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1 PONTIFICIA UNIVERSITÀ LATERANENSE Facoltà di S. Teologia Istituto Superiore di Scienze Religiose “Ecclesia Mater” “Francesco a Roma dal signor Papa” Elaborato per il corso: Il Pellegrinaggio nella Vita della ChiesaStudente: Sabelli Franco Docente: dott. Francesco Mattiocco Anno accademico 2008-2009

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PONTIFICIA UNIVERSITÀ LATERANENSE Facoltà di S. Teologia

Istituto Superiore di Scienze Religiose “Ecclesia Mater”

“Francesco a Roma dal signor Papa”

Elaborato per il corso: “Il Pellegrinaggio nella Vita della Chiesa”

Studente: Sabelli Franco Docente: dott. Francesco Mattiocco

Anno accademico 2008-2009

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Francesco a Roma

dal signor Papa

Bessans (Savoia), Cappella di S. Antoine. Cristo Pellegrino Dettaglio dell'affresco con la scena di Emmaus

2009

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Introduzione

E’ bello camminare insieme per conoscersi, per scoprirsi, per confrontarsi e arricchirsi. Il pellegrinaggio, da sempre, è stato il luogo preposto all’incontro per vivere una autentica esperienza di fraternità. Del pellegrino ce ne parla anche Dante nella Divina Commedia quando descrive nel canto 8,1-6 la preghiera delle anime al tramonto e precisamente nell’ora della compieta:

Era già l'ora che volge il disio ai navicanti e 'ntenerisce il core

lo dì c'han detto ai dolci amici addio; e che lo novo peregrin d'amore

che paia il giorno pianger che si more…

L’ora che induce un tenero senso di nostalgia nel cuore dei navigatori,al termine della prima giornata del loro viaggio; l’ora che punge d’amore, che fa sentire in maniera più intensa e struggente il desiderio della patria e delle cose e delle persone care, al novo peregrin, anche a colui che pure allora se n’è allontanato per intraprendere un lungo e duro cammino per un voto devozionale, se da lontano gli giunga all’orecchio il suono di una campana. Nei vari secoli, fin dai primi anni del cristianesimo, si avverte la consuetudine del pellegrinaggio, non solo praticato dai tanti fedeli che in vario modo si sono recati sui luoghi santi della fede, ma anche da personaggi noti attraverso i libri di storia o di letteratura. Sappiamo ad esempio di Guido Cavalcanti che si recò a Santiago di Compostella. Petrarca qualche decennio dopo ripropone il personaggio del pellegrino d’amore. I Racconti di Canterbury di Geoffry Chauser, narra le storie di un gruppo di pellegrini durante un pellegrinaggio per visitare il santuario di S.Tommaso Becket presso la cattedrale di Canterbury. E ancora in pieno Rinascimento nelle biografie dei Santi come ne Il racconto del pellegrino, autobiografia di Ignazio di Loyola dove egli stesso si definisce pellegrino della vita. Ancora troviamo nella seconda metà del secolo XVI, Torquato Tasso che scrisse la sua Gerusalemme Liberata come la meta di un pellegrinaggio (armato). Nel ‘700 più che di pellegrini si parlò di viaggiatori. F.R. Chateaubriand con

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L’itinerario da Parigi a Gerusalemme inaugurò il personaggio del pellegrino – turista. Nel secondo ‘800 un’opera singolare di Anonimo Racconti di un pellegrino russo seguì il comando paolino pregate senza intermissione. Il libro stupisce per la semplicità di una fede incrollabile nell’abbandono totale a Dio. Nel XX sec. Grazia Deledda, Nobel per la Letteratura, scrisse la novella La festa del Cristo celebrata in un santuario del nuorese, si snoda con una cavalcata di uomini tra mille ostacoli e pericoli e termina col piacere di condividere il viaggio, la sosta, l’ospitalità, importante in un pellegrinaggio, e la preghiera. Scrive Thomas Stearn Eliot, Nobel per la Poesia, nella Terra Desolata, …chi è il terzo che sempre ti cammina accanto? / c’è sempre un altro che ti cammina accanto / ravvolto in un ammanto bruno. Gli fa eco Luigi Santucci che riprende l’episodio evangelico di Emmaus: Volete andarvene anche voi? Una vita di Cristo e ripete con i discepoli: Resta con noi perché si fa sera e il giorno volge al declino. Un invito che in questo tempo oscuro di trapasso di civiltà e di cambiamento epocale, anche noi vogliamo rivolgere al misterioso Pellegrino che ci accompagna lungo la strada della vita.

1. Il pellegrinaggio1

Prima di percorrere gli stessi passi fatti da San Francesco nella città di Roma richiamiamo brevemente alla memoria un'antica ben nota relazione di pellegrinaggio: «I suoi genitori si recavano tutti gli anni a Gerusalemme per la festa ili Pasqua. Quando egli ebbe dodici anni, vi salirono ili nuovo secondo l'usanza; ma trascorsi i giorni della festa, mentre riprendevano la via del ritorno, il fanciullo Gesù rimase a Gerusalemme, senza che i genitori se ne accorgessero. Credendolo nella carovana, fecero una giornata di viaggio, e poi si misero a cercarlo fra i parenti e i conoscenti; non avendolo trovato, tornarono in cerca di lui a Gerusalemme» (Lc 2,41-45). In questo passo Luca racconta una tradizione che stava molto a cuore agli ebrei sparsi nei paesi del bacino del Mediterraneo, del Vicino e Medio Oriente. Chi poteva si recava ogni anno a Gerusalemme a celebrarvi la maggiore delle feste ebraiche insieme con i parenti e gli altri membri del proprio popolo. Ma a parteciparvi erano soprattutto i pii ebrei che abitavano a pochi giorni di cammino dalla Città santa. Da Nazareth, il villaggio dove risiedeva Gesù, occorrevano tre giorni, percorrendo una trentina di chilometri al giorno. Poiché la festa di Pasqua veniva celebrata dopo la prima luna piena di primavera, di notte poteva fare ancora

1 Il pellegrinaggio più antico è quello ebraico,risalente al II millennio a.C..La tradizione parla di un pellegrinaggio a SILO, a 40km da Gerusalemme. Si dice che nel tempio di Silo siano state custodite le tavole della legge nell'arca dell'alleanza(rif. Esodo). Il pellegrinaggio a Silo si faceva nel periodo del Sukkot, festa delle capanne e dei tabernacoli che commemora la permanenza e la protezione degli ebrei nel deserto dove vivevano in capanne. Il pellegrinaggio a Silo si interrompe quando Davide porta l'arca dell'alleanza a Gerusalemme.

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molto freddo, senza per questo escludere che durante il giorno facesse molto caldo2.San Luca offre una chiara immagine del pellegrinaggio. Per quanto possibile portavano con sé anche i bambini, i quali si abituavano così per tempo ad osservare un tradizione sacra al loro popolo e imparavano anche a conoscere la loro terra. Si viaggiava in gruppo, con parenti, vicini e conoscenti. Questo permetteva ai genitori di non stare continuamente attenti ai loro figli; era tutta la comitiva a preoccuparsi che i bambini mangiassero e bevessero a sufficienza.. Così poteva accadere che i genitori si preoccupassero direttamente dei loro figli solo in un secondo momento, per esempio quando si giungeva nel luogo dove si era soliti passare la notte. Allora, come è riportato nel vangelo di Luca, a Maria e Giuseppe non rimase altra soluzione che rifare la strada a ritroso fino al punto in cui avevano visto il figlio per l'ultima volta, il che significava in questo caso andare a cercarlo nel trambusto della grande città di Gerusalemme.

Ormai da quasi due millenni i pellegrini cristiani trovano gli esempi da imitare proprio nei racconti biblici come quello dell'evangelista Luca. Essi si mettono in cammino verso il santuario come Gesù e i suoi genitori. Le fonti medioevali conoscono anche molti altri personaggi biblici che vengono proposti all'imitazione dei fedeli così i pellegrini sono in cammino come Adamo, che dovette lasciare il paradiso terrestre, come gli Padri di Israele, Abramo, Isacco e Giacobbe, che non avevano una fissa dimora, come Giuseppe, che fu venduto in terra straniera, in Egitto, come il popolo di Israele, che peregrinò nel deserto, come i Magi provenienti dall'Oriente, che cercavano il neonato Messia, come Gesù e gli apostoli sempre in cammino attraverso la Palestina, come i discepoli di Emmaus che fecero la strada con il Risorto senza riconoscerlo. Tuttavia il cristiano non è tenuto al pellegrinaggio, anche se sono sempre esistite persone che hanno affrontato l'insicurezza di lunghi viaggi in luoghi sconosciuti spinte dal desiderio di imitare Gesù e altri santi personaggi maschili e femminili del tempo biblico e post-biblico.

2Questo breve resoconto dopo alcune considerazioni consente d’avere uno scorcio sulla vita e sulle consuetudini della Santa Famiglia di Nazaret.

Il viaggio rituale a Gerusalemme per la Pasqua è uno dei tre pellegrinaggi annuali prescritti agli Ebrei dalla Legge di Mosè: "Tre volte l'anno ogni tuo maschio si presenterà davanti al Signore tuo Dio, nel luogo che Egli avrà scelto: nella festa degli azzimi (Pasqua), nella festa delle settimane (Pentecoste), nella festa delle capanne (Succot)." (Dt 16,16) Di fatto, le regole rabbiniche di quel tempo avevano fissato che agli ebrei maschi residenti a distanza superiore da Gerusalemme corrispondente agli odierni 30 Km circa potevano evitare il pellegrinaggio. Il Vangelo precisa che "...quando egli (Gesù) ebbe 12 anni vi salirono di nuovo secondo l'usanza", essendo ormai Gesù sufficientemente autonomo per affrontare il viaggio. Opportunamente, in previsione del prossimo ingresso da adulto di Gesù nella comunità ebraica, andarono tutti uniti con gran gioia nel pellegrinaggio per la Pasqua a Gerusalemme. Ora, ogni ebreo circonciso, che cioè porta nella carne il segno dell'Alleanza ed abbia raggiunto (al compimento dei 13 anni) la maturità religiosa, chiamata "Bar-Mitzwa" (figlio del comandamento), ha diritto ad ufficiare a turno in Sinagoga, come qualsiasi altro adulto. Torniamo ora al viaggio; in quelle occasioni, si doveva sostare a Gerusalemme o nelle vicinanze, od a casa di parenti. La sosta durava otto giorni, in quanto il primo e l'ultimo della settimana della festa erano di riposo obbligatorio (Dt. 16,8): "Per sei giorni mangerai azzimi e il settimo giorno vi sarà una solenne assemblea per il Signore tuo Dio; non farai alcun lavoro". Quel brano del Vangelo di Luca che racconta il pellegrinaggio a Gerusalemme non certamente a caso indica che c'erano parenti nella carovana; è verosimile, infatti, che la Santa Famiglia, direttamente o tramite parenti o conoscenti, avesse trovato in Gerusalemme un luogo adatto ove con alcuni parenti di Nazareth e/o del posto fosse agevole riunirsi per celebrare la Pasqua.

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2. Vita dei pellegrini nel Medioevo

Sutri - Pellegrini in cammino Dagli affreschi della chiesa rupestre della Madonna del Parto di Sutri (Viterbo).

Introducendoci nell’approfondimento della ricerca è bene riportare anche qualche nota storica riguardo

all’ambiente e ai modi in cui nel Medioevo, soprattutto in Europa, si svolgeva la vita dei pellegrini. Riguardo all’ambiente decisamente favorevoli ai viaggi sono stati il clima, generalmente mite, e la relativa

assenza di catastrofi naturali. I cattivi raccolti e le carestie, che sono esistiti naturalmente anche in Europa, avevano per lo più un'estensione regionale e limitata nel tempo. I terremoti e i maremoti, le grandi inondazioni, la siccità, gli uragani, che in altri luoghi e continenti sono all'ordine del giorno, erano un evento eccezionale in Europa. La grande peste della metà del XIV secolo ha segnato in un modo così duraturo le persone proprio perché non si era abituati a sventure di quelle proporzioni.

Nell'Impero romano il cristianesimo si era diffuso, nei primi tre secoli, dall'Egitto al nord dell'Inghilterra, dalla costa dell'Atlantico all'Eufrate e fino in India. In base alla testimonianza delle fonti scritte e archeologiche negli sconvolgimenti causati dalle invasioni sul Reno e sul Danubio si sono conservate delle comunità cristiane, le quali hanno trasmesso la fede cristiana ai nuovi popoli che si sono presentati in veste di conquistatori e che si sono lentamente infiltrati nell'Impero romano. In un processo della durata di alcuni secoli la maggior parte dell'Europa ha accettato il cristianesimo di stampo romano. I pellegrini hanno tratto vantaggio dal fatto di poter raggiungere le grandi mete di pellegrinaggio all'interno di un ambiente religiosamente omogeneo. Chi professava la fede cristiana doveva ispirare il proprio comportamento al Vangelo. Uno dei grandi ideali che favorì i pellegrini fu certamente il comandamento che imponeva di riconoscere e ricevere nel forestiero Gesù stesso (Mt 25, 35) e di aiutare i bisognosi, così come aveva fatto il buon samaritano (Lc 10,30-37)

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Abbazia della Novalesa - La benedizione del pellegrino. Sant'Eldrado riceve l'investitura rituale per il pellegrinaggio (affresco) Cattedrale di Vercelli - Frammento scultore

Nel Medioevo si viaggiava per motivi economici o religiosi: spesso i due motivi si intrecciavano o addirittura s’identificavano. Il pellegrino partiva solo o in piccola comitiva, si costruiva una rozza croce, che s'imponeva sulle spalle (penitenza) e circa a metà tragitto s'immergeva in acque limpide (purificazione). Prossimo alla meta raccoglieva pietre da portare al santuario, fine del pellegrinaggio, come segno e realtà di una partecipazione alla sua costruzione ed ampliamento, sia spirituale che materiale. Terra Santa, Roma, San Giacomo di Compostela, Sant'Angelo sul Gargano erano le mete più comuni e più ambite, che richiedevano anche anni di lontananza dalla famiglia, notevoli penitenze, rischiose avventure. Un numero non indifferente di pellegrini non rivedeva più la propria terra. Per proteggere i viaggiatori e in modo particolare i pellegrini, i viaggiatori del Cristo si erano fondate delle congregazioni per aiutare anche loro. In Italia, gli Ospedalieri di Altopascio guidavano i viaggiatori nella pericolosa regione delle maremme di Lucca; in Spagna, i cavalieri di S. Giacomo proteggevano i pellegrini di Compostella; in Palestina, era questo uno dei compiti dei templari. Nelle Alpi, poiché le strade dei colli erano difficili, soprattutto d'inverno, un giovane nobile oriundo della Val d'Aosta, figlio di un barone che era andato a risiedere ad Annecy, san Bernardo di Mentone (996-1081), dopo una lunga vita di apostolato, aveva fondato alcuni ospizi: ne conservano la memoria il Gran S. Bernardo e il Piccolo S. Bernardo, e in parecchi colli delle Alpi i suoi canonici regolari, scortati dai loro celebri cani, assicurano ancor oggi la protezione dei viaggiatori. Più tardi, nel 1200, quando si aprì la nuova via per l'Italia attraverso la Svizzera centrale, monaci di Disentis che vi costruirono un ospizio lo battezzarono San Gottardo, in ricordo del santo vescovo che aveva profuso a Hildesheim la sua carità. Così, su tutte le strade della cristianità, sorgevano degli ospizi, caravanserragli dell'ospitalità cristiana, dove viaggiatori e pellegrini trovavano alloggio e vitto e potevano far riparare le vesti e le calzature, farsi radere barba e capelli, senza parlare dei servizi di un altro ordine, giacché essi vi si confessavano devotamente. Tutto questo è la prova tangibile che l'idea di cristianità non era allora una nozione astratta, e che la Chiesa, società originale in seno alla società laica, la animava con la forza stessa del Cristo. Quando durante il viaggio il pellegrino partecipava a una celebrazione liturgica poteva sentirsi un po' come a casa propria: le preghiere, l'architettura e gli addobbi delle chiese e delle cappelle, i quadri che illustravano la storia sacra, i colori dei paramenti liturgici, i gesti dei sacerdoti erano praticamente gli stessi ovunque. Anche chi non comprendeva ciò che si diceva in chiesa poteva sempre associarsi al momento del Kyrie eleison e del Pater noster e chiedere al Signore con la gente del luogo, e spesso a maggior ragione, il perdono e il pane quotidiano.

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Chiesa di S. Pellegrino cui si accede da un portale posto alla fine della via Francigena (oggi v. S. Pellegrino) nello Stato Città del Vaticano. (Nel catino dell’abside il Cristo Pantocratore indica con la mano destra la direzione verso la Basilica di S. Pietro ai pellegrini che, giunti a

Roma, facevano nella chiesa una breve sosta di preghiera di ringraziamento prima di recarsi sulla tomba di Pietro).

Il latino era anche la lingua dei dotti. Essi avevano così uno strumento con cui potevano comprendere i loro pari ovunque in Europa. Oltre a questo, esistevano molti altri tratti comuni nell'ambito del diritto, del-l'economia, della società, dell'arte. I conflitti e le guerre, le epidemie e le bande brigantesche rendevano certamente pericolosi i viaggi, ma si svilupparono progressivamente delle strutture che favorirono i pellegrini e migliorarono la loro sicurezza durante gli spostamenti. Lavorando duramente per secoli, milioni di uomini rimasti per lo più anonimi trasformarono il paesaggio naturale in paesaggio culturale; i monasteri contribuirono a trasformare il territorio e a far sorgere degli insediamenti anche in zone isolate. A partire dall'epoca delle grandi invasioni in diverse regioni le borgate o i villaggi erano a un tiro di voce, i monasteri non di rado a un giorno di cammino. In un ambiente scarsamente popolato si andava ovviamente incontro a spiacevoli sorprese che allungavano i tempi dei viaggi: qui una strada era smottata e non era stata riaperta, là il barcaiolo era morto senza che nessuno l'avesse sostituito. Se invece su una certa strada o in un determinato luogo passava molta gente, valeva la pena di sfruttare la bellezza dell'ambiente e migliorare le infrastrutture. Così si impegnavano capitali e lavoro per costruire strade, ponti, locande. A questi miglioramenti dell'infrastruttura erano interessati, in primo luogo, i prìncipi, i soldati e i mercanti; in secondo luogo, gli artigiani, i quali dal tardo Medioevo in poi dovevano spesso trascorrere in altri paesi uno dei loro tre anni di formazione, e ovviamente i pellegrini. Più la regione era abitata più speditamente si procedeva. Strade e sentieri collegavano città e villaggi, monasteri e ospizi. Nel tardo Medioevo, in molte regioni la rete stradale era così fitta che non era difficile cambiare strada quando si veniva a sapere che in un certo luogo vi era un pericolo o in un altro un ponte era stato portato via dalla corrente o la strada era stata sepolta da una slavina. Le persone interessate ai pellegrinaggi diedero un notevole contributo al miglioramento delle infrastrutture; la Guida del pellegrino di Santiango3 giunge a dire che coloro che hanno costruito strade, ponti e ospizi si sono meritati il paradiso, proprio come i santi. Al fiorire degli albori del secondo millennio il processo subì una forte accelerazione. La crescita delle città, gli insediamenti nella parte orientale dell'Europa, la Reconquista e le Crociate sono tutti indizi di una crescita della popolazione. Contemporaneamente si instaurò, soprattutto nelle città, una differenziazione in campo sociale e artigianale. Singole persone e interi gruppi riuscirono a liberarsi sempre più dalla loro condizione servile, al punto da poter decidere, finalmente "liberi", dove vivere e lavorare. Ciò valeva per la gente delle campagne, per i lavoratori di alcune "corporazioni", ma soprattutto per coloro che abitavano in città. All'inizio del Medioevo i viandanti erano ancora relativamente pochi; essi erano ospitati per lo più gratuitamente. Ma al nascere del secondo millennio in poi il numero dei viandanti subì una forte impennata, anche grazie ai pellegrinaggi organizzati. Le folle che ora percorrevano le strade non potevano più essere ospitate e sfamate in cambio di un semplice "grazie". Anche a nord

3 Con il titolo Guida del pellegrino di Santiago, opera di un chierico francese e probabilmente scritta attorno all’anno 1140, viene da tempo indicata la quinta parte di un importantissimo manoscritto conservato nella cattedrale di Santiago de Compostela, in Spagna, cioè il Liber Sancti Jacobi noto anche con il nome di Codex Calixtinus grazie a un’epistola, considerata apocrifa, di Papa Callisto, che occupa i primi due fogli del codice stesso, là ove il testo esordisce con le parole «Comincia il libro quinto di San Giacomo Apostolo», secondo la tradizione evangelizzatore del paese iberico.

