GIORNO DEL SIGNORE, SIGNORE DEI GIORNI TEOLOGIA...

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1 P. JESÚS CASTELLANO CERVERA OCD GIORNO DEL SIGNORE, SIGNORE DEI GIORNI TEOLOGIA DELLA DOMENICA Introduzione In un sermone del secolo V Eusebio, Vescovo di Alessandria, un personaggio tuttavia leggendario, sollecitato dal discepolo Alessandro, così canta le lodi della Domenica: "Il giorno santo del Signore, è quindi ricordo del Signore: proprio per questo fu chiamato giorno del Signore, perché egli è il signore degli altri giorni. Infatti, prima della passione del Signore non era chiamato giorno del Signore, ma primo giorno. In questo giorno il Signore ha dato inizio alla risurrezione, ovvero alla creazione del mondo e nello stesso giorno ha fatto dono al mondo delle primizie della resurrezione; in questo giorno, come dicemmo, volle che si celebrassero i sacri ministri. Tale giorno è per noi origine di ogni benedizione, inizio della creazione del mondo, inizio delle resurrezione, inizio della settimana. Questo giorno, con i suoi tre inizi, fa allusione al principio della Santissima Trinità". 1 Questo bel testo riassume bene la dottrina tradizionale dei primi quattro secoli della Chiesa, ma è collocato in un contesto inquietante. Ai tempi di Eusebio, la domenica nonostante la sua bellezza e la sua importanza non era vissuta dai cristiani con l'entusiasmo che forse pensiamo. Questo sermone infatti parla di fannulloni e di litigiosi che rifiutano di andare in Chiesa, di chi adduce come giustificazione la stanchezza e l'indisposizione, di coloro che sono pronti ad andare a ballare e a far festa invece di andare in chiesa. Ad Eusebio non resta che fare le lodi della realtà soprannaturale che i cristiani trovano nella Chiesa di Dio in questo giorno santo e benedetto: "Cosa vedono coloro che vanno in Chiesa? Te lo dico io: il Signore Cristo che giace sulla sacra mensa, il canto dei serafini, il "trisagion" che viene intonato, la presenza e l'intervento dello Spirito Santo, il profeta e re Davide la cui voce risuona nei salmi, il benedetto apostolo Paolo che fa riecheggiare la sua dottrina nelle orecchie di tutti, l'inno degli angeli, gli insegnamenti del Signore, l'ammaestramento, l'esortazione dei santi vescovi e presbiteri, tutte cose spirituali, tutte cose celesti, che ci fanno partecipi della salvezza e del regno di Dio". 2 A distanza di sedici secoli, all'inizio del terzo millennio, noi ci troviamo in circostanze non molto diverse di quelle di cui parla Eusebio. Da una parte una bella teologia e spiritualità della domenica, dall'altra una sempre crescente disaffezione per il giorno del Signore. E davanti a questo fenomeno, la Chiesa non può semplicemente invocare il precetto domenicale - precetto che d'altronde interpreta uno dei comandamenti della legge del Signore e mette in luce il nostro ineludibile dovere verso Dio Creatore, verso Cristo Redentore e Signore del 1 Cfr. il testo greco e latino in W. RORDORF, Sabato e Domenica nella Chiesa antica, SEI, Torino, 1979, p. 210-211. Ci riferiamo a questa pubblicazione che contiene la migliore antologia di testi patristici sulla Domenica e sul sabato.

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1P. JESÚS CASTELLANO CERVERA OCD

GIORNO DEL SIGNORE, SIGNORE DEI GIORNI

TEOLOGIA DELLA DOMENICA

Introduzione In un sermone del secolo V Eusebio, Vescovo di Alessandria, un personaggio tuttavia

leggendario, sollecitato dal discepolo Alessandro, così canta le lodi della Domenica: "Il giorno santo del Signore, è quindi ricordo del Signore: proprio per questo fu chiamato giorno del Signore, perché egli è il signore degli altri giorni. Infatti, prima della passione del Signore non era chiamato giorno del Signore, ma primo giorno. In questo giorno il Signore ha dato inizio alla risurrezione, ovvero alla creazione del mondo e nello stesso giorno ha fatto dono al mondo delle primizie della resurrezione; in questo giorno, come dicemmo, volle che si celebrassero i sacri ministri. Tale giorno è per noi origine di ogni benedizione, inizio della creazione del mondo, inizio delle resurrezione, inizio della settimana. Questo giorno, con i suoi tre inizi, fa allusione al principio della Santissima Trinità".1

Questo bel testo riassume bene la dottrina tradizionale dei primi quattro secoli della Chiesa, ma è collocato in un contesto inquietante. Ai tempi di Eusebio, la domenica nonostante la sua bellezza e la sua importanza non era vissuta dai cristiani con l'entusiasmo che forse pensiamo. Questo sermone infatti parla di fannulloni e di litigiosi che rifiutano di andare in Chiesa, di chi adduce come giustificazione la stanchezza e l'indisposizione, di coloro che sono pronti ad andare a ballare e a far festa invece di andare in chiesa. Ad Eusebio non resta che fare le lodi della realtà soprannaturale che i cristiani trovano nella Chiesa di Dio in questo giorno santo e benedetto: "Cosa vedono coloro che vanno in Chiesa? Te lo dico io: il Signore Cristo che giace sulla sacra mensa, il canto dei serafini, il "trisagion" che viene intonato, la presenza e l'intervento dello Spirito Santo, il profeta e re Davide la cui voce risuona nei salmi, il benedetto apostolo Paolo che fa riecheggiare la sua dottrina nelle orecchie di tutti, l'inno degli angeli, gli insegnamenti del Signore, l'ammaestramento, l'esortazione dei santi vescovi e presbiteri, tutte cose spirituali, tutte cose celesti, che ci fanno partecipi della salvezza e del regno di Dio".2

A distanza di sedici secoli, all'inizio del terzo millennio, noi ci troviamo in circostanze non molto diverse di quelle di cui parla Eusebio. Da una parte una bella teologia e spiritualità della domenica, dall'altra una sempre crescente disaffezione per il giorno del Signore. E davanti a questo fenomeno, la Chiesa non può semplicemente invocare il precetto domenicale - precetto che d'altronde interpreta uno dei comandamenti della legge del Signore e mette in luce il nostro ineludibile dovere verso Dio Creatore, verso Cristo Redentore e Signore del

1 Cfr. il testo greco e latino in W. RORDORF, Sabato e Domenica nella Chiesa antica,

SEI, Torino, 1979, p. 210-211. Ci riferiamo a questa pubblicazione che contiene la migliore antologia di testi patristici sulla Domenica e sul sabato.

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2tempo e della storia, verso lo Spirito Santificatore - ma deve "opportune ed importune" mettere in luce la bellezza della domenica, la preziosità dell'esperienza della fede ed incitare i cristiani a vivere questo giorno in modo positivo.

Deve quindi la Chiesa presentare la Domenica più come un dono di Dio all'uomo che come un dono che l'uomo fa a Dio. È questa la logica della nuova evangelizzazione.

In realtà, secondo la migliore tradizione ebraica del giorno santo del sabato, anche la domenica, direi, specialmente la domenica come compimento del sabato, è il giorno che il Signore ha fatto per noi. Un dono squisito per il riposo e per la festa, per la gioia dell'incontro e per la speranza della festa escatologica.

Ma è altresì un dono che in reciprocità filiale l'uomo offre al suo Dio, Padre del Signore Risorto e sorgente dello Spirito, entrando in comunione con Lui, affermando la sua sovranità e la sua paternità. É un vero e proprio momento eucaristico, di riconoscenza e di gratitudine. Ma è più quello che l'uomo riceve che quello che dona a Dio. Dio è sempre più munifico e generoso.

All'inizio del millennio s'impone una rivisitazione della teologia, della spiritualità e della pastorale della Domenica. In tutto il mondo, mondo globalizzato e secolarizzato, la Chiesa pone un segno eloquente nel tempo e nello spazio della nostra civiltà contemporanea. È il segno della presenza di Dio, della risurrezione del Signore, evento che da senso definitivo alla storia. Per questo la celebrazione settimanale della Pasqua evangelizza anche il nostro mondo, quando gli altri se ne accorgono che i cristiani celebrano, come diceva uno scrittore antico, dappertutto nel mondo il "loro giorno": " Noi tutti in qualunque regione ci troviamo, per il solo nome di Cristo siamo chiamati cristiani e ci raduniamo il primo giorno della settimana".3

Senza la Domenica il tempo non ha senso, è il rincorrersi di giorni di lavoro o di riposo, ma senza uno scopo, una finalità, un senso. Con la Domenica il tempo dice riferimento a Cristo e offre a tutti la speranza dell'eterno riposo e della festa senza fine.

Essere cristiani e testimoniare insieme la fede nella risurrezione del Signore. Ecco il compito della Chiesa anche oggi.

Infatti l'essenza della celebrazione del Signore è porre un segno eloquente della confessione di fede nella risurrezione del Signore che si rende presente nell'assemblea.

