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GIORNATA DELLA MEMORIA 27 GENNAIO 2017 Classe 5B Navezze

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GIORNATA DELLA

MEMORIA

27 GENNAIO

2017

Classe 5B Navezze

Classe 5B Navezze

Il 27 gennaio del 1945 l’ Armata

Rossa entrava nel campo di

sterminio nazista di Auschwitz e

liberava i prigionieri superstiti: il

mondo così scopriva l’orrore

dell’Olocausto.

LA LIBERAZIONE

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Shoah è una parola ebraica che significa

«catastrofe»: Fra il 1939 e il 1945, durante la Seconda

Guerra Mondiale, moltissime persone furono

trucidate dai nazisti per il solo fatto di essere ebrei. Lo

scopo di questo regime era infatti quello di creare un

mondo ‘purificato’ da tutto ciò che non era

rappresentato da se stessi. Questo orrore partì dalla

Germania, ma si espanse via via invadendo Austria

e Polonia, Francia e Russia, Olanda, Grecia e poi

anche l’Italia.

SHOAH

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Il regime fascista nel 1939 aveva emanato una

legislazione contro gli ebrei. Le leggi razziali li

escludevano dalle scuole, da molte professioni, dalla

vita sociale.

In Italia c’era il fascismo con a capo Mussolini, in

Germania il nazismo con a capo Hitler; erano

movimenti politici dittatoriali.

1 settembre 1939 scoppiò la Seconda Guerra

Mondiale. La Germania invase la Polonia e l’Italia si

alleò con la Germania.

In Italia contro il fascismo nacque la resistenza: i

partigiani erano uomini che combattevano contro il

regime autoritario.

Il 25 aprile 1945 ci fu la liberazione dai tedeschi.

Il 1 settembre 1945 finì la guerra.

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Auschwitz, Dachau, Birkenau sono alcuni fra i nomi dei campi di sterminio. Qui

ogni giorno arrivavano treni merci carichi di persone. Nessuno veniva lasciato

in vita. Le camere a gas erano camuffate da docce: la gente era invitata a

spogliarsi e a entrare. In otto minuti circa arrivava la morte. Poi c’erano i forni:

la soluzione più ‘comoda’ per eliminare migliaia di cadaveri alla volta.

I CAMPI DI CONCENTRAMENTO

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Anche Mussolini accettò e firmò le leggi razziali per

emarginare gli ebrei. Ben presto anche in Italia

cominciò la caccia all’ebreo, non più soltanto per

emarginarlo, bensì per ucciderlo, catturarlo e

spedirlo nei campi di sterminio. Il campo di transito di

Fossoli, in provincia di Modena, divenne il luogo di

transito per questi tristi carichi umani. La Risiera di San

Sabba, invece, nei pressi di Trieste, fu un luogo di

morte.

IN ITALIA…

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DA ALCUNE TESTIMONIANZE DEI SOPRAVVISSUTI…

…ALLA REALIZZAZIONE DELLA

«Pellicola della vita dei deportati»

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ANDRA E TATI BUCCI

Quella notte di fine marzo 1944, erano da poco passate le nove. Lei, Andra, e il cugino

Sergio 7 anni erano già a letto. Il ricordo indelebile per entrambe è quello della nonna

Rosa che si mise a piangere e si gettò per terra, aggrappata ai cappotti di questi uomini.

Implorò i soldati di prendere lei. Di lasciare stare i bambini. Ma fu inutile. I nazisti li portarono

via tutti a bordo di un'auto. Iniziò un viaggio lungo quasi 1.000 chilometri. Arrivammo ad

Auschwitz. Con una fermata intermedia: la Risiera di San Sabba, il lager vicino a Trieste.

Appena arrivate al campo «ci fecero indossare vestiti grandi e sporchi». Poi «ci

marchiarono con il numero che ancora oggi portiamo sul braccio. E che non abbiamo

mai voluto cancellare». Nel lager vedemmo la morte.