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delle Alpi furono introdotte locande a pagamento. E tuttavia ancora per secoli i monasteri, gli ospizi e i privati hanno continuato a ospitare gratuitamente i pellegrini. A partire dal XII secolo sia le signorie territoriali, che si andavano lentamente consolidando, sia le città, i mercanti e i pellegrini, gli umanisti e gli artisti erano interessati a che sulla pubblica via regnasse il diritto e l’ordine. A partire dal tardo Medioevo i pellegrini e i viandanti in genere poterono disporre di uno strumento di cui non avevano potuto beneficiare gli uomini dei secoli precedenti. Grazie alla disponibilità di cartine geografiche a stampa, e quindi anche più economiche, era possibile farsi un'idea abbastanza precisa delle distanze, spesso addirittura delle difficoltà di un viaggio ( a t traversamento di fiumi e montagne) e non si era quindi più in balìa di vaghe informazioni. Sulla cartina delle strade per Roma di Erhard Etzlaub, che copre l'Europa centrale e l'Italia, si possono leggere «le distanze delle città e le lunghezze dei corsi fluviali»4.

Via Francigena o “Francesca", letteralmente "strada originata dalla Francia"

Il ritorno dall’Anno Santo ( L. Deluse – Galerie du Palais Royal)

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Erhard Etzlaub (nato nel c.1455 [?] -1465 A Erfurt; morto 1532 a Norimberga), è stato un astronomo, geodeta, cartografo e medico.

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3. Francesco d’Assisi

Francesco annuncia il perdono di Assisi dalla pala Il perdono di Assisi, di Prete Ilario da Viterbo (1393), conservata nell’abside della Porziuncola,

Basilica di Santa Maria degli Angeli, Assisi;

In un tale contesto socio culturale vive Francesco d’Assisi nato tra il 1181 e il 1182 nell'ambiziosa famiglia dei Bernardone, curato con premura dalla mamma affettuosa e viziato dal padre affarista e deve diventare anche un abile uomo d'affari, perciò il padre lo manda alla scuola parrocchiale di San Giorgio, dove impara a cantare, scrivere e leggere. A quell'epoca i libri scolastici in uso per imparare a leggere erano il Salterio e i Vangeli. Nessuna meraviglia, dunque, se più tardi sarà in grado di citare all'occorrenza versi di salmi e passi dal Vangelo. Ma non si tratta solo di una pura e semplice abilità linguistica unita a capacità mnemonica. C'è un divario notevole tra erudizione e sapienza del cuore, conoscenza e vita. Inizialmente, oltre allo studio, può ampiamente dedicarsi allo sport e al gioco, alle feste e alle vacanze. Essendo Francesco, per natura, cortese nei modi e garbato, generoso e gioviale, senza difficoltà viene eletto leader della gioventù. L'agiatezza lo porta, nei primi tempi, a una vita dissoluta, che lo vede sperperare buona parte del patrimonio. A tutti è chiaro che Francesco, piccolino di statura, diventerà un giorno grande. Francesco non è solo il figlio del commerciante Bernardone, ma anche del suo tempo, segnato da molti rivolgimenti politici, sociali, ecclesiali, religiosi: c'è fermento dovunque. Nell'alto della fortezza che sovrasta Assisi, risiede il governatore dell'imperatore di Germania Federico, simbolo della dominazione straniera feudale. In sua assenza, Francesco partecipa alla distruzione della fortezza da parte degli abitanti del luogo. Tuttavia, dopo la liberazione dal dominio straniero, nel 1199 si giunge persino alla guerra civile: i minores scacciano dalla città i maiores per nascita e possedimenti, i quali fuggono a Perugia, rivale di Assisi, dove

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organizzano la controffensiva. Nel 1202 si giunge alla battaglia presso Collestrada che termina con la disfatta di Assisi, nella quale Francesco cade prigioniero. Dopo più di un anno, torna a casa malato, probabilmente dopo essere stato riscattato dal padre. La malattia si protrae a lungo, mettendo in dubbio tutto. Francesco vuole cavalcare verso le Puglie, per unirsi alle truppe papali che combattono contro l'imperatore. Sogna l'amore cavalleresco e la gloria delle armi5. Tuttavia, giunto a Spoleto, circa 40 km da Assisi, inverte del tutto la direzione di marcia, perché un altro gli sbarra la strada: mentre riposava, nel dormiveglia intese una voce interrogarlo dove fosse diretto. Francesco gli espose il suo ambizioso progetto. E quello: "Chi può esserti più utile: il padrone o il servo?". Rispose: " il padrone ".Quello riprese: "Perché dunque abbandoni il padrone per seguire il servo, e il prìncipe per il suddito?". Allora Francesco interrogò: “Signore, che vuoi ch'io faccia?". Concluse la voce: "Ritorna nella tua città e là ti sarà detto cosa devi fare". (...) Spuntato il mattino, in gran fretta dirottò il cavallo verso Assisi, lieto ed esultante. E aspettava che Dio, del quale aveva udito la voce, gli rivelasse la sua volontà, mostrandogli la via della salvezza. Ormai il suo cuore era cambiato. Non gl'importava più della spedizione in Puglia: solo amava di conformarsi al volere divino (3 Comp 6: FF 1401). Non si butta a capofitto in una nuova avventura, ma prende tempo per riflettere, rimanendo saldo nel suo proposito. Da questa riflessione matura in lui la convinzione di lasciarsi guidare da Dio, che tiene in mano le redini della sua vita. In questa fase del suo cammino di ricerca, Francesco dimostra una notevole apertura e prontezza di carattere. Nonostante sia animato da un forte entusiasmo per la cavalleria, Francesco è rimasto e rimane l'uomo dell'ascolto interiore, premessa fondamentale di qualunque preghiera. La fede scaturisce dall'ascolto. Mentre Francesco, mosso da anelito religioso, da spazio al tesoro fino allora nascosto della fede, si profilano possibilità del tutto nuove. A questo punto entrano in scena i poveri e, proseguendo nel passo citato, si evidenzia che i tre compagni colgono il legame esistente tra ricorso alla preghiera e scoperta dei poveri: aveva sempre beneficato i bisognosi, ma da quel momento si propose fermamente di non rifiutare mai l'elemosina al povero che la chiedesse per amore di Dio, e anzi di fare largizioni spontanee e generose. A ogni misero che gli domandasse la carità, quando Francesco era fuori casa, provvedeva con denaro; se ne era sprovvisto, gli regalava il cappello o la cintura, pur di non rimandarlo a mani vuote. O essendo privo di questi, si ritirava in disparte, si toglieva la camicia e la faceva avere di nascosto all'indigente, pregandolo di prenderla per amore di Dio (3 Comp 8: FF 1403).

Nell’immagine l’itinerario della visita delle Sette Chiese in un'antica incisione a bulino del 1575 di Etienne Du Perac, Istituto nazionale per la grafica, Gabinetto nazionale dei Disegni

e delle Stampe, Roma. I pellegrini partivano da San Pietro e si congedavano a Santa Maria Maggiore, visitando nell'ordine San Pietro, San Paolo fuori le Mura,

San Sebastiano, San Giovanni in Laterano; Santa Croce in Gerusalemme, San Lorenzo fuori le Mura, Santa Maria Maggiore

A casa prepara la tavola con alcuni pani in più per l'eventuale mendicante di passaggio e indossa gli abiti di un povero per sperimentare in prima persona che cosa significhi dover mendicare (cfr. 3 Comp 8-10). Usò

5 Cavalleria: vedi appendice

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questo travestimento a Roma nel 1206, in occasione di un pellegrinaggio alla tomba di San Pietro. Anche i pellegrinaggi quindi assumono importanza per il suo cammino religioso e sono la chiara espressione della sua ricerca e del suo progresso interiore. Il cambiamento di luogo stimola anche il cambiamento interiore. Andare in pellegrinaggio è pregare con i piedi. Chi viaggia a piedi, prende con sé solo il necessario. Procedendo nel cammino, il suo animo si fa più leggero e , liberandosi da qualunque sentimento di ostilità, si colma a poco a poco di pace. «Come sono belli sui monti i piedi del messaggero di lieti annunzi che annunzia la pace»(Is 52,7; Rm10,15). E quì iniziano i nostri passi sulle strade romane percorse da San Francesco all’inizio della sua vicenda “francescana” giunta attraverso l’ordine minoritico fino ai nostri giorni.

4. Francesco in pellegrinaggio alla tomba di San Pietro

Nel Medioevo Roma è una grande metropoli ridotta ad appena cinquantamila abitanti, ma che conservava , sia pur abbandonati e diruti , strutture e servizi per oltre un milione di abitanti. È da stupirsi che una piccola città riuscisse a sopportare in un anno due milioni di pellegrini. Trentamila forestieri, dicono le cronache, entravano ed uscivano dalla città ogni giorno. Vi furono persino duecentomila persone alloggiate tutte assieme in alcune occasioni. Cifre incredibili, ma nella cultura antica e medievale il popolo pellegrinante non è una metafora, ma un fatto reale. E’ da dire anche che ai tempi di Gesù, tutti gli anni, tutti gli ebrei, cioè un milione di persone, andavano a Gerusalemme a mangiare la Pasqua. Le strabilianti cifre del giubileo romano sono una piccola cosa, rispetto a ben precise realtà storiche.Fino all'anno santo del 1300, sono quattro i poli terminali per la via dei pellegrinaggi:

1) Gerusalemme, dove, si manifestò la Dabàr Jhavè (parola creatrice di Dio) cioè il dicere Dei est facere di S. Tommaso.

2) San Michele Arcangelo, nel Gargano, dove si manifestò il Cristo apocalittico.

In queste due località è riassunta tutta la storia della salvezza, ed è certo singolare che le crociate partano dalla Puglia, a pochi chilometri dal Gargano, dopo che i guerrieri hanno fatto visita generalmente al mitico santuario.

A completare questo bilanciamento bilaterale dell'inizio e della fine dei giorni, stanno altre due località che sottolineano la tradizione della chiesa.

3) Roma, dove la Besoreta6, l'annuncio orale si incardina in Kephas (lat. Pietro).

4) Santiago de Compostela, in Galizia, dov'è la tomba di Giacomo, fratello di Giovanni, che secondo la tradizione si fece missionario fino ai confini estremi della terra. La perfezione cristiana esige, dunque, quattro pellegrinaggi.

Ne abbiamo una testimonianza concreta in Francesco d'Assisi, che viene a Roma, va in Spagna, a San Michele, infine in Terra Santa, e non certo per combattere o convertire i turchi. L'anno santo del 1300 si pone come un concentrarsi a Roma delle vie dei pellegrinaggi. Infatti la Spagna si emargina sempre più dal resto d'Europa a causa dei suoi legami con il mondo orientale. Il pellegrinaggio a Gerusalemme è difficile per motivi obiettivi, tolta la parentesi del possesso della Palestina da parte dei predoni cristiani. Tra l'Undicesimo secolo ed il 1300 il terminale della via dei pellegrinaggi viene spostato da San Michele, luogo privilegiato per l'incontro dell'uomo con Dio, si va per incontrare il Cristo apocalittico, a Roma. In questo contesto culturale e sociale il giovane Francesco nel pellegrinaggio annuale a Roma con la sua famiglia, giungendo nella città del papa avrà modo di imbattersi presso la piazza del Laterano con la statua equestre di Costantino (come tale e non come monumento di Marc'Aurelio veniva letta nel 1300), l'imperatore che si

6 Negli scritti biblici cristiani la parola Vangelo usata da s. Marco e s.Paolo corrisponde al termine ebraico di besoreta che descrive la predicazione orale dei rabbini: coloro che hanno per missione d’interpretare la Torà.

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sottomise, che sottomise il dominio temporale al papa come confermano in modo inoppugnabile poche centinaia di metri più in là, in una strada che è un passaggio obbligato per i romei, gli affreschi dei SS. Quattro Coronati, con le scene della donazione di Costantino. Sulla piazza c'è anche la loggia delle benedizioni, alta, su tre colonne, cariche di significati simbolici in una religione trinitaria: Bonifacio VIII che si affaccia alla loggia per indire il giubileo poggia il proprio potere sul Padre, sul Figlio, sullo Spirito Santo.

Giacomo Grimaldi, Bonifacio VIII si mostra alla folla dalla loggia delle Benedizioni del Laterano - Fine del XVI secolo, disegno acquarellato

su carta, 440x300 mm Milano, Biblioteca Ambrosiana

La riproduzione della la loggia riportata in figura dà la chiave di lettura del clima religioso nel quale era immersa la società medievale fino al XIV sec. Il papa, isolato con i suoi chierici, è sotto il baldacchino. Il potere religioso, visto in chiave rigidamente gerarchica, è ai lati del papa. La croce, i flabelli, le armi come un insieme relazionale. Il popolo stupito (ma, data la diversità dei personaggi rappresentati, è meglio dire: la vita di ogni giorno nelle sue varie componenti sociali) è in basso. Per entrare nel tempio, nella religione, attraverso le tre colonne, è necessaria la benedizione, il consenso del papa, supremo magistrato. Tale rappresentazione indica con estrema chiarezza che non c'è più bisogno di ricercare i segni della chiesa apocalittica, e quindi non c'è più bisogno di andare a San Michele o a Gerusalemme. Non serve una chiesa pellegrinante e missionaria, e non bisogna, quindi, andare a Santiago (non a caso il santuario della Galizia comincia a subire profonde trasformazioni e diventa luogo da esplosioni taumaturgiche). Roma basta a tutto7.

Pellegrini a Roma durante il Giubileo del 1300

7 (Estratto dal volume: Roma anno 1300, Atti del Congresso Internazionale di Storia dell'Arte Medievale, Roma 19-24 Maggio 1980, "L'Erma" di Bretschneider, Roma 1983)

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Dalle Fonti Francescane ricaviamo questo momento in cui Francesco fa l’esperienza di pellegrino a Roma:«Tornato che fu dunque ad Assisi, dopo alcuni giorni, i suoi amici lo elessero una sera loro signore, perché organizzasse il trattenimento a suo piacere. Egli fece allestire, come tante altre volte, una cena sontuosa. Terminato il banchetto, uscirono da casa. Gli amici gli camminavano innanzi; lui, tenendo in mano una specie di scettro, veniva per ultimo, ma invece di cantare, era assorto nelle sue riflessioni. D'improvviso, il Signore lo visitò, e n'ebbe il cuore riboccante di tanta dolcezza, che non poteva muoversi né parlare, non percependo se non quella soavità, che lo estraniava da ogni sensazione, così che (come poi ebbe a confidare lui stesso) non avrebbe potuto muoversi da quel posto, anche se lo avessero fatto a pezzi. Gli amici, voltandosi e scorgendolo rimasto così lontano, lo raggiunsero e restarono trasecolati nel vederlo mutato quasi in un altro uomo. Lo interrogarono: “A cosa stavi pensando, che non ci hai seguiti? Almanaccavi forse di prender moglie?”. Rispose con slancio: “E' vero. Stavo sognando di prendermi in sposa la ragazza più nobile, ricca e bella che mai abbiate visto”. I compagni si misero a ridere. Francesco disse questo non di sua iniziativa ma ispirato da Dio. E in verità la sua sposa fu la vita religiosa, resa più nobile e ricca e bella dalla povertà. E da quell'ora smise di adorare se stesso, e persero via via di fascino le cose che prima amava. Il mutamento però non era totale, perché il suo cuore restava ancora attaccato alle suggestioni mondane. Ma svincolandosi man mano dalla superficialità, si appassionava a custodire Cristo nell'intimo del cuore, e nascondendo allo sguardo degli illusi la perla evangelica, che intendeva acquistare a prezzo di ogni suo avere, spesso e quasi ogni giorno s'immergeva segretamente nell'orazione. Vi si sentiva attirato dall'irrompere di quella misteriosa dolcezza che, penetrandogli sovente nell'anima, lo sospingeva alla preghiera perfino quando stava in piazza o in altri luoghi pubblici. Aveva sempre beneficato i bisognosi, ma da quel momento si propose fermamente di non rifiutare mai l'elemosina al povero che la chiedesse per amore di Dio, e anzi di fare largizioni spontanee e generose. A ogni misero che gli domandasse la carità, quando Francesco era fuori casa, provvedeva con denaro; se ne era sprovvisto, gli regalava il cappello o la cintura, pur di non rimandarlo a mani vuote. O essendo privo di questi, si ritirava in disparte, si toglieva la camicia e la faceva avere di nascosto all'indigente,. pregandolo di prenderla per amore di Dio. Comperava utensili di cui abbisognano le chiese e segretamente li donava ai sacerdoti poveri. In assenza del padre, quando Francesco rimaneva in casa, anche se prendeva i pasti solo con la madre, riempiva la mensa di pani, come se apparecchiasse per tutta la famiglia. La madre lo interrogava perché mai ammucchiasse tutti quei pani, e lui rispondeva ch'era per fare elemosina ai poveri, poiché aveva deciso di dare aiuto a chiunque chiedesse per amore di Dio. E la madre, che lo amava con più tenerezza che gli altri figli, non si intrometteva, pur interessandosi a quanto egli veniva facendo e provandone stupore in cuor suo. In precedenza ci teneva a riunirsi alla brigata degli amici, quando lo invitavano, e amava tanto le compagnie, che si levava da tavola appena preso un boccone, lasciando i genitori contristati per la sua partenza inconsulta. Adesso invece non aveva cuore che per i poveri: amava vederli e ascoltarli per distribuire aiuti generosi. La grazia divina lo aveva profondamente cambiato. Pur non indossando un abito religioso, bramava trovarsi sconosciuto in qualche città, dove barattare i suoi abiti con gli stracci di un mendicante e provare lui stesso a chiedere l'elemosina per amore di Dio. Avvenne in quel torno di tempo che Francesco si recasse a Roma in pellegrinaggio. Entrato nella basilica di San Pietro, notò la spilorceria di alcuni offerenti, e disse fra sé: “Il principe degli Apostoli deve essere onorato con splendidezza, mentre questi taccagni non lasciano che offerte striminzite in questa basilica, dove riposa il suo corpo”. E in uno scatto di fervore, mise mano alla borsa, la estrasse piena di monete di argento che, gettate oltre la grata dello altare, fecero un tintinnio così vivace, da rendere attoniti tutti gli astanti per quella generosità così magnifica.

S. Francesco nel portico dell'antica basilica di S. Pietro a Roma

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Uscito, si fermò davanti alle porte della basilica, dove stavano molti poveri a mendicare, scambiò di nascosto i suoi vestiti con quelli di un accattone. E sulla gradinata della chiesa, in mezzo agli altri mendichi, chiedeva l'elemosina in lingua francese. Infatti, parlava molto volentieri questa lingua, sebbene non la possedesse bene. Si levò poi quei panni miserabili, rindossò i propri e fece ritorno ad Assisi. Insisteva nella preghiera,

Il Dono di Costantino di Raffaello mostra l'interno dell'antica basilica

affinché il Signore gl'indicasse la sua vocazione. A nessuno però confidava il suo segreto né si avvaleva dei consigli di alcuno, fuorché di Dio solo e talvolta del vescovo di Assisi. In quel tempo nessuno, in effetti, seguiva la vera povertà, che Francesco desiderava sopra ogni altra cosa al mondo, appassionandosi a vivere e morire in essa» (3Comp.7-10). Francesco, nella sua fame di una nuova gioia di vivere e di un senso più profondo, appare, inizialmente abbandonato a se stesso nella sua ricerca. Egli ogni tanto, si apparta ed esce di soppiatto fuori dalla città. Dal pendio montano del Subasio guarda, verso il basso, Assisi, il suo mondo e le sue esperienze. In questo periodo il mercante inizia, probabilmente, a dire quella preghiera, che per la prima volta lascia intuire un ascolto attento all'annuncio della chiesa e che lo accompagnerà per mesi:

Altissimo glorioso Dio, illumina le tenebre de lo core mio

et dame fede dricta, speranzaa certa e caritade perfecta

senno e cognoscemento, Signore, che faça

lo tuo santo e verace comandamento. Amen.