È una celebrazione riconoscente e gioiosa impegnata e comunitaria della comunione dei battezzati nella parola e nell'Eucaristia. È come un flusso vitale di sistole e di diastole della comunità cristiana che si raduna e si disperde, Si raduna per essere in comunione con Cristo, si disperde per portarlo con la quotidianità a tutto il mondo. Per questo appartiene alla celebrazione della Domenica essere il sacramento temporale della pasqua, momento di comunione e slancio di missione. In modo che questo radunarsi nel Cenacolo della Domenica - Cenacolo della Risurrezione e della Pentecoste - sia davvero momento di grazia che rinnova la comunità del popolo di Dio, presente capillarmente in tutti gli angoli della terra, dove rende testimonianza della presenza del Signore Risorto.

2 Ib., p. 212-215. 3 Bardesane, citato in Ib., p. 163.

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3 Forse in questo dobbiamo imparare molto dalle giovani Chiese dell'Asia, dell'America

Latina, dell'Africa, dove davvero il giorno del Signore e la conseguente celebrazione gioiosa dell'Eucaristia è centro vivo dell'evangelizzazione, festa della gente, momento di aggregazione, punto di arrivo e di partenza della missione.

Con questi stimoli iniziali ci permettiamo di parlare del giorno del Signore, ricordando le cose più importanti della teologia della Domenica e aprendo un varco di riflessione sull'urgenza di rinnovare la nostra celebrazione, a partire da una concreta valutazione della preziosità del giorno del Signore.

1. Un giorno fatto dal Signore Il "dossier" biblico che fonda la nascita della Domenica è assai ricco, anche se gli

elementi sono essenziali e primitivi, ma ci dicono come la Domenica è stata capita come un giorno fatto dal Signore, un giorno da lui scelto e da lui segnato per la Chiesa. L'importanza e la ricchezza di elementi si evince chiaramente da alcuni dati che risalgono alla tradizione apostolica primitiva e fanno del giorno del Signore un memoriale della sua Risurrezione.

Certamemte nella tradizione della Domenica e nel passaggio dall'Antico al nuovo Israele, non si può dimenticare la bellezza del giorno del sabato, giorno che ancora oggi ha una preziosa tradizione mistica, ma come per altre realtà della tradizione ebraica dobbiamo dire che la domenica è compimento del sabato, e che la più antica tradizione oscilla fra l'accentuazione del cambiamento e la continuità dinamica del giorno del Signore.

Ma è stato lo stesso Signore Gesù a cambiare il calendario. È risorto il primo giorno dopo il sabato, il primo giorno della settimana ( Mc 16,1-8; Mt 28, 1-8; Lc 24, 1-12; Gv 20, 1-3). È apparso alle donne e ai discepoli ( Lc 24, 28-43), è tornato al Cenacolo e si è manifestato pienamente ai discepoli dubbiosi (Gv 20,19-20). Otto giorni dopo, Gesù, fedele a questa nuovo scandire il tempo a partire dalla sua risurrezione, appare ancora ai discepoli, presente questa volta Tommaso (Gv 20,24-26).

Quel giorno santo e benedetto si riempie fino a traboccare della presenza del Signore. Gli Angeli annunziano la risurrezione, egli si fa presente ed appare ai discepoli. Dalla mattina alla sera, Gesù Risorto riempie con la sua presenza viva quel giorno e lo segna come giorno suo. Appare e scompare, annunzia la pace, spiega le Scritture, spezza il pane ai discepoli di Emmaus, condivide la mensa con i discepoli radunati nel Cenacolo, affinché siano consapevole che egli non e fantasma ma è vivo per sempre.

Secondo Giovanni (20, 20-22) è anche giorno dell'effusione dello Spirito Santo, una Pentecoste anticipata... Ma gli Atti degli apostoli sottolineano che anche lo Spirito, docile a rivelare Gesù, si è manifestato nella forza delle lingue di fuoco in un primo giorno della settimana, proprio quando si compiono i giorni della Pentecoste (At 2,1-2).

In questo modo la Domenica sarà sempre giorno del Signore e del suo Spirito, memoriale della Pasqua e della Pentecoste, giorno del Signore e giorno della Chiesa.

Anche se ci sono molte discussioni sul modo con cui la Chiesa apostolica ha compiuto decisamente il passo dal sabato alla Domenica, occorre sottolineare che forse una via di mezzo è stata escogitata, quella di celebrare una veglia fra il pomeriggio del giorno di sabato,

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4ormai ingresso nel primo giorno della settimana, per celebrare all'alba la risurrezione del Signore con una celebrazione tipica della Chiesa: la frazione del pane. È quanto si ricava del celebre testo degli Atti 20, 6-11, che parla della presenza a Troade di Paolo, in una lunga veglia di preghiera e di predicazione che si conclude all'alba con lo spezzare del pane eucaristico (At 20, 6-11).

In queste assemblee del primo giorno della settimana vi era la coscienza di un radunarsi di tutti i discepoli di Gesù in alla sua presenza, ma anche del ricordarsi gli uni degli altri nelle necessità proprie necessità. Per questo Paolo suggerisce di fare una colletta in favore dei fratelli di Gerusalemme il primo giorno della settimana, durante l'assemblea liturgica. In questo modo anche la colletta della carità, tipica della celebrazione del sabato, passa ad essere anche un elemento caratteristico della eucaristia cristiana (Cf, 1 Cor 16., 1-2).

Il nome però di Domenica dal latino "dominica dies", cioè "kyriakè emera" in greco, giorno del Signore, emerge per la prima volta nel libro dell'Apocalisse (1,10). Il veggente di Patmos, rapito in estasi, in questo giorno del Signore, riceve la rivelazione e sta davanti al suo Signore, il testimone fedele (Ap 1, 10 e ss.).

Così la Parola di Dio illustra il senso è fondamento della nostra Domenica. 2. Il grande "dossier" patristico Rivisitare brevemente il grande Dossier della domenica nei primi IV secoli della

Chiesa è come mettere le basi della teologia e della spiritualità del giorno del Signore come è stato vissuto dalle prime generazioni.

È davvero impressionate la quantità di testi significativi che ci offre la tradizione primitiva della Chiesa e che ci fanno intuire con quale fervore e con quale carica spirituale i discepoli di Gesù celebrano il giorno del loro Signore, anche in un giorno che era sempre il primo della settimana, un giorno non festivo ma lavorativo, ma reso festivo e gioioso dalla memoria del Signore e della sua Risurrezione.

Già la Didachè ci parla della celebrazione dell'Eucaristia nel giorno domenicale del Signore.4

Ignazio di Antiochia, con una punta di polemica, rivendica la novità di coloro che non vivono secondo il sabato, ma secondo la logica della domenica.5

Alla metà del secolo secondo abbiamo due testimonianze convergenti sull'osservanza del giorno del Signore. Il primo risale all'informazione che Plinio il giovane presenta all'imperatore Traiano, dove un pò confusamente, da quanto egli ha potuto orecchiare negli interrogatori dei cristiani arrestati, parla del giorno dell'assemblea dei cristiani in termini piuttosto positivi.6

4 Didachè, XIV; Ib., p. 134-135. 5 Ad Magn. 9,1; Ib., p. 134-135. 6 Epist., X.96,7; Ib., pp. 136-137.

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5 L'altro testo, di fonte attendibilissima dalla penna di un laico testimone di Cristo e

della Chiesa, è quello di Giustino che nella sua Apologia I all'imperatore Tito, presenta con parole che possano essere comprensibili ad un romano, il senso della novità di questa festa dei cristiani. La sua testimonianza è assai nota. Ma riassumiamo i contenuti.

Giustino, filoso originario della Palestina, di Flavia Neapolis, dopo aver spiegato le dottrine del cristianesimo, non tace circa i misteri che i cristiani celebrano, ma ne parla esplicitamente perché non vi sia il sospetto che i cristiano occultano le loro celebrazioni come se fossero cose sconveniente, come andavano divulgando i detrattori.

Della domenica, che egli per farsi capire chiama "giorno del sole", alla romana, spiega l'ordine della celebrazione eucaristica in una assemblea dove convergono dalle città e dalle compagne. Abbiamo così una descrizione della messa, come ormai veniva celebrata dappertutto nel giorno del Signore, con la liturgia della parola, la preghiera dei fedeli, la presentazione dei doni, la preghiera eucaristica che conclude con la grande acclamazione dell'Amen, la comunione anche agli assenti, per mezzo dei diaconi, la colletta per i bisognosi.

Tenta anche Giustino di offrire una teologia del giorno del sole ricordando il primo giorno della creazione e il giorno della risurrezione del Signore.7

Prassi e dottrina, teologia e spiritualità. La domenica ormai si è affermata nella vita dei discepoli di Gesù in tutte le assemblee che Giustino conosce attraverso i suoi viaggi da Palestina e a Roma.

