: l'unità del movimento di classe e la diffidenza verso il parlamentarismo. Facevano parte della Direzione i rappresentanti regionali, il direttore dell'« Avantil » e un delegato del Gruppo Parlamentare, che poi a lungo sarebbe stato proprio Morgari. La numerosa direzione appariva assai più rappresentativa delle precedenti per la sua espressione regionale, Vi era l'impegno a ricondurre all'interno del partito tutte le componenti - sindacali, cooperative, politiche - del movimento socialista, ma di per sé non rappresentava una soluzione per una effettiva direzione.

Le aree di diffusione dell'integralismo rimanevano nel Piemonte, che dava circa il 22% dell'intera forza della componente. Una buona presenza gli integralisti avevano in Emilia-Romagna, dove era attestato oltre un terzo (36,6%) della forza complessiva della corrente. Vero punto di forza dell'integralismo era la Toscana. Erano integralisti Roma e il Lazio (52,61%). Nel Sud e nelle isole il fenomeno integralista era pressoché sconosciuto. Da rilevare la buona presenza integralista nei centri urbani dell'Italia centrale, e in genere nelle grandi città (dove raggiungevano il 55,4%). Erano infatti integraliste Torino, Firenze, in parte Roma. L'integralismo rappresentò una meteora abbastanza breve, ed entrò rapidamente in crisi, impari a quegli obiettivi di ricomposizione unitaria del movimento socialista che si era prefissi: come posizione di raccoglimento e come istanza unitaria favoriva il processo di riorganizzazione e consolidamento del riformismo e di sfaldamento della possibile alternativa sindacalista rivoluzionaria. I rapporti di forza all'interno del Partito furono decisamente modificati a vantaggio del primo dopo la scissione dei sindacalisti rivoluzionari nel 1907. Allora agli integralisti venne meno il ruolo mediatore che si erano attribuiti.

L'unitarismo del Morgari non poteva certo condizionare efficacemente l'iniziativa politica dei riformisti, i quali del resto con la costituzione della CGdL avevano riassorbito molti quadri sindacali, Altobelli, Bussi, Garibotti, Quaglino, Rigola che al congresso di Roma si erano pronunciati per l'integralismo.

Al congresso di Firenze del 1908 mentre molti della sua corrente si presentano con i riformisti nella “concentrazione socialista” che prevale con 18.000 voti, ribadisce di voler mantenere la mozione “integralista” (che ottiene 6.700 voti pari al 21%) “anche se sostanzialmente uguale nella lettera ma non nello spirito”, mentre i voti ottenuti dall'odg Pescetti al congresso di Modena del 1911 sul quale si riversarono i consensi di molti ex-integralisti furono 1070 pari al 5%

11. La direzione dell'”Avanti!” (1908) e un primo "dialogo" coi cattolici

Nel gennaio 1908 Enrico Ferri, avendo accolto l'invito a tenere delle conferenze nel Sud America, aveva rassegnato le dimissioni da direttore dell'«Avanti!»; gli subentrava Morgari, nella sua qualità di leader della corrente che era prevalsa al congresso. Il più importante centro di propaganda e di orientamento politico rimaneva in mano agli integralisti.

La direzione di Morgari era chiaramente transitoria: egli stesso, nell'accettare la carica, avvertì che l'avrebbe tenuta fino al successivo congresso; nel comunicare ai lettori di aver assunto la direzione del giornale, rassicurò coloro che temevano che l' “Avanti!” nelle sue mani divenisse un organo di esposizione elementare del socialismo: «Accettando di portare una croce che io non ho sollecitata né ambita, mi sono fatto giaculatoria del principio secondo cui il portavoce dei malvestiti deve camminare in redingote e cilindro".

Direttore dal 22 febbraio al 30 settembre 1908, quando gli succedette Bissolati avendo i riformisti riconquistato la direzione del partito al congresso di Firenze, la redazione disponeva di collaboratori di alto livello come Bonomi, Francesco Ciccotti, Galantara, Paoloni, Podrecca.

Durante la sua direzione condusse una campagna per la legalità nelle manifestazioni: approfittando di una sua assenza, Francesco Ciccotti aveva pubbicato sull' “Avanti!” del 3 aprile un violento editoriale per l’eccidio in occasione di una manifestazione, suscitando la reazione di Bonomi che diede le dimissioni ritirandole solo quando Morgari prese le sue difese, conducendo una campagna di stampa, suggestivamente intitolata “prendere il toro per le corna” (cioè i due corni del dilemma: legalità o illegalità, da cui il proletariato-toro era dilaniato) che prendeva decisamente posizione contro i cortei che degeneravano in manifestazioni violente.

Pubblicò sull'Avanti una lunga lettera che due giovani usciti dall'esperienza della Lega democratica nazionale e avvicinatisi ai socialisti cristiani, Guglielmo Quadrotta159 e Felice Perroni, gli indirizzavano e che si concludeva con una domanda esplicita: «A chi professa i nostri ideali sono aperte oggi le file del Partito socialista italiano?» La lettera160 suscitò una polemica nella quale intervennero, tra gli altri, Bonomi, Turati, Zibordi, Paoloni, sostenendo diversi punti di vista, ma questa apertura al mondo cattolico fu sconfessata al congresso di Firenze con l'approvazione dell'OdG Bussi-Vella che negava ai cattolici l'entrata nel PSI.

159 Nel dopoguerra divenne seguace di Bonomi; curò il volume “Il colloquio di un secolo fra cattolici e socialisti: 1864-1963”, Roma, 1964

160 “l'Avanti!”, 17.7.1908, Possono i Socialisti cristiani iscriversi al nostro partito? riportata anche in A.Luciani “Socialismo e movimenti popolari in Europa”, vol. 2,t.2, Venezia, 1985" «On. Morgari, Ella gentilmente c'invita nell'Avanti! di alcune sere fa ad esporre le idee che hanno condotto noi e numerosi nostri amici democratici cristiani, aderenti alla Lega democratica nazionale, a fare una professione di fede socialista; e il suo invito è cosi cortese, ed è un indizio cosi indubbio di una serenità che molti si ostinano a non vedere fra i socialisti, che noi non possiamo sottrarci a quest'atto di "coraggiosa sincerità", come Ella lo chiama. Ella sa, onorevole Morgari, come un nostro ordine del giorno sull'indirizzo sociale che avrebbe dovuto assumere la Lega democratica nazionale nel prossimo Congresso, ordine del giorno esplicitamente socialista, abbia diviso in due frazioni la sezione romana della Lega stessa. Dall'una parte la nostra corrente; dall'altra quella dei democratici-cristiani vecchio stile, la quale crede conformemente all'antico programma sociale-cristiano di rimediare alle ingiustizie della società attuale cercando soltanto di infonderle un nuovo spirito morale, e ritoccandone alquanto le istituzioni, ma mantenendole nella loro struttura fondamentale..(...).La nostra adesione al socialismo, on. Morgari, ha radice nelle nostre convinzioni religiose. La religione per noi non è una credenza intellettuale in certi principi astratti od un cerimoniale, cioè un insieme di pratiche cristallizzate, come la predicano e la sentono i seguaci della tradizione. La religione è anzitutto e soprattutto un atteggiamento pratico e vitale di fronte al problema dell'essere e della vita: è l'atteggiamento dell'uomo che sente la propria insufficienza individuale, e cerca di completare ed integrare la propria esistenza entrando in comunione di vita con una potenza superiore, di cui egli sente essere una parte. La vita religiosa è una vita di effusione, di allargamento per cui all'uomo vecchio fatto di egoismo sottentra l'uomo nuovo assetato di amore e di giustizia. Nulla quindi di più contrario alla religione dello spirito individualista, sia esso morale od economico, per cui l'uomo considera se stesso come centro e fine delle proprie azioni e subordina gli altri ai propri desideri. Dato questo concetto della vita religiosa, per cui essa non viene concepita come una forma particolare di vita contrapposta a quella morale,

Morgari, che pure condusse dure battaglie contro la Chiesa161 e sostenne la battaglia per l'abolizione dell'educazione religiosa nelle scuole condotta da Bissolati, era avverso all'estremo anticlericalismo. Durante la sua direzione scomparvero rubriche come “la cloaca clericale” e gli attacchi gratuiti alla Chiesa.162

12. L' attività nel Parlamento e nel Paese. 1907- 1911

Nelle votazioni per il Congresso di Firenze del 1908 i riformisti proclamarono l'opportunità di dare la scalata all’amministrazione dello Stato e dei Comuni e su tale base stesero il nuovo programma

economica, ecc., ma come un orientamento di tutta la vita, era naturale che noi dalle dispute filosoicho e teologiche, scendessimo alla considerazione dei problemi sociali. E di fronte alla società presente, che della conquista della ricchezza fa una guerra atroce fra uomo e uomo, e crea un dualismo gravido di lotte e di odii tra capitale e lavoro, fra produttore e consumatore, noi ci siamo domandati: corrisponde questa società al nostro ideale religioso? Perché il principio cristiano della solidarietà e della cooperazione deve rimanere un principio morale astratto e non può, incarnandosi in una società, divenire la legge della produzione e dello scambio? Perché mai questa vita a doppia partita? Ed allora noi abbiamo profondamente sentito la bontà dell'ideale socialista; noi abbiamo sentito che oggi il socialismo non rappresenta soltanto un esercito di sfruttati, spinti dall'insofferenza del giogo padronale verso la conquista di un'esistenza migliore, ma rappresenta l'umanità nelle sue più nobili aspirazioni di giustizia e di solidarietà, aspirazioni che il proletariato ha l'alta missione storica di realizzare....Sulle labbra di Cristo suonarono i più forti accenti di speranza che mai abbia udito l'umanità, e il Cristianesimo sorse come una grande speranza nell'avvento di un regno che non era già quello dell'oltretomba, ma un regno terreno di giustizia e di amore, Solo durante i secoli da speranza sociale che esso era, divenne speranza individuale, una partita personale fra l'uomo e Dio. Ma il nostro cristianesimo non solo ci ha convinti della bontà e della verità delle aspirazioni socialistiche, ma ci dà pure la speranza e la fiducia ch'esse possano pienamente trionfare. Se il socialismo per attuarsi richiede una forte trasformazione psicologica dell'individuo, una trasformazione delle tendenze egoistiche e particolariste in tendenze altruistiche, chi meglio di noi che abbiamo cosi profonda fiducia nell'energia creatrice dello spirito umano e siamo gli umili ma consapevoli rappresentanti di una religione che fu detta di liberazione, appunto perché ammette le ampie possibilità di trasformazioni e di adattamenti dell'uomo, chi meglio di noi potrà avere fede e speranza nel divenire della società socialista? Del resto la storia costituisce una luminosa riprova della verità della nostra convinzione: tutte le volte che il cristianesimo è stato profondamente vissuto e sentito, esso non si è rivelato soltanto come movimento religioso, ma come movimento sociale...... Anche l'Avanti! on. Morgari, accennava recentemente in una corrispondenza americana ad un grande movimento del clero americano verso il partito socialista, al quale avevano aderito vescovi e sacerdoti numerosi; il Congresso pan-anglicano, tenutosi in questi giorni a Londra, ha dimostrato quale formidabile corrente in favore del socialismo vi sia nel clero anglicano; parecchi clergymen hanno fatto delle dichiarazioni socialiste nel più largo senso della parola, tra applausi fragorosi dell'assemblea: in Francia e nel Belgio, Jaurès e Vandervelde, tra i socialisti, hanno mostrato di capire tutto il vantaggio che alla causa socialista potrebbe venire dal rinnovamento del cristianesimo; in Inghilterra i socialisti hanno inaugurato delle cosi dette Chiese di lavoro ...Noi sentiamo le difficoltà che in Italia si oppongono ad un movimento simile, ma nutriamo profonda speranza che progressivamente si possa attuare un'intesa fra le persone sinceramente cristiane e la democrazia socialista. E concludiamo, onorevole Morgari, con una domanda: a chi professa i nostri ideali sono aperte oggi le file del Partito socialista? »

minimo che comprendeva: migliore legislazione del lavoro (disciplina giuridica dei contratti, estensione delle pensioni, leggi sulla maternità), abolizione del dazio sul grano, laicità della scuola, opposizione agli incrementi sulle spese militari, suffragio universale e suoi corollari (proporzionale e indennità ai deputati), concordandolo con quanti al Congresso precedente si erano presentati integralisti.

Morgari non volle confluire nella nuova corrente, rinunciare alla vecchia bandiera, e ripresentò la mozione “anche se sostanzialmente uguale nella lettera ma non nello spirito” in cui accentuava le sue riserve all' appoggio dei socialisti al governo.

Neppure a Torino nel dibattito precongressuale l'azione di Morgari era valsa a sottrarre la maggioranza dei suffragi a quegli esponenti «sindacalisti riformisti», che, sotto la guida di Rigola, esercitano un predominio incontrastato sulla sezione dopo l'allontanamento dei sindacalisti rivoluzionari. Anzi, risultano eletti nella direzione del partito, col Rigola, il Reina e il Quaglino, i due piemontesi che gli sono più legati. E il “Grido del Popolo” può cosi inorgoglirsi che «alla testa del Partito socialista siano uomini nostri, cresciuti alle nostre lotte, sperimentati alle nostre prove», e condannare la «distinzione capziosa» di Morgari il quale lascia frattanto la direzione dell'«Avanti!» a Leonida Bissolati.

A Torino si continuerà per tutto il 1909 a correre ancora molto lungo questa strada. La propaganda del partito sul piano politico generale non conosce più che la solita nota anticlericale, mentre da un punto di vista teorico l'identificazione di «socialismo» con le più immediate riforme della legislazione sociale è ormai totale.

Dopo la vittoria riformista al congresso di Firenze del 1908, all'interno dell'area si delineò la spaccatura tra una componente (i dirigenti confederali insieme con Bissolati e Bonomi) che proponeva la creazione di un «partito del lavoro» privo di connotazione ideologica e aperto a tutte le componenti del movimento economico del proletariato, e la “sinistra riformista” di Modigliani e Salvemini.

Al successivo congresso di Milano dell'ottobre 1910, in cui Turati riesce a ottenere un'ampia maggioranza con la confluenza della destra bissolatiana sulla sua mozione che ottiene 13.000 voti, Morgari si accosta ai “riformisti di sinistra” Modigliani e Salvemini presentando insieme a loro una mozione “intermedia” che raccoglie 4.500 voti (quella intransigente presentata da Lazzari ne raccoglie 6.000), rimanendo quindi sempre al centro dello schieramento.

Morgari, che alle elezioni del 1907 era stato rieletto, votò nel 1909 in favore del governo Sonnino; essendo il voto in contrasto con I'opinione della direzione del Partito. diede le dimissioni da propagandista.

Nel 1909, quando si cominciava a temere la guerra, presentò alla Camera il seguente OdG: «La Camera da incarico al governo di farsi iniziatore di una conferenza per l'arbitrato e per il disarmo».

161 Si veda il contradditorio con il cattolico triestino Antonio Pavissich (1851-1913) sostenuto a Monza il 10 febbraio 1901, così come gli articoli di stampa contro il vescovo di Cefalù poi raccolti in “Un lupo in mitria: requisitoria contro sua accellenza rev.ma monsignore dott. don Gaetano D'Alessandro,vescovo e parroco di Cefalù in Sicilia”, Corigliano calabro, 1905

162 Intervistato dal “Grido del popolo” il 20.9.1907, ammoniva “l'anticlericalismo, col prendere forma parolaia, quarantottesca, di vecchio stile democratico, costituisce un vero danno al nostro movimento di classe sviandone l'attenzione dai problemi del socialismo”

Sempre nel 1909 si tornò a parlare di una visita dello zar in Italia. Il Partito Socialista assunse di nuovo un atteggiamento di aperta ostilità e Morgari riprese la sua protesta attraverso discorsi e alla Camera respinse tutte le obiezioni sugli interessi diplomatici dell’Italia con un perentorio “Non si fanno gli affari con gli assassini”163, articoli e opuscoli. Fu creato un "Segretariato nazionale antizaresco" e quando il 23 ottobre lo zar giunse a Racconigi, Morgari riuscì a tenere una conferenza alla CdL in virtù dell’immunità parlamentare e a fischiare l'ospite: il suo gesto entrò nella leggenda. Le relazioni con gli emigrati socialisti russi di varie tendenze molto numerosi sulla Riviera e a Capri, iniziate almeno dal 1903, si andarono infittendo: è del 18 maggio 1908 una sua interrogazione - su sollecitazione dello scrittore Gorki - su pacchi di giornali russi fermati alla dogana cui Giolitti rispose prontamente. In effetti l'Italia venne usata da Lenin in quel periodo come tappa intermedia per introdurre stampa sovversiva in Russia.

I deputati socialisti si andavano sempre più orientando verso il ministerialismo. Morgari, allora segretario del gruppo parlamentare, vi si oppose ripetutamente. Il 10 maggio 1910 l' “Avanti!” pubblicò una sua lettera: "Perchè ognuno assuma le proprie responsabilità": "Io che odio più di ogni altra cosa al mondo I'ipocrisia dovunque l'incontro proruppi quando mi accorsi che la mia tesi veniva elusa perché molesta...Tace anche I' Avanti... Non protestai prima e tutte le volte, e son decine, che non vidi registrato il mio pensiero nei resoconti delle adunanze del gruppo socialista. Ora non sono più disposto a farlo. Ho lavorato per degli anni per spegnere Ia disgustosa ed esiziale lotta intestina delle tendenze, sopportando le beffe dei sapienti e dei saccenti... Ora scongiuro gli amici dell'Avanti! di non costringere proprio me a riaccenderla”.

Alle elezioni suppletive del marzo 1910 dopo l'opzione di Nofri per il collegio di Siena, la sezione torinese, contro il parere dei riformisti favorevoli alla presentazione di Rinaldo Rigola, scelse la candidatura di protesta del giornalista triestino Todeschini che fu battuto dal candidato costituzionale. Questa sconfitta non pregiudicò il rafforzamento in seno alla sezione del gruppo intransigente guidato dal professor Temistocle Jacobbi che, eletto segretario politico nel novembre 1909, diventò nel 1910 anche direttore del «Grido del Popolo». A Torino la situazione più critica per il partito si verificò alla Camera del lavoro: a luglio 1910 i socialisti furono messi in minoranza in seno al consiglio generale. La commissione esecutiva, controllata dai socialisti, rassegnò le dimissioni dopo aver richiamato alla disciplina di partito gli iscritti. Il consiglio generale, convocato il 7 agosto, decise di nominare transitoriamente una commissione di studio con lo scopo di preparare il futuro congresso camerale ma dei cinque eletti solo due furono socialisti.

La sezione torinese tornò nel 1910 a identificarsi colle posizioni di Morgari, facendo confluire i propri voti sulla mozione Modigliani al congresso di Milano dell'ottobre. L'indirizzo politico della sezione venne premiato sia alle elezioni politiche che a quelle amministrative da un aumento costante di suffragi. I dirigenti locali non si curavano di definire criteri rigorosi di discriminazione appagandosi del generico appoggio dall'esterno alle iniziative del partito e della Camera del lavoro, o della sporadica collaborazione giornalistica su soggetti disparati. Oddino Morgari sintetizza in una lettera del 25 agosto 1913 a Gustavo Balsamo-Crivelli tale concezione dei rapporti con i fuorusciti della borghesia: “ troppi intellettuali - e tu ne sei davvero uno - ci lasciarono da qualche anno in qua: e deve possedere un nocciolo morale di natura profondamente buona e disinteressata l'uomo che al par di te rimane dopo vent'anni nelle nostre file quando per nascita, per ingegno aristocratico, per l'ambiente in cui vive e per il quale come letterato scrive, per tanti esempi che ha dinnanzi di uomini che perdettero l'antica fede, per le diffidenze che sono intorno ai così detti professionisti nel campo operaio, per la natura rozza del movimento proletario, per i non

163 Camera dei deputati, Legislatura xxiii, Atti del Parlamento italiano, Discussioni, Roma, 1909, Tornata del 23 giugno 1909, pag. 2878

rari suoi eccessi, per non avere avuto gl'incarichi a cui il suo valore lo indicava - bene potrebbe umanamente essere tratto a distaccarsi da noi"164

13. Con Salvemini per la questione meridionale

Salvemini aveva presentato al congresso di Milano del 1910, come già a quello precedente di Firenze, la prima piattaforma politica fondata non su schemi dottrinari ma su un’analisi storica della società italiana e delle sue contraddizioni; il suo piano era di contrapporre al blocco reazionario indutriale-agrario l'alleanza degli operai del Nord e dei contadini del Sud.

E' in questa occasione che Morgari venne a contatto con la tematica meridionalista salveminiana, aderendo alla mozione "intermedia", firmata anche dal livornese G.E.Modigliani, ma il suo interesse per i problemi del Sud risaliva agli inizi dell'impegno socialista differenziandolo in ciò dal riformismo padano che, anche nei suoi esponenti più illuminati come Turati, ha chiusure quasi razziste nei confronti del meridione. Nel 1998 partì per Palermo con Dino Rondani, entrambi deputati socialisti piemontesi eletti l'anno precedente, per sostenere la locale sezione nella lotta contro la mafia palermitana che garantiva l'elezione di Crispi. La sera del 16 aprile i due deputati e un gruppo di compagni vennero aggrediti dai crispini che spararono anche alcuni colpi di rivoltella.

Nell'ottobre 1902 iniziò un ciclo di conferenze di propaganda nel Sud; l'anno successivo condusse un'inchiesta su Gaetano Alessandro, vescovo di Cefalù, noto nella zona quale persona di dubbia moralità, usuraio e truffatore, pubblicando tra la fine del 1903 e il 1904 sull' “Avanti!” una serie di articoli che furono raccolti nell'opuscolo Un lupo in mitria già ricordato. Nell'aprile 1904 si recò a Torre Annunziata in occasione dello sciopero generale locale.

Al congresso di Roma del 1906 vinto dagli integralisti fu deciso di istituire nell'Italia meridionale e nelle isole «segretari regionali ai quali sarà demandato il compito della organizzazione politica ed economica": era investito così il punto importante della questione meridionale, e cioè l'esigenza di consolidare la struttura politico-organizzativa del movimento operaio e contadino del Sud, nel quale si individuava il protagonista principale della lotta per la sua emancipazione, e nello stesso tempo un fattore di riequilibrio dell'intera politica nazionale del partito.

Nel 1909 Morgari si battè, con toni salveminiani, contro i mafiosi e per il suffragio universale, che voleva ottenere con la lotta popolare, contro i brogli e per l'elevazione delle plebi. L'agitazione aveva un particolare significato per l'Italia del Sud; la legge elettorale dava infatti diritto di voto a tutti i maschi adulti che sapessero leggere e scrivere, e nel Mezzogiorno la percentuale di analfabeti era ancora molto alta: praticamente tutta la massa dei contadini e dei braccianti era esclusa dalla vita politica; la compravendita di voti e la violenza toglievano poi ogni significato ai pochi voti del Sud proletario. Sempre nel 1909 si occupò dell'elezione di Vito de Bellis a Gioia del Colle e condusse con De Felice, Bissolati e Ciccotti una indagine in merito165.

164 Archivio G.Bergami”, Carte BalsamoCrivelli, cit. in “Gramsci e i lineameti idali del socialismo torinese”, in “Storia del movimento operaio...in Piemonte”, 2. vol., cit

165 Del caso si occupò Salvemini in un articolo sull'”Avanti!”, ristampato in “Il ministro della malavita”, Firenze, 1910

Avendo appurato che i metodi elettorali del de Bellis si basavano essenzialmente sulle mazzette, quando l'elezione del deputato meridionale venne convalidata, Morgari proruppe alla Camera in un'aperta indignata denuncia dei brogli, delle camorre, della violenza nelle elezioni.

Nel luglio 1910, durante le elezioni politiche ad Andria (Bari), i seguaci del candidato governativo impedirono la distribuzione dei certificati elettorali. Il 31, durante uno scontro fra proletari, seguaci del candidato governativo e forze dell'ordine, due contadini furono uccisi e 10 feriti. Venne proclamato lo sciopero generale. Morgari, accorso sul posto, fece un'inchiesta e inviò al Presidente del Consiglio un telegramma166. In seguito, da numerosi comuni dell'Italia meridionale, pervennero a Morgari richieste di occuparsi delle loro amministrazioni. Nel 1910 la Direzione del Partito stanziò 8000 lire per la propaganda, che «nel Mezzogiorno sarà essenzialmente curata da Oddino Morgari».

Nelle elezioni del 1913, le prime a suffragio quasi universale maschile, nel collegio di Gallipoli (Lecce) si affrontarono il candidato socialista Stanislao Senàpe De Pace e l’economista liberista Antonio De Viti De Marco. Il Senape fu accusato dalla stampa avversaria (moderata, radicale, conservatrice e cattolica) di aver adottato la croce come simbolo per ottenere il suffragio dell’elettorato contadino167. Un articolo dell'«Avanti!» affermava che: “un candidato socialista poteva scegliersi un distintivo più profano. Dal punto di vista politico è chiaro che l'ori. Senàpe ha scelta la croce per avere i voti dei credenti in Cristo... Con un'origine elettorale del genere noi crediamo che l'on. Senàpe non tarderà molto ad avvertire l'incompatibilità della sua ulteriore permanenza nel gruppo socialisti” 168

Immediata la risposta della sezione socialista gallipolina: “Noi non condividiamo il giudizio scientifico dell'Avanti! sul «caso Senàpe». L'on. Senàpe aveva impresso sulla sua scheda da candidato una croce di tinta rossa. L'Avanti! non ha accettato le spiegazioni offerte dall'on. Senàpe il quale dichiarava che, per le contingenze speciali e locali di propaganda fra i contadini di Gallipoli, la croce aveva, per la sua significazione del martirio di Cristo, un certo valore sovversivo” .169

166 «Esaminata situazione, ritengo che ove Governo pensasse prendere occasione avvenimenti Andria per iniziare radicale opera rigenerazione Mezzogiorno, dovrebbe sciogliere amministrazione comunale Andria, aprire processo per associazione a delinquere che non arrestisi davanti eventuali responsabilità dominatori comune e deputato Bolognese: sottrarre istruttoria giudice Macchia da tempo, per varie prove, legato ai responsabili dei fatti, ricercare probabili conniventi vari funzionari, specie delegato Damiani e sottoprefetto, e loro eventuale destituzione; incriminare carabinieri e soldati, che invece di limitare il fuoco contro autori vari spari che non causarono scalfittura alcuna militi, spararono su quanti curiosi fuggenti transitavano via Carmino, ingigantendo conflitto; sciogliere corpo guardie notturne e campestri in cui attendono pregiudicati; disperdere con mezzi legge aggruppamenti malavita andriese, che acquiescente polizia costituisce braccio esecutivo dominatori comune e deputato collegio; sussidiare famiglie morti e feriti. Qualora anche questa volta Governo, traverso sua inchiesta istruttoria eludesse obbligo porre fine malavita locale, inciterò 9000 contadini leghe, più volte vittime violenza suddetta malavita dispederla direttamente violenza».

167 A. Palumbo Il caso del collegio di Gallipoli “ Società e Storia” luglio-sett.2008

168 Punti sugli «i». La croce dell'on. Senàpe, «Avanti!», 14.12.1913.

169 Simbologia socialista a proposito del «caso Senape». La croce, il pesce o che ?,

Il partito cercò di accertare la buona fede del proprio candidato. Oddino Morgari si occupò di riallacciare i rapporti con la sezione gallipolina170 Agli inizi di gennaio la direzione del PSI lo assolse pienamente mantenendolo all'interno della propria rappresentanza: “sotto il labaro dei cristiani antichi, l'on. Senàpe sta orgoglioso di tale sforzo difensivo. È ormai sicuro: il Partito non abbandonerà mai uno dei suoi ..” 171

14. Il viaggio in Oriente e il congresso di Ancona (1911-14)

Il 23 novembre 1910 Morgari comunicò con una circolare le sue dimissioni da segretario del gruppo parlamentare172. In una lettera a Turati, ribadendo le sue dimissioni. Morgari scrisse: ”Sono

«Spartaco», 24.12.1913.

170 «La Vita» pubblicò successivamente parte della corrispondenza tra Morgari e i socialisti gallipolini. In una lettera del 17.12. scriveva: «Dopo le informazioni avute sulla schietta e generosa opera ventennale del Senàpe, dopo le sue dichiarazioni alla Camera, il Gruppo vede chiusa la questione per quanto lo riguarda» ed il giorno dopo «il Senàpe non ha bisogno di essere giustificato ai nostri occhi ma le attestazioni che ci pervengono dal collegio di Gallipoli ci forniscono gli argomenti per difendere questo valoroso collega dagli attacchi avversari». Infine il 5.3.1914 Morgari affermava: «Il Gruppo cui è iscritto l'on. Senàpe non ha però bisogno di delucidazioni intorno a questi "strascichi elettorali". II Gruppo conosce e stima l'on. Senàpe e si ascrive ad onore di contarlo fra i propri membri». C. Bazzi, L'epistolario dell'on. Morgari, «La Vita», 19.3.1914

171 Lo scandalo dell'elezione di Gallipoli. L'on. Morgari insulta il socialismo e il Mezzogiorno, «Il Resto del Carlino» 20.3.1914.

172 Questo il testo integrale: "Non posso adempiere ad un incarico senza passione, senza fede. Orbene io mi sono andato accorgendo che la maggioranza del gruppo ha bisogno di un segretario abile Un uomo di carattere, che resta un socialista è ormai di impaccio alla maggioranza suddetta, fattasi definitivamente incapace di tenere alla Camera l'atteggiamento e il linguaggio che a socialisti convengono. E non alludo con ciò all' appoggio che si è dato e che si continuerà a dare al Ministero Luzzatti. Al contrario io penso che si potrebbe appoggiare un gabinetto per molto meno quando però il Gruppo mantenesse ad un tempo quella fierezza politica e ripetesse quelle affermazioni programmatiche con cui soltanto - nel contatto con uomini d' altri partiti, specie se cinici e bacati in larga parte - si può impedire che l'involuzione delle dottrine, l'addomesticamento progressivo, l'arrivismo lo scetticismo penetrino in noi e nelle masse che ci guardano operare. A più riprese, ma invano, tentai galvanizzare la spenta fede nell'animo di molti colleghi.e d'altro canto mi domando se a un segretario compete questa funzione di mentore o se non piuttosto ha l'obbligo di seguire l' indirizzo della maggioranza od altrimenti di andarsene. Io me ne vado, ormai ritengo che non convenga applicarsi a irrobustire le energie fattive e il prestigio politico del Gruppo che spenderà poi questi valori in modo che io ritengo deleterio: intendo dire in un non lontano ministerialismo coi giolittiani anche più sporchi, ciò toglierà al gruppo la rispettabilità morale nel preparare con sapiente lentezza e non nella forma fanciullesca del Ferri, la partecipazione dei socialisti al governo; e nel tagliare un dopo l'altro i ponti col passato, accentuando per gradi il proprio rinsavimento dalle utopie originarie, vuoi col fare su di esse il silenzio sistematico, vuoi col retrocedere a volgarità di monarchici nazionalisti e militaristi sebbene di scartamento ridotto, vuoi col porre a riposo l'ultima caratteristica di un partito che voglia

un po' sindacalista [alludendo alla corrente di Arturo Labriola, n.d.a] io pure, valuto più l'azione diretta del socialismo nel paese che quella parlamentare. Visto che l'azione parlamentare narcotizza e addomestica il maggior numero dei deputati penso che giovi rinvigorire l'azione nel paese con una propaganda orale e scritta volta a rimettere in onore il carattere avvenirista dei movimenti che la destra si adopera a cancellare senza strepiti».

Nell'agosto 1911, disgustato «dallo spettacolo della compagine parlamentare socialista», accettò l'invito di Alfredo Bertesi, deputato socialista di Carpi (nel 1912 seguirà Bissolati e nel 1915 aderirà al fronte patriottico) e fondatore di una cooperativa per la lavorazione del truciolo, di recarsi in Estremo Oriente per studiare un particolare sistema locale di lavorazione del truciolo, che si voleva introdurre in Italia. Rimase via due anni facendo praticamente il giro del mondo senza quasi far giungere sue notizie e solo nella primavera del 1912 l’ “Avanti!” pubblicava una sua lettera da Manila. Nel 1913, a campagna elettorale già iniziata, era ancora all'estero e il 29 agosto il giornale cattolico torinese “Il Momento” ne approfittò per accusarlo di trascurare il lavoro parlamentare e di viaggiare per interesse, smentito da Bertesi che sul “Grido del Popolo” disse che viaggiava senza diaria ma col semplice rimborso delle spese vive.

Morgari, ancora in viaggio, rendendosi conto delle critiche che gli potevano essere mosse, scrisse a Torino chiedendo di non essere più candidato: «Non è che io desideri ritirarmi dalla vita pubblica. L'incarico del deputato, ora che il Gruppo parlamentare si è fatto omogeneo e il partito ha dato in sostanza ragione alla mia campagna integralista, tornerebbe a piacermi. Ma si tratta di ben altro, si tratta dell'interesse del partito danneggiato dalla mia lunga assenza... dalla parvenza che io avrei di rientrare in Italia poco prima delle elezioni unicamente per raccattare un'indennità”

Ma la sezione torinese rispose che aveva già cominciato la campagna elettorale sul suo nome e ne attendeva con impazienza l'arrivo. Egli giunse a Torino il 15 agosto accolto trionfalmente. Nel discorso di saluto disse: "C'è stata nel passato una deviazione verso destra, perciò è bene che il partito si volga verso sinistra. Vogliamo combattere a fianco di un proletariato il quale comprende che il fine del socialismo è al di là delle riforme e delle stesse battaglie, anche grandiose, delle organizzazioni operaie". Nell'ottobre venne rieletto nel tradizionale secondo collegio anche per la XXIV legislatura.

Morgari era partito dall'Italia poco prima dell'inizio dell'impresa libica, restando quindi estraneo alla lotta politica interna al PSI che travolse la dirigenza riformista coinvolta dal rapporto con Giolitti e portò, al Congresso di Reggio Emilia del 1912, alla direzione degli "intransigenti" Giovanni Lerda, Costantino Lazzari, Giacinto Serrati, Benito Mussolini.

Salvemini così gli scrisse rievocando le cause della sua uscita dal PSI "Per la primavera e l'estate del 1911 io feci la Cassandra inascoltata, cercando di eccitare i dormienti per Tripoli. Mentre ferveva la campagna nazionalista l' “Avanti!” taceva. Quando l'inerzia del Partito, i cui capi dormivano sulle ginocchia di Giolitti, ebbe preparato via libera all'impresa e la guerra parve ineluttabile, solo allora l'Avanti! cominciò a protestare disordinatamente e incoerentemente. E fu inscenato uno sciopero generale buffonesco, che si sapeva non sarebbe riuscito. Questa commedia mi tolse il velo dagli occhi. Sentii l'abisso morale di uomini in cui avrei voluto sempre vedere non solo maestri di idee, ma modelli di carattere. E feci fagotto"173

Dieci anni prima, nell'aprile 1902, Morgari era stato a Tripoli in missione esplorativa e alla partenza

conservarsi il carattere di sovversivo sul terreno sociale, dico la lotta di classe, per limitarsi a domandare in tono melenso amichevolmente le riforme alla benigna condiscendenza delle classi dirigenti e del governo”.

aveva confidato al console generale Scaniglia "il concetto complessivo che mi sono formato della Tripolitania è che è di molto superiore all'Eritrea; che è parzialmente colonizzabile, ma non è tale da offrire larghissimo sbocco alla nostra emigrazione; salva la pregiudiziale delle terre incolte d'Italia che aspettano braccia e capitali, ed ammessa per un momento l'utilità di un'occupazione, bisognerebbe limitarla alla costa"174

I colleghi vollero riaffidargli l’incarico di segretario del Gruppo, e in tale veste al Congresso di Ancona del 1914 nella seduta del 28 aprile relazionò sull'attività del GPS. La relazione scritta era divisa in due parti, la prima si riferiva alla forza interna del Gruppo (consistenza numerica, rapporti can gli altri organismi del Partito, che furono definiti cordiali “vuoi nelle questioni di massima, vuoi nei quotidiani rapporti fra Segretariati”, studi e deliberazioni del Gruppo, cariche parlamentari) e la seconda alla sua operosità (nella quale veniva minuziosamente esposta la partecipazione ed il contributo del Gruppo nel sua complesso e nei suoi componenti all'attività parlamentare).

Sulla sua relazione presero la parola ”… tra gli altri: ”Niccolini che dichiarò degna di elogi l'attività del Gruppo parlamentare, ma raccomandò nello stesso tempo ai deputati a non limitarsi ad una cura assidua degli interessi locali, ma ad assumere la cura collettiva dei collegi …, Franco sulla necessità di frequenti viaggi dei deputati socialisti settentrionali nelle regioni del Mezzogiorno nelle quali i pubblici poteri rispettavano soltanto coloro che erano protetti dall’immunità parlamentare … Ercole che accusò il Gruppo parlamentare di avere, in occasione di una recente agitazione di ferrovieri, favorito la Federazione gialla a scapito. del Sindacato, ecc.” Rispose ai vari interventi trattando in particolare della vertenza dei ferrovieri a proposito della quale espresse l'augurio. che i lavoratori della categoria in primo luogo si unifichino. e poi in secondo luogo unifichino se stessi col resto del proletariato». Furono votati all'unanimità quattro OdG di approvazione in vario grado dell’operato del GPS 175

Riconfermato segretario del gruppo parlamentare, era membro di diritto della direzione - unico a non far parte della maggioranza intransigente - con Lazzari segretario e Mussolini direttore dell' “Avanti!”.

Con quest’ultimo iniziarono a incrinarsi i rapporti all’interno della direzione: in occasione della Settimana Rossa Mussolini aveva assunto posizioni personali non concordate col segretario e con la direzione che avevano dato luogo a critiche, ma nella Direzione del 28-30 giugno, con le sole astensioni di Morgari e Balabanoff, gli venne riconfermata la fiducia, in considerazione del successo dell'Avanti e del suo aumentato peso politico.

15. Lo scoppio della guerra

Ai congressi dell’Internazionale il dibattito sulle misure da prendere per impedire la guerra diveniva sempre più frequente in corrispondenza all’aggravarsi della situazione internazionale e vedeva impegnati i grandi leaders europei: Huysmans, Jaurès, Vaillant, Keir Hardie. Il PSI per chiusura

173 Lettera del 1.9.1913, in G.Salvemini, Carteggio 1912-14, Bari, 1984, pag. 392

174 Documenti Diplomatici Italiani, 3. serie, vol. iv, doc.419; nel 1905 sul “Sempre Avanti!” aveva auspicato un intervento dell'Italia in Libia, che gli fu poi rinfacciato.

175 F.Pedone “Il PSI attreverso i suoi congressi”, vol.2, cit

provinciale partecipò marginalmente al dibattito sull’imperialismo (se si esclude qualche intervento di Lerda176 e di pochi altri) e i leaders preferivano non recarsi personalmente ai congressi ma inviavano generalmente Morgari, che finì per assumere la funzione di “ministro degli esteri”

Al congresso di Copenaghen del 1910 Morgari aveva presentato una mozione che invitava i partiti socialisti aventi rappresentanza parlamentare a proporre alle rispettive Camere una riduzione degli armamenti: la richiesta avrebbe dovuto essere appoggiata da dimostrazioni popolari. Tale mozione era stata respinta e nè al congresso di Basilea del 1912, né a quello straordinario del 1914 vennero deliberate misure concrete contro la guerra. Alla riunione tenuta il 23-24 ottobre 1911 a Zurigo, intervenne dicendo che “l’aggressione italiana alla Turchia sarebbe stata fronteggiata dalla classe operaia con lo sciopero generale”177

Nel 1914 il congresso dell'Internazionale era previsto per l'ultima settimana di agosto; ma quando il 23 luglio l'Austria rivolse l'ultimatum alla Serbia, il Bureau Socialiste International (BSI) convocò la riunione a Bruxelles il 29 e 30 luglio quando già le truppe austro-ungariche avevano passato il confine serbo.

Al meeting che si tenne la sera del 29 luglio al Cirque Royal parlò anche Morgari, facendo appello ai valori comuni, alla classe operaia, alla razza umana tutta intera. Nel clima di forte tensione del momento le parole furono patetiche, commoventi, ma la riunione si concluse con un nulla di fatto. Poi Jaurès venne ucciso, le dichiarazioni di guerra si susseguirono. I deputati socialisti francesi votarono per i crediti di guerra e altrettanto, quando già era in atto l'invasione del Belgio, fece la socialdemocrazia tedesca.

Il 27 luglio si era tenuta a Milano presso l “'Avanti!” una riunione del gruppo parlamentare con l'intervento di 28 deputati (poco più della metà) presieduta da Morgari con la partecipazione di Mussolini e Ratti per la Direzione, che si chiuse con una mozione che oltre a reclamare la “immediata convocazione della Camera al fine di chiedere al governo dichiarazioni impegnative...di neutralità assoluta” e a reclamare la rapida riunione dell'IOS, invitava i lavoratori a “manifestare la loro ostilità alla guerra e a tenersi pronti per quelle più energiche misure che il partito intendesse adottare in vista degli avvenimenti”178

La Direzione del Partito allargata alla Confederazione del lavoro, Federterra, Sindacati Gente di mare e Ferrovieri si riunì nuovamente a Milano il 3 agosto per sentire Morgari e Balabanoff che riferirono sulla riunione dell’Internazionale (BSI) a Bruxelles cui avevano partecipato. La sera del 4 agosto ad un comizio a Milano cui erano accorse 40.000 persone, prese la parola con Lazzari, Della Seta, e De Ambris (per l'USI). All'assemblea del 9 e del 19 settembre della sezione socialista milanese Mussolini e Morgari raccolsero la grande maggioranza per la tesi della neutralità assoluta179

Alla Direzione del PSI a Bologna il 19-22 ottobre si aprì un contenzioso con Mussolini che

176 G.Are “La scoperta dell'imperialismo. Il dibattito nella cultura italiana del primo novecento”, Roma, 1985 M.Degli Innocenti “Il socialismo italiano e la guerra di Libia”, Roma, 1976

177 C.Pinzani “Jaurès, l’internazionale e la guerra”, Bari, 1970

178 “Avanti!” 28.7.1914 e Ambrosoli, cit , pag. 323

179 L.Valiani “Il PSI nel periodo della neutralità. 1914-15”, Milano, 1963, pag. 40

proponeva la formula della “neutralità attiva e operante” invece della neutralità assoluta che era la posizione assunta dal Partito. Dopo una giornata di discussioni per evitare la crisi, Lazzari, Bacci, Della Seta e Morgari vennero incaricati di preparare un manifesto che conciliasse le posizioni, ma Mussolini rifiutò la mediazione; sulla questione Morgari rilasciò un’intervista180, cui rispose Mussolini con una lettera pubblicata due giorni dopo.

16. L'incontro di Lugano (1914)

Il Partito Socialista Italiano e la socialdemocrazia svizzera, pur tra incertezze, rimasero le sole organizzazioni socialiste a battersi per la rinascita dell'Internazionale e a mantenere fino in fondo una decisa opposizione alla guerra.

Questo era il fine per cui il 27 settembre 1914 una delegazione del PSI incontrò a Lugano alcuni socialisti svizzeri. Erano presenti per l'Italia: Armuzzi, Balabanoff, De Falco, Lazzari, Modigliani, Morgari, Ratti, Musatti, Serrati, Turati.

I convenuti esaminarono la situazione creata dalla guerra e valutarono ciò che si poteva fare per abbreviarne il corso. In quella sede venne decisa la convocazione di un congresso da tenersi in Svizzera entro breve tempo: su questo punto tutti furono d'accordo. I problemi sorsero invece sull'ampiezza da assegnare alla conferenza.

I congressisti desideravano infatti farvi partecipare anche i membri dei paesi belligeranti: Grimm propose un incontro dei vari partiti socialisti allo scopo di riconciliare la socialdemocrazia tedesca con il Partito Socialista Francese. La Balabanoff, Turati e Modigliani approvarono, Morgari ebbe dei dubbi: riteneva i due punti di vista troppo divergenti perché potessero giungere ad un accordo

Venne anche presa in esame la situazione del BSI ormai paralizzato dalla guerra: si propose di trasportarne la sede in Svizzera o di affidare al comitato direttivo del partito socialista svizzero i compiti del Bureau stesso. Ci si rese però conto che la conferenza di Lugano era priva di poteri, soprattutto in merito a questioni di così vasta portata. Si temette inoltre che il BSI potesse credersi illegalmente spogliato delle sue funzioni. Grimm suggerì la costituzione di una «Centrale d'Information Mutuelle», una specie di agenzia destinata a durare quanto la guerra, con il compito di provvedere agli affari correnti, e di preparare il terreno per una futura riconciliazione. Morgari propose di costituire un bureau provvisorio dell'Internazionale la cui costituzione, sempre per non urtare il BSI, avrebbe dovuto essere adottata in una mozione separata.

Alla fine la proposta di Modigliani, approvata contro quella di Morgari che proponeva di rompere definitivamente con l'ormai inefficiente Bureau residente in Belgio e di istituire un nuovo Ufficio internazionale provvisorio con sede in Svizzera, incaricava il Partito socialdemocratico svizzero e il Partito Socialista Italiano di riprendere i contatti con il B.S.I. onde ristabilire le funzioni

I partecipanti alla riunione si separarono con l'impegno di coordinare i loro sforzi e di non rivelare nulla di ciò che vi era stato dibattuto. Poiché la riunione, che doveva rimanere segreta, era divenuta di dominio pubblico, al termine della giornata venne elaborato un comunicato in forma di appello, che fu poi largamente diffuso dalla stampa socialista europea.

180 O.M., “Avanti!” 25.10.1914: “Mussolini parve a tutti noi che fosse venuto a Bologna con la ferma intenzione di non andare d’accordo con la Direzione: perché un uomo della sua intelligenza non poteva supporre che 13 persone che sono a dirigere un partito di quasi 60.000 uomini, avessero potuto da un momento all’altro cambiare opinione…solo perchè uno solo, per quanto apprezzabilissimo, era in un nuovo ordine d’idee”

Le iniziative auspicate dalla mozione Modigliani si svilupparono pochi mesi dopo. Per l'esecuzione del mandato di Lugano, infatti, la Direzione del PSI e il direttivo del Gruppo parlamentare socialista, nella riunione tenuta a Firenze dal 16 al 18 gennaio del 1915, incaricavano Oddino Morgari, nonostante questi nel convegno di Lugano si fosse decisamente espresso per la soppressione del vecchio B.S.I., di prendere contatti con i partiti socialisti dei paesi europei belligeranti e neutrali.

Nel gennaio 1915 si tenne a Copenaghen una conferenza dei partiti socialisti scandinavi e olandesi. Egli annunciò la sua partecipazione approfittando di una tournée europea che doveva compiere come collaboratore dell'«Avanti!». Parti quindi per la Danimarca ma non vi partecipò, affermando di non essere giunto in tempo, ma successivamente, il 18 febbraio, dirà al Comitato Direttivo del Partito socialista svizzero di non aver preso parte alla Conferenza di Copenaghen sia perché aveva inteso che la Svizzera non avrebbe inviato delegati, sia perché Grimm lo aveva informato che vi potevano essere sospetti di influenze tedesche sulla conferenza.

L'incontro di Copenaghen ebbe scarso successo. I partecipanti non furono numerosi e, forse per timore di creare attriti, trattarono solo argomenti secondari e si limitarono a chiedere al BSI la convocazione di una conferenza non appena possibile e comunque prima dell'inizio delle trattative di pace.

17. La «Missione Morgari». Parigi e Berna

Il suo compito era di raccogliere informazioni, effettuare sondaggi presso i vari partiti per rendersi conto delle reali loro disposizioni verso la promozione della pace e il risveglio dell'Internazionale. Il mandato era abbastanza elastico e anche l'itinerario non era ben precisato. Lo scopo principale, era quello di gettare le basi su cui realizzare il programma di Lugano, e cioè: trasferimento del Bureau in un paese neutro (di preferenza la Svizzera) e convocazione urgente di una conferenza dei partiti socialisti dei paesi non belligeranti. Prima di partire, in febbraio, Morgari si recò in Svizzera ad esporre gli obiettivi del suo viaggio e chiese di essere accompagnato nella sua missione da un delegato del locale Partito socialista. Gli svizzeri decisero di affidargli invece un messaggio scritto, copia del quale venne inviata al BSI e ai partiti affiliati prima ancora della sua partenza. Ma per una serie di circostanze egli non potè partire che ad aprile e in quei due mesi varie situazioni erano evolute o cambiate.

In una serie di articoli dal titolo Che cosa fare?, apparsi sull' “Avanti!” dal 20 al 22 aprile 1915, Morgari espresse il suo punto di vista sulla necessità improrogabile della convocazione di una conferenza internazionale socialista. Dopo aver giustificato i socialisti che avevano aderito alla guerra in quanto «l'opinione che il proletariato debba associarsi alla difesa della patria circola da tempo nelle file socialiste, è stata apertamente affermata in molteplici occasioni, nella stampa e nei parlamenti, e non fu mai sconfessata esplicitamente dai congressi», si rivolgeva all'Esecutivo dell'Internazionale: «A questo BSI noi rivolgiamo un caldo appello ad uscire dal suo presente stato di aspettazione ed a riunire senz'altro l'Internazionale».

A Parigi chiese la convocazione di una conferenza internazionale al presidente del B.S.I. Vandervelde, che non solo rifiutò di convocarla, ma dichiarò che avrebbe impedito agli stessi svizzeri ed italiani di farlo. Dal canto suo Morgari lo accusò di tenere in ostaggio l'Internazionale, e il colloquio ebbe toni drammatici. L' “Avanti!” pubblicò la relazione di Morgari sul viaggio a Parigi e Vandervelde reagì cercando di modificare la propria posizione: ma Morgari replicò che se le parole potevano non essere esatte, la sostanza era quella da lui indicata: francesi e belgi non volevano

venire in contatto con i tedeschi ed erano per la, guerra a fondo contro il militarismo germanico

Naturalmente i gruppi socialisti dissidenti che vedevano nell'iniziativa italo-svizzera una rinascita dello spirito internazionalistico accolsero Morgari a braccia aperte. A Parigi strinse rapporti con Martov e Trotskij , il quale con la sua penna satirica ne traccia questo pungente ritratto: “Morgari ha una natura d'artista: è un politico e uno psicologo. I tratti del suo viso giovanile recano il segno di un carattere bonario ed indulgente ... rimprovera al marxismo la mancanza di realismo, riconosce nella Storia la "molteplicità" dei fattori e tenta di arrivare ad una concezione "integrale", sia nella pratica che nella teoria. L'integralismo significa, in realtà, uno sforzo per giungere ad un eclettismo "armonioso" ... Sulla terrazza di un caffè di uno dei grandi boulevards, avemmo una conversazione con Morgari e alcuni deputati socialisti che per ragioni non molto chiare si consideravano di sinistra. Sinché il colloquio non andò al di là delle proclamazioni pacifiste e della ripetizione di luoghi comuni sulla necessità di ristabilire le relazioni internazionali, le cose andarono abbastanza bene. Ma quando Morgari, con tono drammatico da cospiratore, cominciò a parlare della necessità di procurarci falsi passaporti per andare in Svizzera (era evidente che l'aspetto "carbonaro" della faccenda lo attraeva) i signori deputati fecero il muso, e uno di loro si affrettò a chiamare il cameriere e a pagare le consumazioni. Sulla terrazza aleggiava il fantasma di Molière, forse anche quello di Rabelais; la cosa non andò oltre.“181

Tuttavia, se il programma di Lugano era inaccettabile per il socialismo ufficiale, per i dissidenti risultava insufficiente. Essi infatti obiettavano che se si trattava di far cessare la guerra una conferenza di neutri sarebbe stata inutile. A loro avviso si dovevano invece adunare i dissidenti, gli elementi di opposizione che nei paesi belligeranti si erano dichiarati contro la guerra e contro la politica di union sacrée. Al termine dei colloqui parigini Morgari aderì a quest'idea e, tornato in Italia, la espose alla Direzione tenuta a Bologna il 15 e 16 maggio 1915 che la adottò; i socialisti italiani decisero così, ignorando gli organi ufficiali dei partiti, di convocare singoli o gruppi socialisti e sindacali di qualsiasi natura, scelti secondo le convinzioni e appartenenti sia a paesi neutri, sia a paesi belligeranti.

Pochi giorni dopo si recò a Berna per elaborare con Grimm la realizzazione del progetto all’insaputa del Partito socialista svizzero. Infatti, mentre il PSI aveva votato a Bologna la decisione, assai più avanzata rispetto alle posizioni di Lugano, di convocare le minoranze, il Partito svizzero rimase legato all'idea di convocare soltanto i neutri.

Per questo il PSI trovò come interlocutore attivo non già il comitato centrale del Partito socialista svizzero, ma Grimm, che aveva assunto una posizione analoga a quella italiana. E solo più tardi, in novembre, al Congresso di Aarau il Partito socialista svizzero approverà l'operato di Grimm.

L'11 luglio Morgari e la Balabanoff incontrarono a Berna in una riunione preliminare: Zinoviev (per i boscevichi), Aksel'rod (per i menscevichi), Warski e Waleki (polacchi) e Grimm. Dei partecipanti, però, solo Morgari e la Balabanoff erano venuti dall'estero con un mandato ufficiale; tutti gli altri erano già in Svizzera come rifugiati. Fu a questa conferenza che si fissò lo scopo e il carattere del convegno da tenersi in settembre. Esso «non avrebbe avuto per nulla come scopo la creazione di una nuova Internazionale, ma il suo scopo sarebbe stato piuttosto di richiamare il proletariato a un'azione comune per la pace, di creare un centro d'azione e di cercare di ricondurre la classe operaia alla sua missione storica».

181 L.Trotskij “La mia vita”

18. Nel Paese in guerra (1915-16)

In occasione delle "radiose giornate" del maggio 1915 a Torino la pressione della base operaia spinse la sezione cittadina, assai dubbiosa pur essendo diretta dagli intransigenti, a proclamare lo sciopero per il 15. Nell'occasione Morgari non era presente perchè a Bologna con Buozzi e Pastore. La tensione cresceva da settimane e la giornata si concluse con un pesante bilancio: 14 feriti e un morto tra i dimostranti, occupazione della Casa del popolo da parte dell'esercito, arresto di esponenti sindacali e politici, che caratterizzano la situazione più grave verificatasi in Italia alla vigilia dell'entrata in guerra. Rientrato a Torino, con Casalini e Quaglino girò “4 o 5 ore per tutta la città per persuadere gli scioperanti a riprendere il lavoro". Mentre i componenti della Commissione Esecutiva della Sezione torinese sono arrestati e rimangono in carcere più di tre mesi, funziona una C.E. provvisoria, di cui fa parte anche Morgari, che a luglio viene sostituita con elezioni che vedono contrapposte due liste; in quella intransigente, con Barberis, Boero, ecc., si colloca Morgari.