I sentieri che salgono verso le foreste e le ore silenziose sono il primo movimento di ricerca. Egli interroga l'«Altissimo e glorioso Signore» e si aspetta una risposta. Il travestimento davanti a San Pietro non è l'ultimo colpo di scena. Festeggiato fino a poco tempo fa come re delle feste, il mercante appare ai suoi giovani compagni di corporazione, dapprima, come un innamorato e poi, sempre più, come un estraneo. La sua ricerca di senso lo estranea dalla famiglia e dalla bottega, lo conduce tra solitari luoghi silenziosi e catapecchie di mendicanti. La vita nel centro della città ha perso i suoi ultimi colori. Francesco è disposto a rispondere agli oscuri interrogativi della sua anima e sperimenta lì , nelle grotte solitarie e nell'esperienza con i poveri , ore di luce nel regno delle ombre.

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Ritornato ad Assisi:«cominciò a svincolarsi dal proprio egoismo, fino al punto di sapersi vincere perfettamente, con l'aiuto di Dio. Trascorsi pochi giorni, prese con sé molto denaro e si recò all'ospizio dei lebbrosi; lì riunì e distribuì a ciascuno l'elemosina, baciandogli la mano. Nel ritorno, il contatto che dianzi gli riusciva repellente, quel vedere cioè e toccare dei lebbrosi, gli si trasformò veramente in dolcezza; (...) per grazia di Dio diventò compagno e amico dei lebbrosi così che, come afferma nel suo Testamento, stava in mezzo a loro e li serviva umilmente (3 Comp 11: FF 1407-08)». Effettivamente, Francesco stesso riconosce nel suo Testamento spirituale: «Il Signore dette a me, frate Francesco, d'incominciare a fare penitenza così: quando ero nei peccati, mi sembrava cosa troppo amara vedere i lebbrosi; e il Signore stesso mi condusse tra loro e usai con essi misericordia. E allontanandomi da essi, ciò che mi sembrava amaro mi fu cambiato in dolcezza d'animo e di corpo (2 Test 1-3: FF 110)». Tutta la gamma dei sentimenti viene ad essere turbata: il ribrezzo naturale di fronte alla lebbra si è tramutato in compassione e ciò che è sorprendente è che diviene per Francesco un'esperienza di gioia, oltre che di dolcezza, delicatezza e delizia. Si tratta di un' autentica esperienza mistica. Nel momento in cui domina l'istintiva repulsione e si prende cura dei lebbrosi, Francesco si scopre rinnovato. Però, come e verso dove? Francesco rimane ancora legato al passato e, nel contempo, avanza tastoni in direzione di una nuova vita.

5. Francesco e i primi compagni

Francesco e i primi compagni

«Un numero crescente di persone veniva attirato dalla schiettezza e veracità dell'insegnamento e della vita di Francesco. Due anni dopo la sua conversione, alcuni uomini si sentirono stimolati dal suo esempio a fare penitenza e a unirsi a lui, rinunziando a tutto, indossando lo stesso saio e conducendo la stessa vita. Il primo fu Bernardo, di santa memoria (3 Comp 27: FF 1429-30»).Presto lo seguirono il canonico ed esperto di diritto Pietro Cattani, il sacerdote Silvestro, il contadino Egidio e, più tardi, altri tre uomini di Assisi: Sabatino, Morico e Giovanni da Capella, cosicché, passati appena pochi mesi, si erano riuniti attorno a Francesco sette compagni, dopo che aveva pubblicamente e spontaneamente rinunciato alla sua eredità davanti davanti al vescovo e persino restituito al padre gli ultimi indumenti. Dal momento che non voleva decidere da solo come dovessero i vere, insieme a Pietro e a Bernardo cercò consiglio nel "Libro della Vita", che già in precedenza gli si era manifestato come rivelazione. Alla maniera di coloro che erano sprovvisti della Bibbia allora in uso, nella i chiesa di San Nicolò, aprirono per tre volte il Vangelo, «e perciò pregavano devotamente il Signore affinchè mostrasse la sua volontà alla prima apertura del libro (3 Comp 28: FF 1430; LegM 3,3: FF 1054)↕». Mentre interpellavano con spirito di fede il Vangelo, cadde loro sott'occhio il consiglio di Gesù al giovane ricco di vendere tutti i suoi beni e di distribuirne il ricavato ai poveri (cfr. Mt 19,21), poi la pericope relativa alla missione dei discepoli (cfr. Le 10,1-8) e, infine, la parola di Gesù: "Se qualcuno vuoi venire dietro a me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua" (Mt 16,24). Questi passi formeranno il cuore della Regola

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francescana (cfr. Rnb 1,2-3: FF4; Rb2,5: FF 77; Rb 3,13-14: FF 85-86). Francesco, che alla Porziuncola8 aveva ricevuto chiarezza per sé, quando udì il Vangelo della missione degli apostoli, si attendeva a quel punto di ricevere dalla Bibbia indicazioni anche per la sua comunità in crescita. Si accostò a questo libro, nell'attesa che Dio gli parlasse. Perciò, prima di leggere, chiese illuminazione e, alla fine, concluse la preghiera con il ringraziamento per il dono della parola ricevuta, così convinto di poter costruire la sua vita sulle fondamenta del Vangelo che, dopo aver consultato la Bibbia, rivolgendosi a Bernardo e a Pietro, dice: «Fratelli, ecco la vita e la regola nostra, e di tutti quelli che vorranno unirsi noi. Andate dunque e fate quanto avete udito (3 Comp 29: FF 1431)». La prima stesura (Regola non bollata) comincia con le seguenti parole: «Questa è la vita del Vangelo di Gesù Cristo, che frate Francesco chiese che dal signor papa Innocenzo gli fosse concessa e confermata (Rnb 0,2: FF 2)».E non appena divennero otto, Francesco li inviò a due a due, per le strade sconfinate del mondo, in tutte le direzioni, da nord a sud, da oriente a occidente: «Andate, carissimi, a due a due per le varie parti del mondo e annunciate agli uomini la pace e la penitenza in remissione dei peccati; e siate pazienti nelle persecuzioni, sicuri che il Signore adempirà il suo disegno e manterrà le sue promesse. Rispondete con umiltà a chi vi interroga, benedite chi vi perseguita, ringraziate chi vi ingiuria e vi calunnia, perché in cambio ci viene preparato il regno eterno ". Ed essi, ricevendo con gaudio e letizia grande il precetto della santa obbedienza, si prostravano davanti al beato padre, che, abbracciandoli con tenerezza e devozione, diceva ad ognuno: "Riponi la tua fiducia nel Signore ed Egli avrà cura di te". Questa frase egli ripeteva ogni volta che mandava qualche frate ad eseguire l'obbedienza ( I Cel 29: FF 366-367)».Coloro che erano stati mandati si prostrarono davanti a Francesco col volto a terra, lasciandosi rialzare e abbracciare da lui. Consegnò loro una parola che li accompagnasse lungo il cammino, tratta dal Salmo 54,23 e perfettamente conforme alla loro situazione. Nella precarietà della loro esistenza, non sapendo spesso al mattino dove mangeranno.

Il primitivo convento dei frati attorno alla Porziuncola (ricostruzione ideale di Francesco Providoni, sec. XVII)

8 A pochi chilometri da Assisi si erge la Basilica di Santa Maria degli Angeli, sorta tra il 1569 e il 1679 inglobando l'insieme delle strutture del conventino francescano costruito a ridosso della Porziuncola, toponimo che almeno dal 1045 individuava la zona ai piedi della cittadina (nota più propriamente come Cerqueto de Portiuncula, a causa della sua collocazione tra le selve). Il nome indicava anche l'antica cappella di Santa Maria degli Angeli che, come narra san Bonaventura da Bagnoregio nella Legenda major, Francesco scelse a sua dimora perché "in quel luogo erano frequenti le visite degli spiriti celesti". I biografi di Francesco riportano all'unanimità che questo luogo fu amato dal santo più di ogni altro, tanto che vi scelse di morire e lo raccomandò ai suoi frati come uno dei più cari alla Vergine. Vera culla del francescanesimo, la Porziuncola fu sempre il luogo tra i più sacri della devozione francescana, tanto che papa San Pio V, dopo la conclusione del grande concilio di Trento, decise di costruire una magnifica basilica al fine di offrire adeguata accoglienza alle moltitudini di pellegrini che vi accorrono in occasione della solennità dell'indulgenza del Perdono.

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6. Patriarchium

La donazione di Costantino, Chiesa dei Santi Quattro Coronati, oratorio di san Silvestro.

La zona che comprende la basilica di San Giovanni in Laterano, il Palazzo Apostolico Lateranense, il Santuario della Scala Santa, il battistero e l'ospedale, attualmente divisa tra il rione Monti e il rione Esquilino, è situata alle pendici sud-orientali della collina del Celio. L'area suburbana fu abitata in età imperiale dalla famiglia patrizia dei Laterani, da cui derivò il toponimo che conserva ancora oggi. All'inizio del IV secolo Costantino scelse il sito, ormai compreso all'interno delle mura aureliane ma comunque periferico, per erigervi la grande basilica cattedrale in origine dedicata al Salvatore e il vicino battistero. Il Laterano divenne così il centro ufficiale della vita politica, liturgica, amministrativa e culturale della curia romana, accogliendo verosimilmente già da quel periodo la sede del pontefice e della sua corte. L'origine e l'ubicazione del primo nucleo della residenza episcopale, da ricercarsi con ogni probabilità in una delle strutture preesistenti delle ricche domus (aedes Laterani, poi domus Faustae?) confluite nel demanio imperiale, è ancora una questione irrisolta per l'imprecisione delle fonti documentarie e la scarsità di resti archeologici pertinenti. Nell'altomedioevo il complesso episcopale si sviluppa a nord-est accanto alla basilica, in uno spazio molto più ampio rispetto all'attuale Palazzo Apostolico, con accrescimenti e abbellimenti documentati nel tempo; inizialmente menzionato con il termine di episcopium lateranense fu chiamato in seguito, dalla fine del VII secolo, patriarchium e, dal IX, palatium9. Lo splendido palazzo papale oltre a comprendere gli appartamenti privati e la cappella del pontefice (più tardi detta Sancta Sanctorum) era dotato di aule di rappresentanza e di riunione (triclini, basiliche), oratori, vani amministrativi e assistenziali, fabbricati di servizio, collegati tra loro con corridoi, cortili, porticati, scalinate. La sua configurazione planimetrica come la collocazione topografica di alcuni ambienti menzionati dalle fonti è tuttavia, allo stato attuale degli studi, incerta e ipotetica.

9 Eugenio III (1145-1153) fece costruire sul fianco settentrionale della basilica il palatium novum, come residenza pontificia. Tale palazzo venne

ampliato dal papa Innocenzo III (1198-1216), che varie volte dovette lasciare il palazzo del Laterano per rifugiarsi nel settore leonino, a causa delle frequenti rivolte del popolo romano. Francesco non poté quindi vedere tutta la mole di costruzioni che vediamo oggi. Il loro sviluppo si registrò infatti

dopo il ritorno dei papi da Avignone (1377), quando stabilirono la curia pontificia sul colle Vaticano, abbandonando definitivamente i palazzi del Laterano, che non erano in condizione di essere abitati, pur seguitando la basilica di San Giovanni a essere sede della cattedra del papa come vescovo

di Roma.

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Il variegato organismo palaziale, su due piani, si componeva di una parte 'privata' più antica e più interna ad oriente, ed una più esterna di rappresentanza ad occidente, affacciata sulla spianata irregolare del Campus Lateranensis; nel Campus erano esposti, a memoria dell'antica grandezza di Roma, le preziose sculture bronzee (la Lupa, la testa di Costantino con la mano e il globo, il Camillo, lo Spinario) donate più tardi (1471) da papa Sisto IV al Comune della città, e la statua equestre di Marco Aurelio, trasferita in Campidoglio nel 1538. Nel Medioevo il Patriarchìo prese l'aspetto di una cittadella fortificata con torri e alti muraglioni; visitato da re, imperatori, santi e personaggi importanti del tempo, fu teatro di vicende memorabili per la Chiesa - come la celebrazione dei concili, l'approvazione della regola francescana e l'indizione del primo giubileo (1300) da parte di Bonifacio VIII - e altresì di scontri violenti tra fazioni avverse per la successione al soglio pontificio. Nel Trecento durante l’"esilio" avignonese del papato (1309-1377), il palazzo subì un progressivo decadimento, colpito anche dagli incendi del 1308 e del 1361. La curia papale di ritorno a Roma decise di trasferire definitivamente la sua sede al Vaticano, dove già nel secolo precedente era stata spostata per alcuni periodi. Papa Sisto V tra il 1585 e il 1589 incaricò Domenico Fontana di abbattere l’intero complesso in rovina, rinnovando l’assetto urbanistico dell’area sottostante conservato ancora oggi nella piazza di San Giovanni in Laterano.

M. van Heemskerck, Il Campus Lateranensis con la statua di Marco Aurelio e i palazzi del Patriarchio

7. Innocenzo III: un grande papa

Francesco dal signor Papa Innocenzio III

Mancherebbe una tessera di alto pregio al mosaico medievale se non si presentasse con una certa ampiezza la figura di uno dei più creativi fra i pontefici di quell'epoca: Innocenzo III, Lotario dei conti di Segni. Era il più giovane dei cardinali (trentotto anni) appena diacono, quando fu eletto papa all'unanimità, al secondo

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scrutinio (1198). Aveva studiato con passione filosofia e teologia a Parigi, poi diritto romano e canonico a Bologna. Al termine degli studi tornò a Roma, dove ben presto, per la sua intelligenza, cultura e pietà, venne creato cardinale. Scrisse varie opere di ascetica, di liturgia, di diritto. Egli fu innanzitutto un uomo di Dio, sorretto da una fede profonda. Soffrì per i molti problemi che la sua missione gli impose di affrontare. Scrisse a tanti vescovi ed abati e implorava preghiera e penitenza, affinchè non si rendessero schiavi del peccato e del disonore. Volle essere non un "padrone", ma un vero servo dei servi di Dio. Si occupò molto dei poveri, degli ammalati, dei senzatetto, perfino delle prostitute. Le sue prime e maggiori premure le rivolse verso la conversione degli eretici, verso la riconquista della Terra Santa e quindi alla difesa dell'Europa cristiana, insidiata dai Turchi musulmani, verso la riforma dei costumi nell'ambito degli ecclesiastici, vescovi, sacerdoti e religiosi, non sempre irreprensibili. Quando il Signore gli donò undici compagni, è dal signor papa Innocenzo III che Francesco si recò con loro a Roma tra il 1209 e il 121010, per sottoporre la sua breve Regola. Come prevedibile, non fu facile per il gruppetto dalle vesti dimesse, ricevere la conferma. Qui vi incontrerà il vescovo Guido di Assisi, che lo metterà in contatto col cardinale Giovanni di San Paolo. Questi, a sua volta, gli ottiene un'udienza dal papa , che approva infine a voce la protoregola, a lui presentata, come lo stesso Francesco riconosce nel Testamento (cfr. 2 Test 15: FF 116) e concede ai frati la tonsura ecclesiastica dando loro il permesso di predicare:«Autorizzò inoltre lui e i suoi compagni a predicare dovunque la penitenza (3 Comp 51: FF 1460)».

Innocenzo III (particolare),Raffaello Sanzio, Disputa sul sacramento, Musei Vaticani (stanza della segnatura), Affresco.

ALZATA DELL’EDIFICIO ANTICO DI S. GIOVANNI LATERANO

Domenico Castelli

(1919-1658), Alzata dell’edificio antico di S. Giovanni in Laterano o Patriarchio.

10 La basilica di San Giovanni in Laterano con i suoi dintorni è stata probabilmente il luogo di Roma più frequentato da Francesco. Si trova oggi, com'è naturale, notevolmente trasformata in rapporto a ciò che esisteva nel secolo XIII. In quel periodo il centro di Roma gravitava praticamente intorno a questa basilica, sede del vescovo di Roma, al suo battistero, dove venivano battezzati tutti i romani, e al palazzo del Laterano, sede della curia pontificia.

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Stampa realizzata per papa Innocenzio X Pamphilj (1644-1655)

Ottenute che ebbe queste concessioni, Francesco rese grazie a Dio;quindi, mettendosi in ginocchio, promise con umiltà e devozione al signor papa obbedienza e rispetto. (...) Ricevuta la benedizione da Innocenzo III, si recarono a visitare le tombe degli Apostoli (3 Comp 52: FF 1461). Ringraziamento, timore reverenziale e obbedienza che vincola al successore di Pietro caratterizzano il congedo dalla Curia. Come l'intero gruppo recatosi in petizione al Laterano fu immerso nell' atmosfera della preghiera, si coglie anche dal fatto che i dodici visitarono le tombe dei Santi Apostoli in Roma: San Pietro,San Paolo fuori le Mura, San Bartolomeo sull'Isola Tiberina e la chiesa dei Santi Apostoli nel centrocittà. I pellegrinaggi appartenevano allo stile del tempo: si facevano per penitenza, per adempiere un voto oppure qualche volta semplicemente per portare un cambiamento nella propria vita. Presso i frati minori, il pellegrinaggio era divenuto un programma di vita e infatti andavano quasi sempre per le strade come pellegrini e forestieri (Rb 6,2: FF 90; cfr. 2 Test 24: FF 122 ).

Benozzo Bozzoli. Il sogno di Innocenzo III e Conferma della regola da parte di Onorio III Affresco nella Chiesa di S. Francesco - Montefalco

La cappella papale lateranense del Sancta Santorum, gioiello di architettura e decorazione di fine Duecento, eccezionalmente conservato

all’interno del Santuario della Scala Santa, può ritenersi il degno precedente medievale della più famosa Cappella Sistina.

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Quando nel 1215, fu riunito da Innocenzo III, il concilio del Laterano IV, Francesco si recò a Roma11. Il papa non gli aveva detto di tornare a visitarlo quando la Provvidenza avesse moltiplicato i suoi? Queste condizioni sembrano appunto adempiute e certamente il grande pontefice ne fu persuaso, giacché, quando il concilio, preoccupato per l’ anarchica proliferazione degli Ordini, decise che nessuna nuova congregazione sarebbe stata approvata e che chi voleva fondare un’ associazione religiosa doveva adottare una regola già approvata, il papa dichiarò all’ illustre assemblea che per quanto riguardava i penitenti di Assisi egli aveva già dato loro il suo permesso a voce concesso la tonsura ecclesiastica e il permesso di predicare12. Dopo l'approvazione della Regola da parte del papa Francesco pieno di gioia si diresse ex Urbe in orbem: «partì da Roma con i fratelli, dirigendosi alla evangelizzazione del mondo (3 Comp 53: FF 1462)»13. Si divisero e più il Signore moltiplicava il loro numero e più aumentavano le terre nuove in cui gettare il seme della parola di Dio. Alcuni si recarono in Francia, altri in Spagna ed altri ancora, fra i quali Francesco, rimasero in Assisi e nei dintorni.

Francesco pieno di gioia si diresse ex Urbe in orbem: «partì da Roma con i fratelli, dirigendosi alla evangelizzazione del mondo (3 Comp 53:

FF 1462)».