Tertulliano mette in luce la novità della Domenica rispetto ai culti pagani e giudaici.8 La Didascalia degli Apostoli parla fra l'altro del riposo dalle cause giudiziarie, della gioia che deve caratterizzare la festa, perché "chi è triste nella Domenica commette peccato". Ma mette in luce già la necessità di esortare i fedeli a partecipare nella assemblea eucaristica, dove Cristo, secondo la sua promessa, viene ad essere con noi perché entriamo in comunione con Lui e Lui con noi.9

La Tradizione apostolica di Ippolito presenta la domenica come giorno propizio per l'ordinazione di un Vescovo, ma anche come giorno dell'assemblea eucaristica dove il Vescovo da la comunione a tutto il popolo.10

Nella grande tradizione dei primi secoli brilla con una luce propria la testimonianza di quelli che a ragione sono chiamati i martiri della domenica. Si tratta dei martiri di Abitene in Africa, una comunità cristiana presieduta dal presbitero Saturnino. Siamo all'inizio del secolo IV durante la persecuzione di Diocleziano. Contro l'ordine dell'Imperatore, questi coraggiosi cristiani sfidano le leggi dell'impero e si radunano nella casa del laico Emerito per la celebrazione dell'Eucaristia. Irrompono i soldati nella casa e sorprendono i cristiani che hanno celebrato l'Eucaristia. Chiedono i libri sacri, ma per tutta risposta i cristiani dicono che le scritture le custodiscono nei loro cuori. Il presbitero Saturnino senza mezzi termini afferma. "Abbiamo celebrato l'Eucaristia senza preoccuparci delle leggi dell'Imperatore" e

7 Apol., I, cap. 67, 3-7; Ib., pp. 136-141. 8 Cfr. alcuni testi di Tertulliano in Ib., pp. 152-159. 9 Cfr. Ib., pp. 166-173. 10 Trad. Apost., nn. 2.4; 22; Ib. pp. 158-163.

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6all'incalzante domanda del proconsole che vuole sapere la ragione risponde dicendo: "Perché la cena del Signore non può essere tralasciata".

Con questa santa insolenza nelle risposte prosegue l'interrogatorio e seguono le risposte dei cristiani. Emerito, il padrone della casa dove sono stati celebrati i misteri, viene accusato di aver ammesso nella sua casa questi cristiani per una celebrazione cultuale proibita dall'Imperatore. All'incalzante parola del proconsole che accusa Emerito di non aver impedito l'ingresso per la celebrazione, il santo martire laico dice con parole misurate e concettose: "Non avrei potuto, poiché noi non possiamo stare senza la cena del Signore". Parole che in un latino essenziale e stringato suonano così: " Sine Dominico non possumus". Che è come dire non possiamo fare a meno della cena del Signore, non possiamo vivere senza l'Eucaristia. Dove "dominicum" è il "dominicum convivium", banchetto del Signore. Così i martiri della Domenica hanno testimoniato la fedeltà al Signore e hanno bevuto il calice del martirio, come testimoni della bellezza della domenica. Un giorno da non tralasciare; una eucaristia da non omettere. Perché i cristiani non possono vivere senza l'Eucaristia. 11

Verso la metà del secolo V, la Domenica cristiana ha già la sua struttura ecclesiale ben determinata. La cristianità ha fatto del Signore anche il giorno festivo settimanale. Ma è Leone Magno colui che in un bel discorso sintetizza i valori teologici della Domenica con queste parole: "Il giorno della Risurrezione inizia nella stessa sera del sabato, un giorno consacrato con tanti misteri al punto di poter affermare che le cose più grandi operate dal Signore sono state realizzate in questo giorno. In questo giorno infatti diede inizio al mondo. In questo giorno, per la resurrezione del Signore, si raggiunse la vittoria sulla morte e ci fu comunicato il principio della vita nuova. In questo giorno gli apostoli ricevono dal Signore la tromba per far risuonare il Vangelo fra tutte le genti e portar loro il sacramento della rigenerazione. In questo stesso giorno, come ricorda Giovanni evangelista, Gesù entrò dove erano i discepoli riuniti a porte chiude e alitò su di loro e disse: "Ricevete lo Spirito Santo..." In questo giorno venne sopra gli apostoli lo Spirito che il Signore stesso aveva promesso. In questo modo, come seguendo una regola celeste, ci è stato suggerito e ci e stato trasmesso che dobbiamo celebrare il mistero delle benedizioni sacerdotali nello stesso giorno in cui ci sono stati elargiti tutti i doni della grazia".12

Raccogliendo in sintesi i dati liturgico-pastorali del dossier patristico dei primi secoli si può affermare che la domenica è caratterizzata dal raduno dell'assemblea cristiana e dalla sinassi eucaristica con la liturgia della parola e la frazione del pane; diventa sempre un giorno nel quale i cristiani si ritagliano qualche momento di libertà per frequentare l'assemblea cristiana, prima ancora che diventi giorno festivo, prescritto per tutto l'impero. Viene sottolineato il triplice inizio in questo primo giorno: la creazione, la risurrezione, la Pentecoste o nascita della Chiesa. È giorno della riconciliazione sacramentale, ma anche di quella effettiva comunione di incontro e di perdono fra i fratelli. Giorno dedicato alle ordinazioni ministeriali della Chiesa. Giorno in fine di gioia, dove non si digiuna e si prega in piedi, come segno della risurrezione.

11 Cfr. Ib., pp. 176-177. 12 Lettera Dioscuro di Alessandria, 9, 1: PL 54,625.

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7 3. Una rivisitazione per oggi: La lettera di Giovanni Paolo II Dies Domini

(31.05.1998) Non possiamo qui tracciare la storia della Domenica, diversa in Oriente e in

Occidente, con i propri elementi liturgici celebrativi. Ci sia permesso ricordare che uno dei sogni del primo rinnovamento liturgico fu

quello di ridonare alla celebrazione della domenica tutta la ricchezza della tradizione antica. Fu questa infatti anche la proposta del Vaticano II nella S.C. n 106; direttive che la riforma liturgica ha eseguito in modo egregio.

Tuttavia i pastori della Chiesa, specialmente a partire dagli anni settanta, con la crescente secolarizzazione dell'epoca postmoderna, hanno sentito il dovere di richiamare l'attenzione sul giorno del Signore.

Molte sono le lettere di vescovi e di conferenze episcopali riguardanti questo tema. È conosciuta da noi in Italia la Nota pastorale della CEI del 15 luglio 1984, Il giorno del Signore. Nota bella nella sua teologia e nei suoi orientamenti.

Ma l'incalzante secolarizzazione ha portato anche Giovanni Paolo II, nella prospettiva della preparazione del Giubileo del 2000, a fare un intervento alto e risolutivo sulla questione, con la bella Lettera apostolica Dies Domini del 31 maggio 1998; lettera che è la migliore e la più autorevole sintesi teologico, pastorale e spirituale sulla Domenica, per i suoi contenuti, per il suo tono chiaro e incoraggiante, propositivo e positivo, per alcuni approfondimenti, come quelli che riguardano il rapporto fra sabato e domenica, così importanti per il dialogo con il popolo della prima alleanza.

Una visione d'insieme di questa lettera ci permette di cogliere nei cinque capitoli della lettera le grandi linee teologico-operative, preceduti da un Introduzione e coronati da un bella Conclusione.

Nell'introduzione, infatti, il Papa offre i dati della situazione sociologica in cui i cristiani oggi vedono sommersa da Domenica, fra la fine settimana e lo svago, con una forte perdita del senso del sacro, per questo ritiene importante rimotivare tutta la Chiesa affermando che "è necessario ricuperare le motivazioni dottrinali profonde" (n. 6), come effettivamente fa lungo tutto il documento offrendo spunti di dottrina e di spiritualità ma anche precise norme pastorali.

Il primo capitolo Dies Domini punta l'attenzione sulla celebrazione del primo giorno della creazione e della nuova creazione (nn. 8-18). Il testo contiene una delicata descrizione del sabato e della spiritualità ebraica del sabato. Anche il ricupero del senso del primo giorno della creazione è importante nel nostro mondo che ha perso la coscienza delle dipendenza di tutto, ieri ed oggi, dalla forza, sapienza e amore del Dio Creatore. Anche questo aspetto ecologico non è alieno alla teologia della Domenica, come abbiamo visto nell'epoca patristica. Non dimentichiamo che gli inni liturgici tradizionali della domenica fanno riferimento al primo giorno della creazione.

Il secondo capitolo molto appropriatamente unisce, come nella migliore tradizione patristica, il giorno del Signore Risorto e del dono dello Spirito (nn. 19-30). Pasqua e

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8Pentecoste, il Signore e la sua Chiesa, la luce del Risorto e il fuoco dello Spirito Santo. La presenza di Cristo ma anche l'effusione dello Spirito che rinnova la Chiesa. Giorno quindi della fede confessata, celebrata e vissuta, giorno irrinunciabile per i cristiani, che non possono assolutamente cedere ad una tendenza ad incrinare il senso e valore della Domenica scambiando e svendendo il suo senso genuino con altri valori mondani.

Il terzo capitolo è dedicato al "Dies Ecclesiae", con l'assemblea eucaristica al cuore della domenica (nn. 31-54). Siamo nel centro stesso della teologia e della pastorale della Lettera, anche per l'estensione stessa del capitolo e i temi che tratta: L'eucaristia domenicale, la mensa della parola e del pane della vita, l'incontro fraterno nel banchetto dell'unità, la gioia della celebrazione e l'impegno della missione. Infatti, la santa assemblea dei fedeli radunata con la presenza del Risorto è sacramento della sua irradiazione nel mondo a partire dall'esperienza di quel "radunare" operato dal Risorto e che si esprime nella frazione della parola della vita e del pane della vita, nella preghiera e nella comunione fraterna. Giorno di speranza e di impegno, di comunione e di missione, pegno e impegno per il popolo pellegrino nel mondo.

Il quarto capitolo intitolato "Dies hominis" è dedicato alla domenica come giorno di gioia, di riposo e di solidarietà. Tratta con sobrietà e sensibilità moderna anche questo aspetto, che molti vogliono rivendicare; il giusto e meritato riposo alla fine della settimana lavorativa ( nn. 55-73). Vengono in luce, come dono di Dio, il senso del riposo come gioia piena in Cristo, la teologia dello shabatt ebraico, come giorno santo di riposo, ma anche il dovere della giusta solidarietà e dei gesti della carità, le opere nuove della Domenica.