Pacifismo e internazionalismo erano aspirazioni sincere che espresse in articoli, manifestazioni, comizi e nei due discorsi che tenne alla Camera, ma non poteva dimenticare che molti in Italia, tra i quali gli irredentisti del Trentino e della Venezia Giulia, avevano voluto la guerra per motivi patriottici e ideali. Né poteva dimenticare la «Lettera aperta» che Cesare Battisti aveva inviato un anno prima182

Una crisi lo colpirà alcuni mesi più tardi, quando il sentimento mazziniano e risorgimentale prenderà il sopravvento sulle convinzioni antimilitariste. E’ del mese di dicembre 1915, infatti, la polemica sorta intorno alla frase «ti invidio» scritta da Morgari al suo amico Plinio Gherardini, arruolatesi volontario; si parlò allora di un suo prossimo arruolamento tra i garibaldini di Francia. La notizia, smentita dall’ “Avanti!” e dal “Grido”, fu poi confermata dallo stesso interessato in una lettera a Lazzari del 25 dicembre, mettendolo in connessione con il particolare momento: «un periodo nel quale ancora mi pareva possibile conciliare due cose opposte: l'antimilitarismo e il fucile, quando cioè procuravo di convincermi che - dopo fatto ogni sforzo per impedire lo scoppio della guerra, dal punto di vista degli interessi generali e dei nostri principi - un socialista potesse, senza contraddizione seguire il proprio temperamento appena scoppiata la guerra, in base al motto: "cosa fatta capo ha"».

Ulteriore conferma troviamo nel discorso pronunciato alla Camera il 1 luglio 1916, che si apriva con la confessione della propria crisi: «persino chi parla ebbe negli inizi un momento di esitanza e pregò un collega, che è su questi banchi, di tenergli in serbo una camicia rossa»183 La guerra non

182 “La Stampa” 27.9.1914. La lettera è stata riprodotta in C. Battisti: Scritti politici e sociali, Firenze, 1966, p. 470-476. In essa Battisti in risposta all'affermazione dell'indifferenza delle masse operaie italiane d'Austria per l'irredentismo sottolineava lo stato d'oppressione in cui l'Austria-Ungheria teneva le sue nazionalità, il che ne avrebbe sicuramente determinato lo sfacelo a seguito della guerra, il gravissimo malessere, materiale e morale del Trentino, e il fatto che gli italiani d'Austria già versavano il loro sangue sui campi di battaglia per una causa che detestavano, e scriveva: «Invano io ho cercato sino ad ora sull'Avanti! " e negli altri periodici socialisti le ragioni pratiche, tangibili della neutralità adatta a persuadere anche chi non ha dimestichezza con Engels e con Marx. Vi ho trovate lunghe disquisizioni filosofiche sulla collaborazione e sulla lotta di classe, disquisizioni che mi hanno fatto l'effetto di un predicozzo sulle cause della miseria a chi, avendo fame, chiede pane e lavoro».

183 Atti parlamentari, Camera del deputati, tornata del 1. luglio 1916. Il collega è il

era considerata unilateralmente come un «portato degli interessi economici delle classi dirigenti», ma anche come esigenza di «cause ideali, sdegni generosi, fedi sincere». Fu anche profetico: "se abbattiamo la Germania essa coverà la sua rivincita, la coverà 20 anni ma la farà" e insiste sullo scarso interesse a "annettere rupi trentine e caverne del Carso",184.

Il discorso gli procurò i feroci attacchi dell'«Idea Nazionale» e gli elogi dei giovani socialisti tra cui quello di Gramsci. Serrati, nell'introduzione alla pubblicazione sull'Avanti, pur dissentendo «sia per ciò che si riferisce alle origini e alle cause della guerra, sia per quanto riguarda la condotta della guerra e sia anche e soprattutto quanto ha tratto ai rimedi democratici contro la guerra», lo elogiò in quanto «coraggiosissimo».

19. Da Zimmerwald a Kienthal

Il 5 settembre 1915 la conferenza venne finalmente convocata, nonostante la tenace opposizione del presidente dell'Internazionale e l'ostilità dei socialpatrioti. Fu scelta Zimmerwald, un paesino della Svizzera. L'”Avanti!” scrisse: «Gli sforzi entusiastici del nostro Morgari - che gli scettici deridevano e i cattivi calunniavano - sono stati coronati da pieno successo»

Le convocazioni per Zimmerwald vennero fatte segretamente e la Conferenza si svolse all'insaputa di tutti, governo svizzero compreso.

A Zimmerwald convennero 38 delegati di 11 paesi: le delegazioni ufficiali dei partiti socialisti di Polonia, Italia, Bulgaria, Romania e Svizzera e i rappresentanti dei gruppi di opposizione di Germania, Francia, Olanda, Svezia e Norvegia. Il partito socialdemocratico serbo, che pure aveva dichiarato la propria neutralità, non potè inviare il proprio rappresentante per la mancata concessione del passaporto al delegato. Dei russi in esilio, parteciparono Lenin, Zinoviev, Axelrod e Trotzki. Per l'Italia vi partecipò la delegazione del PSI e del GPS, composta da Costantino Lazzari, Angelica Balabanof, Modigliani, Serrati e Morgari.

Trotsky nella sua autobiografia descrive così la partenza dei congressisti da Berna per Zimmerwald:« Noi ci pigiammo in quattro carrozze e salimmo verso la montagna. La gente guardava con curiosità quella strana carovana. I delegati scherzavano sul fatto che mezzo secolo dopo la costituzione della prima Internazionale tutti gli internazionalisti trovavano posto in quattro carrozze. Ma nello scherzo non c'era alcuno scetticismo. Accade molte volte che il filo della storia si strappi. Allora bisogna annodarlo. E fu quello che si fece a Zimmerwald».

Fin dalle prime battute i delegati si divisero in «destra» e «sinistra». La prima, composta dalla maggioranza dei convenuti, sebbene intransigente nella condanna della guerra, confessava ancora fiducia nella Internazionale. La sinistra, invece, riteneva che l'unione sacra e la politica dilatoria del B.S.I. l’avessero definitivamente squalificata, e poneva il problema della trasformazione della guerra militare in guerra civile sviluppando le deliberazioni del congresso di

repubblicano Eugenio Chiesa

184 «non parlo dal punto di vista socialista dottrinale, il quale contiene una verità profonda, ma unilaterale. La interpretazione materialista della storia spiega sempre ad un modo il fenomeno della guerra. Per essa la guerra è sempre il portato degli interessi economici delle classi dirigenti. Ogni guerra altro non è che una bassa e criminosa manovra del capitalismo. Vi è del vero in questa tesi, ma non vi è tutta la verità».

Basilea. Il «Manifesto», che non intendeva ripudiare la 2. Internazionale ma cercava di mutarne la direzione e si pronunciava contro la guerra addossandone la responsabilità alla cupidigia imperialistica di tutti i paesi belligeranti, in Italia fu stampato alla macchia e l'«Avanti!» lo pubblicò a dispetto della censura il 14 ottobre grazie a un'abile manovra del direttore Serrati.

A Zimmerwald, nella firma del manifesto conclusivo, Morgari rivelò non poche perplessità, in quanto non si sentiva di avallare le affermazioni unilaterali sulle cause della guerra185 persuaso che la sua impostazione oscurasse le ragioni di coloro che avevano combattuto la guerra non per interessi economici ma unicamente per motivi morali

Morgari sintetizzò la portata de convegno in un'intervista rilasciata al giornale “La Sera”, in cui affermava che «l'atto pratico di Zimmerwald è quello di aver compiuto il nostro dovere di socialisti, che era di riunirci internazionalmente ed esprimere una parola concertata nei riguardi della guerra. Ma nello stesso tempo pur volendo sfuggire alle responsabilità di questa guerra, noi non diciamo ai soldati o di fuggire o di non sparare”

La Conferenza costituì anche una «Commissione socialista internazionale» con il compito di «facilitare le relazioni fra i partiti socialisti» e di «informare le organizzazioni aderenti sugli avvenimenti e lo svolgimento della lotta per la pace». A farne parte furono chiamati Grimm, Naine, Morgari e la Balabanoff (in veste di traduttrice). La commissione lavorò attivamente nonostante l'entrata in guerra dell'Italia, ma i risultati furono scarsi. Ciò non impedì ai giornali borghesi di sviluppare una vasta campagna di stampa contro i socialisti italiani accusati di svolgere, all'interno della Commissione di Berna, attività antimilitare e antipatriottica.

Nel febbraio 1916, in una riunione internazionale tenutasi a Berna e promossa dal PSI, venne decisa una nuova conferenza che si tenne poi a Kienthal dal 24 al 30 aprile. I punti più importanti all'ordine del giorno della conferenza erano: la battaglia per la fine della guerra, l'attitudine del proletariato verso i problemi della pace, la questione della convocazione del BSI a l'Aja.

Per l'Italia, con Lazzari, Prampolini, Modigliani, Musatti, Dugoni e Serrati vi partecipò anche Morgari. In essa vennero riaffermati i principi contenuti nel manifesto di Zimmerwald, pur apparendo i termini del nuovo manifesto più decisi. Nel testo programmatico che ad esso si accompagna, venne stabilita, in 14 punti, la condotta che il proletariato doveva adottare di fronte alla guerra e, fatto nuovo, la lotta per la pace fu identificata con la lotta rivoluzionaria per il socialismo. I testi di Kienthal furono votati all'unanimità dai partecipanti alla conferenza. Anche se i gruppi presenti a Kienthal erano sostanzialmente quelli di Zimmerwald, i delegati furono molto più numerosi e ciò nonostante le autorità di alcuni paesi belligeranti avessero ostacolato la partecipazione non rilasciando i passaporti. A Kienthal si registrò anche un netto spostamento a sinistra. Lenin non si trovò più isolato. Dopo due anni di guerra, i delegati di Kienthal non parlarono più di «pace senza annessioni e senza indennità” ma di «conquista dei governi e della proprietà capitalistica per parte dei popoli” e aggiunsero: «la pace duratura sarà il frutto del socialismo trionfante».

Il manifesto di Kienthal venne giudicato non sufficientemente rivoluzionario dalla sinistra, mentre la destra ritenne troppo assolute e pessimistiche alcune affermazioni. In questa «destra » si inquadra anche Morgari che formulò un emendamento votato anche da Modigliani, Prampolini, Dugoni, Musatti. Votarono le tesi senza riserve Serrati e Balabanoff.

185 A. Balabanoff: “Ricordi di una socialista”, Roma, 1946, p. 104 «Tutto ad un tratto dallo scanno occupato dalla delegazione italiana, si sentì un " non posso votare ". Era il delegato italiano Morgari, che già all'esordio della lettura del manifesto aveva fatto segni di diniego.

Benché la condanna della guerra risultasse molto più dura e circostanziata rispetto a Zimmerwald, il rapporto ufficiale concluse con un generico invito all'azione delle masse.

20. La Missione Ford. Stoccolma

È nella mancanza di linearità con le tesi di Zimmerwald e di Kienthal che va inquadrata la sua singolare partecipazione alla Missione Ford. L'industriale americano Henry Ford186 aveva intrapreso una campagna per il ritorno della pace in Europa fondando una istituzione che, abbondantemente finanziata e composta di elementi danesi e svedesi , aveva la sua sede a Stoccolma. Ford intendeva mostrare la superiorità morale del capitalismo americano che non era costretto favorire le guerre per realizzare profitti ma poteva legittimarsi moralmente e politicamente attraverso il coinvolgimento nei consumi delle masse popolari. Non su cannoni, ma su automobili e su oggetti di consumo era in grado di puntare l'industria americana.

Morgari fu colpito da questo capitalismo che sapeva coniugare le esigenze del profitto con quelle della socialità e della pace, e questa posizione di apertura ad un certo tipo di imprenditoria ebbe sviluppi nell'immediato dopoguerra con la collaborazione con Giovanni Agnelli e l'industriale tessile Franco Marinotti nel tentativo di stabilire rapporti economici con la Russia sovietica.

Ford aveva inviato il proprio segretario a Berna per scegliere una commissione svizzera per il parlamentino pacifista che avrebbe dovuto sedere in permanenza a Stoccolma. Fu a Berna che agli inizi del 1916 Morgari conobbe, tramite il vecchio internazionalista Enrico Bignami, il segretario di Ford. Invitato da quest'ultimo a far parte della commissione permanente della Missione, si consigliò con Grimm, Balabanoff, Serrati, Lazzari e Vella. Vi si oppone la sola Balabanoff, gli altri considerarono possibile l'opera di Morgari purché svolta a titolo personale, senza alcun mandato.

Nel resoconto del viaggio di Morgari, l'“Avanti!” insiste nel presentare la sua partecipazione alla Missione come un' iniziativa personale, escludendo ogni copertura diretta del partito, che ufficialmente non poteva essere data, basandosi la Missione Ford esclusivamente sul contributo finanziario di un capitalista. L'autonomia della iniziativa è riconosciuta dallo stesso Morgari in una lettera a Serrati del 15 giugno 1917: «Più volte mi scrivesti per invitarmi ad inviare articoli, notizie. Ma sai come la penso. Invadere l'Avanti! con quelle tesi - posto pure che tu lo concedessi - sarebbe un abusare dell'ospitalità politica, e un tentar di scuotere la discreta e sufficiente concordia odierna del partito. Scrivere senza avanzare tesi non vorrei. Notizie non ne ho; ne ho

186 Così l' “Avanti!” del 23.7.1917:"Nel marzo de1 1916 a Berna l'on. Morgari conobbe per il tramite del vecchio internazionalista Enrico Bignami il segretario del pacifista Enrico Ford ......Ford è un uomo speciale, entusiasta, ingenuo, che in un convegno con Wilson aveva dichiarato di essere disposto a dare tutto il suo patrimonio (750 milioni) per abbreviare d'un giorno la guerra. Aveva qualificato la guerra degli Stati Uniti contro il Messico come un episodio di pirateria capitalistica, usando, inconsapevolmente, un linguaggio quasi marxista. Invitato da una pacifista ungherese, si decide a fare una spedizione in Europa per determinare una pressione dei neutri per por fine alla guerra. Morgari pensa che sarà possibile dare un contenuto concreto a questa attività ideologica e sterile di per sé . Zimmerwald disponendo di sole tremila lire ha fatto un lavoro enorme: cosa potrebbe fare se disponesse di maggiori mezzi? ......Egli voleva proporre a Ford di assegnare 50 milioni per fare attraverso 10 quotidiani opera antibellica, per rafforzare le minoranze antiguerraiole, per spezzare l'anello di ferro che le polizie e le censure aveva stretto attorno a Zimmerwald...."

meno di te, che leggi o fai leggere giornali in più lingue »187 In una nota editoriale da attribuire a Serrati premessa al suo articolo Le due Vittorie apparso su “Scintilla” e poi sull’”Avanti!”, si legge: «Bella utopia, quella di ricercare nel mondo tutti gli uomini buoni e generosi e stringerli in un fascio di forze operanti contro la barbarie della guerra. Tanto bella questa utopia che quando noi abbiamo visto Morgari tutto preso da questo nobile sogno, non ci siamo sentiti di dissuaderlo e, pur dissentendo, lo abbiamo quasi incoraggiato a correre pellegrino di pace per il mondo alla ricerca degli uomini buoni......Mentre il pacifismo largamente umanitario di Morgari conduce logicamente alla cessazione o, quanto meno, alla attenuazione della lotta di classe, il nostro determinismo economico ci chiama invece ad accentuare l'azione indipendente ed autonoma del proletariato nei confronti di tutti i dominanti »188. Morgari quindi accettò l'offerta del segretario di Ford tacitamente confortato dal consenso dei compagni e nel maggio del 1916 intraprese il viaggio per Stoccolma. Della Missione Ford faceva parte anche Hermann Greulich, che il 17 maggio 1915 aveva presentato alla direzione del PSI il sig. Nathan, latore da parte di pacifisti americani di offerte finanziarie categoricamente rifiutate dallo stesso Morgari, a nome della direzione del partito, in un colloquio avuto a Bologna con il pacifista americano. Fu allora che la stampa antisocialista e interventista vide nelle offerte di Nathan al PSI il denaro tedesco e identificò in Greulich un agente del governo imperiale. Memore di tale polemica, Morgari invitò Greulich a dimettersi da membro della commissione permanente della Missione Ford, per fugare ogni possibile equivoco sulle reali intenzioni della Missione.

Il parlamentino costituito da Ford a Stoccolma rivestiva particolare importanza per Morgari, dopo i numerosi tentativi falliti; per questo, incurante del vespaio di critiche suscitato sulla stampa italiana, egli divenne uno dei maggiori attori della iniziativa pacifista. A suo giudizio il problema essenziale per il momento, al di fuori di ogni problematica rivoluzionaria, era quello esclusivo di salvare la pace, anche se tutto ciò comportava collaborazione con un capitalista. Ai delegati della Missione Ford Morgari presentò un Plan d'une grande campagne mondiale pour la paix prochaine et definitive, preventivamente discusso dal gruppo scandinavo della Missione il 24 settembre 1916 e presentato nel novembre a tutti i componenti. Stilato con la meticolosità che gli era propria, si articolava in 78 punti ed era basato sul contributo finanziario di cinquanta milioni di dollari da parte di Ford. Prevedeva una campagna mondiale per la pace, della durata di 5 anni, sostenuta da quotidiani, cartelloni, cinema, propagandisti distribuiti in tutti i paesi. Si articolava in tre fasi di sviluppo: 1) «Avant l'armistice», per avvicinarlo e influenzare i negoziati preparatori; 2) «Pendant l'armistice», per influire sulle condizioni del trattato di pace; 3) «Après la paix», per vincere quelle forze che si opponevano a una completa instaurazione dei diritti delle genti. Il piano prevedeva anche la fondazione di un quotidiano mondiale, pubblicato in tre lingue, e l’adozione di una lingua mondiale, l’Esperanto189 - di cui Morgari fu un discreto conoscitore e attivo divulgatore - per influire più facilmente e uniformemente sull’educazione dei popoli al pacifismo. Ma non se ne fece nulla: Ford in armonia con l'atteggiamento del governo americano che aveva deciso l'intervento a favore dell'Intesa, annunciò che non aveva più fiducia nella buona volontà di pace dei dirigenti tedeschi e sciolse definitivamente la sua missione il giorno della rottura dei rapporti diplomatici tra Germania e Stati Uniti (2 febbraio 1917).

Il viaggio di Morgari provocò sulla stampa sarcasmi e accuse di ingenuità se non di connivenza col nemico. Iniziò l' “Idea nazionale” il 13 ottobre 1916, seguita dal “Corriere della Sera” del 3 giugno 1917 che così commentava: ”L’importante è che l’affare si concluda subito per merito suo,

187 Istituto Gramsci, Archivio Serrati, viii/83-83 bis

188 O.Morgari Le due Vittorie ”Avanti!”, 6.11.1917

così il socialismo intasca in moneta elettorale il prezzo della mediazione. Sua Eccellenza Morgari ha l’anima di un viceplenipotenziario di Federico II o di Maria Teresa», e dal “Giornale d'Italia” del 7 luglio. Morgari esprimerà la sua delusione per il fallimento della Missione in un'intervista rilasciata alla stampa pochi giorni dopo il suo rientro in Italia. “L'Avanti!” non commentò: a giustificazione riportò una relazione letta a suo tempo da Morgari alla sezione di Torino. Il carattere borghese dell'iniziativa di Stoccolma è sottolineato dalle dure parole di critica che “Il Grido del Popolo” scrisse sull'iniziativa di Morgari: «Noi che abbiamo solo fiducia nella lotta di classe e non crediamo né alla efficacia, né alla sincerità di alcun pacifismo borghese, saremmo mortificatissimi di aver perso tre mesi di tempo in collaborazione con un qualsiasi Ford, presso qualsiasi governo, presso una qualsiasi conferenza che non fosse stata una conferenza di socialisti internazionalisti" .

Rimase tutto l'inverno in Svezia; fallita la Missione Ford, in primavera partì per l'Olanda. All'Aja si fermò per circa due mesi cercando di mettersi in contatto con Huysmans, per spingerlo a convocare un congresso per la pace, ma Huysmans fu irremovibile, e qui era stato raggiunto da un telegramma di Lazzari che lo pregava di raggiungere Pietrogrado per prendere contatti con i rivoluzionari russi e inviare notizie precise all' “Avanti!”.

Tentò di recarsi in Russia attraverso la Scandinavia, ma inutilmente, a causa delle restrizioni degli imbarchi per la guerra in corso. Ne diede notizia egli stesso in una lettera a Serrati, in data 15 giugno 1917, dall'Aja: «Rimpatrio. Dopo quasi due mesi di pratiche per ottenere il rimpatrio traverso il territorio anglofrancese, ottenutolo infine il 21 aprile, ricevo il telegramma di Lazzari incaricantemi di recarmi in Russia. Pensa quanto siffatto incarico mi lusingasse e corrispondesse al mio sentimento. Non profittai del permesso con pericolo di vederlo decadere e insieme a un compagno esiliato russo e ad un organizzatore che conosce i porti olandesi come tu l’Avanti!, feci ricerche per trovare imbarco alla volta della Scandinavia. Dopo oltre un mese di vane pratiche, rinuncio »190 . Così nel luglio 1917 rientrò in Italia.

Morgari non potè partecipare alla conferenza di Stoccolma. L'avvento al potere dei bolscevichi determinò il ritiro della delegazione russa dal comitato di Stoccolma e contribuì alla disgregazione del movimento zimmerwaldista, la cui crisi era già manifesta dalla metà del 1917. Morgari, costretto in Olanda dalla guerra, non partecipò ai lavori preparatori né alle sedute della terza conferenza di Zimmerwald.

21. Nel Paese in guerra (1917-18)

Rientrato in Italia a luglio da Stoccolma, ricevette con Romita e Serrati il 13 agosto 1917 alla Casa del popolo di Torino i rappresentanti dei Soviet di Pietrogrado che stavano compiendo un giro di propaganda noi paesi dell'Intesa. Si tenne anche un comizio affollatissimo, il primo dall'inizio della guerra.

189 Morgari scrisse l'opuscolo La più internazionale delle internazionali, pubblicato nel 1915, apparso a puntate anche sull' “Avanti!” dal 19 al 26 agosto. La «questione esperantista» suscitò polemiche vivaci in campo socialista, con Gramsci avverso alla diffusione di una lingua unica internazionale come mezzo per facilitare i rapporti internazionali e far comunicare gli operai dei diversi paesi. «Le spinte linguistiche avvengono solo dal basso in alto; i libri poco influiscono sui cambiamenti delle parlate: i libri fanno opera di regolarizzazione, di conservazione delle forme linguistiche più diffuse e più antiche». Di conseguenza i socialisti dovevano opporsi ai sostenitori dell'esperanto, preoccupandosi soltanto dell'«avvento del collettivismo e dell'Internazionale» i quali soltanto avrebbero potuto portare a un «conguagliamento delle lingue ario-europee».

Il 22 agosto scoppiò a Torino uno sciopero determinato dalla carenza di generi alimentari, che assunse subito carattere politico e si trasformò in aperta rivolta contro la guerra. La sera stessa la sezione di Torino telefonò a Morgari chiedendogli di precipitarsi a Torino. Dalla testimonianza resa al processo per i moti dell'agosto dal segretario della CdL Dalberto, egli si mise in contatto prima con Rigola a Biella che rifiutò di intervenire, poi si rivolse ai deputati Casalini in vacanza e Morgari a Roma, perchè rientrassero. II giorno dopo giungeva nella città trasformata in un campo di battaglia. Queste iniziative saranno considerate dal Tribunale Militare conferme dell’ipotesi che Morgari era uno dei promotori dell'insurrezione.

Nella notte tra sabato e domenica furono arrestati quasi tutti i membri delle commissioni esecutive della sezione socialista e della CdL, molti segretari di Leghe e Circoli e parecchi altri compagni tra i più noti, che decisero di affidare ai deputati socialisti torinesi (Casalini, De Giovanni, Morgari) il compito di funzionare da direttivo provvisorio. La sera del 23 con Romita e il corrispondente dell' “Avanti!” Leo Galetto ebbe un colloquio col prefetto, il quale assicurò poi Roma telefonicamente che Morgari “pare animato da buone intenzioni”. Il 26 presentarono per il visto al Comando del Corpo d'Armata, che aveva assunto la tutela dell'ordine pubblico, il seguente manifesto:"Lavoratori Torinesi: l'inefficienza del Governo Centrale, l'ignavia dell' Amministrazione cittadina, le provocazioni indicibili del potere politico locale, vi hanno fatto scattare unanimi in un movimento di sciopero generale, meraviglioso, forte, ammonitore ed esemplare. Scoppiato per la mancanza del pane, esso si è subito tramutato in una decisa manifestazione contro la guerra, che tanti lutti ha seminato e tanto sdegno suscita in ogni animo, in tutti i paesi. La forza brutale dello stato borghese, la incoscienza da parte dei proletari vestiti in divisa, la dolorosa impreparazione della nostra organizzazione ad una azione risolutiva, ci costringono a consigliarvi a tornare lunedì al lavoro. Non è consiglio di viltà quello che vi diamo, ma di saggezza e di forza. Noi intendiamo che

190 Questo il resto della lettera «Mi trovo 'imbottigliato' in Olanda. Quale italiano non posso traversare la Germania. Quale zimmerwaldiano e pacifista, non l'Inghilterra e la Francia. Una pratica avviata da questo nostro R° Ministro con i due ambasciatori dell'Aja attraverso Sonnino non ha dato ancora alcun frutto decisivo. Avrei potuto rimpatriare facendo un giro lungo, per la Spagna o... per New York ma dal 1° febbraio, cioè dall'inizio della guerra sottomarina rinforzata, nessun piroscafo per passeggeri è più partito dall'Olanda. La Germania pretende che non tocchino l'Inghilterra, questa pretende di visitarli in un porto inglese e le negoziazioni durano da due mesi, né se ne vede la fine. Resta libero - per modo di dire - un ' canale ' che dall'Olanda, teoricamente, conduce in Scandinavia: largo 20 miglia, con campo di mine inglese a destra e tedesco a sinistra, qualche cannonata per sbaglio e sottomarini tedeschi di guardia che, se visitano la nave che mi porta ... mi portano prigioniero in Germania. Non è tutto. Occorre essere accettato a bordo, e di regola i cittadini dei paesi belligeranti sono respinti. Ma supponiamo che io sia riuscito a sbarcare in Scandinavia. Mi si permetterà l'ingresso in Russia? Il governo provvisorio è ... interventista quanto l'inglese e il francese. Non si esigerà come di regola un visto italiano precedente? E questo mi sarà concesso? Vero è che io mi recherei laggiù tuttaltro che per consigliare una pace separata. Mai la chiedemmo in Italia. Noi vogliamo la pace tutta, non un miserabile ritirarsi d'uno dei combattenti che, tradendo gli alleati, mette al sicuro la pancia. Ma chi sa queste cose? Noi tutti passiamo per germanofili, quando non per venduti. (Aggiungi che una pace separata russo-tedesca porterebbe a questo, che gli Imperi Centrali, vittoriosi, accetterebbero più tardi l'invito che la borghesia russa loro farebbe di accorrere a salvarla dalla marea socialista. Ne conseguirebbe lo schiacciamento dei nostri, la sostituzione della repubblica con un nuovo tzarismo moderatamente costituzionale e una nuova Santa Alleanza, a parte poi il trionfo del militarismo e dell'imperialismo nelle loro forme più brute). In breve io raccomanderei di riprendere la proposta Wilson senza cessar di combattere. Tornando a noi tenterò questo viaggio...»

non solo questo grandioso movimento proletario torinese sia avvertimento serio e definitivo al governo monarchico borghese, perchè cessi questa strage inutile e inumana, ma indichi anche a tutti i proletari d'Italia ed all'Internazionale il dovere di una più intensa e definitiva preparazione. Torniamo al lavoro, o compagni, ma torniamo colla coscienza di aver compiuto un atto coraggioso degno e fecondo senza dedizioni e senza rinunzie. E’ stato sparso sangue proletario, ma non invano. Salutiamo le vittime con una promessa di prossima, preparata rivincita. Salutiamole al grido: "Viva lo sciopero generale. Viva la pace. Abbasso la guerra!"

E poichè il nulla osta fu negato, consegnano il 27 al generale Sartirana il testo di un nuovo manifesto assai più moderato e breve: “Ai lavoratori torinesi Compagni! Avendo accettato di rappresentare provvisoriamente le oprganizzazioni che per i noti eventi non possono regolarmente funzionare....crediamo nostro dovere avvertirvi che le nostre organizzazioni hanno delberato di invitarvi a riprendere il lavoro lunedì corrente. Mandiamo intanto un riverente saluto alle vittime cadute con quella fede che rimarrà intatta nei nostri cuori”.

Nel 1917 oltre alla rivolta di Torino si registrarono una più vigorosa opposizione alla guerra e anche alcuni atti di sabotaggio. La stampa borghese incominciò a parlare di bolscevizzazione e di «pericolo di un sabotamento proletario della guerra». Materiale di propaganda socialista internazionalista e pacifista veniva distribuito clandestinamente e talvolta giungeva anche fra le truppe al fronte grazie «alle cassette di munizioni, sul cui fondo si nascondono dei manifesti sediziosi» Le autorità militari erano anche molto preoccupate per la frequenza con cui andavano ripetendosi incidenti nei principali stabilimenti militari.

“noi siamo un partito che è costruito da trent’anni e da trent’anni combattiamo la guerra....c’è il patriottismo dei signori che crede possa la gloria e il benessere della patria realizzarsi solo nell’espansionismo e vi è il patriottismo della povera gente, il nostro, che cerca il benessere e la gloria della patria nello sviluppo interno delle risorse interne,. La guerra è il vero sabotaggio della guerra. Voi sabotate la razza; è la distruzione dei giovani, dei validi che imperversa”.191

Il 21 dicembre 1917 presentò alla Camera un Od.G : «La Camera invita il Governo a rivolgere alle potenze alleate, nemiche e neutrali una proposta di pace generale e di riordinamento della convivenza internazionale basata sull'abolizione del diritto di dichiarare Ia guerra, finora riconosciuto negli stati dal costume politico e dalle convenzioni interne». Dopo il suo discorso alla Camera, come già nel 1916, Morgari fu sommerso di lettere, in parte anche di lode, soprattutto da militari al fronte o vedove di guerra. Anche Gramsci192 e Serrati scrissero a Morgari per congratularsi con lui. Discorso che passa per "vergognosamete leninista" e contro il quale protesteranno numerosi professori, da Mosca a Loria. Nell'esaltazione della rivoluzione russa “che innalza la più grande bandiera che abbia mai sventolato sulla faccia della terra” “Lenin non tiene abbastanza conto della difficoltà di trasformare bruscamente una società individualista in una collettivista, sebbene tale trasformazione sia facilitata in Russia dal fondo mistico della razza slava e ancor più dal fatto che quel paese è uscito da poco dal comunismo primitivo della terra ....Lenin ha fretta, vuole trasformare il suo Paese in una enorme società cooperativa di produzione e di consumo...”.

Il 1918 iniziò con una ventata di reazione antisocialista. Il 24 gennaio il governo ordinò l'arresto del segretario politico del P.S.I. Lazzari e del vice-segretario Bombacci, per il loro atteggiamento «in

191 “Avanti!”, 10.11.1917

192 A nome della sezione socialista torinese, in una lettera datata Torino 29.12.1917

evidente contrasto con le necessità della difesa nazionale». Già nel 1915 Lazzari aveva chiesto a Morgari di sostituirlo qualora fosse stato arrestato. Lo sostituì ma tenne la carica per poco: il 18 giugno dello stesso anno diede le dimissioni. Era anche segretario del gruppo parlamentare e il dissidio fra questo e la direzione rendeva difficile la sua posizione. Come al solito riassunse il suo pensiero in una circolare.193

22. La Commissione di informazione e di azione internazionale

Circa un anno dopo il suo rientro dal Nord, Morgari riprese la sua attività, come incaricato del partito all'estero, partecipando al congresso del Partito socialista francese. Nella riunione del 30 settembre 1918 la direzione del PSI aveva deliberato che Morgari e Alessandri portassero il saluto e la solidarietà dei socialisti italiani al congresso del Partito socialista francese, che si tenne a Parigi dal 6 al 9 ottobre 1918.

In tale occasione, approfittando della presenza di molti delegati stranieri e della vittoria al Congresso dei "minoritari" fu composta una «Commissione socialista di informazioni e di azione internazionale». La Commissione, dopo alcune sedute preparatorie tenute da Morgari con il bolscevico Kemerer e con altri delegati francesi e serbi nelle giornate dell'11-13 ottobre, venne ufficialmente approvata il 14 nel corso di una riunione negli uffici del Populaire, cui parteciparono il segretario Frossard, Longuet, Loriot, Paul Faure, Rappoport, ecc; gli italiani Morgari, Alessandri e Rubino, segretario della sezione socialista italiana in Parigi, oltre a russi, serbi e greci

La nuova Commissione aveva il compito di creare un centro d'informazione e di azione a disposizione delle correnti di sinistra (internazionalisti, intransigenti, zimmerwaldiani) dei paesi dell'Europa occidentale e dell'America, in considerazione del fatto che «la censura dell'Intesa era riuscita ad innalzare un'insuperabile 'muraglia cinese' fra l'Europa occidentale (Italia, Francia, Inghilterra, Spagna, Portogallo) e il rimanente d'Europa (Imperi Centrali, Russia, Svizzera, Balcani, Scandinavia), muraglia che durerà ancora a lungo per impedire il propagarsi del bolscevismo dall'Est d'Europa all'ovest».

La Commissione intendeva inoltre sostituirsi alla Commissione socialista internazionale costituita a Zimmerwald - trasferitasi, nel frattempo, dalla Svizzera a Stoccolma e forzatamente inefficiente - e al Bureau della II Internazionale «le cui funzioni, rispettose degli statuti e di tutte le correnti che si agitano nel socialismo mondiale, non potevano essere che neutrali, e limitate a convocare

193 “Mi nominaste segretario del partito nello scorso febbraio per plausibili motivi:

1.Motivi tecnici: occorreva sostituire il posto lasciato vacante da Lazzari con persona sperimentata, ed io ero in quanto segretario del gruppo Parlamentare da anni e come tale membro della direzione de! Partito pure da anni;

2.Motivi politici, perchè la situazione faceva credere che una sola forma d’azione fosse rimasta al partito, quella parlamentare, cosicché appariva utile che i due segretariati fossero, fin quando quella situazione durava, riuniti nella stessa persona, ugualmente affiatata con i due gruppi, a loro volta in quell’epoca sufficientemente d’accordo nell’unico programma di far fronte alla guerra e alla reazione. L’unicità del segretariato permetteva alla Direzione di trasmettere nel Gruppo, più direttamente ed efficacemente il proprio consiglio di energica tenace ed intransigente battaglia .

imparzialmente i diversi partiti appena il Congresso internazionale sarà possibile».194

A Parigi patrocinò la proposta di convocare una conferenza zimmerwaldista a Roma, da contrapporre alla conferenza interalleata di Londra alla quale la direzione del partito socialista italiano aveva rifiutato di inviare propri rappresentanti. Morgari interpellò, a tal proposito, alcuni membri della nuova direzione (ex minoritaria) del Partito socialista francese e della nuova Commissione internazionale (tra i quali Longuet, Faure, Frossard) ma questi opposero un netto rifiuto e gli mossero il rimprovero di non aver partecipato alla conferenza di Londra, dove i socialisti italiani neutrali avrebbero potuto collaborare con i “minoritari”.

23. La Comune di Budapest

Dopo la sconfitta degli imperi centrali e l'abdicazione di Carlo d'Asburgo, il presidente provvisorio

3. Motivi di sicurezza, perché la minaccia di scioglimento e di arresto ne! partito e nella direzione suggerivano l'espediente di garantire la continuazione di vita di quegli organismi con l'usbergo della medaglia parlamentare, eleggendo a segretario un deputato e nominando un comitato di nove deputati a prendere le redini del partito nel caso che la direzione fosse arrestata. Senonché i rapporti tra il gruppo e la Direzione dopo d'allora mutarono, la mia posizione di segretario unico divenne difficile e discutibile, specie a proposito di due vertenze: quella per la partecipazione alle Commissioni governative pel dopo guerra e quella per una tattica parlamentare per volgere verso la pace nella qua!e io stesso non mi trovai d'accordo con la direzione. Come potevo continuare ad essere il portavoce della direzione nel gruppo o anche solo il trait-d'union, ugualmente dai due lati benvisto, se in queste questioni di capitale importanza parteggiavo per il gruppo direzionale? Avrei dovuto già allora dimettermi da segretario, ma me ne distolsero varie ragioni: l'imminenza del congresso, l'arresto di Serrati, e quello probabile di Bombacci. La neutralità dei rapporti personali il timore che a molti le mie dimissioni apparissero come un ritirarsi da una carica pericolosa, l'inizio di un preoccupante spassionamento, la coscienza di contribuire ad attutire i contrasti in un periodo in cui tutti auspicano che il partito resti uno». Dichiarato che la situazione era tale da dimostrare l’impossibilità di un segretario unico, proseguì: mi era parso da principio che lasci voi in un conflitto nel quale sono d'accordo con voi e non col gruppo, ma già nella mia prima lettera ho spiegato che non mi sarei sentito l'animo di sostenere il pensiero della direzione fino a scindere il gruppo e dimettermi anche da suo segretario se il voto non fosse stato quello che fu. Se prima non mi fossi liberato dal sospetto che su tanto mio attaccamento alla direzione influisse lo stipendio e il bisogno di assicurarmi le spalle nel collegio..”. In altro parole sono venute a cessare le condizioni che resero possibile la mia nomina nello scorso febbraio. Anche il pericolo è cessato, non per le singole persone ma per gli eventi. Resta la difficoltà di sostituirmi nel posto, ma si può risolvere. In primo luogo io mi sento inferiore al duplice mandato per esaurimento, stanchezza irrimediabili, ormai lo vedo. Inoltre Bombacci ha dato prova di possedere tutte le doti di esperienza ingegno e carattere necessarie per degnamente tenere le redini di un partito di proletari. Si risparmierebbe spesa e si otterrebbe maggiore e più snella produzione affiancando il Bombacci con un giovane socialista intelligente e svelto, messo a sua disposizione... Se poi Bombacci fosse arrestato la Direzione esaminerebbe la nuova situazione nata»

194 In alcuni suoi appunti scrisse al riguardo: "Questa commissione fu costituita per principale spinta dello scrivente… dopo riunioni preparatorie tenute nei giorni 11-12 e 13 ottobre tra Io scrivenite, Kemerer e 3-4 francesi e serbi, il 14 ottobre la Commissione veniva costituita in un'adunanza negli uffici del Populair.

dell'Ungheria Karolyi, di fronte alle crescenti difficoltà e nella speranza di attenuare l’ostilità delle potenze vincitrici, aveva rassegnato le dimissioni affidando il potere al partito socialista nato dalla fusione dei socialdemocratici col piccolo partito comunista fondato da Bela Kun. Così iI 21 marzo del 1919 veniva proclamata a Budapest la Repubblica Ungherese dei Consigli.

In effetti l'Intesa mandò a Budapest un suo rappresentante col compito di trattare l'accordo di pace. Fu un successo per il governo dei Consigli non solo in Ungheria (dove l'opinione pubblica lo appoggiò in uno spirito di solidarietà nazionale) ma anche in Europa, alimentando l'interesse intorno alla seconda rivoluzione socialista, attuata nel cuore dell’Europa.

Il successo e i consensi dei primi giorni di vita permisero al governo rivoluzionario di lavorare per l'edificazione anche pratica del nuovo ordinamento sociale, economico e produttivo del paese, esprimendosi con misure più massimaliste di quelle attuate in Russia: il 26 marzo fu decretata la nazionalizzazione di tutti gli impianti industriali, minerari e di trasporto con più di venti operai, di tutti i beni immobili e gli istituti finanziari; il 3 aprile si dichiarò il passaggio di tutte le proprietà fondiarie a «proprietà dello Stato proletario senza alcuna indennità di riscatto». Quest'atto, sebbene in linea con la dottrina marxista e soprattutto dettato dalla necessità di garantire la continuità dei rifornimenti alimentari alla capitale e al fronte, rappresentava una delusione per quei contadini poveri che avevano sperato nella ridistribuzione fondiaria e nel possesso della terra. Il sistema delle «cooperative di produzione» , spesso amministrate dagli ex proprietari, non fu di fatto accettato.

Frattanto l'Intesa favorì la creazione di governi controrivoluzionari e aiutò gli attacchi militari della Romania e Cecoslovacchia. La sorte della repubblica dei Consigli sembrava già segnata quando alla metà di aprile le truppe romene iniziano la loro offensiva militare se non fosse stato per la mobilitazione popolare messa in atto dal governo rivoluzionario con la creazione di un' Armata rossa a cui affluirono per spirito patriottico anche ex ufficiali ed elementi della “intellighenzia”.

I mesi di maggio e di giugno gli ungheresi recuperarono le posizioni perdute aprendo possibilità per la sopravvivenza della repubblica dei Consigli che attendeva a brevissima scadenza lo scoppio di una rivoluzione in tutto il bacino centro-europeo confortata dalle notizie provenienti dalla Baviera e dalla ritenuta imminente saldatura delle truppe ungheresi con l'Armata rossa sul fronte ucraino.

L'avvenimento suscitò viva impressione sulle masse popolari: la rivoluzione sembrava estendersi a macchia d'olio In Italia, la Direzione del partito socialista il 19 marzo 1919 aveva votato un ordine del giorno di adesione all’Internazionale Comunista; ora, dopo le novità provenienti dall'Ungheria e dalla Baviera, il PSI nel manifesto del Primo Maggio rivolgeva un appello «La classe lavoratrice dovrà infine affermare che è ormai animata da chiara coscienza della propria forza e dei propri destini, che è pronta a raccogliere e seguire gli insegnamenti della Russia, dell'Ungheria, della Baviera dove il potere politico ed economico è raccolto soltanto nelle mani di chi produce, di chi lavora».

In Italia però le notizie giungevano confuse e allarmanti, la stampa socialista era costretta ora ad accogliere ora a smentire le più clamorose invenzioni giornalistiche come quella della occupazione

Criteri: Attivita modesta ma immediatamente iniziata. La Commissione sarà composta di personalità e non di delegati ufficiali per risparmiare tempo ma sopratutto per non mettere nell'imbarazzo certi partiti (ad es. Il francese, nonostante la recente vittoria dei minoritari ). Si chiederanno successivamente le ratifiche dei diversi partiti. Roma 8 gennaio 1919.

della capitale o della morte di Bela Kun.195

L’incertezza delle informazioni, l’esigenza di una presa di contatto diretta, il desiderio di manifestare la solidarietà dei socialisti italiani stanno alle origini della missione affidata dalla Direzione del Partito a Morgari che si trovava allora a Monaco di Baviera; vi si era recato dopo aver inutilmente tentato di raggiungere Pietroburgo da Zurigo e da lì il 1. aprile aveva inviato un messaggio a Mosca nel quale esprimeva la piena adesione del PSI all'Internazionale Comunista e la solidarietà dei socialisti italiani al governo dei Soviet.196

Il 19 maggio giungeva 197 a Budapest pieno di curiosità e di interesse, disponibile all’entusiasmo, ma insieme ansioso di registrare obiettivamente sulla base d’un rigoroso metodo «scientifico» e «sperimentale» quanto avrebbe visto. La tattica consistente «nel registrare colle luci le ombre, le lamentele, le deficienze, gli errori», spiegandone beninteso le cause, equivaleva ai suoi occhi «ad aprire una scuola pratica ad uso dei proletariati che non hanno ancora fatto la loro rivoluzione. Frequentando tale scuola, conoscendo ogni passo del calvario, salito dai fratelli che li precedettero nella fatica gloriosa, apprenderanno ad imitare le cose buone, a prevedere difficoltà, a prepararsi a vincerle e a non ripetere gli errori, almeno nella misura che le circostanze permetteranno»

Il 25 maggio l' “Avanti!” con un servizio da Budapest dava notizia dell'arrivo del Morgari, della sua visita al più grande complesso industriale della capitale, la Landmaschinen Fabrik, del suo incontro con le truppe combattenti sul fronte nonché dei colloqui da lui avuti con Bela Kun, con Vilmos Bòhm e con Gyula Alpàry.

La corrispondenza, negando le esagerazioni delle agenzie borghesi (la morte di Kun, l’occupazione di Budapest, lo sciopero generale, la fame, il terrore), tendeva a dare un quadro ottimistico della situazione: «Ieri visitammo con Morgari il fronte a nord-est di Budapest, arrivando a un chilometro di distanza dalle posizioni ceche di Miskolcz, ove strisciammo a terra per osservare le posizioni sotto il fischio delle cannonate. Miskolcz, fu presa nella notte stessa dagli ungheresi, che fecero trecento prigionieri cechi e si impossessarono di trenta mitragliatrici... Dovunque visitammo truppe riscontrammo grande entusiasmo. Tutti marciavano compatti, uniti, sventolando bandiere rosse,cantando la Marsigliese e l’Internazionale, adornando cannoni, automobili e treni con simboli rivoluzionari e accogliendo la nostra automobile con grida di evviva all’Internazionale...Ad Harszay venne assalito dai soldati l’automobile dello Stato maggiore, improvvisando una dimostrazione di simpatia. Un soldato parlò a nome del suo reggimento, pregando i capi dell’esercito di salutare in loro nome il proletariato rimasto nelle fabbriche, nelle officine e nei campi, raccomandandogli di lavorare tranquillamente all’interno, che essi, proletari in

195 Il 5 maggio l' “Avanti!” pubblicava una nota d'agenzia col titolo:«La fine del Governo sovietista ungherese?». Il 9 maggio Genosse (Gustavo Sacerdote) informava sulle trattative di armistizio con la Romania e smentiva recisamente l'occupazione di Budapest: «La notizia, evidentemente, è falsa. Noi stiamo ancora in diretta comunicazione con Budapest ... L'esercito rosso continua a battersi con accanimento».

196 La breve lettera di solidarietà “scritta su piccoli ritagli di carta come si faceva ai tempi zaristi” fu citata da Lenin in un discorso tenuto a Mosca il 17 aprile: Lenin Sul movimento operaio italiano, pag. 109

197 Fra Vienna e Budapest. La rivoluzione ungherese resiste, “Avanti!”, 20.5.1919.

divisa, faranno il proprio dovere alle frontiere» 198.

A Csòt Morgari si recò il 7 luglio per svolgere un’inchiesta sull’allontanamento della compagnia italiana del 2. Battaglione balcanico. I 71 volontari italiani dell’esercito rosso erano stati accusati dal comandante di depredazioni e internati a Csòt. Morgari, nella relazione inviata al Commissario del Popolo per la guerra, affermò infondate le accuse rivolte ai volontari italiani e ne chiese l’immediata liberazione. Fece visita anche alla missione militare italiana, l’unica dell’Intesa rimasta a Budapest, comandata dal maggiore Romanelli199.

Questi giunse a chiedere i “buoni uffici” di Morgari per convincere Bela Kun a cedere il potere, sotto la garanzia dell’Italia, in considerazione della tragica situazione in cui versava l’Ungheria, in guerra con quasi tutti i suoi vicini e in previsione di un probabile intervento dell’Intesa. Sembrò, in un primo momento, che Kun si manifestasse disposto ad accedere alle proposte del Romanelli. Ne dà notizia un telegramma, spedito per corriere diplomatico il 26 maggio: «Delegazione di Budapest informa che l’on. Morgari ora Budapest per seguire movimento bolscevico, avvisa nostra Missione essere Bela Kun disposto cedere potere attuale e chiedere intervento Italia per garantire ordine. Bela Kun domanda come Italia ricostituirebbe potere in Ungheria e se intervento Italia a Budapest porterebbe conseguenza intervento altre truppe Intesa......se si potesse in qualche modo profittare a vantaggio del nostro paese di questo... e prepararci ad una seria influenza nostra per dopo, sarebbe certamente opportuno non perdere tempo»

Ma dopo il 24 giugno, in seguito all'opera di difensore dei contro-rivoluzionari da Romanelli svolta, Morgari ruppe le relazioni con la Missione italiana tanto da rifiutare nei momenti della crisi della «Comune» l'ospitalità e la protezione offertagli. Una polemica si sviluppò successivamente: il “Corriere della Sera”, in polemica con l' “Avanti!” che aveva attaccato la Missione italiana accusandola di correità con i controrivoluzionari, aveva scritto che Morgari doveva la sua liberazione dai soldati bianchi a Romanelli, circostanza smentita dall'interessato. .

In una lettera a Kun scritta all'indomani del tentativo controrivoluzionario del 24 giugno quando alcuni militari dell'Accademia Ludovica cannoneggiarono la sede del governo, consigliava di non ricorrere alla pena di morte sia per non dare motivo alla Francia, cui era stato affidato il compito di polizia dal trattato di armistizio, di intervenire, sia perché metodi feroci di repressione avrebbero influito “sul buon nome della rivoluzione proletaria in occidente”, e soprattutto perchè «...se anche fosse vero che col rinunciare al Terrore veniste incontro al voto dei compagni di destra, questa sarebbe una ragione in più per rinunciarvi, perché così cementereste quell'unione fra le due correnti del proletariato ungherese che è tanto necessaria e che è una delle ragioni di superiorità della rivoluzione ungherese sulla russa ...L'obiezione più grave pare questa, che la controrivoluzione del 24-25 corr. sia stato il frutto di un regime dittatoriale non severo” . Concludeva suggerendo che “imprigionare molti ribelli e cospiratori borghesi equivale, come efficacia, ad ucciderne alcuni. Minore l'intimidazione, ma in compenso maggiore la paralizzazione.

198 «Le menzogne della borghesia», siglato I. S., l'Avanti!', 26.5.1919

199 G.Romanelli,”Nell’Ungheria di Bela Kun e durante l’occupazione militare romena”. Udine, 1964, p. 69-73.; nuova edizione dell'Ufficio Storico Militare, Roma, 2002. “…sforzandoci di essere quanto più possibile obiettivi ci avvenne che pur vedendo i fatti da un punto di vista completamente opposto sovente ci trovavamo d’accordo nelle deduzioni…la mia impressione [è] che egli perseguiva una finalità per convinzione, in buona fede ed onestamente, cercando o credendo di giovare alle classi diseredate senza nascosti ed inconfessati scopi di lucro od ambizione personale…”

Non crudeltà, non vendetta, ma difesa recando il minor dolore possibile.”

Davanti all'ultimatum di Clemenceau, che intima agli ungheresi di cessare le operazioni militari contro i cechi e i romeni, Kun dovette cedere e far ritirare le truppe schierate su posizioni avanzate. Questo gettò lo scompiglio nelle file dell'esercito rosso ungherese, facendone precipitare il morale e la compattezza.

Il 1° agosto, mentre le truppe romene si apprestano a marciare su Budapest, con la capitale accerchiata e con una controrivoluzione sempre più attiva all'interno, il Consiglio del governo rivoluzionario si dimette, e il 18 novembre entrava in Budapest l'ammiraglio Horty instaurando un regime controrivoluzionario.200 Entrati i romeni a Budapest tra il 7 e l'8 agosto, dopo aver assistito «ad una atroce caccia all'uomo», era stato arrestato. Liberato, poi di nuovo arrestato altre due volte, infine definitivamente liberato aveva lasciato l'Ungheria il 15 agosto.

Dopo due mesi trascorsi a Vienna, il 10 ottobre aveva ripreso la via dell'Italia. Ora ci si attendeva che parlasse, che raccontasse quel che aveva visto. Ma preferiva tacere, anche a costo di lasciar nascere supposizioni. Se prendeva la parola in pubblico, quanto all'Ungheria si manteneva sulle generali e sorvolava sui punti più controversi 201

Da quanto possiamo desumere dalla lettera “ai Cari compagni della direzione del partito”, l'esperimento comunista ungherese deluse fortemente Morgari, soprattutto perché la fine era stata causata non tanto dalle forze esterne, quanto «dallo stesso voltafaccia della maggior parte dei lavoratori». La lettera è un documento che ha un notevole valore politico e biografico. Dopo aver premesso che «se il viaggio compiuto per vostro incarico e l'aver visto vivere e tragicamente perire ben due Repubbliche dei Consigli, hanno modificato e temperato le mie antiche prevenzioni contro la tattica bolscevica, non le hanno però annullate», riferendosi esplicitamente alle possibilità rivoluzionarie che alcuni socialisti itaiani ritenevano esistenti in Italia e in altri paesi d'Europa nel 1919

Morgari scriveva: «Non ho fede nelle energie insurrezionali del proletariato in Italia e nel resto d'Europa, la Russia esclusa, specie nei paesi usciti vittoriosi dalla guerra, nel presente stato storico, né d'altra parte credo che la situazione politico-economica dei paesi vittoriosi è catastrofica da condurre gli istituti borghesi, a cominciare da quello militare, ad uno sfasciamento che dia il potere al proletariato non per la forza di questo, ma per il crollo avversario». Per quanto concerneva specificamente l'Italia, egli riteneva pertanto che il PSI «dovrebbe guardare la verità nel bianco degli occhi; riconoscere che esso non è ancora in grado di rovesciare le istituzioni capitalistiche».

Le perplessità che la rivoluzione ungherese poteva suscitare nella base socialista erano sui metodi che avevano caratterizzato la gestione del potere nel periodo di dittatura del proletariato. Per le tradizioni pacifiste e non violente del socialismo italiano, l'argomento aveva una sua indubbia

200 Pezzi di colore ricavati da appunti scritti nel mese di maggio furono pubblicati dall’ “Avanti!” il 4,5,10,15 agosto. Gli appunti autografi del ”Diario ungherese” (in ACS, Mostra Rivoluzione Fascista, b. 130) vanno dal 10 giugno al 15 agosto ed alcuni estratti sono stati pubblicati da G. Calciano, Appunti e documenti sull’attività internazionale di Oddino Morgari, “Rivista storica del socialismo”, 1967, n. 32

201 Resoconto del comizio tenuto alla Casa del popolo nell'«Avanti!» edizione torinese, 19.11.1919, “Morgari parla in Borgo Vittoria”

consistenza e non lo si poteva accantonare tanto agevolmente. Il «socialismo» non poteva essere costruito col «terrore»202: naturalmente si dava certo che le descrizioni propalate dalla stampa borghese peccassero per eccesso e fossero viziate dalla precisa volontà di stravolgere fatti e situazioni per spirito di parte. Ma il problema diventava allora sapere che cosa era veramente successo, ricorrendo a testimonianze obiettive e sincere.