8. Una casa madre per i fratelli

Ad Assisi nel 1211, ottenne dall'abate del monastero Benedetto, la chiesetta della Porziuncola14 dedicata a Maria, che aveva ristrutturato con le proprie mani. Essa sarebbe dovuta diventare “la casa madre" e infatti scelse Maria quale patrona dell'Ordine, il punto di convergenza della comunità che, nella sua tensione espansionistica, si diramerà in diverse direzioni. Questo luogo, in cui aveva avuto la manifestazione definitiva della sua chiamata e in cui, la notte dopo la domenica delle Palme del 1212, aveva accolto Chiara nella comunità dei penitenti, «raccomandò con affettuosa insistenza al ministro generale e a tutti i fratelli, come luogo prediletto della Vergine gloriosa fra tutte le chiese del mondo (3 Comp56:FF1465)». E’ molto probabile che Francesco abbia composto alla Porziuncola anche le due preghiere mariane che sappiamo essere sue: il Saluto alla Vergine Maria e l’Antifona mariana che precede e segue ogni inno della sua personale preghiera delle Ore: «Santa Maria Vergine, non vi è alcuna simile a te, nata nel mondo, tra le donne, figlia e ancella dell'altissimo sommo Re il Padre celeste, madre del santissimo Signore nostro Gesù Cristo, sposa dello Spirito Santo; prega per noi con san Michele arcangelo e con tutte le potenze dei cieli e con tutti i santi, presso il tuo santissimo diletto Figlio, Signore e maestro (Uff: FF 281)». Questa Antifona, come la preghiera di adorazione15, risale a un testo più antico e più breve e in Pier Damiani (1072) così si legge: 11 Sappiamo dalla Cronaca dei XXIV Generali che S. Francesco partecipò a questo Concilio insieme a S. Domenico 12

1Cel 32-34; 2Cel 16-17; LegM III, 9-10; Legm II,4; 3Comp 46-53; Anp 31-36; Legp 67; Spec 26 13 Nel 1217 S. Francesco aveva deciso di recarsi in Francia a predicare con Frate Masseo, ma prima volle venire a Roma per venerare la tomba di S.Pietro (Analecta Francescana III,10- Fioretti c. XIII) 14 Nella chiesetta della Porziuncola dedicata a Santa Maria degli Angeli, situata in un territorio circostante coperto di boschi, paludoso e disabitato, Francesco si stava preparando a rinnovare la Chiesa vivente. Ma proprio in questa cappella gli si fece incontro la chiamata definitiva, che diede alla sua missione la sua vera forma e permise la nascita dell'ordine dei Frati Minori, che peraltro all'inizio non fu affatto pensato come ordine religioso, ma come un movimento di evangelizzazione che doveva raccogliere di nuovo il popolo di Dio per il ritorno del Signore. 15

Ti adoriamo,Signore Gesù Cristo, quì e in tutte le tue chiese che sono nel mondo intero e ti benediciamo,perché con la tua santa croce hai redento il mondo.

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«Maria Vergine, non vi è alcuna simile a te nata nel mondo fra le donne splendente come una sposa, profumata come un giglio, prega per noi presso il tuo Figlio».

Interno della Porziuncola

9. Onorio III

Stemma pontificio di Onorio III Cencio Savelli o Sabelli

La Regola del 1221, contrassegnata da un marcato spirito evangelico, con le sue pratiche istruzioni per frati itineranti senza patria e con i suoi personali testi di preghiera o esempi di predica, subisce tuttavia considerevoli riduzioni a causa di motivi canonici, letterali e politici; questi ultimi in seno all'Ordine. Redatto in forma più concisa, più giuridica e più generica, il documento base di questo Ordine, coronato dal successo non deve solo apparire accettabile ai canonici della Curia papale, ma anche servire alla concretezza della vita sempre più pluriforme dei frati, i quali, nel frattempo, sono penetrati non solo in Siria, Sicilia, Marocco e Spagna, ma si sono affacciati anche sul canale della Manica e sono avanzati nel Sachsen (Sassonia).

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Convento di Fontecolombo

Il papa Innocenzo III, spentosi in Perugia il 16 luglio 1216, non vide coronato il suo desiderio di suggellare definitivamente la Norma di Vita dei Penitenti di Assisi. Non si può, però, dire che il grande Pontefice si disinteressasse del grande movimento iniziato e proseguito da Francesco e dai suoi seguaci, come ne fa fede il prelato francese Giacomo da Vitry, il quale così scriveva ai suoi connazionali dei frati Minori nell’estate del 1216 :« Gli uomini di questa religione si riuniscono una volta l'anno in un luogo determinato per rallegrarsi nel Signore, dove, assistiti da uomini dabbene, fanno santi statuti che vengono poi approvati dal Papa... » (WADDING, AMI, Addenda, 420). La gioia di approvare definitivamente la Regola francescana doveva arridere al successore di Innocenzo, Onorio III16 (1216-1227), sebbene tale atto si protraesse oltre ogni previsione, per via

Onorio III

delle difficoltà sorte nello sviluppo interno del nuovo movimento, senza dire che il suo Fondatore si preoccupava più della salute delle anime che dei diplomi pontifici17. I figli invece, al contrario del Padre, erano oltremodo preoccupati non vedendo sanzionata dalla suprema autorità della Chiesa la

16 Onorio III, cardinale della famiglia Savelli, è autore del « Liber censuum » per cui veniva, chiamato comunemente Cencio camerario. Venne eletto Papa in Perugia nel 1216 e morì in Roma il 18 marzo 1227. Fu oltremodo benemerito dell'Ordine, non solamente per avergli dato il cardinale Protettore nella persona di Ugolino vescovo di Ostia, ma anche per averne approvata definitivamente, il 29 novebre 1223, la Regola. Il prelato francese Giacomo Da Vitry. che fu presente in Perugia alla sua elezione, ne fa quest'elogio: «Sequente autem die [dalla sepoltura di papa Innocenze III] elegerunt cardinalem Honorium bonum senem, qui fere omnia, quae habere potert... pauperìbus eroganti... » (WADDING, AMI Addenda, 420). La bontà di questo Papa giovò molto al bene spirituale della Chiesa, mentre i regnanti se ne approfittarono per i loro particolarismi, specialmente l'imperatore Federico II. Questi cullava il Pontefice con ripetute promesse, senza in realtà mantenerne alcuna. 17 Nel 1220 di ritorno dalla Terra Santa il Poveello venne a Roma a parlare con Papa Onorio III e chiese che il Card. Ugolino fosse nominato”protettore e correttore dei frati”.

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loro norma di vita; i dolorosi episodi, però, avvenuti durante il viaggio di S. Francesco in Oriente18, convinsero finalmente il Santo a mettersi risolutamente all'opera. Da Cesario da Spira egli fece abbellire coi testi evangelici la Regola primitiva; ma la Regola risultò troppo lunga (ben ventitré capitoli). Il fine che si era proposto il Fondatore era eccellente, ma una tale Regola era troppo vaga per servire ai bisogni della moltitudine dei frati. A supplire a tale deficienza, intervenne il Signore con una visione :« Nel tempo in cui tra i frati si tenevano consigli per l'approvazione della Regola, il Santo, che ne era assai preoccupato, ebbe il sogno seguente. Gli pareva di avere raccolto da terra piccolissime briciole di pane, e di doverle distribuire tra molti frati affamati, dai quali era circondato; e mentre egli esitava a distribuirle, per timore che, piccole com'erano, gli cadessero di mano, nella polvere, una voce dall'alto gli gridò: "Francesco, di tutte le briciole forma una ostia sola e dàlla così da mangiare a chi ne vuole". E come egli ebbe ciò fatto, quelli che non ricevevano il pane con devozione, o lo disprezzavano dopo averlo preso, apparivano tosto infetti dalla lebbra. «Al mattino il Santo narra tutto ai compagni, dolendosi di non saper penetrare il significato riposto della visione. Ma dopo poco, mentre vegliava pregando, scese una voce dal cielo : "Francesco, le briciole della notte passata sono le parole evangeliche, l'ostia la Regola, la lebbra l'iniquità" » (2 CEL. n. 209).Ammonito così dal cielo, il santo Fondatore si ritira nel romitorio di Fontecolombo vicino a Rieti, in compagnia dei frati Leone da Assisi e Bonizio da Bologna, per comporre una Regola più concisa. Non fu un lavoro facile anche per l'atteggiamento di molti frati, specialmente letterati, della seconda generazione francescana. Fu necessario che l'intervento divino rassicurasse il

San Francesco riceve dalle mani di Onorio III la bolla che approva definitivamente la sua regola

Santo, essere l'opera sua quella stessa del divino Salvatore. Superate così tutte le difficoltà interne, san Francesco potè finalmente prendere la via di Roma nell'autunno del 1223. Prima di presentarsi

18 Mentre San Francesco era in Oriente (1219-1220), le innovazioni introdotte dai due suoi Vicari, Matteo da Narni e Gregorio da Napoli, come anche alcune libertà che si erano prese Filippo Longo e Giovanni da Campello, portarono grave turbamento nell'Ordine. Appena il Santo ne ebbe notizia, si affrettò a tornare in Italia e, resosi esatto conto del danno, non si rivolse ai perturbatori, ma si recò direttamente in Roma per esporre la gravita del caso alla Sede apostolica. Ma riflettendo poi che il Papa, non avrebbe, per le sue molte occupazioni, potuto occuparsi di un caso particolare di sì poca importanza e che, se il caso fosse stato rimesso alla Curia pontificia, chi sa quali pericolose conseguenze ne sarebbero potute derivare, il Santo ricorse ad una santa astuzia. Invece di chiedere udienza al Pontefice, si accoccolò davanti alla porta della sua camera, aspettando che uscisse. Dopo lunga attesa il Papa uscì e il Santo, fatta la riverenza, disse : « Padre Papa, il Signore ti dia pace ». E il Papa a lui: « il Signore ti benedica figliuolo». E il beato Francesco: «Essendo tu grande ed occupato spesso in grandi negozi, i poveri non possono recarsi spesso da te, né parlarti dei loro bisogni. Mi desti molti papi [consiglieri?], dammene uno, al quale in caso di necessità possa parlare e fargli discutere in tua vece le cose mie e dell'Ordine ». A lui il Papa: « Chi vuoi che io ti dia, figliuolo?. E lui: « II Signore di Ostia [cardinale Ugolino; del quale si parlerà appresso] ». Gli fu concesso » (Chronica fr. lordanis a Fano, A F I, 5).Il santo Fondatore, ripreso animo, andò subito dal cardinale Ugolino, suo papa, al quale riferì le cause del turbamento sorto nell'Ordine. Immediatamente furono ritirate le lettere pontificie concesse a frate Filippo, e frate Giovanni fu allontanato con grande sua vergogna dalla Curia. Furono anche rimossi dall'ufficio i suddetti suoi Vicari: così la pace e la concordia tornarono ben presto a sorridere sul volto di tutti.

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al Sommo Pontefice, il beato Padre ricorse al cardinale Ugolino, Protettore dell'Ordine19, per avere dalla sua mente e dalla sua penna un documento degno di essere sottoposto all'approvazione della suprema autorità della Chiesa. Infatti Ugolino, da eminente giurista quale era, riuscì felicemente nell'impresa, come egli stesso si compiace ricordare nella bolla da lui emanata poco dopo la sua ascensione al Soglio pontificio : «... Conoscendo noi pienamente la sua intenzione [di S. Francesco] per la lunga familiarità che ebbe con noi lo stesso Confessore; assistendolo quando compose la predetta Regola e quando ne ottenne la conferma dalla Sede Apostolica, mentre eravamo costituiti in una minore dignità... » (Bolla « Quo elongati », del 28 settembre 1230).La Regola dunque dei Frati Minori, così divinamente ispirata e canonicamente perfetta, non poteva non ottenere la piena approvazione del Sommo Pontefice Onorio III; ciò avvenne il 29 di novembre 1223. L'avvenimento è stato eternato dal divino Poeta con i seguenti versi :

«Di seconda corona redimito

Fu per Onorio da l'Eterno Spiro

la santa voglia d'esto archimandrita ». (Par. e. XI vv. 97-9).

Particolare della lapide commemorativa posta sopra la porta bronzea che riporta il nome di Onorio III Sabellus (Chiostro della basilica di San Giovanni in Laterano)

R. Lucani, San Giovanni in Laterano,Prospettive edizioni, Roma 2004

10. Ospizio di. S. Antonio iuxta Lateranum

L’ ospizio (od ospedale) era il luogo dove venivano accolti i pellegrini poveri e gli infermi. L'ospizio di. S. Antonio iuxta Lateranum annesso alla vicina chiesa dei SS. Pietro e Marcellino (all'incrocio tra via Merulana e via Labicana), fu secondo alcuni il luogo ove fu ospitato Francesco d'Assisi, quando nel 1209 venne a Roma per richiedere ad Innocenzo III l'approvazione della Regola dell'Ordine dei Minori. La posizione dell'ospedale era funzionale all'accoglienza dei pellegrini che entravano a Roma da Sud, ovvero da Porta S. Giovanni.. L’ospizio Sant'Antonio era sotto la direzione dei frati ospedalieri di sant'Antonio, che accompagnavano la corte pontificia nei suoi spostamenti, Portavano cucito sull'abito una grande T greca (la “tau”) e il loro bastone terminava in forma di T. I Trinitari affermano che

19 Al Papa Onorio si deve, come si è visto, l'istituzione dell'ufficio di cardinale Protettore di un ordine religioso. San Francesco ne aveva fatto richiesta nel 1220, e il Papa vi accondiscese con la nomina di Ugolino, vescovo di Ostia e Velletri, in momenti davvero drammatici per la nascente famiglia francescana.

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nel secolo XIII non c'era alcun ospedale vicino a San Giovanni in Laterano e che Francesco dovette cercare alloggio nell'ospizio, da loro diretto, di san Tommaso in Formis (vicino a Santo Stefano Rotondo).

Il bastone da pellegrino termina spesso con una croce a forma di tau che gli Antoniani portavano cucita sul loro abito (thauma in greco

antico significa stupore, meraviglia di fronte al prodigio)

11. La solidarietà medievale

Una società senza ospedali, senza ospizi, senza scuole, senza alberghi dove alloggiare, senza assistenza pubblica, ci sembra così strana che non pensiamo nemmeno potesse esistere. E invece senza la presenza e l'azione misericordiosa della Chiesa e, in particolare, degli ordini religiosi, tale sarebbe stata la società dalla latinità classica alla barbarie medioevale. In realtà furono proprio gli ordini religiosi, ospedalieri o monastico-militari che fossero, con i mezzi di cui disponevano a quell'epoca, che hanno assicurato la totalità dei servizi assistenziali oggi così familiari. Nel Medioevo, in effetti furono gli ordini religiosi a garantire sistematicamente l'organizzazione, non sempre rudimentale, della sicurezza sociale. I secoli illuminati (altro che "secoli bui") di quel periodo storico avevano una coscienza vivissima della grande dignità del povero e del miserabile, identificati in Lazzaro e in Giobbe. Il detto delle Beatitudini (Lc 6,20-21) era presente in tutti gli spiriti. "Chi dà ai poveri, presta a Dio", dirà, assai più tardi, Victor Hugo: ma è proprio quello che provava la sensibilità popolare medioevale che fu alla base di un'ampia diffusione delle istituzioni ospitaliere, non necessariamente e sempre monastiche, ma spesso anche laicali e confraternitali.La prima Confraternita conosciuta sotto il nome di ospitalieri o "fratelli dello spedale" non risale al di là del secolo IX. Il primo fondatore di un ordine ospitaliero, fu il senese Soror, vissuto intorno alla metà del secolo IX e molto ammirato per la sua pietà. Questi, nella sua stessa casa posta in vicinanza della cattedrale, aprì un ricovero ai pellegrini ai quali prodigava soccorsi spirituali e corporali. I concittadini, trascinati dal suo esempio, ingrandirono con nuove fabbriche quella dimora, che in breve divenne un vasto ospedale che prese il nome "della Scala" da tre gradini di marmo scoperti nello scavare le fondamenta. Alcune pie persone, che si associarono a Soror nella benefica impresa, decisero l'adozione di una regola, più tardi approvata dal vescovo diocesano e dal papa. L'esempio dell'ospedale di Siena venne imitato a Firenze, Rieti e Todi, dove Soror, in qualità di rettore, inviò confratelli e consorelle. L'ordine senese, retto da un "Consiglio dei Savii" di "Nostra Donna della Scala", prosperò e alla morte del primo rettore, che avvenne nell'anno 898, l'ospedale si trovava in uno stato di grande floridezza. E' da questa prima istituzione medievale che sorsero più tardi gli altri ordini ospedalieri .L'ospedale medievale era soprattutto opus pietatis; il suo scopo puramente caritativo. La cura del corpo era subordinata alla cura dell'anima e l'assistenza, così come l'amministrazione dell'ente ospedaliero rimase, almeno fino al XIII secolo, nelle mani dei

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religiosi. L'evoluzione delle strutture caritative dall'hospitium all'hospitalis avvenne lungo l'arco di secoli di storia della carità cristiana segnata dal più alto affollarsi di fondazioni ospedaliere: dagli xenodochia canonicali di discendenza episcopali o plebane ai monasteri dotati di hospitium per i pellegrini sulle strade della fede, dalle domus o "commende" degli ordini monastico-militari all'epoca delle crociate ai "leprosarii" degli altri ordini religiosi, dagli hospitalis delle confraternite e delle corporazioni religiose in età comunale ai "lazzaretti" temporanei fondati dalle autorità locali per fronteggiare gli scoppi delle pestilenze, dall'"ospedale grande" dell'epoca delle Signorie all'"ospedale maggiore" all'epoca delle concentrazioni ospedaliere della reformatione quattrocentesca, il basso medioevo fu un susseguirsi ininterrotto di fondazioni caritative istituite dalla attivissima misericordia cristiana dell'età di mezzo. A muovere tale affollato panorama di realizzazioni fu, fin dagli anni bui anteriori al mille, l'affermarsi di una pratica nuova introdotta nel mondo cristiano: il pellegrinaggio di devozione, mentre le antiche istituzioni monastiche benedettine altomedievali andavano declinando. Quale cristiano non ha fatto almeno un pellegrinaggio? Quale cristiano non ha sognato di andare a Gerusalemme, a Roma o San Giacomo di Compostella per entrare più direttamente in comunione con Cristo, con sua madre, con i santi, per ottenere qualche guarigione o ottenere l'indulgenza e la remissione dei peccati, per visitare la casa o la tomba di qualche nota guida spirituale? Cose tutte alle quali la Chiesa e soprattutto gli ordini religiosi si sforzarono anche nel medioevo di dare corpo. La pratica della visita a luoghi particolarmente sacri della cristianità divenne sempre più diffusa. Talvolta si viaggiava in sconto di peccati particolarmente gravi: era la peregrinatio paenitentiali. Il peregrinus poteva quindi essere di tutto, un devoto, un mercante, uno studioso, un criminale pentito, un predicatore itinerante, un bandito o un parassita. Ma la sensibilità del tempo ne faceva prima di tutto un "cercatore di Dio". Fu, quello, il tempo dei grandi santuari e delle città-santuario: Santiago de Compostela, Mont-Saint-Michel, Chartres, San Michele del Gargano, Gerusalemme .Il giorno in cui il rispetto religioso verso le reliquie mise in moto per tutta l'Europa e fino in Terrasanta migliaia di pellegrini, il rispetto letterale degli insegnamenti evangelici spinse i monaci a creare una vasta rete di strade, di ponti, di locande, di luoghi di incontro, di rifugi e di ospedali. Case monastiche furono costruite con il preciso obiettivo di provvedere, oltre al ricovero per ammalati, alla sicurezza per pellegrini, specie nei luoghi più disagiati e pericolosi delle grandi strade di comunicazione .Il "turismo" di quell'epoca era solo religioso. Religioso e pio, ma non esente da pericoli: i briganti facevano la posta ai pellegrini, i lupi non erano rari, i sentieri si rivelavano difficili e maltenuti, il clima in montagna era imprevedibile, le malattie sempre presenti. Nel gruppo stesso non tutti i pellegrini erano affidabili. Alcuni cattivi soggetti magari si erano uniti al gruppo solo perché in cerca di avventura se non per rubare. Altri erano penitenti condannati dalla Chiesa a percorrere le strade sante del perdono per espiare. Ma la conversio morum, il cambiamento radicale di costumi e di vita, si faceva sovente attendere e talvolta non avveniva. Talvolta la morte sorprendeva i pellegrini sfiniti, provati dalla fatica, dal disorientamento, dalle intemperie, dai cibi più disparati di cui si erano nutriti: le abbazie che li ospitavano avevano previsto per essi un cimitero. E, malgrado tutti questi ostacoli, le cronache riportano che nel XIII secolo un gruppo di pellegrini, provenienti addirittura dall'Islanda, raggiunse Gerusalemme. Per accogliere e proteggere i pellegrini (ad receptionem peregrinorum) sorsero nel Medioevo alcuni specifici ordini religiosi: l'Ordine dei canonici di Roncisvalle, i canonici del Gran San Bernardo che accoglievano i viaggiatori nel punto più elevato del cammino che conduce alla pianura padana, l'Ordine di San Giacomo della spada. Peraltro gli ordini già esistenti, come i cluniacensi, gli agostiniani, i cistercensi, i bernardini, i canonici regolari d'Arrouaise, avevano già disseminato le strade, ovunque esse conducevano a Roma o altrove, di ospizi, di monasteri, di alberghi. Fin dall'origine l'Ordine "sacer, candidus et canonicus" di Premontrè aveva previsto vasti asili dove i poveri potevano avere un posto, i malati le cure, i viaggiatori un riparo. Talvolta le autorità civili stesse avevano affidato ad alcuni religiosi l'incarico di costruire un ospizio "ad uso dei passanti perché il luogo che è loro concesso è pericoloso e malsicuro, vi erano omicidi, ladri e malandrini". Anche presso i camaldolesi esistette un ospedale dal 1048. Il soggiorno vi era gratuito e i salari del personale erano assicurati dalla comunità, così