Finalmente il Papa dedica il quinto capitolo alla Domenica come "Dies dierum" festa primordiale e punto di riferimento per il tempo che scorre verso il futuro (nn. 74-80). Lo scandire del ritmo del tempo di Domenica in Domenica, di Pasqua in Pasqua, mette il luce il dinamismo dell'anno liturgico con le sue Domeniche che celebrano tutto il mistero del Signore fino alla speranza definitiva del ritorno del Signore.

Nella Conclusione il Papa ribadisce l'importanza della Domenica ed accenna a due tematiche importanti: una è la presenza di Maria nella Domenica in diversi momenti della sua celebrazione, come Madre del Risorto che accompagna la presenza del suo Figlio Signore. L'altra tematica è quella della continuità e perennità della Domenica. Passano gli anni santi e giubilari, ma la domenica no passa. Tramontano i secoli e le persone, la domenica rimane e con questa celebrazione la presenza del Signore e la speranza della sua venuta.

3. La teologia della domenica: nomi e contenuti Sulla scia della lettera del Papa, che raccoglie efficacemente quanto di meglio è stato

scritto su questo argomento in precedenza, possiamo illustrare alcuni elementi qualificanti della teologia della domenica. Lo vogliamo fare con una semplicità quasi catechetica, ricordando com anche il Catechismo della Chiesa cattolica, come altri Catechismi nazionali,

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9mettono in luce il suo valore teologico, dal quale deriva anche il valore spirituale e l'impegno pastorale.13

La teologia dei nomi e del loro significato Iniziamo dalla carica teologico-dottrinale dei diversi nomi dati alla Domenica. Giorno primo viene chiamata la Domenica, con un senso cronologico che allude al

giorno primo dopo il sabato, giorno della Risurrezione, ma anche giorno che evoca le primizie della creazione e quindi del Creatore, Signore della vita e della storia. È ovviamente a quel primo giorno della storia umana che si riferisce la Domenica, ma segnata ormai da un'altro primo giorno quello della presenza dell'umano e della creazione nella gloria del Figlio con la risurrezione dai morti.

Giorno quindi che evoca anche, con la testimonianza dei cristiani e gli elementi della liturgia, non solo il terzo comandamento ma anche il primo. Dio al primo posto. La Domenica è il suo giorno.

Giorno ottavo viene chiamato pure nella lettera a Barnaba e nella tradizione patristica, come un giorno aggiunto ai sette giorni della settimana, giorno escatologico che segna la pienezza.14 Per questo la domenica ha anche una valenza di futuro; essa pone un segno forte di speranza in mezzo alla caducità di questo mondo, all'effimero offerto in abbondanza e consumato con rapidità. I Cristiani annunziano il futuro di Cristo con la celebrazione del giorno del Signore, perché il Signore è entrato ormai nel suo e nostro giorno definitivo. Un riposo ormai iniziato in Cristo e promesso a noi, non solo dello spirito ma anche del corpo.

Giorno del Signore, espressione originale dell'Apocalisse, che si può tradurre in diversi modi, non certamente come giorno escatologico della venuta del Signore alla fine dei tempi, "emera tou Kyriou" ma come giorno che appartiene al Signore, che porta il suo segno, ci dona la sua presenza, giorno signoriale che caratterizza la vita cristiana, con un rimando concreto al Signore della vita, del tempo e della storia.

Giorno della risurrezione è la bella espressione che hanno conservato i nostri fratelli orientali della tradizione greca e slava: anastasimòs emera, vosskreseniej. Forse per questo la loro liturgia settimanale è una vera e propria liturgia pasquale, con la presenza dell'icona della risurrezione, i tropari della risurrezione nell'ufficio divino della preghiera liturgica. Per un'ironia delle cose anche in tempi di ateismo sovietico il nome della Domenica in russo e nelle altre lingue slave dell'impero comunista continuava ad essere una confessione nella Risurrezione del Signore.

La liturgia delle ore, anche prima della Riforma del vaticano II, non ha cessato mai di essere una celebrazione pasquale, come già nel secolo IV erano le celebrazioni nel santo sepolcro di Gerusalemme, come ci narra la pellegrina Egeria. E oggi nelle comunità monastiche che celebrano la vigilia della Domenica con l'ufficio divino proclamano, secondo i testi indicati nel Libro della liturgia delle ore, un Vangelo della Risurrezione.

13 Catechismo della Chiesa cattolica, nn. 2174-2188. 14 Cfr. W. RORDOF, Sabato e Domenica, o.c., pp. 26-29

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10 Anche oggi annunziare all'uomo moderno, talvolta dolente, talvolta superbo e pieno di

sé, pur nella sua fragilità, ma senza speranza di un'altra vita, è realizzare il primo e più fondamentali annunzi del Kerigma che dona senso alla vita e alla storia. Il grido della veglia pasquale risuona così in ogni domenica: Cristo è veramente risorto, ed qui è con noi!

Finalmente, anche la dizione Giorno del sole che caratterizza il nome della domenica nell'area anglosassone, come nella lingua latina dell'impero, dies solis, rimanda alla fede della Chiesa che canta Cristo sole che si alza al mattino per rischiarare tutto; ma luce e sole che non tramonta nei cuori dei fedeli che lo contemplano anche nel pomeriggio della domenica come "luce gioiosa della santa gloria", e lo cantano a Compieta come "Gesù luce da luce, sole senza tramonto, tu rischiari le tenebre nella notte del mondo". È Gesù cantato come Luce che illumina le genti, con il cantico di Simeone.

I molti nomi della Domenica rimandano alla realtà della presenza e dell'azione del Signore nel suo giorno in favore della Chiesa e dell'umanità. Sono nomi che danno senso al celebrare dei cristiani e sono un piccolo sacramento-segno verbale della fede e della speranza anche per il nostro mondo secolarizzato.

La teologia dei contenuti Possiamo quindi ancora illustrare la teologia della Domenica a partire da quattro

elementi caratteristici che superano l'ordine delle idee teologiche per diventare elementi celebrativi e quindi comunicatori di grazia, ricchi di contenuti reali e simbolici, densi di impegnativi programmi di vita.

Sacramento settimanale della Pasqua (giorno del Signore). Certamente il fatto che ancora

oggi nella maggioranza dei paesi del mondo sia la Domenica a scandire il ritmo settimanale deve essere preso sul serio. Anche se altri valori tendono a soppiantare il carattere sacro, ma umano ed umanizzante e quindi divino-umano della Domenica, incombe sui cristiani l'impegno di decifrare, di tradurre, di spiegare con parole ed opere questo segno temporale.

Non è che viene da sé il senso della Domenica, soltanto per il ritmo primordiale dei sette giorni della creazione e non è perché oggi la settimana diventa breve con il fine settimana e tutte le sue problematiche e ambientazioni, specialmente per i giovani. Occorre porre un segno forte in questo mondo.

Noi vogliamo ricordare e lo ricordiamo di fatto con il nostro radunarci in assemblea quel evento che da senso alla storia - la risurrezione di Gesù -e che non va proclamato solo una volta all'anno - il giorno di Pasqua - ma va testimoniato e gridato al mondo anche in questo breve scandire del tempo che è la settimana, e certamente come primo giorno, quello che da l'impulso agli altri giorni della settimana, anche se tendiamo piuttosto a vedere la Domenica come l'ultimo dei giorni della settimana e non il primo.

I fedeli che frequentano l'assemblea liturgica, i monaci e le monache che cantano le lodi del Signore ed invitano ad unirsi alla loro preghiera che celebra ampiamente la lode ed il ringraziamento per il primo e l'ottavo giorno, sono segni eloquenti per il nostro mondo.

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11 E sono segni posti con fiducia, con speranza, con il desiderio di coinvolgere tutti, di

fare felici tutti, di dare speranza a tutti. Giorno dell'assemblea. Nel giorno della sua Risurrezione colui che doveva riunire i

figli dispersi ha iniziato per radunare le pecore del suo gregge, disperse, quando è stato colpito il loro pastore.

È l'assemblea del Risorto che, dopo lo scandalo della croce, si costituisce come segno della vittoria di Cristo anche sulla loro paura. Donne e discepoli sono raggiunti dalla voce degli Angeli, dal primo annunzio della risurrezione, dalla voce stessa e dalla parola efficace del Signore che annunzia: Shalom! Pace a voi!.

Questo raduno della Pasqua si realizza - secondo la tradizione cristiana primitiva - quando i fedeli si uniscono in assemblea, rendono vivo lo spazio mistico della presenza del Risorto, fanno che la Chiesa diventi questo spazio santo dove il Risorto che ormai è al di là e al di sopra del tempo e dello spazio, presenzializzi, renda presente se stesso nel suo Corpo, rendendo viva la parola di sapore pasquale del Vangelo di Matteo: "Dove due o più sono riuniti nel mio nome...sono io in mezzo a loro" (Mt 18,19-20).

La Chiesa corpo di Cristo rende presente il suo Capo. Non siamo riuniti attorno ad una parola, un evento, una festa, una gara. Siamo riuniti nel nome e alla presenza del Signore acclamato, confessato, invocato, accolto, annunziato.