Fu solo il 22 dicembre, davanti a 72 deputati socialisti e a qualche altro compagno fra cui Serrati, che finalmente ruppe il silenzio tenendo una lunga relazione di quel che aveva veduto e appreso in Ungheria. Riferendone due giorni dopo l'«Avanti!»203 negò che le conclusioni fossero cosi disastrose per i massimalisti da consigliare una sorta di censura. Morgari, al contrario, era stato invitato a stendere una relazione scritta che sarebbe stata certamente diffusa «a meno che non vi si oppongano ragioni di opportunità politica». Certo aveva sottolineato anche gli aspetti negativi e il suggerimento che si poteva ricavare da quanto aveva detto era «la necessità d'una più stretta intesa, onde gli avvenimenti non trovino impreparato il partito, per cui esso sia sorpassato e sommerso da altri elementi, i quali, mossi solo da interessi o personali o di gruppo, non vedendo le supreme necessità del movimento d'insieme, potrebbero compromettere cogli eccessi, il successo di quella rivoluzione sociale, che è la finalità stessa del Partito socialista» .

Ma intanto altre versioni attribuivano al rapporto Morgari una intonazione ben più dura. A stare al «Messaggero» Morgari avrebbe addirittura dichiarato che «la dittatura proletaria era passata come una rapida devastazione, che l'attività dei comunisti di Ungheria era stata distruttiva e la produzione nelle fabbriche era diminuita dal cinquanta al settantacinque per cento», che i contadini s'erano rifiutati di approvvigionare le città, che la burocrazia, «nonostante il regime comunista, era estremamente corrotta», che i funzionari bolscevichi «si arricchivano, compiendo, in nome del governo, requisizioni a proprio vantaggio», che si erano commessi «atti di brutalità» senza risparmiare «atti atroci di repressione»

All'assemblea del 17 febbraio 1920 della Sezione socialista milanese, Serrati sostenne che «noi non abbiamo alcuna ragione per tenere nascosto quanto è avvenuto in Ungheria La rivoluzione è quello che è, non si fa allegramente, è irta di difficoltà, di incognite, di aspri doveri». Proprio per questo si poteva analizzare senza paura la rivoluzione ungherese, ben sapendo che al di là degli errori o dei difetti essa sarebbe rimasta «una grande e gloriosa pagina di storia dell'Internazionale comunista»

Ma Morgari preferiva tacere. E invano nel giugno 1920 la segreteria della SFIO sollecitava l'invio d'una copia della sua ormai mitica relazione. La richiesta appariva anzi come conferma che aveva fatto bene a non pubblicar nulla. Gli incitamenti e le esortazioni a farlo erano state numeroso, «ma - eccettuato per parte di Serrati - sempre da destri o da avversari». Ora la richiesta dei socialisti francesi aveva un analogo retroterra. «Vuol dire che si cercano armi contro il massimalismo dei Loriot ecc». Morgari non voleva servire da arma di scissione. «Ora, né io potrei scrivere in un

202 Il deputato socialista Osvaldo Maffioli si trovava in Ungheria allo scoppio della rivoluzione. Nel giugno aveva avuto un colloquio con Kun, cui non aveva risparmiato riserve sull'esperimento di dittatura del proletariato realizzato in Ungheria. Il colloquio fu pubblicato con grande rilievo sul «Secolo» del 22 giugno, a firma del giornalista Luciano Magrini, al quale Maffioli aveva fatto delle confidenze. La pubblicità data da tutta la stampa provocò le ire disciplinari dell'«Avanti!», alle quali Maffioli replicò il 27 luglio invocando il giudizio della sezione milanese e rinunciando alle cariche che ricopriva. Morgari era presente al colloquio

203 “Avanti!”, 24 .12.1919, “Gli insegnamenti di una rivoluzione”.

rapporto la metà solamente delle cose vedute, né potrei scriverle tutte, ciò che varrebbe fornire argomenti taglienti ai nemici del Partito e alla frazione di esso che non è quella alla cui fiducia dovetti l'incarico del viaggio in Ungheria».

Ma non era solo questo il motivo di tanta resistenza. Al di là del dissenso, che pure aveva preso forma, c'era un impegno di solidarietà al quale non si poteva mancare nei confronti di «quei compagni di fede, ora tutti dispersi per il mondo o tragicamente periti» che avevano generosamente dato vita all'esperimento d'Ungheria. Anche per questo il silenzio rimaneva, nonostante tutto, la migliore consegna.

24. I viaggi in Russia e la sua ricostruzione conomica

Nel luglio 1922 era stato varato il «Comitato per le iniziative italo-russe», costituito tra alcuni dei maggiori rappresentanti della grande industria ed esponenti autorevoli del socialismo riformista, cui avevano dato la loro adesione tecnici come Alberto Beneduce.

Con Turati, Buozzi e D'Aragona si erano impegnati anche Baldesi. Morgari, Colombino, la Cgl e i direttivi di federazioni operaie e di leghe cooperative che tentarono di stabilire un terreno di intesa con gli industriali per contrastarne l’allineamento al movimento fascista e per ricostituire il blocco di interessi del periodo giolittiano.

La carta era quella di favorire un'apertura alla penetrazione commerciale italiana sul mercato sovietico che consentisse di alleviare il blocco delle esportazioni ma anche di alimentare canali di rifornimento di materie prime svincolati dal monopolio dell'Inghilterra e degli Stati Uniti.

In complesso, una grossa rappresentanza degli interessi del settore meccanico, della navigazione, tessile e chimico dell’Italia settentrionale aveva raccolto l’invito. Mai come in quel momento era parsa consistente la prospettiva di una convergenza reciproca fra industriali e sindacati. Ma questa politica aveva degli antefatti: i riformisti avevano puntato le loro carte su Agnelli come l'unico in grado di trascinare altri esponenti economici e di avere l'appoggio di Giolitti e che soprattutto era andato inseguendo l'obiettivo di ripristinare i rapporti commerciali con la Russia fin dal 1920 quando emissari della Fiat avevano compiuti dei sondaggi con Krassin e altri agenti sovietici in Europa. «Per Buozzi Agnelli è la maggior forza che si potesse avere con noi. È sicuramente il grande industriale lungimirante capace di procedere per tre-quattro anni per raggiungere uno scopo. Anche se collocasse in Russia migliaia di auto e camion senza un centesimo di profitto, avrebbe convenienza ad alimentare l'industria. È un esportatore, unico a vendere nel mondo, ad essere il più grande fabbricante di macchine»204

Finita la fase ascendente dell'ondata rivoluzionaria in Europa, il governo sovietico aveva espresso agli ambienti economici occidentali la sua disponibilità per una ripresa delle esportazioni, secondo lo spirito della Nep di recente inaugurata.

Morgari all'arrivo nel marzo 1921 di una missione commerciale russa conclusasi con la sottoscrizione di un trattato commerciale provvisorio aveva ripreso le trattative per conto della Fiat e poi, con il presidente del Consorzio operai metallurgici Colombino, era stato a Genova, a sondare il terreno presso la delegazione sovietica alla Conferenza apertasi il 19 aprile.

Le forti riserve sollevate da destra e l'intervento del ministro degli Esteri in Consiglio dei ministri

204 Nota del 22.2.1921, Fondo Morgari, busta 3413, in ACS

erano valsi a rimettere in discussione la ratifica del trattato con la Russia già sottoscritto a Genova il 24 maggio che comportava il riconoscimento dello stato sovietico cosicchè nell’estate si era creato un vuoto politico, sebbene i rapporti tra la società italiana e il mondo russo si fossero infittiti: l’Italia aveva risposto con grande slancio all’«appello contro la fame» lanciato da Maksim Gor’kij per combattere gli effetti della terribile carestia che alla fine del 1921 aveva colpito molte regioni della Russia. Il partito socialista aveva costituito il Comitato pro-Russia che all’inizio del 1922 aveva inviato nel Mar Nero l’«Amilcare Cipriani», con un carico di viveri e di medicinali.

Paradossalmente il rifiuto al riconoscimento della Russia finiva per rivalutare la presenza di Morgari e dei suoi compagni nel Comitato perchè rimanevano valide le prospettive di natura economica e commerciale. Proprio su questa base il presidente della Fiat aveva ritenuto opportuno mantenere in vita il Comitato.

In queste condizioni però l'attività dei rappresentanti socialisti era destinata a scadere in un'opera di pura e semplice mediazione commerciale in un momento in cui era mutato profondamente il clima del Paese e si era andato chiarendo il carattere illusorio di prospettive di collaborazione fra costituzionali e riformisti, cui non era servita nemmeno la scissione del partito socialista.

Morgari nel corso dell’estate aveva intessuto una fitta rete di corrispondenza con industriali, cooperatori, autorità governative, per far decollare un progetto di colonizzazione agricola che espose al primo congresso italo-orientale e coloniale, che si tenne a Trieste dal 12 al 15 settembre 1922, gettando un ponte fra la politica dei «grandi» e dei «piccoli» affari, invitando a considerare il commercio italo-russo in funzione dell’importazione delle materie prime. Egli si riferì alla Russia come all’unico paese che potesse salvare l’Italia dall’isolamento e dall’accerchiamento economico e si propose per andare in Russia come ambasciatore di questa politica.

La sua perseveranza verrà premiata: alla fine del 1922. Agnelli e l'industriale milanese Marinotti 205 lo inviarono a Mosca, con l’incarico di essere il loro osservatore commerciale; anche se non era ciò che Morgari aveva desiderato, qualora la Fiat avesse deciso di impegnarsi seriamente sul mercato russo si sarebbe trattato pur sempre di un contributo alla «lotta contro il monopolio delle grandi potenze industriali».

Egisto Pavirani, cooperatore e tecnico agrario socialista lo aveva seguito per studiare la realizzazione di un progetto di colonizzazione italiana nella Russia meridionale. "Mussolini in persona si espresse favorevolmente all’impresa col Baldini" scrisse Morgari206 a Pavirani prima che questi, insieme a un compagno comunista delegato dal PcdI si recasse nella Russia meridionale per ispezionare la concessione.

In sostanza, dileguatosi l'ottimismo iniziale circa un proficuo intervento in Russia di cooperative agricole socialiste, del lungo lavoro portato avanti da Buozzi, D'Aragona e Turati, rimarrà in piedi semplicemente il rapporto personale stabilito da Morgari con Agnelli, ma senza alcuna concreta rispondenza alle volenterose aperture verso la grande industria per un rovesciamento dei suoi orientamenti politici di fondo.

Le sue valutazioni sul regime sovietico variarono nel corso deli anni: nell’opuscolo “Che cosa vogliono i socialisti unitari”, pubblicato nel 1923 condannò il regime russo, ponendolo sullo stesso piano di quello fascista “oggigiorno in Russia, grazie al terrore, dominano ancora i

205 Franco Marinotti, 1891-1966, industriale tessile legato a Riccardo Gualino

206 "Diario di Mosca" Fondo Morgari, busta 3413, 16 nov.1922

comunisti ma di socialismo non c'è quasi più niente... Con la tattica della fretta non si ottiene altro che di diffamare il socialismo».

Quando nel 1934, dopo il patto d'unità d'azione con i comunisti, s'accenderà il dibattito sul pacifismo socialista, fu il primo a far sua la parola d'ordine della difesa dell'URSS che, riteneva, per la sua stessa natura sociale non potesse impegnarsi in guerre d'aggressione.

Nel 1936-37 soggiornò nell'URSS e in particolare in Crimea nel periodo delle "grandi purghe" e di queste dette all'inizio un'interpretazione filostaliniana, cosa che non impedirà che gli venissero confiscati al momento del rientro in Francia207 i materiali di studio costituiti da note e appunti che, come sua consuetudine, egli diligentemente compilava e che erano custoditi in due valigie, per cui non ci restano documenti su questo soggiorno.

25. Nel movimento antifascista in Italia e in Francia (1922-44)

Rieletto nel 1919 e nel 1921, pur avendo chiesto di non essere più candidato, come segretario del gruppo parlamentare prospetta i pericoli della situazione politica e chiede la revisione della linea di condotta del Partito. Il 2 agosto 1921 con Bacci, Zannerini, Musatti per il Gruppo Parlamentare e la Direzione del PSI, Baldesi, Galli, Caporali per la CgdL, firma il patto di pacificazione con Mussolini, De Vecchi, Giuriati nello studio del presidente della Camera De Nicola.

Nel dopoguerra la sua voce nei dibattiti interni del partito risuona sempre meno: non interviene ai congressi di Roma (1918), Bologna (1919), Livorno (1921), Milano (1921), Roma (1922), e nel corso di quest'ultimo vota la mozione riformista aderendo al Partito Socialista Unitario (PSU) di Turati, Treves, Matteotti come quasi tutta la dirigenza piemontese del PSI con l'eccezione di Romita, Barberis, Amedeo e pochi altri.

Scrive nel 1923 l'opuscolo II Partito socialista unitario per illustrarne i princìpi; durante le elezioni del 1924 raccoglie le prove delle violenze fasciste e documenta i brogli e il terrore delle camicie nere nel pamphlet “La libertà di voto sotto il regime fascista”. Fa parte con altri sei (Caldara, ecc.) della Direzione del Partito Socialista dei Lavoratori Italiani (PSLI) che sostituisce nel 1925 il PSU sciolto all'indomani dell'attentato Zaniboni.

Nel 1926 ripara in Francia dove con Baldini, Turati, Treves, Buozzi, Modigliani e altri fuorusciti collabora alla ricostruzione dell'organizzazione che prende il nome di Partito socialista unitario del lavoratori italiani (PSULI) e che in quel momento dispone di tre sezioni (Parigi, Tolosa e Lione), mentre i massimalisti, più numerosi, ne avevano sette. L'impegno maggiore è quello di fondarne altre nei più importanti centri dell'emigrazione e di far uscire l'organo di stampa "Rinascita socialista", come si desume dalla Circolare sull'organizzazione che Morgari stila in data 1. maggio 1927

207 Episodio che rievocò anni dopo con toni molto critici sul “Nuovo Avanti”, 5.8.1939 ”Alla ricerca della città del sole”, significativamente dopo la crisi con l’Urss e i partiti comunisti provocata dal patto con Hitler

Il PSULI pur avendo un numero di iscritti inferiore a quello dei massimalisti, poteva contare su dirigenti di notorietà internazionale e godeva dell'appoggio del partito francese (SFIO) e delle sovvenzioni dell'Internazionale socialista (IOS). Inoltre erano in maggioranza riformisti i dirigenti della ricostituita CgdL.

Collabora al «Corriere degli Italiani», fondato da "popolare" Luigi Donati, risiedendo presso la redazione del giornale 208.

Il "Corriere degli Italiani", sposando posizioni alquanto critiche verso gli ambienti del fuoruscitismo offrì il fianco alla provocazione fascista, ricevendo finanziamenti addirittura dall'Ambasciata italiana: è questo, della eccessiva credulità, un aspetto della personalità del Morgari che si rivelò pericoloso in un ambiente infiltrato di spie e provocatori quale quello dell'emigrazione antifascista in Francia209.

Fece parte del "Comitato per l'azione in Italia" costituito nel 1928, e nel 1929 della "Commissione per la propaganda in Italia", presiedute entrambe da De Ambris.

208 Così lo ricorderà Marzo (G.B.Canepa), in “Le cronache di una vita”, Genova, 1983, che, costretto ad espatriare, era stato indirizzato a Morgari: “abitava con la moglie Sofia in una specie di «dépendance» del giornale: un ammezzato composto di una cucina-soggiorno, e una camera da letto attigua a un bugigattolo ricavato dal sottoscala che serviva da ripostiglio. Mi accolse con grande affabilità…..Non solo, ma quando gli dissi ch'ero stato espulso dalla Francia e dunque che sarebbe stato imprudente alloggiare in albergo, propose di sistemarmi in quel sottoscala, e io subito accettai, senza preoccuparmi degli inconvenienti che avrebbero potuto verificarsi a causa della coabitazione in un ambiente tanto ristretto…..I compiti che mi vennero assegnati erano fin troppo modesti: di buon mattino m'affrettavo a compilare la rassegna stampa per i due direttori; quindi dovevo riordinare gli appunti che Morgari aveva lasciato sul tavolo e ricopiarli per benino perché poi, al suo arrivo, potesse più agevolmente correggerli e ampliarli. Questo lavoro di copiatura dovevo ripeterlo più d'una volta, fino alla stesura finale dell'articolo: un lavoro manuale, dunque, da semplice scrivano, ma lo facevo con grande scrupolo, pago della fiducia che m'era stata accordata. Ed era una fiducia piena, perché quando Morgari doveva comunicare agli altri membri della Concentrazione notizie o documenti riservati e importanti, a me soltanto veniva affidato il compito di recapitarli. Mi si presentò così l'occasione di intrattenermi con personaggi politici famosi: ad esempio con Gaetano Salvemini…..Nenni, Modigliani, Claudio Treves... Più spesso però, e regolarmente, dovevo recarmi da Francesco Saverio Nitti, che …..m'incuteva un rispetto pieno di deferenza. Cosicché ogni qual volta sosteneva una caduta del regime fascista, in conseguenza dell'inevitabile crisi economica che ben presto avrebbe costretto Mussolini a dimettersi, mi guardavo bene dal sollevare dei dubbi, ma l'ascoltavo come se fosse un oracolo. I dubbi li sollevava poi Morgari che, quando gli riferivo quelle previsioni, si affrettava a smorzare il mio entusiasmo dicendo che la caduta del fascismo basata esclusivamente su delle leggi economiche, era opinabile, essendo le previsioni in tale materia il più delle volte destinate a restare un pio desiderio. Morgari era un uomo di indubbio buon senso, e l'esperienza che feci nel periodo in cui rimasi al suo fianco contribuì non poco a costituire il sustrato ideologico della mia futura vita politica. E' dal suo insegnamento infatti che appresi a considerare l'anticlericalismo che mi animava, e ch'era diffuso non solo nei repubblicani ma anche nei socialisti, un atteggiamento destinato a ostacolare il conseguimento della pace sociale; e così pure il settarismo che avevo riscontrato in tantissimi compagni quando ritenevano fascisti coloro che militavano in altri partiti...Anche per questo suo insegnamento conservo il suo ricordo con particolare riconoscenza e affetto.”

Nel 1930 al 21. Congresso (primo dell'esilio) tenuto a Parigi il 29-30 luglio, che è anche il congresso della riunificazione con il partito massimalista (o meglio con l'ala guidata da Nenni, mentre una parte con Angelica Balabanoff ne rimarrà fuori) è nominato segretario amministrativo (segretario politico Ugo Coccia).210

Non risulta aver partecipato invece al 22. Congresso, tenuto Marsiglia nell'aprile 1933. Con il 1933-34 la vita politica europea subisce un'accelerazione cresente: in Germania arriva al potere Hitler e viene inaugurata la politica dei fronti popolari. Per il partito socialista furono gli anni dello scioglimento della Concentrazione e della nascita del Centro Interno, del patto di unità d'azione con i comunisti e dell'impegno in Spagna.

Il tradizionale pacifismo perde il carattere di intangibilità per diventare oggetto di discussione: quando nel 1934, dopo il patto d'unità d'azione con i comunisti, si accenderà il dibattito sul pacifismo socialista, è il primo a far sua la parola d'ordine della difesa dell'URSS che riteneva per la sua stessa natura sociale non potesse impegnarsi in guerre d'aggressione e propugna il «disfattismo rivoluzionario» da opporre ai regimi fascisti in caso di guerra.

E' Morgari a iniziare la discussione con due articoli sul "Fattore bellico nella politica dell'antifascismo" pubblicati dal "Nuovo Avanti!” dell’aprile 1938, cui rispose Modigliani richiamandosi alla tradizionale agitazione socialista, che con la politica del non intervento di Leon

209 A.Garosci, Storia dei fuorusciti, Bari, 1953, pag. 18 ".il buon Oddino Morari il quale viveva poveramente dormendo in una branda alla sede del "Corriere" era rimasto così candidamente fanciullesco da condurre, ignaro, a visitare il giornale e gli archivi il viceconsole di Nizza, Spetia, che era anche commissario di polizia"

210 Questo il ricordo di Vera Modigliani che lo frequentò negli anni ’30, in “Esili”, Milano, 1946 “Una grossa testa calva: appena una corona di capelli ancora scuri gl'incorniciava il basso della nuca e discendeva sul collo forte. Aveva gli occhi vivi sotto le sopracciglia folte, quando, raramente, li sollevava sull'interlocutore. Ma li teneva di preferenza abbassati, quasi a guardarsi dentro, nell'anima, in quel lavorio d'introspezione, di autocritica ansiosa, che non lo abbandonava mai e che faceva spesso di lui un esitante e talora un contraddittore di se stesso. Ho visto a volte quegli occhi accendersi nell'ira e nello sdegno, ed allora anche la voce, che era di solito piana, quasi sommessa, si levava in uno scatto, e le parole si rincorrevano affannose. Ed anche, ma di rado, li ho visti illuminati da un sorriso. Un grosso naso dava a quel viso, che avrebbe potuto sembrar severo, un’impronta di bonarietà. Una barbetta breve, appena grigia, gli copriva il mento. Tutti i suoi atteggiamenti erano semplici, cortesi e improntati a un. desiderio di non mettersi in mostra. Eppure non era modesto. Aveva precisa in sé la nozione del proprio valore, e quel suo fare riservato, quasi ritroso, era dovuto forse al desiderio di veder chiaro in se stesso, di districarsi nel numero infinito dei «pro e contro». L'ho visto, per ore e ore, assistere ai dibattiti delle riunioni, quasi mai partecipandovi attivamente, apparentemente impassibile, con un immobilità di Budda, l'eterna pipa nell'angolo delle labbra, sempre cogli occhi abbassati, prendendo instancabilmente, su ritagli di carta, appunti ed appunti. (Minuta calligrafia di uomo che predilige il dettaglio…). era un'anima mistica di un santo, ma un santo cosciente della propria santità….. Da giovane doveva esser stato robusto e tarchiato: conservava ancora un po' quella sagoma. Ma ora gli abiti vecchi e trasandati gli si afflosciavano sul corpo dimagrito. Aveva quasi sempre al fianco la sua Sofia, più giovane di lui, ma anzi tempo appassita. La trattava come una bambina di scarso discernimento; lei, però, sentiva la grandezza morale del suo Oddino e gli tributava un'assistenza se non sempre riposante, sempre devota e premurosa.”

Blum strappa alla borghesia la bandiera del pacifismo integrale, che in Francia è un fatto di massa, con radici profonde nella grande guerra, nella «rivolta umana contro la distruzione bestiale e la morte a comando”

Ma e poi? chiede Morgari, che non rinnega il suo precedente pacifismo, ma ritiene antistorico riproporre il cliché di un marxismo " unilaterale e semplicista", quando l'esperienza insegna che "talune guerre hanno portato non reazione, ma libertà (…) La stessa guerra mondiale del 1914-1918 partorì la rivoluzione d'Ottobre e ben dieci repubbliche democratiche”

Gli interrogativi si affollano. E se la guerra scoppiasse mentre noi stiamo svolgendo il nostro apostolato per la pace, cosa dovremmo fare? Continuare la nostra missione, come se niente fosse, per l'emancipazione del proletariato e rifiutare di allinearci al blocco antifascista? Ma se questo malauguratamente perdesse la partita e quindi di conseguenza il proletariato fosse inabissato nella dittatura reazionaria per una o due generazioni? «Collaboriamo con le altre forze progressive del mondo a scongiurare la nuova guerra europea, ma se è destino che si produca, prepariamoci spiritualmente, tatticamente e organizzativamente a far si che questo nuovo spaventoso delitto del fascismo si converta in una tomba per le camice nere, brune, verdi e di ogni colore. Con tutti i mezzi, nessuno escluso!”

Al 23. Congresso (terzo dell'esilio) svoltosi a Parigi dal 26 al 28 giugno 1937, un anno dopo la vittoria del Fronte Popolare, è delegato della Federazione parigina. Nel corso del 1938 interviene in comizi "unitari": parla, con Emilio Lussu per Giustizia e Libertà e Giuseppe Di Vittorio per il PCI, il 5 aprile a Grenoble, e il 6, sempre con Lussu e con Giusppe Berti per il PCI, a Lione. Collabora al periodico repubblicano "Problemi della rivoluzione italiana" 211

Nell'estate del 1939 il patto russo-tedesco mette in crisi l’alleanza fra PSI e PCI e la segreteria di Nenni che ne era stata fautrice. In un’assemblea convocata nella sala di rue Meslay nell’ottobre 1939 prende la parola per chiedere le dimissioni di Nenni, che viene sostituito da un Comitato composto da Morgari, Saragat e Tasca, con funzioni di segretari e di direttori del giornale212

Morgari in due articoli del marzo 1940 pubblicati dal “Nuovo Avanti!” dichiara di non aver rimorsi per "aver stretta la mano pentita" che Mosca offriva nel 1934 e per aver polemizzato con Modigliani Tasca e Faravelli a difesa dell'unità d'azione, perché quella politica corrispondeva alle esperienze e agli ideali socialisti: difendere l'Urss, mantenere la pace, impedire la fascistizzazione dell'Europa. Ma ora che Mosca con il "turpe abbraccio" con Hitler non lascia più dubbi sulle sue intenzioni di scegliere la guerra per bolscevizzare l'Europa, egli non ha remore «a cancellare risolutamente Stalin ed i suoi seguaci» dalle alleanze socialiste, innanzi tutto «"pregiudizialmente", per un motivo di incompatibilità morale».La sua indignazione è al massimo. Definisce Stalin "truffatore" e "giuda", chiama «il paese di Stalin, non più Urss, come finora, ma bensì Russia quanto all’aspetto geografico e Stalinlandia quanto al regime politico”

Fu questa del marzo 1940 la sua ultima presa di posizione politica; il Comitato venne integrato da Buozzi e Faravelli e quando i tedeschi entravano a Parigi, mentre gli altri membri si trasferivano nel Sud, dove poi elaborarono le “Tesi di Tolosa”, si trovava ricoverato in un ospedale. Verso la fine del

211 O.M. "Il trionfo del fascismo. Di chi la colpa?", in "Problemi della rivoluzione italiana" , 2. serie, n.6, settembre 1938

212 S.Merli “I socialisti, la guerra, la nuova Europa : dalla Spagna alla Resistenza, 1936-1942”, Milano, 1994

1940 all’aggravarsi del male ottenne di ritornare a Torino, accompagnato dalla moglie Sofia Fasano, dove rivide amici e parenti che avevano persuaso le autorità a concedergli di tornare e di potersi recare a Sanremo, dove si spense nel novembre del 1944 in una modesta pensione.

L'11 novembre 1945 la salma venne trasferita a Torino, e presso la sede provinciale del PSIUP fu commemorato dal socialista alessandrino Paolo De Michelis.

COSTANTINO LAZZARI. Vita di un socialista lombardo da Bertani a Lenin (1857-1927)

Introduzione

1. Da Cremona a Milano

2. Il lavoro e l’inchiesta sociale. Anna Maria Mozzoni

3. Il Circolo operaio. Eliseo Reclus

4. Il primo arresto. Il Fascio operaio e la Lega Figli del lavoro

5. L’incontro con Bertani e l'inchiesta agraria

6. La Federazione Regionale dell'Alta Italia del Partito Operaio Italiano

7. Dalla costituzione del POI ai Congressi di Milano e Mantova (1885).

8. Turati scrive l'Inno dei lavoratori per il Partito Operaio

9. Le elezioni del 1886 e la polemica con Felice Cavallotti

10. La ripresa dell’attività del POI. Il congresso di Pavia (1887)

11. Parentesi di vita privata

12. I Congressi di Bologna (1889) e Milano (1890)

13. La fondazione del Partito socialista a Genova (1892)

14. Trasferimento a Busto Arsizio

15. Nascita della Camera del lavoro e della Società Umanitaria

16. Amministratore della Lotta di classe

17. L'adesione di De Amicis al PSI

18. Il Congresso di Reggio Emilia e quello clandestino di Parma

19. Polemiche sulla tattica

20. Il domicilio coatto a Borgotaro

21. Il giurì per la gestione della Lotta di classe

22.Commesso viaggiatore del socialismo

23. Dimostrazioni per il pane

24. Il "novantotto"

25. Finalborgo

26. Propagandista e canditato

27. Enunciazione della linea politica

28. Intransigentismo e sindacalismo rivoluzionario

29. "I principi e i metodi del Partito Socialista"

30. Segretario tra “settimana rossa” e intervento. “Né sabotare né aderire”

31. Nuova carcerazione

32. Nel dopoguerra; La terza Internazionale

33. Gli ultimi anni

Conclusione

Introduzione

L’aggettivo usato nel sottotitolo individua una caratteristica fondamentale del personaggio, lombardo per la matrice culturale che, se nei "momenti bassi" si esprime in un "buonsenso" un po' gretto e provinciale individuato con ironia da compagni e avversari213, si manifesta in positivo nell'agire concreto dell'organizzatore di circoli, dell' amministratore di iniziative editoriali, del tessitore di reti di sezioni; il suo antiriformismo non è retorico "atteggiamento" ma espressione di una diffidenza classista nei confronti dei politici di professione e degli intellettuali, come si vedrà più avanti nell'episodio del segretario del carcere di Finalborgo “...non saremo noi Milanesi ignoranti che andremo a prendere lezione di socialismo dai Napoletani sapienti, perché noi nella vita sociale facciamo già pratica militante della politica socialista” 214.

Abbiamo utilizzato l'autobiografia scritta nel 1926215 - ma che si arresta alla fine dell'Ottocento - riproducendone ampi stralci, per l'esposizione vivace, con qualche eccesso "cruento" (probabile derivazione dalla "letteratura d'appendice). Questo scritto aveva anche una motivazione pratica perchè la "Fondazione Giacomo Matteotti" (istituita nel 1925 allo scopo di raccogliere autobiografie di organizzatori del movimento socialista), aveva offerto a Lazzari, che aveva perso l'indennità parlamentare e si avviava ai 70 anni con a carico la moglie e una figlia adottiva, una modesta retribuzione in cambio della sua collaborazione a questo progetto.

"Tra poco avrò raggiunto i settant'anni della vita. Arrivato a quest'ultimo periodo della vita, povero e proletario come sono nato, trovo di non possedere altra ricchezza che la coscienza tranquilla e la fede sicura nell'avvenire del socialismo .... Come si è formata in me questa fede e come ho acquistata questa tranquillità di coscienza? Non è possibile rispondere a queste domande senza avere la conoscenza dell'ambiente sociale in cui sono cresciuto e il cui carattere ebbe certamente una influenza capitale nel determinare in me la comprensione completa delle dottrine egualitarie moderne."

1. Da Cremona a Milano

Così inizia le sue memorie, e prosegue "Sono figlio della gleba cremonese per parte della stirpe

213 Ved. un polemico ritratto anonimo in “Rivoluzione Liberale” 1922, n.30. Ezio Riboldi in “Vicende socialiste. Trent'anni di vita italiana nei ricordi di un deputato massimalista”, Milano, 1964, riferisce che a Lenin che lo sollecitava all'occupazione delle fabbriche Lazzari rispose: «Sì, l'idea è giusta, ma poi... che ne facciamo degli industriali?». E Lenin, ammiccando: «Liquidateli!»... « Ma scior Lenin - esclamò in dialetto milanese il buon Costantino - nun milanes semm brava gent».

214 Ma c'e qui anche un pregiudizio antimerdionale che si ripresenta nel tempo, come si desume da una testimonianza del comunista siciliano Gerolamo Li Causi in "Il lungo cammino. Autobiografia 1906-1944", Roma, 1974: "Ricordo una frase di Lazzari a proposito di Bordiga: "L'è un napoletano", come per dire, in senso spregiativo, che era uno le cui opinioni non contavano perchè non aveva niente a che vedere con la classe operaia del Nord"

215 In “Movimento operaio e socialista” nn. 4 e 5 del 1952.

paterna (una mia nonna contadina morì suicida in un accesso di pellagra)" ma la madre, Anna Grandi "apparteneva ad una discendenza di privilegiati decaduti, imparentata con una delle più illustri famiglie di Lombardia", mentre il padre era insegnante di storia e letteratura nelle scuole secondarie. Pur enfatizzando l' ascendenza contadina dal lato paterno, è comunque difficile definirla una famiglia proletaria. Problemi dovettero sorgere presto in famiglia perchè (secondo la sua versione non molto chiara) "l'ardente idealismo con cui mio padre diede inizio alla vita della propria famiglia, fu causa di gravi e profondi turbamenti nei nostri reciproci rapporti,” per cui a otto anni si trasferisce col fratello maggiore dai nonni materni impiegati dell'Istituto tecnico ”Santa Marta” di Milano.

Nel 1857 Cremona aveva circa 30.000 abitanti e, pur essendo solo il capoluogo di una provincia lombarda, era però negli anni tra l'ultimo quarto dell'Ottocento e il primo del '900 ricca di personalità di rilievo nazionale216, come Guido Miglioli, organizzatore delle "leghe bianche" (cattoliche) contadine, il radicale Ettore Sacchi, il socialista lriformistia Leonida Bissolati, il repubblicano Arcangelo Ghisleri, il cattolico Stefano Jacini, il vescovo Geremia Bonomelli; ma la precoce partenza dalla città natale non gli consentì un radicamento nell'ambiente locale, immergendolo nella realtà milanese fin dalla prima adolescenza.

Dopo le classi elementari, per le ristrettezze economiche familiari, frequenta non il ginnasio, che preparava agli studi universitari, ma la scuola tecnica, preferita dalla piccola borghesia perchè dava immediato accesso agli impieghi, e quì inizia ad interessarsi di problemi sociali e politici "Gli avvenimenti della vita italiana esercitavano su di me una strana attrattiva ed io con avidità ed entusiasmo leggevo i letterati che vi avevano dedicato le loro opere : Guerrazzi, Berchet, Massimo D'Azeglio, Manzoni, Grossi, Niccolini, ecc." La scoperta della politica avviene anche tramite un compagno di classe "Enrico Dalbesio, un simpatico giovanotto proletario di vivace ingegno e di cuore ardentissimo. Da certi parenti che aveva in Francia egli riceveva molte di quelle pubblicazioni che al tempo della Comune di Parigi e dopo avevano circolato per l'Europa. Noi le leggevamo di nascosto ed erano l'argomento favorito dei nostri discorsi: così si iniziò nel mio animo il primo germe delle cognizioni sociali."

2. Il lavoro e l’inchiesta sociale. Anna Maria Mozzoni

Finita la scuola tecnica, è costretto a cercare un impiego a quindici anni - età non precoce in quel tempo per l'ingresso nel mondo del lavoro, che anzi nei ceti proletari avveniva anche molto prima - entrando "come garzone di magazzino presso la ditta del sig. Luigi De Giorgi, una vecchia e riputata casa di rappresentanza e deposito di filati. Dopo alcuni mesi di lavoro gratuito — allora si usava così — il 15 agosto 1873 vi guadagnai le prime 50 lire come mancia di ferragosto: mi parve di essere diventato ricco e mi comperai l'orologio! Passato il tempo del mio tirocinio, nel 1875 cominciai a ricevere lo stipendio regolare di L. 30 mensili. In quelle condizioni ritrovai il mio compagno di scuola e di banco Enrico Dalbesio ... Dopo il nostro orario di lavoro ci trovavamo sempre a passare qualche ora ragionando intorno ai nostri preferiti argomenti sociali…. L'amico

216 F.Invernici "Una città nella storia dell'Italia unita: classa politica e ideologie in Cremona nel cinquantennio 1875-1925", Cremona, 1986. Il socialismo cremonese, nato in ambito laico e positivista con influenze massoniche, dal 1893 affiancato dalla Camera del Lavoro fondata da Garibotti, Quaini e Bissolati, fu essenzialmente riformista, senza escludere tendenze estremiste nello scontro sindacale, che avveniva spesso in concorrenza con le Leghe bianche. Ved. CGIL Cremona, Ottantanni di lotte del movimento operaio cremonese, Cremona, 1974

Dalbesio era poi un grande entusiasta per le arti belle e ambedue, durante la scuola tecnica, ci eravamo tanto distinti nello studio del disegno che io mi decisi a frequentare l'Accademia di Brera approfittando dell'orario mattiniero (dalle 6 alle 9) nella stagione estiva... Per tre anni mi dedicai con passione allo studio elementare della figura: arrivato ai corsi di nudo, essendo cambiato l'orario scolastico, dovetti abbandonare l'Accademia per non perdere quel piccolo guadagno che mi permetteva di aiutare la vecchiaia dei nonni."

Quando il nonno morì, la nonna si trasferì a Cremona. Rimase solo, abitando per sette anni "in un abbaino, sotto i tetti, dove d'estate si moriva di caldo e d'inverno di gelo" perché il fratello maggiore, maestro elementare, viveva da sé. In quel periodo, pure lavorando nel magazzino dei filati, continuò lo studio della lingua francese e iniziò anche quello delle lingue tedesca ed inglese frequentando una scuola serale "dove ero accolto gratuitamente per simpatia del titolare alla memoria del povero nonno”.

Sfuggito al servizio militare avendo estratto un alto numero di leva, si dedicò alla conoscenza degli ambienti e dei personaggi impegnati nelle questioni sociali e politiche, venendo a contatto anche con la “Lega Promotrice degli Interessi Femminili” e con la sua presidentessa, ”una nobile e gentile signora, Donna Anna Maria Mozzoni, che mi impegnò in un grande lavoro di osservazione, di studio e di azione. Questa mia attività ... ebbe anche il prezioso risultato di svelarmi gli abissi di miseria del proletariato di città e di campagna. Ricordo che per parecchi anni vissi come ossessionato dalle scoperte che andavo facendo: tutte le domeniche invece di andare a spasso in cerca di divertimento, approfittavo dell'orario di entrata libera nell'Ospedale Maggiore per girare in quelle corsie dolenti, fra quei letti dove la poveraglia manda i suoi malati e i suoi moribondi e poi scappavo nel mio abbaino a meditare, a imprecare, a piangere di rabbia e di impotenza di fronte a tanti spettacoli di dolore e di miseria".

Fu cooptato nel comitato esecutivo della Lega, composto dalla Mozzoni, da Paolina Schiff e da due operaie, con l’incarico del coordinamento con le società operaie. 217

Intanto progrediva nella carriera commerciale. "Il mio salario mensile da 30 lire era salito a 50, poi a 90, poi a 100, ciò che era allora una ricchezza, tanto che mi decisi a far venire a Milano i miei tre piccoli fratelli, ai quali mio padre non voleva più provvedere. Alloggiai i due maschi come novizi in botteghe di salumieri, e la sorella in una buona famiglia di onesti proletari, pagando le relative quote di pensione e di noviziato. Io vivevo spendendo meno di 60 lire al mese mangiando nelle modeste trattorie dei sobborghi.”

Dopo qualche anno fece venire a Milano tutta la famiglia, padre, madre e nonna, che andarono ad abitare in un piano terreno di via Lanzone. "Ricostituimmo così alla meglio un po' di vita domestica : io rimasi sempre nell'abbaino di via Santa Marta, dove coi libri che mi procurava l'amico Dalbesio andavo perfezionando le mie cognizioni politiche".

In quel periodo di tempo il fratello gli propose di aiutarlo a stampare manualetti razionali di istruzione infantile. "Comperammo a credito un vecchio torchio, due o tre quintali di caratteri e nella casa di via Lanzone ci mettemmo ad imparare l'arte tipografica."

Intanto era venuto a morire il signor De Giorgi, e il suo magazzino passò in eredità al genero, che lo fece diventare il suo alter ego: "cassiere, procuratore, viaggiatore con uno stipendio di 150 lire mensili. Ma anche il relativo benessere che così potevo procurarmi, non valse a farmi cambiare il

217 R.Zangheri “Storia del socialismo italiano”, Torino, 1997, pag.212. Di ciò non fa cenno nell’autobiografia, così come non menzioni l'adesione della Lega al P.O.I nel 1888

regime di vita, di studio e di pensiero ... La grande energia muscolare, che nel passato mi aveva permesso di andare a piedi, d'estate e d'inverno, da Milano a Cremona, per trovare i miei parenti, non bastava più a soddisfare gli impegni che man mano si moltiplicavano nella mia vita e perciò, allo scopo di accelerare i miei movimenti, pensai di adottare l'uso del velocipede. Oltre a girare la Lombardia in lungo e in largo, percorsi così per la prima volta l'Emilia, la Toscana, la Liguria, sempre infaticato e infaticabile."

3. Il "Circolo operaio". Eliseo Reclus

Proseguendo nell’esplorazione degli ambienti politici, si iscrisse al Circolo Operaio che era stato allora istituito nei locali del democratico Consolato Operaio, per avere occasione di scambiare "parole ed idee cogli uomini e con le donne, vecchi e giovani, specialmente repubblicani, anzi mazziniani, che allora popolavano quei locali. Quante conoscenze vi feci allora di ardenti giovinetti che poi, dopo cinquant'anni, ritrovai in parlamento deputati e anche ministri del re !"

Iniziò a concorrere all'opera di propaganda con un discorso intorno alla “Emancipazione della donna”: "ricordo che davanti a quel ristretto uditorio non ebbi il coraggio di alzare gli occhi dai fogli sui quali leggevo il mio discorso. Quel primo saggio però valse a farmi rompere la crosta dell'abitudine, e da allora in poi, in piccolo o in grande, mi abituai a discutere pubblicamente e a sostenere le mie opinioni.”

Frattanto, con le elezioni del 1882, entrava in vigore la legge promulgata dal governo Depretis che allargava il diritto di voto politico. Il campo politico era conteso a Milano tra i costituzionali e i democratici, che col giornale “II Secolo” esercitavano la loro influenza sul Consolato Operaio, una federazione di società di mutuo soccorso patrocinate dai democratici.

I democratici del “Secolo” lanciarono la candidatura operaia di Antonio Maffi, un fonditore di caratteri, e lo fecero parlare in un grande comizio popolare tenuto nel Teatro della Canobbiana per esporre il programma degli operai democratici. "Vi accorremmo tutti: egli esordì con queste precise parole: «Guerra alla guerra fra il capitale e il lavoro !». Fu per noi una grande delusione, perché noi credevamo nella esistenza della questione sociale e nella necessità della sua soluzione.” Il giornale “La Plebe”, che Enrico Bignami pubblicava a Lodi, diventò allora il loro portavoce permettendo di allargare la cerchia delle conoscenze e quindi la sfera d' influenza.

Nelle elezioni politiche di quell'anno 1882 era diventato primo deputato socialista Andrea Costa: la sua nomina aveva destato infiniti commenti fra i giovani del Circolo Operaio. Specialmente gli anarchici avevano criticato l'entrata di Andrea Costa in parlamento e fra i giovani si era sollevata una accanita discussione, alla quale "anche io presi parte senza avere però in proposito una opinione precisa e sicura. Allo scopo di orientarmi definitivamente nell'indirizzo da seguire, decisi di approfittare della buona stagione estiva, per andare ad informarmi personalmente presso il grande geografo Eliseo Reclus che abitava a Clarens sul lago di Ginevra e che in nome dell'anarchia conduceva una violentissima campagna contro Andrea Costa deputato. A cavallo del mio velocipede, attraversai le Alpi, passando per il San Gottardo, percorsi in tutta la sua lunghezza il cantone Vallese, passai da Losanna ed arrivai a Clarens dove fui accolto ed ospitato con grande cordialità. Per una giornata intera, restai nello studio di quel grande scienziato a discutere con lui e con altri suoi amici intorno alla situazione politica italiana. Venuta la sera, mi accomiatai dicendogli: «Se la vita del mondo fosse tutta racchiusa in questa bella villetta sulle rive del lago, coperta di rose, ridente di luce di azzurro e di verde, le vaste teorie politiche potrebbero avere ragioni ma essa si svolge nei grandi centri di popolazione, dove si fatica e soffre nelle tribolazioni e nella

miseria ed io vado là per aiutare fraternamente il lavoro pratico, preparatore dell'ideale futuro”.

4. Il primo arresto. Il Fascio operaio e la Lega Figli del lavoro

Il 20 dicembre 1882 era stato impiccato a Trieste Gugliemo Oberdan e i repubblicani avevano chiesto al Circolo Operaio di partecipare a una manifestazione di protesta.nel giorno di Natale in piazza del Duomo. "Io vi avevo aderito più reagire contro la barbarie della pena di morte, che per adesione al programma irredentista della dimostrazione .. fui caricato dai carabinieri, afferrato da cento mani, schiacciato contro un muro .. e finalmente arrestato, ammanettato e condotto nelle prigioni della Questura. Mio fratello che aveva assistito alla scena ed era accorso per vedere cosa mi facevano, venne pure arrestato e così ci trovammo in undici giovinetti chiusi in quelle orribili e vergognose prigioni di S. Fedele, dove passammo una notte di insonnia e di disgusto. Il giorno seguente fummo condotti nel Carcere Cellulare e dopo pochi giorni giudicati per direttissima. Io venni assolto [ma] messo di fronte al dilemma: o abbandonare la vita commerciale o abbandonare la vita politica, ben inteso col diritto alla più ampia libertà del mio pensiero !"

Al padrone della ditta era insopportabile l'idea di avere per procuratore uno che era stato in prigione e poteva tornarvi: così nel 1883 fu licenziato pur avendo sulle spalle il carico della famiglia paterna e la vita della vecchia nonna "allora, a venticinque anni, mi sentivo una forza di salute e una tale baldanza di avvenire, che mi sentivo di affrontare e di vincere qualsiasi difficoltà. Però in quel tempo io non avevo ancora una precisa direttiva politica. Leggevo avidamente libri, opuscoli, specialmente di autori francesi e russi che trattavano della questione sociale, Guesde, Malon, Lafargue, Deville, Bakunin, Kropotkin, Herzen”

Frattanto aveva abbandonato l'abbaino di via S. Marta per andare ad abitare in un pianterreno, dove aveva collocato una piccola macchina tipografica a pedale "Cogli amici del Circolo Operaio ci accordammo per iniziare un lavoro di propaganda operaia indipendente, che l'elemento democratico dominante cercava in ogni modo di ostacolare. A tal fine avevamo trovato un vecchio magazzeno e vi tenemmo le prime riunioni, finché il 29 luglio 1883 iniziammo la pubblicazione del settimanale “II Fascio operaio, voce dei Figli del Lavoro” che continuò la sua vita per tutto l'inverno del 1883”

Il gruppo del Fascio operaio lo incaricò di presentare alle elezioni amministrative del novembre di quell'anno il punto di vista dal quale la classe operaia doveva parteciparvi in un comizio che si tenne al Teatro Castelli. Fu il suo primo discorso davanti al grande pubblico.

Nel febbraio del 1884 fu costituita una prima Lega dei Figli del Lavoro, la quale aveva un programma di propaganda per il miglioramento delle condizioni materiali e morali dei lavoratori mediante la resistenza (come allora venivano chiamati gli scioperi) e la solidarietà, e che divenne un centro per la formazione di una corrente operaia indipendente ed autonoma dai partiti politici.

In quel tempo il ministro Domenico Berti, di fronte allo sviluppo della propaganda operaia e socialista, aveva tentato di portare all'approvazione del Parlamento un blocco di leggi sociali destinate a demandare ad organi dello Stato la tutela delle condizioni di vita più elementari dei lavoratori. Fu un'occasione per proclamare ed affermare il principio dell'autonomia e indipendenza del movimento operaio, ed infatti, il 27 gennaio 1884, “in una giornata freddissima, nel teatro scoperto della Commenda si tenne un comizio su quell'importante argomento. (…) e mentre cadeva un lento nevischio che faceva aprire gli ombrelli a chi era in platea, la discussione si svolse intrepidamente per diverse ore, concludendo con un ordine del giorno nel quale era detto che «non

riconoscendo in qualsiasi organizzazione politica né la capacità, né la competenza di dettar leggi favorevoli ai lavoratori, si respingeva ogni ingerenza governativa nelle questioni operaie e si reclamava la più assoluta libertà nei rapporti fra capitale e lavoro"

Era una tendenza che non si rifaceva a opzioni teoriche , ma alla collocazione di classe degli individui e dei gruppi sociali e che puntava non alla conquista di uno spazio politico in senso tradizionale, ma allo spostamento sul terreno della lotta di classe di strati sempre più consistenti di lavoratori organizzati. Le proposte operaiste erano infatti semplici ed al tempo stesso di grande impatto: portare le Società Operaie ad adottare il principio della resistenza (in alternativa od accanto al tradizionale mutualismo) ed agitare il principio (rivolto contro ogni concezione elitaria, foss'anche di estrema sinistra, della politica) che "l'emancipazione degli operai dev'essere opera degli operai medesimi" .

Questi propositi erano il frutto delle discussioni che si facevano quando “ci riunivamo settimanalmente intorno al Dr. Gnocchi-Viani per intenderci sulla formazione del numero del giornale che si doveva pubblicare. Egli era la nostra guida e il nostro consigliere”

La Lega organizzava anche gite di propaganda nei centri vicini, a Monza, Busto, Gallarate, Varese, Como, inizialmente ritrovi con amici, conoscenti o parenti in cui avvenivano scambi di idee e si allacciavano rapporti. Il giornale serviva da mezzo di comunicazione e da bandiera di raccolta, ma il ricavato delle vendite non era sufficiente a coprire le spese e nell'aprile del 1884 fu costretto a sospendere la pubblicazione.

Dopo aver perso il posto nell'azienda commerciale si era sforzato di sviluppare il lavoro indipendente della sua piccola tipografia: aveva iniziato diverse pubblicazioni di carattere politico, anticlericale e sociale, opuscoli clandestini, stampati di notte, ma tutto ciò non bastava per vivere. Occorreva darle un’impronta commerciale, ma proprio in quel tempo vennero introdotte nuove macchine tipografiche che misero fuori mercato la sua piccola azienda. Nell'impossibilità di lottare contro questa concorrenza, abbandonò il lavoro indipendente ed entrò come compositore in diverse tipografie.

5. L’incontro con Bertani e l'inchiesta agraria

Si manifestarono i primi sintomi di intossicazione da antimonio per le emanazioni tipografiche, tanto che Anna Maria Mozzoni che “aveva per me una vera sollecitudine materna”, lo presentò al suo amico Agostino Bertani, deputato radicale nonché medico, perché si facesse visitare “Dopo avermi esaminato attentamente, egli mi impose di abbandonare subito l'arte tipografica.«Come farò a vivere, professore?» gli disse «Ho anche la famiglia da mantenere insieme a mio fratello e non posso restare inoperoso».«Vieni con me» gli rispose Bertani. «Sto appunto cercando un segretario per l'inchiesta dell'igiene rurale e tu puoi fare al caso mio. Ti darò 3 lire al giorno e le spese quando saremo in viaggio».Accettai e così diventai il suo segretario più fidato.”

A margine della grande Inchiesta agraria, Bertani aveva persuaso il suo vecchio amico Depretis ad iniziare, coi fondi del Ministero dell'Interno, una rapida e pratica inchiesta per l'igiene rurale. Andò con lui nella sua casa di Genova, poi a Roma, poi nella sua casa di campagna a Miàsino sul Lago d'Orta, poi in viaggio per l'Umbria, le Marche, in Lombardia, in Emilia e in Toscana, “e fu così che io riuscii ad acquistare una straordinaria quantità di cognizioni sociali e politiche per le quali andai sempre più consolidando la formazione della mia coscienza e della mia volontà per una azione positiva strettamente legata al grande ideale della emancipazione proletaria. È interessante questa

storia dell'inchiesta per l'igiene rurale, perché si può dire che io vi feci la prima parte della mia educazione politica.”

Bertani aveva organizzata in casa sua la distribuzione di un questionario ai medici condotti dei comuni italiani, i quali avevano risposto quasi unanimi alla richiesta del loro collega e la sua casa di Genova fu piena dei questionari compilati che egli esaminava personalmente. Dove apparivano lacune o informazioni irregolari egli mandava propri incaricati per esaminare e raccogliere notizie precise. Così Lazzari ebbe allora occasione di compiere diverse gite in alcune province: “partivo la mattina solo, con un modesto calessino, e percorrevo villaggi, cascinali e casolari osservando, interrogando, notando e ritornavo la sera stanco morto, ma colla testa e col cuore pieno di nuove cognizioni, di impressioni e sensazioni.”

in tal modo percorse e visitò alcune zone della provincia di Milano, di Como, di Macerata e Perugia sempre in mezzo alla povera gente di campagna “dovunque egualmente legata dalla schiavitù del lavoro agricolo o da quella del lavoro industriale. Quanti quadri e quanti episodi ignorati di dolori, di sacrifici e di stenti fra quelle povere popolazioni governate e dominate dai signori, dai preti e dai carabinieri”.

Durante questo periodo, che ebbe la durata di circa tre anni, per due volte si separarono a causa di divergenze politiche “Ricordo che egli mi accomiatò dicendomi queste precise parole che non ho mai più dimenticato: «Quando ti sento parlare mi pare che tu abbia ragione e che ormai la questione sociale sia la sola e la vera grande questione interessante per la vita e l'avvenire del popolo italiano; quando sento parlare gli altri temo che voi abbiate a far rovinare l'edificio che noi abbiamo innalzato con tanti sacrifici. In ogni modo non fidarti degli uomini della nostra generazione: noi siamo troppo compromessi col lavoro patriottico che abbiamo fatto per poter essere difensori della nostra causa e non essere nello stesso tempo sostenitori del regime di privilegio e di oppressione che voi volete combattere”.

6. La Federazione Regionale Alta Italia del Partito Operaio

Nel settembre del 1884 il “Fascio operaio” aveva potuto riprendere le sue pubblicazioni, sorretto da 117 azionisti che versarono 5 lire l'uno; animato dal proposito di gettare le basi di un lavoro metodico per il miglioramento e l'emancipazione della classe, il gruppo del Fascio operaio, pur facendo tesoro delle esperienze della propaganda anarchica e internazionalista, decise di iniziare un'azione essenzialmente politica, ed applicando la massima fondamentale che l'emancipazione dei lavoratori deve essere opera dei lavoratori stessi, stabilì di riservare l’iscrizione ai soli uomini e donne che vivessero di lavoro e di salario.Su questa base il 1° settembre 1884 cinque Società di Figli del Lavoro fondate a Milano, Gallarate, Busto, Legnano, Sacconago, senza alcuna ingerenza di elementi estranei alla classe operaria, dichiararono costituita la Federazione Regionale dell'Alta Italia del Partito Operaio Italiano.

A fianco di questa organizzazione era sorta la Lega Socialista Milanese, destinata a fornire al movimento operaio il bagaglio teorico necessario al suo sviluppo, e a proporre alla pubblica opinione il risultato dei suoi studi; facevano parte di questa una cinquantina di pubblicisti, professionisti, commercianti, industriali, studenti.