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come il seppellimento dei morti si faceva a loro spese. Gli alessiani seppellivano gli appestati e si occupavano dei malati mentali. Bisogna aggiungere, oltre agli eremiti e ai claustrali evidentemente impossibile da enumerare e che furono numerosissimi, le innumerevoli comunità di suore e di frati ospitalieri, che si prendevano cura degli "hotels-dieu", degli ospedali e dei lebbrosari, e gli ordini ospitalieri destinati ad assicurare la protezione dei pellegrini che, per forza di cose, si trasformarono in ordini di monaci-soldati come gli Ospitalieri dell'Ordine di Malta nel 1118; i Templari nel 1128; i Teutonici nel 1142 e l'Ordine d'Alcantara nel 1156. Per completare questo troppo breve ritratto ricordiamo una creazione originale di quell'epoca: i monasteri doppi, che comprendevano un monastero di religiosi e un monastero di monache, rigorosamente separati, e talvolta case di penitenza per le peccatrici convertite e i lebbrosari.Gli ordini religiosi organizzarono dunque pellegrinaggi, disseminando i principali itinerari di stazioni di posta per cavalli, di servizi di ospitalità per mercanti e pellegrini, di centri di ricovero per i poveri od hospicia pauperum, di ospedali; ripari dove sostare e dove era possibile trovare persone che indicassero, nella lingua del pellegrino, la strada da seguire, i valichi da superare, i guadi da attraversare, le sorgenti di acqua potabile, le reliquie da venerare lungo il cammino, i pericoli (ed erano numerosi) da evitare.

Parte dello xenodochio longobardo che si conserva

sotto all'attuale antico hospitale per pellegrini a Calendasco

La caduta del feudalesimo provocò una crisi nelle vecchie strutture assistenziali altomedievali, monastiche e canonicali. Ancora nel Medioevo l'ospitalità conservava in Occidente caratteristiche quasi rituali, che trovano conferma e minuziose prescrizioni nell'ambito gentilizio della cavalleria e della società cortese, così come, a livelli sociali inferiori, nelle iniziative religiose cristiane volte ad alleviare difficoltà e pericoli di pellegrinaggi individuali o collettivi.Mentre da un lato gli ordini religiosi cristiani provvedevano a organizzare forme di ospitalità per i devoti, specie lungo le principali vie di comunicazione, dall'altro lato le norme di comportamento dell'aristocrazia continuano a sottolineare, almeno formalmente e fino a tempi relativamente recenti, una certa sacralità dell'ospite, non senza motivazioni che conservano a lungo il riflesso dei modelli di vita religioso-cavallereschi.Il primo ordine religioso che ebbe il nome di ospitaliero fu quello di Nostra Signora della Scala, fondato a Siena nel IX secolo e del quale abbiamo già parlato. Ma solo le crociate portarono alla fondazione di ordini religiosi istituzionalmente votati a fornire ospitalità ai pellegrini: congregazioni d'ospitalieri vennero allora fondate in gran numero in Palestina e in Europa, moltiplicando i luoghi d'asilo e di rifugio: quasi tutte adottarono la regola di Sant'Agostino, con qualche modifica per adattarla agli scopi proposti dai singoli statuti.Ordini ospitalieri celebri furono: in Terrasanta i cavalieri del Santo Sepolcro, gli ospitalieri di San Giovanni di Gerusalemme

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o di Malta, i cavalieri ospitalieri di San Cosma, i cavalieri di Santa Caterina del Sinai, gli ospitalieri del Tempio o Templari; in Francia gli ospitalieri di Sant'Antonio e quelli dello Spirito Santo; in Inghilterra i canonici ospitalieri di San Giovanni Battista a Coventry; in Italia l'Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro; in Spagna gli ospitalieri di Burgos.Tutti gli ordini militari si distinsero per avere mantello e croce: croce bianca su mantello nero gli Ospitalieri gerosolimitani, croce verde su mantello bianco l'Ordine di San Lazzaro riservato ai cavalieri lebbrosi, croce nera su mantello bianco i Teutonici e croce rossa su mantello bianco i Templari. Nel primo terzo del sec. XII, gli ordini ospitaliero-militari costruirono, specialmente lungo le grandi strade e vicino alle frontiere della cristianità, case destinate a preparare uomini di guerra, a raccogliere fondi per la crociata, ad ospitare i pellegrini. La costruzione di questi conventi-caserme, denominate commende, fu subordinata a una consuetudine ispirata dal loro scopo e dalla imitazione dell'Ordine benedettino riformato di Citeaux e la scelta del luogo era determinata dalle intenzioni caritative e militari. Vaste scuderie erano necessarie a dei cavalieri, la cappella si ingrandì quando vennero ammessi i fedeli, alla metà del XII secolo, e la sua architettura ebbe la sobrietà cistercense. Ogni guarnigione era composta di cavalieri, di guardie e di cappellani. Era governata da un commendatore che veniva nominato dal gran maestro o eletto all'unanimità secondo gli usi comuni. Alla dotazione primitiva delle commende, in generale modesta, si aggiunsero le elemosine, talvolta abbondanti e il diritto di sepoltura, confermato da Innocenzo III, favorì la moltiplicazione dei lasciti pii per la crociata, che i privilegi pontifici incoraggiarono favorendo il ministero parrocchiale dei cappellani. E' noto quale fortuna abbia potuto ammassare la banca dei Templari e con quale sfortuna finale, che doveva andare a vantaggio degli Ospitalieri.Frati contadini coltivano le terre, ma il lavoro agricolo non contribuì che esiguamente alla ricchezza degli ordini e non potrebbe essere paragonato a quello compiuto nelle grange cistercensi. Ogni paragone fra i monaci-soldati e i pacifici solitari della tradizione benedettina o canonicale renderebbe evidenti i contrasti. L'adozione parziale delle regole di Citeaux o di Sant'Agostino ebbe soprattutto valore ideale, poiché le occupazioni del cavaliere avevano poco in comune con quelle del contemplativo, dell'orante, del pastore, anche se gli ordini militari dipendevano dai canonici riformati. I Templari scelsero la regola di Sant'Agostino. Calatrava si pose nella famiglia di Morimondo, così come altre case iberiche.Il ricordo delle tremende lotte del santo monaco eremita egiziano, Antonio Abate, che aveva lottato efficacemente contro il fuoco infernale delle tentazioni di satana, suscitò sempre la devozione dei fedeli. Quel coraggioso lottatore è divenuto così il protettore di quanti trattano con il fuoco: dai fornai ai fornaciari, dai vigili del fuoco ai vulcanologi e, per similitudine, anche degli ammalati del fuoco "infernale" della malattia cutanea detta "fuoco di Sant'Antonio", un male talmente doloroso che in antico due patrizi, guariti dal "fuoco di Sant'Antonio", per avere invocato il santo Abate, fondarono addirittura una associazione religiosa, detta degli "Antonini", precisamente per curare questo morbo .Per i popoli dell'Europa settentrionale e occidentale nel IX e nel X secolo ci furono anni neri. Sulla scena della storia irruppero d'improvviso gli scandinavi, che riducevano chiese e monasteri a rovine fumanti, distruggevano le coltivazioni e razziavano il bestiame. Nella valle del Reno, inoltre, nell'857 d.C. si ebbe il primo grave episodio di ergotismo di massa, in cui migliaia di persone morirono avvelenate dall'alcaloide della segale cornuta contenuta nel loro pane quotidiano. La segale è soggetta a essere contaminata da un fungo particolarmente virulento, la "Claviceps purpurea" che in francese è detta "ergot", da cui "ergotismo". Se la segale è contaminata da questo fungo, il pane fatto con la sua farina conduce o a un dolore addominale intenso, a delirio, cancrena e morte o a quell'acuta infiammazione della pelle che nel IX secolo riduceva chi ne era colpito alla follia e fece attribuire all'ergotismo il nome, con cui è noto comunemente, di "fuoco sacro". Per un centinaio di anni a partire dall'857 l'Europa soffrì di una ventina di angosciose carestie, alcune delle quali durarono per tre o quattro anni di seguito che spinsero le popolazioni rurali a nutrirsi di pane non più di introvabile frumento, ma della infestante e pericolosa segale cornuta, che provocava il terribile "fuoco di Sant'Antonio". La devozione altomedievale a Sant'Antonio, ritenuto protettore di uomini e animali dalle malattie, si tradusse in iniziative concrete dal punto di vista assistenziale: lo

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stesso Sant'Antonio venne invocato protettore di tante strutture ospedaliere. Il culto per il santo eremita suscitò interesse anche per le sue reliquie, custodite ad Alessandria d'Egitto dal 561.

Cura in un ospizio

Molto più tardi i suoi resti vennero richiesti da Costantinopoli e poi da La Motte e Vienne in Francia, dove, nel 1100 circa, era stato fondato l'Ordine degli Ospitalieri di Sant'Antonio. Questo divenne una meta di pellegrinaggio per malati di ergotismo, chiamato "fuoco di Sant'Antonio". Gli ospitalieri, che vestivano abiti neri con una croce blu a forma di T, si diffusero in gran parte dell'Europa occidentale. Erano soliti andare a cavallo e suonare campanelli per ottenere elemosine; successivamente le campane venivano appese al collo degli animali come protezione delle malattie. Per uno speciale privilegio i maiali appartenuti all'Ordine potevano girare liberamente nelle strade: da ciò deriverà la più tarda iconografia di Sant'Antonio, recante l'emblema di maiali e campane. Le prime raffigurazioni artistiche, comunque, rappresentarono l'incontro di Antonio e Paolo, come si può notare nella Croce di Ruthwell (circa il 750), nelle otto grandi croci irlandesi precedenti l'anno Mille e nei vetri istoriati di Chartres. Vite illustrate del santo esistono tuttora a La Valletta di Malta e Firenze, dove gli artisti lo ritrassero su tele di lino destinate alle pareti di chiese del suo Ordine.Una di queste tele era conservata, nel 1499, all'interno della chiesa di Sant'Antonio in Threadneedle Street e includeva episodi tratti dalla "Vita di Atanasio", un classico dell'agiografia, ma anche elementi apocrifi di derivazione ispano-arabica, tra cui un viaggio a Barcellona e una proposta di matrimonio fatta ad Antonio da un diavolo con sembianze regali. Molti artisti, tra i quali Bosch e Grunewald, si cimentarono nella rappresentazione delle tentazioni del santo.Se la fondazione dell'Ordine ospitaliero di Sant'Antonio risale al 1093 nel Delfinato, confuse e incerte sono le notizie storiche dei suoi primi secoli di vita, a causa della dispersione degli archivi avvenuta quando le domus residenziali e ospitaliere vennero chiuse. Presenta caratteristiche e finalità analoghe a quelle dell'Ordine Lazzarita, in quanto anch'esso sorse per la cura dei colpiti da una speciale malattia: il cosiddetto "fuoco sacro" o "fuoco di Sant'Antonio". La cura da prestare ai malati di "male ardente" o "fuoco sacro" che, oggi lo sappiamo, è l'ergotismo. Le loro case si chiamavano "domus elemosynaria" o "elemosinerie", che nel XV secolo erano circa 300.Sebbene la diffusione dell'Ordine sia stata vastissima specialmente in Germania, non ebbe mai un forte centro direzionale e la sua struttura organizzativa fu tutt'altro che omogenea . Va comunque precisato che non tutti gli ospedali sotto la invocazione di Sant'Antonio erano precettorie o dipendenze dell'Ordine. Anche se spesso la distinzione presenta difficoltà, sembra accertato che molti siano di origine locale, fondati cioè da associazioni autonome, spesso collegate al Comune. Le domus antoniane di solito si collocarono sulle strade di più intenso traffico, a ponente delle città, con singolare contrapposizione rispetto a quelle di San Lazzaro. I "fratres", in origine, erano laici dotati di particolari privilegi e autonomi come gli altri ordini ospitalieri; adottavano la regola agostiniana, ma successivamente, nel 1197, divennero canonici regolari. La riforma protestante segnò la decadenza anche degli Antoniani, ma probabilmente le cause più decisive vanno ricercate nel rilassamento dello spirito primitivo e nel disordine amministrativo .Si consideri, inoltre, la graduale estinzione delle epidemie da "fuoco sacro", per comprendere le cause che portarono alla chiusura delle domus antoniane o al loro assorbimento negli ospedali "grandi" cittadini. Nel 1775, comunque, gli Antoniani vennero incorporati nell'Ordine di Malta. Ma la tradizione popolare ha comunque mantenuto il riferimento alla figura e alla leggenda sacra di S. Antonio abate, patriarca del monachesimo e protettore degli animali domestici, la cui leggenda narra che, mancando il fuoco nel mondo e soffrendo gli uomini per il freddo, questi si rivolsero ad

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Antonio. L'eremita promise di aiutarli ed accompagnato dal suo porcellino andò a bussare alle porte dell'inferno. I diavoli, giudicandolo invincibile lo respinsero chiudendogli la porta in faccia. Il maialino però riusci ad entrare e a portare lo scompiglio all'interno, tanto che i diavoli si videro costretti a chiedere ad Antonio di entrare e riprendersi il maialino. Entrato con il suo inseparabile bastone, recuperò il suinetto e fece prendere fuoco al bastone; così ritornato sulla terra poté accendere una catasta di legna e da allora il fuoco ha riscaldato gli uomini. L'ingenua leggenda, in realtà, sottolinea l'infernalità della dolorosissima malattia del "fuoco di Sant'Antonio", alla cui cura erano dediti i monaci Antoniani, che godevano di particolari esenzioni: col nome di porci di sant’Antonio venivano chiamati gli animali votati al santo che circolavano liberamente per le strade di Napoli, e di altre città europee, nutriti dalla popolazione come creature sacre e intoccabili, soprattutto quelli che portavano sul corpo delle macchie rosse che assomigliavano alle vescicole dell’herpes e che la credenza popolare considerava segni soprannaturali del santo. I maiali di sant’Antonio venivano uccisi dagli stessi monaci nel macello annesso alla loro chiesa-ospedale collocata all’estremità del popolarissimo Borgo di Sant'Antonio abate, per i napoletani il Borgo per antonomasia, per ricavarne il lardo che serviva a produrre l’unguento curativo del fuoco di sant’Antonio. Dal sacrificio del maiale, che la tradizione popolare chiamava Nino, diminutivo di Antonio con chiara allusione al santo, l’anno contadino traeva l’energia vitale per continuare, per riprodursi e rigenerarsi fino all’anno successivo quando, morto un maiale se ne faceva un altro.

12. Santa Croce in Gerusalemme Il cardinale Brancaleone, grande ammiratore di Francesco, era dal 1202 il titolare di Santa Croce in Gerusalemme, vicino alla quale aveva il proprio palazzo. Quest'ultimo confinava con le mura aureliane e l'anfiteatro castrense (“castrum”, nel secolo IV, è la residenza imperiale). Sulle mura c'erano torri di guardia e di difesa. Nel medioevo esistevano ancora alcune di queste torri. Una di esse venne data a Francesco per potervisi dedicare alla preghiera.

S. Croce in Gerusalemme in Roma

Sancta Hierusalem, come veniva anche chiamata la basilica Sessoriana, è stata per secoli in Occidente il luogo privilegiato delle celebrazioni liturgiche della Settimana Santa. Come fa comprendere l'Antifonario dì san Gregorio Magno, che fissa la stazione del Venerdì Santo in Hierusalem, a Roma era già anticamente praticata l'adorazione della croce nella basilica Sessoriana. Fino all'esilio avignonese dei papi, come attestano diversi Ordines romani (i libri liturgici con i rituali delle funzioni papali), il pontefice in persona, a piedi scalzi, si recava in processione dalla basilica Lateranense alla basilica Sessoriana quae es: Hierusalem, per adorarvi il "vessillo della salvezza". È una costante e antica tradizione che avvalora l'autenticità del legno custodito in questa basilica. E raro infatti trovare una reliquia che possa presentare tanti documenti ad attestare la sua scoperta, traslazione, conservazione e venerazione come la reliquia Sessoriana della croce. Già nella biografia di papa Silvestro (314-335), riportata nel Liber pontificalis , è scritto che «Costantino

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edificò una basilica nel palazzo Sessoriano nella quale pose il legno della vera croce racchiuso fra oro e gemme». Molti restano stupiti da questo nome: "perché in Gerusalemme se è a Roma"? Si meraviglierebbero ancora di più se sapessero che anticamente veniva semplicemente chiamata “la Gerusalemme”. Quando Sant’Elena, pochi mesi prima di morire nel 326, tornò da Gerusalemme carica di reliquie, ne aveva una un po’ strana: aveva riempito la stiva di una nave con terra scavata nei luoghi più santi di Gerusalemme. Questa terra fu distesa sotto le lastre marmoree di quel locale del “Palazzo Sessoriano” la reggia degli imperatori Severi, che doveva diventare poi la cappella privata di Sant’Elena, dove vennero radunate le preziose reliquie portate dalla Palestina. Tanto che nel 1743 quando venne rialzato di alcuni metri, il pavimento della basilica non venne toccato per rispetto di quella cappella; anche oggi per arrivarci si debbono scendere parecchi scalini. L'affresco meraviglioso che occupa tutto il catino dell'abside e che forse, in questa chiesa tanto deturpata, è il monumento più bello che rappresenta con ammirevole verismo il ritrovamento di queste reliquie. Inoltre diversi quadri fusi in un unico affresco omogeneo per la gamma dei colori sono lì a rappresentare l'invenzione della Croce. In questa stazione si celebra la festa della Croce e la festa della mistica celeste Gerusalemme; infatti se lo spirito non è esaltato dalla visione dei monumenti sono le reliquie e la liturgia a parlare direttamente al cuore di tutti.

Anfiteatro castense a S.Croce in Gerusalemme

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13. San Francesco a Ripa

Protoconvento dei frati a Roma

Dove oggi s'innalza la chiesa di San Francesco a Ripa a Grande20, esisteva, agli inizi del secolo XIII, una modesta chiesa dedicata a san Biagio, a fianco della quale si trovavano le abitazioni di quelli che servivano nell'attiguo ospizio di San Biagio. L'ospizio accoglieva poveri e pellegrini. Sia questo istituto che la chiesa appartenevano al vicino monastero benedettino di San Cosimato.