Giorno della parola e della frazione del pane. Il Signore non si rende presente alla

Chiesa in maniera anonima, passiva, ma personalmente, chiamato ed invocato per nome, con i due segni dinamici della sua comunicazione nella Chiesa che già appaiono nelle apparizioni del Risorto e specialmente nella parabola dinamica delle apparizioni ai discepoli di Emmaus.

Cristo spiega le Scritture. Ed ecco la liturgia della parola, vera liturgia, vero dialogo fra cielo e terra, vera comunicazione e risposta del Padre per Cristo e nello Spirito.

Giorno della parola è la Domenica, sempre nella luce del Risorto che è esegeta, maestro, ermeneuta della parola dell'Antico e del Nuovo Testamento, ma anche dei fatti di oggi, della storia che scorre, della attualità della vita e della storia della gente - e non solo e non precipuamente della piccola e scelta storia fatta dagli uomini e scritta nei giornali. La Parola eterna illumina la parola storica e la Parola di Dio da senso alle parole degli uomini.

Parola per evangelizzare, per confortare, per insegnare, per formare discepoli del Risorto. Ma sempre a partire da Lui, Maestro della Chiesa, e sempre a partire della sua risurrezione, chiave ermeneutica di tutta la storia sacra, passata, presente e futura.

L'abbondante mensa della parola che la Chiesa ci propone nel rinnovato Lezionario Domenicale è uno strumento chiave della presente e futura evangelizzazione della Chiesa e del mondo.

Ma il Risorto di Emmaus invita a cenare con lui, Il Cristo si fa pane da mangiare e vino da bere. Offre la sua carne risorta ed il suo sangue pieno della vita immortale. L'incontro è ancora un banchetto con il Risorto, Per questo l'Eucaristia - memoriale della sua Pasqua di morte e di Risurrezione -sta al centro stesso della celebrazione della Domenica. Nessuna Domenica senza Eucaristia! è voce che giunge dai primi secoli cristiani.

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12 È Cristo stesso che ci invita a mangiare e a bere nel suo banchetto dove egli e il

padrone di casa e noi gli ospiti della sua tavola. Ê la concretezza di un partecipare pieno alla comunione con Cristo, sia pure attraverso il fragile segno del pane e del vino, per non fare della nostra vita una ideologia, ma una prassi, un'esperienza di incontro e di comunione. Con Lui e con i fratelli.

Giorno dello Spirito Santo della Pentecoste. Lo abbiamo sottolineato ben volentieri.

La Domenica evoca anche la Pentecoste, la discesa dello Spirito, l'invio per il mondo. Lo ricordava già nei primi secoli della Chiesa un autore conosciuto con il nome di Ambrosiaster il quale affermava:"La Pentecoste dunque, il cinquantesimo giorno dopo la Pasqua ha questo significato, come dopo la settimana il primo giorno è quello del Signore, in cui si è compiuto il mistero della Pasqua per l'acquisto della salvezza da parte dell'umanità...così il giorno di Pentecoste è anche il primo dopo sette settimane. Infatti la Pentecoste non ricorre mai in un'altro giorno che di domenica, affinché si riconosca che tutto ciò che riguarda la salvezza dell'uomo ha avuto inizio e compimento nel giorno del Signore".15

Lo Spirito raduna la Chiesa e rivela la presenza e l'azione di Cristo. Lo Spirito mette in evidenza la coralità della Chiesa, la varietà dei ministeri, fa

convergere tutti verso l'esperienza chiave della Chiesa comunione e missione; è dinamismo di sistole per radunare, di diastole per inviare; è Spirito che avvolge la parola e la preghiera, Spirito di santità e del culto autentico dei cristiani .

Come dalla Pentecoste nascono e si illuminano i diversi ministeri, vocazioni, carismi, così in piccolo ogni Pentecoste settimanale della Domenica, invita a ripartire sempre, con gioia, dal cenacolo della Pentecoste per il mondo intero.

La Domenica è essenziale per vivere, per educare, per dilatare lo spirito della comunione e della missione.

Conclusione Vorrei concludere con tre richiami fondamentali. Il primo cerca di ricordare che tutta la teologia della Domenica è lì a sollecitare un

atto di fede, un credere nel dono di Dio, nella meraviglia e nella bellezza del giorno che il Signore ha fatto per sé e per noi. Credere nella Domenica è celebrare il mistero di Dio e dell'uomo, far convergere il dono di Dio e l'evidente riconoscenza da parte nostra del suo dono e della sua grazia nella concretezza della grazia che è il giorno del Signore, giorno che egli ci dona come un regalo nuziale alla Chiesa Sposa, come del Shabbat dicono gli ebrei.

Qualificare la celebrazione vuol dire far diventare la teologia mistagogia, esperienza concreta e viva del mistero, mediante una programmazione ricca insieme e armonica della Domenica, ma dove i cristiani non devono essere più consumatori delle sue celebrazioni, ma protagonisti impegnati. Ciò suppone far la verifica settimanale di come funzionano nella ministerialità e nell'impegno le varie dimensioni e strutture della comunità ecclesiale.

15 Ibid., pp. 186-189.

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13 Finalmente nel nostro mondo globalizzato e secolarizzato occorre porre un segno

eloquente, davanti a tutti, di ciò che è la Domenica, non solo per i cristiani, ma anche per gli altri. Se tutto ha senso a partire dalla creazione - il giorno primo -, dalla risurrezione - il giorno del Signore Risorto -, e dalla speranza escatologica che da senso anche ai limiti dell'umano nel tempo e nello spazio - il giorno ottavo -, la Domenica ne è la sintesi e il compendio teologico, pastorale e spirituale.

Da quello che sapranno fare della Domenica i cristiani dipenderà anche il senso e il sapore del tempo e dello spazio per tutta l'umanità.

Tanti uomini e mode, tante strutture umane, tanti efimeri episodi della domenica passano, inghiottiti nel nulla. Ma chi entra in comunione con il Risorto, con la forza della sua parola, che è farmaco d'immortalità non meno del pane eucaristico, e con il banchetto della Cena del Signore che è comunicazione della vita immortale, apre sentieri di verità e di speranza.

Davvero non è poco poter dire che i cristiani saranno gli uomini e le donne della Domenica, testimoni convinti della presenza del Signore nella vita e nella storia, oggi e nel futuro dell'umanità.

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14

SPIRITUALITA' DELLA DOMENICA Introduzione Abbiamo messo in luce alcune valori essenziali della Domenica, giorno del Signore,

da lui fatto per noi; da noi quindi deve essere vissuto secondo le sue esigenze, come un dono di reciprocità nella presenza mutua fra Cristo e la Chiesa, nella mutua donazione, nella reciproca comunione, per dare anche un senso alla settimana che inizia, al culto spirituale della vita quotidiana.

Passiamo ora a vedere alcuni aspetti di questo giorno da celebrare e da vivere, dalla teologia alla prassi, per cogliere alcuni momenti concreti di questa Domenica tutta la riscoprire, ma anche tutta da arricchire nella gioia del suo ritorno settimanale, non una volta all'anno come Natale e Pasqua, ma nel ritorno così prossimo ed incalzante di ogni settimana.

Lascio gli aspetti più tipicamente pastorali a chi mi seguirà nell'esposizione, per trattare in concreto alcuni aspetti della spiritualità della Domenica. Ma si tratta ovviamente di una spiritualità vissuta; non è altro infatti la spiritualità se non il vivere filialmente in Cristo e nello Spirito, in comunione ecclesiale nel ritmo della storia, la nostra pasqua settimanale.

Dobbiamo saper vivere la gioia dell'incontro, rivivendo l'esperienza spirituale della prima Pasqua: incontro con il Risorto nella sua Chiesa. E dobbiamo, come i discepoli di Emmaus, e come gli apostoli della Pentecoste, ripartire rinnovati per la missione.

Il giorno del Signore è un dono da vivere nella gratuità, ma è nondimeno, un giorno di impegno per viverlo nella fedeltà, sotto l'azione dello Spirito Santo.

Richiamerei anzitutto la componente spirituale della Domenica come un celebrare nello Spirito Santo, da lui guidati. C'e una bella preghiera della Domenica nell'Eucologio di Serapione che si esprime in questi termini:

" Ti chiediamo, o Padre del tuo Figlio unico, Signore di tutte le cose creatore di tutto l'universo, autore di quanto esiste: verso di te Signore eleviamo le nostre mani pure ed i nostri cuori; volge il tuo sguardo su di noi, Signore; ti presentiamo le nostre debolezze. Concedici la tua misericordia a coloro che siamo qui congregati; abbi pietà del tuo popolo e fa che sia buono, saggio e puro; invia i tuoi angeli affinché il tuo popolo sia riconosciuto santo ed immacolato. Ti chiediamo di inviare il tuo Santo Spirito sulle nostre anime, e che tu ci faccia comprendere le Scritture che tu stesso hai ispirato, concedici di poter interpretarle con purezza e in maniera degna, affinché tutti i tuoi fedeli che qui sono radunati possano trarre profitto di esse. Te lo chiediamo per il Figlio tuo Gesù Cristo nello Spirito Santo."

Voglio quindi imperniare la mia relazione su tre aspetti fondamentali della spiritualità della Domenica: la memoria, la presenza, la speranza. Con una riflessione finale sull'impegno della missione.