Così attrezzato, il movimento continuò la sua azione: la più grande affermazione ebbe luogo il 23 novembre 1884 durante un comizio contro le convenzioni ferroviarie con cui il governo vendeva l'esercizio del trasporto ferroviario. Tutta l'estrema sinistra parlamentare si era raccolta intorno

all'ex ministro Alfredo Baccarini, il quale sosteneva l'esercizio dello Stato; la Federazione Alta Italia fece parlare Osvaldo Gnocchi-Viani, il quale “con veemente ed infiammato discorso dimostrò che la questione ferrovia non era che un aspetto della questione sociale e che soltanto l'esercizio delle ferrovie affidato ai ferrovieri organizzati poteva rispondere all’ interesse della nazione. Da allora in poi cominciò a determinarsi nelle file della democrazia e sulle colonne del “Secolo” una sorda ostilità contro la nostra organizzazione e contro la nostra propaganda”.

7. Dalla costituzione del Partito Operaio Italiano ai Congressi di Milano e Mantova (1885)

Il 1885 fu di ancor maggiore e più intenso impegno. Lazzari era ritornato a lavorare in tipografia, per quanto sentisse che la salute non resisteva. Il Partito Operaio Italiano si estendeva: i primi sequestri e i primi processi avevano colpito il Fascio operaio, ma crescevano le file degli aderenti e il numero dei lettori.

Il 12 aprile e il 3 maggio di quell'anno si tenne a Milano il primo Congresso del POI che in tale occasione si diede gli organi statutari. Del suo primo Comitato Centrale, che si radunava almeno una volta alla settimana, Lazzari fungeva da segretario.

Quell'anno cominciarono i sequestri del Fascio operaio, il primo per un voto di solidarietà degli operai metallurgici di Savona in favore dei contadini mantovani in sciopero. Ne seguì il 23 luglio 1885 un processo in Corte di Assise, che inflisse sette condanne.

I giorni 6-7-8 dicembre di quello stesso anno il 2. Congresso del Partito Operaio Italiano si tenne a Mantova per solidarietà coi contadini di quella provincia in sciopero generale agricolo. I capi di quell'agitazione erano stati imprigionati, ma al congresso assistevano in gran numero lavoratori agricoli venuti da ogni parte della regione, e fu questa la novità: le logge del teatro stipate di contadini e una organizzazione operaia che per la prima volta delineava un abbozzo di programma agrario.

Lo scopo di questo congresso era, oltre quello già detto, di realizzare la fusione sotto la bandiera del Partito Operaio Italiano delle organizzazioni, specie società di mutuo soccorso, che facevano parte della Confederazione operaia lombarda, già diretta dai democratici ma al cui congresso di Brescia del 4-5 gennaio 1885 erano prevalse le tesi operaiste sulla resistenza, cioè sullo sciopero.

Il Partito Operaio vi partecipava con 40 Sezioni e la Confederazione Lombarda vi aveva portato 60 organizzazioni. La fusione venne sanzionata aggiungendo all'art. 1° dello Statuto la seguente dichiarazione: «II Partito Operaio Italiano, estraneo ad ogni partito politico o religioso, parteciperà alle lotte della vita pubblica come classe distinta che tende alla sua emancipazione».

Il lavoro di organizzazione diventò febbrile: “si può dire che il Comitato Centrale era costretto a sedere in permanenza e i suoi membri si riunivano tutte le sere per parecchie ore, con grande disperazione delle loro donne e delle loro famiglie ormai abbandonate. Non passava domenica o festa di precetto, senza che noi ne approfittassimo per organizzare qualche gita di propaganda in provincia o fuori secondo i pochi soldi che si trovavano in cassa. Fra le altre, restò indimenticabile quella che, per iniziativa di Leonida Bissolati, io feci a Cremona il 14 febbraio 1886 ”

8. Turati scrive l’ ”Inno dei lavoratori” per il Partito Operaio

Mentre si compiva questo lavoro organizzativo, la Lega Socialista Milanese aumentava di numero

e di influenza: fra i suoi membri più attivi e più volonterosi si contavano Filippo Turati, Giuseppe De Franceschi, Osvaldo Gnocchi-Viani218, Paolo Valera, Enrico Dalbesio, Enrico Bignami219, Enrico Besana, Enrico Viscardi. Fra tutti, costituivano una specie di riserva intellettuale alla quale si poteva ricorrere nei bisogni materiali e morali del Partito.

Fu in omaggio a questa funzione che nella primavera del 1886 il Partito Operaio ottenne da Filippo Turati le parole per un inno che fosse la sintesi delle sue aspirazioni ed esprimesse musicalmente la formazione civile della sua forza organizzativa220.

Lo pubblicò il 20 marzo di quell'anno il Fascio operaio e riuscì a farlo musicare da un maestro addetto allo stabilimento Sonzogno e “ne facemmo la prima pubblica prova in una allegra serata carnevalesca, che passammo nella modesta trattoria Tresoldi in Via Bocchetto. Ne restammo tutti commossi ed entusiasti e da allora in poi diventò il nostro ritornello di richiamo: io andai persino a zufolarlo lungo le muraglie del carcere di Casale Monferrato dove era stato rinchiuso Alfredo Casati andato colà per una delle nostre solite gite di propaganda, ed egli mi rispondeva... Questo

218 G. Angelini, Il socialismo del lavoro : Osvaldo Gnocchi-Viani tra mazzinianesimo e istanze libertarie, Milano, 1987; F. Della Peruta, Osvaldo Gnocchi Viani nella storia del movimento operaio e del socialismo, Milano, 1997

219 G. Angelini, La cometa rossa: internazionalismo e quarto stato: Erico Bignami e La plebe, 1868-1975, Milano, 1994; G. Carazzali Enrico Bignami : il coraggio dell'ideale. Milano, 1992

220 Questo il testo: Su fratelli, su compagne / su, venite in fitta schiera: / sulla libera bandiera / splende il sol dell'avvenir./ Nelle pene e nell'insulto / ci stringemmo in mutuo patto, / la gran causa del riscatto / niun di noi vorrà tradir. / Il riscatto del lavoro / dei suoi figli opra sarà:/o vivremo del lavoro / o pugnando si morrà. / La risaia e la miniera / ci han fiaccati ad ogni stento / come i bruti d'un armento / siam sfruttati dai signor./ I signor per cui pugnammo / ci han rubato il nostro pane,/ ci han promessa una dimane:/ la diman si aspetta ancor./ Il riscatto del lavoro.../ L'esecrato capitale / nelle macchine ci schiaccia, / l'altrui solco queste braccia / son dannate a fecondar. / Lo strumento del lavoro / nelle mani dei redenti / spenga gli odii e fra le genti / chiami il dritto a trionfar. / Il riscatto del lavoro.../ Se divisi siam canaglia, / stretti in fascio siam potenti;sono il nerbo delle genti / quei che han braccio e che han cor. / Ogni cosa è sudor nostro, / noi disfar, rifar possiamo; / la consegna sia: sorgiamo / troppo lungo fu il dolor. / Il riscatto del lavoro.../ Maledetto chi gavazza / nell'ebbrezza dei festini, / fin che i giorni un uom trascini / senza pane e senza amor. / Maledetto chi non geme / dello scempio dei fratelli, / chi di pace ne favelli / sotto il pie dell'oppressor. / Il riscatto del lavoro.../ I confini scellerati / cancelliam dagli emisferi; / i nemici, gli stranieri / non son lungi ma son qui. / Guerra al regno della Guerra, / morte al regno della morte; / contro il dritto del del più forte, / forza amici, è giunto il dì./ Il riscatto del lavoro.../ O sorelle di fatica / o consorti negli affanni / che ai negrieri, che ai tiranni / deste il sangue e la beltà. / Agli imbelli, ai proni al giogo / mai non splenda il vostro riso: / un esercito diviso / la vittoria non corrà. /Il riscatto del lavoro.../Se eguaglianza non è frode, / fratellanza un'ironia,/ se pugnar non fu follia / per la santa libertà;/ Su fratelli, su compagne, / tutti i poveri son servi: / cogli ignavi e coi protervi / il transigere è viltà. / Il riscatto del lavoro...

inno doveva per la prima volta essere cantato in coro durante la inaugurazione del caratteristico stendardo che la Lega dei Figli del Lavoro di Milano aveva adottato come suo distintivo e rappresentava un giovane fabbro che guardava il sole nascente. Il ricamo era un vero capolavoro uscito dalle mani della compagna Norma De Grandi che era la moglie di Alfredo Casati.”

9. Le elezioni del 1886 e la polemica con Felice Cavallotti

Alle elezioni del 1886 il POI era deciso a presentarsi con una propria lista che i radicali temevano, non tanto perché il Partito Operaio Italiano fosse in grado di far eleggere alcuno dei suoi candidati, quanto per i molti voti che avrebbe sottratto alle loro liste. Si comprende che in quella congiuntura il governo Depretis, interessato a una sconfitta dei radicali specialmente in Lombardia, lasciasse, in quei mesi di accesa vigilia elettorale, una certa libertà d’azione al POI, che aveva sottoposto sino a poco prima a persecuzioni poliziesche.

I radicali, irritati da questa tolleranza governativa, e dall’aspra campagna che il Partito Operaio conduceva contro di loro, cominciarono ad avanzare, specialmente sul «Secolo», vaghe insinuazioni su non precisati favori e appoggi da parte del governo. Gli operaisti reagirono, e il «Fascio operaio: voce dei figli del Lavoro» giunse a parlare di «democrazia vile». Frattanto le elezioni del 2 maggio 1886 dimostravano che, nonostante il buon successo dei radicali a Milano, il Partito Operaio era riuscito a sottrarre non poche migliaia di voti alla loro lista: Lazzari ebbe 3.359 voti a Cremona, 824 ad Alessandria e 1.425 a Casale Monferrato; altre candidature furono presentate con successo a Busto Arsizio, Monza, Como, Pavia, Intra, Vercelli, Torino, Sanremo, Arezzo, Napoli. Nessuno fu eletto, ma, col ristretto suffragio allora in vigore, fu un successo. Il partito democratico che si vedeva minacciato nella sua tradizionale egemonia ed influenza sulla classe operaia, accusò gli operaisti di aver fatto il gioco del governo Depretis. Il giornale “II Secolo”, commentando il risultato delle elezioni, li denunciava apertamente come dei venduti e il deputato Felice Cavallotti lanciò l'infamante accusa al Partito Operaio di essere un prezzolato strumento del governo.

II Comitato Centrale del POI domandò al deputato Cavallotti un colloquio personale, allo scopo di persuaderlo dell'errore in cui egli si trovava sul suo conto. II colloquio ebbe luogo il 31 maggio 1886: nella sua abitazione si recarono Lazzari, Croce e Casati e lo trovarono che li attendeva, secondo le sue abitudini duellistiche, con due testimoni. Alla esibizione dei documenti di prova della vitalità finanziaria mediante copialettere, registri e bollettari, dopo tre ore di discussione pareva, secondo Lazzari, convinto dell’infondatezza delle sue accuse e promise che per l'indomani sarebbe stata pubblicata una dichiarazione in tal senso sul “Secolo”; invece nel numero del 1° giugno pubblicò una violenta e furibonda requisitoria colla quale, ricorrendo a reminiscenze classiche, ribadiva le sue accuse.

Frattanto Depretis, passato appena un mese dalle elezioni, faceva arrestare dal questore di Milano i principali dirigenti del Partito Operaio, sequestrarne le carte, sopprimere il giornale «Fascio operaio», con deferimento alla magistratura sotto l'accusa di «associazione di malfattori». Depretis, con quei severi provvedimenti, da un lato assestava un duro colpo al movimento operaio del Nord, e dall'altro, alla vigilia della sua interpellanza, metteva in imbarazzo Cavallotti.

All'ultima requisitoria del “Secolo” decise la pubblicazione di un numero del “Fascio operaio” dedicato alla difesa delle proprie ragioni “Per preparare questo numero straordinario avevo vegliato tutta la notte e spuntava l'alba del 23 giugno. Avevo spento la lucerna a petrolio — allora non c’era la luce elettrica e il gas era un lusso — quando irruppero nella mia povera abitazione un

delegato di questura con tanto di sciarpa a tracolla seguito da questurini e da carabinieri. Fui dichiarato in arresto: si fece un gran fascio di tutte le mie carte e bene ammanettato fui condotto, in mezzo alla squadra, nella questura centrale di S. Fedele.

Colà trovai già in stato d'arresto gli altri membri del nostro Comitato Centrale: il questore ci lesse con voce imperatoria un bel decreto del Prefetto col quale veniva dichiarato sciolto e proibito il Partito Operaio Italiano. Col solito carrozzone fummo condotti e rinchiusi nel carcere cellulare sotto la duplice accusa di cospirazione e di associazione di malfattori.”

L'istruttoria durò tre mesi, ma finalmente una ordinanza della Sezione di accusa accordava la libertà provvisoria e rinviava al giudizio della Corte d'Assise.

L’ostilità per Cavallotti ebbe strascichi che si manifestarono anche anni dopo questo episodio: il deputato radicale, che si presentava come candidato nelle elezioni del 1888, aveva convocato un comizio il 23 maggio.

Gli “operaisti” vi andarono col proposito di far conoscere le ragioni della astensione e siccome venne negato loro il diritto di replica “sollevammo un tal coro di proteste e di fischi che il comizio diventò ben presto un campo di battaglia contro di noi. Noi fummo scacciati dal locale tutti pesti e sanguinolenti, ma l'adunanza andò a monte e del grande comizio democratico non rimase che un mucchio di vetri infranti, di sedie rotte e di tavoli capovolti” . Quasi quarant’anni dopo così commentava il Lazzari “Da allora in. poi Cavallotti, che era stato l'esponente di tutte le calunnie e le diffamazioni che ci avevano colpito, non riuscì più a diventare deputato di Milano”!

Vi è in queste affermazioni una rimozione perchè numerose furono in seguito i momenti di convergenza che lo videro personalmente impegnato insieme ai radicali, come il Comizio internazionale per i diritti del lavoro dell'aprile 1991 e la Lega per la difesa della libertà fondata nel 1995; da notare, a questo proposito, che i 3.359 voti di Cremona nel 1886, furono ottenuti grazie all'appoggio dei radicali locali.

10. Ripresa dell'attività del Partito Operaio. Il congresso di Pavia (1887)

La Lega socialista in questa polemica era scesa in campo in difesa del POI con una «Dichiarazione d'onore» che li rendeva solidali con la loro lotta in favore della classe operaia e avevano manifestato il loro appoggio morale e materiale, per cui il 16 ottobre 1886 ricomparve il Fascio operaio, privato del sottotitolo di organo del Partito Operaio Italiano

Le organizzazioni erano state sciolte con decreto prefettizio, ma ben presto furono riannodati i rapporti valendosi del giornale, il quale non era contemplato nel decreto di soppressione del Partito.

Fu fissato il recapito del giornale presso una Società Operaia che aveva la sede in corso Ticinese, ma la sorveglianza della polizia obbligò a cercare un altro locale “e lo trovammo in una lurida cameraccia di una vecchia casa, nell'ora scomparso vicolo di S. Marcellino, tetro ricovero di malviventi e di prostitute presso il Ponte Vetero. Là, nel freddo e nell'umido, ci riunivamo su quattro sedie e su quattro panche per discutere le nostre questioni e spedire il giornale.”

L'atteso processo ebbe luogo nella Corte di Assise nei giorni dal 18 al 31 gennaio 1887. Erano sei imputati e le imputazioni che li avevano colpiti, di eccitamento all'odio, al saccheggio, alla strage, vennero sostenute dal Procuratore Generale. Però i giurati ridussero tutte quelle imputazioni al

semplice reato di istigazione allo sciopero e quindi furono condannati: Alfredo Casati a 9 mesi, Giuseppe Croce e Costantino Lazzari a 3 mesi, altri a 3 e 2 mesi, più alcune migliaia di lire e le solite spese processuali. La sentenza venne letta in mezzo ad una folla enorme che aveva seguito con passione le varie fasi del lungo dibattimento e venne salutata col grido di: «Evviva il Partito Operaio Italiano»

Però il sistema di adesione collettiva mise ben presto di fronte a insuperabili difficoltà: individualmente arrivavano consensi e simpatie (erano di quel tempo le manifestazioni favorevoli di uomini delle alte classi come Simone Weill-Schott, Prospero Moisé Loria e altri), ma nessuno si sentiva di mettere le sorti e gli interessi collettivi delle organizzazioni operaie in balia e sotto i colpi delle persecuzioni che il decreto prefettizio di scioglimento poteva sempre autorizzare. Per queste considerazioni fu deciso di trasportare il centro del movimento fuori della provincia di Milano e a tal scopo fu indetto un Congresso generale a Pavia nei giorni 18-19 settembre 1887.

“Ero ritornato in prigione per scontare il resto della pena che mi era toccata e dopo una quindicina di giorni avevo ripreso il mio tenore di vita ma, nemmeno ingegnandomi col mio materiale tipografico, un lavoro stabile e serio non riuscii a trovarlo più. Ero scoraggiato e preoccupato per i bisogni della famiglia e malandato di salute fisica e morale; pensai di rivolgermi agli amici che mi volevano bene. Bissolati di Cremona mi mandò 500 lire — allora erano un capitale — e De Franceschi mi offrì un posto come contabile nel suo ufficio di ingegneria con uno stipendio di 90 lire al mese, lasciandomi naturalmente piena libertà di dedicarmi alla propaganda militante dopo il normale orario del suo ufficio. Quindi ripresi poco a poco la mia attività in compagnia dei vecchi amici ed accettai di partecipare al nuovo congresso. In causa della grave penuria di danaro che era generale fra di noi delegati di Milano, decidemmo di andare a Pavia a piedi viaggiando per buona parte della notte".

Il Congresso dopo due giorni di discussione si concluse con l'approvazione del programma. Le disposizioni statutarie erano distribuite in 28 articoli e la sede del Comitato Centrale venne fissata in Alessandria dove le organizzazioni avevano meglio resistito alla bufera della repressione e dove vi era un saldo nucleo.

Il giornale continuò a pubblicarsi in Milano con varia fortuna presso una Società Operaia Mutua ed Istruttiva alla quale si erano iscritti i vecchi compagni della disciolta Lega dei Figli del Lavoro, ed era il centro da cui irradiavano le agitazioni della classe operaia milanese.

11. La vita privata

“In quel frattempo, nelle diverse riunioni di operai e di operaie che andavamo facendo, io avevo notato la presenza di una giovane cucitrice in guanti, certa Giuseppina Manzoli la quale prendeva sovente la parola per esporre in modo semplice e suggestivo le dure condizioni di vita e di lavoro della sua categoria. Era una giovane pallida, di alta statura, di carattere serio, e ben presto fra noi si stabilì una viva corrente di simpatia. Apparteneva ad una famiglia di poveri proletari: il padre, venuto dalla campagna, era un abile e robusto fuochista presso la Società del Gas ... la Giuseppina aveva cominciato come pulitrice in una fonderia di caratteri e poi era andata in una fabbrica di guanti come cucitrice: il suo lavoro era una specialità ricercata per cui guadagnava bene .... In quel povero ambiente che io frequentavo, la nostra simpatia diventò ben presto una relazione, ma la povera Giuseppina che da anni ed anni lavorava a macchina aveva contratto una grave malattia negli organi interni per cui, da me consigliata, venne operata all'Ospedale Maggiore dal Prof. Luigi Mangiagalli, al quale l'avevo raccomandata a mezzo dell'amico De Franceschi.

Nella primavera del 1889 uscì guarita dall'ospedale e decise di sposarla civilmente con la "fiducia

che colla sua compagnia la mia esistenza avrebbe avuto un ritmo più regolare e più razionale. È stato questo uno dei miei più gravi errori; per quanto essa condividesse pienamente le mie idee e il mio ardore politico, la sua femminilità era stata infranta e la nostra casa restò una povera casa deserta e sterile senza il sorriso né la gioia dei bambini, mentre io avevo così vivo e forte l'istinto paterno! Anche per questa ragione la passione esuberante della mia vita si concentrò tutta nell'attività politica alla quale io dedicavo tutti i ritagli di tempo, di giorno e di notte, che mi restavano disponibili.”

Qualche anno dopo “l'amico dott. Viscardi andato in rotta con sua moglie, mi propose, dal momento che io amavo tanto i bambini, di allevare i suoi due figliuoli, Bruno di 6 e Mario di 3 anni. Accettai con entusiasmo e da allora in poi la nostra casa con la presenza e colle cure per quei due cari ragazzini fu un vero teatro di festa e di gioia!” Tanto era forte il suo istinto paterno, che nel 1915 adottò Caterina Devoti, una bambina rimasta orfana in occasione del terremoto della Marsica del 13 gennaio, che gli tenne compagnia negli ultimi anni e cui fece intraprendere gli studi magistrali

12. I Congressi di Bologna (1889) e Milano (1890) del POI

Per sviluppare l’organizzazione del Partito venne convocato il quarto Congresso a Bologna nei giorni 8, 9 e 10 settembre 1889; in esso venne elaborato, discusso ed approvato, pur tra contrasti, il programma comunale che il Partito avrebbe adottato per la sua partecipazione alle prossime elezioni generali amministrative.

L'autorità ogni tanto, con qualche sequestro del giornale o con qualche perquisizione domiciliare, veniva ad interrompere il lavoro organizzativo. Nella notte del 22 maggio 1889, mentre era stata appena trasportata la sede del giornale in Piazza Vetra e arrivavano dalla provincia notizie che i contadini in sciopero si ribellavano ai carabinieri, “venimmo tutti arrestati nelle nostre case e rinchiusi nel carcere cellulare. Dopo un mese di prigione, senza la notifica di alcuna accusa, fummo rimessi in libertà e riprendemmo il nostro lavoro, ma eravamo tanto stremati di forze e tanto minacciati dalle continue persecuzioni che, dopo alcuni mesi, fummo costretti ad abbandonare anche la pubblicazione del giornale” e infatti il 16 novembre 1889 uscì in Milano l'ultimo numero del Fascio operaio.

Ma i compagni di Alessandria il 16 maggio 1890 intrapresero essi stessi la pubblicazione del Fascio operaio, specialmente allo scopo di organizzare il quinto congresso del Partito che ebbe luogo a Milano nei giorni 1 e 2 novembre 1890.

In questo Congresso si fece una revisione della situazione, la quale aveva assunto una speciale importanza dopo la celebrazione del 1° maggio, che si era fatta in Italia per la prima volta quell'anno e che era stata accolta dalla classe lavoratrice col più grande favore. Nel Congresso di Milano Lazzari è relatore del quinto punto all’OdG, quello sulle coooperative.

Né si trascurava la partecipazione alla vita internazionale della classe lavoratrice: “nel novembre 1888 io ero andato come rappresentante italiano al Congresso Mondiale delle Trade Unions tenutosi a St. Andrew Hall di Londra (il Comitato Centrale di Alessandria non aveva potuto raccogliere a questo scopo più di L. 278, ma io in nove giorni di viaggio e permanenza che passai dormendo su una poltrona in casa di Paolo Valera, risparmiai ancora 50 lire)” e nel luglio 1889 Giuseppe Croce era andato a Parigi per rappresentare il POI al Congresso di fondazione dell’Internazionale Socialista.

Il 12 aprile 1891 a Milano si tenne un "Comizio internazionale per i diritti del lavoro". Di fronte a una platea di oltre mille persone presero la parola i più noti esponenti dei gruppi di estrema sinistra (dai radicali agli anarchici) e portarono il loro saluto alcuni rappresentanti di movimenti socialisti europei, mentre Filippo Turati lesse un messaggio inviato da Wilhelm Liebknecht.

L'iniziativa era stata promossa nel mese di marzo da un gruppo di cinquantasette associazioni popolari milanesi, tutte di area radical-democratica, e da un comitato nazionale del quale facevano parte i maggiori esponenti dell'Estrema Sinistra: Rosa, Bovio, Cavallotti, Maffi, Colajanni, ma anche Andrea Costa, Gregorio Agnini e Antonio Labriola.

Segno questo che si andava ricomponendo il conflitto tra operaisti e radicali divampato cinque anni prima in occasione della denuncia di Cavallotti, che abbiamo visto Lazzari enfatizzare e presentare come definitivo

Per il comizio fu anche preparato un "numero unico” che si intitolava “/ diritti del lavoro” e conteneva alcuni messaggi augurali (di Engels e altri) e brevi scritti di agitazione, tra i quali quelli di Antonio Labriola, di Costantino Lazzari (Gli scioperi), di Filippo Turati e di Anna Maria Mozzoni

Ma persistevano divisioni culturali e ideologiche, che emergevano con particolare evidenza ogni qual volta si discutesse di legislazione sociale, di leggi di protezione del lavoro, di rapporto tra movimento operaio e Stato, poiché su questo terreno i diversi gruppi continuavano a mantenere le proprie posizioni, e ciononostante a lavorare fianco a fianco, a comparire nelle stesse manifestazioni, a disputarsi lo stesso spazio politico.

Infine nel giugno del 1891, in occasione delle elezioni amministrative milanesi, si arrivò a un accordo politico e alla formazione di un blocco tra radicali, operaisti, Lega socialista e mazziniani

13. La fondazione del Partito socialista a Genova (1892)

Profittando delle agevolazioni ferroviarie previste in occasione del centenario di Colombo, venne convocato a Genova nei giorni 14 e 15 agosto 1892 un congresso al quale parteciparono tutti gli elementi che si interessavano delle questioni operaie. Il POI, entrato in una fase di crisi, vi prese parte insieme alla Lega socialista milanese che era rappresentata da Filippo Turati e Anna Kuliscioff, e la caotica discussione cominciata nella Sala Sivori si concluse con una netta separazione fra i militanti anarchici che rimasero legati alle loro teorie, e gli altri che volevano mettersi sul terreno della lotta di classe. Per poter fare liberamente ciò, dopo una intera giornata di furibonde discussioni procedurali, prima per la nomina della Presidenza e poi per l'ordine dei lavori, si radunarono separatamente i rappresentanti di 150 associazioni, i quali dopo aver votato la seguente mozione: «I sottoscritti rappresentanti di associazioni intervenute al Congresso del Partito dei Lavoratori Italiani invitano tutti gli altri congressisti che accettano la lotta elettorale come uno dei mezzi per la conquista dei pubblici poteri, alla riunione che si terrà oggi lunedì nella sala della Società Carabinieri Genovesi“, iniziarono la discussione ed approvazione dello Statuto, che si componeva di soli 5 articoli; venne deliberato che l'organo del Partito sarebbe stato il giornale Lotta di classe che i socialisti milanesi avevano cominciato a pubblicare ogni settimana. Il Comitato centrale venne nominato nelle persone di Antonio Maffi, Costantino Lazzari, Giuseppe Croce, Enrico Bertini, Carlo Dell'Avalle, Luigi Fossati e Camillo Prampolini venne designato a dirigere il giornale.

Oltre agli impegni politici, che assorbivano le ore serali e le giornate domenicali, Lazzari continuava la sua funzione contabile presso l'ingegner De Franceschi, che aveva sviluppato la sua

azienda: il suo studio si era trasformato in una officina meccanica e anche il suo stipendio era salito a 150 lire mensili. "Ciò mi aveva permesso di passare da quell'umile stanzetta che occupavo con mia moglie nella casa di corso Genova 17, in un appartamentino di due camere, per ammobiliare le quali l'amico Della Torre Luigi, che avevo allora conosciuto, mi aveva prestato 300 lire. (...) Ma un bel giorno l'ing. De Franceschi credette di dover procedere a certi cambiamenti nell'andamento dell'amministrazione che io non credevo fossero, dopo cinque anni di fiducia, conciliabili colla mia dignità: di più, per aver prestato in suo nome 10 lire all'amico Majocchi che era appena uscito di prigione, e per aver lasciato rompere in officina una macchina di cui mi aveva affidato il carico, mi aveva imposto il rimborso di quelle ed una multa di 20 lire per questa"

14. Trasferimento a Busto Arsizio

Licenziatosi, andò a Busto Arsizio come impiegato amministrativo presso la ditta di Enrico Castiglioni, anche per fare compagnia alla sorella Bice che là era diventata maestra comunale. Anche la nomina della sorella a quel posto di Busto ebbe le sue contrarietà politiche. Essa aveva cominciato la sua carriera a Musocco nella scuola femminile "con 102 bambine e con 42 lire mensili di stipendio" poi, caduta ammalata di petto, aveva dovuto sospendere le fatiche dell'insegnamento. Si era iscritta presso il Provveditorato di Milano, ma i mesi passavano inutilmente perchè il Provveditore era fratello del deputato radicale Scipione Ronchetti, che credeva di dare così prova di amicizia al suo collega Cavallotti.

Avvisata dagli amici che a Busto Arsizio vi era vacante un posto, essa si affrettò a concorrere, ma non l'avrebbe ottenuto se non era per l'appoggio del Soprintendente scolastico, perchè in Consiglio comunale era sorto il radicale Travelli ad opporsi alla sua nomina.A Busto Arsizio rimase un paio di anni sempre impiegato presso la ditta Castiglioni con uno stipendio mensile di 120 lire. “Furono forse gli anni più belli della mia vita coniugale, passati in compagnia dei figliuoli Viscardi e di mia sorella, circondati dall'amore degli amici e dalla simpatia di tutta la popolazione”

In mezzo a quella folta massa di operai e di operaie, andò sviluppando l'organizzazione del Circolo Operaio di M. S. e quella di una Cooperativa di Consumo. L'esempio di quanto si faceva a Busto Arsizio destava una gara in tutti i paesi del circondario e dappertutto sorgevano iniziative di organizzazione e di propaganda sia fra i lavoratori dell'industria che fra i contadini. Nondimeno coi compagni di Milano aveva mantenuto le più amichevoli relazioni: “sovente, nelle lunghe serate invernali, ci trovavamo a passeggiare in Galleria”

15. Nascita della Camera del Lavoro e della Società Umanitaria

Nelle elezioni generali amministrative del 1889 i pochi socialisti ed operai che avevano potuto entrare nelle Amministrazioni comunali e provinciali vi avevano portato l'eco dei bisogni specifici delle classi lavoratrici che per il passato non erano mai stati considerati e fu cosi che il Comune di Milano nel 1891, dietro proposta di Gnocchi-Viani, deliberò di concorrere per l'organizzazione del mercato del lavoro cittadino, concedendo alcuni locali disponibili nel Castello che era stato abbandonato dall'autorità militare e diecimila lire di sussidio annuo. Si formò cosi il primo nucleo di quella forma di Camere del Lavoro che dovevano poi diffondersi in tutta Italia e rappresentare le forze locali della classe lavoratrice, sia industriale che agricola. “Noi, vecchi avanzi del Partito Operaio, ci radunavamo si può dire ogni sera colle nostre famiglie in quei locali del Castello, per discutere intorno al miglior modo di dare fondamento stabile e sicuro alla nuova istituzione", che ebbe ufficialmente inizio nell'ottobre del 1891 con una memorabile riunione a cui presero parte i rappresentanti e i membri delle varie arti e mestieri

A queste iniziative venne presto ad aggiungersi una nuova istituzione dovuta alla genialità utopistica di un singolare personaggio: Prospero Moisé Loria, israelita ed ex-banchiere, il quale viveva sdegnoso e solitario in una bellissima casa di via Alessandro Manzoni. "Una volta sola ebbi occasione di parlargli per domandargli aiuto in un frangente di sciopero disperato e ricordo che, timoroso e sospettoso, mi ricevette in cortile e mi diede un biglietto da 250 lire scongiurandomi di non farlo sapere a nessuno. Poi, passeggiando nell'atrio della sua casa, mi confidava che la sua idea era quella di intervenire a favore degli operai milanesi mediante la fondazione di una grossa istituzione cooperativa agricola, che valesse a frenare l'esodo urbano dei contadini il cui affollamento nella città per trovare qualche lavoro industriale faceva ribassare i salari e produceva la crisi della disoccupazione. «Vedi - mi diceva- io ci metto 5 milioni, Weill-Schott ce ne mette 1, De Asarta 1 e cosi facciamo una grande azienda di campagna per trattenere i contadini nel lavoro agricolo... Questa sarebbe l'impresa alla quale dovreste dedicarvi anche voi e non la lotta che sostenete! .«Sta bene - rispondevo io - voi altri che avete i mezzi finanziari fate pure i vostri tentativi. Noi che siamo spinti dal bisogno, abbiamo un obbiettivo di miglioramento immediato; lavorare di meno (la giornata di otto ore rimedia alla disoccupazione) e guadagnare di più e questo rimedia alla miseria. Aiutateci a sostenere questa lotta, noi ci mettiamo il fastidio e il pericolo...».«Ma se si sapesse, se si sapesse! Cosa si direbbe contro di noi?». «Non si saprà nulla»; ma più di quel biglietto da 250 lire non riuscii a strappargli.”

Nel novembre 1892 Prospero Moisé Loria morì e lasciò per testamento tutto il suo patrimonio liquido, circa 13 milioni, per fondare la Società Umanitaria collo scopo di «fornire ai diseredati i mezzi per elevarsi da sé». L'esempio della Camera del Lavoro di Milano venne ben presto seguito ed imitato a Firenze, a Genova, a Torino, a Venezia, a Parma, a Bologna, ecc. e una nuova rete di interessi e di rapporti collettivi della classe lavoratrice veniva a stendersi da un capo all'altro della nazione.

16. Amministratore della “Lotta di classe”

Col concorso di così favorevoli circostanze i socialisti di Milano, allo scopo di orientare lo sviluppo del movimento proletario, avevano iniziato nel luglio 1892 la pubblicazione di un settimanale col titolo Lotta di classe, mediante la formazione di una società di azionisti, i quali si impegnavano al pagamento di almeno un'azione di L. 250. A dirigere il giornale era stato chiamato da Torino il giovane avvocato Claudio Treves, abile e coraggioso polemista, al quale era affidato l'incarico anche della compilazione e redazione.Si trattava dunque di un organo squisitamente politico destinato a dare e mantenere alla organizzazione una rigorosa unità di indirizzo, consolidandovi le aspirazioni socialiste Il successo fu rapidissimo, tanto che si rese presto necessario il lavoro continuo e quotidiano di un impiegato amministrativo e contabile per secondare lo sviluppo dell'azienda. "Si misero gli occhi sopra di me e l'ing. De Franceschi cominciò a farmene la proposta mostrandomi i diversi aspetti convenienti materialmente o moralmente per me. Mi schermii per qualche tempo ... ma la sua insistenza fu tanta, l'impegno scritto che egli si prese di farmi assegnare uno stipendio di almeno 200 lire al mese era cosi serio, che io finii per arrendermi ed in principio del 1893 ritornai a Milano, andando ad abitare colla moglie e coi figli di Viscardi"

Col suo lavoro regolare e continuo l'azienda giornalistica acquistò subito un carattere di serietà e di solidità fino allora sconosciuto. Però il Consiglio d'Amministrazione, viste le forti passività del primo bilancio, trovò opportuno ridurre il suo stipendio a sole 150 lire mensili e "questa fu una mia prima delusione. Protestai tanto che in seguito il mio povero stipendio venne portato a 175 lire mensili".

17. L'adesione di De Amicis al Partito socialista

Fu in questo frattempo che ebbe occasione di entrare in rapporti personali con Edmondo De Amicis, "le cui simpatie per le idealità socialiste io riuscii a convertire in una vera e propria adesione politica." Già attratto e sedotto dallo stile e dallo spirito degli articoli di Filippo Turati che comparivano sulla “Critica sociale”, De Amicis aveva domandato di sottoscrivere una azione della Cooperativa “Lotta di classe”. Come amministratore Lazzari gli mandò il titolo da firmare e cominciò così un'amichevole corrispondenza in seguito alla quale, avendo avuto occasione di andare a Torino lo andò a trovare a casa.

"Egli mi raccontava come le sue prime impressioni di carattere sociale si fossero formate assistendo dalle finestre della sua abitazione alla brutale repressione poliziesca di uno dei primi cortei del 1° Maggio... ammirava lo spettacolo grandioso di quella folta schiera ordinata e pacifica di uomini e di donne del ceto operaio che sfilava lenta e solenne cantando non più gli inni dei vecchi ideali, ma le aspirazioni nuove. Ad un tratto un gruppo di poliziotti, di questurini e di delegati colle insegne della patria si gettava contro quel corteo e lo scompigliava atterrando uomini e donne, mentre compariva sulla piazza uno squadrone di cavalleria colle sciabole sguainate.."

Questo attacco al pacifico diritto di riunione, che era stata la gloriosa rivendicazione statutaria della vecchia generazione, lo aveva colpito e da allora si era messo a riflettere profondamente, a osservare e studiare il mondo dei proletari e quella questione sociale che sollevava i furori della legge e dell'ordine. "Egli mi diceva che pensava di scrivere un libro per glorificare gli stenti e i diritti della folla povera ed innumerevole, io gli mostravo che c'era qualcosa di più direttamente utile da fare, dal momento che la lotta era dichiarata: mettersi di qua o di là. E questo era il mio ritornello favorito sul quale io picchiavo sempre, fin quando egli mi annunciò di essersi deciso per la vita e per la morte, iscrivendosi nella Sezione di Torino. E mantenne la parola fino alla fine" Le sue opere letterarie dopo d'allora hanno tutte la sua nuova ispirazione; il suo discorso del 1895 alla Associazione Universitaria di Torino è un invito alla gioventù a partecipare alla lotta socialista e dietro insistenza di Lazzari scrisse due articoli pubblicati poi sulla “Lotta di classe”.

18. Il Congresso di Reggio Emilia e quello clandestino di Parma

Nel settembre 1893 ebbe luogo a Reggio Emilia il secondo Congresso Nazionale, alla presenza di 300 delegati: qui prese il nome di Partito Socialista dei Lavoratori Italiani, il programma fu completato e confermato, il Gruppo parlamentare vi ebbe il suo primo riconoscimento e la sua disciplina (fu questa un'innovazione, imitata poi dagli altri partiti quandi si formarono), il giornale Lotta di classe diventò l'organo centrale della organizzazione, la quale raggiungeva così la sua unificazione. Lazzari prese parte attivissima alla discussione ed ai lavori del Congresso.

Però, mentre nell'Italia centro-settentrionale gli effetti di questa rinnovata vitalità del Partito si traducevano in un intenso ed ordinato lavoro di educazione e di organizzazione proletaria con lo sviluppo delle Camere del Lavoro, la formazione di leghe e di federazioni operaie e contadine, la partecipazione a tutte le manifestazioni di attività legislativa e sociale (Lazzari rappresentò la Camera del Lavoro al Congresso Internazionale sugli Infortuni e Assicurazioni Sociali che ebbe luogo a Milano dal 1° al 6 ottobre 1894), in Sicilia a migliaia accorrevano ad iscriversi nei Fasci dei Lavoratori che sorgevano in ogni paese, manifestando il malessere generale e il malcontento del popolo con dimostrazioni che il governo fronteggiava schierando poliziotti, soldati e carabinieri.

Ne nacquero conflitti cruenti; le notizie di queste sanguinose repressioni provocarono altre

dimostrazioni ugualmente represse colle violenze militari. Come epilogo il governo di Francesco Crispi decretò lo stato d'assedio in Sicilia e in Lunigiana; gli arresti avvennero a centinaia e i tribunali militari condannarono ad enormi pene i capi e i gregari del movimento proletario di quelle provincie. Per meglio fronteggiare la situazione, fu convocato il terzo Congresso Nazionale ad Imola per i giorni 7, 8 e 9 settembre 1894, ma il governo lo proibì, finché il 22 ottobre emanò un decreto di scioglimento di qualsiasi organizzazione del Partito Socialista dei Lavoratori Italiani. Il giornale, che aveva pubblicato un suo articolo col titolo La commedia è finita, venne sequestrato e in seguito ritornò alla luce intestandosi soltanto come organo dei socialisti italiani.

Nonostante queste difficoltà, continuò il lavoro di propaganda e di proselitismo, approfittando di tutte le occasioni che si presentavano: Lazzari ebbe un contradditorio col neo-repubblicano Dario Papa; andò candidato nel collegio di Porto Maurizio; in un comizio elettorale tenuto nel ridotto del Teatro alla Scala presentò la candidatura del socialista siciliano Nicola Barbato; fu candidato provinciale a Busto Arsizio, tenendo varie e contrastate conferenze nei paesi del mandamento

Un intenso e continuo lavoro per il quale fu processato una volta insieme a tutti gli altri membri del Comitato Centrale, perché colpevoli di solidarietà col movimento dei lavoratori siciliani e poi, isolatamente, perché colpevole di aver fatto «l'apologia del delitto nel delinquente», presentando e sostenendo la candidatura di Nicola Barbato. Nel primo grande processo furono tutti condannati alla pena del confino, scontata durante l'anno seguente; nel secondo fu condannato lui solo a tre mesi di reclusione. In mezzo a questa febbrile attività persuase i compagni del Comitato Centrale a rifare le basi della organizzazione del Partito, prima di andare dispersi nei vari paesi dove erano stati confinati e infatti, a questo scopo, fu convocato il terzo Congresso Nazionale (quello che non si era potuto svolgere a Imola) a Bologna per il 13 gennaio 1895.

La polizia bolognese si mobilitò per impedire l'annunciata riunione, ma i rappresentanti, debitamente avvisati, si riunirono segretamente a Parma in una saletta privata. Erano in 64 delegati provenienti da ogni parte d'Italia: “restammo chiusi tutto il giorno, in piedi, al freddo, intorno ad un modesto tavolo dove avevano potuto sedere soltanto i dirigenti della discussione, mentre di fuori nevicava disperatamente". Lazzari fece una sommaria relazione della situazione in cui si trovava l'organizzazione del Partito in seguito al suo scioglimento, espose i risultati che l'esperienza aveva forniti e a nome del Comitato Centrale presentò la proposta di confermare l'antico programma, scegliendo per titolo il nome semplice e comprensivo di Partito Socialista Italiano e sostituendo al sistema delle adesioni collettive quello delle singole adesioni personali raccolte in sezioni di almeno 10 iscritti. "La discussione avvenne rapida e cordiale: ci trovammo presto tutti d'accordo e alla sera ci separammo coi migliori propositi di portare ognuno nella sua regione la buona novella dell'avvenuta nostra ricostituzione".

In effetti il criterio dell’adesione individuale, sul modello della socialdemocrazia tedesca (mentre il sistema delle adesioni collettive era caratteristico del laburismo britannico), fu motivata come prova dell’avvenuta maturazione nei singoli militanti di una consapevole coscienza di classe ma nacque da considerazioni di opportunità, come espediente per sottrarsi alla repressione crispina: separare dalle sezioni di partito le organizzazioni di classe significava consentire a queste un almeno formale agnosticismo politico che le collocava nelle retrovie della battaglia preservandone l’esistenza per tempi migliori. Turati, tra gli altri, era riluttante ad accogliere la formula per timore dell’irruzione nel partito di piccoli borghesi famelici e demagoghi, specialmente nelle sezioni dell’Italia meridionale

18. Polemiche sulla tattica

La repressione del governo Crispi provocò per contraccolpo la convergenza di tutta l'estrema (repubblicani, radicali, socialisti). La Lega per la difesa della libertà sorta a Milano nel novembre 1894 , di cui fu tra i promotori, fu il prodotto della rinnovata alleanza dei tre gruppi: radicali, repubblicani e socialisti. Durante il 1895 furono celebrati i processi contro le sezioni del Partito dei Lavoratori Italiani, e ad alcuni di questi fu chiamato come testimone: "ricordo quello che si svolse nella Pretura di Revere mantovano. I poveri nostri compagni si difendevano come potevano dalla minaccia di essere mandati a domicilio coatto: non facevano certo gli eroi, ma non sconfessavano le loro idee." Fu in una di quelle circostanze che la Crìtica sociale pubblicò un articolo di aspro commento "Io mi credetti in dovere di scrivere una risposta nella quale facevo anche una pungente polemica contro le teorie dell'opportunismo politico e parlamentare che cominciavano a far capolino fra gli scrittori della suddetta rivista e lo portai a Filippo Turati" che si rifiutò di pubblicare il suo articolo. In effetti nel PSI iniziarono a delinearsi le "tendenze" come allora venivano chiamate le correnti, con il prevalere di quella riformista che varò in un consiglio nazionale del marzo 1895 il "programma minimo" e iniziò un lungo periodo di egemonia, che vide Lazzari in minoranza e all'opposizione fino al 1912.

Fu in quel tempo che la Lotta di classe ebbe bisogno di qualche aiuto finanziario straordinario e Lazzari, che altre volte ero ricorso per prestiti a Turati e Treves ma non voleva più farlo a causa dei dissensi, si fece prestare da Bertini, cassiere del disciolto Partito, una somma di 500 lire la quale, dato il decreto di soppressione, non doveva figurare nei registri che annualmente si dovevano presentare al Tribunale per la vidimazione. Dovendo presentare in Tribunale il bilancio annuale della Cooperativa editrice e volendo nascondere quell'operazione finanziaria compiuta colla non più esistente cassa del Partito, utilizzò un espediente contabile "mai più pensando che col progredire del tempo si sarebbe fatta di quell'innocuo incidente una spregevole accusa contro la mia reputazione."

19. Il domicilio coatto a Borgataro

Venuta la fine del 1895 ricevette intimazione di partire per scontare a Borgotaro la pena dei cinque mesi di confino a cui era stato condannato un anno prima. Doveva partire il 24 dicembre e domandò invano una proroga. "Alla mattina del 24 un questurino mi condusse in stazione, mi diede un biglietto di terza classe e partii con un freddo cane mentre la neve cadeva a larghe falde". Borgotaro era un antico grosso borgo dell'Alto Appennino parmense sede di Sottoprefettura. La popolazione del centro urbano si componeva, oltre che dei funzionari governativi e comunali, di pochi artigiani e commercianti, di alcuni professionisti, medici, avvocati, ingegneri e di molti contadini piccoli proprietari dei terreni e dei boschi circostanti, nonché di braccianti di campagna. La vita del borgo si svolgeva calma ed inerte senza preoccupazioni né passioni politiche o sociali: soltanto nei periodi elettorali saltavano fuori due partiti, uno monarchico-conservatore e l'altro repubblicaneggiante. " A mezzo di un simpatico e sgangherato faccendone del paese che era chiamato col soprannome di Bombarda, trovai da affittare a 25 lire mensili una modesta cameretta e cominciai la mia vita di confinato.... i ferrovieri che avevano saputo del mio arrivo mi accoglievano fraternamente nella stazione. L'amico Bombarda mi aveva fatto conoscere, fra altri, un giovane curato di una lontana parrocchia di montanari e con lui, che era intelligente, istruito, spregiudicato e generoso, entrammo subito in grande amicizia.”

Nella tipografia del paese stampò l'inaugurazione dell'anno giudiziario del Procuratore del Re guadagnando 25 lire; trovò da insegnare a tre o quattro giovinetti un po' di lingua francese dietro compenso di 10 lire mensili e in questo modo fu in grado di lasciare alla moglie rimasta a Milano

almeno la metà dello stipendio che l'amministrazione della “Lotta di classe” continuava a mandargli, considerandolo trasformato da amministratore in collaboratore e corrispondente. Cominciò un po' di propaganda: affittata per poche lire una cameraccia abbastanza centrale nel paese, vi fece portare un tavolino e mezza dozzina di panche noleggiate e mandò ad una cinquantina di capi famiglia un invito per una conferenza privata sul tema: La questione sociale e i lavoratori.

“Vennero una ventina di persone che entravano ravvolte nei tabarri, silenziosi e diffidenti come congiurati. A metà del mio discorso cinque o sei se ne andarono annoiati e sonnolenti, ma vidi che i rimasti erano favorevolmente impressionati. Dopo alcuni giorni mandai un secondo invito col tema: I partiti politici e la rivoluzione sociale, la sala si riempi di un uditorio vivace ed animato che mi ascoltò con grande simpatia ed interesse e gli intervenuti se ne andarono commentando il mio discorso con quelle significanti invettive del dialetto parmigiano che significavano approvazione e consenso. Questo mi incoraggiò a mandare un terzo invito annunciando per tema: La classe operaia e il socialismo. La saletta, la scala e la strada si riempirono di gente impaziente ed eccitata che mi accolse plaudendo e mi salutò alla fine con grandi acclamazioni e colla promessa che si sarebbe iniziato subito il lavoro di organizzazione"

All'indomani, mentre ingenuamente pensava di gettare le basi di una sezione del Partito, venne il maresciallo dei carabinieri per notificargli un decreto della Procura che, vista la propaganda con cui continuava i reati per cui era stato condannato, convertiva la pena del confino in cinque mesi di carcere, comprendendovi anche la condanna per apologia compiuta durante le elezioni di Nicola Barbato a Milano, essendo quella sentenza diventata esecutiva. Al termine della condanna, scontata nel carcere locale, in una riunione di dieci amici fu costituita la sezione socialista e da allora in poi anche Borgotaro ebbe il suo piccolo nucleo di militanti

20. Il giurì per la gestione della “Lotta di classe”

Nel marzo 1896, quando era ancora detenuto, ricevette dal Consiglio d'Amministrazione della Lotta di classe una comunicazione che gli notificava il licenziamento dal posto che occupava come amministratore. "Fu per me un fulmine a ciel sereno: conoscevo le obbiezioni e le osservazioni a cui aveva dato luogo l'artificiosa scritturazione delle 500 lire prestate dalla cassa del Partito per chiudere alla meglio il bilancio da presentare al Tribunale, ma non avrei mai pensato che a quella questione si sarebbe data una simile soluzione, tanto più mentre stavo carcerato per un interesse di partito. Fu tanta l'amarezza di vedermi cosi bistrattato che per qualche giorno credetti di impazzirne: ne perdetti il sonno e l'appetito (...) Ritornai a Milano stanco ed avvilito senza risorse e senza occupazione. Mia sorella, a cui all'ospedale avevano mutilato una gamba, era venuta a morire in casa mia; mia moglie stentava a far fronte ai bisogni quotidiani; io mi trovavo mezzo ammalato per una sinovite che mi aveva fatto gonfiare le gambe e scoppiare un tumore in un piede e camminavo appoggiato ad un bastone" ma gli amici del V Collegio, dove era candidato per la prima volta Filippo Turati, in sostituzione di Nicola Barbato la cui elezione era stata annullata, lo trascinarono nella lotta elettorale e gli fecero tenere parecchi discorsi di propaganda.

Per guadagnare da vivere accettò di andare come segretario alla Camera del Lavoro di Monza che si stava allora costituendo e cosi abbandonò ancora Milano. A Monza guadagnava tre lire al giorno che divideva con la moglie rimasta a Milano per compiere gli studi da levatrice al fine di cercare un'altra occupazione visto che per rappresaglia politica gli industriali non le davano più lavoro.

In quelle condizioni, un giorno che era venuto a Milano per incarico degli operai monzesi, trovò in

strada l'amico avvocato Luigi Majno il quale si mostrò indignato per il modo con cui era stato trattato da “Lotta di classe” e propose, per esaminare e risolvere la questione in modo onorevole, di nominare un giurì composto da lui, da Gnocchi-Viani per Lazzari e dal ragionier Castiglioni per il Consiglio della Cooperativa Lotta di classe.

21. Commesso viaggiatore del socialismo

Intanto era andato come rappresentante al Congresso Nazionale, che si teneva a Firenze nei giorni 11-12-13 luglio 1896. Era quello il primo congresso del ricostituito Partito Socialista Italiano (quarto nell'ordine dei congressi socialisti italiani) nel quale l'organizzazione del Partito aveva già potuto presentarsi con 442 sezioni, 19.000 iscritti e 27 settimanali. L'incoraggiante risultato del Congresso di Firenze aveva impegnato la Direzione del Partito ad affrettare i preparativi per la fondazione di un giornale quotidiano e Lazzari fu chiamato a far parte di una commissione composta dai compagni Cabianca, Della Torre, Ferri, Lollini, Morgari, Soldi.

"Incaricato di indicare chi poteva essere designato come direttore, dopo aver accennato alle ragioni che sconsigliavano la scelta di Turati e di Ferri, tanto favorevolmente noti nel giornalismo socialista ma già impegnati personalmente colla pubblicazione di proprie riviste, consigliai di scegliere Leonida Bissolati il quale, colla prefazione ad una edizione italiana del Capitale di Marx, aveva dimostrato quanto amore e quanto attaccamento egli avesse per la precisa interpretazione della dottrina rivoluzionaria e della politica antiborghese".

Abbiamo qui una manifestazione dei limiti ideologici e dell'ingenuità politica che portarono Lazzari, avversario del riformismo, a proporre per la direzione dell'organo di indirizzo politico e di formazione dell'opinione del Partito il più conseguente e limpido dei riformisti, così come nel 1912 a indicare, sempre per la direzione dell' “Avanti!”, prima Salvemini che era uscito dal Partito a destra e poi Mussolini che aveva già allora una collocazione autonoma più vicina ai sindacalisti rivoluzionari che agli “intransigenti”.

Bissolati accettò e si trasferi a Roma dove unitamente a Morgari si gettarono le basi del giornale “Avanti!” che vide la luce il 25 dicembre 1896 appoggiato da 3.000 abbonati e con una prima tiratura di 50.000 copie.

"In quanto al giurì, ogni tanto Gnocchi-Viani mi avvisava che c'erano in aria delle grandi ostilità contro dì me contro le quali egli lottava sempre, ma che si stavano esaminando i libri commerciali della Cooperativa ed a suo tempo si sarebbe pubblicato il lodo definitivo."

Besana gli propose di entrare nella sua azienda come viaggiatore per il suo commercio di tessuti, con una provvigione del 3% e il rimborso delle spese. Accettò e così sul finire dell'estate 1896 partì col suo campionario, cominciando il giro del Bolognese, del Ferrarese, della Romagna, ecc. “Combinavo dei piccoli affari coi vecchi clienti della ditta, ma intanto facevo delle preziose conoscenze e alla sera ero pienamente libero coi pochi socialisti residenti nelle città e nei villaggi coi quali passavo cosi alcune ore felici di propaganda e di fraternità.(...) vita nomade, così contraria alle mie abitudini casalinghe — ho sempre odiato l'ambiente venale e trascurato degli alberghi e delle osterie — aveva pure le sue soddisfazioni. I viaggi duravano perfino quattro o cinque mesi perché io li avevo estesi fino alla Toscana, al Lazio e nell'Umbria e si ripetevano per ogni stagione estiva ed invernale: essi mi permettevano di percorrere tante zone e tante provincie che altrimenti non avrei mai veduto e di conoscere tanti preziosi elementi della vita politica italiana."