Ettore Roesler Franz .Porto di Ripa Grande.

20Il più importante porto di Roma, perciò detto "Grande", fu quello di Ripa. Già dal IX-X secolo scali fluviali si trasferirono su questa sponda, in quella che si chiamò Ripa romea dai pellegrini (ovvero i romei) in contrapposizione allo scalo commerciale della sponda opposta, la Ripa Graeca. Il porto di Ripa inizialmente era assai modesto, ovvero una piccola banchina e una scaletta che la univa al piano stradale, ma a causa degli aumentati traffici, si andò pian piano estendendo fino ad assumere un aspetto più "pratico", con due scale poste una di fronte all'altra e alcune casette, situate in prossimità del fiume, adibite ad uffici della Dogana. Al porto potevano arrivare solo velieri di medio tonnellaggio; quelli di stazza maggiore dovevano scaricare le merci a Fiumicino, le quali venivano poi portate in città attraverso il fiume su piccoli bastimenti trainati da bufali lungo la riva destra del Tevere o tirati mediante robusti funi da lunghe file di uomini detti "pilorciatori" (da cui il termine "spilorcio" nel significato traslato di "tirato", ovvero avaro). Intorno all'850, papa Leone IV, preoccupato dalle minacce dei saraceni (difatti fece costruire anche le mura della Città Leonina), fece costruire due torri sull'una e sull'altra riva, a valle del movimento portuale, per assicurarsi contro una risalita a sorpresa del fiume: di notte, una catena veniva tirata fra le due torri per sbarrare il passaggio. Inoltre, fece costruire un'altra torre più a valle, alla quale si addossava una cappelletta con un'immagine cui i marinai rivolgevano l'ultimo saluto: era la "Madonna del Buon Viaggio". L'incremento del traffico fluviale costrinse papa Innocenzo XII ad ampliare, nel 1693, il Porto, riunendo gli uffici della Dogana in un unico complesso e affidandone l'incarico all'architetto Mattia De Rossi. Questi realizzò un grande fabbricato accanto alla Porta Portese il grande complesso del S.Michele , allargò la banchina e sistemò il porto con muraglione e nuove rampe, che un'elegante cordonata raccordava ad un'ampia piazzola: fu allora che si chiamò Porto di Ripa Grande.

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Una tradizione, di cui non si ha verifica, assicura che Francesco alloggiò in tale ospizio e che pagava la sua permanenza servendo i malati. Si tratta di una notizia riportata da Mariano di Firenze nel secolo XVI (cfr. Itinerarium urbis Romae). Con una bolla del 23 luglio 1229, papa Gregorio IX ordinò che la chiesa di San Biagio e l'ospizio annesso passassero in mano ai frati minori. In tal modo si stabilì la prima residenza ufficiale dei frati minori in Roma. La bolla indica chiaramente che i frati dovevano essere semplici ospiti delle abitazioni contigue alla chiesa. Ben presto la chiesa di San Biagio cedette il posto a un'altra chiesa più ampia costruita in onore di san Francesco. Col passare del tempo questa chiesa subì varie trasformazioni. Su un fianco della chiesa, sopra la sacrestia, si trova quella che si è creduto essere la cella abitata da san Francesco. Oggi è trasformata in cappella, dominata da un altare di legno addossato a un immenso e sofisticato reliquiario costruito nel secolo XVII dal francescano Bernardino Jesi Al centro della pala d'altare c'è un quadro di san Francesco attribuito a Margaritone d'Arezzo (1262-1305).

14. Santa Sabina

Ettore Roesler Franz . Santa Sabina

Questa basilica romana, dove in antico (e di nuovo al giorno d'oggi) avevano inizio le stazioni quaresimali, venne assegnata al nascente Ordine dei predicatori fin dai tempi del loro fondatore san Domenico. Al suo fianco vi è un convento che risale al secolo XIII e che, secondo la tradizione, fu fatto costruire dallo stesso san Domenico. Nel piano elevato di questo convento c'è una stanza che ricorda l'incontro di san Francesco col fondatore dei predicatori, come attesta la scritta che figura sulla porta d'ingresso: “Attende advena. Hic olim sanctissimi viri Dominicus Franciscus Angelus Carmelita in divinis colloquiis vigiles pernoctaverunt”. La cella, di aspetto modesto, è preceduta da una piccola cappella riccamente decorata nel secolo XVII sotto la direzione del Borromini.

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Incontro di S.Francesco con S. Domenico a S. Sabina

Si racconta pure che una notte, stando in preghiera, San Domenico vide Gesù Cristo

sdegnato contro il mondo e la sua madre che, per placarlo, gli presentava due uomini. In uno riconobbe se stesso; ed impresse nella memoria il volto dell’altro. Il giorno seguente, in una Chiesa vide quell’uomo, l’abbracciò e gli raccontò la visione avuta. Era San Francesco d’Assisi. (Vitae Fratrum, n.3)

Certo è che ancora oggi, dove esistono vicini un convento di francescani e di domenicani, il giorno della festa di San Domenico i Francescani vanno dai Domenicani e il giorno di San Francesco i Domenicani vanno dai Francescani per ripetere quel primo abbraccio tra i due santi.

DUE SANTI IN GARA DI UMILTÀ' E IL MANTELLO DI UN SANTO AD UNA SANTA

Ugolino cardinale, vescovo di Ostia, guardava con sommo interesse alle nobili iniziative, tanto che la sua casa era diventata mèta delle anime ferventi, non solo per la grande edificazione che ne riceveva, ma anche per il bene che ne attendeva a vantaggio della santa Chiesa, grandemente tribolata all'interno dalla debolezza dei suoi membri, e combattuta all'esterno da fanatici ed astuti nemici. Tra le persone predilette da Ugolino possiamo giustamente annoverare i due campioni della fede : Domenico di Guzman e Francesco d'Assisi. Della reciproca intima amicizia dei due Santi con Ugolino fa fede il Celanese, il quale ci fa anche sapere l'edificazione grande che ebbe un giorno il Cardinale quando si rese conto : «Della umiltà sua [di San Francesco] con San Domenico e di San Domenico con lui, e del loro mutuo affetto. «A Roma col cardinale d'Ostia, che fu poi Sommo Pontefice, si trovavano insieme quei fulgidi luminari del mondo, san Domenico e san Francesco, Dopo che entrambi ebbero dolcissimamente parlato di Dio, quel vescovo disse: "Nella Chiesa primitiva i pastori della Chiesa erano poveri e accesi di carità, non di cupidigia; perché dunque non eleggiamo tra i vostri frati vescovi e prelati, i quali sarebbero di ammaestramento e d'esempio agli altri?». « Sorge tra i due Santi una gara per la risposta, non per sopravanzarsi, ma anzi per esortarsi l'un l'altro a rispondere per il primo. Veramente ciascuno era di più dell'altro, poiché dell'altro era ammiratore. Infine vinse l'umiltà in Francesco, perché non volle essere il primo a rispondere, e in Domenico, perché ubbidì rispondendo pel primo. E la sua risposta al vescovo fu: "Signore, i miei frati, se lo comprendono, sono innalzati in buon posto, e per quanto è in mio potere non permetterò che ottengano altra specie di dignità". Dopo queste brevi parole, il beato Francesco, inchinandosi al vescovo, disse: "Signore, i miei frati san chiamati minori, perché non abbiano a presumere di diventar maggiori. Il nome stesso insegna loro a rimanere in basso, e seguire le vestigia dell'umiltà di Cristo, affinchè in ultimo siano più degli altri esaltati al cospetto dei santi. Se volete che portino buon frutto nella Chiesa di Dio, manteneteli e conservateli nello stato della loro vocazione; e se anche essi volessero elevarsi, riduceteli in basso. Vi prego dunque, padre, affinchè non abbiano a divenire tanto più superbi quanto più poveri e non insolentiscano con gli altri, di non permettere assolutamente che essi ascendano alla, prelatura».

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« Queste le risposte dei due Beati ». (FF- 2 CEL). I due santi Fondatori non solo gareggiarono in umiltà, ma vollero anche dare una chiara testimonianza del loro mutuo affetto, non solamente al Cardinale presente, ma anche ai loro seguaci presenti e futuri : « Terminate le risposte che abbiam detto dei Servi di Dio, il cardinale di Ostia, assai edificato dalle parole di entrambi, ne rese somme grazie a Dio. Sul punto di allontanarsi il beato Domenico domandò a san Francesco di volergli donare la corda di cui era cinto. Si mostrava riluttante Francesco, ricusando con l'umiltà pari alla carità della preghiera dell'altro; infine vinse la pia devozione del richiedente, che si cinse devotamente sotto la tonaca la corda donata. Si strinsero le mani, raccomandandosi dolcemente alle mutue preghiere; e l'un Santo disse all'altro: "Io vorrei, Frate Francesco, che si facesse un sol Ordine del mio e del tuo, e che noi vivessimo nella Chiesa con la medesima Regola". «Separatisi, infine, san Domenico disse ci parecchi presenti: "In verità vi dico, che tutti gli altri religiosi dovrebbero seguire questo santo uomo di Francesco, tanta la perfezione della sua santità"». (IVI -2CEL). Fu quasi certamente in occasione del soggiorno di S. Francesco in Roma, per la definitiva approvazione della Regola (novembre 1223), che la casa del cardinale Ugolino, fu testimone di un altro edificante episodio. In una delle loro frequenti amichevoli e devote conversazioni, il Santo parlò al Cardinale delle virtù eroiche di Elisabetta21 sposa di Lodovico Langravio di Turingia, terziaria francescana. Udendo Ugolino le lodi che il Santo faceva della Langravia, celebre per santità, ricca di povertà e famosa per umiltà, tolse dalle spalle di S. Francesco il logoro mantello dicendo :« Questo mantello sia della tua figliuola Elisabetta, perché degno della suapovertà ed umiltà; a lei quindi è dovuto, anche come pegno di gratitudine per il bene che fa per i tuoi seguaci». La pia Elisabetta, avuto il prezioso dono, lo conservò come un gran tesoro. Morendo lo consegnò ad una persona che le chiedeva un ricordo con queste parole :«Ti lascio il mio mantello : non guardare alla povertà della materia, ma contempla la preziosità della povertà. In coscienza confesso che Cristo mio diletto era sempre pronto ad esaudire dolcemente i miei voti, ogni qualvolta, coperta di questo mantello, cercavo il volto dolcissimo di Gesù». (WADDING, A. M. II, a. 1226). Il convegno fra i tre grandi uomini: Ugolino, Domenico e Francesco, può essere stabilito, quasi con certezza, tra la fine del 1220 e i primi del 1221, come si può dedurre dagli avvenimenti che li riguardano.Infatti, nel 1217, quando san Francesco s'incontrò per la prima volta con Ugolino a Firenze, secondo il Celanese «ancora non erano stretti da amicizia, ma solo la fama della loro vita santa li univa in un vincolo di vicendevole e affettuosa benevolenza » (FF-1CEL). Per ciò che riguarda Ugolino, sappiamo, che fu Legato del Papa dal 1217 al 1218 e una seconda Legazione gli fu affidata il 14 marzo 1221. Il cardinale dunque fu in Roma durante il periodo che va dal 1219 all'inverno 1221.

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S. Elisabetta nacque, nel 1207, da Geiltrude e da Andrea II re di Ungheria, perciò viene chiamata comunemente Elisabetta d'Ungheria. All'età di quattro anni fu condotta in Turingia. nel castello di Wattburgo. come futura sposa di Ermanno primogenito del Langravio di Turingia. Morto Ermanno, andò sposa del secondogenito Lodovico (1221), non appena divenne Langravio per la morte del padre.Tra il 1222-3, Elisabetta, col consenso del nuovo sposo, chiese ed ottenne il cingolo del Terz'Ordine di penitenza di S. Francesco. Morto Lodovico durante la Crociata del 1227, Elisabetta, scacciata dal castello e da tutti abbandonata, cominciò un vero calvario. Lieta di patire per Cristo, mostrò l'eroicità delle sue virtù : da giovinetta, da sposa e da vedova, per cui si meritò ancora in vita il titolo di Santa.Morì il 19 novembre 1231, e, nel 1235,i fu ascritta nell'albo dei Santi.

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S.Giovanni in Laterano

Di S. Francesco sappiamo che, celebrato il capitolo di Pentecoste del 1219 partì subito per l'Oriente; fece ritorno in Italia nell'autunno 1220. Potè dunque essere in Roma dopo quest'ultima data. S. Domenico dal canto suo fu in Roma: al principio del 1218; alla fine del 1219; al principio e alla fine del 1220; nei primi due mesi del 1221. Morì il 4 agosto 1221. Accostando questi dati cronologici, possiamo confermare il loro incontro tra la fine del 1220 e i primi del 1221. Quando il primo biografo scriveva la Vita seconda di S. Francesco, verso la metà del '200, si erano alquanto acuiti i dissensi tra alcuni membri appartenenti ad ambedue gli Istituti, mentre gli Ordini erano rimasti fedeli all'esempio di santa amicizia ed unione dei loro Fondatori. Ne fan fede le comuni lettere circolari, scritte in data due febbraio 1255, dal ministro generale dei frati Minori Giovanni da Parma e dal maestro generale dei padri Predicatori Umberto de Romanis, nelle quali veniva ribadito il proposito di conservare la pace e la concordia tra i due Ordini. Un'eco di questa santa amicizia ed unione, c'è rimasta nel Paradiso dantesco, là dove (nei canti XI e XII) il Poeta introduce il Dottore angelico a cantare le lodi del Poverello di Assisi, e il Dottore serafico la magnifica opera di S. Domenico.

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15. Jacopa de' Settesoli

Un secondo ramo della famiglia Frangipani abitava vicino all'arco di Tito, il terzo ramo (De Gradellis) in Trastevere. Le origini di questa famiglia risalgono al secolo X, ma fu durante i secoli XII e XIII che arrivò a essere più potente e influente nella vita romana. La famiglia Frangipani dei Settesoli si estinse nel secolo XVI (Frangipane «frangere panem»: dividere o spartire il pane; molte famiglie ricche avevano l'abitudine di distribuire il pane ai poveri). Uno dei membri della famiglia Frangipani, Graziano Frangipani dei Settesoli, aveva sposato una nobildonna romana che si chiamava Jacopa de' Normanni. Nel 1217 Graziano morì, lasciando due figli che restarono sotto la tutela della giovane vedova Jacopa. Jacopa dei Settesoli fu un'amica intima di san Francesco, che ospitò varie volte nella propria casa. I pochi dati biografici su Jacopa de'Settesoli, riguardano principalmente la grande riforma spirituale francescana e le immense ricchezze feudali di suo marito, il nobile romano Graziano Frangipane del ramo de'Settesoli. Questa progenie – ben distinta dai Frangipane de Chartularia (nei pressi del Colosseo) e da quelli dei De Gradellis (in Trastevere) - traeva il curioso appellativo - Settesoli o Sette zone - dalla sua dimora fortificata, all'estremità meridionale del Palatino, nota nell'antichità come il Settizonio, monumento di sette piani, fatto erigere dall'Imperatore Settimio Severo per celebrare le sue vittorie in Oriente. Jacopa de'Normanni nacque a Roma intorno al 1190 da una egualmente illustre famiglia residente a Trastevere. Il casato, d'origine normanna, vantava tra i suoi membri quel cardinal Stefano che aveva indotto gli eremiti di S. Maria di Palazzolo sul Lago Albano ad abbracciare un Ordine monastico vero e proprio concordando con l'Abate delle Tre Fontane alle Aquae Salviae l'incorporazione della chiesa di Palazzolo all'abbazia romana e l'accettazione da parte dei suoi frati della Regola di S. Bernardo. Tornando a Jacopa, da un documento del 1210, risulta che aveva già sposato Graziano Frangipane e che dal loro matrimonio erano nati due figli, Giacomo e Giovanni. Graziano morì prematuramente nel 1217, affidando alla propria vedova l'amministrazione dei numerosi castelli e dei possedimenti sparsi per tutta Roma e nella campagna romana come Cisterna, Ninfa, Terracina, Torre Astura ecc. Era, com'è noto, di sua proprietà, anche Marino, alla cui comunità, la nobildonna e suo figlio Giovanni, con un atto del 31 maggio1237 – probabilmente uno degli ultimi atti pubblici firmati da Jacopa prima di ritirarsi ad Assisi - concesse un particolare statuto. Jacopa aveva incontrato Francesco a Roma, nel 1219, durante una predicazione. Ella, donna fatta e vedova di sì illustre casato, aveva guidato con ferma mano il frate d'Assisi per le vie dell'Urbe, come se fosse un figlio,

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appena maggiore dei suoi. Da allora, Jacopa de' Settesoli era diventata la più valida collaboratrice del neonato movimento francescano nella città dei Papi. Fu lei ad ottenere dai Benedettini di S.Cosimato in Trastevere la cessione dell'ospedale di San Biagio, che divenne il primo luogo romano dei Minori. Nel 1231, immediatamente dopo la canonizzazione di Francesco, l'ospedale fu trasformato nel convento di S. Francesco a Ripa per iniziativa della stessa Jacopa de' Settesoli – secondo altre fonti dagli Anguillara - e di Papa Gregorio IX. L'attuale cappella di San Francesco che ricalca grossomodo la cella dove dimorò il Santo contiene una pietra che il Poverello usava come cuscino ed un paio di sue immagini (XIII Secolo) attribuite al pittore Margaritone D'Arezzo volute, secondo la tradizione, sempre dalla pia Jacopa. Attiva e risoluta, pur essendo devota e premurosa, Jacopa si poteva quasi dire un uomo, e, infatti, mentre Francesco chiamava sempre Chiara con il nome di sorella, appellò Jacopa, per la sua forza d'animo e la sua integrità - considerate all'epoca qualità prettamente virili - affettuosamente con il nome di fratello: Frate Jacopa. Ella gli dimostrò grande dedizione e rimase sua carissima amica per tutta la vita. Secondo San Bonaventura, un giorno Francesco le regalò un agnellino, figura del Salvatore, che la seguiva fedelmente dappertutto e belava ogni mattina per svegliarla. Jacopa lo allevò, lo tosò, e con la sua lana tessé una tunica a Francesco. Era questo il carattere di Jacopa, che da ogni cosa sapeva trarre profitto e utilità. Nonostante avesse l'opportunità di vivere lussuosamente, ella seguì il modello di perfezione suggerito da Francesco, conducendo una vita austera e mettendo a sua disposizione i suoi beni ed il suo potere. Sarebbe voluta entrare nel Secondo Ordine, ossia quello di Chiara, ma doveva ancora prendersi cura dei figli. Nel 1221 Francesco, probabilmente ispirato da lei, fondò l'Ordine dei “Fratelli e Sorelle della Penitenza”, o “Terzo Ordine”, per i laici che desideravano condurre una vita santa, pur rimanendo a vivere nel mondo.