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15 1. Far memoria della risurrezione Se la Domenica è giorno del Signore, "kyriakè emera" il riferimento essenziale è

appunto al Signore, cioè al Kyrios, vale a dire al Risorto. Per questo anche le espressioni greca e slava con cui si dice Domenica, come abbiamo già ricordato, parlano di giorno della Risurrezione.

Basterebbe entrare semplicemente nella mistagogia della fede, cioè in contato con quanto la Chiesa ci propone nella sua preghiera e nella sua azione liturgica, per essere coinvolti in questo fatto essenziale che è al centro della fede e della vita, confessare che il Signore è Risorto ed è vivo in mezzo a noi.

Tante volte questa parola - risurrezione - risuona nella liturgia della Chiesa: negli inni e nelle antifone dell'ufficio divino, nella messa all'invito per l'atto penitenziale, nella confessione del credo, nella preghiera eucaristica...

Più forte è il senso della Domenica come giorno della Risurrezione nella liturgia bizantina e in genere nelle liturgie orientali. L'icona della Risurrezione presiede la celebrazione. Si susseguono i tropari ed antifone che riecheggiano gli stessi eventi della Pasqua. È come se si facesse memoria della notte santa. L'ufficio vigiliare con cui ci si introduce nella Domenica si chiama ufficio della Risurrezione.

La Domenica sta davanti a noi per rifare anche l'esperienza fondamentale della nostra fede nel "kerigma apostolico". Noi crediamo che il Signore è morto per i nostri peccati ed è risorto per la nostra giustificazione.

"Ricordati di Gesù Cristo che è Risorto dai morti..." ( 2 Tm 2,8) predica Paolo. Senza la risurrezione del Signore tutto il nostro celebrare sarebbe solo desiderio o nostalgia; con la sua presenza tutto è realtà.

Porre il segno della fede celebrata nella Domenica significa affermare con la nostra vita che tutto ha un senso a partire dal giorno della Pasqua.

Sono segni della Risurrezione i cristiani che pregano in piedi, che cantano e confessano la propria fede, che si scambiano ancora, come nella notte pasquale, il segno della pace, come ha fatto Gesù con i discepoli...Sono tutti piccoli segni da valorizzare, anche nella più sperduta delle nostre comunità.

Segno della Risurrezione è l'acqua lustrale che si benedice all'inizio della celebrazione eucaristica domenicale, con la duplice simbologia della memoria del battesimo e della Pasqua del Signore, come sottolineano i testi liturgici. Benedizione da non tralasciare sistematicamente, ma da inserire regolarmente, una o due volte al mese nelle messe domenicali in sostituzione dell'atto penitenziale.

I cristiani che celebrano la messa non solo evocano un fatto del passato, ma rendono presente la risurrezione ed il Risorto nella sua Parola vivente ed anche nel banchetto eucaristico. È l'Eucaristia che fa la Pasqua. Già i Padri della Chiesa ricordavano questo fatto. Giovanni Crisostomo ricorda ai suoi fedeli che la Pasqua non si celebra solo una volta l'anno, ma anche ogni domenica ed ogni giorno, se è vero, come lei ci ricorda che abbiamo la pasqua dove abbiamo l'Eucaristia perché ogni volta che mangiamo di questo pane e beviamo del

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16calice della salvezza annunziamo la morte del signore fino al giorno sua venuta. La morte del Kyrios, la morte del Risorto, con questa frase Paolo ci indica il senso pasquale dell'Eucaristia.16

Ma dove il Signore è presente e risorto, anche tutta la Chiesa risorge. Il giorno di Pasqua Gesù non è un vincitore solitario che annunzia agli altri la loro sconfitta; è un Risuscitato risuscitatore che tira fuori dai loro sepolcri i morti dello "sheol" e i morti della terra. Riscatta dalla morte della loro tristezza e del loro peccato, le donne fedeli che sono andate a piangere Lui al sepolcro, ma anche i discepoli smarriti che lo hanno tradito o lo hanno negato. A tutti Cristo dice: Shalom! Pace, con il sorriso sulle labbra.

Pace a voi! dice il Signore ai suoi fedeli che, nonostante le crisi, i peccati. le debolezze e le neghittosità, della settimana, ritornano al Signore con la confessione dei propri peccati, pronti all'incontro con il Risorto.

È quindi giorno di rinnovamento spirituale della vita cristiana, là dove il Risorto offre a tutti la possibilità della vita nuova di iniziare di nuovo.

Chi vive la Domenica, specialmente ma non soltanto nell'Eucaristia, ma anche nella preghiera liturgica delle lodi e del vespro, dovrebbe sentire che quel Cenacolo delle apparizioni del Risorto non è rimasto un oscuro ed incerto monumento che ancora si trova a Gerusalemme e che Giovanni Paolo II ha visitato nel sua pellegrinaggio in Terra santa nell'anno giubilare, celebrandovi l'Eucaristia, ma si riproduce in ogni comunità che celebra il suo Signore. Ogni assemblea liturgica è quindi Cenacolo della Risurrezione dove il Signore convoca, rinnova la sua parola e il suo dono pasquale, invia per il mondo. Facciamo delle nostre assemblee con gioia, Cenacoli della Risurrezione!

2. Celebrare la presenza del Risorto Celebriamo la presenza del Risorto ed entriamo in comunione con Lui. La liturgia domenicale con è l'evocazione di un assente ma l'incontro con un presente.

Dobbiamo ricuperare quel senso dell'incontro pasquale che ha segnato i discepoli e le donne il giorno di Pasqua. Ma l'incontro con il Signore è un momento personale, un faccia a faccia, un guardare ed essere guardati dal Signore nella sua Chiesa. Tutti e ciascuno.

In tutta la celebrazione eucaristica l'assemblea si rivolge ad un Tu presente. Lo fa già prima di tutto con il "Kyrie" o "Signore pietà" che è acclamazione della sua misteriosa presenza. Lo ripete nelle acclamazioni con cui si apre e si chiude la proclamazione del Vangelo: "Gloria a te, o Signore", "Lode a Te o Cristo". Lo ripete nelle acclamazioni dopo la consacrazione: "Annunciamo la tua morte, Signore, proclamiamo la tua risurrezione, nell'attesa della tua venuta. Lo affermiamo ancora direttamente in alcune preghiere rivolte direttamente a Cristo, come nella preghiera che precede lo scambio della pace, fino all'incontro con Cristo nell'Eucaristia.

Se i cristiani hanno imparato da Gesù la gioiosa notizia della sua presenza secondo le parole di Mt 18,18-20, "dove due o più sono riuniti nel mio nome...ivi sono io in mezzo a

16 Cfr. PG 48, 867.

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17loro", occorre ricordare come spesso faceva Giovanni Crisostomo ai suoi riuniti in assemblea che ogni assemblea è una festa, per la presenza viva del Signore.

Un filone della teologia liturgica dei Padri della Chiesa è, infatti, quello dei commenti al testo di Mt 18,20, riferito alla sua concreta realizzazione nell'assemblea.

Un primo e significativo testo è quello della Didascalia degli Apostoli (scritta in Siria nel sec. III) : "Quando tu insegni, o Vescovo, esorta il popolo a frequentare l'assemblea e a non mancarvi mai; che essi siano sempre presenti, e che essi non diminuiscano la Chiesa con la loro assenza, e che essi non privino la Chiesa di uno dei suoi membri... Poiché siete membri di Cristo, non dovete disperdervi fuori della Chiesa non radunandovi. Infatti, poiché il nostro Capo Cristo, secondo la sua promessa, si rende presente ed entra in comunione con voi, non disprezzate voi stessi e non private il Salvatore dei suoi membri; non lacerate, non disperdete il suo Corpo".17

Giovanni Crisostomo, che può ben essere chiamato il Dottore dell'assemblea, farà particolare uso del testo di Matteo per invitare alla celebrazione e alla preghiera in comune:

"Lo stesso Signore sovrano del mondo è in mezzo a noi. Lo afferma lui stesso: "Dove due o tre...". Se è vero che dovunque si trovano due o tre persone ivi si trova Gesù in mezzo a loro, con più ragione si troverà dove sono riuniti tanti uomini e tante donne... Se la Pentecoste (la cinquantina pasquale) è finita, tuttavia la festa non è passata. Ogni assemblea è una festa. Da che cosa si ricava ciò? Dalle stesse parole di Cristo, che dice: «Dove due o tre...» Quando Cristo sta in mezzo ai fedeli nell'assemblea, quale prova più grande cerchi che essa è una festa?"18

Altrove afferma a proposito della preghiera in comune: "Ognuno non fa ciò (la preghiera comune) fidando solo nelle sue forze, ma fidando nel consenso di molti, che attira sommamente lo sguardo di Dio e influisce su di lui, placandolo. Dove infatti due o tre sono riuniti nel mio nome, là sono io in mezzo a loro... Se dove due o tre sono riuniti egli è in mezzo a loro, molto più egli è presso di voi... Perché disse due? Perché non saresti là dove c'è uno solo che ti prega? Perché voglio che tutti siano uniti e non separati". 19

Questa presenza si dilata e si rende concreta nei segni della liturgia. I segni della risurrezione sono tutti davanti a noi, ma bisogna ricoprirli con la fede,

come in una notte pasquale rinnovata: l'ambone della Parola, da dove si proclama il Vangelo alla luce della risurrezione, l'Evangeliario che è come un tabernacolo della parola, di Cristo Parola, o comunque il Lezionario che contiene la Parola da proclamare, l'altare del banchetto pasquale, il Crocifisso glorificato, la cattedra della preghiera e della parola. Ma è segno l'assemblea stessa che si raduna, anzi che è radunata dalla grazia del Risorto. Dovrebbero rendere bella e gioiosa la confessione della fede la bellezza del luogo della celebrazione, la sottolineatura dei canti, il gioioso alleluya...