Certo anche questa attività non era senza inconvenienti a causa della ostilità delle autorità: nel

Mantovano e nel Polesine i contadini quando lo vedevano arrivare combinavano delle piccole riunioni di propaganda che avvenivano fuori dai centri, in località lontane e disperse, lungo gli argini; “a Sassuolo, per essere riuscito a tenere una riunione privata, fummo assaliti dai carabinieri; a Lugo fui processato e condannato per una conferenza tenuta in pubblico senza permesso, ma ciò non toglieva nulla alle attrattive di quella vita” perché dovunque passava sorgevano nuclei di aderenti o simpatizzanti e si formavano sezioni del Partito.

In generale ciò non era di ostacolo al lavoro commerciale che doveva fare, anzi in molti luoghi lo favoriva per l'interesse e la simpatia che la sua presenza destava nelle popolazioni, come avvenne a Comacchio, dove fu il primo a portare sulla pubblica piazza la parola e l'azione della propaganda socialista. Agli affari commerciali dell'amico Besana riuscì ad aggiungere quelli dell'amico Castiglioni di Busto Arsizio mediante un'amichevole combinazione che gli assicurava la possibilità di un guadagno maggiore. “Ero così riuscito ad assicurare un po' di benessere alla mia vita domestica della quale però godevo così poco”.

Ricevette finalmente il testo del lodo emesso dal giurì sulla questione del licenziamento dall'amministrazione della Lotta di classe. Erano diverse pagine scritte da Filippo Turati e concludeva con l'approvazione e la ratifica dell'avvenuto licenziamento “mi colse un tale turbamento che credetti di morire e, col senso di essere costretto a sopportare una crudele ingiustizia, rifiutai di partecipare in qual siasi modo al Congresso annuale del Partito, che si teneva in Bologna dal 18 al 20 settembre 1897.”

In quel Congresso il Partito si presentava con 623 Sezioni e 27.381 iscritti: era un bel progresso che faceva giustamente inorgoglire i dirigenti. Nel 1897 era morto suo padre, colpito nel sonno da un violento colpo apoplettico, e prima che l'anno finisse era morta anche la madre.

22. Dimostrazioni per il pane

Era cominciato in quel tempo un periodo critico per la vita economica: l'annata agricola era stata scarsa, i grani e le farine mancavano sui mercati od erano monopolizzati dagli speculatori, il pane rincarava ogni giorno. Una sorda agitazione fermentava nelle città e nelle campagne e scoppiava in dimostrazioni.

Mentre la vita pubblica era cosi eccitata “arrivai a Camerino nelle Marche alla fine d'aprile 1898, e vi ero aspettato da diversi buoni clienti del commercio locale. Stavo appunto in una di quelle botteghe mostrando i miei campionari per la stagione estiva, quando vennero a chiamarmi per correre a vedere una dimostrazione per la farina. Per uno stradale saliva lentamente una strana processione che mi fece una impressione indimenticabile. Quattro grandi carri di farina, trascinati da quei magnifici grossi buoi bianchi infiocchettati di rosso che sono una mirabile specialità della agricoltura marchigiana, erano circondati da una immensa turba di uomini, di donne, di ragazzi armati di grandi bastoni e scortati da carabinieri a piedi e a cavallo: salvo i costumi pareva di assistere ad una scena dei vecchi tempi biblici. La popolazione cittadina guardava dall'alto quella scena grandiosa e all'arrivo del corteo prorompeva in grandi applausi e in rumorose acclamazioni.”

Col fermo di quel grosso carico di farina si era provveduto momentaneamente al bisogno del pane quotidiano e tutti erano esultanti. Si era saputo che uno dei grossi speculatori del luogo aveva venduto una importante partita di farina e la faceva condurre alla stazione ferroviaria. La povera gente era corsa in massa a fermare i carri per ricondurli in città: il sindaco aveva aderito a fare l'acquisto della farina per distribuirla poi ai cittadini bisognosi e tutti ritornavano gloriosi e trionfanti

come se avessero vinto una grande battaglia: "Fui pregato dagli amici di dire due parole per l'occasione: tentai invano di schermirmi per non pregiudicare gli affari della ditta che rappresentavo, Delegato e questurini mi circondavano, mi si portò un tavolino sul quale venni fatto salire (...) feci una suggestiva e sommaria dimostrazione delle cause sociali e politiche per le quali si rende tanto tribolata la vita per la maggioranza dei cittadini, e conclusi affermando la necessità di dedicarsi a realizzare le conquiste e gli ideali del socialismo. Compiuta la mia giornata, mi recai a dormire nel solito albergo. Dormivo profondamente il sonno del giusto quando dei replicati colpi picchiati all'uscio della camera mi risvegliarono di soprassalto. Entrarono due Delegati di P.S. che mi invitarono ad alzarmi perché dovevo subito partire da Camerino. (...) Dall'uscio aperto entrarono quattro carabinieri col fucile in mano e circondarono il mio letto. Dovetti dunque alzarmi e vestirmi rapidamente." Condotto ammnettato a Fabriano, venne accompagnato nelle carceri mandamentali. Si trattava di un arresto vero e proprio fatto senza regolare mandato dell'autorità giudiziaria.

23. II Novantotto

Dopo essere transitato per il carcere di Ancona, fu condotto a Bologna e rinchiuso nel carcere di S. Giovanni in Monte "nessuno sapeva darmi qualche notizia dall'esterno. Soltanto una volta capitò di passaggio un giovinetto socialista di Bertinoro: da lui ebbi confuse notizie di ciò che succedeva per l'Italia, gli stati di assedio, i tribunali di guerra, e allora cominciai a capire che una qualche grossa burrasca si andava preparando anche contro di me."

Una mattina venne condotto in stazione con la solita catena di prigionieri e arrivato a Milano portato al carcere di S. Vittore “osservato l'ambiente del raggio dove io ero rinchiuso vidi che dirimpetto a me vi era in una cella Filippo Turati, in un'altra Morgari, in un'altra ancora Bissolati, tutti tre deputati e allora cominciai a temere di essere coinvolto in un processo di natura essenzialmente politica"

Per effetto dello stato d'assedio si trovava in balia del Tribunale di guerra. Venne il giorno del dibattimento: in una grande sala del Castello era stata impiantata l'aula delle udienze e c'erano una ventina di imputati fra cui l'ex-deputato facchino Pietro Zavattari, il prete giornalista don Davide Albertario, la Kuliscioff, alcuni anarchici, alcuni democratici e repubblicani e parecchi socialisti

Le udienze furono parecchie e piene di incidenti e di sorprese: in generale gli accusati confermavano le proprie opinioni e i propri propositi con naturalezza e fermezza

Lazzari cominciò a contestare la validità dell' interrogatorio facendo appello alle condizioni di fatto e di diritto in cui si trovava perché per la sua età, avendo raggiunto i 40 anni, e per la sua professione civile, non essendo mai stato soldato, non credeva di dover essere sottoposto alla giurisdizione militare ed invocava, come prescrive la legge, l'esame dei suoi giudici naturali. Allora il Presidente lesse i decreti dell'8 maggio che istituivano i tribunali di guerra. Prima della sentenza fu invitato a parlare se aveva qualcosa da dire in sua difesa “mi alzai facendo questa dichiarazione: «ho da dire che visto il mio alibi materiale perchè da cinque mesi assente da Milano, e visto il mio alibi morale perché per raggiungere l'emancipazione dei lavoratori io non ho mai detto di far le barricate, io mi considero estraneo ai recenti fatti avvenuti a Milano e siccome nemmeno i decreti dello stato d'assedio possono aver soppresso lo Statuto, io continuerò sempre a sostenere anche per i lavoratori il pieno esercizio del loro diritto di riunione, di associazione e di voto».

Il 23 giugno 1898 venne condannato a un anno di detenzione per aver istigato a delinquere i milanesi, mentre Zavattari e alcuni anarchici venivano assolti e su don Davide Albertario si

scaricarono i furori dell'avvocato fiscale che aveva domandato per lui il massimo della pena, cioè tre anni di reclusione.

24. A Finalborgo

Vennero autorizzate le famiglie a venirli a salutare prima di partire, perché erano destinati al penitenziario di Finalborgo. "Mi ricorderò sempre la scena che avvenne quando fui condotto in presenza di mia moglie: cogli occhi pieni di lacrime ed ardenti per la febbre essa venne a baciarmi ed abbracciarmi, raccontandomi brevemente le gravi peripezie che aveva dovuto attraversare in quel burrascoso periodo di tempo."

Alla sera vennero a prenderli, lo incatenarono con don Davide, e furono condotti alla stazione e immagazzinati nel vagone cellulare “ogni tanto si sentiva la voce di Valera che diceva: Ciao Romussi, o ciao Chiesi, o ciao Federici, o come state don Davide? "

Il penitenziario di Finalborgo era l'antico convento dei domenicani i quali, avendo in quel territorio una specie di giurisdizione, ne avevano fatto una sede feudale con spesse muraglie di pietra, grandi scaloni, una grossa torre quadrata.

Dopo tre giorni di detenzione cubicolare furono condotti nella quinta camerata: Chiesi, Romussi, Federici, don Albertario, Valera, Lazzari, Ghiglionca

Ben presto Romussi venne trasferito al penitenziario di Alessandria e a sostituirlo venne Giovanni Suzzani, un giovane di Lodi che curava l'edizione del giornale Sorgete “questo Suzzani era un mio grande amico ed ammiratore, tanto che ci chiamavamo zio e nipote ed ottenni di metterlo vicino a me.”

La Cassazione rigettò il ricorso e quindi dovettero subire le disposizioni del regolamento: furono rasati completamente, vestiti colla casacca dei reclusi, individuati non più col nome ma col numero di matricola. Lazzari incominciò allora a soffrire quegli strazianti mali di stomaco che dovevano poi sviluppare l'ulcera gastrica e portarlo all'operazione della gastroctomia, prima all'Ospedale Maggiore di Milano nel 1911, poi al Policlinico di Roma nel 1913.

La quinta camerata era chiamata la camerata dei giornalisti "e un giorno il direttore venne a dirci che, non sapendo a quale occupazione adibirci, come prescrive il regolamento, aveva chiesto ed ottenuto dal Ministero la facoltà di darci carta, penna e calamaio, onde occupare le nostre inerti ed oziose giornate. Fu una vera festa per tutti. Chiesi cominciò il suo interminabile lavoro dei romanzi d'appendice, don Davide scriveva i suoi quaresimali, Federici riprendeva i suoi studi della lingua inglese, Valera impiantava i suoi indiavolati romanzi popolari ed io, avendo ottenuto il materiale di disegno, passavo il mio tempo a utilizzare gli studi fatti all'Accademia di Belle Arti a Milano e ritraendo a colori e in bianco e nero l'ambiente, le persone, le cose da cui eravamo circondati”

Vennero le feste di Natale, e per la fine dell'anno comparve il primo indulto per coloro che avevano una condanna non superiore ai due anni. Cinque uscirono, ma rimasero in tre, cioè, Chiesi, don Davide e Lazzari, perché recidivo.

In seguito ai rapporti del direttore il Ministero decise di migliorare la condizione dei detenuti che potevano provvedere al vitto all'esterno: cosi cominciò un nuovo tenore di vita “Alla mattina Chiesi faceva la nota del pranzo e della cena consultando don Davide che, come prete, doveva essere il più competente e la consegnava al sottocapo: a mezzogiorno veniva dal ristorante un gran cesto

(...) in quanto a me il male di stomaco che faceva continui progressi mi impediva di godere la fraterna liberalità degli altri due.

La voce della sua abilità nel ritrarre e disegnare le persone e le cose pare che fosse arrivata come un scandalo all'orecchio del direttore, perché un giorno venne un sottocapo, raccolse le carte, le matite, i colori e se li portò via. Dopo tre giorni gli vennero restituite ma non i lavori, i ritratti, le prospettive.

In febbraio venne citato davanti al Tribunale di Ancona, per render conto di quanto aveva fatto a Camerino un anno prima e fu condotto in vagone cellulare prima a Genova, poi a Voghera, Piacenza, Bologna sempre ammanettato e incatenato in compagnia dei reclusi e dei forzati che viaggiavano da un penitenziario all'altro.

Arrivato ad Ancona reclamò anche là le concessioni di passeggio, di vitto, di lavoro di cui godeva a Finalborgo. "Mi misero in una bellissima cella posta nella parte più alta di quell'enorme edificio carcerario: vi erano due finestre, una sul mare venne lasciata aperta e potevo ammirare cinquanta chilometri di spiaggia fino a Sinigaglia, fino a Pesaro. Fra i socialisti del luogo si era sparsa la voce del mio processo e perciò mi arrivavano cibi, libri e lettere in abbondanza."

In prima istanza fu condannato a tre mesi di detenzione, ricorse in appello e, mentre era in attesa della udienza, venne accompagnato nella sua cella perché condannato a 75 giorni per offese al re il giornalista repubblicano Domenico Barillari. "Era un brav'uomo, all'antica, che seguiva la sua politica in modo un po' superficiale e si copriva sempre il capo con un imponente cappello a cilindro, come se ciò lo dovesse rendere più rispettabile e più venerabile. Per le feste di Pasqua, fu una gara fra socialisti e repubblicani per mandarmi in dono quelle famose pizze marchigiane per le quali bisogna avere uno stomaco di ferro".

Venne il giorno dell'appello e il deputato Berenini221 venne da Parma a difenderlo; però lui fece un discorso per dimostrare che nell'azione svolta a Camerino non vi era alcun reato. "Ricordo che parlai con tanta eloquenza e passione che i giudici, i carabinieri, il pubblico mi guardavano con ammirazione e infatti faceva un grande effetto la vista di un recluso che perorava in tal modo la propria causa. Venni assolto e quando mi ricondussero in carcere, ammanettato e incatenato, i carabinieri che stavano cenando si alzarono in piedi e mi obbligarono a bere con loro facendo un brindisi al mio discorso che dicevano migliore di quello dell'avvocato"

Per scontare la restante pena nel carcere di Finalborgo ottenne di viaggiare in traduzione ordinaria e passando per le stazioni di Romagna, potè salutare degli amici che salirono sul treno per tenergli compagnia.

Rivide con piacere i due compagni di pena Gustavo Chiesi e don Davide Albertario coi quali aveva trascorso un anno e da cui a malincuore si separò arrivato alla fine della condanna.

Prima di essere rilasciato venne chiamato nell'ufficio del segretario “Era costui un napoletano il quale mi disse che aveva studiato all'Università e sapeva cosa è la balorda dottrina del socialismo, per cui mi consigliava di abbandonare simili malsane teorie ... io gli risposi seccamente che non saremo noi Milanesi ignoranti che andremo a prendere lezione di socialismo dai Napoletani sapienti, perché noi nella vita sociale facciamo già la pratica militante della politica socialista”

221 Agostino Berenini e la societa fidentina tra ottocento e novecento Fidenza , 1992

“Erano le 11 del 29 aprile 1899, il portone si aprì completamente ed io uscii finalmente all'aria libera. Davanti al portone si stendeva un piazzaletto da villaggio: in fondo, lungo una fila di alberi, vi erano delle donne e dei bambini che stendevano e raccoglievano della biancheria e ridevano e cantavano... Io rimasi a bocca aperta e alla vista di quelle voci e di quello spettacolo di dolcezza e di innocenza, dopo tanto tempo ... «Andate via, non si può fermarsi qui», mi gridò la sentinella, picchiando sui sassi il calcio del fucile. Mi allontanai sbalordito”.

25. Propagandista e candidato

Uscito di prigione, fu eletto membro della commissione centrale del PSI e si pronunciò «per necessità» a favore dell'alleanza con democratici, radicali e repubblicani nelle elezioni amministrative di Milano, che si tennero sul finire del 1899. L'appoggio e l'attivissima opera di propaganda da lui svolta a favore dei candidati «popolari» contribuirono alla loro vittoria

Dopo che non si era presentato al congresso di Bologna del settembre 1897 per i motivi che abbiamo visto (il lodo sul licenziamento da “La lotta di classe”) non fu eletto nella Direzione neppure ai successivi congressi di Roma e di Imola (rispettivamente settembre 1900 e 1902) che videro la prevalenza dei riformisti, e non rientrò in gioco a livello nazionale che al Congresso di Bologna dell'aprile 1904, quando prevalse la corrente “integralista” di Enrico Ferri e Oddino Morgari.

Nel gennaio 1900 costituì il circolo elettorale socialista per il sesto collegio di Milano, considerato "sicuro", con l'evidente intenzione di presentarsi come candidato per le imminenti elezioni politiche, ma fu invece presentato - pare su pressioni di Turati e di Anna Kuliscioff - lo storico dell'antichità Ettore Ciccotti, che infatti venne eletto. Fu candidato invece a Voghera e a Varallo Sesia, collegi "difficili", e non risultò eletto.

Enrico Ferri, già in polemica con Treves e Turati sui metodi di lotta e di propaganda, colse l'occasione per prendere le difese di Lazzari sulle colonne dell''Avanti!. Turati rispose con una lettera, pubblicata sull' “Avanti!” del 13 novembre 1900 in cui riesumava le accuse per gli ammanchi nell'amministrazione della “Lotta di classe”.

In seguito a ciò Lazzari presentò le sue dimissioni, accettate dopo lunghe discussioni dalla commissione esecutiva della federazione socialista milanese. Nonostante ciò, tenne numerose conferenze di propaganda in diverse città italiane, fra cui Grosseto, Massa Marittima, Città di Castello, Macerata e Cesena, conferenze di cui venne data notizia con un certo rilievo anche dai giornali socialisti. Né certamente Lazzari perse in credibilità nei confronti della base operaia del partito: ne è conferma il fatto che pochi mesi dopo, il 2 giugno 1901, venne eletto presidente del comizio promosso dalla CdL di Milano a favore dei muratori in sciopero. E il 7 luglio, a Milano, in un comizio di protesta contro l'eccidio di Berra manifestò pubblicamente e con linguaggio violento il suo dissenso dalla linea turatiana, denunciando i pericoli dell'«affinismo», del parlamentarismo e del «ministerialismo».

26. Enunciazione della linea politica

Nell'imminenza del congresso di Imola, nel 1902, pubblicò un opuscolo, La necessità della politica socialista in Italia, in cui chiariva la propria linea politica all'interno del partito e criticava più o meno duramente le posizioni di Turati, Arturo Labriola, Francesco Saverio Merlino e Ferri.

Quest'opuscolo rimase la base, per tutti gli anni successivi, della politica del vecchio operaista e la giustificazione teorica della sua "intransigenza" .

Per Lazzari infatti si poteva giungere al socialismo solo attraverso una «rivoluzione meditata e cosciente, da non confondersi con i colpi di mano o i colpi di testa del rivoluzionarismo empirico convenzionale», che implicava necessariamente una «battaglia profonda e continua sorretta da una inflessibile politica di guerra» nei confronti della borghesia. Da ciò derivava la necessità della lotta di classe ad oltranza e il rifiuto della «lentezza e gradualità» del metodo riformista; il non coinvolgimento programmatico nel processo di formazione di una legislazione favorevole al proletariato, poiché essa allontanerebbe la politica dei socialisti dalla sua vera e specifica azione di guerra antiborghese; l'intransigenza assoluta nei confronti delle alleanze con i partiti borghesi, ad eccezione di quelle sul piano parlamentare occasionalmente utili; l'esclusione della possibilità di votare bilanci o mozioni di fiducia a ministeri della borghesia. In conclusione la politica socialista non doveva essere «una specie di olio dato alla macchina governativa dello Stato borghese per il suo migliore funzionamento, ma una specie di sasso introdotto nei suoi congegni per rendere evidente e necessario l'intervento del fabbro che la può spezzare e ricostruire». L'opuscolo, dopo queste critiche, terminava con un appello, profondamente sincero, all'unità del partito.

27. Intransigentismo e sindacalismo rivoluzionario

Dopo il congresso di Imola, conclusosi con la vittoria dei riformisti, a Milano si ebbe un avvicinamento tra Lazzari e Arturo Labriola, che vi si era trasferito da Napoli per dar battaglia per la conquista della segreteria del partito e a tal fine aveva fondato il periodico “Avanguardia socialista” cui Lazzari collaborava e di cui divenne amministratore nel 1903.

Frutto di questo avvicinamento fu anche la costituzione, nel settembre 1903, del Comitato d'azione socialista economica, fondato dal gruppo «operaista» milanese (Lazzari, Suzzani, ecc.); ne erano esclusi i sindacalisti rivoluzionari di “Avanguardia socialista”, che pure ne erano in parte gli ispiratori. Essenzialmente lo scopo del comitato era di stimolare una maggior fusione tra movimento rivendicativo e istanza politica e promuovere una maggiore compenetrazione tra l'azione del sindacato e l'azione del partito.

Nel 1903 entrò a far parte, come delegato dell'Unione impiegati, del consiglio generale della Camera del Lavoro, a maggioranza riformista. Sempre nel 1903, in seguito al fallimento dello sciopero dei ferrovieri delle linee Nord di Milano, biasimò a nome del Comitato d'azione socialista economica, l'operato della Camera del Lavoro ribadendo che era necessario «ritornare ai princìpi della lotta di classe e non dei vieti opportunismi e dei piccoli miglioramenti immediati» e trascinando con sé gran parte della base operaia milanese.

Nel febbraio 1904 al congresso regionale lombardo di Brescia diede il suo appoggio alle posizioni sindacaliste rivoluzionarie di Walter Mocchi che prevalsero, e al congresso nazionale di Bologna dell'aprile dello stesso anno, criticò l'operato dei riformisti, si pronunciò contro ogni tipo di collaborazione governativa e diede il suo appoggio alla mozione Ferri.

Nel discorso tenuto all'Arena durante lo sciopero generale del settembre 1904 lanciò la parola d'ordine della continuazione dello sciopero sino alla caduta del ministero. Sempre nel 1904 si presentò candidato alle elezioni politiche nel 1. collegio di Milano, ad Affori, a Crema e a Novara senza riuscire eletto, essendo sempre presentato in collegi non "sicuri".

Negli anni successivi continuò nell'opera d'organizzazione della base ed a tener conferenze in varie località d'Italia. In questi anni venne sempre rieletto membro della commissione esecutiva della federazione socialista milanese.

Si possono citare alcuni avvenimenti quali la nomina a membro del Segretariato nazionale della resistenza nel marzo 1906 (che fu l'embrione della CGdL); l'ennesima sconfitta subita nelle elezioni politiche suppletive del 1906, quando si presentò come candidato di parte sindacalista, insieme a Labriola, contro le candidature Treves e Turati; la nuova sconfitta alle elezioni politiche del 1909 come candidato nel collegio di Novara; la fondazione a Milano nel giugno 1907 insieme a Filippo Corridoni del circolo anticlericale Giordano Bruno; il breve periodo di corrispondente da Milano dell' “Avanti!” (novembre 1906-agosto 1907). Nel congresso nazionale del 1906 a Roma fece confluire tatticamente il proprio voto sulle mozioni dei sindacalisti rivoluzionari, senza condividerne la linea politica.

Usciti i sindacalisti rivoluzionari dal Partito, al congresso di Firenze del 1908 fu relatore con Oddino Morgari e Giuseppe Emanuele Modigliani sul tema Tattica e programma per le prossime elezioni politiche; a quello di Milano del 1910 fu relatore con Pompeo Ciotti sul tema dei rapporti fra gruppo parlamentare e partito. Ribadì costantemente la condanna del ministerialismo e della politica delle alleanze con i partiti democratici; ritornò ripetutamente sul concetto che la politica del partito, pur esplicando un'azione generale di difesa degli interessi immediati dei lavoratori, doveva essere volta a «combattere il funzionamento e l'incremento delle istituzioni politiche ed economiche ».

Diede allora il suo contributo alla formazione della frazione "intransigente", di cui si è già trattato in un paragrafo della biografia di Giovanni Lerda.

28 "I princìpi e i metodi del Partito socialista italiano" (1911)

Nell'opuscolo illustrò e rivendicò le tesi del programma costitutivo del partito al Congresso di Genova del 1892, il cui cardine era la visione della società in classi: "Da un lato la borghesia dominante per mezzo delle sue istituzioni, in nome del suo diritto privato di proprietà, e dall'altro i lavoratori sfruttati e sacrificati a beneficio della formazione e dell'accumulazione capitalistica"222

Proprio l'enunciazione chiara e decisa di quella tesi aveva permesso al Partito fino al 1900 di rafforzarsi e di svolgere una funzione egemonica nei confronti delle altre tendenze presenti nel movimento operaio, dagli anarchici ai repubblicani e perfino ai democratici, impegnati sia pure confusamente a contrastare il rafforzamento del blocco monarchico-cattolico.

Dopo il Congresso di Roma del 1900 la politica delle alleanze varata dai riformisti e l'appoggio fornito a indirizzi di governo avevano portato alla ripresa d'iniziativa delle altre formazioni di sinistra e alla nascita del sindacalismo rivoluzionario con la scissione del 1907.

Contro la tendenza ad attribuire allo Stato il carattere di rappresentante degli interessi della collettività e della nazione ricordava la definizione classista delle istituzioni basate sul regime della proprietà privata e quindi dello Stato, che sanciva il riconoscimento giuridico del predominio di classe, lo conservava e garantiva con la forza.

222 C.Lazzari I principii e i metodi del Partito socialista italiano: esposizione del programma e commenti, Milano, 1911

Il programma del 1892, propugnando una lotta contro gli interessi e le istituzioni della classe dominante, aveva escluso ogni concezione educativa, filantropica e umanitaria del socialismo. L'azione socialista non poteva limitarsi a migliorare le condizioni di vita dei lavoratori - obiettivo comune anche ad altre forze politiche -ma doveva mirare ad abbattere tutti gli ostacoli che si frapponevano all'emancipazione del proletariato:

I lavoratori non potranno conseguire la loro emancipazione, se non mercé la socializzazione dei mezzi di lavoro (terre, miniere, fabbriche, mezzi di trasporto, ecc.) e la gestione sociale della produzione. Il riformismo parla soltanto di elevamento del proletariato, sostituendo così un concetto empirico ed occasionale al principio ideale e continuo della nostra storia..

L'opuscolo consente di individuare le idee fondamentali della frazione intransigente, che, al di là della loro capacità di aggregazione in senso antiriformista, non giunsero mai a uno sviluppo teorico completo. Almeno una parte di essa abbandonò la rivendicazione del ritorno al programma del 1892, fino a chiederne il definitivo abbandono al Congresso di Bologna del 1919.

Se l'interpretazione lazzariana del programma originario del partito come di un «piano completo ed organico di azione saldamente ancorato alla dottrina socialista» era destinata a non reggere a lungo, ebbe tuttavia influenza oltre quella fase l'idea di impostare la critica del riformismo tornando alle basi del socialismo, intendendo la fedeltà ai postulati programmatici generali come condizione irrinunciabile di omogeneità e forza politica, in quanto da essi discendevano chiare indicazioni di metodo, distintive dell'azione socialista rispetto a quella di ogni altra forza politica, e l'intransigente applicazione di tali indicazioni avrebbe permesso al partito di riscoprire la propria ragion d'essere.

Un postulato essenziale era l'organizzazione del proletariato in partito di classe, indipendente da tutti gli altri partiti. Nel momento stesso in cui sacrificava questa prerogativa il Partito socialista «cessa[va] di rappresentare la classe proletaria e diventa[va] un qualunque partito di borghesia per il quale non vale[va] la pena di sacrificarsi o appassionarsi».

Di qui la critica ai blocchi elettorali coi partiti "popolari" e, soprattutto, alla condotta del gruppo parlamentare, che sistematicamente aveva confuso la propria azione con quella dell'estrema sinistra della Camera e non si era reso conto che gli uomini di questa - egli citava Crispi, Cairoli, Nicotera, Fortis, Zanardelli, Sacchi e Marcora - una volta saliti al potere, diventavano i più accaniti difensori dell'ordine costituito.

In questo modo il gruppo parlamentare socialista ha talmente perduto ogni suo carattere ed ogni sua funzione distinta, da non avere più nemmeno la forza di reggersi come organismo speciale in mezzo al parlamento della borghesia. I singoli deputati votano discordi fra di loro e la loro azione in Parlamento è senza alcun effetto di propaganda per l'orientamento e la formazione di una buona opinione socialista.

Il programma del partito, compendiato nella formula della «conquista dei poteri pubblici», non doveva far perdere di vista il fine dell'azione socialista “chiaramente indicato dal compito di espropriazione economica e politica che noi dobbiamo esercitare per mezzo di essa contro la classe dominante, mediante un'opera di trasformazione dei poteri pubblici per togliere ad essi il carattere che hanno di mezzi di oppressione e di sfruttamento”.

Venendo poi alla distinzione del potere statale in due grandi categorie, quelle del governo centrale e dell'amministrazione locale (Province, Comuni ed enti pubblici), secondo Lazzari il partito doveva conservare intatta (senza subire l'influenza dell'ambiente parlamentare) la funzione di rappresentante dei diritti sociali dei lavoratori, non potendosi permettere nessuna rilassatezza nei

confronti dei poteri esecutivi del regime borghese e meno che mai partecipando all'esercizio di quei poteri, fatto che lo avrebbe reso corresponsabile di misure inevitabilmente volte alla conservazione dello stato di cose esistente. La conclusione di Lazzari tuttavia non era così chiara come potrebbe sembrare: "Non vuol dire con ciò che la quistione della partecipazione al potere non rimanga una pura e semplice questione di metodo, perché verificandosi il processo storico della dissoluzione politica, possono determinarsi anche nella vita della borghesia dei momenti rivoluzionari, nei quali potrà interessare al partito socialista di aiutare i vari strati borghesi più avanzati nei loro sforzi diretti a demolire gli avanzi del passato dominio.

Egli ammetteva l'assunzione di responsabilità da parte dei socialisti nelle amministrazioni locali: "È questa la sola concessione che noi possiamo fare verso le istituzioni del potere borghese, perché la trasformazione dei poteri amministrativi dipende più dallo spirito che li può animare, che non dal modo del suo funzionamento come è invece proprio del potere governativo".

Quanto all'azione economica, Lazzari, una volta prese le distanze dal sindacalismo rivoluzionario, richiamava il dovere del partito di appoggiare tutte le lotte dei lavoratori, sconfessando l'atteggiamento della direzione riformista, che aveva contrastato vari scioperi e varie proteste, privilegiando essenzialmente il movimento cooperativo e le riforme dell'assistenza e della previdenza sociale.

Le cooperative di consumo, di lavoro, di credito, non rappresentavano una forma specifica di lotta proletaria e potevano svilupparsi anche al di fuori della lotta di classe anzi partecipavano per lo più a quello spirito di conciliazione e pacificazione che distingueva la politica dei moderni partiti borghesi: Più noi ci terremo lontani da queste insidiose forme di azione, più saremo fedeli ai principii ed ai metodi del nostro programma, e più avremo aperte le vie dell'avvenire socialista.

Urgeva quindi ritornare alla lotta per il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro, campo specifico di azione e aggregazione dei proletari, in quanto solo nel vivo dello scontro tra le componenti economiche della società la classe sfruttata avrebbe potuto prendere coscienza dell'abisso che la divideva dalle altre, della natura del regime borghese e delle sue istituzioni e della necessità di trasformarlo. A fianco dei risultati che la lotta sul terreno economico portava inevitabilmente con sé, si producevano «incalcolabili effetti morali favorevoli a diffondere nel mondo quei principii di fratellanza e di solidarietà» che il regime della proprietà privata contrastava «nel fatto, pure in mezzo alle teoriche ed astratte proclamazioni della filosofia borghese». La causa ultima della crisi socialista doveva essere individuata nell'involuzione delle teste pensanti del partito. Si trattava di uomini giunti al socialismo più per l'impotenza degli altri partiti che per la formazione di una convinzione indipendente e spregiudicata:"lentamente essi ritornavano nella prima illusione, nella speranza di affrettare un successo che solo le forze nuove ed i nuovi metodi avevano la capacità e la volontà di realizzare cominciarono a inventare la mancanza nel nostro paese di quegli elementi di materialismo economico che sono la base e la forza di un vero movimento socialista e scesi di gradino in gradino per la via delle transazioni politiche, vennero fino al punto di dichiarare sfatate, morte e sepolte le formule dottrinarie che Carlo Marx aveva con tanta sapienza elaborate come la base incrollabile dell'azione socialista. Questi uomini, approfittando della loro posizione eccezionale e valendosi di ogni mezzo, hanno continuato per la loro via, senza curarsi dello stato di disgregazione, di malcontento e di decadenza che lasciavano dietro di sé: trionfavano le loro persone ma svaniva lo spirito collettivo che aveva destato tanta ammirazione e tante speranze. Le azioni del partito non sono più determinate dalla interpretazione del nostro programma e delle regolari discussioni delle assemblee, bensì della imposizione delle persone e dei gruppi per via di sorprese, di violenze e sopraffazioni".

29. Segretario tra “settimana rossa” e intervento. “Né sabotare né aderire”

Dopo il congresso di Reggio Emilia del 1912 vinto dalla corrente intransigente rivoluzionaria, fu nominato segretario del partito (carica che terrà per sette anni, fino 1919). A quel punto sciolse gli impegni professionali in qualità di commesso viaggiatore con la ditta Enrico Besana e si stabì definitivamente a Roma.

Si fecero evidenti, con l'assunzione della più importante carica del partito - tra l'alto in un periodo storico critico come quello tra l'impresa libica e l'intervento nella Grande guerra - i suoi limiti personali, culturali, politici.

Uno dei suoi primi atti fu quello di offrire la direzione dell'Avanti!, che era lo strumento di indirizzo politico e di formazione dell'opinione del partito, a un uomo ormai fuori dalle sue fila e che si autodefiniva «più riformista dei riformisti», Gaetano Salvemini, con una ingenuità evidente. Nella ricerca dell'uomo nuovo, che avrebbe dovuto dare maggiore slancio alla corrente, da insediare alla direzione del giornale la scelta cadde, dopo un breve periodo di direzione di Giovanni Bacci, su Benito Mussolini.

Di fronte alla guerra libica l'opposizione fu netta; egli svolse, unitamente al suo gruppo, un'azione di stimolo e di coordinamento delle manifestazioni di protesta antimilitarista espresse dalla base. Ma dell'opposizione alla guerra libica più che uno strumento di lotta contro il capitalismo borghese e il nazionalismo imperialista, farà un'arma contro i riformisti coinvolgendo nella responsabilità per la guerra «quella politica socialista che da dieci anni, invece di compiere la sua funzione di corrosione e di lotta contro tutto il meccanismo delle istituzioni borghesi, aveva favorito e secondato tutte le combinazioni e le trasformazioni ministeriali».

Lazzari affrontò il pesante compito della direzione del partito basandosi pressoché esclusivamente sul dogma dell'intransigenza e sull'appoggio alle lotte economiche della base. Vi fu in lui un'attesa quasi fatalistica dell'inevitabile disgregazione del regime politico della borghesia e una fede messianica nell'altrettanto inevitabile avvento del socialismo. Gli fu dunque sostanzialmente estraneo il problema di come influire sugli avvenimenti, di come agire nel momento della dissoluzione dello Stato borghese.

Allo scoppio della guerra mondiale il Partito, che sotto la sua direzione, nonostante l'immobilismo, aveva avuto un grosso incremento numerico, si trovò isolato, impossibilitato a manovrare con le altre due forze nautraliste, i giolittiani e i cattolici, mentre le tradizionali alleanze con le altre forze di sinistra, repubblicani e radicali, venivano meno e la borghesia intellettuale si orientava verso la guerra.

Il governo agiva pesatemente per impedire le manifestazioni pacifiste e per scioglierne i cortei, lasciando agli interventisti le piazze: un trauma per chi era abituato ad averne il controllo, tanto più per un Partito che restava vincolato a metodi legalitari di lotta, ad una concezione pacifista e non rivoluzionaria dell'antimilitarismo, incontrando perciò sempre maggiori difficoltà nell'arginare l'offensiva degli interventisti

Il suo atteggiamento fu di netta opposizione a ogni partecipazione alla guerra e quindi di durissima condanna di ogni interventismo. Nell'ottobre 1914 sostituì, insieme a Bacci e Serrati, Mussolini alla direzione dell'Avanti!. Nel novembre pronunciò l'atto di accusa contro Mussolini, espulso per indegnità politica e morale.

Sull'Avanti! delineò l'atteggiamento in caso di mobilitazione militare: neutralità e tranquillità del partito per una guerra difensiva; opposizione e resistenza per una guerra offensiva. Nel corso di una conferenza a Osimo, a chi gli chiedeva cosa avrebbero fatto i socialisti in caso di intervento, rispose che avrebbero dovuto "assoggettarsi agli eventi , sicuri che a suo tempo si verificherà quello che avvenne tra i pagani e i cristiani, e cioè che dopo tante lotte cruente seguì la pacificazione degli animi" . La rassegnazione assume quì dimensioni cosmiche, sul terreno politico è la passività eretta a comandamento supremo.

Nel maggio 1915 a Bologna, nella riunione congiunta della direzione del partito, del gruppo parlamentare e dei responsabili della CGdL, Lazzari coniò la formula del «né aderire, né sabotare», in polemica con Serrati propenso ad un atteggiamento più deciso e combattivo, che aveva lanciato l'appello per contrapporre "dimostrazione a dimostrazione, comizio a comizio...non attendere il corso degli eventi in musulmana remissività". Il 29 agosto diramò un comunicato invitando le organizzazioni a "fare argine e impedire che le esaltazioni sentimentali degli altri partiti potessero traviare e travolgere la chiara coscienza internazionalista del proletariato italiano". Nel corso della guerra si adoperò per l'unità del partito e per l'equilibrio delle tendenze, pronunciandosi contro l' «insurrezionalismo» e condannando i cedimenti patriottici dei riformisti, da Turati a Rigola.

In campo internazionale partecipò ai convegni di Zimmerwald e di Kienthal. Il 21 settembre 1916 in un comunicato invitò le federazoni e le sezioni a fare oggetto di approfondito dibattito le decisioni del convegno di Zimmerwald.

Nel corso del 1917 si andò organizzando all'interno dell'intransigentismo una frazione "massimalista" che censurava la sua linea del "nè aderire nè sabotare", cui rispose che "tenuto conto della nostra dottrina ripugnante ai metodi di sabotaggio, che sono per loro natura individuali e non potrebbero essere diversamente, data la condizione di minoranza in cui si trova il movimento nostro anche nel nostro Paese, io vi domando se e come voi possiate sentire il coraggio di sostenere e di fare un’azione diversa da quella formulata nella tesi che voi ripudiate. Il Partito socialista ha una tradizione di miglioramento sociale e di bontà e non può mettere a suo carico la

responsabilità di aumentare i danni e i dolori.223

Il 12 settembre 1917, inviò una circolare riservata e personale ai sindaci socialisti perchè contribuissero "con concorde atto di protesta " ad imporre al governo il punto di vista del gruppo parlamentare socialista contro "un terzo inverno di guerra". Due le ipotesi avanzate: "rassegnare le dimissioni ad un ordine della Direzione" oppure "provocare le dimissioni in massa" con una dichiarazione comune. Il 18-19 novembre 1917 partecipò alla riunione della frazione intransigente a Firenze, presenti Serrati, Bordiga, Gramsci, Terracini.

30. Nuova carcerazione

La circolare "riservata e personale" venne naturalmente conosciuta dalle autorità e, in base al

decreto Sacchi224, fu arrestato e condannato per propaganda disfattista. Rimase nel carcere prima di Regina Coeli e poi di Velletri dal febbraio al novembre 1918; durante la detenzione scrisse alcuni appunti di cui riportiamo due brevi brani: “ho meditato lungamente sulla dura sentenza che mi ha colpito e mi sono convinto che essa non è un giudizio, ma una rappresaglia politica contro il partito. Infatti il P.M. si è espresso così: «Erano mezzi di pressione che i dirigenti del partito volevano esercitare su coloro che dopo Caporetto erano rimasti turbati se continuare o no nel contegno di rigida intransigenza in rapporto alla guerra. E questo completa la figura del reato che si è convenuto chiamare disfattismo”. Come se la disfatta fosse nelle intenzioni e nei propositi del partito! Noi sappiamo che la disfatta vorrebbe dire un aggravamento dei mali del popolo italiano, e nemmeno ci potrebbe illudere come un mezzo adatto allo scoppiare di una rivoluzione perché noi

223 Risposta sequestrata dalla censura al programma inviatogli dal gruppo torinese (Rabezzana, Boero, Terrini), in ACS, Guerra, 1915-18 fascicolo «Torino, agitazione contro la guerra», busta 31: “Cari compagni, ho letto attentamente il programma di frazione che mi avete mandato. Voi affermate: i) non essere conforme all’assoluta intransigenza la teoria di non favorire né sabotare la guerra; z) essere necessario per tale intransigenza smentire la mia frase contraria alla indifferenza tra un padrone italiano e un padrone austriaco, perché cosi viene ad essere negata la continuità e l’internazionalità dello sfruttamento capitalistico e si valorizza il concetto di nazionalità, che dovrebbe essere bandito per sempre dalla coscienza del lavoratore. Le vostre osservazioni sono giuste in astratto. Ma se voi giudicate la mia posizione come vuole la ragione e l’esperienza, attraverso il tempo e lo spazio, voi non potete fare a meno di ricordare che essa dovette es sere subordinata a quella dolorosa constatazione di fatto rilevata dalla riunione generale di Bologna del 16 maggio 1915 nella quale la mancata compattezza nazionale e ancora più quella internazionale delle organizzazioni e del partito ci rese impossibile di impedire con un generale movimento di resistenza lo effettuarsi della minacciata dichiarazione di guerra, come noi volevamo e come io appunto sostenevo. Partendo da questo fatto, tenuto conto della nostra dottrina ripugnante ai metodi di sabotaggio, che sono per loro natura individuali e non potrebbero essere diversamente, data la condizione di minoranza in cui si trova il movimento nostro anche nel nostro Paese, io vi domando se e come voi possiate sentire il coraggio di sostenere e di fare un’azione diversa da quella formulata nella tesi che voi ripudiate. Il Partito socialista ha una tradizione di miglioramento sociale e di bontà e non può mettere a suo carico la responsabilità di aumentare i danni e i dolori. Voi come frazione potete benissimo spregiare questo dovere morale ma come partito, chi ha la responsabilità di condurre incolume il nostro movimento attraverso le presenti difficoltà non può non tenerne conto. In quanto alla vostra seconda proposizione voi non potete a me no di riconoscere che in un regime di dominio straniero tutte le forze politiche sono naturalmente rivolte a impedire che nei territori dominati le forze economiche indigene possano liberamente e indipendentemente svilupparsi in concorrenza alle forze economiche straniere, e quindi come tale compressione esercitata anche soltanto coi mezzi della tecnica capitalistica impedisca quello stato di progresso e di civiltà che è dato dalla formazione delle classi le quali sono la forza e la ragione del nostro movimento. Noi abbiamo sempre riconosciuto come un bene per la causa del progresso e dell’umanità il raggiungimento della unità e indipendenza delle nazioni, cominciando dalla nostra. Però, in quarant’anni di azione di propaganda, io non ho mancato mai ai doveri della dottrina internazionalista la quale non ha affatto bisogno di sacrificare il naturale sentimento di preferenza e di amore per il paese nativo, considerato non per le sue istituzioni politiche ed economiche ma per il fatto della convivenza in esso di tanti lavoratori simili a noi nello spirito, nelle condizioni, nei costumi. Non possiamo senza danno per il progresso del partito che amiamo sopra ogni cosa metterci in contrasto con simile sentimento naturale il cui riconoscimento può essere sfruttato dai nostri nemici, ma non da noi che sopra di esso mettiamo la necessità e la possibilità di agire per l’emancipazione del proletariato internazionale. La fine

vogliamo veramente la morte del dominio borghese, ma deve essere una morte naturale e non una morte violenta, per assicurare il successo e la introduzione del regime socialista. Forse in ciò sta il danno e l'errore, non volontario del resto, di Lenin"225”II governo socialista di Pietrogrado ha firmato la pace colla Germania. Io non l'avrei firmata, ma fin dal primo momento delle trattative avrei decretato lo scioglimento dell'esercito. Dichiarando la cessazione dello stato di guerra avrei lasciato avanzare l'esercito tedesco e l'avrei aspettato di piede fermo a Pietrogrado protestando contro la violenza dell'occupazione che nessun motivo poteva giustificare. Queste note evidenziano l'incomprensione della realtà profondamente mutata dalla guerra e dalla rivoluzione russa, l'incapacità di dare alla formula «né aderire, né sabotare la guerra» un contenuto concreto che orientasse il movimento operaio italiano nella sua condotta di fronte alla guerra. Tra la posizione più duttile di Turati e quella insurrezionale di Bordiga, Lazzari ha l'unico merito di coagulare le masse socialiste in una fedeltà morale ai principi dell'internazionalismo proletario ma non riesce a prospettare uno sbocco politico. I giudizi che formula sugli avvenimenti russi denunciano i limiti di una solidarietà puramente morale che non si prospetta il ruolo concreto che il proletariato italiano potrebbe assumere in difesa della rivoluzione russa. Né la rivoluzione bolscevica suscita in lui alcuno stimolo all'analisi delle possibilità nuove che essa offre alla lotta rivoluzionaria del proletariato italiano ed alle quali commisurare la validità della propria linea politica tradizionale.

31. Nel dopoguerra; la Terza Internazionale

Nelle elezioni del 1919 fu eletto deputato nei collegi di Milano e Cremona; nel 1921 fu rieletto a Milano, Pavia e Cremona e mantenne tale carica sino al 1926; nel 1920 nelle elezioni amministrative di Roma fu eletto consigliere comunale. Al congresso di Bologna dell'ottobre 1919 si espresse a favore della rivoluzione, ma da realizzare colla sola arma dell'intransigenza con l'esclusione della violenza pregiudizialmente premeditata e programmata; sulla mozione di Lazzari

inonorata delle fantasie antipatriottiche dei vari sindacalisti di Francia e d’Italia dovrebbero pure ammonirci tutti della sterilità e dell’assurdità di questi propositi di fronte al programma socialista; essi verrebbero sanzionati con la nostra indifferenza per la nazionalità dei padroni del lavoro italiano. Ciò non vuoi dire che il nostro partito, nel terzo anno di guerra, non possa ritenere necessario accentuare maggiormente la sua protesta e la sua resistenza ai vari artefici con cui lo stato in guerra tenta di trascinare nell’orbita dei suoi interessi anche quelli sacrosanti dei proletariato ad essa avversa. E questo potrà essere lo scopo utile del nostro congresso nazionale. Da esso io mi auguro come voi che possano uscire deliberazioni atte ad affrettare il moto innovatore che tronchi la carneficina e, se esso esprimerà dal suo seno uomini più idonei di noi al grave compito che incombe sul partito in quest’ora tremenda, io mi auguro che essi siano almeno quanto noi animati da quello spirito di sincera devozione e amore alla causa che abbiamo abbracciato e al partito che la rappresenta, da noi conservato unito e saldo nel comune e unitario programma d’azione ancora possibile colle forze che in 25 anni di resistenza esso ha saputo raccogliere intorno alla propria bandiera. Questa è la mia dichiarazione che raccomando alla vostra attenzione."

224 Emanato il 4 ottobre, puniva chi "commetteva o istigava a commettere un qualsiasi fatto capace di deprimere lo spirito pubblico”

225 27 febbraio e 6 marzo 1918; pubblicati da Alceo Riosa in "Studi Politici", 1989

confluirono i voti dei riformisti. L'esperienza della rivoluzione bolscevica non modificò le sue precedenti convinzioni e non lo indusse ad una revisione critica della validità della sua precedente linea politica. Al congresso di Livorno del gennaio 1921 confluì nella mozione massimalista e rimproverò gli oratori dell'Ordine nuovo di intellettualismo e di aridità del sentimento. Dopo il viaggio a Mosca del giugno 1921 per perorare l'accettazione dell'adesione del PSI alla III Internazionale e i colloqui avuti con Lenin, Lazzari si convinse della necessità dell'espulsione dei riformisti dal partito, ma non dell'avvicinamento alla linea dei comunisti e tanto meno della fusione col PCI. Nel congresso di Milano dell'ottobre 1921 la mozione di Lazzari per l'accettazione delle condizioni di adesione alla III Internazionale rimane in schiacciante minoranza. Avvenuta infine l'espulsione dei riformisti nel congresso di Roma dell'ottobre 1922, al congresso di Milano delll'aprile del 1923 si dimostrò incerto e tentennante sulla questione della fusione col PCI, per non abbandonare il vecchio e glorioso nome di socialista. Nel 1924, in occasione della fusione dei "terzinternazionalisti" di Serrati e Maffi col PCI, rimase definitivamente nel campo massimalista, pur non cessando di perorare l'adesione del PSI all'Internazionale comunista.

32. Gli ultimi anni

Era stato estromesso nel 1926 dalla carica come tutti i deputati “aventiniani” e quindi privato, alle soglie dei settan'anni, dell'indennità che gli permetteva di mantenere226 la sua piccola famiglia composta dalla moglie Eleonora Vitali e da Caterina, l'orfana adottata nel 1915. “II padrone di casa - scriveva il 10 giugno 1926 ad Alessandro Schiavi, che gli forniva per conto della "Fondazione Matteotti" un compenso per scrivere le memorie di cui siamo valsi per questa biografia - mi ha aumentato di altre 100 lire mensili l'affitto del modesto appartamento che occupo qui (a Roma) e così per il solo alloggio devo spendere 15 lire al giorno: capisci dunque come succede che alla metà del mese, io mi trovo assolutamente senza soldi e quindi costretto a ricorrere a ripieghi umilianti e scoraggianti - il Monte di Pietà si è già ingoiato le mie medaglie parlamentari - che io ho bisogno di evitare anche per conservare la volontà e la energia del lavoro". Il 9 novembre subiva un'ennesima aggressione negli stessi locali di Montecitorio, e così racconta la vicenda in un'altra lettera a Schiavi del gennaio 1927 «recatomi a Roma e presentato alla presidenza della Camera un ordine del giorno contro la pena di morte, venni un'ora prima della seduta assalito sullo scalone interno di Montecitorio da tre deputati fascisti. Mentre due mi tenevano per le braccia, il deputato Starace, atterrandomi e massacrandomi a furia di pugni e calci, mi fece trascinare sanguinolento e tramortito fino sulla soglia del palazzo, dove venni preso dagli agenti e trasportato in vettura al Commissariato dove venni trattenuto fino alle 10 di notte.(...) quando ci penso mi sento tuttora mortificato ed avvilito per la defezione di tutti gli altri fra i quali vi

226 "Trovandosi in serie difficoltà economiche, artatamente aggravate dalla stessa POLPOL, il vecchio capo socialista, al quale in un primo momento era stata promessa la nomina a Commissario della liquidata «Casa del Popolo», e che, come scrisse Bocchini, appariva dominato dal «terrore del domani senza pane», agli inizi del luglio 1927, in un incontro con Bocchini, dopo aver supplicato per l’ennesima volta la nomina, accettò di collaborare con la polizia fascista. […] Ma il cedimento del vecchio socialista fu di breve durata, poiché già a metà luglio scriveva una lettera a Pallottino con la quale in definitiva si sottraeva all’incarico fiduciario. Questa volta la POLPOL passava all’offensiva, dando indicazioni ai suoi fiduciari all’estero, infiltrati nelle organizzazioni antifasciste, di «diffondere abilmente negli ambienti dei fuorusciti la notizia che Costantino Lazzari il vecchio leader del socialismo italiano ha fatto il confidente alla Polizia Italiana mediante compensi in denaro». […] La manovra venne avviata e, crediamo, non fu del tutto estranea alla morte, sopravvenuta di lì a poco, nel dicembre 1927, di Costantino Lazzari."

erano uomini validi e giovani ben altrimenti adatti a sostenere la nostra bandiera. Eppure nemmeno uno si era presentato: non dico dei vari e molti aventiniani democratici, popolari, repubblicani, riformisti, ma i massimalisti? Io ne sono e ne rimango vergognato e disgustato... Ora sto facendo le pratiche per vedere di trovare posto in qualche ricovero dei vecchi — tale è la sorte di noi proletari — per non lasciarmi vincere dalla disperazione, ma vi riuscirò? A Milano Veratti mi ha scritto che ho perduti i diritti di cittadinanza; qui a Roma non li ho tutti e la fine è vicina». Il 23 settembre 1927 «Carissimo Alessandro, da appena un mese sono uscito da una violenta burrasca che si è scatenata contro di me, perché, andato a Milano per raccogliere i dati e i documenti necessari a continuare la storia che sto scrivendo, anche per quell'editore straniero che mi ha già pagato qualche anticipo fui dopo un ritrovo coi miei due fratelli a Brusinpiano, arrestato brutalmente a Luino e carcerato per un mese colà, a Busto Arsizio, a Varese imputato davanti al famoso Tribunale speciale. Ora mi trovo in libertà provvisoria, deferito al tribunale ordinario di Busto Arsizio per un preteso tentato espatrio (che non mi sono mai sognato di fare) e per resistenza ai carabinieri perché essendomi rifiutato di entrare pacificamente in carcere vi fui trascinato a forza e con violenza. Ne sono ancora tutto sbalordito, perché non ti so dire tutti i brutali incidenti che ho dovuto subire in questo periodo in cui ho dovuto attraversare la Lombardia in mezzo ai carabinieri, coperto di ferri e di catene come un malfattore! «Oggi il ministero detta P.I. a cui ho fatto conoscere le disgraziate condizioni in cui mi trovo, mi ha annunciato che pagherà esso la tassa annuale per la inscrizione al 3° corso magistrale della mia povera e cara bambina, la quale avrebbe dovuto altrimenti abbandonare la scuola... Quindi un raggio di gioia illumina la mia vita” Il 20 dicembre 1927, la moglie Eleonora Vitali, annunciava che Costantino era a letto con una polmonite e pleurite. Poco di poi si spegneva.

Conclusione

L'influenza che Lazzari esercitò nel movimento operaio e socialista nel ventennio dal 1880 al 1990, che coincide forse non casualmente con il periodo trattato nell’autobiografia, è stata decisiva. Quando rientò in gioco ai massimi livelli dopo la lunga egemonia riformista, con la vittoria del massimalismo al congresso di Reggio Emilia del 1912, si fecero evidenti i suoi limiti personali, culturali, politici, tra l'alto dovendo esercitare la sua segreteria in un periodo storico decisamente critico come quello tra l'impresa libica, l'intervento nella Grande guerra e il dopoguerra.