Jacopa ed il ritratto di S.Francesco a Greccio

Su richiesta di Jacopa, fu eseguito un ritratto di Francesco, ancora vivente, quando il Poverello dopo il grande miracolo della Verna s'era recato a Rieti per ritentare presso i medici della corte pontificia la cura del suo mal d'occhi, che minacciava di condannarlo ad una cecità completa. L'immagine - sicuramente una copia cinquecentesca in tela su tavola - è tuttora conservata nell'eremo di Greccio, il paese dove il Santo inaugurò la popolare tradizione del Presepe. In questa immagine, il Poverello si asciuga le lagrime con un pannolino bianco che tiene nella destra, mentre mostra la sinistra nella cui palma, come sul dorso del piede sinistro, nereggia, il Sigillo di Cristo (la Stimmata). La figura del Santo è piccola, macilenta, disegnata in piedi, ma un po' curva, commoventissima, piena di misticismo. Un'iscrizione informa: “Vero ritratto del Serafico Patriarca San Francesco d'Assisi, fatto eseguire dalla pia donna romana Giacoma de' Settesoli, vivente lo stesso Patriarca, che si venera nella di lui Cappella del S. Ritiro di Greccio”

Jacopa e la morte di Francesco Quando Francesco sentì avvicinarsi la sua ultima ora, disse ad un frate di scrivere una lettera per Jacopa, per informarla della sua morte imminente e chiedendole di raggiungerlo alla Porziuncola, recandogli una veste per la sepoltura e candele per il funerale: “A donna Jacopa, serva dell'Altissimo, frate Francesco, poverello di Cristo, augura salute nel Signore e comunione nello Spirito Santo. Sappi, carissima, che il Signore benedetto mi ha fatto la grazia di rivelarmi che è ormai prossima la fine della mia vita. Perciò, se vuoi trovarmi ancora vivo, appena ricevuta questa lettera, affrettati a venire a santa Maria degli Angeli. Poiché se giungerai più tardi di sabato, non mi potrai vedere vivo. E porta con te un panno di colore cenerino per avvolgere il mio corpo e i ceri per la sepoltura ”. Alla fine della lettera, poi, esprimeva un desiderio: «Ti prego anche di portarmi quei dolci, che tu eri solita darmi quando mi trovavo malato a Roma». Proprio mentre i frati stavano cercando qualcuno che portasse la lettera a Roma, Francesco presentì che Jacopa stava già recandosi da lui. Immediatamente dopo, si udì bussare alla porta della minuscola capanna adiacente la cappella, che fungeva da infermeria... Ella era arrivata con i suoi figli. Per lei, alla Porziuncola, fu tolta la clausura, che non era mai stata soppressa nemmanco per Chiara.

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Jacopa aveva portato tutto ciò che Francesco desiderava, inclusi i dolci, fatti con mandorle, zucchero ed altri ingredienti, noti allora a Roma e nel circondario, col nome di mortariolie che qualcuno ha voluto individuare, come una variante - ma forse più per l'assonanza del nome - con i nostrani “mostaccioli” . Gli recò anche una veste da lei stessa tessuta e che poi servì come veste mortuaria, un cuscino di seta rossa con ricamati i leoni di casa Frangipane e le aquile imperiali ed il suo velo nuziale di seta bianca lavorato a rombi e gigli su cui erano ricamate con lettere in seta e oro le parole: “ ama, ama, ama”. Jacopa gli rivelò che, mentre stava pregando a Roma, una voce divina l'aveva avvertita che presto lui sarebbe passato ad altra vita, e che le avrebbe chiesto di portargli le cose che ella gli aveva appena recato. Dopo il transito del Santo, quando il corpo di Francesco restò nudo sulla nuda terra, Frate Jacopa deterse con quel lino il sudore della morte dal suo volto. Né parve strano che per quel gesto ella usasse un ricordo del suo terreno amore. Partecipando così al funerale, come raccontano I Fioretti, fu la stessa Jacopa a sostenere le spese di sepoltura di Francesco. Dopo il funerale di Francesco, Jacopa tornò a Roma, dove visse per più di dieci anni dedicandosi a opere di pietà, e di carità. In seguito, decise di fare testamento, lasciando tutte le sue proprietà al figlio Giovanni, essendogli l'altro, Giacomo, morto nel 1230, e chiedendo di essere sepolta ad Assisi ove un paio d'anni prima della morte si trasferì ed ove morì nel 1239 . Seguì nel sepolcro il suo Maestro nella chiesa inferiore della “Basilica di San Francesco”, sotto il pulpito, vicino all'altare che sovrasta la tomba di Francesco. Nel 1932, i suoi resti furono trasferiti nella Cripta del Santo, di fronte all'altare fra le due scalinate, in un'urna, protetta da una griglia metallica nera, con un'iscrizione sopra22: “fr. jacopa de septemsoli”, ed un'altra al di sotto di essa:“hic requiescit iacopa sancta nobilisque romana”

Il «Septizonium» e la torre «Moletta»

«A donna Jacopa, serva dellAltissimo, frate Francesco poverello di Cristo, salute nel Signore e unione milo Spirito Santo. Sappi, carissima, che Iddio, per sua grazia, mi rivelò che la fine deìla mia vita è ormai prossima. Perciò, se vuoi trovarmi vivo, vista questa lettera, affrettati a venire a Santa Maria degli Angeli. Se verrai non prima di sabato non mi potrai trovare vivo. E porta con te un panno oscuro in cui tu possa avvolgere il mio corpo, e i ceri per la sepoltura. Ti prego anche diportarmi quei dolci, che tu eri solita darmi quando mi trovavo malato a Roma». E Francesco che scrive. Ultime parole a donna Jacopa, serva dell'Altissimo, mentre sente avvicinarsi la morte. Un panno scuro, i ceri e quei dolcetti alle mandorle e miele di cui conservava il ricordo e il sapore. Ma quella lettera non era necessaria... Come racconta la Leggenda perugina, e poi anche lo Specchio di perfezione, Jacopa aveva già lasciato Roma e inaspettatamente i compagni di Francesco l'avevano vista arrivare alle porte di Santa Maria degli Angeli, la Porziuncola. E subito avevano avvisato Francesco. L'amicizia è un sentire con l'altro, un prendersi cura. E davvero tra Francesco e frate Jacopa, come amava chiamarla il Santo, era un'amicizia antica, nata da un incontro in uno dei suoi primi viaggi romani, forse già nel 1212. Jacopa dei Settesoli apparteneva ad una delle famiglie più in vista della nobiltà romana, sposa di Graziano Frangipani e madre di due figli. Una donna dal carattere forte, capace di attraversare da sola la sua lunga vedovanza, rattristata anche dalla perdita di un figlio e del nipotino. Anche lei, come tanti, si era lasciata toccare dall'esempio di Francesco. Lo accoglieva spesso quando Francesco era a Roma. Aveva infine deciso di vivere i suoi ultimi anni proprio ad Assisi. Nella città di Francesco era ar-rivata probabilmente nel 1237. Nella Basilica inferiore rimane un suo poco probabile ritratto per mano di un maestro seicentesco, forse Ferdinando Sermei, in sostituzione di un più antico affresco che doveva con il tempo essersi quasi completamente sbiadito e che ne indicava il luogo della sepoltura. Il pittore la immagina vestita da terziaria, non più giovane, in ginocchio, nelle sue mani il panno cinerino che aveva portato con sé. Un angelo le consiglia di intraprendere il viaggio. Francesco avvertiva il desiderio di vederla nuovamente quasi per rinnovare la gioia di quegli incontri e di quei momenti. È anche questo il senso dell'amicizia che non ha paura di confidare debolezze e piccoli desideri. E Jacopa con la sua partenza anticipa il desiderio del Santo. Era la sera del 3 ottobre 1226. Al vedere l'amico e maestro, Jacopa si mette a piangere, così annota la Leggenda perugina, ma poi inizia a preparare quel dolce che piaceva tanto a Francesco. "Ma egli lo assaggiò appena". Le forze gli venivano meno. Poche parole del biografo che rivelano tutta l'umanità sofferente ed amante di Francesco che continua a vivere anche nella piccola gioia di un volto amico e vicino e nel gesto affettuoso di una donna. Non posso allora

22 Il testo è tratto da Jacopa de' Settesoli, note varie, A.Crielesi, Dispensa del Corso Arte e Spiritualità, Pontificio Ateneo Antonianum, anno accademico 2001-2002.

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non sentire mie le parole di Ermes Ronchi in un suo recente e toccante libretto / baci non dati: "Non dei biscotti ha desiderio Francesco, ma della mano che li porge. Neppure della mano ha bisogno, ma del cuore che guida la mano". ( da Il canto dell'amicizia di Milvia Bollati/storica)

Septizonium Severi ad viam Appiam

Il «Septizonium» era uno splendido palazzo fatto costruire dall'imperatore Settimio Severo nel 203, ai piedi del Palatino. Misurava cento metri di lunghezza e trentotto di altezza. Le sue proporzioni e la sua bellezza impressionavano tutti i viaggiatori che giungevano a Roma dalla via Appia. Nel secolo XIII esisteva ancora parte di questo palazzo, accanto al quale uno dei rami della famiglia Frangipani aveva la propria residenza. Divenne nota col nome del luogo: vicino al «Septizonium» (“Septemsolis”) = Settesoli. Questa residenza fu distrutta nel 1589 e di essa non rimane altro che una piccola torre, la torre «Moletta», sul fianco sud del Circo Massimo, così chiamata perché vicinissimo ad essa c'era un mulino (la moletta)

. Il Circo Massimo dopo il 1934 quando la Torre della Moletta fu isolata e restaurata.

Nel Medioevo la zona circostante si andò man mano interrando e fu adibita a uso agricolo.Nel Rinascimento sappiamo che l'area era ridotta a una palude, nella quale, nel 1587, furono scavati i due obelischi della spina da Domenico Fontana, per ordine di papa Sisto V. I lavori furono complessi e costosi a causa dell'acqua che sgorgava da ogni parte nella valle, rendendola adatta alla coltivazione e facilitando la nascita di orti, che infatti erano numerosi e contigui uno all'altro. Nella pianta di Roma dei Nolli del 1748 essi sono proprietà del Convento di Santa Maria in Cosmedin, di Sant'Eligio dei Ferrari, di San Silvestrino e dei Marchesi del Bufalo i cui orti erano confinanti, anzi quasi occupati dal Cimitero Israelitico, la cui storia è assai singolare.Durante il lungo periodo della clausura degli Ebrei nel Ghetto di Roma era fatto divieto a essi di possedere beni immobili, un’eccezione era fatta solo per la Compagnia della Carità e della Morte, che doveva provvedere al seppellimento dei morti. Essa aveva alcuni terreni vicino alla Chiesa di San Francesco a Ripa a Trastevere, ma nel 1587 i lavori per le nuove mura di Porta Portese restrinsero di molto le loro proprietà, cosicché papa Innocenzo X, nel 1645, concesse alla Compagnia di acquistare altri terreni per il

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cimitero, che furono individuati nella zona del Circo Massimo, in una serie di vigne confinanti l'una con l'altra che arrivarono a raggiungere la marrana dell'acqua Crabra, nel lato lungo sud della valle. Il cimitero fu attivo fino al 1894, quando fu aperto il nuovo Cimitero Israelitico al Verano e da quel momento in poi vi furono soltanto tumulati defunti nelle tombe di famiglia. Nel 1934 esso fu definitivamente e velocemente smantellato per la costruzione della nuova via del Circo Massimo. Durante i lavori per la costruzione della nuova strada, la valle del Circo Massimo venne liberata di tutti i capannoni e gli edifici industriali che l'avevano occupata e divenne il prato che vediamo tuttora, mentre la Torre dei Frangipane venne isolata e restaurata.

CONCLUSIONI

Signore cosa vuoi che io faccia?

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A P P E N D I C E

S. FRANCESCO PRIMO PREDICATORE APOSTOLICO Questo titolo si riferisce al privilegio, concesso dalla Santa Sede all'Ordine dei frati Minori Cappuccini, di predicare in alcuni giorni dell'Avvento e della Quaresima davanti al Papa, ai Cardinali e alla Corte pontificia. Possiamo giustamente dire che fu l'Apostolo umbro antesignano dell'ufficio di Predicatore apostolico, come ci fa sapere Tomaso da Celano : « Una volta anzi, andato a Roma per cose dell'Ordine, desiderava ardentemente di predicare davanti al signor Papa Onorio e ai Cardinali. Come ne seppe il desiderio Ugolino, il glorioso vescovo d'Ostia, il quale portava un affetto singolare al Santo di Dio, ne provò timore e gioia, ammirando il fervore del Santo, ma conoscendone anche la semplicità. Pure, fidando nella misericordia dell'Onnipotente, la quale non manca mai ai fedeli quando è necessario, lo introdusse davanti al Papa e ai reverendi Cardinali. Ed egli, trovandosi alla presenza di così grandi principi, ricevuta la licenza e la benedizione, prese a parlare senza timore; e parlava con tanto fervore, che, non potendo contenersi per la gioia, mentre proferiva le parole moveva i piedi quasi saltellando, non come uno che scherzi, ma come uno che arda pel fuoco dell'amar divino; non eccitando al riso, ma strappando lagrime di compunzione. Invero molti commossi ammiravano la grazia di Dio e la sicurezza del suo servo. Fruttando il venerabile vescovo di Ostia stava in timore, e con tutte le forze pregava il Signore affinchè non venisse disprezzata la semplicità di quell'anima beata, giacché la gloria o il disonore del Santo sarebbero caduti anche su lui, che era stato costituito padre di quella famiglia (FF-1CEL). Il fatto può essere avvenuto o nel 1220, quando il Santo fu in Roma per chiedere al papa Onorio III il cardinale Ugolino, come Protettore dell'Ordine, poiché in tale circostanza avrebbe predicato davanti al Papa ed ai Cardinali, come fa noto il Celanese (FF-2CEL), ovvero nel 1223, quando papa Onorio III confermò la Regola. II modo di predicare di S. Francesco era semplice e, teste il primo biografo, « ...attendeva a cercar solo quello che era di Dio ». « Infatti anche predicando la divina parola a molte migliaia di persone, come spesso avveniva, restava tranquillo e sicuro come se parlasse con un amico intimo. Riguardava la più gran folla di popolo come un sol uomo, e predicava per una persona sola con la diligenza che avrebbe usato per una moltitudine. Nella purezza del suo spirito trovava la sicurezza del predicare, e sapeva senza prepararsi dir cose mirabili e da tutti mai udite. Se invece pensava prima il discorso da tenere, avveniva a volte che davanti all'uditorio, non ricordando quello che avea pensato, e non sapendo trovare subito altro, candidamente confessava di aver preparato un lungo discorso, di cui non poteva ricordarsi punto; e tosto gli veniva tanta eloquenza, da incantare gli animi: altre volte invece, non riuscendo a parlare, con la benedizione congedava le folle e questo valeva come la migliore delle prediche » (IVI).

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S. FRANCESCO E IL CONCILIO LATERANENSE QUARTO Uno dei più importanti argomenti trattati nel Concilio IV di Laterano, celebrato dal papa Innocenzo III nel 1215, fu senza dubbio il sorgere dei nuovi Istituti religiosi che pullulavano in quel tempo dovunque, e che essendo privi di norme di vita controllate dall'autorità ecclesiastica, cadevano bene spesso nell'eresia; cosicché invece di giovare al bene della Chiesa, ne deformavano la dottrina e ne guastavano la morale, come abbiamo già visto. Consapevoli del pericolo, il Pontefice e i Vescovi pubblicarono un severo canone nel quale si proibiva la creazione di nuove Case ed Istituti religiosi, facendo obbligo a quanti d'allora in poi volessero fondarne, di professare una delle Regole monastiche già approvate. Tale preoccupazione si era chiaramente manifestata nella Curia romana, fin da quando i Penitenti di Assisi, (sei anni prima, 1209), erano venuti in Roma per chiedere al Papa Innocenze III l'approvazione della loro Norma di vita, che a molti era apparsa quasi impossibile a osservarsi. Non poteva sfuggire quindi a san Francesco il pericolo che sovrastava la sua Religione che, approvata solo oralmente, poteva essere sottoposta alla legge comune. Gli parve, perciò, necessario trovarsi nel luogo dove si celebrava il Concilio, per evitare il pericolo che la concessione fatta dal papa Innocenzo gli venisse ritirata. Infatti la risonanza non solo delle lodi da cui erano circondati i nuovi apostoli della povertà, ma anche delle riserve e spesso delle ostilità che incontravano fra i malevoli, non potevano fare a meno di richiamare l'attenzione del Concilio su loro. E' però da credere che il Pontefice avrà assicurato i Vescovi dell'ortodossia dei Penitenti di Assisi, i quali con la parola, e molto più con l'esempio, recavano immenso bene alla Chiesa santa di Dio, così da meritarsi dalla Sede Apostolica la conferma (sia pure anche questa volta oralmente) della loro Regola e l'esenzione dall'obbligo di professare una delle Regole monastiche approvate in antecedenza. La presenza in Roma di S. Francesco durante il Concilio Lateranense IV, è confermata dalla Cronaca dei XXIV Generali, dove è scritto che il Poverello di Cristo s'incontrò in questa occasione con S. Domenico : « Anno Domini MCCXV tempore Concilii generalis beatus Franciscus Romam adiit et sanctum Dominicum, qui ibi tunc erat pro sui Ordinis approbatione, reperii... » (A F III, 9). Secondo la tradizione, l'incontro tra i due Santi sarebbe avvenuto nella Basilica Lateranense, dove si sarebbero fraternamente abbracciati. Poi tutti e tre avrebbero trascorso una notte in preghiera, nella stanza di S. Domenico, nel convento domenicano di S. Sabina sull'Aventino. A ricordo sono state affrescate sopra la porta di quella stanza le figure deitre Santi, con sotto la seguente iscrizione:

ATTENDE ADVENA HIC OLIM SANCTISSIMI

DOMINICUS FRANCISCUS ANGELUS CARMELITA IN DIVINIS COLLOQUIIS VIGILES PERNOCTAVERUNT.

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Luigi IX : un pellegrino dalla Francia ad Assisi Re santo e ultimo crociato

Luigi IX re di Francia, Terziario Francescano e Patrono dell’OFS

Un giorno imprecisato della prima metà del 1200. Confusi fra i tanti pellegrini, italiani e stranieri, inginocchio innanzi alle spoglie di san Francesco d'Assisi, traslate nel Tempio appena costruito23 quel giorno c'era anche un gruppo di cavalieri francesi: i lunghi mantelli scurì, con cappuccio, nascondevano le insegne degli abiti. Lasciando il Tempio, con il flusso di chi usciva, ripresero le loro cavalcature - anche queste prive di insegne - senza salirvi: conducendole per le briglie, discesero le scoscese e strette vie di Assisi, facendosi strada trapassanti e bestiame. Non dicevano nulla, immersi ancora nella santità francescana di quel sepolcro presso cui avevano pregato. Qualche cavaliere, però, d'istinto era brusco nello spostare i passanti, cacciandoli contro le pareti delle case: e, nel movimento, si sentiva il rumore di spade sotto i mantelli. Facevano largo soprattutto ad uno di loro, così nascosto nel cappuccio abbassato da non mostrare alcun tratto del viso: era alto, e si distingueva per un incedere spontaneamente altero, pur tra il vociare dei villici e quel pollame che gli starnazzava ai piedi. Usciti dalle mura della città, montarono a cavallo. Erano diretti a un convento presso Perugia, .dove soggiornava frate Egidio, il venerato discepolo di san Francesco. Fecero prima una tappa alla Porziuncola, la rustica cappella nel bosco dove il "poverello d'Assisi" aveva costruito le prime celle dei francescani, e dove era morto: nudo sulla terra, così com'era venuto al mondo, accettando solo per obbedienza la tonaca prestatagli dal Frate Guardiano: spirando -dopo aver benedetto i fratelli e raccomandato loro Ai vivere secondo il Vangelo - mentre recitava un salmo. La seconda tappa fu Rivotorto: lì dove il santo, vicino al lebbrosario annesso alla chiesa di S. Maria Maddalena, nell'aprile del 1209 aveva iniziato con Bernardo da Quintavalle e altri dieci seguaci la vita evangelica in comune in un Tugurio, vivendo di lavoro agricolo, prestato ai coloni dei dintorni, e di questua. Il Tugurio era stato il punto di partenza delle grandi missioni francescane: e del rapido diffondersi dei proseliti. 24 Giunsero al convento presso il tramonto. Il gruppo sostò a distanza. Uno solo dei cavalieri discese da cavallo e andò a bussare alla porta del convento. Gli fu aperto da un novizio. - Dio sia con voi. Desiderate ? - Frate Egidio, disse il cavaliere, ben avvolto nel proprio mantello per nascondere le insegne, ditegli che un povero pellegrino chiede di potergli parlare. -Non ora. E in preghiera, non posso disturbarlo. In quel momento frate Egidio usciva dalla propria cella, come spinto da un'illuminazione, e correva verso la porta: le braccia aperte. 23Le spoglie di san Francesco - morto nel 1226 e canonizzato nel 1228 - erano state traslate da frate Elia (allora vicario dell'Ordine francescano) nella cripta del nuovo Tempio, iniziato nel '28 e già completato, nelle sue parti essenziali, dopo soli 22 mesi, per l'apporto spontaneo dei fedeli. 24 S. Francesco è il fondatore dell'Ordine dei Frati minori, delle Clarisse, e del Terz'Or-dine: quest'ultimo riconosciuto da Onorio III già nel 1221, per raccogliere le legioni dei laici francescani.