17 Didascalia II, 59, 1-2, in Didascalia et Constitutiones Apostolorum, I-II, Paderbornae,

Ed. F.X.FUNK, 1905, p. 170. 18 De Anna, Sermo 5,1: PG 54, 669; testi simili in In Gen. Serm. 6,1: PG 54, 669. 19 In Epist. II ad Thes. Hom. 4,4: PG 62, 491.

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18 I vescovi italiani hanno ricordato in un loro documento sull'Eucaristia che in ogni

messa, ma specialmente nella messa domenicale, si realizza la parabola eucaristica dei discepoli di Emmaus. Si vive in realtà quanto il Signore ha fatto e la Chiesa primitiva ha capito e Luca l'evangelista ha proposto, cioè che la Pasqua si rivive nella Chiesa con la presenza di Cristo e i due segni fondamentali del suo essere con noi e per noi: la parola e il pane-vino dell'Eucaristia.20

Una icona liturgica di grande pregnanza rivelatrice e catechistica, anche per il fatto che è un progressivo svelarsi della presenza e dell'azione del Risorto, con una intensificazione progressiva e con la sacramentalità di alcuni gesti: la compagnia, la parola, la frazione del pane, il ritorno gioioso per annunziare l'incontro... che sono come il paradigma di ogni celebrazione eucaristica, in quanto progressiva rivelazione del Signore che è presente ed agisce, si rivela e si dona alla sua Chiesa.

Ognuno dei momenti della celebrazione dovrebbero essere adeguatamente esplicitati, prima nella iniziazione mistagogica, e poi rivissuti in una forte atmosfera teologale da tutta la comunità celebrante, per fare questa esperienza dell'incontro con Cristo, nella gioia delle feste e nella discreta e contemplativa quotidianità feriale di ogni Eucaristia che è pur sempre una pasqua quotidiana.

Mi permetto di indicare un breve percorso mistagogico di questo svelamento della presenza del Signore nella liturgia eucaristica, come traccia di una catechesi mistagogica sulla presenza di Cristo nella liturgia.

I riti iniziali Quando ci raduniamo per celebrare l'Eucaristia siamo misteriosamente convocati da

colui che ci ha detto di fare questo come suo memoriale e che ci ha promesso di essere presente dove due o più sono riuniti nel suo nome.

Segno della sua presenza siamo noi, la comunità riunita nello Spirito Santo nel suo nome. Siamo il suo corpo, la sua Chiesa. Cristo non manca all'appuntamento. E' lui che ce lo ha fissato. E' lui che convoca e si rende presente.

La comunità si può ritrovare in un ambito più o meno ricco di evocazioni della presenza di Cristo. Una basilica come quelle di Roma o di Ravenna, o una chiesa bizantina, immagine del cielo sulla terra, evidenziano già nei suoi mosaici o nella cupola che sovrasta la comunità, il volto di Colui che è invisibilmente presente. L'altare, la cattedra, l'ambone, il crocifisso, il cero pasquale, l'Evangeliario sono come tante icone evocative e visive della presenza del Signore, icone spaziali della sua presenza viva. Le icone rimandano al prototipo, cioè al Cristo vivo insieme alla Vergine Maria e ai Santi.21

20 Cfr. Eucaristia, comunione e comunità, Roma 1983, nn. 5-9. 21 Cfr. il Catechismo della Chiesa Cattolica nn. 1140-1144, dove si parla dei concelebranti

della Liturgia, cfr anche C. VALENZIANO, Icone e celebrazione dei misteri, AA.VV., La dimora di Dio fra gli uomini. Tempio e assemblea. XLIII Settimana Liturgica Nazionale, Bari, 24-28 agosto 1992, a cura del CAL, Roma, C.L.V., 1992, pp. 95-118.

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19 I riti iniziali ci mettono in presenza del Signore e ce la fanno gustare e confessare. Il

saluto trinitario offerto dal sacerdote ci immette nella comunione con la Trinità mediante il Cristo Sacerdote e Mediatore. L'invocazione cristologica del Signore ne svela la presenza: Kyrie eleison. L'inno del Gloria, di carattere trinitario, mette la Chiesa quasi in un atteggiamento estatico davanti al Cristo e lo confessa con un Tu trepido «Il solo santo, il solo Signore, il solo altissimo Gesù Cristo». La colletta, rivolta al Padre, evidenzia la consapevolezza della mediazione sacerdotale di Cristo per la nostra preghiera.

La liturgia della Parola La liturgia della parola accentua, come nel cammino di Emmaus, il rapporto vivo e

dialogante con il Signore Gesù, Verbo di tutte le parole, chiave di comprensione di tutte le Scritture che convergono in Lui o da Lui, Risorto, divergono come raggi di luce, fino alla suprema rivelazione della sua ultima venuta, riempiendo così di sé, Verbo di Dio, Vangelo dispiegato nei secoli, dalla Genesi all'Apocalisse, il tempo e lo spazio della nostra storia.

Il culmine di questa presenza è la proclamazione del Vangelo, dove Egli stesso parla alla sua Chiesa. Tutte le liturgie hanno circondato questa proclamazione di un profondo senso teologale: la processione con L'Evangeliario, vero tabernacolo della Parola, le luci e l'incenso, il canto dell'Alleluia o la acclamazione a Cristo, le risposte dialogali con il celebrante e il diacono, esprimono questa consapevolezza di essere alla presenza di Cristo. Il bacio del Vangelo è come l'omaggio della Sposa allo Sposo, per la bellezza e la bontà della sua parola.

Una presenza di rivelazione che l'omelia dovrebbe prolungare, come un sedersi attorno al Maestro che parla e comunica se stesso, come ai discepoli prima e dopo l'istituzione dell'Eucaristia o ai discepoli di Emmaus, prima della frazione del Pane.

Una presenza che garantisce il senso della confessione della fede, alla presenza del Signore, e della orazione dei fedeli, sostenuta dall'intercessione del nostro sacerdote universale, il "sacerdote cattolico o universale del Padre", secondo Tertulliano.22

La liturgia eucaristica La liturgia eucaristica è composta da tutta una serie di «sintagmi» liturgici e

sacramentali esprime bene l'azione vivente di Cristo in sinergia con la Chiesa, in una molteplice sacramentalità, già fin dalla preparazione dei doni.

La preghiera eucaristica ci immette nei sentimenti filiali di Cristo Gesù. L'Eucaristia, lo abbiamo ricordato, è insieme preghiera cristologico-trinitaria, parola viva proclamata ed attuata nel racconto dell'istituzione, azione viva di Cristo offerto al Padre e noi, presenza somma sacramentale, in un pane da mangiare ed in un vino da bere. Presenza viva, comunicata, mangiata e bevuta. Comunione perfetta, incontro interpersonale e comunitario con il Cristo vivo nella massima compenetrazione possibile in questa terra, quella significata

22 "Per Christum Iesum, Catholicum Patris sacerdotem", in Adversus Marcionem, IV, 9:

PL 2,405.

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20ed attuata dal mangiare e dal bere, con una valenza di amore sponsale di Cristo che nutre la Chiesa sposa con le sue membra (Cfr. Ef 5,29).23

Quando la comunione è stata compiuta la presenza sacramentale del Signore si è spostata dall'altare all'assemblea. Siamo divenuti noi la presenza del Signore; noi diventati Cristo, come dice Agostino.24 Come per i discepoli di Emmaus, la presenza del Signore si è come eclissata nei segni, perché è divenuta presenza personale e comunitaria nei discepoli, nella Chiesa assemblea, diventata pienamente un solo corpo, un solo Spirito, corpo sacramentale di Cristo.

Una maggiore consapevolezza di questa realtà dovrebbe indurre a curare molto di più questo momento personale e comunitario. Infatti se nella consacrazione risuonano le parole dell'istituzione ( «questo è il mio corpo, questo è il mio sangue»); ora dovrebbero risuonare le affermazioni di Paolo: «Poiché c'è un solo un solo pane, noi, pur essendo molti, siamo un corpo solo: tutti infatti partecipiamo dell'unico pane (e dell'unico calice, come aggiungono alcuni codici» (Cfr 1 Cor 10, 17).

I riti finali I riti finali sottolineano, come per i discepoli di Emmaus, la nuova presenza del

Signore che risuscita i cuori, li mette in cammino, li rilancia verso la vita, con la nuova vita che ha immesso nei loro cuori. Nel rinnovato incontro con il Cristo della liturgia, con il suo Corpo ecclesiale, la sua parola che forma e plasma la comunità, l'Eucaristia, la Chiesa diventa la presenza rinnovata di Cristo nel mondo nella nuova sacramentalità che è quella dei fedeli cristificati e pneumatizzati, per portare il Cristo nel mondo e riportarlo continuamente al Padre.