Fummo scambiate per gemelle, a causa della nostra somiglianza

così marcata: quindi fummo tenute da parte insieme

ad altri bambini-cavia, perché proprio sui gemelli gli orchi

conducevano i loro feroci esperimenti.

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MARTA ASCOLI

Mi chiamo MARTA ASCOLI… e ho rivisto la luce…

Ero là, privata di tutto, vestita di pochi stracci, sempre gli stessi, in tutte le stagioni,

con il caldo e il freddo, senza acqua per lavarsi, senza cibo, senza un nome, solo

un numero, e soprattutto senza dignità. Le malattie si diffondevano velocemente

nelle baracche sovraffollate. La denutrizione e l’assoluta mancanza

d’igiene facevano il resto: ogni giorno mi confrontavo con la morte, giovane

donna di soli diciassette anni che avevo sempre amato la vita e che nei sogni di

ragazza avevo spesso immaginato il futuro. Ma quel futuro, che ora per me

rappresentava il presente, era davvero inimmaginabile. Le giornate nel lager

trascorrevano tutte uguali, fra lavoro e punizioni. Ma se il lavoro non veniva

svolto bene ne seguiva la giusta punizione. Nel poco tempo che ci era concesso

per mangiare la zuppa, le SS che erano di turno, sceglievano le persone,

obbligandole a correre senza fermarsi avanti e indietro, o a inginocchiarsi a

lungo o a portare grosse pietre finché cadevano sfinite. Quando crollavano a

terra, i militi intervenivano con bastonate e ridevano tra di loro. Credo che

questo si possa definire con una sola parola: sadismo. Poi, ormai insperata,

giunse la liberazione: il 6 luglio 1945 seppi che sarei tornata a casa.

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PIERO TERRACINA Ci misero in 64 in un vagone. Fu un viaggio allucinante, tutti piangevano, i

lamenti dei bambini si sentivano da fuori, ma nelle stazioni nessuno poteva

intervenire, sarebbe bastato uno sguardo di pietà. Le SS sorvegliavano il

convoglio. Arrivammo dentro il campo di concentramento, dalle fessure

vedevamo le SS con i bastoni e i cani. Scendemmo, ci picchiarono, ci

divisero. Formammo due file, andai alla ricerca dei miei fratelli, di mia

madre, noi non capivamo, lei sì. Non l'ho più rivista. Mio padre, intanto,

andava verso la camera a gas con mio nonno. Noi arrivammo alla "sauna",

ci spogliarono, ci tagliarono anche i capelli. E ci diedero un numero di

matricola. "Dove sono i miei genitori?", chiesi a un altro sventurato. Lui alzo’

gli occhi. Quando siamo stati liberati, pesavo 38 chili. Io camminavo, ma

erano tanti quelli che non si tenevano in piedi. Dopo un po' crollai, dopo fui

portato dai russi in un ospedale militare. In seguito fui portato nell'ospedale

di Leopoli. Li' ripresi a piangere e presi coscienza di quello che era stato

perpetrato da persone normali ai nostri danni.

Raccontare del lager ha significato per me in parte rivivere quelle

situazioni, ma io volevo sembrare una persona come tutte le altre, non dico

"essere" ma almeno "sembrare". E così è andata: di giorno cercavo di fare

una vita più normale possibile e di notte molto spesso mi ritrovavo a fare i

conti con il mio passato nel lager. Sognavo continuamente di Auschwitz,

era una specie di doppia vita.

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SAMI MODIANO Giunti a Birkenau, superiamo la prima brutale selezione: il cenno a sinistra del

medico nazista, che giudicava a vista, voleva dire camera a gas e forno; il cenno

a destra indicava i “privilegiati”, risparmiati perché giudicati adatti ai lavori più

duri. In pochi giorni di internamento, quasi tutto diventa chiaro, anche nel mio

sguardo ancora innocente di ragazzino. La fugace e quotidiana visione di mia

sorella, oltre la cortina di ferro attraversata dalla corrente, mi conforta fino al

giorno in cui non la vedo più. Mio padre, prima di consegnarsi agli assassini, mi

impone di tenere duro. «Sami, tu sei forte. Devi farcela. Ce la farai!». E così resto

solo a combattere per la vita.