Riportiamo a questo proposito un vecchio giudizio ancora sostanzialmente giusto: “Malgrado le apparenze si deve concludere che non è mai stato un capo, che gliene sono mancate le qualità più indispensabili. Un capo esprime da un lato i bisogni, le tendenze del movimento a cui è legato, e dall'altro li precorre, segnando la strada. La prima di queste cose si è realizzata in Lazzari compiutamente, ed è appunto perciò che egli è così “rappresentativo”: il movimento operaio si rispecchia in lui coi suoi lati positivi e negativi, con grande fedeltà. Diciamo: con eccessiva fedeltà. Perché in Lazzari è mancato appunto il secondo elemento, quello pel quale il partito politico adempie, conservando i suoi legami con le masse, alla sua funzione di avanguardia»227 giudizio sostanzialmente ribadito dall'Arfè 228: “Il dogma dell'intransigenza è quello alla cui luce affronta i pesanti compiti nel momento in cui viene a trovarsi a capo della nuova maggioranza.(…)

227 Costantino Lazzari. 1851-1927 “Lo Stato Operaio”, genn.-febbr., 1928

228 G.Arfè “Storia del socialismo italiano (1892-1926)”, Torino, 1965

Intransigenza per lui significa rifiuto di ogni compromesso e di ogni patteggiamento, addirittura di ogni contatto con gli istituti della borghesia, con le forze politiche e con le organizzazioni che non abbiano la duplice qualifica di proletarie e di socialiste nell'attesa che i «diversi avvenimenti portino, alla disgregazione del «regime politico della borghesia». Il problema di come influire sugli avvenimenti, di come agire nel momento in cui tale disgregazione si verifichi, gli è pressoché estraneo.Il nesso tra il corso delle cose e l'opera degli uomini, che nei riformisti era apparso viziato da determinismo, viene concepito da Lazzari in forme di puro fatalismo. È Lazzari che di fronte alla guerra lancerà la formula del «né aderire né sabotare», la quale può anche esser considerata come un felice compromesso tra le esigenze dell'ideale e le necessità delle circostanze, ma che cristallizza l'atteggiamento del partito, bloccandolo su una posizione entro la quale non troveranno postò nei momenti decisivi né il discorso del Grappa di Turati - il tentativo cioè di gettare un ponte tra il proletariato e la coscienza patriottica del paese -, né la parola d'ordine della trasformazione della guerra imperialista in guerra rivoluzionaria. Sarà anche Lazzari che nell'immediato dopoguerra accetterà la rivoluzione ma si opporrà all'abbandono del programma di Genova e avverserà il pregiudiziale richiamo alla violenza, accettando su tale piattaforma la scomoda confluenza dei voti riformisti(…) Ed è lui che nel congresso di Livorno, ai giovani oratori dell'« Ordine Nuovo », a Gramsci e a Terracini, rimprovera l'intellettualismo e l'aridità di sentimento che li fanno estranei alla tradizione socialista del buon ceppo antico (…) Gli anni del primo fascismo lo vedranno impavido e immobile in atteggiamento da profeta”

Dino Rondani (1868-1951) “commesso viaggiatore” del socialismo

Premessa

1. Gli inizi dell'attività politica nel socialismo milanese

2. Il movimento operaio e socialista biellese

3. La “conquista” del biellese

4. Nella svolta reazionaria di fine secolo

5. Il ’98 a Milano

6. Dall’esilio al ritorno nell'Italia giolittiana

7. ”Ispettore” dell'emigrazione

8. Tra impresa libica, Grande guerra, dopoguerra

9. L’esilio a Nizza (1926-45)

10 Nel secondo dopoguerra (1945-51)

Premessa

Turati così lo descriveva: “Invidiabile tipo, son tre settimane che tiene quattro conferenze al giorno ed è fresco come una rosa!”229 un corrispondente veneziano dell’”Avanti!” scrisse “Nessuno se l’abbia a male, il giovane deputato di Cossato è il più simpatico dei conferenzieri socialisti. Il suo facile eloquio è tutto infiorato di osservazioni argute, di facezie brillantissime”230 e così Morgari ne schizzava il ritratto: "sempre giovanissimo, svelto, piccino, con gli eleganti baffetti neri, con braccia, gambe e lingua in movimento perpetuo"231 tanto da consentire di caratterizzarlo come il commesso viaggiatore del socialismo232

229 Democrazia e socialismo nei carteggi di N. Colajanni, Milano, 1959, p.243

230 Dalla laguna la conferenza di Dino Rondani "Avanti!", 20.10.1900

231 O.Morgari, Fiori di maggio, 1905, p.28. Id. L'Europa vista a volo di ...Rondani, "Avanti!", 16.9.1900 "parla come lavora: v'accenna cento cose in un istante sottintendendo metà delle parole. Non ama fermarsi su un argomento più di due minuti, nè star seduto più di quattro. Parla come lavora e come si diverte: con poco ordine ma brillantemente e con intensità. Ha seminato il suo collegio, il novarese. la Lombardia, l'Italia, l'estero di un numero favoloso di conferenze. Egli è il moto perpetui ed ha il dono dell'ubiquità. Sotto i suoi passi i circoli, le leghe e comitati, le cooperative, i giornali crescono come la gramigna. Con ciò non posa a seminatore mistico...perchè di preferenza semina le barzellette. Parla a saltelli facendo ridere...ha un grande senso della praticità. Disorienta la gente compassata fa crepare le bolle dell'ampollosità e ai retori. E' interessante la sua teoria degli uomini illustri: Evitare i grandi nomi, ci vuole gente media che lavori. Schiacciano tutto...Non è uno stinco di santo. Non posa a martire...Ai nostri occhi è un uomo completo, sano nello spirito e nel corpo, forte di muscoli e nervi, che perciò ha bandito la melanconia e ama vivere in tutte le direzioni sia coi sensi che con la mente e col cuore, beneficiando gli altri senza pregiudizio per sè. Tipo raccomandabile come uomo moderno e felice. [viaggia] sempre in terza classe per due ottime ragioni: che i viaggiatori di prima si mostrano annoiati, stupidi, presuntuosi sotto tutte lelatitudini..e anche un po' per economia"

232 ".fu il propagandista più in movimento e il conferenziere più facondo. Lo si poteva trovare nello stesso giorno a Roma e a Firenze e il giorno dopo nel Veneto. Viaggiò tutta l’Italia, tenendo in media una conferenza al giorno, dalla Sicilia… in Trentino e nel Tirolo, nella Svizzera di lingua tedesca e in quella francese, fu persino a Tunisi uno dei più attivi propagandisti e organizzatori del giovane PSI. Qualcuno, scherzando, disse di Dino Rondani, che egli è come il commesso viaggiatore del partito socialista", G.Manfrin, Rondani Dino: Il commesso viaggiatore del socialismo, "Avanti! della Domenica", 22.12.2002

Come osservò Rinaldo Rigola, che lo conosceva dal 1895, “non era temperamento di sedentario e uomo di penna. Ingegno brillantissimo e organizzatore di prim’ordine, aveva un sano orrore per le dottrine e le polemiche”233. Gli incarichi ufficiali e direttivi non ebbero per lui particolare rilevanza: ammirava il grandioso slancio creatore del progresso industriale e preferiva impegnare il suo estro individuale al contatto con i protagonisti proletari della nuova civiltà.

Intervenne poco nei dibattiti alla Camera e non si preoccupò di trasferire sul piano ideologico o in scritti di qualche respiro la sua vasta esperienza umana e sociale.234 Per la sua avversione alle lotte di tendenza e alle polemiche interne, propenso a interpretarle come chiacchiere inconcludenti, non ebbe ruoli di protagonista nei Congressi del PSI, nè si attivò per crearsi un seguito personale. Tutto questo spiega, anche se non giustifica, l'oblio di questo pioniere del socialismo italiano.

Gli inizi dell’attività politica nel movimento socialista milanese

Dino Rondani nasce il 20 gennaio 1868 a Sogliano al Rubicone235, nella Romagna culla dei partiti sovversivi, dal repubblicano236 all’anarco-internazionalista, al Partito Socialista Rivoluzionario di Andrea Costa,237 in una famiglia repubblicana benestante. La madre Angelina Bravetta era figlia di Sante, tipografo delle edizioni di Capolago, in Svizzera, che stampavano libri proibiti dalla censure degli stati preunitari, da introdurre clandestinamente in Italia238. Egli restò sempre molto legato alle sue due sorelle e ai suoi genitori, che perse però prematuramente nel giro di pochi anni: nel 1908 morì sua sorella Eugenia, nel novembre 1913 il padre Eugenio e pochi mesi dopo la sorella Evelina. Nel 1915 infine morì la madre Angelina239

Il padre lavorava nell’amministrazione finanziaria del nuovo Stato e questo spiega i frequenti

233 R.Rigola, Rinaldo Rigola e il movimento operaio , cit.

234 Si ricorda solo l'opuscolo anticlericale del 1897 "Le massime di S.Ambrogio", in risposta ai festeggiamenti per il 15. centenario della morte.

235 Piccolo centro di 2.900 abitanti in provincia di Forlì-Cesena. Profondo fu il legame affettivo tra Giovanni Pascoli ed “il piccolo grandemente amato paese di Romagna”, testimoniato dalla cittadinanza onoraria conferitagli nel 1906

236 M. Ridolfi, Il partito della Repubblica: i repubblicani in Romagna e le origini del Pri nell'Italia liberale (1872-1895) Milano, 1990

237 V. Evangelisti, E. Zucchini Storia del partito socialista rivoluzionario 1881-1893; Bologna, 1981

238 R. Caddeo, Le Edizioni di Capolago. Storia e critica.storia e critica : bibliografia ragionata, nuovi studi sulla tipografia elvetica, il Risorgimento italiano e il Canton Ticino : documenti inediti, Milano, 1934; F.Bernasconi Per un catalogo delle edizioni di Capolago - Bellinzona - 1984

239 "Corriere Biellese", 8.1.1909, Dino Ròndani a Messina; Id. 7.11.1913, Egidio Rondoni è morto, 15.4.1914, Un nuovo lutto dell'on. Rondoni', "Avanti"!, 24.8.1915

spostamenti di sede: nel 1870 si trasferisce a Portomaggiore, poi a Novara dove il giovane Dino frequenta il liceo240 e inizia ad interessarsi alla politica iscrivendosi alla repubblicana Società democratica di Novara.

Si iscrive alla facoltà di giurisprudenza di Torino, sul finire dell’800 uno dei maggiori centri di diffusione del materialismo evoluzionistico oltre che del “socialismo dei professori“

Arriva a vent’anni nel 1888, in seguito al trasferimento del padre, a Milano, negli anni a cavallo tra '800 e '900 il maggior centro economico del Paese, le cui industrie attiravano una massa crescente di manodopera dalle campagne che ingrossava le fila di un proletariato che si andava organizzando in Leghe di mestiere, Società di mutuo soccorso, Cooperative di consumo e di lavoro, Camere del lavoro. In questo periodo si costituiva ad opera di Osvaldo Gnocchi-Viani e di Costantino Lazzari il Fascio operaio, organizzazione a carattere esclusivamente classista, che contese ai radicali la rappresentanza politica del mondo del lavoro, assorbendone il Consolato operaio e dando vita al Partito Operaio Italiano (1885)241. La fusione con la Lega socialista di Turati, composta da intellettuali di provenienza repubblicana e "scapigliata", e la fondazione del Partito Socialista su base nazionale a Genova nel 1892 diede all'organizzazione più ampio respiro ma fu anche l'inizio di una lotta per l’egemonia con alterne vicende tra rivoluzionari e riformisti, i quali disponevano della rivista “Critica sociale” cui collaboravano professionisti e studiosi di spessore culturale e morale come Alessandro Schiavi242, Fausto Pagliaro, Luigi Montemartini243 di impronta più radical-democratica che marxista. A Milano inizia la sua attività politica244 nel circolo di Dario Papa, repubblicano “avanzato” e disponibile alla collaborazione col socialismo, ma nel 1890 incontra Turati e si iscrive alla sua Lega socialista milanese245 e per la sua rivista scrive un articolo “dottrinario” piuttosto schematico246.Nel 1891 è al centro delle diffidenze degli ambienti del Partito Operaio non ancora superate per gli «avvocati e i dottori»247 e nel 1892 partecipa al congresso costitutivo del partito socialista a Genova rappresentando la “Società braccianti della provincia di Milano”.Nel 1892 a 24 anni è contemporaneamente segretario della Lega Cooperative,

240 Il Liceo Carlo Alberto di Novara, fondato nel 1858, è tuttora funzionante in Baluardo La Marmora 8/c

241 M.G.Meriggi Il partito operaio italiano : attività rivendicativa, formazione e cultura dei militanti in Lombardia, 1880-1890 Milano - c1985

242 M. Ridolfi, Alessandro Schiavi: indagine sociale, culture politiche e tradizione socialista nel primo '900, Cesena, 1994; Q. Versari, Un riformatore: Alessandro Schiavi nella storia del socialismo italiano, Bologna, 1986; G. Silei Alessandro Schiavi : il socialista riformista Mandria, 2006

243 A. Magnani, Luigi Montemartini nella storia del riformismo italiano Firenze, 1990; La cultura delle riforme in Italia fra Otto e Novecento: i Montemartini: atti del Seminario, Pavia 15 dicembre 1984 - Pavia 1986

244 D.Rondani Ancora, ancora. Ricordi di propaganda in "La lotta di classe", 14-15.1.1899

245 G.Cervo, in Riosa (a c. di) Il socialismo riformista a Milano agli inizi del secolo Milano, 1981, pag.35, A. Nascimbene, Il movimento operaio lombardo tra spontaneita e organizzazione : (1860-1890), Milano, 1976 , pag.394

consigliere del circolo socialista di Porta Genova «Fate largo alla povera gente», redattore della “Lotta di classe”, organo del partito. Il suo attivismo è dimostrato anche dai giri propagandistici tipici di questa fase pionieristica di primo impianto del partito e di proselitismo: nell’autunno 1892 inaugura due circoli a Voghera248 e tiene conferenze a Treviglio, Novara, Rho, Lodi249.

Per una collaborazione al giornale socialista di Firenze “La Difesa” viene denunciato e subisce una condanna a 29 giorni emessa dal pretore di Cecina. Coimputato nel 1895 con 38 socialisti milanesi in un processo che vide 10 assoluzioni e 27 condanne al confino, fu colpito con 5 mesi di confino a Domodossola250 utilizzando questo periodo per proseguire la sua opera di organizzatore e propagandista del socialismo, nonostante le ammonizioni delle autorità251 Nel luglio 1895 da Domodossola raggiunse i genitori in vacanza ad Adorno Micca dopo aver scontati i sei mesi di confino. Di lì si recò a Biella con l’intenzione di ispezionare le cooperative della zona iscritte alla “Lega” di cui era segretario, ma subito il suo interesse per il Biellese andò oltre e quel viaggio fu determinante anche per lo sviluppo del movimento socialista della zona252

2. Le origini del movimento operaio e socialista biellese

La vita del Biellese, caratterizzata sin alle soglie dell’età contemporanea da una forte influenza dell’istituto comunitario, dall’economia mista di “terra e telaio”,253 da una costante emigrazione verso l’estero, entrò con la prima metà dell’800 nel pieno della rivoluzione industriale. Forti di un

246 D.Rondani, Un pane socialista, "Critica sociale", n.15 del 1891 (è l'unico che pubblica su questa rivista) Pubblica anche "I ferrovieri inglesi e l'organizzazione" per la "Rivista popolare di politica, letteratura e scienze" del 1888-89.

247 Lettera di Angelo Cabrini all'operaista A.Casati in cui gli chiede se intende escludere il gruppo Rondani (e intellettuali) del futuro partito. In Manacorda, p. 427

248 "La lotta di classe", 8-9 ottobre e 4-5 novembre 1892

249 ACS, CPC, b. 4405

250 " La lotta di classe", 5-6.1.1895

251 "la condotta del Rondani fu scorrrettissima.Appena qui arrivato trovò modo di infiltrarsi presso la parte meno rispettabile della popolazionee stringe intima amicizia con diversi giovani che professano idee esaltate...si diede anima e corpo alla propagazione delle dottrine socialiste riuscendo persino a costituire un circolo socialista di cui fanno parte 30 associati. Dal Presidente del Tribunale venne ammonito a meglio comportarsi e di non dar luogo a nuovi rimarchi, ma tutto risultò inutile" relazione del sottoprefetto di Domodossola 11.4.1895, in ACS CPC, b.4405

252 R.Rigola, Rinaldo Rigola e il movimento operaio , cit., p. 137-9.

253 F.Ramella "Terra e telai. Sistemi di parentela e manifattura nel biellese dellOttocento", Torino,

loro antico potere che l’ordinamento corporativo aveva tutelato fino al 1845, i tessitori all’indomani dello Statuto Albertino che proibiva le “coalizioni” avevano ritrovato che le Società di Mutuo Soccorso composte su base di mestiere erano la formula con cui ridare istituzionalità al loro forte statuto professionale. Tra il 1864 e il 1865 e poi tra il 1877 e 78 i tessitori scesero in sciopero in Valle Mosso, nel Triverese e nella Valle dell’Elvo. Nel 1884 diffuse in 42 dei 95 comuni biellesi si contavano 64 SOMS con 9789 iscritti (8972 maschi e 817 femmine). Delle più antiche sopravvivevano quelle di Biella (fondata nel 1851) di Bioglio (1852), di Cossato (1853), dei cappellai di Sagliano (1853) Nello stesso periodo 890 circoli vinicoli, frazionali e di fabbrica, e una quarantina di cooperative di consumo estendevano la loro rete di servizi. A differenza di altre zone d’Italia nel biellese254 fin dagli anni ‘60 i confronti più duri si accendevano sugli aspetti normativi dei regolamenti di fabbrica più che sulle questioni salariali. Per arginare gli scioperi le autorità governative ricorsero ai provvedimenti repressivi, dal confino per una settantina di operai allo stato d’assedio nella vallata allo scioglimento della “Società dei tessitori di Crocemosso” che, più volte soppressa e pù volte ricostruita, sfociava nel 1898 nella “Lega di resistenza tra i tessitori della Valle Strona e del Ponzone”, che svolse un ruolo di guida255 Negli anni ‘80 si ha una trasformazione della “società operaia” in “lega di resistenza” prima ed in “lega professionale” poi, con il passaggio dall’aggregazione episodica delle associazioni locali alla costituzione di organismi stabili sia professionali che territoriali (di vallata), nel comprensorio dei 23 comuni biellesi in cui verso fine secolo erano concentrati circa 14.000 operai nel sistema di fabbrica. In campo mutualistico sono presenti nel circondario 47 SOMS di cui 6 nel capoluogo, 2 a Crocemosso, 2 a Cossila, 4 a Occhieppo, 2 a Sagliano, 2 a Andorno, 2 a Pollone, ecc.256

Dopo la parentesi della repressione di fine secolo, la Camera del lavoro venne fondata nel febbraio 1901, con l'adesione delle leghe locali che si erano collegate con quelle nazionali. Per alcuni mesi si tennero riunioni preparatorie, promotrici le Associazioni di miglioramento, Unioni pannilana, cotonieri, fonditori, metallurgici lavoratori del libro, che associavano oltre 1200 iscritti. La riunione di fondazione della Camera del lavoro ebbe luogo il 4 febbraio 1901 con una relazione introduttiva di Giulio Casalini257 e conferenza di Angiolo Cabrini.258 Notevole apporto lo diede Felice Quaglino con

254 M.Neiretti, G.Vachino "La lana e le pietre: il biellese nell'archeologia industriale", Biella, 1987; "Archeologia e storia industriale nel biellese: archivio e fonti. Convegno", Biella, 1988; P.Secchia “Capitalismo e classe operaia nel centro laniero d’Italia”, Roma, 1960; “L’altra storia. Sindacato e lotte nel biellese. 1901-1986”, Roma, 1987; R. Gremmo: "La repubblica di Sala Biellese del 1896: dalla rivolta popolare alle lotte di anarchici, socialisti, sindacalisti rivoluzionari e comunisti nei paesi della Serra", Biella, 1996; L.Moranino "Le donne socialiste nel biellese: 1900-1918", Vercelli, 1984; M.Neiretti "Le radici e il fondamento: dall’ opinione pubblica alla forma partito nel biellese di fine Ottocento" "L'impegno", 1993 n.3 = "Democratici e socialisti nel Piemonte di fine Ottocento", Milano, 1995

255 P.Ferraris "Sviluppo industriale e lotta di classe nel biellese", Torino, 1972

256 L. Petrini "Le SOMS biellesi nel secolo scorso 1851-1872", Biella, 1996

257 I buoni artieri : Parte I Roma 1957

258 F.Fabbri Angiolo Cabrini (1869-1937): dalle lotte proletarie alla cooperazione fascista. In “Cooperazione e società”, 1971, n. 1-2; F. Borrelli Angiolo Cabrini ; relatore E.R. Papa, Università di Torino Facolta di Scienze politiche, A.A. 1985-1986 ; E.Santarelli voce in: Dizionario biografico

l’adesione della sezione edili forte di 300 iscritti. Alla fine di aprile gli associati erano ormai 2500. Il 2 giugno si celebrò l’inaugurazione ufficiale con corteo e discorso di Quirino Nofri. La domenica successiva si radunò a Biella un congresso delle leghe tessili per dar vita alla Federazione arti tessili259

A far da contraltare alla “riformista” CdL biellese, nel giugno 1902 si costituì la CdL di Cossato ad opera di socialisti rivoluzionari tra cui spiccano i fratelli Mario e Oreste Mombello, con l’adesione dichiarata di associazioni che rappresentavano 2000 iscritti contro i 2600 biellesi svolgendo un’attività vertenziale modesta a differenza dell’intensa propaganda anti-sistema. Quirino Rosso segretario della CdL di Biella sfruttando le difficoltà organizzative dei rivoluzionari, svolgerà un paziente lavoro di recupero che culminerà nella unificazione nel 1905. Nel 1904 fu istituito su proposta della CdL e della Federazione edilizia il Segretariato dell’emigrazione260

Dopo la riforma elettorale del 1882 che aveva permesso a una parte della popolazione operaia di prendere parte alle competizioni elettorali la democrazia radicale divenuta protagonista della lotta politica biellese. I mazziniani favorivano il movimento cooperativo e si battevano per sganciare le società di mutuo soccorso dalla tutela degli industriali e dal 1881, per quattro anni, il settimanale “La Sveglia” contribuì alla diffusione di una coscienza nuova tra le classi popolari soprattutto artigiane261. Il loro scopo era di acquisire attraverso il controllo delle società operaie una solida base elettorale per il loro programma di riforme politiche, ed anche le società operaie avevano interesse a ricercare il loro appoggio, avendo la repressione dello sciopero dei tessitori del 1877 reso evidente che “per non esporsi più ai rischi di una repressione indiscriminata, dovevano battersi per il loro riconoscimento e la loro legittimazione con una campagna di agitazione politica che la sola democrazia radicale aveva allora le armi per svolgere”262.

Nelle elezioni del 1882 i democratici biellesi presentarono una lista capeggiata da Agostino Bertani e da Luigi Guelpa263; nessuno dei due fu eletto ma la contesa convogliò l’attenzione di molti operai che si affacciavano alla vita politica e che nel 1883 elessero per la prima volta un presidente di

degli italiani, vol. 15

259 R.Rabaglio, I.Zamprotta “L'azione sociale, culturale e di educazione permanente dell'Università Popolare di Biella”, Biella, 1992,

260 P.Corti "Il segretariato biellese dell'emigrazione. Strutture organizzative, tradizione migratoria, spazi istituzionali" In "Democratici e socialisti nel Piemonte dell'Ottocento", Milano, 1995. All’epoca ne erano stati istituiti già 13.

261 M. Nejrotti, La stampa operaia e socialista 1848-1914, in Storia del movimento operaio del socialismo e delle lotte sociali in Piemonte, Bari, 1975, vol. I, p. 412; R. Rigola, Rinaldo Rigola e il movimento operaio..., cit., p. 73.

262 G.Berta, La formazione del movimento operaio regionale: il caso dei tessili in “Storia del movimento ..”., cit., p. 310.

263 Luigi Guelpa (1843-1911) avvocato mazziniano esponente della democrazia biellese. Candidatesi per la prima volta nell'82 contro Sella, fu eletto nel '90 e riconfermato nel '92. Sconfitto tre anni dopo si ritirò dalla politica attiva.

estrazione non borghese alla Società generale di mutuo soccorso di Biella264. Nel 1883, promosso dai cappellai, si celebrò a Biella il primo congresso operaio democratico seguito l’anno successivo dalla costituzione del Consolato Operaio. Nel febbraio 1884 si tenne un convegno di 34 società operaie che respinse il progetto di legge Berti sulla regolamentazione degli scioperi, secondo la linea del Partito operaio italiano.

Nel biellese degli anni ottanta erano presenti associazioni politiche di varia appartenenza ma unificate dalla tematica della questione sociale, mentre l’emigrazione di ritorno diffondeva idee rivoluzionarie e di utopia sociale, rafforzando l’anticlericalismo militante (con battesimi, matrimoni, funerali “proletari”). In quella fase, schematizzando, i dirigenti provenivano in prevalenza dall'anarchismo approdando a posizioni più moderate, mentre l'elettorato di estrazione “democratica” si radicalizzava.

Negli anni successivi la democrazia radicale condivise la guida del movimento operaio con il POI, cui aderirono diverse società del biellese e col socialismo anarchico propagandato da Luigi Galleani. Il movimento operaio era in continua crescita, e nelle amministrative del 1889 per la prima volta fu eletto un operaio nel consiglio comunale a Biella265, mentre in vari comuni vennero eletti sindaci della democrazia.

Il primo maggio 1890 era stata convocata una grande manifestazione mondiale a sostegno delle otto ore lavorative e anche Biella rispose all’appello con un comizio in cui l’oratore di maggior successo fu l’anarchico Pietro Vigliani266, seguace di Galleani.

I rappresentanti di ventidue società operaie si riunirono il 7 agosto 1892 a Biella in vista del Congresso di Genova che portò alla fondazione del PSI . Gli anarchici contestarono la partecipazione dell’onorevole Guelpa, e democratici, repubblicani, socialisti proseguirono il pre-congresso da soli nominando Luigi Fila267 e Luigi Sola268 delegati a Genova dove però entrambi si schierarono con gli anarchici. Ma un anno dopo nel biellese la guida del movimento socialista cadde nelle mani dei “marxisti”, che assorbirono nelle loro fila guelpisti, operaisti e anarchici, tra cui Rigola.

264 P. Secchia, Capitalismo e classe operaia nel centro laniero d'Italia, Roma, 1960, p. 139

265 Il fonditore Camillo Gioggia, allora seguace di Guelpa, ma che all'inizio degli anni '90 aderì al socialismo, occupandosi in particolare del movimento cooperativo. AA. W., Linee di storia del socialismo biellese, Biella, Federazione del PSI biellese, 1962

266 P.Vigliani, muratore autodidatta e apprezzatissimo oratore, fondatore della cooperazione e della lega muraria a Ponderano, fu il primo sindaco socialista di questo comune. AA. W., Linee di storia del socialismo ,.., cit.

267 Operaio tessile, già al congresso di Reggio Emilia del 1893 si trovò su posizioni "marxiste". La "Lotta di classe" del 26-27 novembre 1892 pubblicò la sua : “Un 'inchiesta sulla tessitura nel Biellese",

268 Operaio meccanico, seguace di Guelpa, socio fondatore e presidente della Unione Cooperativa Biellese, all'inizio degli anni '90 abbracciò le idee socialiste. Fu il primo socialista ad essere eletto al Consiglio comunale di Biella.

Circoli anarchici sono diffusi nel Biellese negli anni novanta e nella pubblicistica locale anarchismo e socialismo non compaiono in antitesi. Nel luglio 1895, Dino Rondani, rilevò la singolarità: “Piuttosto vi dirò crudo che in nessuna regione d’Italia si sente correre per le vie la parola socialismo, socialista, anarchico anche, così facilmente come da voi, e corrispondervi spesso una sostanza di gran lunga diversa dal nome”. Altra evoluzione delle forme di organizzazione degli anni ottanta è data dalla trasformazione della “società operaia” in “lega di resistenza” prima ed in “lega professionale”

L’organizzazione del partito venne impiantata secondo lo schema della socialdemocrazia tedesca, con statuto, tesseramento, sezioni di base, federazioni territoriali, congressi periodici. Nel 1893 il partito cominciò a organizzare nei centri maggiori le prime sezioni, senza trascurare iniziative collaterali, per dare una risposta anche ai bisogni sociali degli iscritti e della popolazione, quali cooperative di consumo, circoli ricreativi, iniziative culturali e istruzione professionale. Con il 1896 si avviò una campagna capillare per avere in ogni comune una sezione.

Il movimento socialista biellese, sviluppatosi dalle origini con caratteri di massa, affondava le radici in una società locale ad elevata integrazione comunitaria alimentata da una “ideologia del lavoro”. L’impronta di fondo si espresse sostanzialmente in termini riformisti e gradualisti. Nel 1893 al Congresso di Reggio Emilia l’adesione di Rinaldo Rigola (che verrà eletto consigliere comunale di Biella nel '95), attraverso gli operaisti di Angiolo Cabrini e Costantino Lazzari, rappresentò per il socialismo biellese una importante acquisizione.

Alle elezioni del marzo 1895 il Partito socialista presentò al collegio di Biella Giuseppe De Felice in carcere per la sua partecipazione al movimento dei Fasci siciliani che raccolse 967 voti contro i 2.981 dei demo-liberali, mentre nel collegio di Cossato il liberale Giovanni Garlanda269 con 3.581 voti sconfisse Luigi Guelpa, (2.102) ed il socialista Nicolò Barbato, candidato di bandiera. In alcuni comuni i socialisti conquistarono la maggioranza.

La sconfitta di Guelpa, che si era alienato le simpatie operaie appoggiando in un primo tempo Crispi, provava che nel biellese la democrazia radicale aveva fatto il suo tempo e che solo il partito socialista aveva le potenzialità per mobilitare la massa di operai ancora estranei alla vita politica, come capì lo stesso Guelpa secondo cui di lì a poco il collegio di Cossato sarebbe stato conquistato da un “giovane seguace di Carlo Marx”.270 Infatti dopo il periodo della repressione il Partito socialista conquistò alle elezioni del 1900 entrambi i collegi biellesi.

3. La "conquista" del biellese

A Biella Rondani conobbe i principali organizzatori locali del socialismo e tra questi Rinaldo Rigola271, che allora alternava ancora l’attività politica con la sua professione di ebanista e che

269 Federico Garlanda (1867-1913), docente di inglese a Roma, dove fondò la rivista "Minerva". Eletto nel '95 nel collegio di Cossato appoggiò il governo Crispi. Sconfitto nel '97, si ricandidò nel 1909 a Biella ma venne sconfitto da Quaglino.

270 R.Rigola, Commemorazione di Luigi Guelpa Biella, Tipografia biellese E. Rigola, Ubertino e C., 1912, p. 11.

271 C.Cartiglia “Rinaldo Rigola e il sindacalismo riformista in Italia”, Milano, 1976

trentacinque anni dopo tracciò questo ritratto del suo primo incontro: “Una mattina di luglio del 1895 venne nella mia bottega un amico in compagnia di un individuo a me ignoto vestito alla “touriste”, con cappello di paglia e “pince-nez” all’occhio. Lo sconosciuto mi viene presentato per il dottor Dino Rondani di Milano ... E’ un parlatore amabilissimo e briosissimo. Tra una arguzia ed un paradosso, ti snocciola tutto un rosario di piani e di progetti. E’ un visibilio. Perché non si farebbe questo? Perché non si farebbe quest’altro? A che punto siamo con le leggi protettive del lavoro? S’è mai tentato di dare esecuzione alla legge dei probiviri in vigore oramai da ben due anni? E se questa legge non si applica ai 40.000 operai delle industrie biellesi, a chi la si applicherebbe? C’è da fare tutta l’organizzazione di resistenza, c’è da fare la Camera del Lavoro. Abbiamo noi una conoscenza esatta della situazione industriale, delle condizioni economiche, igieniche e morali in cui versa la classe lavoratrice? S’è mai fatta un’inchiesta, dopo quella famosa sugli scioperi, per rilevare lo stato dei salari, degli orari, della disoccupazione nell’industria tessile, le cui maestranze sono oggi composte di donne in prevalenza? Sappiamo grosso modo che la degenerazione fisica è preoccupante, che su 3.000 coscritti dell’ultima leva, soltanto 300 furono dichiarati abili, e tutti gli altri riformati o dichiarati rivedibili per gracilità o deformazione scheletrica, ma siamo noi in grado di fare una diagnosi esatta di questa terrificante malattia sociale? Indagini positive ci vogliono. Non cadiamo negli errori della democrazia, la quale agiva dall’esterno, in base ad astratte ideologie, invece di far leva sui reali bisogni della classe, resa consapevole dei mali di cui soffre. Basta con la retorica. Ricordiamo il metodista inglese che predicava essere quello degli operai “un problema di coltello e di forchetta”. “Wery [sic] well”! ... “Prima bisogna fare il giornale ... il giornale locale è un’imprescindibile necessità”. 272

Questo ritratto mette in luce alcuni tratti caratteristici: una certa eccentricità nei modi e nel vestire, una vivacità di discorso e soprattutto una propensione ad analizzare i problemi dal punto di vista delle possibili soluzioni per risolverli. Il suo è già il linguaggio dell’organizzatore, del sindacalista, ancora poco usato in una zona dove socialismo era stato sinonimo di anarchismo e quindi di un concetto di rivoluzione come atto unico e violento273.

Egli era giunto a Biella nel pieno dell’ondata repressiva scatenata da Crispi, reduce dal domicilio coatto, istituto che paradossalmente si rivelò fondamentale per la diffusione del socialismo nelle zone periferiche, di cui Rondani si era reso conto: “[Rondani] ha scontato alcuni mesi di confino ... Sentenza provvidenziale, secondo lui perché ha il vantaggio di ovviare ai difetti della nostra ancor debole organizzazione, e di frustrare, al tempo stesso, gli scopi che il Governo si è proposto di raggiungere con la promulgazione delle leggi eccezionali.. Finché i socialisti godevano delle libertà comuni, la nostra propaganda nelle campagne quasi non arrivava; e ciò era dovuto in parte alla scarsità dei mezzi e in parte all’innata pigrizia dei compagni delle città. Con le leggi eccezionali il Governo si è proposto di distruggere i focolai di infezione già esistenti nei centri urbani, ma si inganna. I nostri non andavano fuori, il Governo provvede lui a mandarveli. Una cinquantina di compagni milanesi sono già stati processati e spediti in tutte le direzioni, con l’obbligo di risiedere per un certo tempo in comuni nei quali non c’era per ora speranza di farvi penetrare l’idea socialista. Quanto più uno è attivo propagandista, tanto più deve rimanere a Domodossola, a

272 R. Rigola, Rinaldo Rigola e il movimento operaio ..., cit,

273 Nel luglio 1951, commemorando Rondani appena scomparso, Rigola tornò su quel primo incontro e sulla rievocazione da lui fattane più di vent'anni prima: "[Era] un ritratto un po' caricaturale, il mio, del giovane lottatore che non sta nella pelle. Ma sta di fatto che egli mi parlava un linguaggio diverso dai soliti. Oggi lo chiamano linguaggio sindacalista. R.Rigola, Dino Rondani nella commossa rievocazione dell'on. Rigola, in "Tribuna Socialista", 14.7.1951

Biandrate, ad Ivrea od a Peretola, dove non esiste traccia di socialismo. Invece di isolare gli appestati nel lazzaretto, si sparpagliano nei centri tuttora immuni da contagio. Che cosa si potrebbe domandare di più?”274

Rondani si presentò agli operai biellesi con una conferenza a Croce Mosso in cui puntò soprattutto a differenziare i socialisti dagli anarchici, dal momento che intorno a questi due termini si faceva ancora molta confusione: ”“Non siamo del parere delle legnate, né tanto meno delle revolverate o delle pugnalate, perché questo è il parere dei nostri avversari, e sono essi che hanno l’esercito, la polizia, la magistratura, le strade, le città, le manette, le carceri... La lotta è economica ed umana, le armi devono essere economiche ed umane. .. Se noi esercitiamo la scheda elettorale con tenacia, coraggio e vigore, noi contendiamo, senza crisi serie e senza procurare alcun massacro su di noi, palmo palmo il terreno ai nostri avversari”275.

Per assicurarsi un’efficace capacità di penetrazione nelle masse era necessario disporre di un giornale, la cui fondazione era stata posta come prioritaria nel colloquio tra Rigola e Rondani

Nonostante la difficoltà di riunire i socialisti del circondario in tempo di leggi eccezionali, il 15 agosto 1895 sulla vetta del monte Rubello, luogo mitico della ribellione nella memoria collettiva locale perché vi era stato catturato l’eretico Fra’ Dolcino, si radunarono 150 socialisti del biellese, valsesia e vercellese; la relazione svolta da Rondani sulla nascita di un settimanale circondariale venne approvata all’unanimità 276. Il raduno sul monte Rubello costò un nuovo processo in pretura concluso con l'assoluzione277 ma assunse nella memoria storica dei socialisti biellesi un’aura leggendaria e il raduno del 15 agosto divenne un punto di riferimento per le generazioni dei socialisti biellesi, rinverdito dalle “scampagnate” di rievocazione che si tennero negli anni successivi.

L’avvocato repubblicano Giuseppe Ubertini278 che aveva pubblicato nel 1895 il settimanale “Il Corriere Biellese” in appoggio alla candidatura di Guelpa, cedette gratuitamente la testata ai

274 R. Rigola, cit, pp. 136-137. Queste considerazioni non gli impedirono naturalmente di firmare, nel settembre 1897, un manifesto di protesta promosso da Cavallotti contro il progetto governativo. Anche un altro protagonista del socialismo biellese arriva alle medesime conclusioni: "A Varallo si è incominciato a parlare di socialismo e di socialisti, perché con le leggi eccezionali di Crispi alcuni socialisti e anarchici erano stati mandati al confino lassù". (O.Mombello, Sessant 'anni di vita socialista, Biella, 1952, p. 6)

275 "II Corriere Biellese", 3.8. 1895, La conferenza di Dina Rondani in Croce Mosso. Un articolo rievocativo in "Il Corriere Biellese", 20.8.1920, La prima pubblica conferenza di Dino Rondani

276 Ibid, pp. 140-42; P. Secchia, Capitalismo e classe operaia cit., p. 162. Il Secchia indica per errore come data della riunione il 15 maggio 1895

277 lbid , Linee di storia del socialismo..., cit.

278 Giuseppe Ubertini (1859-1916) avvocato e industriale, fu uno dei fondatori del movimento mazziniano di Biella; collaboratore della "Sveglia", fondò "Il Corriere Biellese". Fervente irredentista, a 57 anni si arruolò volontario quando l'Italia intervenne nella prima guerra mondiale, e sul fronte contrasse il tifo che lo portò alla morte.

socialisti 279 e il 9 febbraio 1896 uscì il primo numero del “Corriere Biellese”, diretto da Rigola, privo di esperienza giornalistica ma scelto per mancanza di alternative. Si era pensato a Rondani che era stato redattore della “Lotta di Classe” ed era il solo laureato, ma non risiedeva a Biella e avrebbe potuto offrire solo una collaborazione saltuaria.

Rondani, la cui provenienza milanese e il suo essere a contatto coi maggiori esponenti del partito conferiva autorevolezza, per tutta l’estate girò il circondario destando la preoccupazione delle autorità che notarono che “dal luglio al settembre 1895, [Rondani] contribuì assai allo sviluppo del movimento socialista, che andò accentuandosi per opera specialmente di lui e di altri fanatici correligionari”280 e nel settembre 1895 sciolsero il Circolo Ricreativo del lavoratori di Biella denunciando i sette soci fondatori, tra cui Rigola e Ubertini. L’“attenzione” delle autorità verso i socialisti dopo l’arrivo di Rondani fu così commentata dal settimanale liberale “La Tribuna Biellese”: “tempo fa, quando le cose venivano dai socialisti fatte – diremo così – in famiglia, le autorità non si erano allarmate. In questi ultimi tempi, invece, venuto da Milano a passare l'estate fra noi – ad Andorno – il dott. Dino Rondani, ecco che le autorità riconoscono motivi di pericolo in questi pochi, rumorosi, ma punto pericolosi socialisti”281.

Rondani comunque non lasciò più il biellese e pur continuando a vivere a Milano, prese a percorrere il circondario con assiduità 282 Partecipò alla costituzione del Circolo elettorale di S. Germano, l’11 agosto 1895, in occasione del 26. anniversario della Società operaia dei contadini giornalieri; l’8 marzo del '96 fu fondato il “Circolo Popolare Vercellese”, con 33 iscritti, che Rondani inaugurò con una conferenza.

Il 7 giugno 1896 si svolse a Novara il primo Congresso provinciale, sotto la presidenza di Morgari, con delegati di 27 sezioni. Rondani, rappresentante di S. Germano tenne la relazione sul movimento provinciale degli ultimi tre anni: da 656 gli iscritti superavano ormai il migliaio, organizzati in una ventina di circoli in tutti i collegi elettorali, e la provincia era quella che in Piemonte vantava il maggior numero di adesioni. Il “Corriere Biellese”, nato da soli quattro mesi, diffondeva 1.700 copie e aveva 300 abbonati. Terminò dichiarando: “Avendo abbastanza bene sgobbato durante quest’ultimo anno ... è naturale che non ci sia rimasto tempo per discutere della tattica. .. Per noi la migliore delle tattiche è ancora una sola: lavoro, lavoro, lavoro. La peggiore è certamente quella che impiega più della metà del già scarso tempo consacrato al partito nel discutere sino alla noia di transigenza e di intransigenza, quasi fossimo alla vigilia di chissà quali avvenimenti politici, in una nazione in cui ventinove milioni e tre quarti su trenta milioni non sanno ancora cosa realmente i socialisti vogliano”. Al termine dei lavori venne costituita la Federazione

279 Dopo l’avvio come supplemento del “Grido del Popolo” di Torino, il giornale, diretto da Rigola, ebbe vita propria, passò da settimanale a bisettimanale, raggiungendo ai tempi della prima guerra mondiale quindicimila copie di diffusione. Il giornale fu determinante nell’affermazione del partito e dell’azione sindacale, creando una rete di corrispondenti attraverso la quale si diffuse anche l’organizzazione del partito e si avvicinarono categorie di operatori culturali, in specie gli insegnanti

280 ASB, Sovversivi e socialisti, mazzo 6, fasc. 54, Denuncia del Procuratore del Re contro Dino Rondani e altri

281 “La Tribuna Biellese”, 26.9.1895, La repressione socialista a Biella. Il giornale liberale appoggiava in quegli anni il prof. Garlanda, ma fino al maggio 1898 mantenne verso i socialisti un’opposizione rispettosa. Era stato fondata nel 1891 da Alfredo Frassati (L. Frassati, Un uomo, un giornale. Alfredo Frassati. Roma, 1978, p. 8).

provinciale designando nel Comitato federale Rigola per il collegio di Biella e Oreste Mombello per quello di Cossato, mentre Rondani veniva nominato con Giuseppe Ballario nel Comitato regionale piemontese. Il terzo congresso dei socialisti biellesi (27 luglio 1897) nominò direttore del “Corriere” Umberto Savio (poi deputato di Santhià) ed amministratore Giulio Casalini.

Rondani fu eletto a far parte della Commissione Esecutiva, con sede a Milano, sia al quarto (Firenze, 11-13 luglio 1896) che al quinto congresso nazionale (Bologna, 18-20 settembre 1897).

Nel 1897 venne eletto deputato283 nel collegio di Cossato (Biella) ma l’elezione fu annullata non avendo Rondani i trent’anni di età richiesti. Dopo due suffragi annullati nel 1897 e nel 1898, fu eletto deputato nel 1900 (con 3.192 voti, il doppio del candidato moderato) per tale collegio che lo riconfermò al primo scrutinio sia il 6 novembre 1904 che il 7 marzo 1909. Il 26 ottobre 1913 è rieletto per la quarta e ultima volta

4. La svolta reazionaria di fine secolo

Nei difficili anni di repressione dal 1892 al 1900, libero da vincoli familiari e aiutato economicamente dai proventi dell’attività professionale, fu in prima fila ovunque: il suo gusto per l’azione dimostrativa, le sue doti di efficace parlatore, il suo desiderio di cimentarsi in prima persona potevano servire: conferenze e contraddittori in ogni grande e piccolo centro in Lombardia, in Liguria, in Toscana, manifestazioni per il 1° maggio, per i Fasci Siciliani, stampa clandestina di volantini, e come conseguenza ammonizioni arresti e condanne284.

282 Riportiamo questa testimonianza, anche se imprecisa e tendente al pittoresco: “Nell’ultima decade del secolo scorso un giovane propagandista, preparato e buon oratore, agiva circospetto, ma con pertinacia e gran coraggio, nel mio paese ed in quelli appartenenti al collegio elettorale di Cossato...Veniva dalla Romagna, terra calda di sole e di fermenti politici. Appartenente a buona famiglia, l’aveva abbandonata per l’idea dandosi a una vita grama, randagia, braccato dai carabinieri, dimenticato dalla famiglia, dileggiato dagli avversari. Divideva un magro pane ed un piatto di minestra coi seguaci più intimi, modesti operai, e dormiva sovente nei fienili e nelle stalle al par d’un mendicante, ora in una borgata, ora in un’altra, cambiando di continuo per disperdere le tracce ai carabinieri che aveva ognora alle calcagna. Veniva spesso anche nella mia borgata, dove arrivava di notte e ripartiva prima dell’alba. Io ero bambino e ne sentivo parlare in casa e fuori, sottovoce. Non capivo; naturalmente. Teneva le sue riunioni nei boschi, su alture impervie, in gran segretezza. Un giorno mio padre, che non era dei suoi ... volle partecipare a titolo di curiosità ad una di dette riunioni ... Al ritorno raccontò ai vicini com’era andata ... ”“Sapete? Quell’ometto là non è mica uno stupido come qualcuno pensa. Io, vecchiotto, mi son trovato in mezzo ad una cinquantina di giovani e giovinetti che l’ascoltavano con grande attenzione. Parlava bene, bisogna riconoscerlo; diceva cose giuste, ma che a noi, anziani, non fanno molto effetto. Ai giovani, sì. Ed è appunto ai giovani che l’uomo si rivolge. Se li coltiva per il domani. Saranno essi, fatti elettori, a dargli il voto” G.Garlanda, Biellese mio, Biella, 1971, p. 61-63

283 Ernesto Bignami si congratulò in una lettera del 17.8.1897 della “STREPITOSA vittoria a Cossato che tu saprai certamente consolidare” in Fondo Rosselli, cit. da G.Carazzali, Enrico Bignami, Milano, 1992

284 Nel 1898 il tribunale di Biella condannò Oddino Morgari a tre mesi e 26 giorni e ad una multa di 100 lire per eccitamento all'odio fra le classi sociali, in seguito alle parole pronunciate in

Collaborava al “Corriere Biellese” inviando interventi e articoli, e da uno di questi scaturì un duello giornalistico: l’articolo in questione uscì, anonimo, nel numero del 28 marzo 1896 con il titolo Al “Corriere di Novara“, un settimanale liberale da poco convertitosi al repubblicanesimo, che sullo stesso numero pubblicava un editoriale di complimenti all’onorevole Ferri per le dichiarazioni di “transigenza” verso le altre forze dell’estrema (radicali e repubblicani) espresse alla Camera e per la sua attenzione al problema istituzionale285 mentre un altro articolo, prendendo spunto dai numerosi casi di renitenza alla leva verificatisi dopo la sconfitta di Adua per timore di essere mandati in Africa, si scagliava con disprezzo verso i disertori, definendoli “anime di coniglio, cuori e cervelli malandati e vuoti”, non potendosi comprendere come “per un istinto di paura, che offende ogni civil sentire, un essere, che non sia stolto o pusillo, possa attentare alla propria rovina”286.

Rondani, commentati con una certa ironia i complimenti all’onorevole Ferri, denunciò il contrasto con l’articolo successivo dove “si svescia tutta la bolsa retorica propria di questo disgraziato periodo monarchico del nostro paese”. Dei disertori scrisse che erano “della gente di buon senso e di coraggio e valeva molto di più di tutti i bellicosi che se ne stan a casa a blaterare di guerra”, aggiungendo che se il mercenario ascaro, brutale e selvaggio, restava fino all’ultimo sotto il fuoco, lo stesso non si poteva chiedere al contadino “che sa di avere a casa dei vecchi che contano su di lui, dei bambini da allevare e da mantenere, e a cui nessuno degli eroi colla pelle degli altri penserà”287.

Egli esprimeva il concetto che, a prescindere dal rifiuto opposto dai socialisti alla guerra in genere e a questa in particolare, era profondamente ingiusto scagliarsi in nome di concetti come il “sacrificio per la patria” contro individui che non conoscevano neanche il concetto di patria e che erano mandati a combattere una guerra che non comprendevano, mentre la loro partenza significava spesso per la famiglia la sconfitta nella battaglia giornaliera della fame. Nell’articolo del giornale repubblicano Rondani ritrovava quello che per lui era il limite dell’estrema sinistra borghese, ossia l’ostinazione ad applicare schemi astratti e irrealistici su un popolo che si preferiva idealizzare piuttosto che cercare di comprendere nelle sue reali necessità, che erano spesso di pura sopravvivenza.

La polemica con il giornale novarese era poi l’occasione per esprimere la recisa opposizione al proseguimento della guerra in Africa, e già in un altro articolo era stato chiaro: "Ecco qui l' “Eco dell’industria”288 che pensa che l’Italia mostrerebbe non aver fibra, di non saper ritemprarsi a nuova energia se accettasse l’eccitamento alla fuga e alla viltà ritirando le truppe dall’Africa, secondo la

una conferenza elettorale a Cossato in appoggio alla candidatura di Dino Rondani. Nel 1998 partì per Palermo con Oddino Morgari per sostenere la locale sezione nella lotta contro la mafia palermitana che garantiva l'elezione di Crispi e che il 16 aprile li aggredì a colpi di rivoltella.

285 Buon sintomo, "II Corriere di Novara", 23.3.1896,

286 Herreros, I disertori, "Il Corriere di Novara, 23.3.1896

287 Uno, Al Corriere di Novara “Corriere Biellese", 28.3.1896

288 Settimanale liberale biellese fondato nel 1872. Nel 1891 ne divenne proprietario l'industriale G.B. Serralunga che ne spostò a destra la linea politica rispetto al periodo precedente, in cui era stato redattore e comproprietario Alfredo Frassati.

volontà di migliaia e migliaia di italiani. La causa è ingiusta, tutti lo sanno, è barbara e stolida, non importa, “le abbiamo prese”: è “coraggioso” ed “eroico” cercare di restituirle servendosi prima di tutto del tradimento, poi dei mezzi di guerra perfezionati" 289

Se quest’ultimo articolo non ebbe strascichi giudiziari, lo stesso non accadde per il precedente, nel quale il procuratore del Re ravvisò il reato di apologia della diserzione e processò con questa accusa il gerente del giornale, Fortunato Galletto, che fu condannato a quattro mesi e quindici giorni di reclusione; Rondani, inviato in Svizzera dal partito per un giro di conferenze non potè essere presente290.

"Il Corriere di Novara” espresse il suo plauso per la condanna e irrise l’autore che, nascondendosi dietro l’anonimato, adottava la medesima filosofia dei disertori che aveva difeso, “risparmia la pancia per i fichi e lascia gli altri nelle pani a cui egli [aveva] fornito il ...vischio!”291

Ciò lo indusse a pubblicare un nuovo articolo dove dichiarò la sua responsabilità, senza rinnegare quanto scritto ma respingendo l’accusa di aver fatto un’apologia della diserzione292; una difesa che Rondani adottò anche al processo che inevitabilmente seguì la sua auto denuncia, in cui spiegò come intendesse solo difendere “le ragioni che militavano in favore di uomini che aveva visto in Svizzera lottare eroicamente colla vita per guadagnare un pezzo di pane per sé e pei loro congiunti”293. La corte lo condannò a sei mesi di reclusione e cento lire di multa. La condanna venne confermata tre mesi dopo dalla corte d’appello di Torino e successivamente dalla Cassazione, e solo l’amnistia promulgata il 24 ottobre 1896 in occasione delle nozze del principe ereditario gli evitò di scontare la pena.

5. Il ”“novantotto” a Milano

All'origine dei moti del maggio 1898 vi fu la congiuntura economica recessiva e un raccolto agricolo insufficiente aggravato dalla reintroduzione della tassa sul macinato che gravava soprattutto sui ceti proletari.

I moti nacquero spontaneamente in vari centri: a Milano si mossero per primi i “barabba” cioè il sottoproletariato urbano che viveva di espedienti, a cui si mescolarono gli anarchici che tennero viva la tensione polemizzando con i consigli alla calma dei socialisti, i quali invece tendevano a ridimensionare i moti osservando che “le sommosse, i combattimenti di strada, le insurrezioni chiamano alla superficie i bisognisti, gli affamati, la plebe che vive come vive, i poveri diavoli che

289 D.R. Nel paese di Gasparone, "Corriere Biellese", 4.4.1896.

290 ASB, Sovversivi e socialisti, mazzo 4, fasc. 32.

291 Herreros, Il Corriere di Novara causa involontaria della condanna del Corriere Biellese, "Il Corriere di Novara", 10.5.1896. Riportando brani dell'articolo di Rondani, Herreros gli attribuiva la frase: "è meglio salvare la pancia per i fichi e rinunciare alla gloria di combattere per l'onore del paese"; frase che in realtà il nostro non aveva mai scritto

292 Oh il repubblicano!, "Corriere Biellese", 16.5.1896,

293 ASB, Sovversivi e socialisti, mazzo 4, fasc. 32, verbale di interrogatorio, 5.6.1896

crescono fra un furto e l'altro"294 riferendosi anche ai molti immigrati che non riuscivano a inserirsi nel tessuto operaio e simpatizzavano con gli anarchici più che coi socialisti, identificati con quelle "aristocrazie operaie" che si collocavano un gradino più in alto perché avevano un posto in fabbrica.