3. Rinnovare la speranza della sua venuta: Marana-tha "Nell'attesa della tua venuta..." Così acclamiamo la presenza del Signore nel momento

più alto della sua presenza, appena dopo la consacrazione. "Nella stessa che si compia la beata speranza e venga il nostro Signore Gesù Cristo..." acclama il celebrante nell'embolismo che segue il Padre nostro.

Celebrare la risurezione e la presenza non significa dare alla celebrazione un senso di pienezza che non rimandi al futuro. La domenica è anche giorno ottavo, affermazione che significa che il Signore è entrato nella gloria del Padre; la sua presenza presso il Padre è promessa di vita eterna per noi. I cristiani affermano, celebrando la Domenica, che questo tempo scorre vero l'eternità, che abbiamo un pegno di speranza nell'Eucaristia, che siamo

23 Così viene interpretata l'Eucaristia da alcuni scrittori antichi. Lo afferma Teodoreto di

Ancyra: "Mangiando le membra dello Sposo e bevendo il suo sangue, noi compiamo una unione sponsale". Cfr. PG 33, 1100.

24 In Ioannis Evangelium, XXI, 8: PL 35, 1568.

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21popolo pellegrino, come spesso dicono i formulari liturgici, e che di questo cammino verso la meta, l'Eucaristia quotidiana e domenicale, è una sosta. Lo dice molto bene una delle monizioni che precede la preghiera sulle offerte; " pregate fratelli e sorelle... affinché il sacrificio della Chiesa in questa sosta che la rinfranca nel suo cammino verso la patria sia gradito a Dio..."

Il Signore si fa presente in questo mondo, ma non è di questo mondo, ma del mondo di futuro, come noi del resto non siamo cittadini perennemente stabiliti in questa terra ma in cammino verso la patria...

Il pane della parola e dell'eucaristia è un viatico per il tempo che scorre verso il Regno. Quando dopo la celebrazione usciamo dalla Chiesa, usciamo con la nostalgia che quel tempo prezioso trascorso insieme alla presenza del Signore, non è ancora il tempo definitivo della gloria, ma appena una sosta che ce l'ha fatto pregustare e ora ci rimanda a camminare verso la patria nella quotidianità.

E la quotidianità significa edificare il regno di Dio sulla terra, rendere presente il Signore con la nostra vita, specialmente con la carità affinché vivendo nella quotidianità le parole di Gesù sulla carità nel giorno del giudizio ci adoperiamo ad incontrarlo nei poveri e nei bisognosi, affinché la terra diventi cielo, secondo una felice espressione del Crisostomo.

Non mancano quindi, per chi vorrebbe vivere sempre in questa vita come per coloro che la sofferenza li fa sognare nel cielo, i segni e le parole della speranza domenicale che rimandano al di là del tempo all'eternità.

È il "Marana tha", il vieni Signore Gesù, o le parole finali della prece eucaristica che evocano il destino eterno dell'umanità e del cosmo, o l'embolismo del Padre nostro ("nella attesa che si compia la beata speranza...", o le preghiere dopo la comunione che fanno spesso riferimento alla gloria eterna.

L'Eucaristia è pane per il cammino, ma i cristiani portando Cristo con sè sanno quale è la meta del loro pellegrinaggio.

Per questo si rinnova anche in ogni Eucaristia domenicale la speranza per i nostri defunti che sono ricordati nella messa, coloro che erano presenti un tempo con noi nella celebrazione, sono ancora con noi nella comunione dei santi. Ricordare i nostri defunti nel Cristo Risorto è come rinnovare la fede nella vita eterna, comunicare con loro, sentirli vicini, come la nube dei testimoni che ci incoraggiano nella nostra corsa.

Per questo anticamente i cimiteri erano vicini alle chiese, e i fedeli, usciti dalla celebrazione eucaristica con il cuore colmo di speranza andavano a visitare le tombe dei loro cari, quasi a renderli partecipi della buona novella della Risurrezione.

4. Ripartire con la novità delle opere Ogni domenica si riparte. Si riparte con la novità dello sguardo della fede, per vedere

nella luce della parola ascoltata il mondo quotidiano, il lavoro, la fatica. Si riparte per portare con la vita la novità delle opere del Risorto, La Chiesa ha conosciuto fin dall'antichità cristiana la tradizione delle opere della

Domenica: assistere le vedove e gli stranieri, celebrare di pranzi di carità per i poveri, visitare

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22i carcerati e gli ammalati, sovvenire alle necessità dei poveri. Così lo faceva nella Domus caritatis Agostino e la sua comunità di Ippona, o nella Basiliade, cittadella della carità, Basilio di Cesarea. Questo era il senso della colletta per i poveri, della tradizione ebraica del sabato e della testimonianza già ricordata di Giustino. Questo era il senso dell'usanza dei pani benedetti la domenica per condividere con fratelli, o l'uso della liberazione di qualche carcerato nella Domenica nel medioevo...

Questo è il significato delle beatitudini che sono l'autoritratto di Cristo e la buona novella dell'inizio del sermone della montagna nel Vangelo di Matteo. Sono le beatitudini che ogni domenica le chiese greche e slave proclamano prima del Vangelo come per ricordare quale è l'icona vera del discepolo del Signore.

Celebrare l'Eucaristia è quindi porre un segno rinnovatore e rigeneratore della vita e nella vita del mondo, là dove i cristiani vivono, soffrono, pregano, servono i fratelli.

Sono le opere dell'ottavo giorno, le opere della carità che nascono anche dalla teologia della Risurrezione del Signore, e permangono oltre il tempo perché le ritroveremo in cielo, quando anche quanto abbiamo fatto per amore lo ritroveremo rinnovato, arricchito. Tutto quanto abbiamo fatto per il Signore no ritroveremo in Lui.

Conclusione In tempi in cui anche la Domenica è in crisi in questa nostra società postcristiana,

dobbiamo essere forti nella fede e nella speranza. Possiamo imparare da tutti, dalla fedeltà con cui i musulmani celebrano la preghiera del venerdì, o anche come i nostri fratelli ebrei celebrano il sabato. Lo fanno con una spiritualità che dovrebbe suscitare anche in noi una certa gelosia.

Essi lo accolgono nella sera del venerdì nelle sinagoghe con una speciale celebrazione molto sentita. E hanno una spiritualità del sabato che noi potremmo anche esprimere analogicamente come spiritualità della Domenica. La spiritualità del sabato è tutta fondata sulle belle espressioni dei libri sacri dell'ebraismo. Ecco in dodici brevi punti una spiritualità del sabato secondo gli ebrei e che possiamo rileggere e rinnovare in chiave cristiana.

1. Per loro il sabato è il dono di Dio al suo popolo. 2.È la dimora che egli ha preparato per il suo popolo affinché dimori con lui. 3. È giorno santo e come un supplemento d'anima. 4. È la festa più importante che prolunga e racchiude le altre. 5. È memoria del nostro limite e del tempo futuro. 6. Il Shabbat, femminile in ebraico, è como una Sposa per lo Sposo, il popolo di Dio 7. Celebra la presenza e la potenza di Dio. 8. Ci educa alla fraternità e alla giustizia. 9. Ci invita all'ascolto della parola di Dio per vivere in comunione con Lui. 10. È gioia e delizia del popolo santo. 11. È simbolo e anticipazione della gioia messianica ed escatologica.

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23 12. È pegno e memoria dell'eternità.25 Non possiamo dimenticare la presenza di Maria nella domenica. La Madre del

Risorto, prepara il suo giorno, come l'aurora il sole, con la celebrazione del sabato, ma poi da spazio alla celebrazione del Figlio. Giovanni Paolo II parla nella sua lettera di questa speciale presenza mariana. Facciamo memoria della Madre del Risorto quando la ricordiamo nella preghiera eucaristica, nel Magnificat del Vespro, nell'invocazione finale di Compieta, talvolta secondo le rubriche cantando il “Regina coeli laetare”, come in tempo di Pasqua. Maria è pegno della nostra gloria futura, ma anche maestra dell'impegno delle opere del cristiano.

Non c'e dubbio la Domenica è al centro della pastorale e della spiritualità del Popolo

di Dio, un invito ed una sfida per rinnovare la fede e la vita. Recentemente un mio amico e collega, D. Manlio Sodi, salesiano e direttore della

Rivista liturgica, commentando quanto Giovanni Paolo II dice della domenica nella sua Lettera Novo millennio ineunte nn. 35 e 36, ci ha offerto una specie di decalogo per un rinnovamento della celebrazione della Domenica.

Lo ripeto qui perché mi sembra prezioso e concreto e apre la strada alle riflessioni che seguiranno di carattere più pratico e pastorale. Si tratta di rinnovare, sulla base delle nostre osservazioni di carattere teologico e spirituale, il modo di celebrare, tutto pervaso dalla gioia della Pasqua.

1. Accogliere con un sorriso. 2. Comunicare anche con i simboli. 3. Arredare con gusto. 4. Animare con competenza. 5. Ascoltare con disponibilità. 6. Valorizzare i diversi linguaggi. 7. Cantare con gioia. 8. Presiedere con dignità. 9. Pregare con fede. 10. Predicare con semplicità. Ecco un decalogo per fare della Domenica con la sua celebrazione centrale che è

l'Eucaristia, la grande festa dei cristiani.

25 Una sintesi di questi aspetti in E. BIANCHI, Giorno del Signore, giorno dell'Uomo.

Per un rinnovamento della Domenica, Casale Monferrato, Piemme, 1994, pp. 57 e ss.