Mi trattiene e mi conforta l’accorata imposizione di mio padre: “Devi farcela!”. Ci

riesco, almeno fino a quando, affamato, indebolito e ridotto a uno scheletro, non

riesco a superare la nuova selezione. Vuol dire camera a gas.

Il mio destino è segnato. Lo chiudono, assieme ad un gruppo di altri sventurati,

nell’anticamera della finta doccia dove le conduttore del letale Zyklon B sputano

veleno a getto continuo. Ma non succede nulla. Poi si spalanca una porta, ma

non è quella della camera a gas. Un ufficiale tedesco dà ordine di uscire

all’aperto, perché si è prodotta un’emergenza. Sono vivo grazie a un carico di

patate. Proprio patate, sissignore! Era infatti arrivato un treno carico di patate, ma

non vi erano abbastanza prigionieri per scaricarlo. Fummo condotti a scaricare le

patate, sistemandole a piramide su assi di legno.

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NEDO FIANO

Fui catturato insieme a mio padre e mio nonno nel maggio del 1944

deportato con lui ad Auschwitz. Siamo entrati nella quarantena, che era

comunque un luogo di morte, le razioni erano dimezzate rispetto al

campo, durava circa tre settimane e quando i prigionieri uscivano erano

ridotti malissimo. Mi ricordo che siamo entrati in una baracca, dove era il

momento della distribuzione della zuppa. Ad Auschwitz non c’erano né

forchette, né coltelli, né cucchiai. Dovevamo mangiare mettendo la testa

dentro nella ciotola.

Il mio nonno…il mio angelo Quando fummo dentro la baracca entrò subito dopo un sergente

maggiore delle SS, il quale disse: "Achtung", tutti scattarono in piedi, era un

ordine. Incominciò a guardarci. Io so cos’è uno sguardo nazista, uno

sguardo vitreo, freddo. Il nazista disse che aveva bisogno di qualche

interprete. "Chi parla tedesco?"chiese. Ero impietrito, immobile. E proprio

quando pensavo che questo esame fosse finito, ho sentito una spinta sulla

schiena, una mano che mi mandava avanti a offrire la mia disponibilità

d’interprete. Mi sono trovato davanti alla SS, che continuava a fissarmi con

lo stesso sguardo. A un certo punto mi chiese "Dove sei nato? ". Io risposi

senza guardarlo, con gli occhi verso un punto infinito :" A Firenze". Dopo un

monologo di dieci minuti mi ha selezionato per il corpo interpreti. Eravamo

dei privilegiati, e se io sono qui a parlare forse è anche per questo. Gli

interpreti lavoravano sulla banchina d’arrivo della stazione di Auschwitz –

Birkenau.

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Dall’oscurità della tragedia

alla luce dei GIUSTI…

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IL GIARDINO DEI GIUSTI è un giardino dedicato ai Giusti, le donne e gli uomini che si sono

opposti con responsabilità individuale ai crimini contro l'umanità e ai

totalitarismi.

I GIUSTI sono semplicemente delle persone normali che posti di fronte

all’ingiustizia reagiscono sapendo opporsi anche a rischio della

propria vita. Sono i non ebrei che durante la Shoah salvarono la vita

di almeno un ebreo senza trarne alcun vantaggio personale. La loro

esistenza stessa dimostra che anche nelle situazioni peggiori, in cui

l’assassinio era diventato legge di stato e il genocidio parte di un

progetto politico, è comunque sempre possibile per tutti gli esseri

umani fare delle scelte alternative.

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IL GIARDINO DEI GIUSTI DI GERUSALEMME E IL MURO D’ONORE

Il primo Giardino dei Giusti, nato

a Gerusalemme nel 1962, è

dedicato ai Giusti tra le nazioni.