Come scrisse il conservatore Pasquale Villari "Milano è divenuta una grande, forte, laboriosa e prospera città, la cui popolazione è enormemente cresciuta per la continua immigrazione di gente che viene d'ogni parte d'Italia a cercarvi lavoro. E così in essa si vanno accumulando tutto lo scontento, tutti i rancori, tutto l'odio di classe sparso nella Penisola. Il Romagnolo educato alle cospirazioni ed alle società segrete; il contadino veneto che lascia la sua lurida capanna di paglia e di fango; il contadino lombardo continuamente minacciato nelle risaie dalla febbre e dalla pellagra; la giovanetta che lascia in campagna la famiglia, e che già in parte esaltata, sovvertita da idee socialiste o anche anarchiche, si trova nella città, in mezzo a compagne più di lei esaltate, e sempre più s'esaltano, s'accendono fra loro nei convegni serali"295

Concordava il fondatore del Corriere della sera Eugenio Torelli Viollier: queste masse analfabete "non altro hanno capito se non che tutto ciò che i padroni possiedono è tolto agli operai, e che il giorno della spartizione è prossimo. Anche le campagnole immigrate s'infiammano la sera nei loro ritrovi con ogni sorta di fantasticherie comunistiche, e si preparano alla gran giornata, imparando la strategia: andare pacificamente davanti ai combattenti, non mostrare paura dei fucili né della cavalleria, sedere sui binari delle ferrovie per non lasciar partire i treni"296. La paura che la gerarchia sociale, i rapporti di proprietà fossero minacciati dai "barabba" che ritenevano venuto "el dì de spartì" è ben rappresenta dall'episodio dell'industriale Grondona così apostrofato da un operaio:"L'è vegnuda l'ora che nun lavorem pù, ve toccarà a vialter adess a sgobbaa"297

Il 6 maggio 1898 i poliziotti arrestarono due giovani che distribuivano agli operai usciti dallo stabilimento Pirelli per consumare il pranzo un manifesto firmato "I socialisti milanesi" in cui erano denunciate le cause di fondo del rincaro del pane e si raccomandava la calma. La folla di operai presenti reclamò il rilascio degli arrestati, mentre il sindacalista Dell'Avalle cercava di ricondurre alla calma.

Alla ripresa del lavoro il grosso rientrò in fabbrica, ma restò fuori dai cancelli una folla di donne e disoccupati, cui si mescolano anarchici che mantenne viva l'agitazione invitando gli operai ad abbandonare il lavoro, mentre Rondani venne con Turati a raccomandare la calma, interrotto da proteste, con la considerazione che non era ancora venuto il momento dello scontro frontale con la borghesia.

294 ACS, Ministero dell'Interno, Direzione Generale di PS, Ufficio riservato (1879-1912), b. 4, fasc. 10, sottofasc. 1, Denuncia dei caporioni del movimento insurrezionale in Milano 19 maggio 1898; Relazioni della Autorità militare sulla sommossa di Milano (6-9 maggio 1898); Relazione Bava;N Colajanni, L'Italia nel 1898: Tumulti e reazione, Milano-Lodi, 1898; E.Caldara, F.Ercole, A.Cabrini La storia di un delitto, Lugano, [1898?]

295 P.Villari, Scritti sulla questione sociale in Italia, Firenze, 1902

296 L.Villari, I fatti di Milano del 1898 ”Studi storici”, 1967 n.3, p. 541.

297 L'insurrezione a Milano.Nuovi particolari sulla giornata del 7 maggio.Ciò che si vuole! In "L'Italia Reale," 9-10 maggio 1898

Quando Rondani annunciò all'uscita delle 18 degli operai della Pirelli il rilascio dell'arrestato e la soppressione del dazio sul pane, la protesta pareva terminata, ma un gruppo di dimostranti si scontrò con alcune guardie di PS che ripiegarono inseguite dalla folla verso la caserma e, dopo essersi barricate, uscirono sparando sui dimostranti mentre giungeva un reparto dell'esercito che a sua volta aprì il fuoco. Due operai rimasero sul terreno, con quattordici feriti gravi insieme a una guardia colpita dai commilitoni. I dimostranti issarono i corpi dei compagni morti su una carrozza tranviaria e attraversarono la città fino al Cimitero monumentale, in una protesta rabbiosa.

La mattina seguente gli operai si presentarono al lavoro, ma la consorteria moderata insediata in municipio, fece imporre dall’autorità militare la chiusura degli stabilimenti, per spingere i lavoratori nelle strade e avere così un pretesto per la repressione. Gli operai messi in libertà si ritrovarono così nelle vie adiacenti le fabbriche a commentare gli avvenimenti e verso le dieci si formò un corteo imponente di migliaia di persone che si incamminò verso il centro.

Mentre il corteo si avviava verso piazza Duomo, l'autorità politica passò le consegne dell'ordine pubblico al comandante del corpo d'armata che in un manifesto annunciò la proclamazione dello stato d'assedio, ma l'apparato repressivo militare era già pronto da tempo. In caso di tumulti era previsto un coordinamento tra questura e comando militare secondo un preciso disegno strategico: nella notte del 5, dodici ore prima dell'inizio della protesta, i comandi militari furono informati dal prefetto della possibilità di dimostrazioni popolari per il giorno seguente, e alle 4 di mattina del 6 maggio Bava comunicò che “ai soldati saranno distribuite cartucce a pallottola. Uscendo oggi, in servizio di pubblica sicurezza, al comando dato, la truppa farà fuoco. Gli ufficiali e i soldati siano preparati e ricordino che colui che non obbedisce sarà punito come dal codice penale militare”.298

Per porre riparo alle cariche della cavalleria sorsero barricate improvvisate da gruppi di giovani299, mentre il grosso dei dimostranti si sparpagliava nelle strade laterali per poi ricomporsi in un tentativo più volte rinnovato fino a sera di giungere in piazza Duomo. Nuclei di dimostranti assalirono la caserma dei bersaglieri, entrarono nelle case prospicienti le barricate per bersagliare i soldati, invasero la stazione per impedire l'arrivo delle truppe mentre i macchinisti abbandonavano le locomotive per solidarietà.

I militari concentrarono le forze in piazza Duomo e sospesero la circolazione tranviaria per consentire alla cavalleria un rapido movimento sulle direttrici che tramite i bastioni conducevano in periferia. Gli uffici pubblici e gran parte dei negozi chiusero, mentre dalle stazioni ferroviarie borghesi e aristocratici fuggivano per le residenze di campagna.

Alle 23 del 7 ogni scontro cessò. Domenica 8 si registrarono ancora scontri e l'esercito ricorse al cannone. Restavano come focolai di protesta Porta Garibaldi e Porta Ticinese, dove l'arresto di studenti sconosciuti nel quartiere fece favoleggiare le gazzette dell'arrivo da Pavia, Bologna, Padova e Torino di universitari "in bicicletta" (sic!) armati di rivoltelle.

298 ACS, Ministero Interno, Direzione Generale di PS, Uff. riservato (1879-1912), b. 4, fasc. 10, sottofasc. 1, Relazioni della Autorità militare sulla sommossa di Milano (6-9 maggio 1898), relazione Bava; relazione Del Majno; ACS, Ministero Real Casa, Uff. 1. Aiutante di Campo del Re, Affari generali, 1898, b. 50, fase. 146, Notizie relative a disordini in Torino e in altre città, telegramma ministro della guerra al comandante 1. corpo d'armata, 7.5.1898

299 N.Colajanni, L'Italia nel 1898, cit., p. 75-6; P.Valera, La sanguinosa settimana del maggio '98, cit., p.172-3.

Le truppe estesero l'occupazione fino alla linea delle porte, occupando i sobborghi per impedire qualsiasi tentativo d'irruzione in città, immaginando bande di saccheggiatori formate da "tutti gli elementi torbidi delle vicine campagne" muniti di un sacco e di un bastone venuti a Milano per riempire il sacco dopo aver bastonato i portinai300 mentre la polizia procedeva alla soppressioni dei giornali di opposizione e all'arresto dei redattori, alle perquisizioni e scioglimenti di circoli e associazioni, all'incarceramento degli esponenti socialisti e repubblicani.

La giornata di lunedì 9 culminò nel cannoneggiamento del convento dei cappuccini di Porta Monforte, in cui si trovavano i frati e una quarantina di mendicanti in attesa della ciotola di minestra.301 Solo il 10 fu autorizzata la riapertura degli stabilimenti industriali. 302 Nei giorni successivi si aggiunse il pattugliamento, ad opera di colonne mobili, nelle zone industriali col compito di arrestare sobillatori e "promotori di sciopero"

Il bilancio delle giornate del '98, ufficialmente di 80 morti e 450 feriti, si può stimare in alcune centinaia di civili uccisi e in un migliaio di feriti; per contro il comando militare registrò una guardia di PS uccisa dal fuoco dei commilitoni e un solo soldato morto, con 22 feriti. Tra i rivoltosi uccisi vi furono bambini di 3, 9, 12 anni ammazzati in casa o cannoneggiati per aver fischiato i soldati, donne, vecchi di 60 e 70 anni freddati nell'atto di chiudere porte e finestre. Il Tribunale di guerra di Milano distribuì 1.435 anni e 8 mesi di galera in 129 processi contro 828 imputati di cui 688 condannati, un terzo dei quali minorenni.

6. Dall'esilio al ritorno nell'Italia giolittiana

Rondani aveva compiuto un primo breve espatrio in Svizzera nel 1894. La sua popolarità tra i lavoratori delle vallate prealpine lombarde e piemontesi, costretti a emigrare nella vicina Confederazione, gli fu utile quando, dopo i moti di Milano del maggio ‘98 sfugge alla cattura saltando dal treno in corsa (mentre Turati e Morgari vengono arrestati) rifugiandosi nella repubblica elvetica dove svolse opera di propaganda per l’organizzazione sindacale e contro il crumiraggio come membro della commissione esecutiva dell’Unione socialista di lingua italiana e come collaboratore del suo organo, “Il Socialista”.

Nonostante l’opera di pacificazione svolta con Turati e Carlo Dell’Avalle durante i moti, venne condannato in contumacia a sedici anni di reclusione dal Tribunale militare303.

300 La situazione sempre grave a Milano In "Gazzetta del Popolo" 10 maggio 1898; La giornata di ieri in Italia. La calma ritorna. In "La Stampa" 12 maggio 1898

301 P.Valera cit., pp. 284-346; dello stesso, L'assalto al convento, Milano 1899; L.Villari, I fatti di Milano del 1898. La testimonianza di Eugenio Torelli Viollier, cit., pp. 545-6.

302 ACS, Ministero Real Casa, Uff. Primo Aiutante di Campo del Re, Affari generali, 1898, b. 50, fasc. 146, Notizie relative a disordini in Torino e in altre città, telegramma di Rudinì a Bava, 8.5.1898.

303 Il tribunale militare di Milano, incurante delle testimonianze di uomini d'ordine elvetici e italiani, si attenne alla versione delle “bande armate” del consolato di Bellinzona, coinvolgendovi anche il Rondani e il Vergnanini e gli altri principali esponenti socialisti e repubblicani rifugiati a Lugano. Ved. F.Manzotti I rapporti italo-svizzeri e la crisi italiana del '90, in “Atti...accademia

Lasciata la Svizzera nel settembre 1898, intraprende un giro di otto mesi sotto falso nome, in cui tiene delle conferenze, comprendente Germania, Danimarca, Svezia. Nel maggio 1899 partecipa alle conferenze di Amsterdam e Bruxelles, preparatorie del Congresso dell'Internazionale socialista da svolgersi a Parigi. Trasferitosi in Inghilterra, il 15 giugno si imbarca per gli Stati Uniti sbarcando a New York il 21, invitato dal Partito Socialista Italiano della Pennsilvania che gli affida la direzione del “Proletario”, pubblicato a Paterson sotto la direzione di Paolo Mazzoli dal novembre 1896, cessando la pubblicazione nel 1987. Rondani risollevò le sorti del giornale304 che divenne il più diffuso settimanale italo-americano, appoggiandolo alla rete delle sezioni del Socialist Labor Party di Daniel De Leon e inquadrandolo in una prospettiva chiaramente anti-anarchica e unionista.

Dopo l'elezione alla Camera nel collegio di Cossato (Biella) nel luglio 1900 tornò in Italia e, nonostante avesse subito a Paterson feroci attacchi dei gruppi anarchici, venne coinvolto nelle indagini per l’assassinio di Umberto I, con il pretesto che vi si era trovato contemporaneamente a Bresci. Nella veste di deputato socialista svolse interpellanze ed interrogazioni sullo scioglimento di una pubblica riunione a Quistello (Mantova); sulle proibizioni di comizi a Biella e a Massa Carrara; sugli espulsi nel Transvaal; sull’afta epizootica, unendosi all’interrogazione di Bissolati,

nazionale di scienze lettere e arti”, 1962) Sulla tentata invasione di bande armate dalla Svizzera, F. Berutti “Le bande svizzere: episodio tipico dei moti di maggio 1898”, Arona, 1904. Per quanto riguarda le “bande armate” così Umberto Levra smonta la leggenda (“Il colpo di stato della borghesia", Milano, 1975): “poco più di duecento operai italiani abbandonano il lavoro e, grazie a collette improvvisate, si dirigono senz'armi e senza bagagli in treno alla volta del Sempione. Prima del confine intervengono però le autorità cantonali, dirottano il treno su un binario morto, arrestano gran parte dei componenti della banda rimasti senza cibo e senz'acqua, li ammassano in un campo di concentramento improvvisato e li caricano poi su un treno speciale, dai cui finestrini spuntano malinconiche le bandiere rosse dei rivoltosi e li trasferiscono sotto scorta fino a Chiasso dove li consegnano a una compagnia di bersaglieri, tra le vivaci proteste di gran parte dell'opinione pubblica svizzera colpita dalla procedura indegna delle tradizioni liberali elvetiche (…) AI Sempione poche decine di italiani sfuggono all'arresto in territorio svizzero, disperdendosi sui monti; la maggior parte di essi torna indietro e alcuni altri tentano di passare il confine a piccoli gruppi (…) Tre sole guardie di finanza sono perciò sufficienti per arrestare, senza incontrare resistenza, il 13, il 14 e il 15 maggio, ben 49 "rivoltosi," privi di armi e spossati dalla fatica (…) Gli arrestati, quasi tutti in età compresa fra i 15 e i 30 anni e per lo più originari della provincia di Novara e, in subordine, del Canavese, di Torino, di Milano e di Pavia, sono immediatamente deferiti al tribunale militare di Milano con ordinanza del 19 maggio del tribunale di Domodossola, il quale si preoccupa, da un Iato, di "legittimare completamente l'operato della truppa" che ha arrestato i 49 individui e, dall'altro, di far risaltare con evidenza Ia connessione fra i fatti criminosi di Milano e la formazione e marcia delle bande In discorso; uno era lo scopo, la rivoluzione sociale; identici i mezzi, la rivolta armata ai poteri dello Stato, il saccheggio, la distruzione. Quindi è che qualunque è la denominazione giuridica a darsi ai fatti attribuiti agli arrestati, e gli articoli del Codice da applicarsi, sembra che tali fatti non possano non appartenere alla competenza dell'Autorità Militare di Milano funzionante da Tribunale Militare di Guerra, tanto per il proseguimento dell'istruttoria quanto pel giudizio”. Il tribunale militare di Milano, incurante delle testimonianze oculari di uomini d'ordine elvetici e italiani, si atterrà alla versione delle bande armate, coinvolgendovi anche i principali esponenti socialisti e repubblicani rifugiati a Lugano

304 A. M. Martellone Una little Italy nell'Atene d'America : la comunità italiana di Boston dal 1880 al 1920, Napoli 1973 p.156-7; Id. La questione dell'immigrazione negli Stati Uniti, Bologna, 1980; G. Dore, La democrazia italiana e l'emigrazione in America Brescia, 1964.

per chiedere al ministro dell’Agricoltura un’indennità per quei contadini che dalla legge sanitaria si trovavano espropriati del loro bestiame colpito, ma nonostante ciò venne attaccato, in quanto rappresentante di un gruppo parlamentare troppo transigente col governo, dagli ambienti operai del biellese e dal vecchio compagno emigrante Oreste Mombello.

Continuò i suoi consueti giri di conferenze e nel febbraio 1901 lo troviamo in Puglia. «Parla come lavora, come si diverte: con poco ordine, ma brillantemente e con intensità», scriveva Morgari sul!’’Avanti!, in una intervista a Rondani sui suoi viaggi e sul «favoloso» numero di conferenze tenute, e ne citava la massima: «Evitare i grandi uomini... Regolarsi in modo come se la posterità non esistesse».

Tiene un comizio a Cossato il 28 maggio 1907 di protesta per la condanna a tre mesi del sindaco che aveva fatto togliere i crocefissi dalle aule, ma affronta il problema della scuola in modo pragmatico e non dottrinario anticlericale: “bagni e docce, refezione, aule belle e sane, giardini, maestri ben pagati“ e polemizza con il nuovo direttore del ”Corriere Biellese” Mario Guarnieri 305 per il taglio anticlericale e antimilitarista impresso al giornale.

Se nell'ambito locale cresce la sua influenza e alle elezioni del maggio 1909 ottiene più del doppio dei voti dell'avversario (4790 contro 2279), invece declina la sua presenza ai vertici del Partito nazionale, che lo avevano visto eletto nell’esecutivo con Lazzari, Dell’Avalle, Enrico Bertini e Garzia Cassola al quarto congresso (Firenze 11-13 luglio 1896), e riconfermato al quinto (Bologna 18-20 settembre 1897) con Bertini e Dell’Avalle, segno di un suo defilarsi dalla lotta per il potere e anche delle lotte di corrente.

All’8 congresso (Bologna 8-11 aprile 1904) è firmatario della mozione ”“intermedia” o di centrodestra, con Rigola, Morgari, Cabrini, Reina, Scaramuzzi, Lollini e Sacco. Nel 1910 all’interno della vasta maggioranza riformista si verifica una divaricazione tra Bissolati e Bonomi da un lato e Modigliani e Salvemini dall’altro. Con 5 voti contro 4 prevale l’OdG che rispetta l’autonomia del Gruppo Parlamentare, e Rondani si schiera con la maggioranza del GPS per l’appoggio al ministero Luzzatto che aveva promesso un allargamento dell’elettorato. Di fronte all’alternativa tra una riforma parziale ma immediatamente realizzabile e una campagna per il suffragio universale proposta da Salvemini che rischiava di rimanere testimonianza, si schiera con la prima, benchè due mesi prima avesse approvato l’OdG Canepa-Salvemini che negava l’appoggio a qualsiasi governo che non avesse nel programma il suffragio universale. Dietro l’incoerenza apparente c’era la ricerca delle riforme possibili, cui si aggiungeva la concezione del gruppo dirigente riformista settentrionale dubbioso della maturità rispetto al voto della popolazione meridionale.

Alla riunione del GPS del 7 aprile 1911 sul caso Bissolati si schiera coi destri, frenato nell'adesione alla loro linea perchè non condivideva l’intento di dissolvere il PSI in un Partito del lavoro.

Interviene per l'ultima volta a un congresso nazionale a Reggio Emilia (7-10 luglio 1912) dove è relatore con Montemartini sull’attività del GPS, ed emblematicamente, col passaggio della guida del Partito dai riformisti agli “intransigenti”, resta testimone di un'altra epoca, anche se sarà rieletto nel 1913 e resterà fedele militante del socialismo fino all'ultimo.

7. “Ispettore “ dell'emigrazione

305 Fu successivamente chiamato da Buozzi per collaborare nel sindacato; durante il regime e nel dopoguerra si estraniò dalla politica attiva

Il fenomeno dell’emigrazione assunse in Italia caratteri di massa nel decennio 1880-90 per la crisi agraria innescata dall’arrivo del grano americano, divenuto competitivo sui mercati europei con l'introduzione della navigazione a vapore, e perdurò per la diffusa povertà di vaste zone dell’Italia fino alla grande guerra.

Il primo provvedimento dello Stato in merito fu nel 1888 la legge n. 5877 del governo Crispi; con la legge n. 23 del 1901 fu poi istituito il Commissariato Generale dell’emigrazione, che si interessò prevalentemente a quella transoceanica.

Nel 1900 nasce con origine e finalità religiose306 l’ ”Opera di assistenza degli operai emigranti italiani in Europa e nel levante” (nota come Opera Bonomelli dal nome del vescovo di Cremona che la patrocinò). Lo stesso anno al sesto congresso del Partito Socialista (Roma 8-11 settembre) l’11. punto dell’OdG riguarda l’emigrazione e Rondani, propagandista tra i lavoratori italiani in Svizzera e in America negli anni dell’esilio, ne è il relatore con Cabrini e Majno. 307

Gli emigranti partivano ignorando lingua, costumi, leggi, tariffe, affidandosi a speculatori o “caporali”: da ciò violazioni del contratto del lavoro, speculazioni sugli alloggi e i viveri, premi di assicurazione pagati dagli operai anziché dall’imprenditore e la frequente perdita dell’ indennità di infortunio, poiché l’operaio non poteva fermarsi fino alla conclusione di lunghe pratiche.

Inoltre. nel settore edilizio vari scioperi in Svizzera e Germania si erano conclusi con un insuccesso a causa dell’intervento di crumiri italiani. L’intervento in favore dell’emigrazione italiana non era quindi dettato solo da motivi umanitari ma anche da un impegno di solidarietà verso il movimento operaio europeo, con cui quello italiano poteva conservare i rapporti solo adoperandosi a debellare il crumiraggio.

Per l’emigrazione temporanea in Europa le statistiche ufficiali davano la cifra di 222.725 308 unità nel 1902. Si trattava di un fenomeno in espansione, visto come positivo perché creava ricchezza e diminuiva la disoccupazione309 senza privare il paese di energie come invece accadeva per l’emigrazione permanente. I socialisti erano persuasi che non si poteva arrestare il fenomeno, ma

306 P.Borzomati Giovanni Battista Scalabrini: il vescovo degli emarginati, Soveria, 1997; Centro studi emigrazione La societa italiana di fronte alle prime migrazioni di massa: il contributo di mons. Scalabrini e dei suoi collaboratori alla tutela degli emigranti, Roma 1968; S.Tomasi, Scalabriniani e mondo cattolico di fronte all’emigrazione italiana (1880-1940) in “Gli italiani fuori d’Italia”, Milano, 1983; G.Rosoli, L’emigrazione italiana in Europa e l’Opera Bonomelli (1900-1914), ibid.

307 Pedone I congressi del PSI, cit.

308 “Bollettino dell'emigrazione”, n. 8, 1903. Ma secondo Schiavi tali cifre andavano più che raddoppiate. Cfr. F. Assante Il movimento migratorio italiano dall’Unita nazionale ai giorni nostri 1978

309 perchè “i lavori che offre il mercato dell'Europa continentale diventano come una fonte di reddito fisso e sul quale si fa conto, per una grande massa della nostra classe lavoratrice, così che, un fenomeno determinato da condizioni anormali, tende a diventare normale ed a entrare come fatto ordinario nella vita della nazione". G. Montemartini in Resoconto del 2. Congresso dell'Emigrazione temporanea tenutosi in Milano nei giorni 13 e 14 gennaio 1907 promosso dalla «Società Umanitaria», Milano, 1907

si poteva disciplinarlo per farne un fattore di emancipazione e di progresso sociale e civile310.

Poiché il Commissariato Generale dell’emigrazione si occupava quasi esclusivamente di quella transoceanica, a sopperire alla mancanza di un’organica iniziativa dello Stato in materia di emigrazione temporanea continentale (in Francia, Lussemburgo, Svizzera, Germania, Austria), sorgono i Segretariati per l’assistenza all’emigrazione311 nelle località in cui era particolarmente rilevante, primo fra tutti nel 1990 quello di Udine312 fondato da Giovanni Cosattini,313

I Segretariati e sindacati di categoria come la “Federazione dell’edilizia” proposero di costituire un ufficio di coordinamento da affidare all’Umanitaria314, coinvolgendo studiosi e organizzatori del mondo socialista: Dino Rondani, Giovanni Montemartini, Angiolo Cabrini, Antonio Vergnanini, Felice Quaglino, Augusto Osimo, Alessandro Schiavi. Al 1. congresso nazionale dell’emigrazione temporanea, svoltosi il 22-23 settembre 1903, Osimo a nome dell’Umanitaria presentò il progetto di un Ufficio fondato sulle organizzazioni professionali locali e sui Segretariati invece che su personale stipendiato e della ricerca del concorso finanziario di altri enti e di un’intesa col Regio Commissariato dell’emigrazione.

Lo statuto fissava come scopo l'istituzione di uffici per l’emigrazione temporanea in Europa nei paesi da cui partiva l’emigrazione e in quelli verso cui era diretta, ma si puntò anche sulla propaganda da svolgere all’interno per far conoscere le condizioni di lavoro e la legislazione sociale dei paesi di destinazione e per informarli della situazione del mercato del lavoro, onde evitare i luoghi in cui erano in corso scioperi dei lavoratori, ciò che implicava accordi con le organizzazioni operaie dei paesi europei.

Alla fine del 1903 il servizio in via sperimentale fu affidato all’Ufficio del lavoro dell'Umanitaria diretto da Alessandro Schiavi, che, disponendo di una somma appositamente stanziata, si valse dell’opera degli ispettori viaggiatori dell’Ufficio del lavoro Ernesto Piemonte, O.Schiassi, Nino Mazzoni, A.Toscani, M.Todeschini, A.Rivolta e Dino Rondani. Mentre Felice Quaglino, segretario della Federazione dell’edilizia, già aveva iniziato un’azione basata sulle campagne invernali

310 Era l'opinione dei socialisti, espressa nell' OdG votato al congresso di Firenze, che riprendeva la mozione Ellenbogen al congresso di Stoccarda del 1907 dell'Internazionale (10. congresso nazionale del PSI, Firenze, 19-22 settembre 1908. Il Partito Socialista Italiano e la politica dell'emigrazione. Angiolo Cabrini relatore. Roma. 1908).

311 D.Franchetti "Il segretariato di emigrazione della CdL di Varese. (1904-1924)" In "Emigrazione e territorio", Varese, 1999; P.Corti "Il segretariato biellese dell'emigrazione. Strutture organizzative, tradizione migratoria, spazi istituzionali" In "Democratici e socialisti nel Piemonte dell'Ottocento", Milano, 1995

312 L'opera della Società Umanitaria dalla sua fondazione ad oggi, I. maggio 1906, Milano, 1906, pp. 49-51. La provincia di Udine era alla testa dell'emigrazione temporanea. Secondo stime ufficiali nel 1902 aveva dato 45.125 emigranti temporanei, su un totale di 222.725 (“Bollettino della emigrazione”, n. 8. 1903).

313 P. Alatri Giovanni Cosattini (1878-1954) : una vita per il socialismo e la libertà, Udine, 1994

314 M. Punzo La Società' Umanitaria e l'emigrazione. dagli inizi del secolo alla prima guerra mondiale, in A.Riosa “Il socialismo riformista a Milano agli inizi del secolo”, Milano, 1981

nell’Ossola e lago Maggiore, nell’inverno tra il 1903 ed il 1904 furono visitati il Friuli e le provincie di Sondrio, Belluno, Padova, Parma, Bologna, Rovigo, Mantova.

Il Consorzio tra l’Umanitaria, le province di Reggio Emilia, di Mantova (entrambe amministrate dai socialisti) e di Sondrio e i Segretariati per l’emigrazione venne istituito il 23 settembre 1904 presso l’Umanitaria per un periodo di cinque anni, diretto da un consiglio di nove membri315 Dino Rondani coadiuvato da Benedetto Giani fu assunto dal Consorzio che gli affidò come compito principale le ispezioni all’estero. I compiti degli ispettori, il cui numero era limitato a causa del bilancio di 15.000 lire annuali, erano immensi: in Italia avrebbero visitato durante l’inverno i centri di emigrazione per assumere le necessarie informazioni sul presunto esodo della stagione estiva e sulla sua destinazione316, diffondere notizie, fornire gli indirizzi delle persone e delle organizzazioni cui fare riferimento nelle varie località, adoperarsi per l’istituzione di scuole popolari e di scuole professionali, cercare di fondare nuovi segretariati. All’estero avrebbero dovuto occuparsi del collocamento e della tutela degli emigranti, assumendone anche il patrocinio

Cabrini però riteneva che l’azione dovesse basarsi sulla rete di segretariati in Italia e di organismi analoghi all’estero e insisteva che «Il lavoro che si compie all’estero, forzatamente slegato, incerto, insufficiente, non vale quello compiuto nella stagione invernale, quando gli emigranti son tornati alle proprie case», consigliava di collaborare con le organizzazioni tedesche e proponeva che sull’azione del Consorzio vigilasse il Segretariato nazionale della resistenza (dal 1906 Confederazione generale del lavoro CgdL) 317 Sull’idea che l’azione del Consorzio dovesse basarsi «sul perno dell’organizzazione operaia» concordavano sia il presidente Giovanni Montemartini sia Alessandro Schiavi, che ne aveva avviato il funzionamento.

Il lavoro del Consorzio rivolto all’estero, iniziato con la corrispondenza con le organizzazioni operaie svizzere, austriache, tedesche, proseguì nell’estate del 1904 con i viaggi di Cabrini in Germania, di Rivolta in Francia in Svizzera e di Rondani in Lussemburgo e in Germania, che consentirono di delineare una mappa dei problemi dell’emigrazione temporanea nei diversi paesi e di individuare gli interlocutori: erano pronti a collaborare i sindacati svizzeri, tedeschi e austriaci, a patto che parte italiana vi fosse l’impegno di favorire l’iscrizione alle federazioni di mestiere ma in Francia non fu possibile stabilire accordi con la Federazione delle borse del lavoro di Parigi.

Erano state previste due agenzie sul confine italo-svizzero e due su quello svizzero-tedesco, con funzione sia di patronato che di statistica, per individuare i luoghi di destinazione; esse furono istituite a Basilea (gestito dalla comunità italiana), a Chiasso (affidato alla Camera del lavoro di

315 Comprendeva Giovanni Montemartini (presidente) Angiolo Cabrini ed era affiancato da un comitato in cui erano rappresentate le organizzazioni professionali. di cui facevano parte Cosattini e Quaglino. Le province aderenti passarono da 3 a 11 ma il loro contributo fu assai scarso a confronto dell’impegno finanziario dell’Umanitaria.

316 Scrivendo a Rondani, che in quel momento si dedicava alla propaganda invernale in Italia, Schiavi sottolineava l'importanza delle statistiche: «A me poi occorre avere per ogni centro che visiterai una inchiesta sommaria del numero degli emigranti abitualmente ogni anno, sul mestiere che fanno in patria e relativo salario, sul paese dove emigrano mestiere che vanno a fare, salario che percepiscono e pericoli che ordinariamente incontrano (Archivio Società Umanitaria (da ora ASU), f. 2 e., lettera in data 8.12.1903).

317 ASU, b. E XXVI11-3. f. 764. Seduta del Consorzio dell' 8 settembre 1904.

Lugano), a Losanna (curato dalla “Federazione muraria di lingua italiana” che assunse una grande importanza per l’apertura del Sempione), e a Bellinzona. La funzione degli uffici di confine era di aiuto agli emigranti nelle pratiche ferroviarie, facendo loro ottenere le tariffe preferenziali cui avevano diritto, fornendo loro informazioni e in qualche caso fungeva da ufficio di collocamento, suscitando le diffidenze degli organizzatori operai.

Nel 1906 col contributo del comune di Milano cominciò a funzionare presso la stazione centrale la Casa degli emigranti che offriva un ricovero gratuito, cucina, informazioni sugli itinerari e i mercati del lavoro con una media annua di 40-50 mila passaggi,, con punte di 90.000 nel 1911.

A Fontaneto d’Agogna (Novara) fu organizzato un Congresso dell’emigrazione il 1 gennaio 1907, presieduto da Dino Rondani. Si discusse della partecipazione degli emigranti alle elezioni invernali, degli uffici di confine, dell’adesione alle organizzazioni economiche all’estero e dell’emigrazione interna. Il Congresso collegiale socialista di Borgomanero espresse voti per l’istituzione di un Segretariato d’emigrazione in collaborazione con l’Umanitaria e, nello stesso anno, sorse ad Arona il Segretariato d’emigrazione per il Lago Maggiore,

L’Umanitaria all’inizio del 1906 costituì il Segretariato per l’emigrazione interna, per il collocamento e l’assistenza dei lavoratori dei campi durante i mesi di sosta dell’emigrazione europea, e nell’ottobre coordinò tra loro le attività dell’Ufficio dell’emigrazione interna, del Consorzio per l’emigrazione temporanea in Europa e dell’Ufficio di collocamento gestito assieme alla Camera del lavoro, affidandone la supervisione ad Angelo Cabrini.

Rondani veniva a trovarsi in una posizione delicata, poiché l’Umanitaria assumeva di fatto la direzione del Consorzio e Cabrini nella primavera del 1907 preparò un progetto318 che ne prevedeva lo scioglimento. I segretariati dell’emigrazione sarebbero passati al nuovo ufficio per diventare «una delle tante branche», con questi obiettivi: “Azione netta precisa concreta. Cardine dell’azione stessa sia questo concetto: l’Ufficio sorge a integrare l’azione delle organizzazioni proletarie in quella parte che riguarda l’emigrazione temporanea in Europa. L’Ufficio non deve pretendere di sostituirsi alla divina provvidenza per ridursi a sfarfalleggiare su mille questioni diverse e non esaminarne alcuna ... Le funzioni di «Croce Rossa» si lasci ad altri Istituti: è al mercato del lavoro che si deve tendere lo sguardo e dirigere l’opera. L’asilo-ricovero, la riduzione ferroviaria, l’assistenza infortuni siano funzioni accessorie: l’Ufficio si applichi a disciplinare il collocamento insieme con le organizzazioni di mestiere; a rimuovere le cause del crumiraggio; agevolare alle organizzazioni di mestiere la stipulazione di convenzioni internazionali; a promuovere nei diversi Stati accordi legislativi favorevoli agli emigranti”.

L’ufficio di Milano compilò guide dei singoli paesi e un servizio di informazione sulle offerte di lavoro e sulle condizioni di vita delle singole località.

Il 19 luglio 1907 Cabrini, Della Torre, Osimo, Pagliari, Schiavi e Samoggia decidevano, d’accordo con l’Umanitaria, di procedere allo scioglimento del Consorzio. Il Direttivo il 30 luglio 1907 della CGdL espresse parere favorevole e il 17 settembre era ratificava la decisione.

Mentre si procedeva alla chiusura degli uffici di confine319, si svolse un’indagine. Rondani veniva

318 ASU b. E XIV 1. f. Interrogatori a Milano, Reggio, Udine ecc. Rondani, Cabrini, Schiavi, Pagliari, Ciani, Mazzoni, Quaglino, Vergnanini, Cosattini, relazione e proposta di Cabrini.

319 Continuarono a funzionare l'ufficio di Chiasso e la Casa degli emigranti di Milano. Nel novembre 1908 venne aperto anche un ufficio a Pontebba dal Segretariato di Udine.

accusato di privilegiare le funzioni ispettive a scapito di quelle direttive320 del Consorzio. I corrispondenti di Berna e di Basilea lo accusarono di avere svolto con le sue ispezioni un lavoro inconcludente, secondo quelli di Berna sarebbe stato meglio istituire nei centri principali della Svizzera degli uffici con personale fisso, ciò avrebbe permesso di affrontare con maggiore serietà anche il collocamento, che veniva considerato la funzione più difficile. Da un altro lato giungeva l'accusa di Serrati di interventi assistenziali non classisti e dell'assenza degli emigranti al convegno organizzato dalla Camera del Lavoro con l’Umanitaria. Per Rondani queste parole sono il frutto di un temperamento critico e ingiusto, che lo portava “a commettere delle azioni che per un nemico sarebbero delle bricconate letterari e per un amico delle bricconate autentiche”321

Rondani protestò per il licenziamento da direttore ma accettò di collaborare svolgendo il compito, per cui veniva ritenuto più adatto, di ispettore322 e l’Ufficio dell’emigrazione dell’Umanitaria, sotto la direzione di Osimo e di Cabrini323, proseguì il lavoro in precedenza svolto dal Consorzio senza spezzarne la continuità. 324

Le ispezioni di Rondani costituirono nel corso del 1908 e 1909 un’attività fondamentale del nuovo ufficio.325 Il loro scopo doveva essere quello di organizzare in Italia uffici e segretariati per l’emigrazione e il collocamento dei contadini, in collaborazione con l’Ufficio agrario, cooperando al buon andamento ed all’incremento degli uffici e dei segretariati già esistenti. Gli ispettori dovevano anche effettuare visite, sia in Italia sia all’estero, per importanti collocamenti di mano d’opera e per assumere notizie dirette sulle condizioni del mercato del lavoro. Non vi era quindi, a parte la collaborazione tra i vari uffici dell’Umanitaria che si occupavano di collocamento, nessuna sostanziale novità rispetto alle linee generali di azione del Consorzio, segno che una volta eliminata la causa che ne aveva inceppato lo sviluppo, la sua opera veniva considerata nel complesso positiva.

L’esperienza del Consorzio aveva consigliato di porre limiti precisi ai poteri d’intervento degli ispettori e di assicurare con una specificazione dei compiti l’organizzazione del servizio, al cui funzionamento doveva provvedere la Direzione cui spettava assegnare le zone di lavoro agli ispettori, che dovevano inviare giornalmente un rapporto dettagliato, la corrispondenza e le trattative con l’estero. Un accordo sulle competenze fu raggiunto l’11ottobre 1908 a Torino tra il Direttivo della CgdL, i Segretariati laici dell’emigrazione e l’Umanitaria, stabilendo “spettare alla

320 ASU, b. E XXVI11-3 f. 764, seduta del Consorzio del 12 gennaio 1907.

321 D. Rondani, in ” L’Avvertire del lavoratore”, Lugano, 19.1.1907

322 ASU, b. E XIV-1, f. 1040, lettera di Rondani del 16 novembre al presidente dell'Umanitaria

323 Nel novembre 1906 Cabrini si era dimesso dal CdA del Consorzio, in seguito all'incarico affidategli dal consiglio dell'Umanitaria «per lo sviluppo dell'assistenza all'emigrazione per l'interno e l'estero»

324 Sull'ordinamento del nuovo ufficio, L'Umanitaria e la sua opera, p. 90; Note illustrative del Bilancio preventivo per l'esercizio 1908, s.d., « II nuovo ordinamento dei servizi di emigrazione ».

325 In ASU, b. E XIV-2 sono contenute le relazioni delle ispezioni di Rondani e altri nel 1907-08

CgdL e alle federazioni nazionali di mestiere la direzione della politica sindacale dell’emigrazione (organizzazione, tariffe, convenzioni internazionali, ecc.) e agli uffici e segretariati degli emigranti quell’opera di assistenza che si estrinseca con iniziative di istruzione popolare, di patrocinio legale, di rilievi statistici. Tali uffici e segretariati devono peraltro integrare l’azione dei sindacati di mestiere anche nel campo dell’organizzazione di classe, procedendo però sempre d’accordo con la Confederazione generale del lavoro e le federazioni interessate”.

Questa formulazione rigida del principio di non scavalcare i sindacati concedeva in effetti ai segretariati e all’Umanitaria un margine di iniziativa una volta che si fossero dichiarati ligi alle loro direttive e in questo modo fu possibile che il collocamento, su cui la Federterra si era espressa in termini rigidi,326 divenisse poi il campo di un'iniziativa dell’ Ufficio emigrazione327, in collaborazione con il settore cooperativo328.

Al 3. Convegno degli uffici e segretariati dell’emigrazione329 l’Ufficio centrale poteva mostrare di aver superato il periodo iniziale della propria attività e di attraversare una fase di ulteriore espansione: erano ormai in funzione 21 tra segretariati e uffici locali dell’emigrazione, mentre si infittiva la rete dei corrispondenti all’estero330. Grande era anche la mole del lavoro di assistenza per infortunio, collocamento, vertenza coi padroni per salari, maltrattamenti e altre eventualità e per la compilazione di pratiche per cui vi era bisogno di un interprete331. A questo si aggiungeva il costante sforzo per costituire biblioteche per emigranti332 e quello per una legislazione a favore dell’emigrazione, per la quale si prodigò soprattutto Cabrini. Per sviluppare questo settore nel 1909 Cabrini fondò un ufficio romano per l’azione parlamentare e legislativa333. I segretariati

326 3.Congresso nazionale lavoratori della terra, Reggio Emilia, 7-8-9 marzo 1908. I problemi dell'emigrazione e i lavoratori della terra. Angiolo Cabrini, relatore per l'Ufficio dell'Emigrazione dell'Umanitaria, Milano, 1908.

327 Società Umanitaria. Ufficio di emigrazione, IV Convegno annuale dei segretariati laici di emigrazione, Milano, 24 febbraio !911. Verbale del convegno e relazioni sommarie dei Segretariati aderenti per l'anno 1910, Milano, 1911, Relazione di Vaiar, pp. 17-19.

328 ASU. b. XIV 17, f. 548, lettera di Cabrini e C. De Michelis, regio addetto dell'emigrazione italiana in Svizzera, in data 15 ottobre 1908; f. 1038, pratiche di intesa colla Lega nazionale delle cooperative di Milano per un servizio di ispezione alle cooperative di consumo italiane in Svizzera.

329 Società umanitaria. Ufficio dell'emigrazione, L'assistenza laica dell'Emigrazione temporanea in Italia e all' estero. Relazioni al 3. convegno degli Uffici e Segretariati dell'Emigrazione, Milano 15,11.1909, Udine, 1910.

330 ASU, b. E XIV-7 e 12.

331 ASU, b. XIII 1.

332 Già il Consorzio aveva istituito le biblioteche per gli emigranti “Edmondo De Amicis”, finanziate con il concorso del regio commissariato dell'emigrazione (L'Umanitaria e la sua opera, cit., p. 91).

laici dell’emigrazione continuavano a svilupparsi334 anche nel Sud. La propaganda invernale, fulcro dell’attività dell’Ufficio, stava dando buoni risultati: gli italiani avevano finalmente perso la fama di crumiri, di cinesi d’Europa e di rompi-sciopero.

9. Tra impresa libica, grande guerra, dopoguerra

L'impresa libica ebbe gravi ricadute sul socialismo italiano che al congresso di Reggio Emilia del 1912 espulse dal partito i riformisti di destra filotripolini, mentre i riformisti di centro (Turati) e di sinistra (Modigliani) furono colti di sorpresa e spiazzati da questa svolta della politica giolittiana che bloccava il loro avvicinamento al presidente del consiglio e finirono per adottare l'impostazione salveminiana e liberista dell'antitripolismo, che proponeva un criterio differenziato nella valutazione del colonialismo in rapporto al modello liberoscambista inglese, e sulla stampa e nei comizi usarono le accuse di «tradimento» e «ingiustificata pazzia». Solo la frazione intransigente si oppose all'impresa libica rivendicando la concezione dottrinaria del socialismo.

Prima del congresso la guerra aveva provocato una momentanea scissione nel Gruppo Parlamentare (GPS) nel febbraio con la contrapposizione di due linee: mentre Pescetti proponeva di prendere la parola alla Camera per esprimere l’omaggio ai caduti, Turati sosteneva che si dovesse essere presenti senza però partecipare alla cerimonia di omaggio, e il suo OdG venne votato da Rondani, che votò anche, a differenza del resto del Gruppo Parlamentare, l'annessione della Tripolitania e della Cirenaica al Regno d'Italia.335

Con lo scoppio del conflitto mondiale la sua fedeltà al riformismo turatiano, sorretta dal legame con il movimento dei lavoratori socialisti, gli impedì le ambiguità interventiste del deputato socialista di Santhià Umberto Savio. Il suo impegno politico fu particolarmente rivolto ai doveri elettorali ed agli incarichi di natura sociale svolti per l’Umanitaria, e rivolti all’assistenza ai disoccupati e, a guerra finita, al rimpatrio dei profughi e dei prigionieri.

Dopo la guerra fu rieletto alla Camera dei deputati nel 1919 e 1921 non più per il collegio uninominale di Cossato ma, nelle prime elezioni a suffragio universale maschile con il sistema proporzionale, per il collegio della provincia di Novara.

Nel febbraio 1920 si recò in Calabria presso la Lega di S.Giovanni in Fiore336 per verificare

333 Relazioni di Cabrini al IV (op. cit.. pp. 23-36) e al V congresso: Società umanitaria, Ufficio di emigrazione, V Convegno annuale dei segretariati laici di emigrazione, Milano 3-4 dicembre 1911. Verbali del Convegno e relazioni annuali dei Segretariati aderenti, Milano, 1912, pp. 29-32

334 IV Convegno nazionale dei segretariati laici di emigrazione, cit., pp. 3-23; V Convegno annuale dei segretariati laici di emigrazione, cit., pp. 16-27; 40-49;64-65. ASU, b. R 111 1 f. 1912, VI convegno dei segretariati laici dell'emigrazione, Milano, 4-6 dicembre 1912; b. R III 2, f. 1914. deliberazioni del VII convegno dei segretariati laici di assistenza agli emigrati (Milano, 20-21-22 dicembre 1913); b. R IV 1, f. 1914, relazione al regio commissario per l'emigrazione sull'attività svolta nel 1913, in data 14 maggio 1914.

335 "perchè leggero" secondo Turati. Carteggio T.-Kuliscioff, Vol.3, p.680 e 703.

336 “Corriere Biellese” 24.2.1920

l’applicazione del decreto Visocchi337 a marzo in Svizzera per i renitenti e disertori lì rifugiati, poi a Trento e di nuovo a maggio in Sicilia e Calabria

Fece parte della delegazione del PSI al II Congresso dell’Internazionale comunista (Mosca, luglio 1920) come rappresentante del gruppo parlamentare, ma la sua voce nei dibattiti interni del partito risuonava sempre meno: partecipò senza intervenire ai congressi di Roma (1918), Bologna (1919), Livorno (1921), Milano (1921), Roma (1922). Al congresso di Milano aderisce alla mozione intermedia (tra Serrati e Turati) di Cesare Alessandri, a quello di Roma vota la mozione riformista aderendo al Partito Socialista Unitario (PSU) di Turati, Treves, Matteotti come quasi tutta la dirigenza piemontese del PSI con l'eccezione di Romita, Barberis, Amedeo e pochi altri. Fa parte con altri sei (Caldara, ecc.) della Direzione del Partito Socialista dei Lavoratori Italiani (PSLI) che sostituisce nel 1925 il PSU sciolto all’indomani dell’attentato Zaniboni.

10. Esilio a Nizza

Il fallito attentato di Bologna contro Mussolini del 31 ottobre 1926, attribuito al giovane Anteo Zamboni, fu utilizzato per deliberare il 5 novembre la soppressione dei giornali antifascisti, lo scioglimento dei partiti, l’istituzione del confino di polizia e del Tribunale speciale per i reati contro il regime338. Come in occasione dei fatti del ‘98, quando era riuscito al espatriare in Svizzera prima dell’arresto saltando da un treno in corsa, così ora evitò il confino inflitto a tutti gli antifascisti noti grazie alle sue doti di prudenza e preveggenza. Ad ottobre aveva richiesto un passaporto per Londra come esportatore e giusto in tempo prima dell'introduzione delle leggi eccezionali, evitando l’espatrio clandestino cui dovette ricorrere Turati, riparò a Nizza, dove con Baldini, Turati, Treves, Buozzi, Modigliani e altri fuorusciti collaborò alla ricostruzione del Partito socialista unitario del lavoratori italiani (PSULI).

Il PSULI ha un numero di iscritti inferiore a quello dei massimalisti e dispone di tre sezioni (Parigi, Tolosa e Lione) contro le sette massimaliste, ma poteva contare su dirigenti di notorietà internazionale e godeva dell'appoggio del partito francese (SFIO) e delle sovvenzioni dell'Internazionale socialista (IOS). Inoltre erano in maggioranza riformisti i dirigenti della ricostituita CgdL. Collabora, oltre che a ""Rinascita socialista" al «Corriere degli Italiani», fondato da ""popolare" Luigi Donati.

Già nel 1927 divenne presidente per la regione delle Alpi marittime (Nizza) della ""Lega italiana dei diritti dell'uomo" (Lidu)339 fondata da Luigi Campolonghi e Alceste De Ambris, entrando quindi nella Concentrazione antifascista che, con il suo programma di propaganda e di assistenza, le sue radici liberal-massoniche, i suoi legami con Turati, Treves e Modigliani sembrava ricostituire l'ambiente della sua giovinezza di propagandista viaggiante e di esule politico: raccolta di sottoscrizioni per i giornali antifascisti, conferenze e feste familiari per il 1. maggio, per commemorare Garibaldi o Matteotti, aiuto ai connazionali e contemporaneamente una serie svariata di contatti e incontri dal

337 Decreto Visocchi (2 settembre 1919) sulle concessioni di terreni incolti a cooperative da parte dei prefetti.

338 C.Longhitano, Il Tribunale di Mussolini: storia del Tribunale Speciale 1926-1943 1994; A.Aquarone, L'organizzazione dello Stato totalitario, Torino, 1978

339 Dove è attestata una sua conferenza il 24 giugno 1927

1927 al 1930 soprattutto con gli ambienti inglesi del Labour Party e del gabinetto di Ramsay Mac Donald, ma anche con il duca di Canterbury zio del re d'Inghilterra che villeggiava a St. Jean Cap Ferrat.

Nel 1927, organizzò con il giovane Sandro Pertini, a Nizza, un ufficio di assistenza legale per gli emigrati e, insieme a Francesco Cicciotti, fu difensore dello stesso Pertini nel processo del 1929 per la radio clandestina.

Fece parte del ""Comitato per l'azione in Italia" costituito nel 1928, e nel 1929 della ""Commissione per la propaganda in Italia", presiedute entrambe da De Ambris.

E' delegato della sezione di Nizza al 21. Congresso (primo dell'esilio) tenuto a Parigi il 29-30 luglio 1930, che è anche il congresso della riunificazione con il partito massimalista (o meglio con l'ala guidata da Nenni, mentre una parte con Angelica Balabanoff ne rimarrà fuori) (segretario politico Ugo Coccia).

Si occupò con alterna fortuna in traffici commerciali che, come membro dell’Alleanza cooperativa internazionale, agli inizi della stagione calda lo portavano regolarmente nel nord dell'Europa e in particolare a Londra.

Vera Modigliani ne tracciò questo ritratto: Se il suo fisico vi si prestasse, se fosse, cioè, più alto e meno rotondetto, potrebbe passare per il «gentleman» inglese di cui ha tutto il modo di fare. Vissuto a lungo in Inghilterra (è, come Bocconi; un veterano dell’esilio: era già stato profugo nel ‘98) trova che tutto ciò che è inglese è buono e bello. Elegante, inappuntabile, per un difetto della vista porta spesso la caramella all’occhio, si ostina – e ci riesce! - a non voler invecchiare. Porta con disinvoltura la sua calvizie ed i suoi capelli grigi; sempre perfettamente raso, tiene appena due baffetti tagliati con arte sapiente. È un igienista: adora i frutti, i fiori, le lunghe camminate per le strade di montagna. Vive bene nel clima di Nizza non si è lasciato adescare da Parigi e fa vivere bene quelli che gli stanno intorno perché, non sprovvisto di mezzi, è generoso e buono. E siccome è anche in buona salute, si mantiene speranzoso e studia e fa studiare i problemi della ricostruzione italiana nel dopo fascismo e dopo guerra nella luce del proprio ottimismo” 340

Dal 1931, dopo la proclamazione della Repubblica in Spagna, gli esuli italiani guardavano a Madrid, e molti vi si erano trasferiti, da Rosselli, Bassanesi, De Rosa, Tarchiani, al repubblicano Natoli, allo stesso Rondani 341

Con il 1933-34 la vita politica europea subisce un'accelerazione: in Germania arriva al potere Hitler e viene inaugurata la politica dei fronti popolari. Per il partito socialista furono gli anni dello scioglimento della Concentrazione e della nascita del Centro Interno, del patto di unità d'azione con i comunisti e dell'impegno in Spagna. Il tradizionale pacifismo perde il carattere di intangibilità per diventare oggetto di discussione.

Al 22. Congresso, tenuto a Marsiglia nell'aprile 1933 non è presente ma invia un telegramma di adesione da Barcellona.

Nel 1934, dopo il patto d'unità d’azione con i comunisti, quando si accende il dibattito sul pacifismo socialista, fa sua la parola d'ordine della difesa dell'URSS che riteneva per la sua stessa natura

340 Vera Modiglioni: Esilio. Milano, 1946 pag. 159-60

341 E.Santarelli, Pietro Nenni, Torino, 1988, pag. 182

sociale non potesse impegnarsi in guerre d'aggressione e propugna il «disfattismo rivoluzionario» da opporre ai regimi fascisti in caso di guerra.

Al 23. congresso, tenuto a Parigi dal 26 al 28 giugno 1937 è delegato, con Filippo Amedeo e Saragat, della Federazione del Sudest e Centro che conta più di 50 sezioni. Presenta un OdG con Pedrono che dice ""il congresso invita la Direzione a nominare un Comitato che prepari i materiali teorici e tecnici per lo studio dei problemi italiani e internazionali. Ed a pubblicare su questi problemi una serie di opuscoli per orientare il lavoro intellettuale del partito" 342

Amareggiato dalle discordie che dividevano i fuorusciti antifascisti, dopo il 1937, rallentò la sua attività: lasciò la Lidu per diventare presidente della sezione di Nizza della Unione popolare italiana, a cui aveva aderito anche Campolonghi.

Alla fine del 1939 la direzione socialista emana un documento343, stilato da Tasca, in cui l’URSS e i regimi fascisti sono accomunati dallo stesso carattere totalitario e dice Morgari in un suo documento 344 che la politica socialista è perciò compatibile con l’alleanza anglo-francese ma esclude per ciò stesso i comunisti dal campo antifascista.

Nel 1940 quando il regime di Vichy sciolse d’autorità le autorizzazioni politiche, era segretario della sezione socialista di Nizza.

Ha 73 anni quando, il 7 dicembre 1940, spinto dalla sua compagna Dorina Segala si reca dal commissario di P.S. Baranco, fa atto di sottomissione al regime e chiede di poter rientrare in Italia., ma non attua questo proposito:“Prudentissimo ma dignitoso nel riaffermare i suoi ideali socialisti” lo ricordava Giorgio Amendola345 che lo conobbe a Nizza nel 1942.

In risposta allo sbarco anglo-americano nell’Africa settentrionale, Hitler abolisce lo stato fantoccio di Vichy e lo occupa militarmente. Gli oppositori del fascismo vengono arrestati e consegnati alla polizia italiana. Con la medesima dignità attraversò alla fine dello stesso anno, settantacinquenne e semicieco, la durissima e umiliante prova della estradizione nell’Italia fascista, degli interrogatori, delle minacce, del carcere, del domicilio coatto. E’ catturato il 29 novembre di quell’anno; dopo 18 giorni nel carcere di Mentone è trasferito a Forlì dove, semicieco, scrive una domanda di grazia a Mussolini, senza pronunziare mortificanti abiure. Viene scarcerato il 27 dicembre con obbligo di residenza a Milano presso una parente. Dopo la caduta del regime, nel luglio 1943, si trasferisce a Villaguardia (CO) e poi in una casa di cura di Como, sotto sorveglianza. Dimesso a febbraio riprende l’attività clandestina ed è arrestato a marzo e si salva dalla deportazione in Germania, liberato fortunosamente il 25 aprile.