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Il novizio si fece da parte, mentre frate Egidio e lo sconosciuto pellegrino si inginocchiavano entrambi, e si abbracciavano. In silenzio. E in lacrime. Nemmeno si conoscevano. Eppure tutto sapevano l'uno dell'altro. Nel lungo, silenzioso abbraccio sul pavimento, era il messaggio francescano di una comunione d'anime, a trasfondere parole e luce nei loro spinti. Altri frati erano usciti dalle loro celle, e assistevano sconcertati alla scena quasi irreale, nell'oscurità dell'atrio spoglio, di quelle due figure in ginocchio. I due si rialzarono. Fu rialzandosi che il "povero" pellegrino, essendogli scivolato all'indietro il cappuccio, mostrò i sottili capelli biondi e il viso: un viso molto pallido, nobile, dagli intensi occhi azzurri. Frate Egidio accennò un gesto benedicente. Lo sconosciuto si inchinò, arretrando. Poi si valse, e uscì dal convento. Gli fu porto il suo cavallo. Salì in sella. E il gruppo, in corsa, si perse in un polverone fra gli alberi. Non una sola parola era stata pronunciata tra frate Egidio e il misterioso pellegrino. Gli altri frati, ancora stupiti per quanto avevano visto, si erano fatti avanti. Addossandosi alla porta del convento, con frate Egido, guardavano il polverone dissolversi. Ma era Ludovico di Francia !Finalmente uno dei frati ritrovò la parola.L'ho riconosciuto dalle insegne, quando gli si è aperto il mantello. Era il re in persona, vi dico! Lo sapevo disse calmo frate Egidio. E con semplicità: -Dio me l'aveva detto in cella, mentre pregavo. L'ho sentito arrivare. E non gli è stato detto nulla! Nemmeno lo si è invitato a fermarsi. Ogni frate aveva qualcosa da rimproverare a frate Egidio. E qualche rimprovero fu aspro. Carissimi fratelli, spiegò Egidio, senza adombrarsi , non vi meravigliate. Né io né lui potevamo parlare. Per dirci ciò che avevamo nel cuore, la lingua umana ci faceva difetto. Ci sono dei segreti del cielo che non si possono esprimere. Ma, vi assicuro, Francesco, il nostro fratello santo, era con noi: e ha parlato per noi. E...Per la commozione, non finì. Gli occhi a terra, già in preghiera, faceva ritorno alla sua cella. I frati mormorarono ancora. Poi, nella notte che scendeva, tuttora di nuovo silenzio nel chiostro. E Ludovico (Luigi) IX di Francia che mai aveva potuto vedere in vita san Francesco stava ritornando in patria, dal suo pellegrinaggio ad Assisi. Ad accompagnarlo, era il conforto di averne potuto vedere almeno la tomba: e d'averne ricevuto il messaggio d'amore attraverso l'abbraccio con frate Egidio. Quell'amore segnato per entrambi dalla croce di Cristo.

Un ideale cristiano: la Cavalleria

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Cavaliere medioevale

La cavalleria non era nata in terra cristiana, ma nelle tradizioni della tribù germaniche tra le quali il giovane non poteva portare le armi se non le aveva ricevute, elmo, scudo, framea, dalla mano del padre o del suo capo. Con quale lentezza, con quale pazienza, la Chiesa si adoperò per fare dell'investitura militare una specie di sacramento! Dovettero passare dei secoli, durante i quali si compì, su tutti i piani, la fusione intima delle due tradizioni, quella del nord selvaggio e quella del sud, romano e battezzato, sintesi di cui la cavalleria sarà il simbolo più completo. Ancora nel cuore stesso dell'epoca barbara la Chiesa cominciò a realizzare questa unione benedicendo le armi di coloro che stavano per combattere e proponendo loro delle parole d'ordine. Verso l'anno mille, il sacerdote pregava così per l'adolescente che si accingeva a divenire guerriero: «Esaudite, o Signore, le nostre preghiere, e benedite con la vostra mano maestosa questa spada con cui il vostro servitore desidera essere cinto per poter difendere e proteggere le chiese, le vedove, gli orfani e tutti i servitori di Dio contro la crudeltà dei pagani e per portare il terrore tra i felloni!». [...] Che cosa era dunque un cavaliere? Quali qualità, quali virtù si richiedevano a chi portava questo titolo? [...]

La figura del cavaliere

Il cavaliere è il fedele servitore del signore, prevalentemente di nobile schiatta, ma prima del XII secolo poteva capitare anche a contadini particolarmente forti e devoti di ricevere questo riconoscimento. Gli vengono consegnate armi ed un cavallo, che rappresenta il simbolo stesso della propria condizione, distinguendolo dalle altre figure sociali. L´equipaggiamento di cui disponeva il cavaliere era costituito da armi (spada, lancia ed un´antica arma in uso fino al XVI secolo, l´azza ovvero una corta asta con una testa a forma di accetta che finiva a punta) e da elementi protettivi (l´elmo, la veste che poteva essere interamente o parzialmente metallica, lo scudo di forma triangolare o rotonda). In effetti, se il cavallo distingueva il cavaliere dal servo e dal contadino, era l´armatura, costosa e sempre più raffinata, a segnalare il cavaliere di nobile origine. Un detto del tempo affermava che si poteva vantare di questo nome solo chi avesse avuto «due cose insieme: valore di corpo e bontà d'animo». Che cosa si intendeva per «bontà d'animo»? Tutta la scala delle virtù più alte, sia religiose che laiche e sociali. La fede stava al vertice, e dava alle altre il senso e la portata. Poiché era credente, il cavaliere doveva venerare la Chiesa e difenderla in ogni occasione; ma sapeva anche che tutto ciò che compiva nel duro lavoro delle armi, lo faceva per il Signore. Se ci fu un uomo che ebbe costante il sentimento di vivere sotto lo sguardo di Dio, questi fu proprio il cavaliere perfetto, il cui tipo troviamo impersonato in un Goffredo di Buglione, o in un Baldovino il lebbroso, o in san Luigi: il soldato che già in anticipo ha affidato la vita e la morte nelle mani dell'Onnipotente. Tutte le qualità richieste da quest'uomo erano l'attuazione pratica del comandamento cristiano. Era fedele, devoto ai suoi capi, rigido nell'applicazione dei suoi doveri di vassallo. Era leale, rifuggiva dalla menzogna, guardava in faccia la verità con lo stesso coraggio con cui affrontava il nemico. Era giusto, anzi, ancor meglio, fedele servitore dell'ideale di giustizia «affinché, diceva il Pontificale di Guglielmo Durand, un

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codice della liturgia cavalleresca, la giustizia abbia quaggiù un sostegno». Era caritatevole, dedito alla protezione dei deboli, chierici, donne, bambini, generoso verso coloro che aveva ai suoi ordini, e anche verso il nemico. Ideale mirabile, che nessuna civiltà ha potuto superare [...]. L' ingresso nella cavalleria si faceva attraverso una minuziosa e grandiosa cerimonia: l'investitura.

a. LA CERIMONIA DI INVESTITURA DEL CAVALIERE

Le motivazioni della cerimonia La condizione di cavaliere, connessa al proprio status per un giovane nobile e guadagnata come livello di promozione sociale per un contadino oppure un borghese, veniva solennemente sancita con una cerimonia rituale, denominata addobbamento. Il giovane cui viene conferito il titolo di cavaliere, viene riconosciuto come adulto ed individuo con un preciso ruolo sociale, cui sono connessi determinati comportamenti.

.L´origine del termine adoubement La parola francese adoubement, deriva dal verbo adober, originato dall´antico verbo tedesco dubban, latinizzato in dobbare. Il significato della parola è colpire, con una sfumatura di senso che, poiché si riferisce al passaggio di una parte di potere da parte del signore al vassallo, viene assegnata al gesto rituale di colpire con il palmo della mano il vassallo.

La cerimonia La cerimonia è molto semplice. Il re, oppure un signore molto potente, consegna al giovane cavaliere la spada ed il cinturone, e lo colpisce con un colpo del palmo della mano (denominato paumée, palmata oppure colée, accollata) sulla nuca oppure sulla gota. Questo è l´unico colpo che il cavaliere debba ricevere senza restituirlo. Il cavaliere, appena ordinato tale, balza a cavallo e colpisce con la lancia un trofeo d´armi (panòplia) fissata ad un palo (quintana). Fin dal XIII secolo la cerimonia si arricchisce di un apparato rituale sovraccarico di significati religiosi, quali il bagno rituale e la veglia d´armi in chiesa: Il suo carattere propriamente religioso dimostra che l'istituzione era veramente un ordine: essa costituiva una specie di sacramento. [...] È la notte, una notte santa, la vigilia di Pasqua o di qualche grande festa. Chiuso nella chiesa immersa nel fitto silenzio, solo con pochi ceri che pregano Dio con lui, il giovane «damigello» veglia e medita. Ha vent'anni, è ricco di coraggio e di forza. Da molti anni, nella rocca del suo signore, si è abituato a salire a cavallo, a maneggiare la spada, a gettar giù con la lancia il fantoccio di stoffa che rappresenta il nemico, la «quintana». La sera prima, debitamente confessato, si è bagnato, in una particolare cerimonia, affinchè corpo e anima siano egualmente puri, e ha indossato la lunga tunica bianca come per un secondo battesimo, giacché per lui si tratta veramente dell'inizio di una vita nuova. Al mattino del grande giorno, ora per ora, la cerimonia spiegherà tutti i suoi fasti. I testimoni sono arrivati: sono di solito dodici, tutti cavalieri famosi, e con essi sono venuti la famiglia e i conoscenti dei dintorni. Qualche alto dignitario della Chiesa ha celebrato la Messa, circondato da una folla di chierici. Quando la santa Comunione ha confermato in lui le risoluzioni della pia veglia, l'investitura comincia. Di fronte al padrino, il postulante «chiede la cavalleria». I testimoni lo rivestono dei suoi nuovi abiti.

LA TOSCANA E LA TRADIZIONE DEL PELLEGRINAGGIO di Franco Cardini

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Tra le forme di devozione religiosa, il pellegrinaggio è una delle più antiche e diffuse. Certo, la parola che lo designa non è antica: viene dal latino e, nella sua primitiva accezione, adottata dal cristianesimo, indica il viaggio verso una mèta rispetto alla quale si è stranieri (peregrini), ma che è assunta come simbolo d’un punto d’arrivo più santo e definitivo: in questo senso, il pellegrinaggio è per il cristiano il simbolo stesso della vita umana; questa terra non ci appartiene, non è la vera patria; la vita è un viaggio, un «passaggio» (passagium era nel basso medioevo il termine tecnico per indicare anche la spedizione crociata), e tutti aneliamo a tornare alla Casa del Padre. Il pellegrinaggio cristiano nasce senza dubbio dall’esperienza ebraica dell’alyah, la «salita verso Gerusalemme»; e il pellegrinaggio musulmano, lo haj, s’ispira ad entrambi. A Gerusalemme, il Tempio era la mèta dei pellegrini ebrei (e quel che autenticamente ne rimane, il «Muro occidentale», lo è ancora); e per un certo periodo fu anche la mèta principale dei musulmani, che sull’impianto di esso elevarono il santuario della Cupola della Roccia. I cristiani avevano tuttavia sostituito, come mèta del pellegrinaggio gerosolimitano, al Tempio il Sepolcro di Gesù, individuato secondo la tradizione in circostanze molto complesse dall’imperatrice Elena madre di Costantino e attorno al quale venne costruita una splendida basilica poi più volte distrutta, danneggiata e restaurata fino ai giorni nostri. Tuttavia, la dimensione del pellegrinaggio nelle tre fedi sorelle nate dal Patto fra Dio e Abramo somiglia sul piano morfologico ad esperienze che, in altre religioni, si possono a loro volta definire «pellegrinaggi»: ma se ne discostano parecchio nella sostanza. Tutte le altre religioni, che con un termine tuttavia molto generico e inadeguato si ha l’abitudine di definire «pagane», aderiscono a una concezione mitica e hanno una struttura immanente, cioè concepiscono il Sacro come fortemente connesso con il cosmo e con la natura. Date queste premesse, i loro «pellegrinaggi» sono ordinariamente volti a santuari che costituiscono la memoria d’un fatto mitico o che corrispondono a luoghi (di solito montagne, vulcani, fonti, laghi, caverne) nei quali si hanno speciali manifestazioni di tipo «cratofanico», cioè connesse con forze o qualità specifiche della natura o con fenomeni preternaturali o tali considerati. Caratteristici di molte religioni (si pensi all’antico paganesimo greco e romano) sono ad esempio i pellegrinaggi verso santuari dotati di un valore terapeutico: autentici viaggi della speranza, volti a ottenere o a recuperare la salute. Oppure verso santuari nei quali sia possibile ottenere indicazioni a carattere divinatorio utili per il futuro. Il cristianesimo ha ereditato molte di queste tradizioni e le ha adattate al culto della Vergine e dei santi, magari obliterando antichi culti e sostituendoli con il suo oppure fondandosi sulla memoria di apparizioni o di eventi miracolosi, o ancora sulla presenza di immagini sacre o di reliquie. Ma questo aspetto fenomenologico del pellegrinaggio cristiano non deve indurre in inganno. In realtà, le tre religioni di ceppo abramitico costituiscono nel loro insieme una compatta eccezione rispetto a qualunque altra forma di culto mitico-religoso. La loro concezione di Dio è non mitica, bensì storica; la loro struttura intima è trascendente, non immanente. Dio non appartiene alla natura, ma ne è il Creatore e il Signore; il pellegrino ebreo, cristiano e musulmano non affronta il santo viaggio alla ricerca di manifestazioni di potenza cosmica o naturale di sorta, ma si muove alla volta d’un Luogo Santo, segno e prova della realtà e della storicità del patto tra Dio e l’uomo un patto attraverso il quale appunto Dio irrompe nella storia. Il pellegrinaggio a Gerusalemme, per il cristiano, è una testimonianza di fede, un gesto teso a riannodare e a rafforzare il patto. Su di esso si fonda la legittimità di qualunque altro pellegrinaggio, dal momento che la Vergine, gli apostoli e i santi altro non sono se non mediatori tra uomo e Dio. La carità divina, costantemente presente nella storia, consente tuttavia che anche altri luoghi compartecipino di questo speciale tesoro di grazie. Fin dall’XI secolo, il santuario di Santiago de Compostela dedicato all’apostolo Giacomo è stato investito di un valore storico e spirituale speciale: così, fin dal I secolo, la città di Roma in quanto non solo caput mundi, ma anche caput martyrum: e il giubileo, fondato da papa Bonifacio VIII nel 1300, lo ha ricordato: mentre santuari dedicati alla Vergine, agli angeli, ai santi hanno volta per volta e luogo per luogo fondato o talvolta anche ripreso antiche tradizioni, connesse magari con miracoli tra i quali, sempre più spesso, importanza speciale hanno rivestito quelli a carattere taumaturgico. L’impetrazione di grazie connesse con la salute fisica non va mai disgiunta tuttavia, nella tradizione cristiana e nella devozione dei fedeli, dalla consapevolezza che quel che si va a cercare, anche a Lourdes, a Loreto, a San Giovanni Rotondo, è la salvezza spirituale, che si ottiene grazie alla fede, alla penitenza (carattere intrinseco al pellegrinaggio cristiano) e ai sacramenti: salvezza della quale la salute fisica è un segno. Dall’Ottocento tuttavia, dopo un lungo momento d’eclisse dovuto a varie ragioni, costi troppo alti, insicurezza del viaggio, disinteresse per una mèta contestata dalla Riforma e verso la quale si era diffusa una certa disaffezione, sua sostituzione con mète simboliche dotate di analoghe possibilità di lucrare indulgenze,

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è tornato in auge anche il pellegrinaggio a Gerusalemme, al quale costante impulso ha dato l’Ordine francescano attraverso istituzioni della sua Custodia di Terrasanta. Gli avvenimenti tragici degli ultimi anni, connessi con il conflitto israeliano-palestinese, hanno provocato una comprensibile flessione in questa pratica alla quale il mondo cattolico aveva conferito un valore al tempo stesso devozionale, culturale e turistico nel senso migliore e più alto del termine. Si era parlato di un «turismo religioso»: e, per quanto l’espressione possa sembrare ambigua, il fenomeno era in genere di alta qualità. Si trattava di accompagnare la religiosità e la testimonianza di affetto per i Luoghi che avevano assistito alla vita terrena del Signore con un’esperienza arricchente sotto il profilo storico e culturale. La massiccia presenza di pellegrini cristiani sosteneva inoltre l’economia locale, creava ricchezze e al tempo stesso, moltiplicando le occasioni d’incontro, favoriva la convivenza e la reciproca conoscenza.

La Città Santa:Gerusalemme Celeste

INDICE

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Introduzione

1. Il pellegrinaggio

2. Vita dei pellegrini nel Medioevo

3. S. Francesco d’ Assisi

4. Francesco in pellegrinaggio alla tomba di san Pietro

5. Francesco e i primi compagni

6. Patriarchio

7. Innocenzo III: un grande papa

8. Una casa madre per i fratelli

9. Onorio III

10. Ospizio di sant’ Antonio iuxta Lateranum

11. La solidarietà medievale

12. Santa Croce in Gerusalemme

13. San Francesco a Ripa grande

14. Santa Sabina

15. Jacopa de’ Settesoli

Conclusioni

Appendice:

S. Francesco primo predicatore apostolico

S. Francesco e il Concilio lateranense IV

Luigi IX: un pellegrino dalla Francia ad Assisi

Un ideale cristiano: la Cavalleria

La Toscana e la tradizione del pellegrinaggio

BIBLIOGRAFIA E SITOGRAFIA ESSENZIALE

- R. Lucani, S. Giovanni in Laterano, Ed. Prospettiva, Tivoli 2004.

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- S. Falasco, G. Riccionali, O Roma felix, Ed. 30giorni, Roma 1999. - N. Ohler, Vita pericolosa dei pellegrini nel medioevo, Ed. Piemme pochet Casalmonferrato2002. - M. Campanari , T. Amodei, Scala santa e Sancta Santorum, Ed. Quasar , Roma 99. - L. Lehmann, Le preghiere francescane, EEDB, Bologna 99. - N. Kuster, Francesco d’assisi maestro di spiritualità, EMP, Padova 2004. - V. Spagnolo, Ludovico IX di Francia, Re santo ultimo crociato, Ed. del Romano, Aquile 1986. - C. Dalpane, In missione nel mondo, Conversazione sulla storia della Chiesa, Vol. 2, Ed. Itaca , Città di Castello 2008. - A. Terzi, San Francesco d’Assisi a Roma, Ed. Nardini Roma 1956. - A. Barbero - C. Frugoni Dizionario del medioevo, Milano 1996. - M. Bloch La società feudale, Milano 2000. - G. Rosa, disegno tratto da: C.Marchi, Grandi peccatori grandi cattedrali, Ed. RCS Rizzoli libri S.p.A., Milano 1987.

- F. Cardini, Articolo: La Toscana e la tradizione del pellegrinaggio, 26/06/2002 - Fonti Francescane, Ed. Francescane. - www.colombo.ion.it - www.vatican.va - www.philographikon.com - www.info.roma.it - www.atlanteabruzzo.it - www.geocities.com - www.laboratorioroma.it/Passeggiate romane/Roma Sparita/Roma Sparita.htm - http://silo9.splinder.com/tag/orogini - http://www.toscanaoggi.it/notizia - http://upload.wikimedia.org/wikipedia/it/ - http://www.philographikon.com/printsrome2.html - www.fuocosacro.com/pagine/articoli/