Tra il 1963 e il 2001 ne sono stati

commemorati circa 20.000 di cui

295 italiani. Il giardino ricorda i

Giusti non ebrei che hanno

salvato la vita a ebrei durante

la Shoah. La commemorazione

fino agli anni novanta era

effettuata piantando alberi in

onore dei Giusti tra le nazioni.

Oggi, non essendoci più spazio

per le piantumazioni, è stato

costruito nel giardino il Muro

d'Onore su cui ne vengono

scolpiti i nomi.

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Breve biografia di alcuni giusti italiani

A Budapest riuscì a salvare dallo sterminio nazista

migliaia di ungheresi di religione ebraica inventandosi un

ruolo, quello di Console spagnolo. Per cento giorni,

Giorgio Perlasca si finse (e fu, a tutti gli effetti), tutto quello

che non era: fu ambasciatore, medico, organizzatore della

resistenza, consolatore di singoli. Sempre creduto in

ognuno di questi ruoli. E gli oltre 5200 ebrei ungheresi

riuscirono a salvarsi, a sopravvivere. Era un ovvio bluff ma

nel clima di disfatta, confusione e di mancanza assoluta di

comunicazioni, funzionò.

GIORGIO

PERLASCA

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Trasportò documenti falsi da Assisi, dove c'era una

stamperia clandestina, al vescovo di Firenze che

poi li distribuiva agli ebrei per farli espatriare.

GINO BARTALI

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Inventò una malattia per salvare decine di ebrei

romani. Si chiamava “Morbo di K” (K come gli ufficiali

nazisti Kesselring e Kappler). Lui, allora medico del

Fatebenefratelli, nosocomio vicino al Ghetto e alla

grande Sinagoga, lo inventò insieme al primario

Giovanni Borromeo

Scrisse sulle false cartelle cliniche il nome della

malattia “contagiosissima” che scoraggiò i nazisti al

controllo dei nomi dei pazienti. Mentre nei sotterranei

una radio clandestina permetteva di comunicare

con i partigiani, nell’ospedale trovavano rifugio molti

romani. Il suo attivismo costò a Ossicini la prigione e le

violenze dei nazisti e dei fascisti. A 96 anni ricorda la

sua storia con un monito: «Bisogna sempre cercare di

essere dalla parte giusta…».

ADRIANO

OSSICINI

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Era un medico piemontese (padre di Piero Angela)

che nella sua clinica nascose ebrei facendoli

passare per malati.

CARLO ANGELA

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Contribuì alla salvezza di 105 ebrei accompagnandoli in

prima persona a Cernobbio dove, contando su

contrabbandieri sicuri e sul fedele appoggio di un paio di

guardie confinarie, riusciva a farli espatriare in Svizzera.

DON DANTE SALA

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Gam Gam è il titolo di una canzone scritta da Elie Botbol che riprende il quarto versetto del testo ebraico del Salmo 23 dell'Antico Testamento. Il brano è parte della colonna sonora del film Jona che visse nella balena. Nel film il canto viene insegnato dalla maestra a Jona e agli altri bambini nel lager. "Anche se andassi nella valle della morte non temerei male alcuno, perché tu sei sempre con me, perché tu sei il mio appoggio, il posto più sicuro per me. Al tuo cospetto io mi sento tranquillo".

Gam-Gam-Gam Ki Elekh

Be-Beghe Tzalmavet

Lo-Lo-Lo Ira Ra

Ki Atta Immadì

Gam-Gam-Gam Ki Elekh

Be-Beghe Tzalmavet

Lo-Lo-Lo Ira Ra

Ki Atta Immadì

Shivtekhà umishantekhà

Hema-Hema yenahmuni

Shivtechà umishantechà

Hema-Hema yenahmuni

Gam gam…

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Il contrario della pace

non è la guerra.

E’ l’indifferenza.

Il contrario dell’amore

non è l’odio,

ma l’indifferenza.

Il contrario della morte

è la memoria.

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