342 Pedone, cit., vol 4, pag. 151

343 Il PSI e la situazione internazionale, “Il nuovo Avanti”, 23.12.1939 e “Libera stampa”, 2 e 4.1.1940

344 O.M., Criteri realisti di una politica dell'antifascismo italiano”, cit. in L.Rapone, Da Turati a Nenni, pag.282

345 G.Amendola, Lettere a Milano, Roma, 1973, pp 66

12 Nel secondo dopoguerra (1945-1951)

Espatriato da Biella nell’ottobre 1926, poco prima che fossero emanate le leggi eccezionali, vi ritorna dopo un ventennio e si inserisce nella attività del Partito tenendo conferenze con Ernesto Carpano e Virgilio Luisetti in occasione delle elezioni per la Costituente. Torna poi però a Nizza, dove era stato nominato commissario per le opere assistenziali del Consolato italiano346 e dove presiede la “Società amici della Francia”

E’ presente comunque al congresso straordinario del PSI tenuto a Genova dal 27 giugno al 1° luglio 1948, dopo la sconfitta elettorale del fronte popolare avvenuta il 18 aprile. Furono presentate tre liste: “Riscossa”, favorevole al mantenimento del Patto d’unità d’azione ma non al Fronte, i cui esponenti erano il novarese Alberto Jacometti, il sindacalista Fernando Santi347, Giovanni Pieraccini348 e due “azionisti” confluiti nel PSI: Riccardo Lombardi e Vittorio Foa; “Sinistra”, firmatari Nenni, Morandi, Luzzatto, Tolloy, Lizzadri, per la riconferma della politica unitaria; “Per il socialismo” firmata dai piemontesi Giuseppe Romita, Luisetti e Passoni, da Calogero, Carlo Spinelli,Lopardi, Orlandi, e dal sindacalista Viglianesi, secondo cui occorreva un partito socialista riunificato, autonomo e sciolto dall’unità d’azione col PCI, con cui erano possibili intese per la difesa delle libertà democratiche. Egli segue questa corrente che ottiene il 26% dei voti, conto il 42% di “Riscossa socialista” e il 31% della Sinistra.

Al successivo 28. Congresso di Firenze nel maggio 1949 la “Sinistra” conquistò la maggioranza e Rondani come gli altri seguaci della mozione di Romita che aveva ottenuto solo il 9% dei voti uscì dal PSI, confluendo dopo breve tempo nel PSDI di Saragat. Fu questa la sua ultima presenza attiva nel socialismo italiano.

Ritiratosi definitivamente a Nizza, qui si spense il 24 giugno 1951, all'età di 83 anni349

346 “Corriere Biellese”, 7.3.1946

347 Parma, 1902-1969; Fernando Santi e il ruolo del sindacato nella democrazia italiana: Roma, 1980; R.Spocci Fernando Santi: un uomo, un’idea, Parma, 2002; F.Persio Fernando Santi: l'uomo, il sindacalista, il politico, Roma, 2005

348 Viareggio 1918. Ministro durante i primi governi di centro-sinistra, ex direttore dell'Avanti!

349 Viene commemorato nella seduta di giovedì 28 giugno 1951 da Pirazzi Maffiola. Atti della Camera p. 29037

Appendice:

GENERAZIONI E PERCORSI DEL MASSIMALISMO SOCIALISTA IN LOMBARDIA

1. Origini del massimalismo socialista

2. Impostazione della ricerca

3. Profili biografici

Ezio Riboldi

Francesco Buffoni

Giovanni Bitelli

Ines Oddone Bitelli350

Riccardo Momigliano

Alberto Malatesta

350 I profili di Ines Oddone, Maria Giudice, Abigaille Zanetta e il paragrafo 5 (La componente femminile) sono di Anna Baj

Maria Giudice

Bruno Fortichiari

Abigaille Zanetta

4. “Sociologia” degli intransigenti

5. La componente femminile

6. Conclusione

1. Origini del massimalismo socialista

“Il massimalismo socialista, che tanta parte ha avuto nel movimento operaio italiano, è tanto ricco di storia e di personaggi, quanto povero di studi d'insieme e di monografie”351; esso nasce dalla frazione “intransigente” formatasi al congresso di Roma del 1906 (si veda il paragrafo relativo nella biografia di Giovanni Lerda). Al congresso di Firenze del 1908 la corrente ha una buona affermazione in Lombardia (40%) con punte significative a Milano (63%), Como (86%), Bergamo (81%), Mantova (54%). Al congresso di Reggio Emilia (1912) in Lombardia la corrente passa da 400 voti a 1.300 con la conquista della sezione di Milano (420 voti) e una buona affermazione nel comasco, mantovano e pavese352.

La guerra determina profonde modifiche all'interno del partito tanto nei quadri quanto nella stessa base sociale, per cui occorre distinguere tra intransigentismo e massimalismo (rispettivamente prima e dopo la guerra), perchè se il primo fu l'indubbia matrice del secondo, dell’originario gruppo dirigente della frazione solo pochi mantennero una posizione di primo piano (Serrati, Vella), alcuni concorsero alla formazione del PCdI mentre molti degli esponenti più rappresentativi dell’anteguerra confluirono su posizioni più moderate alla fine del conflitto, anche in relazione alla rivoluzione russa.

2. Impostazione della ricerca

Abbiamo raccolto e messo a confronto le biografie (evidenziandone i tratti significativi specie negli snodi dell’epoca: grande guerra, fascismo…) di nove “massimalisti” che hanno operato in Lombardia nel periodo che va dall'età giolittiana al dopoguerra Gli esponenti del massimalismo socialista in Lombardia erano naturalmente molto più numerosi di quelli qui trattati, e andrebbe proseguito un lavoro di “scavo” in ogni singola provincia utilizzando le biografie dei militanti di base (ma è di ostacolo la mancanza di strumenti quali un repertorio del movimento operaio come quello

351 G.Bosio “L’occupazione delle fabbriche e i gruppi dirigenti e di pressione del movimento operaio” in “Il Ponte”, 1970, n.10. Da allora però qualcosa è stato pubblicato: A.Natta “Serrati: vita e lettere di un rivoluzionario”, Roma, 2001; U.Chiaramonte “Arturo Vella e il socialismo massimalista”, Manduria, 2002; E.Giovannini “L’Italia massimalista”, Roma, 2001; S.Noiret “Massimalismo e crisi dello stato liberale: Nicola Bombacci”, Milano, 1992

352 M.Degl'Innocenti "Geografia e istituzioni del socialismo italiano, 1892-1914", Bari, 1983.

esistente in Francia353).

Ci sembra comunque che la ricerca individui, come ipotesi di lavoro da verificare, una tipologia di quadri intermedi a livello provinciale i quali, pur compiendo itinerari personali e politici quanto mai vari, presentano un denominatore comune che va al di la del mero intrecciarsi di percorsi che li vede svolgere lo stesso ruolo o ricoprire responsabilità negli stessi luoghi in tempi successivi.

Gli elementi presi in considerazione sono: 1) il dato anagrafico, vale a dire l'appartenenza alla classe dei nati nel ventennio '75-'95 dell'Ottocento; 2) l’ attività come organizzatori di strutture socialiste (Camere del lavoro, federazioni, giornali…) a livello provinciale e regionale, escludendo sia coloro che operarono a livello nazionale, sia i militanti di base.

3. Profili biografici

3.1 Ezio Riboldi354

Nato a Vimercate nel 1878 cresce in clima laico e democratico (il padre, artigiano sarto, radicale, aveva fondato la prima società di mutuo soccorso del suo comune); dopo le lauree in lettere e poi in legge (conquistate con sforzo per le sue modeste condizioni economiche) e l’adesione al socialismo nel clima dei moti del ’98, si trasferisce a Monza per insegnare all’istituto tecnico commerciale.

Qui trova una leadership già consolidata con cui deve confrontarsi e competere, rappresentata da Enrico Reina (nato nel 1871)355, affermato organizzatore sindacale dei cappellai, segretario della Camera del lavoro e autorevole esponente riformista. Nella sezione monzese Riboldi si pone all’opposizione finché nel 1912 la corrente intransigente prende la guida sia del PSI al congresso di Reggio Emilia sia a livello locale, provocando la rottura dell’alleanza “bloccarla” coi radicali che reggeva il Comune. Le conseguenti elezioni vedono la vittoria dei clerico-moderati, ma la loro amministrazione non ebbe vita lunga per dissensi interni e si torna a votare nella primavera del 1914.

La lista socialista, pur presentatasi da sola (ma giovandosi dell’assenza dei radicali) ottiene una brillante vittoria portando alla guida del Comune il Riboldi, che diede comunque spazio alla corrente riformista minoritaria affidando l’assessorato all’istruzione al Reina.356

Direttore del settimanale socialista “la Brianza”, si impegna attivamente nella lotta contro la guerra diffondendo le parole d’ordine della conferenza di Zimmerwald. Eletto deputato nel 1919, al congresso di Livorno (1921) appoggia la mozione “comunista unitaria” di Serrati; è incaricato nello

353 J.Maitron “Dictionnaire biographique du mouvement ouvrier en France”, 1964 –R. Michels Storia critica del movimento socialista italiano fino al 1911 Firenze, 1921; W. Gianinazzi Intellettuali in bilico : Pagine libere e i sindacalisti rivoluzionari prima del fascismo Milano, 1996

354 Scheda biografica di Tommaso Detti, in F.Andreucci-T.Detti, (a c. di),”Il movimento operaio italiano. Dizionario biografico” Roma, 1975-79, vol. 4. D’ora in poi: “Andreucci-Detti”; ha pubblicato nel 1964 (un anno prima della morte) un volume di memorie Riboldi “Vicende socialiste. Trent’anni di vita italiana nei ricordi di un deputato massimalista”, Milano, 1964

355 G. Longoni “Ettore Reina. La vicenda di un riformista”, Milano, 1983

stesso anno, con Fabrizio Maffi (nato nel 1868 in provincia di Pavia, ma che non prendiamo in considerazione perché svolse la sua attività nel vercellese, dove esercitava la professione di medico condotto) e Costantino Lazzari (cremonese, ma della classe 1857, quindi di una generazione precedente), di perorare al terzo congresso dell’Internazionale Comunista le ragioni del PSI nel contrasto sulle condizioni di adesione.

Fondata, in occasione del congresso di Milano dell’ottobre 1921 la frazione terzinternazionalista, che si proponeva l’espulsione dei riformisti e la fusione con il Partito Comunista d’Italia, egli ne è uno dei principali dirigenti, ed al congresso di Roma dell’anno seguente è eletto membro della direzione del partito epurato dei riformisti. Dopo la sconfitta subita dai sostenitori della fusione col PCdI al congresso di Milano dell’aprile 1923, con Serrati, Maffi, Francesco Buffoni e Mario Malatesta è redattore della nuova rivista “terzina” “Pagine Rosse”, la cui pubblicazione costò a lui e agli altri l’espulsione dal PSI357.

Candidato nelle liste comuni tra terzini e comunisti per le elezioni dell’aprile 1924, è per la terza volta eletto nella circoscrizione lombarda. Entrato nel PCI con la fusione dell’estate dello stesso anno, dirige con il Buffoni l’ufficio giuridico del soccorso vittime politiche (conosciuto anche come Soccorso Rosso) e collabora al nuovo quotidiano del partito “L’Unità”.

Arrestato nel novembre del 1926 e assegnato al confino a Pantelleria, viene condannato a 17 anni. La domanda di grazia inoltrata nel 1933 lo mette in libertà ma comporta l’ espulsione dal PCdI. Emarginato anche dal regime, che allo scoppio della guerra lo interna per alcuni mesi in Abruzzo, nel periodo 1940-43 collabora al periodico “La Verità” diretto dal già massimalista Nicola Bombacci (nato nel 1879) che svolse opera di fiancheggiamento del regime dal 1936 fino a guerra inoltrata358, pubblicandovi articoli di politica estera. Dopo la guerra non riprese più vita politica attiva, pur non estraniandosi dalle vicende del movimento operaio.

3.2 Francesco Buffoni359

Nato a Gallarate nel 1882, in una famiglia agiata (il padre esattore) inizia la sua vita politica come repubblicano e già durante gli studi giuridici svolge una intensa attività di pubblicista, collaborando ai giornali locali di tendenza progressista e fondando egli stesso nel 1902 il settimanale “Popolo e libertà”. Sebbene già nel 1894 fosse stato fondato un “Circolo socialista gallaratese” e nel 1902

356 A. M. Orecchia “Il Novecento: storia politica e sociale” in”Monza. La sua storia”, Monza,2002; I. Granata, G. Longoni “L’armonia dei produttori: impresa, sindacato e amministrazione a Monza 1893-1963”, Roma, 1964

357 T.Detti “Serrati e la formazione del partito comunista :storia della frazione terzinternazionalista”, Roma, 1972

358 P.Chiantera-Stutte, A.Guiso “Fascismo e bolscevismo in una rivista di confine: “La Verità” di Nicola Bombacci (1936-1943)” in “Ventunesimo secolo” , 2003, n.3.

359 Scheda di B. Anitra, Dizionario biografico degli italiani”Roma, 1972, vol.15; di Tommaso Detti in ”Andreucci-Detti”, di Roberto Ghiringhelli in “Il parlamento italiano”, Roma, 1988, vol. 10, di Guido Sironi in “Rivista gallaratese di storia e arte”, 1951, n.2

una Camera del lavoro360 solo nel 1905 aderisce al socialismo e si dedica ad una intensa attività come consigliere e assessore a Busto Arsizio e Gallarate, e sindaco di Crenna, piccolo comune in cui risiedeva.

Collabora tra il 1914 e il 1917 alla rivista riformista “Critica sociale”. Eletto alla Camera nel 1919 e riconfermato nel 1921, dapprima massimalista unitario (Serrati), nel gennaio 1922 prende posizione a favore della frazione “terzinternazionalista”.

Al congresso di Roma dell’ottobre 1922 entra a far parte della direzione del PSI come rappresentante del Gruppo parlamentare socialista; al Congresso di Milano dell’aprile 1923 è il presentatore della mozione “terzina” e con Maffi, Serrati, Riboldi e Mario Malatesta dà vita alla rivista di corrente “Pagine Rosse”, cosa che provoca l’espulsione dal Partito

Diviene redattore capo del”L’Unità” in rappresentanza della frazione, carica che mantiene anche dopo la fusione. Negli anni tra il 1924 e il 1926 è anche membro del comitato esecutivo della Federazione lombarda del PCdI e si dedica alla difesa degli antifascisti congiuntamente al Riboldi.

Viene condannato nel novembre 1926 a cinque anni di confino, in contumacia perché era riuscito a sottrarsi in tempo alla cattura rifugiandosi in Francia. Poco dopo il suo arrivo comincia ad allontanarsi dalla linea del Partito, aderendo all’Unione dei giornalisti “Giovanni Amendola”. Posto sotto inchiesta per questo motivo e per essere entrato in contatto con la “Concentrazione antifascista”, alla fine del 1929 viene espulso per aver partecipato alle onoranze tributate a Turati in occasione del suo compleanno. Si iscrive allora nuovamente al Partito socialista e nel 1930 partecipa al congresso di riunificazione tra PSI e PSULI. Non svolge tuttavia un’attività di primo piano dedicandosi principalmente all’attività di pubblicista.

Rientrato in Italia nel 1946, diventa membro del comitato esecutivo della federazione di Varese del PSI, sindaco di Gallarate e deputato all’Assemblea costituente, e nel 1948 senatore di diritto

3.3 Giovanni Bitelli361

Nato a Bologna nel 1875 dove consegue il diploma magistrale e si mette in luce negli ambienti sindacali locali; nel 1906 viene chiamato a dirigere la Camera del lavoro di Gallarate e qui si trasferisce con la moglie Ines Oddone dedicandosi anche ad attività collaterali come la costituzione della Cooperativa di consumo “Emancipazione” (1907) e il progetto dell’edificazione di una “Casa del proletariato” (1910) che, interrotto per mancanza di fondi, fu ripreso nel periodo 1920-22362.

Dopo essere espatriato a Lugano per sfuggire alle conseguenze delle manifestazioni contro l’impresa libica, viene chiamato a sostituire Michele Bianchi (allora esponente di punta del sindacalismo rivoluzionario e futuro ras fascista) alla segreteria della Camera del lavoro di Ferrara nel 1912, dove “promuove uno sciopero agrario che, impostato senza adeguata preparazione

360 V.Bernardi “Origini e sviluppi del movimento socialista nel gallaratese (1902-1904)” in “Tracce”, 1984, n.4

361 Scheda di A. Roveri in “Andreucci-Detti”

362 C.Magni-S.Norcini “Il movimenti operaio, la Camera del lavoro e la Casa del Proletariato a Gallarate (1880-1922), Gallarate, 1993

secondo moduli anarcosindacalisti, si risolve in una grave sconfitta”363

La sua carriera politica non si interrompe nel 1914, perchè ci risultano attribuibili a lui libri che testimoniano un profondo mutamento di prospettiva (“Filippo Corridoni”, 1925; “Benito Mussolini”, 1937 e succ. ed.; “Cottolengo”, 1934; “Caterina da Siena”, 1942; “Giuseppe Cafasso”, 1959) oltre alla cura di numerose volumi per l’infanzia; risulta anche la sua collaborazione alla già citata rivista collaborazionista di Bombacci “La Verità”.

Il Bitelli ha una collocazione ai confini tra intransigentismo e sindacalismo rivoluzionario, e non si può trascurare il fatto che la piccola Camera del lavoro di Gallarate (la sua consistenza oscillava tra i 3270 iscritti del 1911 ed i 1500 del 1914, con una trentina di leghe) costituita nel 1902, ebbe come primo segretario il “sindacalista-rivoluzionario” Agostino Scarpa e fu, con quella bresciana diretta dal 1907 da Gino Muller364, l’unica della Lombardia ad avere segretari di questa corrente. Pur restando la Camera del Lavoro di Gallarate fino al 1914 associata alla CGdL, il Bitelli è tra i fondatori della centrale sindacalista rivoluzionaria USI al congresso di Modena del 1912365.

3.4 Ines Oddone Bitelli366

Nasce a Cairo Montenotte (SV) nel 1874, figlia di un ingegnere delle ferrovie, cresce nel centro Italia dove il padre si era stabilito per lavoro. Frequenta il Collegio a San Elpidio a Mare, prosegue gli studi magistrali e poi all’Università di Roma, dove la sua famiglia si trasferisce. Diventa insegnante nelle scuole della capitale e si distingue per essere tra le prime organizzatrici sindacali della sua categoria.

Nel 1904 si sposa con Giovanni Bitelli, maestro elementare e sindacalista di Bologna, città dove si trasferisce col marito e dove viene chiamata a collaborare con la locale Camera del Lavoro. Al Congresso nazionale delle Camere del Lavoro del 1905 sostiene la mozione sindacalista-rivoluzionaria per l’indipendenza del movimento economico da quello politico. In quegli anni fonda “La Donna socialista” settimanale che esce prima a Bologna e poi a Gallarate. Questo, come altri periodici, erano nati per educare ai principi fondamentali della dottrina socialista larghi strati della popolazione femminile ed erano i primi strumenti per una alfabetizzazione politica dedicata alle donne. Il foglio chiude le pubblicazioni nel 1906 per motivi economici.

Nel 1906 si trasferisce a Gallarate col marito, chiamato a dirigere la Camera del Lavoro, e qui nel

363 A. Roveri “Dal sindacalismo rivoluzionario al fascismo. Capitalismo agrario e socialismo nel ferrarese (1870-1920)”, Firenze, 1972.

364 R.Bernardi “Sindacalismo rivoluzionario e movimento operaio a Brescia dall’inizio del ‘900 alla dittatura fascista” Milano, 1984

365 I.Barbadoro “Storia del sindacalismo italiano” Firenze, 1977, vol.2.

366 S. Minonzio, “Ines Oddone Bitelli sindacalista e socialista a Gallarate”, Tracce, 1984,1; I.Monti Ottoleghi in “Andreucci-Detti”, di A. Coruzzi, Una “donna moderna”, in “La donna socialista: Ines Oddone Bitelli, una donna un giornale”, Bologna, 2003.

1907 fonda l’organo camerale “La lotta di classe: giornale settimanale delle organizzazioni proletarie del gallaratese” caratterizzato da un taglio sindacalista-rivoluzionario. Nel 1908 pubblica l’opuscolo “Parole alle donne proletarie”, raccolta di articoli pubblicati nei due periodici da lei diretti, che affronta i temi delle emancipazioniste del tempo: sessualità, maternità, lavoro femminile, divorzio, aborto, prostituzione, diritto di voto. Sempre nel 1908 viene condannata per il reato di propaganda antimilitarista ed espulsa dalle scuole di Gallarate. Si rifugia a Lugano per sfuggire al carcere venendo poi assunta in un piccolo comune svizzero in qualità di insegnante.

Dopo l’amnistia del 1909 fa ritorno a Gallarate e l’anno dopo viene nominata dirigente del Segretariato del Popolo, ufficio della Camera del Lavoro che si occupava di problemi assistenziali. Ha un nuovo incarico presso le scuole elementari di Crenna, frazione di Gallarate, nonostante l’opposizione dei clericali. Muore alla vigilia della guerra, nel maggio 1914.

3.5 Riccardo Momigliano367

Di famiglia ebraica368, fa parte di “quel manipolo di volonterosi studenti (ebrei che) optò per le Camere del lavoro abbandonando gli studi e impegnandosi nella vita politica di quegli anni”369 Nell’autobiografia370, dopo aver tratteggiato l’infanzia a Cuneo (dove era nato nel 1879) e la giovanile militanza nella sezione socialista torinese ancora influenzata dalle grandi figure dei “socialisti della cattedra” Graf, Cena, Balsamo-Crivelli, De Amicis quando egli frequenta la facoltà di medicina di quell’ateneo, descrive in pagine suggestive l’ambiente socialista e proletario della provincia di Varese, dalla cui Camera del lavoro era stato assunto mediante concorso nel 1902: “la Camera del lavoro che io dovevo dirigere era una cosa ben misera, raccogliendo a mala pena due migliaia di iscritti e modestissima era la sua sede: uno stanzino per le riunioni e due sgabuzzini: uno per la segreteria e uno per il comitato esecutivo”371

Fonda il periodico “Il nuovo ideale” e si dedica alla costituzione di Case del popolo e di cooperative, specie nei mesi invernali in cui gli scalpellini emigrati tornavano alle loro case; descrive gli scontri con i parroci di campagna che cercavano di impedire i comizi suonando a stormo le campane, la dura competizione coi repubblicani che erano saldamente impiantati nel capoluogo e in Valganna.

367 Scheda di Franca Taddei in “Andreucci-Detti” ; di Alberto Cavaglion in C.Simiand “I deputati piemontesi all’Assemblea Costituente”, Milano, 1999; P.Robotti “Riccardo Momigliano dal socialismo rivoluzionario alla socialdemocrazia”, 1999 tesi di laurea alla facoltà di scienze politiche dell’Università di Milano

368 Della famiglia dei Momigliano di Caraglio (CN) fanno parte gli studiosi Attilio e Arnaldo e A.C.Jemolo. Si veda l’albero genealogico in L.Berardo “Socialisti e comunisti nel feudo di Giolitti” in “Notiziario dell’istituto storico della resistenza di Cuneo”, 1999, n.1;

369 A.Cavaglion “Gli ebrei e il socialismo: il caso italiano”, in “Stato nazionale ed emancipazione ebraica”, Roma, 1992

370 “I buoni artieri”, a cura di A.Schiavi, vol 3. , Roma, 1958

371 Ibid.

Resta a Varese fino al 1910 (con un soggiorno a Como nel 1903-4) quando si sposta alla Camera del lavoro di Bologna e poi a Biella (1912-19) alla direzione del “Corriere biellese”372, settimanale della Federazione socialista e della Camera del Lavoro. Rientrato nel 1919 a Varese come assessore al comune e deputato della Circoscrizione di Como-Sondrio per due legislature, inizia ora una parabola che lo porterà su posizioni sempre più moderate.

Si schiera coi “comunisti unitari” (Serrati) al congresso di Livorno; è membro della corrente di “difesa socialista” contraria alla fusione con il PCdI; all’inizio del 1926 sostituisce Nenni alla direzione dell’”Avanti!” fino alle leggi eccezionali ed alla soppressione del giornale. Scontato un anno di confino a Lipari, nel 1927 si trasferisce a Torino abbandonando la vita politica attiva. Nel 1943 si rifugia in Svizzera e nel 1945 rientra in Italia e viene rieletto nel suo collegio di Como alla Costituente; al momento della scissione socialista nel 1947 segue l’ala saragattiana.

3.6 Alberto Malatesta373

Nato in provincia di Massa nel 1879 nella famiglia di un medico condotto, e vissuto a La Spezia, studi in medicina interrotti al quarto anno, è chiamato nel 1909 a dirigere il periodico socialista “L’aurora” di Pallanza e poi la piccola Camera del lavoro di Intra che contava 25 leghe con 1800 soci nel 1907 e 16 con 883 nel 1910374.

Nel frattempo aveva partecipato ai congressi nazionali di Milano (1910) dove vota la mozione riformista di sinistra di Modigliani e Salvemini e di Reggio Emilia (1912). Nel settembre 1913 è chiamato a sostituire Riccardo Momigliano alla direzione de ”Il nuovo ideale” di Varese, fino al maggio 1914 quando accetta l’incarico di organizzare a Massa una Camera del lavoro in contrapposizione a quella di Carrara aderente all’USI.

Rientrato a Milano lo stesso anno per collaborare all’Avanti! chiamato da Mussolini, sostiene vivaci contradditori con gli interventisti nell’aprile del 1915. Cessate le ostilità, che passò presso ospedali del fronte, ritorna alla redazione dell’Avanti e, candidato dai socialisti dell’Ossola, è eletto per la circoscrizione di Novara; nel 1920 si trasferisce a Novara dove assunse la direzione de “Il Lavoratore” e la segreteria provinciale.

Nel dibattito interno si era allontanato nel frattempo alle posizioni di Serrati che aveva sostenuto al congresso di Livorno, aderendo prima alla frazione “unitaria” di Baratono e dopo il 19.Congresso dell’ottobre 1922 aderendo al Partito socialista unitario (riformista).

Inizia allora un ripensamento che lo porterà ad uscire dalla politica attiva per dedicarsi a lavori di compilazione come il “Dizionario biografico del parlamentari a partire dall’Unità”. Il fratello Mario, di 12 anni più giovane, fu redattore del già citato “Pagine rosse” con Buffoni e Riboldi. Entrato dopo la fusione nel comitato centrale del PCdI, interrompe il suo impegno fino a collaborare al già citato periodico di Bombacci nel 1941.

372 M.Neirotti “Il dibattito e l’informazione del Corriere biellese” sulla rivoluzione russa (1917-19)” in “L’impegno” giugno 1982

373 Scheda di Gian Mario Bravo in “Andreucci-Detti”.

374 U.Chiaramonte “Industrializzazione e movimento operaio in Valdossola”, Milano, 1984

Dopo la guerra collabora con Bruno Fortichiari alla “Federazione milanese cooperative e mutue”, organizzazione facente capo ai partiti di sinistra, PCI e PSI.

3.7 Maria Giudice375

Nasce a Codevilla, nell’Oltrepo’ pavese, nel 1880, in una famiglia della piccola borghesia progressista (il padre era reduce garibaldino) ed entra in contatto con il partito socialista all’epoca dell’incarico di insegnante elementare a Voghera, centro ricco di piccole industrie tessili segnate da numerosi licenziamenti, in cui era già radicata l’idea socialista. Alla scuola di Ernesto Majocchi, fondatore del foglio “L’uomo che ride” di Voghera376, arriva a padroneggiare lo stile giornalistico stendendo articoli propagandistici improntati a una semplicità di linguaggio ricercata, perché riteneva che il socialismo dovesse esser “offerto” alle masse contadine e operaie con un processo educativo graduale. D’altronde la sua cultura politica non era frutto di un’approfondita preparazione teorica.

In quegli anni conosce l’anarchico Carlo Civardi al quale si legherà in “libera unione” e dal quale avrà sette figli. Nel 1903 diventa segretario della Camera del lavoro di Voghera e dopo poco tempo si trasferisce, con lo stesso incarico, a quella di Fidenza (PR), che si contrappone alla “sindacalista” Parma.

In seguito a una condanna a tre mesi per aver pubblicato una violenta invettiva per l’eccidio di Torre Annunziata, si rifugia in Svizzera – dove fonda con Angelica Balabanoff377 il periodico “Su compagne” – e dopo 15 mesi rientra in Italia trasferendosi nel 1910 a Milano dove viene assunta come maestra elementare del comune (allora autonomo) di Musocco.378

In questo periodo, dopo aver partecipato alle attività della locale sezione socialista, commenta negativamente le attività cooperativistiche e sociali svolte dalla stessa sezione che giudica carente nell’attività di propaganda. L’Amministrazione comunale coglie l’occasione per chiederne nel 1913 il licenziamento, adducendo negligenze professionali e personali di varia natura. La Giudice aveva reagito alla diffamazione schiaffeggiando il segretario comunale e per questi fatti subì un processo per lesioni che si concluse con la condanna al pagamento di una multa.

Dal 1912 collabora al giornale della Kulishoff “La difesa delle lavoratrici”. Non furono anni facili: i rapporti di lavoro con la Kulishoff379 erano freddi a causa della certezza di quest’ultima di avere a

375 Scheda di Franca Pieroni Bortolotti in “Andreucci-Detti” e di M.A.Serci in “Dizionario biografico degli italiani”., vol. 56. Del 1991 è la biografia di Vittorio Poma “Una maestra tra i socialisti. L’itinerario politico di Maria Giudice “Rivista milanese di economia” n.20 e del 1996 il volume di Jole Calapso, Una donna intransigente, Palermo, 1996

376 A.Scotti L' "uomo che ride" di Ernesto Majocchi : grafica, progresso tecnico e cultura socialista nel giornalismo vogherese di fine Ottocento, “ Annali di storia Pavese” 1981, 6-7

377 A.Balabanoff “La mia vita di rivoluzionaria” , Milano, 1979

378 E.Bielli, L’universo socialista di Musocco “Storia in Lombardia” 1990, n.2

379 M.Casalini, La signora del socialismo italiano, Roma, 1987

che fare con una redazione di donne provinciali e poco colte; tuttavia ciò non impedì alla Giudice di continuare a sperare che il suo messaggio educativo portasse a costruire una cultura di base socialista nelle classi sociali più basse.

Nel 1913 si trasferisce a Borgosesia (VC) dove dirige il periodico “La campana socialista” e si distingue nello sciopero della “Manifattura Lane”, subendo una condanna a venti giorni di reclusione e trecento lire di multa380. Nel 1914 è delegata al Congresso nazionale di Ancona dove “invitò i deputati ad intensificare l’azione antimilitarista”.381

Nel 1916 rimane vedova del compagno – partito volontario e ucciso all’inizio della guerra – e viene chiamata a reggere la segreteria provinciale del Partito a Torino rimasta vacante per i richiami per il fronte, dirigendo per breve tempo anche il settimanale socialista “Il grido del popolo”. Non sempre viene apprezzata la semplicità del linguaggio che la Giudice ritiene invece essenziale per raggiungere anche le fasce di popolazione non acculturate; per esempio i giovani guidati da Antonio Gramsci contestano la “banalizzazione” dei concetti espressi382.

Partecipa alla propaganda antibellica del 1917 per la quale viene arrestata una prima volta assieme al giovane Umberto Terracini; quando per la mancanza del pane scoppia l’insurrezione torinese dell’agosto la Giudice viene di nuovo arrestata assieme ad altri esponenti locali e a Serrati e condannata a tre anni dal Tribunale militare.

Un’amnistia le permette di ritornare libera nel 1919 e di mettersi al lavoro prima a Torino e poi a Civitavecchia; da ultimo la direzione del partito le assegna l’incarico di organizzare una serie di incontri in Sicilia dove si stabilirà, legandosi all’avvocato socialista Sapienza, da cui avrà la ottava e ultima figlia, Goliarda, attrice pirandelliana e scrittrice.

Nel 1922 viene ancora arrestata per “eccitamento all’odio di classe” ed è inserita nella lista delle persone potenzialmente “pericolose”. Nel 1923 viene scarcerata e in quegli anni abbandona la militanza politica attiva a causa dello scioglimento di tutte le associazioni politiche. Nel 1931 viene tolta dall’elenco e nel 1941 si trasferisce a Roma dove muore nel 1953 senza più riprendere l’attività politica.

380 A.Pirruccio “Borgosesia 1914. Sciopero alla manifattura lane”, Vercelli, 1983; L.Moranino “Le donne socialiste nel biellese”, Vercelli, 1984

381 F.Pedone “Il PSI nei suoi congressi”, vol.2: 1902-17, Roma, 1961

382 P.Spriano “Storia di Torino operaia e socialista”, Torino, 1972

3.8 Bruno Fortichiari383

Nato nel 1892 a Luzzara, un piccolo centro della provincia di Reggio Emilia, cresce nell’ambiente del socialismo reggiano (il padre, proprietario di una macelleria, aveva costituito la sezione locale) fortemente influenzato dalla esemplare figura di Camillo Prampolini, alto borghese ribelle alla sua classe che si era dedicato alla redenzione degli sfruttati organizzando i braccianti e i coltivatori diretti.

Dopo la licenza tecnica viene assunto nel 1919 dal giornale delle cooperative reggiane “La Giustizia” diretto da Giovanni Zibordi, autorevole esponente riformista, realizzando la sua passione giovanile per il giornalismo. Nello stesso 1910 partecipa al Congresso della Federazione giovanile socialista (FGS) a Firenze e frequenta un corso per organizzatori cooperativi e sindacali indetto dalla Società Umanitaria. Al termine del corso viene assunto dalla sede dell’Umanitaria di Piacenza, entrando anche nella redazione del giornale socialista locale.

Il contatto con l’ambiente parmense-piacentino in cui i sindacalisti rivoluzionari di Alceste De Ambris e Cesare Rossi estendevano la loro influenza sugli operai delusi dal riformismo spicciolo delle organizzazioni locali e il disinganno per la debole risposta del partito alla politica libica di Giolitti determina il suo distacco dalle posizioni riformiste “reggiane”.

Partecipa al congresso della FGS di Bologna del 1912 dove conosce Amadeo Bordiga.

Alla fine del 1912 viene assunto mediante concorso per riorganizzare la federazione provinciale di Milano e la sezione cittadina. Giunto quasi contemporaneamente a Mussolini che assumeva la direzione dell’”Avanti!”, incontra altri compagni di corrente: Celestino Ratti, ex incisore seguace di Lazzari, l’illustre medico igienista Angelo Filippetti futuro sindaco di Milano nel dopoguerra, la rifugiata russa Angelica Balabanoff, ma si lega sopratutto all’insegnante Abigaille Zanetta, al farmacista Livio Agostini e al metalmeccanico Luigi Repossi, popolare leader di Porta Ticinese.

Fortichiari organizza nei quartieri operai sedi rionali ed inizia un lavoro di lenta penetrazione nella “Vandea”, cioè nei comuni rurali che circondavano allora Milano. Visto il suo attivismo e la sua capacità organizzativa, gli viene affidata, nonostante la giovane età, sia la segreteria cittadina che quella provinciale. Allo scoppio del conflitto contribuisce all’espulsione di Mussolini dalla sezione milanese e si impegna nella lotta neutralista anche dopo l’entrata in guerra dell’Italia, tanto da essere condannato e internato in un piccolo centro dell’Abruzzo, assieme alla Zanetta. Ripreso il proprio posto alla segreteria provinciale ed eletto consigliere comunale nel 1920, si avvicina sempre più alle posizioni di Bordiga.

Fortichiari rappresenta una componente, accanto alla astensionista e alla “ordinovista”, costituita da numerosi gruppi massimalisti, di cui quello milanese pur essendosi diviso (la Zanetta e Agostini rimasero nel PSI) ebbe un peso tutt’altro che secondario nella nascita del PCdI. In questo momento è al vertice del partito: gli viene affidato il settore del lavoro illegale ed è uno dei cinque membri del comitato esecutivo. Entrato in contrasto con la nuova direzione “centrista” ed espulso nel 1929 per “bordigismo”, si ritira a vita privata.

383 Scheda di T. Detti in “Andreucci-Detti”, di Giuseppe Siriana in “Dizionario biografico degli italiani”, vol 49; di C. Beltrami e J.V.Maggiani “Vita e idee di Bruno Fortichiari” in “Ricerche storiche”,1995, n.76. Ha scritto un libro di vivaci “Memorie (dal 1896 al 1943)” raccolte in un volume antologico pubblicato nel 1992, che si possono leggere anche su Internet, sito “marxist.org/italiano”.

Nel 1944 chiede la riammissione nel partito pur conservando i contatti coi compagni di frazione e nel dopoguerra gli viene affidata la direzione della “Federazione delle cooperative e mutue milanesi”.

3.9 Abigaille Zanetta384

Nasce a Suno novarese nel 1875; il padre, impiegato nella pubblica amministrazione, democratico risorgimentale (a differenza della famiglia materna, aristocratica e reazionaria) aveva lasciato in eredità alla figlia il desiderio di aiutare gli altri e la capacità di esercitare varie attività manuali. Si diploma come maestra come la sorella Erminia e fino al 1899, quando vince un concorso del Comune di Milano insegna in un pensionato svizzero dove, in un clima internazionale, multiculturale ed aperto a religioni differenti, impara il rispetto per le opinioni altrui.

Di formazione cattolica, a partire dal 1906 inizia una profonda crisi spirituale, testimoniata dalla collaborazione a “La scuola popolare”, organo sindacale della corrente socialista dei maestri elementari. La Zanetta percepisce che la carità e la beneficenza, in quanto accettazione passiva del proprio stato, dovevano essere sostituite dalla previdenza sociale pubblica.

Nel 1909 si iscrive alla “Lega per la tutela degli interessi femminili” e ciò le permette di conoscere Anna Kulishoff, Angelica Balabanoff, Linda Malnati, presentando per conto di quella Associazione al quinto Congresso della previdenza (Macerata, 1909) una relazione, sulle casse di maternità. L’iscrizione alla “Lega delle cooperative” le permette di svolgere la sua azione nel campo mutualistico, cooperativistico, femminile e di incontrare diversi uomini politici.

Nel 1910 si iscrive al Partito Socialista presentata dalla Kulishoff, cui rimane legata nonostante col tempo si orienti in senso intransigente a seguito di contatti con Bruno Fortichiari. Partecipa a numerose organizzazioni come rappresentante del partito: componente del Consorzio delle biblioteche popolari, del Consiglio generale della Federazione italiana delle Cooperative e delle Società di Mutuo soccorso, del Gruppo femminile della Sezione milanese del PSI , nel comitato esecutivo della CGdL.385

Allo scopo anche di sostenere candidature a deputato (come quella di Giacomo Matteotti in Polesine) è chiamata a svolgere attività propagandistica sostenendo anche contradditori nelle piazze. Con lo scoppio della guerra è impegnata continuamente in riunioni e conferenze contro la guerra e il 14 marzo, per protesta contro una circolare del Ministro Salandra con la quale erano stato proibite le riunioni pubbliche, è oratrice alla manifestazione all’Arena di Milano che si concluse con cariche della polizia, feriti e arresti.

All’interno del Partito coesistevano tendenze diverse: di fronte ai riformisti, tra cui il sindaco socialista Emilio Caldara, propensi ad una collaborazione “tecnica” con le autorità statali per

384 Oltre la scheda di T. Detti in “Andreucci-Detti”, esiste il libro di memorie: B.Fortichiari, M.Malatesta “Abigaille Zanetta: 1875-1945”, Milano, 1945; del Fondo Zanetta, giacente presso l’INSMLI di Milano e comprendente 4 buste, è stato fatto un inventariato consultabile sul sito dell’Istituto.

385 M.Mingardo, Mussolini, Turati e Fortichiari: La formazione della sinistra socialista a Milano. 1912-18, Genova, 1992

quanto concerneva l’assistenza alle famiglie dei combattenti e l’opera di calmiere dei prezzi,386 il segretario della sezione milanese Fortichiari era intransigente sul fatto di tenere un comportamento fermo di condanna contro la guerra. La Zanetta e il Fortichiari costituiscono un gruppo che viene chiamato dagli avversari “Comitato analfabeta” in senso spregiativo, che partecipa al primo convegno clandestino della frazione di sinistra del PSI a Firenze nel novembre 1917.

Questo gruppo si orienta su posizioni sempre più radicali in base ai deliberati dei convegni internazionali di Zimmerwald e Kiental. Nel 1917 tutto il direttivo del Comitato, Zanetta e Fortichiari compresi, viene condannato a sei mesi di carcere per aver diffuso un manifesto contro la guerra. In seguito Fortichiari viene incarcerato e per un po’ di tempo la Zanetta lo sostituisce alla direzione della sezione milanese.

Nel 1917 è all’apice della sua carriera politica e nel 1918 per lei e Fortichiari si profila l’ingiunzione per il confino. Saranno ospiti di un piccolo paese in provincia dell’Aquila, San Demetrio dei Vestini; la Zanetta inizia una fitta corrispondenza con la sorella Erminia alla quale descrive la vita che scorre in questa paese fra i monti abruzzesi.

Il 19 maggio i carabinieri si presentano al loro domicilio di confinati e li arrestano traducendoli ammanettati a Milano, “sotto l’accusa di incitamento alla guerra civile, all’odio fra le classi sociali, al tradimento, al saccheggio, per discorsi tenuti precedentemente a Milano e per propaganda stampata”387. Queste accuse, inconsistenti, cadono durante l’istruttoria; Fortichiari è rimandato a San Demetrio mentre la Zanetta viene raggiunta da un altro mandato di cattura, con l’accusa di disfattismo, per aver “commesso atti idonei a deprimere lo spirito pubblico e a diminuire la resistenza del Paese in guerra”. Si è pensato che queste accuse provenissero dall’ambiente scolastico frequentato dalla Zanetta, anche se la direttrice della scuola dove aveva insegnato smentì completamente le accuse e la giudicò “insegnante modello per intelligenza, zelo e qualità didattiche..”.

Dal carcere scrive molte lettere alla sorella non perdendo i contatti con il mondo esterno e cercando di dare di sé una immagine serena e positiva anche per le altre carcerate. L’8 novembre 1918 viene assolta per inesistenza di reato.

Nel 1919 assume nuovi e importanti incarichi sia nella Federazione provinciale che in quella milanese; continua a partecipare a riunioni, conferenze e continua la propaganda politica. Durante un comizio nel cortile del Palazzo Sforzesco, indetto per l’ottenimento delle libertà civili e dell’amnistia, ci sono dei gravi incidenti con morti e feriti, a causa dell’intervento armato delle prime squadre fasciste. Le scaramucce proseguono per tutto il giorno in altre zone di Milano.

L’11 luglio 1920 viene citata da un giudice per il comizio tenuto il 13 aprile con l’accusa di “incitamento della folla all’odio fra classi sociali, alla guerra civile e al saccheggio”. La Zanetta risponde all’interrogatorio riaffermando il programma socialista. Intanto è sottoposta a continui pedinamenti e perquisizioni.

A differenza di Fortichiari e Repossi, che all’inizio del 1921 fondano con Bordiga il PCdI a Livorno, la Zanetta prosegue la lotta di corrente nel PSI schierandosi con la frazione terzinternazionalista, fino alla fusione nel 1924 (insieme a Maffi, Riboldi, Buffoni) con il PCdI, chiamata a far parte del

386 M.Punzo La grande guerra e il primo dopoguerra in “Storia di Milano”, 1995

387 B.Fortichiari-M.Malatesta, cit.

direttivo della federazione provinciale milanese388.

Intanto continua a lavorare nella scuola, fino a quando, nel 1927 un'ordinanza dispensa dal servizio gli insegnanti giudicati sovversivi non presentando “sufficiente adattamento alle direttive politiche del regime”389.

Tutti i ricorsi presentati dagli accusati sono inutili e il 14 giugno viene arrestata e rinchiusa a san Vittore con l’accusa di far parte del “Soccorso Rosso” cioè di ricevere somme dalla Russia per distribuirle alle vittime politiche. Il lungo periodo di detenzione in carcere dal giugno al dicembre del 1927 mette a dura prova il suo fisico. Continua a tenere corrispondenza con la sorella Erminia e con alcune sue ex allieve.

Quando viene scarcerata viene messa sotto sorveglianza della polizia sino alla morte. A causa dello scoppio della seconda guerra mondiale si trasferisce con la sorella Erminia a Borgosesia (NO) dove muore nel 1945.

4. “Sociologia” degli intransigenti

Proviamo ora a trarre delle conclusioni dalla rassegna di profili biografici: la provenienza sociale è dalla piccola (Riboldi e Fortichiari) o più spesso media borghesia390 (Buffoni, Giudice, Momigliano, Malatesta, Zanetta, Oddone) con un retroterra politico-culturale generalmente di famiglie liberali, che coltivavano talvolta ancor fresche memorie garibaldine (Giudice, Riboldi, Zanetta) ma lontane (tranne Fortichiari) dal socialismo

Ciò conferma la tesi che vede “il passaggio tra le file del socialismo della sinistra intellettuale….proveniente dalla piccola e media borghesia , spesso con una cultura universitaria di stampo positivista.. sotto il segno di una ideologia evoluzionistica rassicurante per la borghesia” 391 ma, a differenza di quanto ritiene l’autore citato, la loro adesione al socialismo non “segna l’assoggettamento operaio all’egemonia borghese…l’abdicazione alla autonomia di classe”: si trattava spesso di una sofferta scelta di campo cui seguivano lacerazioni famigliari e rotture con le forze politiche che si erano fino ad allora considerate tutrici delle organizzazioni mutualistiche e cooperative operaie (si veda il caso di Momigliano e di Buffoni nei confronti dei repubblicani, rispettivamente varesini e bustocchi).

388 Così la ricorda Teresa Noce (Rivoluzionaria professionale, Milano, 1977, pag. 86) che frequentò la sua "abitazione grande e signorile che intimidiva un po' anche me" dove si svolgevano le riunioni femminili del Partito: "molto colta e di famiglia borghese era una zitella attempata ma con un carattere dolce, calmo e riflessivo"

389 Ibid.

390 Secondo S. Noiret “Protagonismo delle masse e crisi dello stato liberale: riflessioni sul massimalismo nel biennio rosso”, “Intersezioni”, 1988, n.2, il massimalismo nasce dall’incontro fra un organizzatore politico d’estrazione piccolo borghese e di provenienza urbana con le masse proletarizzate delle campagne

391 Del Carria Proletari senza rivoluzione, Milano, 1975, vol 1, pag. 232

L'assenza di quadri dirigenti di estrazione operaia, che pure abbiamo incontrato nelle pagine precedenti, come i milanesi Celestino Ratti e Luigi Repossi, ci porta ad una seconda considerazione, che deriva dalla preparazione scolastica: di fronte a un Fortichiari con licenza tecnica (che corrispondeva al diploma di scuola media), abbiamo quattro maestri(Bitelli, Giudice, Zanetta, Oddone), due con studi universitari non conclusi (Momigliano, Malatesta) due laureati in legge(Riboldi e Buffoni), ciò che identifica un gruppo di persone per quel tempo acculturato, requisito ritenuto necessario per dirigere Camere del lavoro e periodici di partito.

Alla carenza di preparazione scolastica del ceto operaio si era cercato di porre riparo con l'istituzione di corsi di formazione per cooperatori e sindacalisti, organizzati in particolare dalla Società Umanitaria di Milano; e nettamente diversa era la situazione dei quadri sindacali (che si collocavano quasi tutti nell'area riformista): i responsabili nazionali delle federazioni di mestiere da Rigola a Dell'Avalle a Buozzi e, a maggior ragione, quelli a livello locale sono di estrazione operaia.

La preparazione scolastica era invece considerata indispensabile come bagaglio culturale e anche tecnico che consentiva di dirigere giornali, sia pure locali, ed organizzazioni complesse come erano allora le Camere del lavoro, sulla cui realtà è necessario aprire una breve parentesi: statutariamente nate per far incontrare la domanda e l'offerta di lavoro come uffici di collocamento, si erano in effetti sviluppate come luogo fisico che conteneva tutte le organizzazioni proletarie di un determinato territorio. La scelta del responsabile era decisa a livello locale tramite concorso e rispecchiava l'orientamento politico del territorio (in Romagna i dirigenti erano repubblicani, ad Ancona, La Spezia, Carrara anarchici) e non comportava solo compiti rivendicativi sindacali ma aveva ancor più una funzione identitaria392

5. La componente femminile

Vogliamo a questo punto fare una riflessione sulle tre figure femminili: il loro impegno politico, l’assunzione di responsabilità nel partito e nelle organizzazioni sindacali e economiche, già per il solo fatto di operare in un contesto che non favoriva l’inserimento delle donne in politica sia per l’organizzazione famigliare che per l’etica e la morale del tempo, giustifica ampiamente la trattazione.

“In queste figure di militanti predomina una cultura del “fare”, della concretezza…(…)…viene posto in primo piano il comunicare, il trasmettere. Molte di loro sono buone oratrici più che teoriche”393 Colpisce particolarmente la situazione di una di loro, la Giudice, madre di sette figli: ci si può

392 Si veda la suggestiva descrizione di Angelo Tasca, in “Nascita e avvento del fascismo” ed. del 1950 (il brano non è stato ripubblicato nelle edizioni successive): “Nella Camera del lavoro e nella Casa del popolo in cui quasi sempre aveva la sua sede,i lavoratori italiani vedevano assai più che un semplice ufficio di difesa dei loro interessi immediati. Tutta o quasi la loro vita vi affluiva e vi si concentrava: là si passava la domenica, là si acquistava nello spaccio cooperativo per non portare il denaro ai “borghesi”, là si correva alla prima notizia che turbava o esaltava gli animi, come nel Medioevo al Palazzo del Comune o alla Cattedrale. Si creava così, nel mondo ostile e contro di esso, una specie di “corpus separatum” che a poco a poco avrebbe dovuto includere il restante territorio dov’erano posti i capitali della speranza, i presentimenti di un nuovo ordine sociale che a poco a poco si accrescevano, si precisavano”

393 L. Motti, Rita Majerotti. Il romanzo di una maestra, Roma, 1995

immaginare quanto la dedizione alla “causa” pesasse su di lei più che sui compagni di sesso maschile.

Un altro aspetto che colpisce è la percentuale di donne politicamente e socialmente impegnate che in questo “campione” abbiamo trovato: ben un terzo, molto più alta della media italiana di allora (e anche di oggi).

La possibilità di portare a termine gli studi ed acquisire il diploma di maestra permette loro di rendersi “indipendenti” dal punto di vista economico e di entrare in contatto con il mondo della politica, del sindacato, della cultura, dell’editoria. Fondano riviste, pubblicano articoli, tengono rubriche con i lettori. Partecipano a convegni in qualità di oratori e la loro mobilità sul territorio nazionale, tenuto conto dell’epoca, è elevata.

E’ inoltre opportuno rilevare quanta importanza queste donne abbiano dedicato all’educazione politica, intesa come capacità di comprensione di fenomeni complessi, in un’epoca in cui l’alfabetizzazione delle masse era ancora lontana e i destinatari delle loro “lezioni politiche” erano persone semplici che dovevano ricevere un messaggio chiaro.

Non dobbiamo dimenticare il loro impegno sociale: anticipatrici di uno “stato sociale” costruito dal basso coglievano le essenziali necessità del popolo. Le privazioni, lo sfruttamento e la mancanza di una tutela sul lavoro erano argomenti che venivano trattati nelle assemblee e nei comizi. E come non riflettere sul loro pensiero “al femminile”; la loro particolare attenzione nei confronti delle donne e delle loro problematiche, il lavoro, la famiglia, i figli, e l’impegno “affettivo” della perdita di mariti e figli in guerra.

6. Conclusione

Per concludere, la generazione del 1875-'95 si politicizza nel pieno della modernizzazione economica e sociale del paese, influenzata dalla critica al sistema politico liberale proveniente da varie fonti (Salvemini, i seguaci italiani del sindacalismo rivoluzionario di Sorel…) e ciò differenzia nettamente questa generazione da quella precedente, di matrice positivista oppure giunta al socialismo per afflato evangelico e umanitario. Questa generazione394 partita contestando il gradualismo riformista e il sistema politico giolittiano anche quando l'ambiente di provenienza (il riformismo reggiano nel caso di Fortichiari, il progressismo evoluzionista in altri) avrebbe dovuto indirizzarli altrimenti, dalla grande guerra, che rappresentò per tutti un momento cruciale di svolta, è spinta con decisa accelerazione verso posizioni più conseguentemente rivoluzionarie, cui si sarebbe di lì a poco aggiunto il mito di Lenin e la parola d’ordine di “fare come in Russia”.

L’avvento del fascismo determina con tempi e modalità differenti altri percorsi politici e di vita, non sempre rettilinei: in alcuni il disimpegno, in altri il fiancheggiamento al regime quando sembrava che non ci fossero più alternative, in altri ancora la fedeltà alle proprie idee nonostante le difficoltà.

Solo alcuni cenni per concludere sulla storia di questa corrente: il troncone di partito “massimalista” che resta dopo le scissioni ed espulsioni intervenute dal 1921 al 1924 (dei comunisti, dei riformisti, dei “terzini”) al momento della soppressione delle libertà statutarie, nel 1926, porta la direzione in Francia, dove vivevano numerosi lavoratori simpatizzanti già stabilitisi sia per lavoro sia per sfuggire alle persecuzioni fasciste, raggruppati in sezioni e federazioni regionali.

Una nuova scissione interviene di lì a poco: alla fusione con i riformisti del PSULI (al Congresso di Marsiglia del 1930) voluta da Nenni e dai più noti esponenti dell’emigrazione non partecipa un

394 R.Wohl, La generazione del 1914, Milano, 1984

nucleo, di cui l’esponente più noto è Angelica Balabanoff, composto per lo più di militanti operai.395 Questo residuo partito, pur ridotto a piccole cifre (secondo un’informativa al capo della polizia italiana del novembre 1934 gli iscritti effettivi sarebbero 684 di cui 60 a Parigi396) prosegue l’ attività (6 congressi dal 1928 al 1937) fino alla guerra che ne segna la fine definitiva.

Nel secondo dopoguerra, anche se nel movimento operaio italiano l’ “animus” massimalista persiste, il termine stesso è screditato e usato solo in contesti negativi.

Una riedizione di massimalismo socialista può essere considerato l’ esperienza del PSIUP (1963-72), nato dal confluire, all’interno e all’esterno del PSI, di varie tendenze (operista, luxemburghiana) e forti personalità (Lelio Basso, Vittorio Foa, Emilio Lussu).

Ma questa è un’altra generazione e un’altra storia.

395 S.Sozzi, Il PSI massimalista ed Elmo Simoncini”, in “Antifascisti romagnoli in esilio”, Firenze, 1983, pag.256

396 Ibid.